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GIUGNO 2011 ANNO 8 N 6
periodico dei terremotati o di resistenza umana
€ 1,00
ricomincio da quattro
chi guasta l’acqua ne sarà guastato
Gli incontri più belli della Scrittura Sacra avvengono vicino ai pozzi; uomini che incontrano donne che danno loro da bere,
come Gesù presso la samaritana. Abramo e Isacco erano gli scavatori di pozzi. La dimostrazione della loro benedizione era che
trovavano sempre l’acqua, quello era il segno che erano assistiti
dalla buona volontà della divinità. Anch’io ho scavato un pozzo
per l’acqua, qui sul campo. E ho visto l’acqua zampillare e uscire
dalla terra. Al cinema si vedono persone
che
osservano
sgorgare il petrolio e
fanno baldoria attorno al nuovo pozzo.
Ecco, quelli festeggiano la loro ricchezza
personale. Chi invece fa spuntare l’acqua
dal suolo sta aggiungendo ricchezza al
mondo. L’acqua che
vedevo venir fuori si
incanalava, trovava
la sua via. Sarebbe diventata nuvola, avrebbe raggiunto altre acque, apparteneva al
mondo. Avevo quella fierezza e quell’allegria di aver contribuito
alla ricchezza del mondo, non mia personale.
Vogliono privatizzare l’acqua. Chi vuol privatizzare l’acqua
deve dimostrare di essere anche il padrone delle nuvole, della
pioggia, dei ghiacciai, degli arcobaleni. Quando un’assemblea vota
la proprietà privata dell’acqua, sta facendo un’azione da banditi.
Si sta spartendo un bottino che
Molti lettori da diverse parti delnon è suo, che appartiene alla spel’Italia lamentano ritardi nella
consegna del nostro periodico. Il cie umana, al mondo e alla vita. Chi
disservizio è dovuto esclusivamen- metterà mano al furto dell’acqua,
te alle poste in quanto noi provvesarà perseguitato dall’acqua. Chi la
diamo alla spedizione sempre prima che termini il mese precedente sparge sarà disperso dall’acqua. Chi
a quello di copertina. Se nella pri- la spreca sarà sprecato. Chi ne apma settimana del mese non vi è profitta e chi se ne appropria perstato ancora recapitato protestate,
protestate, protestate con le poste. derà la sua proprietà.
Erri De Luca
Noi lo facciamo continuamente!
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Direttore responsabile
Antonio Di Lalla
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Redazione
Dario Carlone
Domenico D’Adamo
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Segreteria
Marialucia Carlone
Web master
Pino Di Lalla
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E-mail
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Quaderno n. 74
Chiuso in tipografia il
21/05/11
Stampato da
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Autorizzazione Tribunale di
Larino n. 6/2004
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via Fiorentini, 10
86040 Ripabottoni (CB)
mobilitiamoci tutti
Antonio Di Lalla
Il dodici giugno, cascasse il mondo, andrò a votare e, per quattro volte, una
per ogni scheda, senza nessun tentennamento, metterò una bella croce sul Sì che
chiede l’abrogazione di leggi sbagliate e
assolutamente non condivisibili. C’è di
tempo fino alle tre di pomeriggio del tredici ed è il caso che ci mobilitiamo tutti facendo anche opera di convincimento per
andare al seggio in modo da evitare che
sant’Antonio, il santo delle cose impossibili, debba pensarci lui a fare il miracolo in
modo che si raggiunga il quorum. L’anomalia è che per scegliere
un governo scellerato
come quello attuale basta
la maggioranza di coloro
che vanno a votare, per
cancellarne le porcate
occorre la metà più uno
degli aventi diritto al
voto. Sarà una bella impresa, resa più difficile
dal fatto che non si può
contare su molti emigrati,
universitari e i tanti ignavi e menefreghisti che si
lasciano trasportare da
qualunque corrente senza
mai prendere posizione.
Raddoppieremo l’impegno, perché la
posta in gioco è troppo
grande.
Non è un problema di destra, di sinistra o di centro, tant’è che
la mobilitazione dei partiti non c’è stata né
per la raccolta delle firme, né si avverte
troppo in questi giorni di informazione
capillare. I professionisti della politica
hanno poco interesse a che noi, persone
comuni, ci occupiamo della cosa pubblica.
Si sentono defraudati dall’impegno civile,
non vogliono interferenze. E questo è un
motivo in più per farci sentire. Abbiamo
deciso di strappare il cartello che si sono
attaccati alle terga: non disturbate il manovratore, perché, a differenza loro, ci sentiamo responsabili della nostra vita, del nostro futuro, del nostro pianeta. La responsa-
bilità è non tollerare che altri agiscano al
posto nostro, a nostra insaputa, a danno
della collettività.
Il referendum è un’occasione
preziosa per far sentire la nostra voce, per
dire ciò che ci sta a cuore, soprattutto oggi
che ci hanno scippato anche la possibilità
di scegliere le persone che devono governarci a livello nazionale, con quella mostruosa legge che mette deputati e senatori
nelle esclusive mani dei segretari di partito
che li designano quasi mai in base alla
bravura. I risultati meschini, se non fossero
tragici per la collettività, sono sotto gli
occhi di tutti. Il parlamento è diventato il
mercato delle vacche
e loro si vendono al
miglior
offerente,
inqualificabili prostituti d’alto bordo.
Hanno posto i referendum alla terza
tornata elettorale, con
inutile sperpero di
denaro pubblico e il
più tardi possibile,
per non favorire la
partecipazione. Noi
non ci lasceremo
scoraggiare:
non
andremo né al mare
né in montagna, ma a
votare. Ancora una
volta sarà Davide,
con i suoi pochi e
poveri mezzi, a sconfiggere l’altezzoso
Golia di turno che cerca in tutti i modi di
truccare le carte, impaurire e tenere soggiogate le persone. Se il governo ha agito
nell’interesse dei cittadini, nel promulgare
le leggi oggetto del referendum, perché ne
teme il giudizio? Se fa di tutto per far saltare la consultazione, fingendo modifiche,
non sarà perché il trucco c’è e spera che
non si veda? Politici seri e responsabili, di
qualunque partito, dovrebbero favorire la
consultazione della base in quanto legittimazione del loro operato.
I referendum possono essere
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l’inizio di una
riscoperta collettiva della passione civile, perciò andremo in ogni caso davanti ai seggi elettorali.
Non siamo disposti a lasciarceli scippare.
Dei contenuti dei quattro referendum ne parliamo a più voci e in diversi
articoli. La posta in gioco è troppo grande
per non correre il rischio di essere ripetitivi, senz’altro vogliamo essere esaustivi. Se
Troisi annunciava nel suo primo fortunato
film: Ricomincio da tre, ognuno di noi che
si auspica il riscatto dell’Italia ricomincia
da quattro sì.
Due Sì sono per rivendicare la
libertà dell’acqua: “essa è di pertinenza
della terra, e come tale è un bene comune,
il che vuol dire che appartiene di diritto
all’intera umanità, e perciò a ciascun uomo e a ciascuna donna, e anzi ad ogni
vivente, perché è la condizione della vita” (Raniero La Valle). Non essendo una
merce non può essere privatizzata. È vero
che viene privatizzata la gestione non l’acqua, ma nel momento in cui se ne ha l’esclusività di fatto se ne ha la proprietà.
Il terzo Sì è per impedire la reintroduzione del nucleare. Già una volta
abbiamo detto no, ora ci riprovano. Dopo
Cernobyl e Fukushima, per quello che ci è
dato conoscere, perché il più viene occultato, il nucleare è follia pura. È vero che
intorno abbiamo centrali nucleari, ma l’impegno è sostituire con altro, prima che sia
troppo tardi, quelle che ci sono, non costruirne ancora. Il sole ci invia 10 mila
volte ciò che consumiamo come energia
ogni giorno. Avanti allora con le energie
rinnovabili.
Il quarto Sì è per abrogare il legittimo impedimento, inventato da Alfano per
far sì che il presidente del consiglio (i ministri sono stati aggiunti per rendere meno
vistosa la legge) non risponda dei numerosi
e gravi reati di cui è imputato. Perché temere la giustizia se si è innocenti? Ma,
soprattutto, perché consentire che la legge
non sia uguale per tutti?
Riappropriamoci della sovranità
popolare, andiamo a votare e la democrazia potrà emettere un nuovo primo vagi-
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spiritualità
partecipazione attiva
Michele Tartaglia
Quando un cristiano sente parlare
dei comandamenti, appresi per la maggior
parte di noi durante l’infanzia, probabilmente sente un moto di irritazione e repulsione, per il fatto che ci si trova di fronte a
richieste imposte, senza che nessuno in
fondo ne avesse mai sentito l’esigenza.
Questo accade quando si apportano delle
modifiche o dei tagli al testo sacro, che
invece parla dei comandamenti come di
qualcosa di accolto liberamente dal popolo
stesso. I dieci comandamenti sono posti in
apertura di un testo più ampio, che gli studiosi hanno chiamato “Codice dell’Alleanza”, tramandatoci in Es 20,1-23,19, al
quale fa seguito, tra le altre cose, la stipulazione dell’alleanza tra Dio e Israele (Es
24,3-8). È importante leggere questo Codice nella sua cornice per comprendere che
ruolo abbiano i comandamenti nel rapporto
tra Dio e il popolo e come quest’ultimo sia
pienamente coinvolto nel rendere effettiva
la loro attuazione.
All’inizio del decalogo c’è una
frase che è stata eliminata nella formulazione catechistica cattolica: “Io sono il
Signore Dio tuo che ti ho fatto uscire dal
paese d’Egitto, dalla condizione di schiavitù; non avrai altri dèi di fronte a me” (Es
20,2). I comandamenti sono fondati su un
dono incommensurabile che Dio ha fatto al
popolo: la libertà. Ed è proprio il dono
della libertà che non può ammettere ora un
vincolo imposto, una legge indiscutibile.
Se il popolo non è più schiavo deve partecipare alla decisione di accogliere una
legge, per quanto buona e santa. Se ciò non
avvenisse, la liberazione di cui Dio si vanta
sarebbe solo apparente. Invece la Scrittura
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ci dice che, come Dio ha scelto liberamente il popolo d’Israele e liberamente ha deciso di liberarlo dalla schiavitù, anche il popolo deve liberamente accogliere Dio e la
sua legge, non può subire la sua autorità.
Alla fine della formulazione di questo codice, infatti, Mosè scende dal monte per
leggere il suo contenuto a tutto il popolo,
perché sia disposto ad accoglierlo non a
scatola chiusa: per ben due volte Mosè
legge il suo contenuto e per ben due volte
il popolo dà il suo assenso ad esso. Si legge
infatti in Es 24,3.7: “Mosé andò a riferire
al popolo tutte le parole del Signore e tutte
le norme. Tutto il popolo rispose insieme e
disse: ‘Tutti i comandi che ha dati il Signore, noi li eseguiremo!’… Quindi prese il
libro dell’alleanza e lo lesse alla presenza
del popolo. Dissero: ‘Quanto il Signore ha
ordinato, noi lo faremo e lo eseguiremo!’”.
A questo episodio si collegano,
poi, le esortazioni che Mosè stesso rivolge
al popolo prima di entrare nella terra d’Israele: “Io ti ho posto davanti la vita e la
morte, la benedizione e la maledizione;
scegli dunque la vita, perché viva tu e la
tua discendenza, amando il Signore Dio
tuo, obbedendo alla sua voce e tenendoti
unito a lui, perché è lui la tua vita e la tua
longevità, per poter così abitare sulla terra
che il Signore ha giurato di dare ai tuoi
padri, Abramo, Isacco e Giacobbe” (Dt
30,19-20). A differenza di quanto normalmente si pensa della fede biblica, la Scrittura non parla mai di imposizione, ma
sempre di scelta e di attiva partecipazione
da parte dell’uomo a quanto Dio propone
di fare per lui. Si potrebbe dire che il regime democratico non è solo un’idea della
modernità, ma ha
un fondamento
nella bibbia, dove
l’uomo non è
presentato come
ricettore passivo,
ma come un attivo interlocutore
dell’azione
di
Dio, anche nel
decidere di assu-
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mere delle leggi, che non sono espressione
di un capriccio dispotico, bensì sono date
per il buon funzionamento di una comunità
che è nata da un anelito alla libertà. Partecipare alle decisioni sulla cosa pubblica
non è quindi un optional per la fede, ne è
parte integrante, perché è nella realizzazione umana della giustizia che si attua la
risposta alla libertà donata da Dio.
Nella maggior parte delle democrazie moderne il popolo non è direttamente chiamato ad approvare le leggi, ma lo fa
attraverso dei delegati che siedono nei
parlamenti, luoghi che dovrebbero esprimere il senso di rappresentanza rispondendo ai cittadini del proprio operato; c’è inoltre la possibilità in alcuni casi di abrogare
quanto non è sentito conforme al bene
della società, attraverso l’istituto referendario che è una risorsa preziosa per correggere gli errori o i soprusi di chi legifera. In
entrambi i casi è fondamentale la consapevolezza che la partecipazione attiva alla
vita civile è un bene per tutti. Se la delega
in bianco e l’apatia nel correggere sono
oggi dilaganti, lo si deve anche alla dimenticanza delle radici bibliche delle società
moderne che, nonostante i momenti alti
della nascita delle istituzioni democratiche,
troppo presto sono tornate a concepire Dio
(o l’autorità) come un padrone da temere o
un padrino da compiacere, anziché un
padre che ci chiama a condividere la responsabilità perchè tutti possano vivere e
rimanere liberi.☺
[email protected]
glossario
“Prendo il caffè la mattina, mi
guardo riflesso allo specchio del bar. Sono
insieme a tante persone. Tutte come me.
Hanno letto i titoli dei giornali, commentano le prodezze di Berlusconi. Siamo poco
creativi … Non ci viene niente da dire” (Antonio Pascale, Qui dobbiamo fare
qualcosa …).
Eppure ci sarebbe tanto da dire,
perché la società contemporanea si caratterizza, specialmente nel nostro occidente,
per quella particolare “categoria” che va
sotto il nome di opinione pubblica, concetto ripreso dalla cultura anglosassone.
La Public Opinion [pronuncia:
pablich opìnion], espressione facilmente traducibile in italiano sul piano
linguistico, sta ad indicare
l’insieme o somma delle
convinzioni individuali dei
componenti di una società:
essa ha caratterizzato la
società inglese (e successivamente quella americana) del XVIII secolo, una
società che stava modificandosi in seguito al processo di urbanizzazione
collegato alla rivoluzione
industriale. In questo secolo fa la sua comparsa sulla scena sociale la
categoria del “pubblico” inteso come gruppo di persone (in seguito chiamati cittadini)
davanti agli occhi dei quali si verifica un
evento, viene presa una decisione, sono
affermate alcune dichiarazioni. Questo
pubblico, per contrasto, esercita una azione
di controllo, e quindi di giudizio, che si
riflette, ad esempio, sulla prosecuzione o
meno di un’iniziativa; la validità di una
risoluzione viene espressa proprio grazie al
confronto con la visione collettiva.
Ciò che può sembrare oggi evidente ed assodato, qualche secolo fa rappre-
facciamo opinione
Dario Carlone
sentava una formidabile novità, un modo,
ancora da sperimentare, per stabilire princìpi che potessero essere compresi - meglio,
condivisi - da un buon numero di appartenenti alla società (ancora rigidamente suddivisa in classi, in quei secoli!). Iniziava a
diventare importante ciò che la gente pensava!
Nonostante le inevitabili contraddizioni, nelle società anglosassoni, l’opinione
pubblica continua a perseguire il suo compito di
controllo, innanzitutto del
potere politico: si pensi
semplicemente alla pratica, ormai invalsa anche in
Italia, dei sondaggi per
valutare il gradimento o
meno di un politico in
carica, dal presidente degli
Stati Uniti al Primo Ministro britannico. Attenzione
e rispetto vengono riservati al giudizio dell’opinione
pubblica così come rivelato dai sondaggi; ne conseguono perciò
modifiche o cambiamenti nelle decisioni,
revisione e correzione dell’operato degli
amministratori, chiarimenti e spiegazioni
fornite pubblicamente.
Non appare però semplice conoscere effettivamente quale sia la reale opinione pubblica su un determinato argomento,
né individuare quali possano essere i metodi corretti per rilevarla. E ancora viene da
chiedersi a chi spetti la decisione riguardo
a ciò che va sottoposto al giudizio collettivo, se, ad esempio, rendere pubblici documenti fotografici che ritraggono situazioni
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altamente drammatiche, oppure limitarsi
ad una spiegazione convincente circa il
rifiuto di tale pubblicazione.
Il concetto di opinione pubblica si è
ormai esteso anche ad altre società, evolvendosi ed adattandosi ai presupposti culturali di ciascuna di esse.
Relativamente alla nostra contemporaneità Antonio Pascale parla di un tipo
di società largamente diffuso, la “società
assorta” in cui “l’individuo non sceglie”
ma si affida ai valori tradizionali nei quali
si rispecchia, valori che diventano “una
vera e propria autorità” che nessuno ha
intenzione di mettere in discussione perché
“nelle società assorte prevale l’abitudine”.
In esse quindi l’opinione pubblica si accoda ad un modo di pensare legato ad una
visione del mondo “simbolica”, quasi anacronistica, lontana dalla realtà sempre in
movimento e soggetta a modificazioni;
mentre invece “l’individuo deve prendere
atto che il rapporto che fino ad allora aveva stabilito con il mondo e con gli altri non
è il solo e unico”.
Pigrizia, disinteresse, timore di
mettersi in discussione: tanti potrebbero
essere i motivi per cui anche nella nostra
società italiana l’opinione pubblica fatica a
manifestarsi, mentre invece tante altre
potrebbero essere le ragioni per far sentire
la propria voce.
Qualche passo è stato compiuto:
molti italiani hanno ritenuto indispensabile
interrogarsi e prendere coscienza di temi
che riguardano la collettività, e si dichiarano pronti ad esprimere la loro (pubblica)
“opinione” su di essi! ☺
[email protected]
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impegno civile
ai referendum non rinuncio!
Alessia Mendozzi
Il 12 e il 13 giugno siamo chiamati alle urne per esprimere il parere su temi
delicati e importanti: l'acqua pubblica, l'energia nucleare, il legittimo impedimento.
Tre temi, quattro quesiti (due sono quelli
sull'acqua), una sola consapevolezza: la
quasi totale assenza d'informazione nei canali "ufficiali".
Se andare a votare è importante,
farlo al referendum lo è ancora di più. È la
massima espressione della volontà popolare,
sicuramente quella più diretta. Purtroppo
quello a cui assistiamo ormai da troppi anni
è un crescente menefreghismo quando si
tratta di referendum. Il più
delle volte non solo non si
raggiunge il quorum, ma la
percentuale dei votanti è talmente bassa da sfiorare il ridicolo.
La politica di palazzo - abituata fin da troppo
tempo a decidere dentro le
stanze dei bottoni, a imporre
candidati, a fare orecchie da
mercante - è l'unica che trae
vantaggio da questo stato di
cose. Perché la politica, quella
vera, quella fatta dalla gente
per la gente, perde la sua efficacia e il suo significato originario, proprio
grazie alle azioni che vanno a screditare la
parte attiva e sana della politica stessa.
Così parte il boicottaggio al referendum. Ci sono vari strumenti per evitare
che il popolo vada a votare.
Primo: stabilire la data di voto nei mesi
estivi. La gente si sa, ama andare al mare o
in giro quando il clima è bello, perché
"perdere tempo" andando a votare quando si
può partire per una breve vacanza?
Secondo: rendere il testo del quesito referendario il più complesso possibile. In questo
modo, chi va a votare avrà non poche difficoltà a esprimere il suo voto... perché non
capisce cosa ci sia scritto sulla scheda!
Terzo: fare in modo di rigirare le domande
e, di conseguenza, le risposte. Vale a dire,
indicare sì per dire no e no per dire sì. Risultato? Una totale confusione.
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Quarto: disinformare e/o non informare
affatto. Lo strumento più infimo, quello più
vile, quello a cui i media del sistema si attengono senza batter ciglio. Provate a chiedere ai vostri amici se sanno che il 12 e il 13
giugno si vota, se sanno che è un referendum, se sanno quali sono i temi o come si
vota.
Il risultato di tutto questo? Arrivare a far credere al popolo che il miglior strumento di partecipazione democratica che ha
a disposizione in realtà non serva a niente...
"perché tanto fanno sempre come vogliono
loro". Nulla di più sbagliato! Se il potere
non avesse paura del referendum, non userebbe ogni mezzo a sua disposizione per
screditarlo, per evitare che se ne parli e che
si informi la gente.
Se pensiamo poi che i temi in
esame sono fondamentali, la non partecipazione di massa è ancora più drammatica.
Parliamo dell'energia nucleare. Sorvolando
temporaneamente sul fatto che l'Italia si è
già espressa con un secco 'no' al nucleare in
un altro referendum negli anni 80, nessuno
ha notato che la notizia della situazione nella
centrale di Fukushima è sparita dai titoli dei
telegiornali? Nessuno ha notato che non si
parla più di quella che è stata considerata
una seconda Chernobyl? Ma come? Non le
ricordiamo più le conseguenze di quel disastro? Com'è la situazione lì? Chi ci informa
più? Il governo ha dichiarato che per ora
non si farà il nucleare in Italia. Un altro bel
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trucchetto per tranquillizzare la gente e dire
"ora che abbiamo fatto ‘sta cosa, non andate
a votare, tanto non serve più". Sarà, ma dato
che non mi fido, a votare ci vado e voto SI,
perché vorrei che in questo Paese si investisse in energia pulita e non in un'energia dannosa, potenzialmente pericolosissima e con
scorie che non si sa come smaltire, se non
magari illegalmente.
E che dire dell'acqua? Sono passate delle norme per privatizzarla, siamo chiamati a decidere se abrogarle. L'acqua. Stiamo parlando dell'acqua, non di una cosa di
poco conto. Parliamo dell'acqua! Se vogliamo che la gestione sia pubblica, tocca anche
in questo caso dire SI ai due quesiti a tema.
Sul legittimo impedimento, comunque la pensiate, votare è importante.
Non fosse altro per quel senso di responsabilità che gli abitanti di questo Paese stanno
sempre più perdendo.
È troppo facile, troppo comodo, dire che in Italia tutto fa
schifo, che va tutto storto e che
i politici pensano solo ai fatti
loro. Sarà anche vero, ma se
non facciamo la nostra parte,
siamo complici. Un popolo
che ama il suo Paese ne è responsabile. Il referendum è
uno strumento democratico.
Non gettiamolo alle ortiche,
utilizziamolo! La sovranità
appartiene al popolo. E questo
non sono io a dirlo, ma l'articolo 1, comma 2, della nostra
Costituzione, quella che è e deve rimanere
la base fondamentale della democrazia della
nostra nazione.☺
[email protected]
NELLA prima delle sue "Maximes
Morales" il duca di La Rochefoucauld
scrive che "L'amore per se stessi quando supera il limite diventa una perversa passione sia per chi ne è invaso sia
soprattutto per gli altri che egli vuole
render suoi soggetti distruggendone
l'indipendenza e trasformandola in
amore verso di lui. Se l'uomo affetto
da tale perversa passione si trova al
vertice della società, gli effetti che ne
derivano sono ancora più sconvolgenti
poiché ogni equilibrio tra le varie istituzioni viene distrutto ed ogni libertà
confiscata". Questa massima fu scritta
nel 1657.
nel palazzo
A Nord si è alzato un vento di
cambiamento che pone fine al ventennio
berlusconiano e apre una nuova stagione
politica. Un ex-parlamentare di Rifondazione
Comunista ha rischiato di vincere al primo
turno nella roccaforte del PDL, battendosi a
mani nude contro un sistema di potere vischioso e una Letizia Moratti che ha messo
sul piatto della campagna elettorale 20 milioni di euro. Torino ha eletto Fassino con ampio margine e anche a Bologna e in altre città
il centrosinistra ha vinto al primo turno. La
Lega Nord arretra e paga l’alleanza sempre
più imbarazzante con Silvio Berlusconi. La
base leghista è scossa dai comportamenti
indecenti del Cavaliere, non gradisce le crociate contro i Magistrati e boccia il mercato
del sottogoverno con logiche da basso impero che cozzano con le parole d’ordine del loro
movimento. Il PDL arranca ovunque e non
riesce a sfondare nemmeno a Napoli dove si
illudeva di sbaragliare gli avversari. L’Italia è
stanca delle eterne promesse sulle riforme
liberali, sull’abbassamento delle tasse, sul
rilancio degli investimenti, sull’apertura di
nuovi cantieri e su tante altre amenità sventolate da decenni, e che restano perennemente
nel libro dei sogni.
La realtà è diversa. Il “Sistema
Paese” non riparte come mostra la crescita
del nostro Prodotto Interno Lordo dell’1% a
fronte di un tendenziale che in Germania
sfiora un più 5%. Il taglio degli investimenti
sulla ricerca scientifica, sull’innovazione
tecnologica, sulla scuola e sull’università
minano alla base la competitività futura delle
nostre imprese. Il debito pubblico è aumentato e il disavanzo primario è cresciuto ai livelli
allarmanti del 1992-93 quando il Governo
Amato prima, e quello presieduto da Carlo
Azeglio Ciampi dopo, dovettero varare manovre pesantissime per evitare la bancarotta.
Il Governo non ha utilizzato questi
margini di indebitamento per realizzare infrastrutture, rilanciare l’edilizia e migliorare la
competitività del sistema produttivo. Al contrario i cantieri sono fermi e si assiste a progressive pose della prima pietra per le stesse
opere pubbliche con annunci ripetuti di natura meramente propagandistica. Le fasce medie scivolano verso un impoverimento progressivo. La casa resta un miraggio per le
giovani coppie e per i cittadini meno abbienti
che da decenni attendono politiche di sovvenzioni per l’edilizia convenzionata e popolare.
Curarsi, viaggiare e studiare costa sempre di
cambiare si deve
Michele Petraroia
più. Il lavoro si precarizza e il potere d’acquisto dei salari scende a livelli insopportabili
con un costante spostamento di ricchezza che
privilegia un’élite sempre più ristretta di notabili, professionisti, imprenditori e manager,
che dichiarano al fisco redditi risibili e invece
dispongono, tramite società prestanome, di
ville lussuose, barche e macchinoni che sembrano aeroplani. La giustizia sociale è stata
sepolta, l’uguaglianza dei cittadini è un palli-
do ricordo ottocentesco, le pari opportunità di
partenza tra territori e tra persone non sono
più perseguite, il divario tra Nord e Sud è
scomparso dall’agenda politica e gli unici
obiettivi pervicacemente sostenuti dall’asse
PDL-Lega Nord è l’asservimento della Magistratura al Governo, l’impunità dei potenti e
il federalismo degli egoismi che salva le valli
bergamasche e abbandona al declino l’osso
appenninico e le aree meridionali. Gli italiani
non ne possono più di un Governo che brucia
il futuro, ci umilia sul proscenio mondiale e
non è in grado di costruire una prospettiva
di benessere generale.
Il cambiamento stenta ad attecchire in Molise che è
sempre lento nel recepire i mutamenti politici nazionali. La greppia
di potere che tiene in
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ostaggio i molisani ha costruito una macchina
del consenso degna delle stagioni più oscure
della democrazia italiana. Nonostante il controllo scientifico dell’elettorato tramite gli
Enti di Sottogoverno regionale, il PDL è
riuscito a vincere grazie all’incestuosa alleanza col FLI dell’odiato Fini. Senza i consensi
di Pallante l’armata di De Matteis si sarebbe
fermata sotto la soglia del 50% e sarebbe
stato necessario il ballottaggio. Una vittoria a
metà, frutto della sapiente regia di un Michele
Iorio che rischia di rimanere disarcionato da
un decreto attuativo del federalismo che vieta
la ricandidatura ai governatori che hanno
causato i disavanzi nella sanità. Secondo la
legge del contrappasso l’unico leader italiano
del PDL che continua a vincere viene pensionato d’ufficio da un provvedimento del suo
partito. Il centrosinistra in una tale eventualità
non esclude la possibilità di moltiplicare le
sue incomprensibili divisioni per permettere
all’asse Di Giacomo-Patriciello di sconfiggere l’alleanza Vitagliano-Frattura.
Nell’auspicio che prima o poi prevalga il buonsenso e i dirigenti molisani del
centrosinistra aprano le finestre per far entrare
una ventata di aria fresca nel grigiore delle
loro stanze, è opportuno mobilitarsi con telefonate, incontri, messaggi e iniziative per
sostenere anche da lontano l’affermazione di
Giuliano Pisapia. Parteciperò direttamente ad
eventi promossi da giovani del Molise che
lavorano a Milano la prossima settimana con
la consapevolezza che non si svuota l’oceano
con un secchiello, ma si è partecipi di un
movimento di liberazione utile al futuro di
quella città e dell’Italia. ☺
[email protected]
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xx regione
voglia di politica
Cristina Muccilli
Per contingenze familiari, per
scelte di vita e convincimenti politici mi
sono sentita spesso un marziano.
Gli amici, chi per affetto, altri per
autentica adesione, hanno guardato o con
condiscendenza o con spirito solidale il mio
rifiuto al voto, rifiuto che pratico da circa
venti anni (eccezioni di rilievo i referendum
di qualche anno fa disertati dalla maggioranza degli italiani).
Da qualche giorno mi sento meno
isolata, da quando cioè i risultati delle elezioni provinciali hanno fatto rilevare un
dato importante: l'aumento di 5 punti percentuali dell'astensionismo. Siamo al 55,34% dei votanti, e l'altra metà? Possibile
che nessuno dei politici locali si interroghi
sui motivi determinanti questa così alta
defezione, possibile che la nostra sinistra (?)
- perché è innegabile che i voti mancanti
siano di quell'area - non comprenda che
l'astensione sia invece un voto pensato e
sofferto che (essa) non è più in grado di
raccogliere?
La stessa considerazione merita il
fenomeno crescente delle schede annullate
- più del 4% -, nulle solo ai fini del conteggio dei voti ma validissime per esprimere
dissenso; se così non fosse dovremmo ritenere che un sempre più considerevole numero di elettori è ignorante o tendente alla
follia.
Questa la premessa, vorrei invece
far partire la tesi da ciò che il professore
Novelli ha scritto su queste pagine “...e
negare alla Storia la sua stessa evoluzione,
il necessario germoglio delle condizioni
che assicurano lo svolgimento naturale
delle vicende individuali e collettive, prefi-
8
gurazione di un mondo fondato sulla condivisione dei destini comuni”. Ebbene questa
negazione arriva non solo dall'area politicamente e “fisiologicamente” indifferente ai
“destini comuni” ma anche da quella che
questi destini dovrebbe abbracciare, condividere e guidare. Parlo ovviamente della
sinistra indolente e traffichina, assente quasi
in toto (salvando le eccezioni che pure sono
valenti) dalla presa in carico dei bisogni dei
sempre più deboli, dei sempre più ai margini, dei sempre più inascoltati. Di quella
sinistra che non sa più rispondere perché
non le interessa elaborare e comprendere,
apatica e sperduta.
Mi rivolgo a tutti coloro che sono
diventati campioni di apnea pur di esprimere un voto, a quanti hanno abbassato la testa
e perso la voce all'interno del proprio partito, ai marziani che in tutti questi anni sono
stati guardati con sospetto e sufficienza e
persino a quei politici autenticamente interessati alle sorti comuni, e dico loro che
possiamo organizzarci, ora siamo tanti. Se
dismettiamo i nostri panni di vassalli, se
comprendiamo che il potere non è nelle
mani di chi non ci rappresenta ma in quelle
di chi non elegge, se torniamo a fare scelte
consapevoli, ad esercitare il nostro diritto al
controllo, a pretendere ascolto e tutela,
forse anche noi avremo altre possibilità di
crescita.
Il prossimo appuntamento è dato
dalle elezioni regionali, la proposta è questa: riuniamoci intorno ai bisogni e ai sogni
comuni (senza aspettare “fuoriuscite” e
“autoconvocazioni” risibili) ed elaboriamo
strategie che nascano da questi; diamoci
delle alternative convincenti e costituiamoci
come forza autonoma.
Potremmo lavorare
insieme, dal basso e in
maniera orizzontale,
potremmo imporci
come un movimento,
potremmo decidere di
esprimere consensi
mirati o un dissenso
organizzato e quindi
difficile da ignorare.
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Potremmo...
Molti anni fa viveva nel mio paese un signore il quale aveva deciso di estraniarsi dalla vita comunitaria fino a che i
suoi concittadini non avessero smesso di
esprimere sindaci (pochi in circa quaranta
anni) di esclusiva provenienza DC. Mantenne la sua condotta da esiliato fino ai
festeggiamenti per l'elezione del nostro
primo sindaco socialista, quando lo vedemmo arrivare con i suoi inseparabili cani e
l'imprescindibile pipa; ridendo abbracciò
tutti i presenti.
Questa potrebbe essere un'alternativa valida, per i cani non ho posto ma sono
parecchi anni che penso di sostituire alle
sigarette una pipa magistrale. ☺
[email protected]
vento del nord
Ulula il vento del Nord
come branco di lupi alla bufera.
Sulla spiaggia deserta
ondate gialle di rena
s’innalzano, ribollono
s’allungano, si frangono
in densa schiuma,
sospinta lontano.
Gocce sul viso si posano
scendono lievi
graffiano l’anima:
lacrime di disperati
senza nome né patria
ricchi solo di speranze e vigore
con negli occhi un porto
scelto per far fiorire un sogno
di libertà, di vita più umana.
Solo una bara di alghe han trovato
su freddi fondali d’un mare
lontano da case
da culle sospese tra rami
da braccia ricolme solo d’aria
e d’amore.
Nella notte nemica
senza luna né stelle
solo il tempo di leggere
l’atroce condanna
negli occhi feroci
di turpi mercanti.
Il loro lamento è ora nel vento
come nenia di schiavi in catene
nel buio di stive infestate,
diventa preghiera.
Norma Malacrida
xx regione
La desertificazione del Molise o la
morìa dei centri abitati non sono solo addebitabili al calo demografico, sono il risultato
di una mancata programmazione territoriale.
Le contestazioni mosse al POR 2007-2013
non erano strumentali, ma giorno per giorno
trovano, purtroppo, riscontro oggettivo. La
cosa ancor più grave è quella che nessuno si
è accorto degli investimenti programmati
sull’asse autostradale di collegamento Venafro-Termoli, né si è avuta contezza di altre
tipologie di sviluppo territoriale. L’unico
strumento che ha fatto qualche piccolo passo è quello legato al fondo sociale, che ha
dato un minimo di sostengo ai comuni per
le attività di assistenza, interventi di integrazione salariale. Ma anche questo segmento
non aveva, sin dall’inizio, una ampia ed
articolata strategia, per cui si è limitato a
piccole cose. La costituzione degli ambiti di
zona, tra l’altro, ha solo aggravato la spesa
di funzionamento senza dare le risposte che
i cittadini si attendevano. Tant’è che alle
reiterate richieste di diversi comuni che si
trovano in uno stato di enorme difficoltà
economica per le vicende legate agli affidi
dei minori a strutture autorizzate, quasi tutte
allocate fuori regione, la politica regionale
non ha saputo dare una risposta, se non
palliativi. La questione, che sembrerebbe
poca cosa, sta ponendo sul lastrico alcuni
comuni e finisce così di mettere in ginocchio il modello organizzativo molisano.
Da una parte mancano interventi
strutturali seri che possano invertire la tendenza al calo demografico che oggi è il
primo problema del Molise, dall’altra dobbiamo assistere a realizzazione di infrastrutture faraoniche e inutili. Alla già menzionata
palestra di Morrone, oggi dobbiamo aggiungere la piscina di San Giuliano di Puglia che
per funzionare ha bisogno di diverse centinaia di migliaia di euro l’anno. Per raggiungere un adeguato standard di funzionamento
necessiterebbe di un bacino a quattro cifre di
utenti. Dove sono? Dove li andiamo a prendere? E allora perché disperdere risorse
mortificando la comunità che è ai limiti
della sopravvivenza? Già paghiamo benzina
e gasolio più di tutti in Italia, riscaldarsi con
il metano nei piccoli centri è diventato un
lusso, ammalarsi è vietato perché i ticket
sono altissimi e il servizio sanitario pubblico
poco qualificato.
La riforma sanitaria doveva essere
attuata con molto anticipo ripensando ai
assenza di idee
servizi sul territorio e non solo ai primariati
da salvare; il piano di dimensionamento
scolastico non è un atto amministrativo, ma
una scelta politica impegnativa che deve
guardare al futuro dei nostri paesi e delle
nostre comunità.
I provvedimenti sul federalismo,
le norme varate lo scorso mese di luglio,
con il famigerato Decreto legge n. 78/2010,
hanno posto le premesse per far chiudere
diversi comuni della regione. Ci stiamo
prendendo in giro da soli: se non cambiamo
le condizioni sul piano governativo questa
regione rischia di scomparire nel breve volgere di qualche anno. Raccontare altre storie
significa dire bugie alla gente e agli amministratori locali che, però, non sono privi di
colpe. Gli Amministratori sono ancora in
tempo per rivedere la programmazione
regionale, dando il massimo sostegno alle
iniziative locali consorziate per rilanciare le
piccole attività artigianali, le attività commerciali, l’agricoltura di qualità.
Da poco il Molise ha avuto il
riconoscimento della Tintilia come vino
Doc: intorno a questo riconoscimento si
sarebbe già dovuto sviluppare un piano di
marketing territoriale e una campagna di
informazione e di investimenti molto forte
per cercare di aumentare la produzione,
preparando altri terreni alla coltivazione. E
intorno alla Tintilia costruire il polo di attrazione della tipicità molisana turistica ed
enogastronomica. Stupisce e meraviglia che
non sia iniziato il percorso per il riconosci-
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mento della DOP anche per la Pampanella.
Ma siamo al punto di partenza:
non c’è programmazione e non ci sono idee.
Noi però non vogliamo assistere
inermi all’agonia della Regione, per questo
chiamiamo a raccolta tutti quelli che hanno
voglia di impegnarsi e lavorare per il Molise
del futuro. Ai segretari dei partiti di centrosinistra chiediamo di uscire dalle loro sacrestie e di guardare alla società civile. Ci sono
tante persone, capaci e pulite, che potrebbero guidare la coalizione alle prossime elezioni regionali per una proposta politica alternativa a quella attuale. La società non ha
bisogno di candidati che siano “contro”
qualcuno, ma di persone che facciano proposte di governo diverse, molto coraggiose.
Il nome circolato in questo periodo, quello
di Paolo Di Laura Frattura è sicuramente
positivo, ma la sola vicinanza a Roberto
Ruta gli fa perdere tutta la credibilità che si è
conquistata come presidente della Camera
di Commercio.
Il mondo dell’associazionismo e
del volontariato invita a riflettere e a coinvolgere a qualsiasi titolo personaggi di spessore, non vincolati a tessere ma forti di idee,
capaci di fare scelte, che hanno dimostrato
di avere a cuore il bene comune quali Antonio Varrone, Leo Leone, Franco Novelli,
Enrico Colavita, Rossella Ferro, Lucio Francario, la stessa Micaela Fanelli che ha commesso un gravissimo errore nell’accettare la
candidatura alla presidenza della Provincia:
i volponi avevano il solo scopo di offuscare
un personaggio emergente.☺
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xx regione
cerco risposte
Gianni Mancino
Il quotidiano La Repubblica del 5
maggio scorso ha riportato una dichiarazione del Presidente Napolitano, titolata:
“Se non diventa affidabile la sinistra resterà all’opposizione”. Bersani c'è rimasto
male: “Il mio Pd lavora già sodo per l’iniziativa”, ha risposto. Avrà il motore che
gira a vuoto, mi verrebbe da dire.
Collego gli autorevoli pareri con
l’analisi fatta lo scorso numero de La Fonte, intitolata Voglia di perdere, sulla situazione di questa parte politica qui in Molise,
un quadro nel quale si può ben dire che “il
sonno della ragione genera mostri”.
Vediamo cosa accade: sanità e
aumento di tasse, ricostruzione postterremoto bloccata, aggressioni al territorio, con pale eoliche, centrali nucleari,
perforazioni marine, inquinamenti di terreni e di acque e conseguenti tumori in Basso
Molise. Non c’è da stare allegri! Chi è al
potere non amministra, ma spadroneggia,
come confermano anche le tante sentenze
del Tar, che condannano le iniziative di
chi “sgoverna”. Non si può non notare che
i ricorsi amministrativi non sono partiti
dall'opposizione in senso stretto, ma da
iniziative di singoli, realizzati per far risaltare l'inerzia o l'assenza di questo centrosinistra, più che per convincimento politico.
Perché tutto questo?
La situazione non nasce per caso,
quanto piuttosto dalla mancanza di spirito
critico, e di contrapposizione di una forza
all’altra. Mi sembra che quel che è venuto
meno al centrosinistra è il faro della cultura, lo stare in mezzo alla gente, che, infatti,
progressivamente, lo sta abbandonando.
L’errore è stato quello di trascurare punti
di riferimento validi, in nome di una finta
modernità, in realtà miopi scelte di individualisti.
Se, poi, questo modo di porsi ha
portato al tracollo, che fanno? Finché c’è
gente che li vota, resistono, sconfitta dopo
sconfitta, come dimostra la vicenda della
presunta candidatura del Presidente della
Camera di Commercio. Sponsorizzano
nomi a priori, fingendo svecchiamenti, ma
è divenuto un abbraccio mortale, vista
l’ecatombe elettorale a ripetizione.
Non che il centrodestra sia diverso, sia ben chiaro, solo che li c’è il padrone
unico.
La domanda è: “In questa situazione, l’onesto elettore di centrosinistra,
quello che rimpiange i Nenni, i Saragat, i
Pertini, i Berlinguer, cosa deve fare?”.
Secondo me l'unica è guardare altrove. Di
Pietro, con la sua Italia dei Valori, ha dato
solo una prima e troppo parziale risposta al
bisogno di cambiamento; non ho visto una
Via Marconi, 62/64
CAMPOBASSO
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innovazione profonda ed efficace, anche
loro sono rimasti impigliati nella solita
politica. Ci voleva più coraggio da parte
loro, secondo me.
Allora, cos'altro c’è di buono,
anche qui da noi? Alcuni eventi, quali la
lotta all’eolico selvaggio, e l’unione di
forze civili che ne è conseguita, questa
stessa testata, nella quale è possibile esprimere liberamente un pensiero, hanno fatto
intravedere come ci siano valide e buone
forze che ambiscono al bene comune, che
non è problema di stare di qua o di là. Mi
chiedo cosa impedisce a queste forze di
costituirsi in un organico e continuato disegno, invece di limitarsi ad eventi sporadici!
Tornando al “che fare”, l'unica
voce fuori dal coro al momento porta il
nome di Beppe Grillo e il suo movimento:
piaccia o meno, lui e il suo movimento ci
sono. Al suo nominare ho già visto mal di
pancia, inorridimenti, storcersi di nasi,
critiche violente, “l'antipolitica”. Come se
ciò che sta producendo la “politica ufficiale” fosse buono! Cito questo nome in maniera volutamente provocatoria. Mi sembra
finora non si sia per nulla parlato di lui, qui
da noi. Ma arriverà, prima o poi: ha propri
candidati a Vasto, per esempio. Se vogliamo continuare a mettere la polvere sotto il
tappeto, prego, ci si può accomodare. Già
il centrosinistra ha affermato di aver perso
il Piemonte per “colpa” di questo personaggio, con un mero ragionamento aritmetico (la Bresso + i voti di Grillo = più voti
di Cota), come se fosse assodato che quei
voti appartengono di diritto al centrosinistra: anche fosse, ha fatto di tutto per perderli!
E allora, chiedo, tolto lui, c’è
qualcosa di “nuovo-buono” in giro? Roberto Saviano? Di politica lui non ne fa.
Qualcuno mi risponda, per favore, gliene
sarò grato. Facciamo in fretta però, intanto
che s'aspetta un presunto rinnovamento del
centrosinistra, la realtà incombe.☺
[email protected]
legalità
cancellata una legge
vergognosa
Per oltre un
anno a Bonefro è stato
esposto uno striscione
con la scritta: io ospito i
clandestini. E tu? Oggettivamente dava fastidio: ai filogovernativi,
perché vi vedevano una
contestazione del governo che aveva fatto
approvare da un insulso
parlamento un’aberrante legge nota come
pacchetto sicurezza;
agli amanti del diritto,
perché era un invito alla
disobbedienza civile;
naturalmente a tutti quelli che ripongono
ancora fiducia nel presidente della Repubblica, perché contestava, neppure troppo
velatamente, la sua facilità di firma su tutto
ciò che il governo gli pone sulla scrivania;
dava fastidio addirittura anche a quelli che
Giovane, brava, scaltra e snella
il prezzo giusto è la Fanelli.
A chi ammicca, con chi parla e a chi sente
è candidata da pessima gente
Con Pallante amore a prima vista
ma da Di Pietro si mette in pista.
Il Terzo Polo o l’Italia dei Valori
per lei son tutte rose e fiori.
Fini ci crede, i centristi sono pronti
ecco che parte per altri fronti.
Tonino intuisce e non la inserisce
ecco il Fortore che la favorisce.
Tutti per uno, uno per tutti
coi sindaci naviga tra i tumulti.
Veltroni invia un Principe romano
per riverirla col baciamano.
E questi unisce il Gal, i Modem e Bruno
ma gira gira non c’è nessuno.
Si autoconvoca con Astore
il suo vecchio primo amore.
Compagni lottiamo per le primarie
ma capisce che non è aria.
Sfoglia sfoglia la margherita
e prende la bacchetta tra le dita.
Spinta dai comuni per Palazzo Magno
l’avevano voluto e
esposto in bell’evidenza perché è triste
dover mettere in
piazza una certezza
così scontata quale il
diritto inalienabile di
ogni persona ad esistere ed essere visibile senza che ciò sia
un reato.
Finalmente a fine aprile la corte
di giustizia europea ha reso giustizia a tutti
dichiarando che il reato di clandestinità,
inventato dalla Lega, non ha nessun fondamento giuridico e dunque non esiste. Anche se tardi - ci saremmo attesi, in verità, le
barricate quando entrò in vigore ai primi di
luglio del 2009 - il Vaticano ha così commentato, attraverso il presidente del pontificio consiglio per i migranti: la sentenza
“dimostra attenzione alla persona umana
anche quando si trova in una situazione
irregolare. Questa attenzione alla persona
è alla base della sollecitudine pastorale
della chiesa e della sua dottrina sociale”.
Una domanda: chi era nella legalità? Finalmente si è fatto chiarezza su una
legge vergognosa che aveva contribuito
unicamente al sovraffollamento carcerario.
Ora tutti devono sapere che l’irregolare è
una persona, non un criminale.☺
ode alla presidente
(mancata)
già si prepara al grande bagno.
Ecco improvviso una telefonata
e il lesto Roberto se l’è giuocata.
Mi immolo, mi batto e con voi lotto
e lascia Pallante tutto di botto.
Il cuore mi chiama ed è sempre rosso
ma Leva svelto la butta nel fosso.
La giostra si avvia tra monti e vallate
e lei si prepara alle scalate.
Gongola e strepita sorridente
e già attrezza la sua corrente.
La scuola è buona e di prima mano
di quel mastro Vitagliano.
Sinistra o destra scegli che vuoi
tanto non sono affari suoi.
La politica è un arte, da recitare a soggetto
che serve solo a salir sul tetto.
Il Governatore guarda sornione
e pregusta la vincita da vecchio volpone.
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La partita è truccata lo sanno anche i sassi
e Micaela si rompe le ossa.
Paga pedaggio per entrare in pista
ma cova vendetta bRuta e trista.
Con Massimo sagace e perspicace
si avvia una fase di lotta senza pace.
Giovani, giovanotti e signorine
meneranno fendenti con tanto teatrino.
Via i vecchi politicanti che son tutti dei
questuanti
è giunta l’ora dei briganti.
Ma in quel di Riccia c’è aria funesta
per l’incredibile batosta.
Sarà astuta, brillante e pure eloquente
ma non ha convinto la sua gente.
Che vuoi che sia, o la tua o la mia
e pure l’astuzia smarrisce la via.
Il Guappo
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libera molise
difendere la democrazia
Franco Novelli
Ci chiediamo spesso che significhi “Legalità” e cosa implichi per un cittadino rispettare le indicazioni sulla legalità.
La “legalità” è osservare le norme
e rimanere nel loro ambito. Si dice che la
violenza non è consentita, nessuno arbitrariamente deve ricorrere ad essa; si sostiene
che non si può rubare né usare violenza su
chicchessia; ciò viene affermato non certo
per prescrivere un limite alla propria personale libertà ma per consentire l’operatività
di uno strumento al quale ciascuno di noi
deve guardare con interesse, impegnandosi
a metterlo in pratica. La legge non viene
proposta perché un gruppo tenda a controllare altri gruppi, ma perché essa risulti utile
e necessaria per una condivisa convivenza
civile. In una comunità la legge è necessaria
e deve essere considerata un vincolo, un
imperativo categorico necessario per il bene
e l’utilità di tutti. E ciò anche quando una
norma potrebbe confliggere con i convincimenti personali. Una collettività, piccola o
grande, si dà una regola condivisa, la applica necessariamente per il vantaggio di tutti.
Una società social-comunista o liberalborghese assume la legge come limite e
controllo dei comportamenti individuali,
collettivi e di classe. Ci deve essere chi emana la legge (il Parlamento) e chi la fa rispettare (la Magistratura) e ciò deve applicarsi in
ogni tipo di società civile.
La “legalità” è il rispetto della
legge; al contrario, l’“illegalità” comporta
che il sistema delle leggi viene trascurato da
singoli individui (l’omicida; il ladro; il corruttore e il corrotto; etc.) o da gruppi legati
da interessi speculativi, illegali e di conseguenza malavitosi; infine, dal ceto sociale,
abbiente e borghese, che intende imporre un
regime totalitario, non democratico (per
esempio, attraverso il controllo feroce dei
mezzi di comunicazione o il ricatto immorale ed immotivato a danno dei lavoratori che
lottano per la propria dignità di uomini o per
la difesa dei diritti sindacali acquisiti in lunghi anni di lotta politica e civile). Gli strumenti di tale deriva di illegalità sono il danaro, e, di conseguenza, la corruzione posta a
modello esemplare di comportamento leci-
12
to. In questo caso, sia in uno stato socialcomunista che in uno liberal-borghese, l’illegalità è uguale e contrasta con i legittimi
interessi popolari, l’eguaglianza di tutti i
cittadini dinanzi alla legge e la punibilità di
tutti i rei.
Guantanamo, ad esempio, il gulag
sovietico siberiano, il conflitto armato nei
paesi del Vicino o del Medio Oriente
(Palestina - Libano - Iraq - Afganistan) sono
tutti illegittimi e illegali, espressione di una
forma di prepotenza del potere finanziario e
politico sulle fasce popolari e su quelle medio-borghesi. Ancora: il processo 7 Aprile,
anni fa, è risultato abnorme e alla lunga
illegittimo nonché violento nei confronti di
un lungo elenco di persone innocenti e delle
loro famiglie fragili ed indifese; il contratto
metalmeccanico nazionale del lavoro sospeso sostanzialmente da Confindustria esprime tutto il disagio sociale e i pericoli di
deriva democratica ai quali si sta andando
incontro in Italia, a causa della crisi economica e dei ricatti indigesti del ceto imprenditoriale.
Il comportamento di Confindustria, i cui soci applaudono il dirigente tedesco della Thyssen Krupp condannato a 16
anni di reclusione per la morte dei 6 operai a
Torino, è preoccupante, irriguardoso, volgare, offensivo della memoria dei deceduti sul
lavoro; i ricatti del dirigente Fiat Marchionne sono pretestuosi, arroganti e frutto di
irrisione degli accordi contrattuali che le
leggi dello stato debbono tutelare, così come
viene richiesto. È fuori di ogni logica giuridica la legge che il governo nazionale ha
emanato lo scorso anno e per la quale la
clandestinità è perseguita come reato penale: logica razzista e xenofoba per eccellenza!
Tutte queste forme di “illegalità” sono certamente la manifestazione della tensione “ad
delendum” di un potere coercitivo e antidemocratico.
Quindi, la legge è “imperium”,
obbligo, vincolo per imporre la convivenza
socialmente pacifica, il rispetto e la cultura
della solidarietà e della condivisione, forme
strumentali di una democrazia adulta e funzionante. L’obbligatorietà dell’ottemperanza
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alla legge per il cittadino qualunque o per
una comunità nazionale è fondamentale, se
si vuole la pace. Immanuel Kant sostiene
che la legge è sì coercitiva ma porta alla
cessazione di ogni forma di contrasti violenti e armati. Ci vuole la legge, ma perché essa
sia democratica e rispettosa di tutti e di tutte
le classi sociali, è assolutamente necessario
che i cittadini si attivino per la sua applicazione universalistica, come lo spirito delle
norme quando si asserisce che la legge è
uguale per tutti. La definizione oggettivamente più completa di “legalità” è quella
che alimenta la partecipazione democratica
dei cittadini e delle classi sociali alle vicende
del proprio Paese. Ora anche noi italiani
abbiamo il “libretto rosso” (come le guardie
della Rivoluzione maoista cinese degli Anni
Sessanta del XX secolo): è, senza infingimenti, la nostra Carta Costituzionale.
La rivoluzione, che oggi dobbiamo realizzare, è la minuta ed attenta applicazione delle norme della Costituzione, sulla
quale i Padri hanno scritto parole e concetti
“titanici” (soprattutto per i tempi che corrono!). Siamo in una fase storico-sociale in cui
è necessario fare quadrato attorno alla Costituzione e ai suoi “leggendari” articoli, per
non lasciarcela strappare dai ceti ricchi o da
qualche cialtrone che, come l’imbianchino
tedesco, è disposto a distruggere la nostra
democrazia, disprezzando quotidianamente
quanti esprimono un giudizio o un pensiero
alternativi al quadro politico attuale.
Difendere la democrazia, come
pure il diritto legittimo e costituzionale al
lavoro, forma essenziale per esprimere la
propria personalità e per non vivere da
schiavi, contrastare le ingiustizie sociali oggi
e i peregrini e volgari affondi contro la Costituzione è come fare la rivoluzione. Partecipare in prima persona alla dinamica delle
vicende del paese è questa la definizione
più precisa e coerente che si possa indicare
della “legalità”. ☺
[email protected]
sabbiature
città d’agrigento, l'ospedale
con le pareti di sabbia.
il direttore sanitario:
"è un toccasana per i
re u m a t i s m i " .
realtà locali
Mentre la destra molisana è in
tripudio per il completamento della filiera
che vede nelle sue grinfie la regione, le
città e ora le province, anche alcuni figuri
che si ostinano a rimanere nel centrosinistra, fino al totale azzeramento, cantano
vittoria. Roberto Ruta e i suoi accoliti,
infatti, hanno servito un altro favore a
Miche Iorio, che non riuscirà ricompensarli mai abbastanza, e la sinistra, sempre
più autolesionista, anziché fare una buona volta pulizia, cacciandoli a pedate e
inibendo loro anche solo di avvicinarsi
alle sedi, già progetta con i sinistrati
come riperdere alle prossime elezioni
regionali. Inizierà così il secondo ciclo di
sconfitte con un responsabile certo, anche se non unico.
Solo il geometra di Casacalenda, al di là delle apparenze, non sa più a
quale santo affidare il suo futuro politico.
Finora, legato a sant’Onofrio, era riuscito a mantenersi sempre a galla (nessun
riferimento, per carità, al materiale organico) saltando come la quaglia (non se la
prenda la Lipu per l’accostamento) da un
partito all’altro senza il benché minimo
scrupolo di schieramento. Lo guidava
una sola certezza: mai la seconda volta
con la stessa casacca; della serie: spremuto un limone bisogna cercarne un
altro. E c’è da dargli atto che almeno questi
progetti gli sono andati a gonfie vele. Sugli
altri prima o poi indagherà la magistratura.
Da quando, infaustamente, il
parroco di Casacalenda l’ha vincolato a
padre Pio, facendogli inaugurare un centro
a lui dedicato, sono iniziati anche gli infortuni. Sarà una casualità, ma il detto popolare non viene smentito: scherza con i fanti,
ma lascia stare i santi. Se cambiare padrone gli ha sempre portato bene, cambiare
protettore sembrerebbe proprio di no. Il
giardiniere, a cui ha affidato il paese, pensando che fosse il suo orto, sta saccheg-
il geometra di casacalenda
Antonio Di Lalla - Domenico D’Adamo
dalla polizia postale. Pensava di cavalcarlo,
ma quando un ronzino mena calci a destra
e a manca rischia di disarcionare anche
l’improvvisato cavallerizzo. Perché un
fatto è certo, la gente, e non solo quella per
bene, non ne può più. D’altronde quando si
scommette su un brocco per apparire migliore che cosa ci si può attendere?
Che cosa ti progetta, allora, il
geometra per le elezioni provinciali e controllare se è ancora il più leccato del reame? Fa indossare la sua attuale casacca a
un suo fido per vedere di nascosto l’effetto
che fa, come cantava Jannacci. No, tu no, è
stato il responso per niente soddisfacente
delle urne. E ora va alla ricerca di chi gli
spieghi se ce l’avevano con lui o con la sua
controfigura.
Troverà chi gli presta un’altra
livrea per novembre o, per la prima volta,
Grazie a dei buontemponi rinasce la crea- sfidando l’ira dei santi antagonisti, si ripresenterà con lo stesso simbolo e la stessa
tività a Casacalenda
e l’amministrazione comunale finalmente faccia? Ma soprattutto chi si nasconde
dentro il vestito del geometra di Casacalenha un degno monumento.
da?
Sul prossimo numero si inizierà a
svelare l’arcano. ☺
giando tutto il raccolto tanto che pare gli
finanzi i viaggi in
Canada pur di tenerlo
lontano il più possibile. Già condannato,
ora ci manca solo che
venga iscritto nel
registro degli indagati. Che era spregiudicato lo sapeva da
quando circolava il
sito “sticazzi.it” attenzionato
anche
CAMPOBASSO
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cultura
musica d’autore
Olga Sanese
Dalla zampogna alla musica classica, passando per Paolo Fresu: intervista al musicologo molisano Mario Evangelista
“Non ricordo bene quale sia stato il mio
primo incontro con la musica. Perchè in
realtà è questa la variabile (molto stabile!)
che da sempre accompagna la mia esistenza”. Inizia così il racconto del musicologo
Mario Evangelista, classe ’84, insegnante
di chitarra e critico musicale, nato e cresciuto a Campobasso ma che ora vive a
Firenze.
Com’è iniziata la tua “carriera”
musicale?
A dodici anni cominciai a giocare con la chitarra, senza sapere cosa fosse.
Da lì in poi è stata un’escalation di passione. Nell’adolescenza sono passato all’elettrica e durante il liceo scientifico (fatto per me - di classici latini, storia e filosofia
più che di matematica e fisica) facevo dei
mini tour tra Isernia e Campobasso che
raggiungevano proporzioni woodstockiane
(pubblico escluso).
Ma il grande passo avanti l’hai
fatto quando hai deciso di fare di questo
hobby una scelta di vita…
Sì, scegliendo di studiare Musicologia all’Università Firenze, dove ho
14
incontrato finalmente la musica classica,
soprattutto l’espressionismo tedesco, la
Seconda scuola di Vienna e poi le avanguardie post weberniane. La prima cosa
che ho portato da Campobasso all’Università è stata la mia chitarra e l’amplificatore, talmente grande da poter essere utilizzato come comodino-libreria. Il ricordo
più bello dell’Università sono le lezioni di
Armonia del prof. Franco Piperno: in due
ore potevamo parlare di tutto, dagli intrecci polifonici di Josquin De Prez alla psichedelia di Aoxomoxoa dei Grateful Dead,
fino ai recenti Coldplay (allora era appena
uscito il singolo Yellow). Nel frattempo,
facendo il pendolare, ho preso lezioni private di chitarra a Roma e poi a Milano
con Bebo Ferra, chitarrista del Devil
Quartet di Paolo Fresu.
E come te la cavi con la musica
molisana?
Nel 2005 ho deciso di acquistare
la mia prima zampogna e di approfondire
la musica della mia terra. Da allora tutti i
miei amici sanno che ogni Pasquetta o
Ferragosto dovranno sopportare un saltarello o una pastorale fuori stagione…
Dopo tanto studio, sei riuscito ad
inserirti nel mercato della musica?
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Oggi cerco di campare insegnando chitarra privatamente, suonando
in giro, scrivendo di musica su riviste specializzate sia di etnomusicologia che di
jazz… sperando così di arrivare alla pensione minima di mia nonna! La parte più
bella dell’insegnamento è lo scambio reciproco tra allievo e docente, in cui l’esperienza didattica si può trasformare in esperienza di vita. È sconcertante come insegnare sia in realtà una forma insospettabile di studio. Al momento, poi, sto correggendo le bozze di un mio libro sul compositore Sylvano Bussotti che è già atteso da
una casa editrice toscana. L’elaborato in
realtà è la mia tesi di laurea specialistica.
Prima o poi tornerai in Molise?
Ogni giorno penso ad un mio
ritorno in patria e sempre di più ciò mi
sembra una follia. Torno sempre volentieri
nella mia Terra, le sono affezionato, mi
manca quando sono via e, quando cerco
tranquillità, penso ai suoi luoghi incontaminati ed alla semplicità delle persone.
Purtroppo però credo che i tempi non
siano ancora maturi per poter essere musicista e musicologo in regione. Il Molise è
un posto eccezionale, il luogo ideale dove
nascere e crescere fino alla maturità... ma
poi? Spero che vengano tempi migliori in
cui cervelli e talenti molisani facciano
ritorno nella nostra terra. ☺
[email protected]
cultura
Un terremoto il movimento
avversativo de “L’infinito” di Leopardi:
di fronte una siepe che impedisce allo
sguardo la visione dell’orizzonte più lontano, “Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là da quella, e sovraumani
silenzi, e profondissima quiete”; quindi,
forza dell’ossimoro, il dolce naufragare
del poeta nel mare illimitato del pensiero
e delle sue concezioni fantastiche. Chiave
di volta dalle strettezze del reale alla
sconfinata vastità dell’oltre ideale, il verbo fingere: come Leopardi nessuno ha
esaltato l’immaginativa, facoltà unicamente umana, riscatto e salvezza dall’angustia dell’immanente e volano verso un
trascendente cui tutti ambiscono, quand’anche neghino.
È il quid della poesia tradurre la
materialità, fin la più greve e onusta, in
un pulviscolo aereo che si libra lieve, per
tornare al peso originario dopo averlo
deriso con volute ispirate e rivelatrici:
perciò sono poetici la Loreto impagliata
e il busto di Alfieri e le povere cose di
pessimo, de “L’Amica di Nonna Speranza”, e poetici sono i minimi atti, i poveri
strumenti umani avvinti alla catena della
necessità di cui scrive Vittorio Sereni.
Terra della poesia, della tensione all’infinito e della nostalgia, sorta di
infinità retroversa, sarebbe - per me è - il
Molise.
Il Molise, lande desolate e silenzio che dura chilometri, interrotto solo da
un frusciare di foglie o un cinguettio
d’uccelli; il Molise del vento libero di
ondeggiare; il Molise così aspro e selvaggio e straordinariamente naturale, monotono mai, maestà di monti e declivi sinuosi, coltivati a frutta e grano, più spesso coperti di boscaglia e faggeti o querceti; il Molise con le sue chiese romaniche,
torri di guardia numerose e discrete, di
una bellezza semplice e in tanto disarmante; il Molise di pietre muffite e vecchie imposte che affacciano su antri bui:
anche nella contemplazione di quegli
spiragli di un passato lontano l’immaginazione si dilata.
Il Molise dell’infinito: chissà,
potrebbe essere questa la tanto decantata
vocazione turistica della nostra regione,
lungi dall’informe aggregato di ipermercati, dalla cementificazione a grappolo,
dalla posa manieristica e snaturante di
l’infinito nel molise
Luciana Zingaro
prati all’inglese e recinti da fields.
Lo cerco ogni giorno l’infinito
nel Molise, mentre cammino specie; di
volta in volta ne trovo un pezzetto, l’essenziale per sollevare lo spirito; in occasioni speciali, poi, la ricerca si rivela più
fruttuosa. Così mi è capitato di recente, in
coincidenza di due eventi disparati: lo
spettacolo dei falò accesi in onore di San
Giorgio nel paese paterno, Mirabello
Sannitico, e la visita alla chiesa rupestre
di Santa Maria delle Grotte a Rocchetta al
Volturno, in provincia di Isernia.
A Mirabello, la festa per San
Giorgio, patrono del paese, si protrae per
una settimana ed è incorniciata dal rito
dei falò, accesi una prima volta la sera del
giorno sedici di aprile, una seconda volta
la sera della vigilia della festa vera e propria, il ventidue aprile. I falò, detti laure,
pire composte da ramoscelli d’ulivo o
stecchi e arbusti secchi, vengono allestiti
spontaneamente dai mirabellesi nel paese, nelle campagne circostanti e, in numero di tredici, lungo la strada che conduce
alla chiesa intitolata al santo patrono, la
badìa di San Giorgio, situata su di un
colle di fronte al paese. Stando all’interpretazione fornitane dall’antropologo
Mauro Gioielli, le laure avrebbero assolto in origine ad una triplice funzione di
purificazione, propiziazione, tutela; di
fatto i mirabellesi di ora vivono il rito dei
fuochi come un’opportunità di condivisione e gioia tra amici e parenti, e come
momento di raccoglimento e riflessione
fomentati dal calore del fuoco.
Quest’anno le laure le ho viste
da Ferrazzano, da un paio di chilometri di
distanza in linea d’aria e dall’alto, quindi:
le luci dei fuochi a puntellare il paese
sottostante e le sue contrade mi hanno
lasciato dentro il sapore buono della tradizione devota e della speranza; nel silenzio buio di Ferrazzano, al solito fresco e
ventilato, quel bagliore vivo e morbido
mi ha immerso nel magico incanto fuori
dal tempo che è per me l’infinito.
Stesso trasporto durante la visita
alla chiesa rupestre di Santa Maria delle
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Grotte, a Rocchetta al Volturno, questa
volta in diurno e in compagnia di un
gruppo nutrito di amici e conoscenti, tutti
guidati dall’architetto Franco Valente,
eccezionale conoscitore e divulgatore
della cultura archeologica e artistica del
Molise. Santa Maria delle Grotte è tra le
meraviglie misconosciute della nostra
regione: addossata ad una parete di roccia, non visibile dalla strada e raggiungibile solo tramite una rampa di scale intagliate nel terriccio, la chiesa, di origine
benedettina, emerge all’improvviso da
uno sfolgorio di verde vario coi suoi
blocchi robusti di travertino lievemente
rosato, ed è in quel luogo tanto ben inserita, accoccolata tra rupi e bosco, che, dopo
la prima sorpresa, pare quasi ovvio debba
trovarvisi, come nel suo habitat naturale.
La sovrapposizione di stili che caratterizza la chiesa, tanto per quel che riguarda
l‘aspetto architettonico-strutturale quanto
per quel che riguarda il profilo iconico e
pittorico, da una parte conferma la lunga
presenza e il funzionamento plurisecolare
di Santa Maria delle Grotte, dall’altra
rende problematici la ricostruzione della
storia del monumento ed il riconoscimento delle varie sue fasi di ampliamento e
ristrutturazione. Lo ha ben sottolineato la
nostra guida, nel mentre che ci esponeva
tutto lo scibile intorno alla chiesa.
Io, rapita da tanta bellezza, sono
stata felice di sapere, ma anche di sapere
di non poter sapere oltre: poco importa
l’esatta cognizione della realtà quando
cerchi l’evasione della fantasia e ne segui
lo slancio libertario; allora l’incompiuto,
la frattura non rimediabile, il punto di
oscurità sono anzi più funzionali.
Sempre Leopardi, nello Zibaldone, sosteneva che il poetico, in uno o in
altro modo, si trova sempre consistere
nel lontano, nell’indefinito, nel vago: per
quel che vale, ha tutto il mio appoggio.
A presto. ☺
[email protected]
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arte
chiesa dell’assunta in ripalimosani
Gaetano Jacobucci
La parrocchiale della Beata Vergine Assunta in Cielo è una ulteriore testimonianza del barocco molisano. Situata nel
centro dell’antico abitato nei pressi del castello, alla sommità di una gradinata costruita su tre profondi archi a tutto sesto, conferisce alla stessa uno spettacolare e suggestivo
aspetto scenografico. L’origine medievale
della costruzione è stata
cancellata dai terremoti
succedutisi in più eventi,
fino al rovinoso sisma
del 1805, che provocò
danni in seguito ai quali
dovette subire interventi
di restauro e consolidamento.
L’assetto progettuale del XVIII secolo fu realizzato dall’
architetto Nunzio Margiotta di Pescopennataro, la cui formazione
artistica risente dell’influenza partenopea; nel
1770 aveva curato la
ricostruzione della Parrocchiale di S. Martino
Vescovo di Campodipietra. Le due chiese
presentano molte analogie. La facciata è
tripartita da paraste e presenta un susseguirsi
di andamenti curvilinei. Balza alla vista il
virtuosismo della ricerca dei particolari
decorativi. Il portale centrale, sormontato da
un archivolto e dallo stemma del Comune di
Ripalimosani, è ricco di elementi ornamentali. Sul lato sinistro della chiesa s’innalza la
torre campanaria formata da quattro piani
divisi da trabeazioni e da cornici mistilinee,
mentre la cella campanaria, costruita negli
anni ottanta del XIX secolo, presenta una
struttura a pilastri a fasce verdi e gialle e
cupola maiolicata.
L’interno
La pianta della Chiesa è a tre navate. Nella navata destra si scorge l’altare
dell’Epifania in marmi policromi con decorazione di allegorie e motivi liturgici, sormontato da un dipinto di scuola napoletana
con l’Adorazione dei Magi. Gli altari della
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Madonna del Rosario e del Sacro Cuore,
ricchi di ornati settecenteschi, testimoniano
il gusto della bellezza e l’eleganza dei fregi.
Il pulpito in legno intagliato, sul secondo
pilastro sinistro della navata centrale, con
motivi floreali e drappi; un’aquila bicipite
dalle ali aperte, recante sul petto lo stemma
comunale. I confessionali e il coro sono di
pregevole fattura d’
intaglio, così anche
l’organo settecentesco
ricco di decorazioni con
puttini che fanno squillare le trombe.
La Sindone
Una copia della Sacra
Sindone è conservata
nella parrocchiale, dono
del Duca Carlo Emanuele I di Savoia a Giulio Cesare Riccardo,
Arcivescovo di Bari;
questi, a sua volta, la
donò al fratello Fabio,
feudatario di Ripalimosani. Successivamente il
duca Ottavio il 7 settembre 1807 fece dono alla
parrocchiale di Ripalimosani perché fosse
venerata dai fedeli. Il prezioso manufatto fu
esposto per la prima volta il 7 maggio 1899.
La Sindone di Ripalimosani è la
terza copia: la prima, donata alla Santa Sede, è conservata nella cappella del Guarini
nel Duomo di Torino. La cappella è posta
nella parte absidale del duomo a contatto
con il Palazzo Reale. Sul corpo cilindrico il
Guarini innestò tre pennacchi che reggono il
tamburo dove sei finestroni si alternano a
nicchie convesse. Di grande originalità il
coronamento a pagoda della cupola ottenuta
dalla progressiva diminuzione degli elementi concentrici utilizzati. Recentemente la
costruzione è stata pesantemente danneggiata da un incendio e la teca miracolosamente
salvata. La seconda copia fu eseguita al
tempo di Carlo V nel 1538 e la copia di
Ripalimosani, la terza, intorno al 1542 (cfr.
C. Carano Chiese del Molise,2004).☺
[email protected]
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Nel 1874, De Amicis si lascia andare ad
una severissima autocritica, che sembra
preannunciare con singolare lucidità
molti dei difetti tradizionalmente imputati alla sua opera più famosa: “Un manzonismo annacquato, senza coraggiose
affermazioni; [...] un tirar sempre al
cuore a tradimento, quando si dovrebbe
tirare alla testa”. Interessante soprattutto questa contrapposizione tra cuore e
testa: il primo luogo degli affetti più
facili e immediati, contrapposto ad una
razionalità rigorosa e impegnata a comprendere e interagire in modo responsabile con il mondo. Eppure, singolarmente, dodici anni dopo queste dichiarazioni
tanto severe, sarà proprio su questa medesima contrapposizione che De Amicis
costruirà Cuore, e fin dal titolo si evince
chiaramente quale delle due parti prenda
il sopravvento. E non si può certo dire
che il successo di Cuore fosse un risultato inaspettato: giornalista esperto, accorto conoscitore dei meccanismi sottesi
alla realtà sociale del suo tempo, De
Amicis era del tutto consapevole della
funzione che il suo libro avrebbe avuto.
L’autore sa che, a venticinque anni dalla
nascita del Regno d’Italia (il romanzo di
De Amicis risale infatti al 1886), un’impresa di unificazione nazionale attraverso un’opera letteraria, con la ricerca di
un linguaggio accessibile a tutti e di un
sistema di valori comune, facilmente
assimilabile ma nello stesso tempo in
grado di farsi carico di quella carica
ideale necessaria al costituirsi di una
nuova nazione, sarebbe stata un’operazione vincente.
Un’operazione che, con il suo esito straordinariamente positivo, potrebbe essere
paragonata al ruolo avuto dalla televisione nell’Italia del secondo dopoguerra.
Ma al di là dello sviluppo narrativo (un
romanzo sotto forma di diario, interrotto
da lettere dei genitori o delle sorelle,
nove racconti dettati dal maestro men-
il calabrone
cuore batti-cuore
Loredana Alberti
Sì, caro Enrico, lo studio ti è duro, come ti
dice tua madre, non ti vedo ancora andare
alla scuola con quell'animo risoluto e con
quel viso ridente, ch'io vorrei. Tu fai ancora il restìo. Ma senti: pensa un po' che
misera, spregevole cosa sarebbe la tua
giornata se tu non andassi a scuola! A
mani giunte, a capo a una settimana, domanderesti di ritornarci, roso dalla noia e
dalla vergogna, stomacato dei tuoi trastulli
e della tua esistenza. Tutti, tutti studiano.
La piccola vedetta lombarda. Racsilmente ad edificazione della scolaresca), tutto vive in superficie, i piccoli
protagonisti rimangono statici e perennemente uguali a se stessi, al ruolo particolare che a ciascuno di essi è stato affidato. Enrico, quieto eroe della medietas
borghese; Garrone, incarnazione della
bontà semplice e sincera del popolo;
Franti, il reietto, il peccatore, che solo
l’altrui generosità potrà salvare; si muovono in un teatrino di piccoli modelli di
vita, incarnano l’ideologia e i valori
della borghesia umbertina. È facile sottolineare i limiti e le ingenuità ideologiche che segnano quest’opera: come si è
visto, lo stesso De Amicis ne era consapevole e, d’altronde, egli diede prova
altrove di ben altre doti letterarie: si
pensi ai suoi numerosi reportage di
viaggi, o a uno scritto come Sull’oceano
(1899), forte denuncia delle terribili
condizioni di vita degli emigranti, che
testimonia chiaramente le convinzioni
socialiste maturate dallo scrittore. A ben
guardare, anche il registro patetico sentimentale adottato in Cuore nasceva dalla
volontà di agire sulla realtà, di cambiarla in meglio: anche se l’assunto di partenza era che il popolo semplice poteva
lavorare solo di sentimento, e non di
intelletto. Come Perboni alla sua scolaresca il primo giorno di scuola, così
pure De Amicis pareva esortare i lettori:
“Mostratemi che siete ragazzi di cuore”.
Quindi, parlare male di Cuore di Edmondo De Amicis è fin troppo facile:
alcuni esempi?
La scuola 28, venerdì
conto mensile 26, sabato
Dare la vita per il proprio paese, come il
ragazzo lombardo, è una grande virtù, ma
tu non trascurare le virtù piccole, figliuolo.
Questa mattina, camminando davanti a me
quando tornavamo dalla scuola, passasti
accanto a una povera, che teneva fra le
ginocchia un bambino stentato e smorto, e
che ti domandò l'elemosina. Tu la guardasti e non le desti nulla, e pure ci avevi dei
soldi in tasca. Senti, figliuolo. Non abituarti a passare indifferente davanti alla miseria che tende la mano, e tanto meno davanti a una madre che chiede un soldo per
il suo bambino. Pensa che forse quel bambino aveva fame! pensa allo strazio di
quella povera donna.
Il piccolo scrivano fiorentino.
Racconto mensile.
Gratitudine 31,
sabato
Il tuo compagno
Stardi non si lamenta mai del suo maestro, ne son certo. Il maestro era di
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malumore, era impaziente; - tu lo dici in
tono di risentimento. Pensa un po' quante
volte fai degli atti d'impazienza tu, e con
chi? con tuo padre e con tua madre, coi
quali la tua impazienza è un delitto. Ha
ben ragione il tuo maestro di essere qualche volta impaziente!
E se ci tornasse qualche dubbio sull’operazione de amicisiana e sulla fin troppo nota
rivalsa di “diario minimo” di Eco con il
suo elogio sui “franti” darei da regista innamorata del neo realismo rosselliniano (e
non solo) tre fotogrammi: 1) da “Roma
città aperta” dove Anna Magnani viene
uccisa davanti al figlio; 2) da “ladri di
biciclette” di De Sica dove il bambino
salva il padre maltrattato dopo il furto della
bicicletta; e soprattutto 3) da Germania
anno zero dove il volto drammatico, reale
e quasi snaturato del piccolo protagonista
che dell’angoscia vera, senza cuore in
mano, prima di compiere il tragico volo, si
guarda intorno con sperduto male di vivere.
Vi prego parliamo ricordandoci delle lezioni di questi maestri, di quei bambini di ieri
che anche oggi si sporgono ai davanzali
delle nostre menti senza stereotipi di sorta,
con un male di vivere che ci impone non la
melassa a tradimento del libro Cuore che
ci ha fatto piangere e sentire colpevoli ma
la contrattazione cuore-testa che il libro
Cuore non ha. ☺
[email protected]
17
did@mondo
la ricchezza della diversità
In questa rubrica - dedicata ai temi
della scuola e dell’educazione, con un occhio
speciale rivolto ai diritti umani e alla mondialità - dalla quale spesso ci piace lanciare qualche proposta didattica interessante e, talvolta,
innovativa nei contenuti e nei metodi, ospitiamo oggi un’esperienza svoltasi nel corso
dell’anno scolastico che sta per chiudersi: la
classe coinvolta è stata la 3E della scuola
secondaria di I grado dell’Istituto Comprensivo “G. Pallotta” di Bojano (CB) e il tema
prescelto è stato proprio quello dei diritti
umani, con particolare attenzione all’universo
della malattia e della disabilità. Lasciamo
parlare, dunque, direttamente Angela e Samira, a nome di tutti i compagni che, con loro
due, hanno condiviso quest’anno un cammino formativo importante, alla
scoperta di atteggiamenti pericolosi come il pregiudizio, ma
anche alla conquista di una
consapevolezza nuova: quella
che la diversità, anziché essere
un problema o una minaccia, è
una risorsa che ci fa tutti più
ricchi.
Il tema dei diritti
umani è uno dei più complessi
della società contemporanea e
la scuola è, per noi ragazzi, un
grande aiuto per comprenderne i diversi
aspetti, rifletterci su ed essere ben informati.
Proprio per questo motivo, con la
nostra classe, durante le ore di italiano, abbiamo realizzato quest’anno un progetto
riguardante questa delicata tematica. Partendo dalla lettura guidata della DUDU
(Dichiarazione Universale dei Diritti Umani
- 1948), esaminata anche attraverso un filmato, ci siamo occupati dei diritti di numerose categorie di persone, entrando nel concreto di situazioni molto diverse e problematiche: gli immigrati, i detenuti, le donne, i bambini, i senza fissa dimora (che noi abbiamo
sempre chiamato “barboni”), i lavoratori, i
malati, eccetera, toccando così anche numerosi problemi di stretta attualità: i respingimenti in Libia e la legislazione italiana sull’immigrazione (con l’aiuto degli operatori
della sezione di Campobasso di Amnesty
International), il caso Mirafiori, i genocidi
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classici e moderni (come quello dei Tutsi in
Rwanda), i Premi Nobel per la pace (come
quello proposto, nel 2011, per le donne africane), l’eutanasia. I metodi utilizzati sono
stati molto vari: dal libro di testo (la nostra
antologia, infatti, conteneva una sezione
ricchissima dedicata ai diritti umani e ci ha
fornito il filo del discorso), ad alcuni film (“Si
può fare” di Giulio Manfredonia e “Iqbal”
di Cinzia Torrini), dall’incontro con alcuni
esperti (gli operatori di Amnesty, appunto,
ma anche quelli dell’Associazione Italiana
Persone Down), al commento di alcune notizie di cronaca o di alcuni brani di approfondimento.
Il momento che, tuttavia, ci ha
coinvolto di più è stato quello in cui abbiamo
approfondito i diritti dei disabili e il cosiddetto “disagio psichico”, che colpisce persone
vittime di problemi mentali di diversa origine
e di diversa gravità. In classe, con i nostri
compagni, abbiamo dunque letto vari brani
sulle problematiche dei disabili, riflettendo
molto e confrontando le varie opinioni di
tutti. Grazie ad un paio di esperienze, poi,
abbiamo avuto la possibilità di immergerci
nella realtà di queste persone, tentando di
andare oltre le apparenze e i pregiudizi, per
comprendere quale fosse realmente la loro
vita quotidiana. Siamo andati, dunque, a
Campobasso, presso un centro diurno per
persone affette dalla sindrome di Down,
chiamato “Casa Nostra”, e presso la Cooperativa “Laboratorio Aperto”, che fa lavorare
persone che soffrono di disagio psichico,
dando loro l’opportunità di realizzarsi e di
essere economicamente indipendenti.
“Casa Nostra” ospita, dalla matti-
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na alle prime ore del pomeriggio, dei ragazzi
colpiti dalla sindrome di Down: essi vivono lì
dentro una vita assolutamente “normale”,
scrivono, dipingono, provvedono alla spesa e
alla pulizia del centro, ascoltano la musica e
giocano al karaoke, ballano, ma soprattutto ed è la cosa che ci ha colpito di più - riescono
a cucinare. Ultimamente stanno anche cominciando a pernottare lì nel weekend, dopo
aver passato il sabato sera insieme: in pizzeria, in discoteca, dove vogliono. In ogni azione sono accompagnati dagli operatori, pazientemente coordinati dalla signora Patrizia
che ci ha accolti, ma nessuno li sostituisce
nelle cose da fare. La casa è tutta decorata
da loro, che hanno scelto colori vivaci per
arredarla ed è molto accogliente.
Dopo aver visitato “Casa Nostra”,
ci siamo spostati presso la cooperativa
“Laboratorio Aperto”: qui, il presidente
Antonio Barrea ci ha mostrato come questi
ragazzi abbiano la capacità di
realizzare quadri, piccoli
gioielli e oggetti d’artigianato,
creando delle vere e proprie
opere d’arte: lavorare, ci ha
spiegato, li aiuta a recuperare
la fiducia e l’autostima, e a
diminuire le dosi di farmaci e i
ricoveri. È il sistema che suggeriva lo psichiatra Franco
Basaglia all’inizio degli anni
’80, quando la legge 180 appena approvata e a lui intitolata - chiuse i manicomi per far posto proprio a questo tipo di cooperative che valorizzano il malato e lo “curano” senza farmaci,
ma con la dignità del lavoro.
Non pensavamo che questo tipo di
persone potesse condurre un certo tipo di
vita e potesse rendersi davvero “utile” alla
società, in fondo pensavamo che i “malati”
vanno assistiti con cura ma senza una reale
possibilità di far fare loro grossi progressi:
invece abbiamo scoperto che non è così, che
hanno molto da dare, e molto in comune con
noi. Per giunta sono stati contenti di accoglierci e raccontarci quello che fanno, e non
sappiamo se per tutti è stato facile, quindi li
ringraziamo di cuore. Ora sappiamo qualcosa in più sulla vita di queste persone ma soprattutto abbiamo imparato a guardarli con
occhi diversi.
Angela Arena e Samira
Rochdi, per i ragazzi della 3E
visto e sentito
Chi si aspettava la classica pellicola anti-clericale, pronto ad eseguire
l’equazione Moretti=comunista=sparare a
zero sulla Chiesa, ci è rimasto male. Molto male. Habemus Papam è difatti un film
che prende solo a pretesto la situazione
del conclave, che si trova ad eleggere il
nuovo Papa, per rappresentare sul grande
schermo le paure, le ansie, il senso di inadeguatezza e di sconforto che sovente ci
assale quando ci troviamo di fronte ad
eventi e decisioni della nostra vita che
rappresentano una svolta.
Michel Piccoli, il personaggio
principale nel ruolo del Papa, è allo stesso
tempo un vecchietto smarrito di un'umanità straordinaria. Piccoli non è probabilmente l'uomo di cui tutti avrebbero bisogno, ma è troppo consapevole della realtà
che lo aspetta per poter davvero credere di
poter cambiare qualcosa. Non un vile, ma
un uomo lucidissimo, che in giorni di
potenti improvvisati, guidati da ambizione
incontrollata, ha il coraggio per fare un
passo indietro. La caratterizzazione marcata di questo personaggio rende perciò il
film di Moretti una vicenda umana sul
senso di responsabilità. Questo pontefice
diventato improvvisamente umano e privo di carisma che scende tra gli uomini,
ne condivide le tribolazioni (molto bella la
scena sull’autobus urbano) e cammina,
letteralmente, con loro, ha una sua forza e
bellezza. Il ruolo di Moretti nel film è
piuttosto dissacrante, come spesso è accaduto nella filmografia del regista romano.
Nelle vesti di psicologo, viene convocato
in Vaticano dai cardinali per convincere il
pontefice appena eletto a vincere la ritrosia che gli impedisce di accettare il suo
nuovo ruolo. Il progetto fallisce, il Papa
non vuole saperne e dopo una seduta effettuata presso lo studio della moglie di
Moretti (Margherita Buy), anch’essa psicologa, riesce a fuggire per le vie di Roma, vestito in abiti “borghesi”, da comune
cittadino.
Moretti però è trattenuto in Vaticano, in attesa che il Papa decida di rientrare, e riempie il suo tempo giocando a
scopone con i cardinali, organizzando tra
loro un torneo di pallavolo, e mettendone
in risalto i lati più umani, se vogliamo
infantili. Si sorride e si ride certo anche
delle loro debolezze ma sono e restano
delle persone. La parte morettiana ha in
habemus papam
Francesco de Lisio
questo un significato ed è quello di cambiare il registro al film, sdoppiandone
anche il cuore, facendo in modo che fosse
anche altrove (ovvero le vie di Roma, i
mezzi pubblici, un albergo) rispetto ai
luoghi deputati (Vaticano, piazza San
Pietro, televisione). Il palcoscenico altrove
rispetto al protagonista, il tirare fuori il
Papa dal Vaticano per metterne a nudo gli
aspetti più umani è un modo molto potente di raccontare, che ha fatto centro. Non
mancano richiami all’indimenticato Karol
Wojtyla (una certa passione per il teatro
che sarà determinante durante le scene
finali…).
Probabilmente con Habemus
Papam siamo di fronte al film più maturo
del regista, il Papa di Moretti si interroga e
ci interroga, laici e credenti. Il tributo di
applausi e consensi che la pellicola ha
avuto di recente al festival di Cannes,
riuscendo nell’incredibile intento di far
commuovere visibilmente Nanni Moretti,
è la conclusione più adatta, alla quale non
serve aggiungere altro, per rivederlo al
cinema oppure acquistare il dvd non appena sarà disponibile nei negozi specializzati. ☺
creatività
“Se avessimo una Fantastica, come una Logica, sarebbe scoperta l’arte di inventare”. In
questa frase, contenuta nei Frammenti del poeta Novalis, si imbatté un giorno Gianni Rodari,
maestro elementare, giornalista e soprattutto scrittore per ragazzi. Nacque così la famosa
Grammatica della fantasia, dove si parla di alcuni modi di inventare storie per i bambini e di
aiutare i bambini a fabbricarsi da soli le loro storie partendo dal così detto binomio fantastico:
una parola singola, scelta a caso, con la sua forza evocativa di immagini, ricordi, personaggi,
avvenimenti del passato, agisce quando incontra una seconda parola che la costringe ad uscire
dai binari dell’abitudine e a scoprirsi nuove capacità di significato.
Un libretto, questo, che può essere utile - come dice lui - a chi crede alla necessità che l’immaginazione abbia il suo posto nell’educazione; a chi ha fiducia nella creatività infantile; a
chi sa quale valore di liberazione possa avere la parola. Suo motto dal buon sapore democratico era: “Tutti gli usi della parola a tutti”, non perché tutti siano artisti, ma perché nessuno
sia schiavo.
Il processo creativo è insito nella natura umana e va quindi sviluppato in ogni persona (con
tutto quel che ne consegue di felicità di esprimersi e di giocare con la fantasia) affinché il
mondo possa cambiare gioiosamente e giocosamente. L’immaginazione, stimolata fin dall’infanzia, applicherà i suoi strumenti su tutti i tratti dell’esperienza: dalla matematica alla
musica, all’impegno politico, all’utopia ed aprirà il repertorio del potenziale, dell’ipotetico,
del possibile, dell’impossibile…, spingendoci a credere che il mondo possa continuare e diventare più umano.
Impariamo tutti a immaginare, ad essere visionari; se coltiviamo l’innocenza e la creatività
dentro l’esperienza quotidiana impareremo a vedere il Mondo in un granello di sabbia, / e un
Paradiso in un fiore selvatico, / racchiudere l’Infinito nella palma della mano, / e l’Eternità
in un’ora (W.Blake).
Carolina
[email protected]
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cristianità
la carta ecumenica
Giovanni Anziani
La Carta Ecumenica compie dieci
anni. Era infatti il 22 aprile 2001 quando a
Strasburgo gli allora presidenti della Conferenze delle chiese europee (KEK), il
metropolita ortodosso Jeremie, e del Consiglio delle Conferenze episcopali europee
(CCEE), il vescovo Miloslav Vlk, sottoscrissero il documento che indica le linee
guida dell’ecumenismo e
della cooperazione tra le
chiese del vecchio continente.
In un’epoca di anniversari, questo è passato nel
completo silenzio non solo
nei circuiti dei grandi mezzi
di comunicazione, ma anche
nella realtà delle chiese cristiane, almeno in Molise. Eppure la Carta
Ecumenica è un documento che incoraggia
e sfida le chiese. In taluni casi frutto di
compromessi tra posizioni diverse, la Carta
Ecumenica ha visto le tre famiglie confessionali cristiane del continente riconoscere
cose importantissime: il diritto di libertà
religiosa dei singoli e delle altre confessioni; il ripudio del nazionalismo e del razzismo; il riconoscimento di uno speciale
rapporto che lega i cristiani agli ebrei, e
l’importanza del dialogo con l’islam e le
alte religioni.
Il bollettino di notizie evangeliche
(NEV) della Federazione delle Chiese
evangeliche in Italia (FCEI) nel suo ultimo
numero ricorda in particolare che “In Italia
la Carta Ecumenica è stata l’argomento
del III Convegno ecumenico nazionale,
tenutosi nel giugno del 2006 a Terni e
coinciso con la seconda tappa della III
Assemblea ecumenica europea di Sibiu
20
(Romania). Il documento finale dell’incontro indicava nella Carta ecumenica “il
parametro delle relazioni reciproche” tra i
promotori del Convegno, cioè la FCEI, la
Commissione per l’ecumenismo e il dialogo della Conferenza episcopale italiana
(CEI) e la Sacra arcidiocesi ortodossa
d’Italia”.
Nata da una sollecitazione
della II Assemblea ecumenica europea (Graz, 1997),
stilata da una commissione
congiunta KEK-CCEE attraverso un’ampia consultazione con le chiese europee, la
Carta si divide in 3 capitoli e
12 punti che delineano gli
ambiti dell’impegno comune
per il dialogo e la collaborazione a tutti i
livelli della vita della chiesa, descrivendo
le responsabilità ecumeniche fondamentali.
Il primo capitolo, che confessa la
chiesa “una, santa, cattolica e apostolica”,
enuncia l’impegno a cercare una comprensione comune del messaggio di Cristo e
l’unità visibile della sua Chiesa.
Il secondo capitolo è dedicato alla
“comunione visibile” delle chiese in Europa, con gli impegni ad annunciare insieme
l’Evangelo della salvezza, ad operare insieme nella diaconia, a proteggere le minoranze, a pregare insieme, a continuare il
dialogo anche nelle materie etiche controverse.
Il terzo capitolo tratta della responsabilità delle chiese per la costruzione dell’Europa, per la riconciliazione di popoli e
culture.
Il testo infine riprende il tema della
salvaguardia del Creato, già messo in evi-
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denza dalle assemblee di Basilea e Graz, e
si chiude poi con tre brevi paragrafi sull’approfondimento del rapporto con gli ebrei, con i musulmani e con altre religioni
e visioni del mondo.
Più che celebrare una data, forse
può essere importante riprendere in mano
questa “Carta” come chiese cristiane in
Molise per riflettere sul cammino di credenti nell’unico Signore per comprendere
quale sia la responsabilità futura per i popoli dell’Europa.
Sapranno i credenti nel Principe
della Pace incontrarsi e insieme accettare le
sfide dell’Evangelo affinché questa Europa
sia un luogo ove uomini e donne di molte
nazioni si mettono in cammino per costruire un futuro di pace? ☺
[email protected]
Quattro stelle
Quattro stelle appuntate
al cielo del mio cortile
ritagliato da tetti e terrazzi,
cielo nero che incombe
su questo container
di silenzi ed ombre.
La sera è un vuoto quieto.
Guardo le stelle.
Hanno il freddo splendore
di astri irraggiungibili
indomabili,
seguono la logica
delle leggi eterne.
E noi, cellule infinitesimali
dell’Universo,
siamo le stelle cadenti
che si accendono, si spengono
in un baleno
come in un cielo d’agosto.
Lina D’Incecco
terzo settore
“So che abbiamo appena iniziato
ad apprendere che gli uomini possono
davvero imparare solo se vogliono ricercare e sanno ricercare insieme”. Il pensiero di Danilo Dolci, grande testimone dell’azione nonviolenta, orientata all’im- pegno
sociale a sostegno dei più deboli, ci può
essere di stimolo nel rilanciare un cammino di proposte che non si arenano davanti
ad eventi che turbano la storia dei nostri
giorni come è sempre accaduto anche in
passato. Triestino di nascita, scende in
Sicilia per costruire insieme a bambini,
maestri, famiglie e contadini una società
aperta ad un futuro diverso. Erano gli anni
’50-’60 ed ebbe modo così di scoprire i
mali di una regione dal passato di grande
rilievo culturale e politico. E non si arrese
neppure di fronte alla scoperta del fenomeno mafia! Un modello che occorre rilanciare oggi, di fronte a politiche di stampo
leghista, chiuse al rapporto con gli stranieri
al punto da organizzare rastrellamenti per
respingerli nel paese di provenienza.
Esordire con esempi di tal fatta
può e deve incoraggiare chiunque ha volontà di intraprendere sentieri nuovi di
fronte al diffondersi di una cultura malata
di rancore e di un vezzo quotidiano di confliggere ad ogni costo e da qualsiasi postazione.
Per questo riprendiamo un discorso che sulla Fonte ha trovato già ampi
spazi di accoglienza.
Forse non è male che in un clima
elettorale, che ci vede coinvolti fino all’autunno, ci si ponga in atteggiamento di lettura accorta e di posizione equilibrata e consapevole in momenti in cui i rischi in cui si
incorre sono sostanzialmente due: inebriarsi nel frastuono elettorale… o ricorrere
alla soluzione di astenersi dal partecipare.
Qualcuno, utilizzando una categoria gramsciana, ha contrassegnato la
storia italiana del momento che stiamo
attraversando e all’aria che si respira sul
territorio con questo giudizio: “l’egemonia
culturale, oggi, è detenuta dalla comunità
del rancore”.
È una opinione diffusa tra esperti
sul tema “comunità” e trova ampie testimonianze quotidiane a conferma dell’analisi citata. I più “insigni” testimoni del rancore diffuso sono i politici che infestano le
trasmissioni televisive e, giorno dopo giorno, forniscono al popolo italiano, e penso
insieme per costruire
Leo Leone
in particolare alle giovani generazioni,
modelli inauditi di indisciplina nel parlare
che nulla ha a che vedere con la politica
intesa come spazio assegnato alla individuazione e al perseguimento del bene comune.
Salta fuori ormai la conferma che
il territorio è orfano di politica, in quanto
su di esso ricade il pessimo frutto di un
conflitto tra le parti alle prese con questioni
che riguardano soprattutto la salvaguardia
di interessi di casta, per cui molti territori
ristretti o frammentati rischiano la deserti-
pio di sussidiarietà”. Così si pronuncia
l’art. 118 della Costituzione che ciascun
cittadino deve difendere e applicare nell’interloquire con i politici, non solo, ma
anche nell’assumersi le responsabilità di
operare per cambiare il clima di dissidio
diffuso che ci circonda. Occorre allora
costituirsi come agenti civili che ripongano
il territorio al centro della politica e recuperino la dimensione di attivismo sociale
contro la malattia diffusa della delega o,
peggio, della rassegnazione all’esistente.
La questione riguarda anche tutto
il mondo dell’associazionismo di terzo
settore che da tanti esperti è ritenuto spazio
di fermento per rilanciare una cultura del
dialogo e della reciprocità emarginata da
pessimi esempi maturati all’interno di comuni e territori infestati dalle teorie malsane della Lega.
Una politica che sale dal basso
può giovare a chi governa e a chi è governato. Occorre rilanciare la cultura del dialogo che può unire anche soggetti dalle
opinioni diverse su molti aspetti che non
impediscono, comunque, l’incontro sulle
sfide che riguardano il bene comune. Riscopriamo i luoghi per coglierne le risorse
e i bisogni emergenti e su di essi rilanciamo la ricerca, l’intraprendenza, la cooperazione estesa a soggetti singoli e gruppi che
si fanno carico di tradurre in azione quel
passo della Costituzione che rilancia il
principio, spesso occultato, che assegna la
sovranità al popolo. Ed è contenuto nel
primo articolo della Costituzione. ☺
ficazione. Tale esito è ancor più accentuato
dal fenomeno della globalizzazione che ha
fatto chiudere piccole aziende e attività
lavorative in molti settori. E i giovani soprattutto ne pagano i prezzi più alti.
Riprendere il sentiero della proposta, anche in terra molisana!
[email protected]
Ci incoraggia un tratto della costituzione italiana di cui poco si parla e che
non sta molto a cuore
della politica: “Stato,
Regioni, Città metropolitane, Province,
Comuni favoriscono
l’autonoma iniziativa
di Salvatore Angela
dei cittadini, singoli e
tel. 0874 732384
associati, per lo svolgimento di attività di
Via XX settembre 185
interesse generale,
BONEFRO
sulla base del princi-
Ferramenta - casalinghi
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pillole di lupo
terra mia: la tentazione
Z’ Vassilucc’e
"Adesso tutti vogliono difendere la
mia terra ed il mio mare!" bofonchiò il vecchio pescatore, mentre sulla banchina del
porto una folla di manifestanti si era radunata
per una cosa con un nome strano: no oil day.
C'è pure il cantante, il bolognese, quello che
ha la villa alle isole Tremiti. Allora è sicuramente una cosa seria! disse ad alta voce quel
vecchio, mettendo in mostra, con una bella
risata, i pochi denti rimastigli.
Il Popolo, in verità tolti i politici
pagati, quelli aspiranti a farsi pagare del Popolo delle Libertà-del Popolo Democraticodel popolo della protesta-di quello dei Valori,
le coccarde, i gonfaloni, le forze dell'ordine...
appariva piuttosto assente; era, invece, piuttosto presente, rumoroso, entusiasta e senza
regole alla festa del 18° scudetto di quella
squadra di Milano che gioca a pallone, inquinando di "tifo" tutte le strade del paese! quel
giocatore grintoso e "terrone DOC", in televisione lo ha detto candidamente: con un Presidente che ci mette i soldi, si può vincere tutto!
e... di soldi si tratta.
Quella del vecchio che bofonchia,
naturalmente, è una memoria dei tempi andati, quando era ancora possibile salvare il pianeta Terra ed i suoi Abitanti, animali compresi, dallo sfruttamento di tutto e di tutti. Allora,
nei "luoghi" della cultura, si parlava di colonialismo, imperialismo, capitalismo, comunismo, liberismo... codici di lettura dell'ordine
della società. Si pensava che le regole vecchie
e nuove di altrettanti poteri, avrebbero consentito di "liberare" abitanti e pianeta dalla
distruzione. Poi sono accaduti eventi che
hanno "obliato" speranze e nuovi poteri. Le
ideologie hanno lasciato il passo ai conti e
alla pianificazione dei rendiconti. Così, destre, centri e sinistre si sono alternate a ristabi-
22
lire la razionalizzazione dei bilanci pubblici,
tranne quello dei nuovi Re, satrapi e satrapini.
Nel privato, poi, il singolo cittadino, con il
denaro raccolto qua e là, si concede quanto il
denaro permette. Con il denaro puoi fare
tutto: sicuramente non fa la felicità, ma certamente fa la differenza, diventa il nuovo slogan rivoluzionario. Quel popolo, ormai assente nelle progettualità del futuro, compra la
macchina e butta fuori dal finestrino di tutto e
di più; va a lavorare sui pescherecci e butta a
mare di tutto; fuma la sigaretta e butta la cicca
dovunque si trova... ma, siete mai stati alle
Tremiti? Barche di tutte le dimensioni inquinano mare ed ambiente! Pendolari delle vacanze e vacanzieri DOC scaricano e lasciano
sull'isola di tutto e di più! Ma, siete mai saliti
sul Gran Sasso? L'ultima volta, qualche mese
fa, prima che la neve rendesse impervia e
pericolosa l'ascesa al Vecchio Vegliardo
d'Abruzzo, sulla cima ho raccolto una busta
(!) di cicche. Salite sul monte Patalecchia,
quello di Castel Petroso, sopra il santuario,
dove ci sono i ripetitori, e guardate sotto la
cima: hanno buttato giù di tutto e di più! L'Adriatico è un pezzetto di un bacino d'acqua
dove transitano giornalmente centinaia di
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mezzi che utilizzano "oil" e piattaforme ne
esistono già e da tempo. Agli operai della
FIAT hanno sottoposto un referendum della
serie se vuoi lavorare, firma; ai cittadini del
mondo e di quel piccolo pezzo di mondo che
si chiama Tremiti, qualcuno della corte, amico di quelli arraffati sulla banchina del porto,
ha comunicato è necessario trivellare, perchè
altrimenti la tua macchina si ferma. La logica
è quella di ieri: tale e quale! ... anche l'aspirante ricco, se avesse "azioni" in quella SpA, si
meraviglierebbe che qualcuno osa opporsi:
"Ma non dobbiamo fare soldi? E poi, in Africa sì e qui no? Perché?".
Ho cercato risposte, ho coltivato
speranze, ho scelto di lavorare con i
"lavoratori del forse" e non ho mai abbandonato, nonostante le scelte differenti, la raccomandazione suggeritami da un amico caro:
"Quando sei stanco e confuso, sali sui monti
e guarda in alto: digita al Cielo le tue coordinate, avrai le risposte che cerchi"... ed il Vento portò un Suo messaggio: ...Di nuovo il
Tentatore lo condusse con sé sopra un monte
altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo
con la loro gloria e gli disse: «Tutte queste
cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai». Ma... (Mt 4,8-11).
"Forse"...senz'altro in quel "ma" c'è
una decisiva, ferma, chiara risposta: in assenza di un "Oltre significativo", gli Adamo ed il
Popolo deresponsabilizzati democraticamente, abbandonati ad ascoltare scribi, farisei e
dottori della legge e della politica, distratti
dalle omissioni di questi, raccolgono frutti
proibiti e adorano il vitello d'oro. Abbandonati negli scaffali impolverati le ideologie, le
religioni, le regole, i sogni... siamo diventati,
un pò tutti, prezzolati del potere e del denaro:
"forse" è ancora tempo di deserto, di scelte
coraggiose condivise, di un'economia solidale e... di un Popolo nuovo che cacci dal Tempio i mercanti! ☺
[email protected]
ambiente
Amici de La fonte, è con grande
gioia che vi aggiorno sul viaggio in Italia
di mons. Luis Infanti de la Mora, vescovo
nella Patagonia cilena ove l’Enel vuole
costruire megacentrali idroelettriche, sottraendo l’acqua alla popolazione locale,
per trasportare l’energia elettrica lontano.
Per questo motivo egli ha scritto la lettera
pastorale “dacci oggi la nostra acqua quotidiana” che è una forte denuncia della
privatizzazione dell’acqua bene comune.
Le tappe sono state: Pescara,
Termoli, Anguillara, Roma (convegno
ecumenico), Reggio Emilia, Finale Ligure,
Napoli, Foggia, Torremaggiore, Fano,
Ferrara, Cremona, Pinerolo, Padova, Verona e Firenze. Ottima la partecipazione, non
in termini numerici (da 40 persone ad un
max di 200) ma di qualità.
I temi affrontati sono: "le chiese e
l'acqua, diritti umani e privatizzazione dei
beni comuni", "verso i referendum, i beni
comuni riscrivono la democrazia". Molto
interessanti gli spunti di riflessione ed i
collegamenti con la campagna referendaria
non solo per l'acqua bene comune, ma
anche sul tema dell’energia nucleare. Ottime le accoglienze, vivaci e resistenti le
realtà in lotta. Sembra che questa battaglia
abbia davvero risvegliato il desiderio di
unirsi al di là di ogni confine o muro di
separazione. Come giustamente ha fatto
notare Luis Infanti: "la realtà non è casuale. Siamo di fronte non più ad un epoca in
cambiamento, ma ad un cambiamento
d'epoca”. Essa è caratterizzata da forte
instabilità e da strutture di potere che escludono i popoli, le culture, le persone più
vulnerabili (non solo poveri, ma veri e
propri esclusi). Inoltre i poteri forti comprano il potere governativo e legislativo,
quando non anche quello giudiziario, piegando la volontà popolare ad interessi di
grandi soggetti economici che senza scrupoli sottraggono beni e risorse senza alcun
rispetto per le popolazioni locali.
In questo contesto si inserisce la
crisi ecologica con conflitti potenziali o
reali causati dalla necessità di approvvigionarsi di riserve e di fonti di energia che
sono esauribili e che vengono spacciate per
inesauribili. Le energie di morte (petrolio,
carbone, gas e nucleare) sono nelle mani di
veri e propri monopoli. La casa comune (terra, acqua, aria e sole-luce) viene
aggredita ed i più vulnerabili non hanno la
acqua quotidiana
Antonio De Lellis
capacità di reagire. Luis Infanti propone
una visione del mondo Ecocentrica, che
supera quella antropocentrica, con l'uomo
al centro e tutto al suo servizio (propria
della tradizione della Chiesa), e quella
cosmocentrica (il cosmo al centro e tutto in
sua funzione con un ruolo dell'uomo residuale). Ognuna di queste due logiche è
escludente e figlia di una narrazione di
eliminazione dei problemi a partire dal chi
crea problemi ("non possiamo eliminare la
povertà, eliminiamo i poveri").
La visione Ecocentrica parte
dalla considerazione che la Terra è di Dio
e che tutto è stato creato affinché raggiunga la pienezza (persone, piante, animali).
Abbiamo tutti bisogno di una conversione
ecologica (nuova cultura, sobrietà e comunione da sostituire all'aggressività). Buona
resistenza! restiamo umani.
Notizie dal Cile
La Commissione ambientale della regione
meridionale dell’Aysen ha approvato con
undici voti a favore e uno contrario il progetto “HidroAysen”, che prevede la costruzione di cinque dighe sui fiumi Pascua e
Baker, nella Patagonia cilena. L’energia
prodotta dagli impianti idroelettrici, per un
totale di 2.750 megawatt, dovrebbe poi
essere trasportata a 2.300 chilometri di
distanza, verso Santiago del Cile e il suo
distretto industriale, tramite una linea di
trasmissione composta da seimila torri alte
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70 metri che attraverserà nove regioni, sei
parchi nazionali e 67 comuni e che nei
prossimi mesi dovrà passare al vaglio delle
competenti autorità ambientali.
“Enorme delusione” è stata espressa dalla
Campagna italiana Patagonia senza Dighe, una delle numerose organizzazioni
internazionali riunite nel Consiglio di difesa della Patagonia cilena, da mesi impegnata in un’opera di sensibilizzazione sul
controverso progetto. Le organizzazioni
denunciano l’impatto ambientale delle
dighe, che una volta realizzate sommergeranno ben 5.600 ettari di un raro ecosistema forestale, con impatti socio-ambientali
enormi per una delle aree di maggior pregio naturalistico del Pianeta.
Inoltre il Consiglio di difesa della Patagonia cilena denuncia “interessi nascosti”
dietro l’obiettivo pubblicamente dichiarato
di fornire energia ‘verde’, in un paese che
potrebbe ricavare energia dall’oceano e dal
sole con maggior facilità. Sono prevalentemente interessi economici, secondo il Consiglio, a motivare la costruzione delle dighe. L’italiana Enel è capofila del progetto
“HidroAysen”, tramite la sua controllata
Endesa. L’Enel controlla già i diritti dell’acqua dei fiumi del sud del Cile sulla base
di leggi risalenti al periodo della dittatura
di Augusto Pinochet. Da mesi è in corso
una mobilitazione popolare per recuperare
questi diritti a favore della popolazione
cilena. ☺
[email protected]
nuovi lettori crescono
Auguri a Carmen ed Enzo che hanno dato alla luce Francesco. Il riscatto del Molise è iniziato: come
primo gesto ha mostrato il pugno
chiuso.
***
Al primo compleanno facciamo gli
auguri a Rossana e a Sebastiano
per la loro passione per la vita e ai
genitori Tina e Pietro che con amore e abnegazione si prendono cura
di loro.
23
ambiente
quattro sì
Angela Damiano
Nelle ultime settimane le hanno
provate di tutte per boicottare i Referendum
e confondere il popolo italiano: ma i Referendum si faranno, è legittimo e BISOGNA
ANDARE A VOTARE CON 4 SI! Non credete a tutte le fandonie che sentite o leggete.
VENITE A VOTARE!
Per dire NO dobbiamo barrare quattro SI
di cui 3 sono sull’ambiente: 2 SI sono contro la Privatizzazione dell’ACQUA e 1 SI è
contro il ritorno del Nucleare in Italia!
Perché è importante raggiungere
il quorum? Perché il referendum è l’unica
possibilità per far capire cosa vogliamo a chi
ci governa! Chi non vota al referendum oltre
a non meritare l’appellativo di cittadino,
perché di fatto non svolge il suo dovere, non
potrà lamentarsi poi se la Centrale nucleare
gli è sorta sotto casa, se mangia cibo radioattivo, se aumentano i malati di cancro, se la
bolletta dell’acqua è più salata, se oltre alla
luce poi gli tagliano anche l’acqua, se deve
pagare perché nella sua proprietà c’è un
pozzo o una sorgente, se ha sete ma deve
pagare per bere, se sono stati spesi dei soldi
per il referendum, se… e tanti altri se. È un
dovere di ciascun cittadino andare al referendum anche per tutti quelli che non possono votare e che un giorno ci potranno chiedere: tu cosa hai fatto quel giorno? Hai votato SI? I nostri SI li dobbiamo anche alle
generazioni future!
ACQUA. È stato detto e scritto
molto da noi e da altri ma non è mai abbastanza per informare su questo bene così
prezioso, indispensabile alla vita ed esauribile, sì l’acqua potabile può non esserlo più
se continuiamo con questa gestione insostenibile nel mondo ma anche in Italia dove il
24
Molise, ricordiamo, è la regione che possiede un acquedotto “colabrodo” con oltre il
60% delle perdite di acqua prima che questa
arrivi al rubinetto.
L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha dichiarato il 2005-2015
“Decennio Internazionale dell’Acqua”
durante il quale si ci deve impegnare al fine
di garantire a tutti gli esseri umani e alle
generazioni future l’accesso dell’acqua.
L’Italia non può rispondere con la PRIVATIZZAZIONE! L’ACQUA: è un bene comune dell’umanità, un diritto di tutti gli
esseri viventi. Il Diritto dell’acqua ancora
non c’è e nemmeno la garanzia di una gestione equa, solidale e sostenibile. Di recente ho avuto modo di leggere il libro “Acqua
il consumo in Italia” di Fabrizio Martire e
Roberto Tiberi che vorrei riassumere citando alcuni dei dati Istat (anno 2003) più importanti, a mio modesto parere. I dati mostrano come la disponibilità del servizio di
acqua potabile in Italia sembra garantita al
98,9% dei cittadini mentre se si valuta l’irregolarità della sua erogazione scopriamo che
la media nazionale è pari al 17% mentre
supera il 31% per le famiglie che vivono in
Sardegna, Sicilia (il 41%) e Calabria (43%).
In poche parole 1/5 dei residenti non usufruiscono di una erogazione continua di
acqua potabile. Nello stesso anno il consumo medio nazionale di acqua potabile per
uso domestico è stato di circa 72 metri cubi
per abitante anche se questo dato oscilla con
l’irregolarità dell’erogazione, come è facile
presupporre. Ma l’acqua potabile che esce
dai rubinetti è davvero tale? Il 40,2% degli
italiani non si fida dell’acqua che esce dal
proprio rubinetto! Eppure, nello stesso anno,
il contenuto dei nitrati è stato di 9,4 mg/l
(media nazionale) che
si trova al di sotto
della soglia massima
consentita che è 50
mg/l che non viene
superata nemmeno
dal picco massimo
trovato in Sicilia (24
mg/l) mentre alcune
regioni non superano
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nemmeno il valore guida di 5mg/l: Basilicata (2,4), Molise (2,5) e Abruzzo (2,6), Marche (4,8) e Calabria (4,9). Anche se i nitrati
non sono l’unico valore di cui tenere conto.
Esistono infatti circa una ventina di sostanze
tossiche che vengono analizzate se si tratta
di acqua potabile che esce dai rubinetti mentre non vi è l’obbligo di indicazione in etichetta per quella minerale imbottigliata che
risulta essere così “non potabilizzata” .
Un’analisi in laboratorio con i
parametri dell’acqua di casa dichiarerebbe
“non potabile” molte delle acque in bottiglia, infatti passando dal rubinetto alla bottiglia, alcune sostanze possono essere superiori 5 volte come l’arsenico o 40 volte come il manganese. Eppure l’87,5% degli
intervistati dichiara di consumare acqua
minerale e per il 73,2% è l’unica acqua che
bevono. Così l’acqua potabile viene utilizzata per usi diversi dall’abbeveraggio e allora
ci chiediamo anche noi perché in Italia si
permette questo spreco di risorsa preziosa?
Quanto è sostenibile tutto ciò? Non è quindi
opportuno differenziare l’uso dell’acqua
visto che poi l’acqua potabile viene utilizzata anche in agricoltura e nell’industria? Cosa
c’entra tutto questo con la privatizzazione?
Provate a immaginare cosa accade quando
una multinazionale mette le mani sull’acqua: può chiudere il rubinetto, può aumentare i prezzi, può cambiare i parametri di valutazione della potabilizzazione aumentando
le soglie minime, può diventare politicamente ed economicamente potente a danno
dei più deboli.
NUCLEARE. Cosa ribadire? Si
basa su una fonte esauribile, su una risorsa
che non abbiamo e che crea problemi sociali, ambientali e di salute laddove viene estratta, che non sarà mai sicura, che produce
scorie radioattive permanenti che lasceremo
in eredità alle generazioni future insieme ai
loro effetti sulla salute. Non è la soluzione al
problema energetico in Italia che ricordiamo
è un falso problema! Risparmio energetico e
tetti solari sono la soluzione migliore per
tutti!
Allora che aspettate? Mobilitiamoci per un
futuro migliore. Votate con 4 SI! Vi aspettiamo numerosi alle urne!!! ☺
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GIUGNO
ARCOBALENI VIVENTI
Domenica 5, ore 10.30 L’appuntamento più
seguito nel tripudio di colori delle tante farfalle
dell’Oasi.
le nostre erbe
Delle numerose specie di achillea, la più conosciuta - anche perché diffusissima - è l’Achillea millefolium (nota come
millefoglio, perché ogni singola foglia è
suddivisa in numerosissime e minuscole
foglioline).
È una pianta erbacea perenne,
rustica e vigorosa, con steli fiorali che possono raggiungere l’altezza di 60-70 centimetri. Tutta la pianta emana un caratteristico odore aromatico che può ricordare la
canfora. Tale profumo è facilmente avvertibile strofinando la pianta fra le mani.
Cresce spontanea ovunque nelle
nostre regioni, esclusa la Sicilia. È più
diffusa nelle zone collinari e montane fino a 2.000 metri di altitudine ed
è facile trovarla nei terreni incolti e
lungo i bordi delle strade, nei pascoli
sassosi, nei prati aridi.
Tutte le achillee hanno in
comune alcune caratteristiche che le
diversificano dalle altre piante della
famiglia delle Composite: infatti
presentano i fiori riuniti in corimbi a
forma di ombrella. Le infiorescenze
sono vistose, e i capolini, eleganti,
sono di solito bianchi, talvolta anche
rosati o anche rossicci. La fioritura si
protrae dalla primavera all’autunno
inoltrato. Ma il millefoglio, che, come già
detto, si distingue soprattutto per le caratteristiche foglie verdi e morbide, può essere
coltivato in giardino come pianta ornamentale per creare aiuole e bordure di sicuro
effetto. Data la notevole diffusione allo
stato spontaneo, normalmente questa specie non è coltivata. Volendo, è però possibile introdurla con successo nel piccolo
orto familiare e in giardino, visto che la sua
coltivazione non presenta alcun problema:
non ha bisogno di particolari cure né di
trattamenti antiparassitari; la riproduzione
può avvenire per seme e successivo trapianto oppure tramite gli stoloni che la
pianta è in grado di produrre.
Della pianta si raccolgono le
foglie novelle, cioè quelle più tenere, nei
mesi primaverili. Sia le foglie mature, sia
soprattutto le sommità fiorite, fresche o
essiccate, vanno raccolte da fine maggio a
settembre. Le sommità fiorite si fanno poi
essiccare tenendole appese, legate a mazzetti, in un posto fresco e ombroso, e si
conservano in contenitori di vetro all’asciutto.
l’achillea
Gildo Giannotti
È una pianta che si utilizza per
uso esterno, interno ed anche in cucina.
Per uso esterno si può preparare
un infuso per detergere abrasioni, piccole
ferite ed infiammazioni della cute. Si pongono in 100 ml di acqua bollente 8 grammi
di sommità fiorite ed essiccate di achillea;
si lasciano riposare fino a completo raffreddamento; si filtra e si fanno lavaggi o si
applicano garze imbevute di infuso sulla
parte interessata per almeno 10-15 minuti.
L’achillea deve infatti il suo nome all’eroe
greco Achille che, secondo la leggenda, ne
apprese le proprietà medicinali dal suo
maestro Chirone, e la utilizzava, durante
l’assedio di Troia, per curare le ferite dei
compagni. Ma anche i medici delle legioni
romane, raccomandavano di sfregare la
pianta sulle ferite per una più pronta e rapida guarigione. A conferma delle virtù vulnerarie, cioè delle capacità di disinfettare,
di curare e cicatrizzare piaghe e ferite, la
tradizione popolare ha dato a questa pianta
altri nomi come “stagna sangue”, “erba del
soldato”, ecc.
Per
uso
interno si può preparare un infuso adatto a
una digestione difficile e calmante dei dolori addominali: si
versa un cucchiaino
colmo di sommità
fiorite in una tazza di
acqua bollente; si
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lascia in infusione venti minuti e si beve
un’ora dopo i pasti, dolcificando con un
cucchiaino di miele. Attenzione alle possibili allergie nei soggetti predisposti: non si
devono somministrare preparati a base di
achillea a bambini di età inferiore ai due
anni.
Per il suo sapore gradevolmente
amaro, inoltre, questa pianta è anche utilizzata dall’industria per la preparazione
di aperitivi, liquori e birra. Nelle campagne l’achillea era utilizzata per la
sua proprietà di conservare il vino,
tanto è vero che si usava mettere un
sacchetto di semi o rami fioriti nella
botte.
Aperitivo all’achillea. Mettere in
infusione in un litro di vino rosato e
genuino 10 g di fiori di achillea, ben
puliti e scelti, e alcuni pezzetti della
parte gialla della buccia di limone.
Colare dopo 10 giorni e imbottigliare
con cura. Servire come aperitivo aggiungendo nel bicchiere una buccia di
limone.
Estratto di achillea. Mettere in un
vaso le sommità fiorite di achillea scegliendo con cura le più belle e coprire con alcol
da liquori. Agitare il vaso ogni giorno e
dopo 10 giorni filtrare l’estratto e imbottigliare. Alcune gocce sopra una zolletta di
zucchero, prese prima o dopo i pasti, possono sostituire la tisana nei casi di digestione difficile. L’estratto permette di avere già
pronta la preparazione in ogni stagione
dell’anno.☺
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società
terremoti
Giulia D’Ambrosio
Una visita a l'Aquila era un desiderio che covavo da tempo. Dopo il sisma
di quel maledetto 6 Aprile di due anni fa
non avevo avuto il coraggio di guardare in
faccia quella tragica realtà.
A riflettori spenti, mentre la città
compie dignitosamente i suoi passi per
rimettersi in piedi, percorro le strade del
suo magnifico e malconcio centro storico.
La sensazione inaspettata e piacevole è
quella di sentire che gli aquilani covano
dentro una grande energia per rinascere,
non sono per nulla rassegnati, la città è
intrisa di cultura, i giovani amano la città e
penso che dalla devastazione si può uscire
quando la gente non resta inerte, quando ci
si rimbocca le maniche, nonostante tutte le
contrarietà. Non un solo muro è imbrattato
dai writers, la città è circondata dal verde e
tante sono le iniziative in ogni angolo del
centro storico la rendono bella ed accogliente nonostante lo tsunami.
Un rapido pensiero mi riporta al
terremoto meno recente del Molise e mi
chiedo: è colpa dell'isolamento dei nostri
piccoli comuni o della rassegnazione di
molti e la guerra di pochi la vera ragione
dell'oblio, del profitto e della vita violata
nelle casette di legno di Bonefro?
Non può essere e non è solo affar
loro. Sono affari nostri. Il disagio di chi, a
distanza di nove anni, non vede ancora la
luce di una vera risoluzione è un disagio
del Molise, non solo di chi ha subìto il
danno. La Fonte del resto non ha smesso
un solo istante di denunciare e di lottare
per un ritorno alla normalità. Faccio un
rapido volo col pensiero ed arrivo a pensa-
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re alla mia città.
Campobasso, capoluogo di regione, afflitta da tanti piccoli terremoti
quotidiani che la rendono appassita e fragile. Una città senza più un disegno, non uno
straccio di piano regolatore, non un piano
del traffico, marciapiedi sconnessi, erbacce
ovunque. Persino lo storico parco cittadino
“Villa De Capoa”, frutto dell'antica e generosa donazione di un privato, non solo
langue per l'abbandono, ma se vuoi ristorarti tra il verde di un giardino all'italiana lo
trovi chiuso nei week end e nella pausa
pranzo. È così che parliamo di accoglienza? Niente giochi, cari bambini! Accontentatevi di qualche giochino a pagamento al
centro commerciale! Un giorno il bimbo
di una cliente del mio negozio di biancheria, tirava il cappotto alla mamma e urlava
“Voglio andare a Campobasso!” - Ma, sei
a Campobasso!- rispondo io meravigliata e la mamma precisava che per suo figlio
“Campobasso” voleva dire Centro Commerciale! Un fenomeno diffuso quello
della dissociazione degli ambienti urbani
dopo l'avvento dei nuovi insediamenti
periferici ed artificiali. Ma la città è quel
luogo che mette insieme tutti i tasselli di
una vita in comune, la città custodisce la
storia, conserva ricordi di vita, organizza
l'economia, ma serve soprattutto per incontrarsi. Una cittadina di provincia è lo spazio ideale per le relazioni. Se fai una passeggiata non ti sentirai mai solo, incontrerai l'amico, il parente, ti godrai una giornata di sole, entrerai in chiesa per una preghiera ed un segno di croce per cominciare
bene la giornata. Guarderai le vetrine,
preparate con cura, e ti servirai della banca,
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dell'ufficio postale, del tuo medico di famiglia, ecc. Vita di città e città della nostra
vita.
Uno spettacolo in teatro, una
mostra d'arte, un museo aperto, ma soprattutto la cura della dignità della città, della
bellezza. Abbiamo tanto bisogno di bellezza, ci aiuterebbe almeno a superare un
momento non facile della nostra vita economica e sociale che è ogni giorno un terremoto dell'anima. Amministratori svogliati e distratti ci fanno sentire impotenti e le
competenze specifiche sono ormai un miraggio, in politica. Intrecciare i bisogni in
comune, mettersi a disposizione dei bisogni dei cittadini con generosità, è pura
utopia.
Campobasso è una città troppo
statica e rigida che, invece, necessita di un
nuovo, veloce e rapido cambiamento. La
nostra è una città che si sta isolando, nonostante le grandi potenzialità che possiede.
E proprio in quest’ottica è necessario
smuovere le coscienze, rimboccarsi le
maniche ed adoperarsi, fin da subito, per il
rilancio del commercio locale restituendoci
un futuro possibile, assicurando, al contempo, ricchezza e lavoro. Abbiamo bisogno di mettere in relazione cultura, università, imprese, ambiente per fermare la fuga
delle nuove generazioni, ma per trattenerli
dobbiamo prospettare la possibilità di aprire loro il varco, abbracciando il merito e
investendo sulle loro potenzialità affinché
si sentano partecipi della nostra vita comune e dunque della città. ☺
[email protected]
I politici e i pannolini hanno qualcosa in comune…
hanno bisogno di essere
cambiati SPESSO E PER
LO STESSO MOTIVO!
etica
Negli ultimi decenni diversi
episodi hanno suscitato profonde preoccupazioni per la protezione dell’ambiente
e dell’habitat umano, della sicurezza e
della salute dell’uomo. Si tratta, solo per
citare alcuni esempi, di grandi catastrofi
ecologiche (naufragio delle petroliere
Amoco Cadiz, Prestigi, esplosione della
piattaforma nel Golfo del Messico), di
emissioni nell’ambiente di prodotti chimici o comunque tossici ( Seveso 1976,
Bophal 1984), di perdite di materiale
radioattivo (Three Mile Island, Chermobyl, Fukushima), di alterazioni della
catena alimentare, anche dovute ad incidente, (secondo l’immaginifico linguaggio dei “media”: mucca pazza), ecc.
Ciò ha suscitato: a) una crescente attenzione dell’opinione pubblica alle
potenziali implicazioni, anche di lungo
periodo, dell’attuale modello di sviluppo
tecnologico ed industriale; b) un clima di
progressiva sfiducia nei riguardi dei meccanismi pubblici di controllo; c) la necessità per i Governi di individuare nuovi
principi in grado di facilitare, da una parte, la valutazione ed il contenimento dei
rischi e, dall’altra, la gestione di questi
ultimi non solo ai fini della loro accettabilità sociale, ma anche per consentire uno
sviluppo realmente sostenibile. L’esperienza, infine, ci ha resi edotti del fatto
che la gravità degli episodi ricordati, taluni dei quali ripetutisi, talvolta ha dato
luogo ad emergenze ed eventi catastrofici
immediati, ma altre volte è emersa solo
molto tempo dopo la manifestazione del
rischio collegato all’evento in questione,
dando luogo a conseguenze sanitarie o
ecologiche “ritardate” il cui nesso di
causalità è stato accertato. Emerge in
questo modo una diversa dimensione del
rischio, di natura più subdola e di tipo
non solo qualitativo (tossico), ma anche
quantitativo, che invoca l’esigenza di far
precedere lo sviluppo industriale da una
fase più articolata di ricerca per conseguire i margini di sicurezza necessari e per
verificare le ipotesi scientifiche iniziali.
Tali sollecitazioni hanno prodotto due ordini di conseguenze: da un
lato, la richiesta dei cittadini di essere
previamente informati e di partecipare
alle decisioni che riguardano tanto lo
sviluppo tecnico-scientifico, quanto gli
insediamenti industriali; dall’altra, una
la società del rischio
Silvio Malic
maggiore consapevolezza dei governi di
prendere in considerazione comportamenti e decisioni orientati alla prevenzione, ove possibile, o al nuovo criterio di
precauzione, qualora esistano significativi margini di incertezza sul rapporto tra
rischio e conseguenze dannose di determinate attività per l’uomo e per l’ambiente. Così, accanto ad approcci ispirati
alla tolleranza zero si è affermata l’esigenza di una più attenta valutazione della
proporzionalità tra rischi e benefici in
grado di orientare lo sviluppo tecnicoscientifico, secondo un principio di mediazione tra esigenze e sensibilità diverse,
proprie della scienza, dell’industria ed
della società civile.
Per concorrere al diffondersi di
un sentimento di responsabilità più maturo nell’opinione pubblica, é opportuno
sviscerare alcuni aspetti etico-giuridici
che investono la cosiddetta “società postindustriale”, la quale ha provocato una
nuova sensibilità nei confronti del rischio
e del controllo di alcune espressioni dello
stesso tramite il “principio di precauzione”.
Si dovrà, pur se in breve, fare
riferimento al contesto internazionale e
comunitario europeo, più sensibile alle
sollecitazioni sottese all’applicazione del
principio di precauzione di quanto non
abbia dimostrato esserlo, finora, il contesto italiano, che pure di recente ha visto
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l’adozione di alcuni provvedimenti normativi ispirati al principio in esame.
Si delineano, in breve, tre passaggi di riflessione su cui soffermarsi: 1)
lo scenario nel quale si iscrive il principio di precauzione come conseguenza dei
fattori che hanno concorso a determinare
il concetto di società del rischio; 2) i criteri di identificazione e valutazione del
rischio, con l’obiettivo della tutela della
sicurezza-salute collettiva, tenendo presenti sia le posizioni ed i criteri adottati
dagli esperti, sia, per altri versi e nella
debita proporzione, le posizioni diffuse
nell’opinione pubblica e fra i cittadiniutenti; 3) infine, gli strumenti sociali
(filosofici, giuridici ed organizzativi)
mediante i quali la società contemporanea reagisce di fronte ai rischi nel vasto
campo delle attività umane preso in considerazione.
Si incontreranno concetti di
amplissimo rilievo, sui quali non sarà
possibile soffermarsi dettagliatamente: si
citano ad esempio la questione dello
“sviluppo sostenibile” o quella dell’assetto dei poteri legislativi in materia ambientale, che nelle nuova versione dell’art. 117 della Costituzione italiana è affidata allo Stato con la formula piena
“tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e
dei beni culturali”; a tali concetti ci si
dovrà ispirare per le riflessioni, le decisioni e le buone prassi necessarie.☺
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sisma
gli splendidi della sinistra
Domenico D’Adamo
Fare una campagna elettorale
senza mai pronunciare la parola
“centrosinistra” per Danilo Leva e Roberto Ruta, che da sempre non osano esprimere alcun pensiero compiuto, è stata
una passeggiata. Pretendere che i molisani se la bevessero, questo sì che è stato
più complicato. I due fenomeni avrebbero preferito far cadere il presidente uscente D’Ascanio già due anni fa. Per loro,
uno del centrodestra tipo De Matteis è
sempre meglio di niente. A fare da sponda ai due ci si è messo un altro gigante
della politica nazionale, l’On. Antonio Di
Pietro. Tutti e tre insieme sono arrivati a
poco più del 20% dei consensi e, uno dei
tre, in verità più bravo degli altri due,
dopo lo strepitoso insuccesso, ritiene di
aver ridato grandezza al suo partito per
averlo riportato al primo posto nel grande
universo della sinistra: se non si trattasse
del Segretario Regionale del PD qualcuno potrebbe anche crederci, ma il Molise
è piccolo e le voci girano. Tutti e tre hanno scaricato il Presidente uscente ma non
ci hanno detto mai il perché, in quanto
sarebbe stato veramente imbarazzante,
per loro naturalmente. Qualcuno ha tentato di giustificare l’indegna cagnara imbastendo singolari tesi politiche che evocassero aree politiche alternative, non si è
capito bene a che cosa visto che di alternativo al centrosinistra non c’è né il sopra
né il sotto, c’è solo il centro destra; comunque le regionali sono alle porte e
presto lo capiremo.
In realtà la gestione amministrativa guidata da D’Ascanio non è stata
diversa da quella di Massa e di Chieffo
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che il popolo della sinistra ha sempre
giudicato positivamente; è dunque di
palmare evidenza che le critiche rivolte al
governo provinciale dagli esponenti della
maggioranza avevano il solo scopo di
scalare il Partito Democratico, che ancora
vive in perenne stato confusionale da
quando ha rimediato la sonora batosta
alle ultime elezioni politiche. Pochi giorni
fa, senza che nessuno glielo avesse richiesto, il leader di Alternativa, per portarsi avanti nel lavoro, in vista delle future elezioni regionali, avendo annusato
l’odore del formaggio, lui che da anni
non vince neanche a bigliardino, si è subito speso nella promozione di alcuni
candidati da offrire alle primarie. Pare
che i nominati, Di Pietro e Frattura, a
seguito dell’annuncio del commissario
tecnico, non abbiano mai smesso di toccarsi le palle, e a Leva, il terzo dei nominati, che invece ci ha creduto, hanno detto: vai avanti tu che a noi viene da ridere.
In questa atmosfera da “Grande
fratello”, nella Regione peggio amministrata d’Italia - non è un caso che Iorio è
ultimo nella classifica dei governatori - il
centrodestra ha conseguito il miglior risultato. Qui da noi, a differenza di quanto
dichiarato a Milano, pare che Bersani
avrebbe detto: “noi abbiamo perso e voi
avete vinto”. Se il concetto espresso dal
segretario del PD non è risultato di facile
comprensione
al
giovane Leva e al
suo amico Ruta, sarà
il caso che della
questione se ne occupi il 118, inutile
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disturbare i vertici del PD nazionale. A
Roma, da un decennio a questa parte,
hanno ricevuto solo delusioni dal Molise
e tuttavia non hanno mai mosso un dito
perché questo non accadesse. Ora non c’è
più tempo, le elezioni regionali sono alle
porte e, per il bene del Molise e non solo
della sinistra, sarà indispensabile non
consentire agli strateghi della sconfitta di
frequentare anche la più inutile delle assemblee condominiali: potrebbero proporsi quali amministratori e sarebbe
drammatico per gli ignari inquilini.
Alle prossime consultazioni di
novembre il centrosinistra, attraverso lo
strumento delle primarie e non quello
delle sagrestie, dovrà ricercare il suo
leader il quale, insieme a chi vorrà starci,
elaborerà un programma di governo credibile e concreto che dica a tutti i molisani: il paese dei balocchi proposto da Iorio
e compagni a distanza dieci anni è risultato essere solo una favola. Per essere ritenuti in grado di affrontare e risolvere i
gravi problemi ereditati dal precedente
governo di destra sarà necessario l’impegno di tutti, perché nessuno nel nostro
paese, nei prossimi anni, sarà disposto a
tirar fuori un euro in più del dovuto per la
terra di Iorio il quale, dopo il risultato
elettorale ottenuto alle provinciali, va
sbandierando che il suo amico Berlusconi
gli ha promesso impegni milionari per la
sanità, le strade, e soprattutto per il terremoto, chissà perché proprio ora che si è
dimesso
il
sedicente
SubCommissario.☺
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