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E
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ann
“Il Mulo n°45”
ASSOCIAZIONE NAZIONALE ALPINI
SEZIONE DI VENEZIA
GRUPPO ALPINI DI VENEZIA
“S. TEN. GIACINTO AGOSTINI”
N o t i z i a r i o d e l G r u p p o A l p i n i d i Ve n ez i a
A n n o 2 6 , N u m e r o 4 5 - G iu g n o 2 0 1 5
“ M A G G I O 1 9 1 5 , L’ I TA L I A E N T R A
I N G U E R R A”
(note
tratte
dalla
rievocazione fatta da
Paolo Monelli nel 1965,
per il Touring Club
Italiano.
La
Nostra
Guerra 1915 - 1918 nel
cinquantenario).
morale di nazione che
cinquant'anni di unità
politica non erano riusciti a
creare. Come sentì prima di
tutti noi il poeta delle
battaglie dell'Isonzo e del
Carso, Giuseppe Ungaretti:
In noi c'era la certezza di
combattere per una giusta
causa, la coscienza di
cementare
la
Patria
giovane nell'urto contro
stati assai più solidi e
antichi, il senso che nei
crogioli ardenti dell'Isonzo
e
degli
altipiani
si preparava quella unità
Di che reggimento siete
fratelli ?
Parola tremante
nella notte
Foglia appena nata
Nell'aria spasimante
involontaria rivolta
dell'uomo presente alla sua
fragilità
Fratelli
Pacifista convinto come
tutti coloro che le guerre
le hanno corporalmente
sofferte, rievocando la
nostra guerra del 1915-18
mi verrà naturale metterne
in rilievo l'umanità, la
cavalleria,
la
giustificazione morale di
parteciparvi con il corpo e
con il sacrificio. E subito
fin dall'inizio voglio
celebrarne i più umili
combattenti; quei Fanti
che la guerra patirono
assai più di ogni altra
specialità
dell'esercito,
nello stesso modo di quei
fanti specializzati che sono i
Granatieri, i Bersaglieri, gli
Alpini, gli Arditi (o forse più,
perchè un certo sollievo anche
nel rischio più grave poteva
venire
al
soldato
scelto
dall'orgoglio di essere appunto
tale).
Eroi oscuri della guerra
scomoda senza altri aggettivi,
del giaciglio improvvisato, del
rancio freddo, dell'acqua scarsa,
delle scarpe rotte, delle coperte
fradicie, della posta che non
arrivava, degli ordini incoerenti
o nefasti, delle circolari pignole
dei
superiori
comandi.
Bersaglio quotidiano delle
artiglierie nemiche sulle linee
avanzate e nelle marcie di
avvicinamento e spesso anche
quando
erano
a
riposo,
delle mitragliatrici imboscate
dei tiratori solitari all'agguato;
Anno 26, numero 45
esposti all'insidia delle mine e
dei gas; sgrananti un rosario
continuo di stenti, di sacrifici, di
rinunce;
schiavi
di
una
disciplina imposta da necessità
naturali o tattiche, di non far
luce, di non farsi vedere, di non
far fuoco per riscaldarsi; sempre
in ansiosa attesa dell'ordine,
improvviso come la pallottola o
la
granata,
di
cambiare
posizione e settore, di uscire
all'attacco, di avanzare allo
scoperto, di resistere ad
oltranza.
Una retorica piagnona li offese
spesso, nel corso di quella
prima guerra, chiamandoli
"soldatini",
quasi
fossero
innocenti od ottusi bambocci;
mentre fu qualità precipua della
massima parte di quei nostri
combattenti dal 1915 al '18
la virile accettazione di una
condizione disperante, un civile
senso del dovere che li fece
spesso animosi, e ad ogni modo
non mai inferiori ad un nemico
che affrontavano senza odio e
senza crudeltà; trasportando con
naturalezza nella vita di guerra
la serietà e l'impegno della dura
vita borghese.
Si giunse alla prima guerra
mondiale dopo tre generazioni
di pace.
Le guerre coloniali ci erano
parse avventure fuori di casa,
più che compensate dai
vantaggi che si contava di
averne e soprattutto dalle
ricchezze che si sperava di
trarre da quelle terre deserte e
doviziose; le guerre balcaniche
ci parvero la naturale e
lungamente maturata ribellione
alla tirannia turca e ad ogni
modo limitate all'estremità sudorientale del continente; in
margine ad una Europa
benestante raffinata e civile ove
lo scambio delle idee, delle
invenzioni, delle comodità della
vita, dei prodotti dell'ingegno e
dell'arte era facile e frequente.
Praticamente le frontiere non
esistevano più, si passava in
Francia, in Svizzera, in Austria,
in Germania, in Gran Bretagna
senza
passaporto,
senza
problemi di valuta. La nostra
lira, alla pari col franco francese
e svizzero e col fiorino
austriaco, faceva aggio sull'oro.
Quell'Europa unita che così
faticosamente oggi si cerca di
mettere insieme era allora già
una realtà, anche se non ce ne
rendevamo conto. Più volte
negli anni dal principio del
secolo al 1914 si aveva avuto il
timore di una guerra europea,
ma tutte le volte quelle
apprensioni si erano rivelate
vane; e non si vedeva motivo
ora, nel 1914, di darsi eccessivo
pensiero per un contrasto fra
Pagina 2
bombardamenti
a
tappeto che
giungevano
d'oltre
la
curva dell'
orizzonte.
(Ci accorgemmo dopo che virtù
assai maggiori,
di
adattamento, di sopportazione,
di pazienza,
di fermezza,
ci volevano
per sopportare quella
l'impero austro-ungarico e la condizione di vittime predestinadebole Serbia. "Lasciate che
l'Austria schiacci la Serbia. Si
potrà sempre localizzare il
conflitto", dicevano scettici
uomini di stato. Francesi,
Tedeschi,
Inglesi,
Russi,
precipitarono d'un colpo, senza
alcuna preparazione spirituale,
da tanta spensierata dolcezza di
vita in una conflagrazione
mondiale. Le cose andarono
diversamente per noi Italiani,
rimasti per quasi un anno
spettatori della guerra degli altri.
Noi la nostra preparazione
morale la avemmo, leggendo
con passione le cronache
bellicose della seconda metà del
1914 e dei primi mesi del '15 in
Francia e sulle frontiere orientali
dell'Austria e della Germania.
Sentimmo subito che questa
guerra mondiale era una cosa
diversa da quella dei secoli
precedenti di cui avevamo
studiato le vicende a scuola;
nella quale scomparivano le
qualità
individuali
del
combattente divenuto elemento
di una massa anonima, si moriva
senza previsione, spesso senza
vedere
l'avversario,
sotto
Anno 26, numero 45
te).
Pur prevedendo che nella caldaia
saremmo stati buttati anche noi,
vedevamo venire la nostra ora
con serenità; gli studenti
universitari andavano ad urlare
Trento e Trieste davanti ai
consolati
austriaci
e
si
azzuffavano con la polizia
cantando la canzone di Oberdan,
"a morte Franz, viva Oberdan" o
i canti del Risorgimento,
"all'armi, all'armi, ondeggiano le
insegne gialle e nere, fuoco per
Dio sui barbari, sulle vendute
schiere".
Le
primissime
settimane, che anche la nostra
guerra aveva preso un volto
severo sul Carso e sul
fronte alpino del Monte Nero e
della Carnia, mi trovai ad istrui-
Pagina 3
re presso il deposito di un
battaglione Alpino del Settimo
reclute delle terze categorie
inquadrate da richiamati delle
vecchie classi. E conversando
alla buona con i miei uomini
trovavo in essi, anche nei più
vecchi, un'attesa rassegnata e
serena della sorte che li
attendeva;
la
coscienza
di
un'oscura
necessità
a cui bisognava conformarsi
per
concetti
di
cui
molti
apprendevano ora soltanto il
significato perentorio, Patria,
Dovere; e soprattutto per
Dignità di uomini. Così dunque
ci si preparava alla guerra,
ufficiali di complemento e
soldati; con molta dignità e
confidenza, non conoscendo
altri superiori che il nostro
Capitano, serio quarantenne che
Anno 26, numero 45
aveva fatto la Libia, e il nostro
Maggiore, un barbone paterno e
grigio; e pensavamo che tutto
l'olimpo dei comandi superiori
su su fino al Cadorna fosse
composto di gente che sapeva il
fatto suo, ai quali eravamo
disposti ad affidarci con fiducia.
Quanto tempo doveva passare
perchè apprendessimo con
postumo raccapriccio che gli
ufficiali dello Stato Maggiore e
del Comando Supremo non
avevano profittato per nulla
degli insegnamenti di un anno
di guerra sul fronte francese; e
chissà come ci saremmo
meravigliati se avessimo saputo
che il Generalissimo Luigi
Cadorna alla vigilia di portare
alla guerra un esercito composto
di richiamati di venti classi, un
milione e mezzo di uomini di
cui novecentomila appartenenti
all'esercito di campagna, ne
dava questo poco tranquillante
giudizio: "scarsezza della forza
bilanciata, deficienti i nuclei di
milizia mobile, manchevole
istruzione delle classi in
congedo, anemici i quadri degli
ufficiali,
insufficienza
dei
servizi e delle munizioni,
inadeguatezza dell'artiglieria in
qualità e quantità, carreggio di
tipo
antiquato,
sezioni
mitragliatrici
poche
e
incomplete".
Infine
"la
campagna di Libia ha prodotto
effetti
non
buoni
nella
compagine morale dei corpi e
non ne ha avvantaggiato
l'istruzione".
Le prime settimane gli ufficiali
andavano
al
fuoco
con
l'uniforme da passeggio, la
diagonale grigia con le stellette
del grado sulle maniche, e i
fregi d'argento sul berretto o sul
cappello,
e
la
sciabola
sguainata. Poi ci si accorse che
erano troppo cospicui e nei
combattimenti da vicino erano
presi di mira da tiratori scelti.
Allora venne l'ordine di brunire
la lama delle sciabole e annerire
i fregi. Infine fu prescritta per
tutti, dal Generale al Sergente,
la stessa francescana uniforme
di panno grigioverde della
truppa, senza tasche, con le
controspalline dette salamini, le
grosse stellette di metallo al
bavero, la giubba abbottonata
stretta sotto il mento e le fasce,
dette mollettiere alla francese,
che i soldati chiamavano
"mulattiere",
tormento
dei
Fanti; solo gli Alpini sapevano
portarle per tutta una giornata
senza che si disfacessero.
Settemila studenti universitari,
che avevano ritardato il servizio
militare per la durata degli
studi, immediatamente chiamati
alle armi furono spediti a
due corsi accelerati di due mesi
Pagina 4
ciascuno alla scuola militare di
Modena da cui uscirono
Sottotenenti
delle
varie
specialità della Fanteria.
Erano il fiore della borghesia.
Cantavano una canzone nuova:
"Si batterà la carica sull'Alpi, su
coi cannoni su con le mani, le
baionette nella schiena ai cani,
le pianteremo senza pietà".
Appena nominati Sottotenenti
furono spediti allo sbaraglio,
sulle Alpi, sull'Isonzo, sul
Carso; quando due anni dopo,
l'ottobre del '17, uscì il
bollettino che li promoveva
Capitani, non ce n'era più che
la metà.
A tanto bello e generoso impeto
non corrisposero, all'inizio, le
operazioni militari.
Il Comando Supremo sembrò
mancare di audacia e di
risolutezza.
Una più rapida avanzata delle
truppe di copertura contro i
quindici battaglioni austriaci
che difendevano il fronte dal
Monte Nero al mare ci avrebbe
dato certamente il possesso del
primo ciglione del Carso.
Invece occupammo soltanto la
zona che il nemico ci aveva
volontariamente abbandonata, e
ci fermammo contro la linea
Sabotino-Podgora-Monte San
Michele-Sei Busi-mare, sulla
quale intanto, già munita di
trincee e di reticolati, erano
venuti ad attestarsi due corpi
d'armata austriaci. Altra zona
fortificata
contro
cui
si
infransero lungamente i nostri
attacchi fu quella di Santa
Maria e Santa Lucia di
Tolmino.
Il
Generalissimo
austriaco
Conrad aveva capito subito il
suo avversario. Diceva di lui:
"Cadorna non dà l'ordine
dell’azione prima che l’ultima
carretta di munizioni non sia
arrivata dove deve arrivare…...
Anno 26, numero 45
1917, fante sul Monte Grappa. (Da “La nostra guerra 1915 1918 nel cinquantenario” - ed. Touring Club Italiano).
E'
un
organizzatore
di
prim'ordine, e in questo campo
ha reso grandi servizi all'Italia.
Ma è soprattutto un caparbio. E
manca assolutamente di slancio.
Se ne avesse, Dio solo sa dove
potrebbe arrivare".
"Di là dal fiume Isonzo ci sta
Santa Lucia, se stanco sei di
vivere t'insegnerò la via".
Cominciarono verso la fine di
giugno
quelle
truculente
battaglie che presero il nome
dal fiume Isonzo, che si
susseguirono per settimane e
per mesi senza che si riuscisse a
guadagnar terreno, o portando
avanti la nostra linea, qua di
cento, là di cinquecento metri; il
massimo del progresso fu di un
chilometro e mezzo in alcuni
punti. Un progresso di quattro
metri al giorno che ci costò
poco meno di duecentomila fra
morti e feriti. Fu, da parte del
Comando Supremo, un ottuso
insistere a lanciare il fiore
dell'esercito in attacchi frontali
a poderose posizioni avversarie
che non cedevano o si
ricomponevano poche dozzine,
poche centinaia di metri più
addietro; considerando i soldati
come un'inerte materia prima da
usare senza badare alle perdite,
pur che ce ne fossero sempre
dell’altra. Da parte dei soldati
fu, quei primi mesi, la guerra
Pagina 5
della generosa inesperienza, del
sacrificio accettato come una
necessità contro cui non valeva
nè fortuna nè furberia. Si
susseguivano all'assalto di vette
catafratte, di colli, di costoni irti
di reticolati e di trappole, spesso
partendo sempre dallo stesso
punto, le Brigate che avevano i
nomi di tutte le città e le regioni
d'Italia,
Abruzzi,
Acqui,
Alessandria, Alpi, Ancona,
Aosta,
Avellino,
Bari,
Basilicata, Bergamo, Bisagno,
Bologna, Brescia, Cagliari,
Calabria, Casale, Catanzaro,
Como, Cremona, Cuneo, Etna,
Ferrara, Firenze, Forlì, Friuli,
Lario, Lecce, Liguria, Livorno,
Lombardia, Macerata, Mantova,
Marche, Messina, Milano,
Modena,
Napoli,
Novara,
Padova, Palermo, Parma, Pavia,
Perugia,
Pesaro,
Pescara,
Piacenza, Piemonte, Pinerolo,
Pisa, Pistoia, Puglie, Ravenna,
Reggio, Roma, Salerno, Sassari,
Savona, Sicilia, Siena, Spezia,
Torino,
Toscana,
Trapani,
Treviso, Umbria, Valtellina,
Venezia, Verona, Volturno, Re,
Regina, Carabinieri.
Con impeto fresco e giovanile
ogni volta, come non avessero
nell'animo l'esperienza dei
rovinosi assalti precedenti, e la
certezza dell'insuccesso, ardevano, si disfacevano in poche
ore contro difese che nessuna
preparazione d'artiglieria aveva
indebolito, contro reticolati che
dovevano tagliarsi con forbici
da giardiniere, o sotto i quali
pattuglie suicide infilavano tubi
di gelatina esplosiva.
"Il Genio te combina l'invenzione, de fà saltà li fili e li
paletti, consuma gelatina a
profusione, e dopo li aritrovi più
perfetti".
Quei Fanti, figli di una nazione
vissuta per cinquant'anni in
sicura pace, quei vecchi ufficiali
Anno 26, numero 45
intristiti fino allora nelle
caserme e sulle carte d'ufficio,
credevano ancora che la guerra
fosse soltanto questo, un
rassegnato
immolarsi
per
l'onore e per il dovere, in nome
d'una Patria che era per i più
una parola scolastica, e
accettare senza bestemmiare
stupidi ordini di morte. ("I miei
Bersaglieri
strapperanno
i
reticolati con i denti e col
fegato", "Passeremo su un ponte
di cadaveri", "Il soldato lavori
finchè non cade affranto").
Uscivano dalle trincee scavate
in fretta, da tane di sassi
crollanti per conquistarne altre
altrettanto instabili; combattevano giornate per impadronirsi
di una trincea delle Frasche, di
una trincea dei Ratti, di una
trincea dei Morti, di una dolina,
di una piccola elevazione
chiamata quota che prendeva
nome da un albero smozzicato
o era indicata dall'altezza sul
livello del mare, 208, 285,
numeri che si incidevano nella
memoria tante volte ci si era
andati all'attacco; o d'un bivio di
strade cancellate, o di quattro
rocce in bilico su dalla sassaia
frantumata e arsa, colma di
sangue
in
ogni
ruga.
Dividevano con gli Austriaci
sassi e muretti con atroce
minuzia, si scambiavano dall'alba al tramonto il possesso di
un camminamento o della buca
scavata da una mina. I nomi di
quegli accidenti del terreno
diventarono personificazione di
mostri insaziabili.
Doberdò e il suo altipiano, che i
nostri e gli Austriaci chiamavano concordemente l'inferno.
San Michele, funebre monte
scavato da valloni aridi, da
buche fosche da aspri crepacci,
fatto di quattro cime; una di
queste fu chiamata dai Magiari
il monte dei cadaveri tanti ce ne
avevano lasciati dei loro
ammonticchiati sì da alterarne il
profilo. Il Vallone, trista conca
intorno alla palude morta di
Doberdò ove sorgevano cimiteri
come funghi dopo le battaglie.
Quanti sono ora i superstiti
(scriveva Monelli nel 1965), i
sopravvissuti per miracolo, che
si ricordano ancora di questi
nomi che avevano tanta forza di
evocazione allora per chi ne
sbigottì il giorno che l'uno o
l'altro gli fu indicato come meta
dell'azione dopo un breve
riposo, in quei giorni eterni che
la vita e la morte avevano lo
stesso fiato di dissoluzione?
Anche
nelle
soste
dei
combattimenti la vigilia era
angosciosa. Fra gli ultimi posti
avanzati nostri e quelli nemici
intercorrevano spesso poche
decine di metri; una verminaia
di sassi spezzati dal bombardamento, una pattumiera di
schegge, di armi troncate, di
lembi di panno, di scatolette, di
vanghette, di ossame, di
cadaveri freschi nell'uniforme
grigioverde nostra o turchina
degli Austriaci, sotto un
continuo basso volo di corvi.
Per tutta l'estate la petraia fu
aspra, secca, difficile interrarsi
in quel duro, si che le trincee
erano semplicemente un canale
poco cupo con sponde di sassi.
Ma quando l'autunno portò le
nebbie, la pioggia e il colera,
trincee e camminamenti divennero un melma sanguigna.
Bisognava aspettare il buio per
muoversi dal posto dove s'era
stati sorpresi dall'alba, per
ricevere un rancio portato da
cucinieri frettolosi di tornare
all'angolo morto delle cucine,
pagnotta e carne fredda e vino,
e un pò di brodo e di caffè
appena tiepidi; per l'acqua
bisognava fare fino a mezz'ora
di cammino, andava un Fante
Pagina 6
per tutta la squadra con una collana di gavette intorno al corpo infilate nella cinghia che strepitavano
durante la marcia e la vedetta austriaca più vicina sgranava un caricatore contro quel tintinnio.
Il poeta Ungaretti giacendo su questa pietra del San Michele, "fredda dura prosciugata totalmente
disanimata" sotto una volta appannata di cielo, chiuso nella sua uniforme di soldato di Fanteria "come
nella cuna di mio padre" recitò a se stesso lievi altissime parole, la sorte sua e dei suoi compagni di
pena:
“Si sta
come d'autunno
sugli alberi
le foglie”.
Paolo Monelli
Capitano degli Alpini
1890 - 1980
Rapporto:
un
generale
comandante di brigata (a sin.) a
colloquio con un comandante di
Reggimento.
(Dal
volume
“Il
Piave
mormorava.
Dopo
cinquant’anni la verità sulla
Grande Guerra”, di F. Bandini
- Longanesi Editore).
Anno 26, numero 45
Pagina 7
L A N OST R A P R EPA R A ZI ON E , O
I M P R EPA RA ZI ON E A D I R S I VOG L I A , P ER
I L P R IM O C ON F L I T TO M ON DI A L E
Non volendo cimentarmi in
occasione del centenario della
nostra entrata in guerra con i
"media" che letteralmente hanno
cominciato a "bombardarci",
spiegando i precedenti, le cause,
gli attriti fra nazioni, ecc., ho
pensato di esaminare invece
quale e a che punto fosse la
nostra preparazione nel 1914 e
nel 1915, dato che non
potevamo
esimerci
dal
partecipare a quel conflitto che
per la prima volta coinvolgeva
moltissime nazioni del mondo
intero.
Nel 1914 possiamo dire che
praticamente non avevamo un
esercito, anche perchè quel poco
che era stato fatto dai governi
che avevamo avuto dal 1900 in
poi, era stato consumato con la
guerra di Libia. Nel periodo
agosto 1914 - maggio 1915,
pochi mesi quindi, Cadorna,
capo di Stato Maggiore del
nostro esercito, e il generale
Zupelli, ministro della guerra,
in parte riuscirono a dare un
po' di capacità operativa e di
preparazione alle nostre esigue
truppe.
Si potè aumentare di 11
divisioni quanto precedentemente previsto dallo Stato
Maggiore; così fu possibile
mobilitare circa 1 milione di
uomini per le prime linee e
mezzo milione per le seconde.
Chiaramente tutto ciò comportò
l'aumento direi esponenziale
della
nostra
produzione
industriale con la riconversione
di molte aziende alle nuove
esigenze:
armi,
munizioni,
automezzi, areoplani, cibi in
Anno 26, numero 45
scatola (la Cirio aumentò il
proprio personale di parecchie
migliaia di unità). Se pensiamo
che nel 1914 avevamo solo 12
batterie di cannoni da 75 mm,
48 pezzi, calibro maggiormente
usato da tutti i contendenti, 14
batterie da 149, 56 pezzi,
300.000 fucili '91 e soprattutto
pochissime mitragliatrici, ci
possiamo rendere conto della
nostra situazione e della
conseguente impossibilità di
entrare subito in guerra.
I 9 mesi di neutralità ci fecero
veramente
compiere
un
miracolo.
Quando fu completata la
mobilitazione
l'Italia
potè
schierare 53 divisioni di
Fanteria, 1 di Bersaglieri, 4 di
Cavalleria, 52 battaglioni di
Alpini, 14 del Genio, 3 di Reali
Carabinieri, 18 di Guardie di
Finanza, 207 di Milizia
Territoriale e 113 compagnie
presidiarie. Inoltre avevamo 371
batterie da campagna, 28 di
obici pesanti, 68 da montagna e
someggiate, 15 squadriglie di
areoplani e 5 dirigibili. In
definitiva
c'erano
pronti
900.000
uomini,
216.000
quadrupedi, quasi 2.000 pezzi
campali e 132 d'assedio, 618
mitragliatrici (sempre pochissime rispetto agli austriaci e ai
germanici).
Ma a questo punto sorge una
domanda:
eravamo
pronti
tecnicamente a offendere, dato
che la nostra doveva essere una
guerra d'attacco e non di difesa?
Assolutamente no!
La concezione di guerra era
ancora quella di battaglie in
campo aperto e non di guerra di
posizione: ogni nazione era
convinta che la guerra dovesse
durare molto poco e che lo
stabilizzarsi del fronte fosse una
cosa transitoria. A tal proposito
ricordo come i chilometri di
sbarramenti di filo spinato
abbiano contribuito alla staticità
della linea del fronte. Questo
nuovo modo di combattere
sconcertò tutti. La nuova
imprevista situazione trovò tutti
impreparati.
Nei secoli precedenti una
nazione vinceva la guerra
quando il proprio esercito
avesse sbaragliato in campo
aperto l'esercito dei nemici.
Comunque non ci volle molto
per gli eserciti contrapposti per
capire che i tempi erano
cambiati.
Il fronte nostro, per la maggior
parte montano, non permetteva
una celere manovra e nemmeno
lo schieramento di grandi masse
di uomini. Solo sul fronte giulio
la cosa fu possibile, col risultato
di macelli inenarrabili, come
era già e sarebbe successo sul
fronte occidentale.
In Cadore poi, come si sarebbe
potuto velocemente sfondare
una linea abbarbicata, per forza
di
cose,
sulle
creste
dolomitiche? L'andamento del
conflitto dimostrò l'impossibilità
di
un
simile
atteggiamento.
Però sappiamo che se (non è
"se mia nonna avesse le
ruote...") la IV Armata al
comando del generale Nava,
uno dei primi alti ufficiale
silurati da Cadorna, avesse
Pagina 8
subito preso l'iniziativa con
azioni ficcanti, cosa temutissima
dagli austriaci, avrebbe potuto
conseguire risultati notevoli su
un velo di truppe - anziani e
giovanissimi -, dato che il grosso
dell'esercito AU era impegnato in
Galizia contro i Russi. E tutto
questo anche se, come ho già
detto, tecnicamente non eravamo
ancora pronti a sostenere
quest'ultima
guerra
di
indipendenza il 24 maggio 1915.
Socio Aggregato
Marino Michieli
1915: Volontari ciclisti in partenza per il fronte. (Da “La nostra guerra
1915 - 1918 nel cinquantenario” - ed. Touring Club Italiano).
Anno 26, numero 45
Pagina 9
LA
GUERRA NEI CIELI
Aereo Macchi - Nieuport “Bebè” dell’aviazione italiana; sulla carlinga la scritta “ocio fiol d’un
can!” rivolta al nemico.
(Dal volume “Il Piave mormorava. Dopo cinquant’anni la verità sulla Grande Guerra”, di F.
Bandini - Longanesi Editore).
Anno 26, numero 45
Pagina 10
“ E L V IN T IQUA T RO MA G IO L A G U ER A
È D IC H IA RA TA ”
L A G R A ND E G U E R R A A V EN E ZI A , N EI R I C OR D I
FA MI G LI A R I
“El vintiquatro magio la guera è
dichiarata, ai sinque de matina
Venessia bombardata". Così si
cantava a Venezia l'indomani
della prima incursione aerea
degli Austriaci sulla città. Alle
ore 4,10 del 24 maggio erano
arrivati gli aeroplani, i Veneziani
svegliati di soprassalto da quel
rumore insolito di motori,
avevano spalancato i balconi,
preoccupati. Ma subito qualcuno
aveva detto: "Xe i nostri che i fa
e prove"! Così non era, fin da
subito l'Austria voleva lanciare il
suo
chiaro
messaggio
e
impressionare fortemente la
popolazione.
Potevano in qualsiasi momento
arrivare dal cielo e seminare
morte
e
disperazione!
L'impressione tra la gente era
forte, anche se solo due aerei
avevano lanciato in totale
quindici bombe e provocato
soltanto quattro feriti.
Conoscevano
in
modo
millimetrico la topografia della
città e con la massima precisione
tutti gli obiettivi da colpire, per il
fatto di aver governato a Venezia
per tanto tempo. Rimane quindi
non credibile la giustificazione
postuma di aver colpito per
errore l'ospedale civile a
S. Giovanni e Paolo, con
distruzioni nei reparti e diverse
vittime tra i ricoverati!
Certo, quei primi bombardamenti
aerei erano soprattutto simbolici
se
confrontati
con
i
bombardamenti
a
tappeto,
tremendi, drammatici, della
seconda guerra mondiale. Le
Anno 26, numero 45
bombe anche di notevoli
dimensioni e le incendiarie,
provocavano comunque danni
distruggendo
abitazioni,
depositi, fabbriche, e sempre
causando
vittime.
La
popolazione non preparata a
questo tipo di attacchi ne era
impressionata!
Anche Mestre, importante nodo
ferroviario, punto strategico
delle retrovie con i suoi forti,
caserme, stabilimenti militari,
fabbriche, e gli hangars dei
dirigibili a Campalto, viene
ripetutamente bombardata con
numerose vittime.
Nei miei ricordi famigliari, c'è
quello dello zio Paolo (cl. 1893)
che durante una di quelle prime
incursioni aeree, aveva visto ai
Giardini, davanti al monumento
di Garibaldi mentre la gente
fuggiva impaurita, un Finanziere
che con tutta calma estratta la
pistola d'ordinanza aveva poi
mirando in alto al velivolo,
scaricato tutto il caricatore. Ma
anche mio papà che all'epoca
aveva
otto
anni
aveva
conservato nel tempo ricordi
nitidissimi!
Durante un allarme aereo era
fuggito con la mamma e tante
altre donne e bambini verso il
rifugio. I rifugi erano poi
semplici magazzini a piano
terra, rinforzati con alcune travi
e protetti da sacchetti di sabbia e
coperte antischegge imbottite di
alghe. Nella corsa concitata
aveva sentito netta la voce
dell'ufficiale
che
in
alto
sull'altana dava gli ordini.
Mirate! Fuoco!
Poi la scarica potente di quaranta
fucili che sparavano all'unisono e
subito dopo la voce urlata!
A posto! Caricate! Fuoco!
Sparavano così dalle numerose
altane sopra i tetti di Venezia, i
soldati della Milizia Territoriale
e i Marinai.
I
Territoriali,
richiamati
"anziani", sparavano con il
vecchio fucile a quattro colpi, il
Vetterli-Vitali 1870/87.
I Marinai sparavano con il mitico
'91 arma allora sicuramente
all'altezza, precisa ed efficace.
Soltanto in tempi successivi i
soldati dotati finalmente di
elmetto (l'Adrian di ideazione
francese), si vedono nelle foto
d'epoca, manovrare anche la
mitragliatrice Colt (con la quale
erano armati anche i MAS). Le
incursioni aeree sulla nostra città
si susseguirono per tutto il
conflitto
e
furono
ben
quarantadue, più volte i velivoli
vennero abbattuti dal fuoco
contraereo, e la grande fortuna fu
che moltissime bombe caddero in
acqua, nei canali o in laguna. Di
giorno e di notte si vegliava sulle
altane e nel silenzio notturno le
sentinelle si scambiavano alla
voce la consegna "Per l'aria,
buona guardia!".
L'ottimo
Sindaco di allora Filippo
Grimani, aveva operato da subito
con grande determinazione per
coordinare i servizi di assistenza
e di protezione nella città. Erano
stati predisposti i rifugi ed
evacuate o protette efficacemente
tutte le opere d'arte.
Pagina 11
Dopo Caporetto poi, con la
minaccia incombente sulla città
( gli Austriaci "spavaldi"
avevano già predisposto i timbri
con
la
scritta
VenedigKommandantur ) gran parte della
popolazione era stata trasferita
"profuga" in altre località lontane
dal fronte (mio papà a Firenze).
Tra i miei famigliari, mio nonno
paterno già anziano era operaio
"militarizzato" all'Arsenale dove
si lavorava a ritmo continuo. Mio
nonno materno di professione
oste era rimasto al suo posto,
credo perchè svolgeva un lavoro
ritenuto utile al sostentamento
della popolazione rimasta in
città.
Tra i miei zii, Giovanni (cl.
1898) fratello più vecchio di mia
mamma, era imbarcato sulla
Regia Nave Corsini e poi sulla
Regia Nave Stocco (dalla R.N.
Stocco venne sparata nel 1919, la
cannonata che colpì la facciata
del municipio di Fiume dove era
alloggiato
l'Imaginifico,
il
Comandante
D'Annunzio).
Guido, era uno dei famosi
"Ragazzi del '99", ultima riserva
di uomini che il Regio Esercito
Italiano aveva messo in campo
nel '17 contro il potente ImperialRegio Esercito Austro Ungarico.
Arruolato in Marina e imbarcato
sulla
leggendaria
corazzata
"Andrea Doria" dopo pochi mesi
era stato sbarcato e inquadrato
tra i Marò del Reggimento
Marina, destinato a combattere
sul basso Piave e alle grave di
Papadopoli. In realtà i Ragazzi
del '99 non furono gli ultimi
chiamati alle armi, come mi
raccontava mio papà, gli ultimi
precettati per la guerra furono i
giovani nati entro il 1° semestre
del 1900. Lo zio Paolo che ho
citato all'inizio, pur essendo un
giovane di "sana e robusta
costituzione" non era stato fatto
abile perchè un grave incidente a
Anno 26, numero 45
quindici anni nel cantiere navale
dove lavorava, gli aveva
prodotto
una
grave
menomazione alla mano sinistra.
Dopo Caporetto però riceve la
cartolina e viene subito arruolato
nella Milizia Territoriale!
Tra i tanti ricordi, infine, c'è
quello della cara zia Rita (cl.
1889), la Santola di mio papà.
La zia Rita era una brava sarta e
come moltissime altre era stata
precettata per fornire il vestiario
necessario all'Esercito. Dobbiamo ricordare che per la massa
enorme di uomini alle armi, era
necessario
un
continuo
approvvigionamento di oggetti
di vestiario di ogni tipo:
"Camicie,
maglie,
giubbe,
pantaloni,
fasce,
berretti,
mantelline, maglioni, guanti,
calzettoni, passamontagna e
altro".
Nei locali comunali gestiti dalle
"Patronesse", di solito signore
della
nobiltà
veneziana,
venivano distribuiti i tessuti, la
lana, e impartite precise direttive
su come confezionare il
vestiario. A lavoro ultimato
queste sarte, donne giovani e
anziane, si presentavano dalle
Patronesse per consegnare tutto
quanto avevano preparato con
giorni e giorni di pesante
impegno e di fatiche.
Era anche il sospirato momento
in cui ricevevano il compenso
previsto!
Mio papà aveva più volte
accompagnato la zia Rita
aiutandola a trasportare i
numerosi pacchi e involti. In
quel
momento
però
le
Patronesse,
con
cipiglio
militaresco e la massima severità
sottoponevano quel vestiario ad
un vero collaudo. I capi
venivano controllati uno ad uno,
tirati con forza, quasi strappati
per verificare che le cuciture, i
bottoni e tutto fosse fissato
saldamente e a regola d'arte.
Quello che si scuciva veniva
scartato e messo da parte!
Risuonavano allora i pianti e la
"disperazione" di quelle sarte,
specialmente le più giovani, che
vedevano in un attimo vanificato
tutto il loro lavoro!
Geniere Alpino
Sandro Vio
Nella pagina a fianco, in
alto, case colpite in campo
Rialto Novo.
In basso, Fondamenta del
ferro e la birreria Spiess
distrutta.
(Dal volume “Il martirio
di Venezia durante la
Grande Guerra - vol. 1”,
di G. Scarabello).
Pagina 12
Anno 26, numero 45
Pagina 13
L’ A L P IN O R IC C A R DO DI G I U S TO,
I L P R I M O C A D U TO
Non tutti sanno che il primo
soldato italiano caduto nella 1^
guerra mondiale è stato l'Alpino
Riccardo Di Giusto (Udine 10
febbraio 1895 - Drenchia 24
maggio 1915), della 16^
Compagnia del Btg. Cividale
dell'8°
Reggimento
Alpini,
inquadrato nella 2^ Armata di
stanza nella zona del monte
Colovrat.
Il 24 maggio 1915 (primo giorno
di una guerra che ci costò
650.000 morti) il suo reparto alle
due di notte penetrò in territorio
nemico per alcune centinaia di
metri sul monte Colovrat, nel
comune di Drenchia (UD) che
segnava il confine tra il Regno
d'Italia e l'Impero AustriaUngarico. Riccardo Di Giusto,
Alpino esploratore, precedeva
con la sua pattuglia la colonna di
Alpini che aveva il compito di
occupare la cima del monte
Natpriciar davanti a Tolmino,
passando in silenzio per il passo
Zagradan.
Ma i quattordici gendarmi
austriaci che presidiavano il
valico, li videro ed aprirono il
fuoco colpendo il Di Giusto alla
nuca, dopo che il proiettile era
rimbalzato
sulla
vanghetta
metallica appesa al suo zaino.
Erano le quattro del mattino.
Riccardo Di Giusto morì dopo
pochi istanti, avendo solo il
tempo di pronunciare il nome
della mamma.
L'Alpino Riccardo Di
Giusto è ricordato con
un cippo eretto sul
monte Colovrat e la sua
salma dal 1923 riposa
nel cimitero monumentale di Udine.
Un altro monumento
che ricorda il suo
sacrificio si trova sul
passo Solarie, dove ogni
anno, la prima domenica
di giugno gli Alpini
rendono
onore
e
rivolgono
il
loro
pensiero
a
questo
ragazzo di vent'anni,
Primo Caduto Italiano
della Grande Guerra.
Artigliere Alpino
Sandro Vescovi
“Aprite le porte che passano…”. Fanfara in testa il Battaglione
Alpini parte per il fronte. Edizioni Tipografiche Miani - Udine.
Anno 26, numero 45
Pagina 14
Giugno 1918.
“A Nervesa, a Nervesa,
c’è una croce
mio fratello è sepolto là
io ci ho scritto su
Nineto
e la mamma lo ritroverà….”
(foto tratta dal volume “Il Piave mormorava. Dopo cinquant’anni la verità sulla Grande Guerra”, di
F. Bandini - Longanesi Editore).
Anno 26, numero 45
Pagina 15
LA
GUERRA SUI MONTI
Il Battaglione “Val d’Intelvi” sale al Passo Brizio quale truppa di rincalzo.
Sullo sfondo la parete nord dell’Adamello (foto Bonacossa).
Dal libro “Guerra bianca” di Robbiati/Viazzi, Mursia Editore.
Anno 26, numero 45
Pagina 16
1917, sul Monte Santo la
bandiera del 43° Rgt.
Fanteria della Brigata
Forlì.
(Da “La nostra guerra
1915
1918
nel
cinquantenario” - ed.
Touring Club Italiano).
Estate del 1916. Alpini sulla Tofana III.
Anno 26, numero 45
Pagina 17
S TO R I A D E L B A T TA G L I O N E A L P IN I A O S TA
“C H 'A CO US TA LON CH 'A CO U S TA, VIVA
L'AO U S TA! ”
Ho pensato per il centenario
della nostra entrata in guerra di
scrivere anno per anno, con un
breve cenno sulla formazione e
la storia prebellica, le vicende di
un battaglione alpino. Ho scelto
il battaglione "Aosta" per il fatto
che fu uno dei battaglioni che,
tranne in Dolomiti, praticamente
fu presente lungo tutto il nostro
fronte: Globocak, Jeza, Sleme,
Vrata, Vrsic, Stelvio, Scorluzzo,
Adamello,
Zugna,
Pasubio,
Vodice, Solaroli, Fontana Secca,
Palòn.
Nel brano che segue illustrerò le
vicende del battaglione nell'anno
1915, dal 24 maggio al 31
dicembre. Nei prossimi tre anni
ricorderò le imprese dell'Aosta di
cento anni prima.
Nel 1873 in Aosta vi era una 8a
Compagnia Alpina dipendente
dal distretto di Torino. Nell'82 vi
era un Battaglione "Val d'Aosta"
del 6° Reggimento; nell'85 il
battaglione passava al 4°
Reggimento; due anni dopo perse
il nome di "Valle" e divenne
"Aosta", con 3 compagnie: 41a,
42a e 43a.
Partecipò nel '96 alla Guerra
d'Africa.
Nel 1915 aveva 2 compagnie in
più: la 87a e la 103a, passate poi
al Battaglione Monte Cervino
quando fu formato. E 2 sezioni
mitragliatrici! Pensate, 4 armi
per 5 compagnie!
Subito varcò il confine ed
occupò il Globocak, monte di
circa 800 metri. Di lì fu spostato
nella zona di Tolmino e
Caporetto; poi fu di rincalzo al 5°
Bersaglieri sullo Jeza. Infine,
nella zona di Monte Nero, sotto
il Vrata, la 42a compagnia
Anno 26, numero 45
attaccò le trincee di quota 1270,
conquistandole.
Ai primi di luglio fu sullo Sleme
assieme ai battaglioni "Intra" e
"Val Toce" del 4°. Dieci giorni
di riposo e salì sul Vrata donde
infruttuosamente
tentò
la
conquista del Lemez. Qui cadde
il suo primo ufficiale, un
Sottotenente romano della 42a.
Il battaglione tornò al Vrata e
poi a riposo a Ravna. Fino a
questo momento ebbe 15 caduti
e 114 feriti.
E siamo così giunti all'agosto
1915, quando la 43a e la 103a
furono inviate a Monte Nero a
rincalzo della Brigata Emilia;
poi tutto il battaglione presidiò il
Vrsic, già in parte nostro: gli AU
tenevano la parte settentrionale
della cresta. L'incarico era
quello di sorvegliare e di cercare
di demoralizzare il nemico con
una continua attività di disturbo.
A ferragosto vi fu la prima
azione: la 42a, con 150 uomini,
attaccò a fondo la trinceaosservatorio
austriaca,
conquistandola con largo bottino
di armi e materiali. Purtroppo
ebbe un centinaio di morti e
feriti, tra cui due Sottotenenti.
Tentativi di riconquista furono
fatti, senza esito però. La stessa
cosa avvenne per i nostri
tentativi di avanzata verso le
nuove posizioni austriache.
Arriviamo così al 13 settembre,
data in cui una nostra pattuglia
salì la parete di un contrafforte
tra il Vrata e il Vrsic. Un
Caporalmaggiore, tale Revel,
scalò da solo la parete portando
una corda per aiutare poi i
compagni. Arrivato poco sotto la
trincea avversaria, prese di mira
la sentinella e la uccise. Un altro
austriaco,
affacciatosi
al
parapetto, venne colpito dal '91
di Revel. Un terzo fu afferrato e
lanciato nel vuoto dal caporale.
La pattuglia, ringalluzzita, con
un poderoso "Savoia", scalò gli
ultimi metri di parete e fece
sgombrare
gli
AU
dalla
posizione.
Tre
medaglie
d'argento al valore furono
concesse per questa operazione.
Altri attacchi furono tentati tra il
20 e il 21 ottobre e tra l'11 e il 12
novembre
con
ampio
spargimento di sangue, ma senza
apprezzabili risultati.
Si
giunse
così
all'inizio
dell'inverno con la situazione
immutata. Forti nevicate resero
impossibile ogni operazione.
Solo le pattuglie si mossero
faticosamente in perlustrazione.
Da ricordare che il 15 settembre
giunse il nuovo comandante del
battaglione a sostituire il
Maggiore Dalmasso: il Maggiore
Ernesto Umberto Testa Fochi,
che doveva legare il suo nome a
tante pagine gloriose dell'
"Aosta".
Ma qui mi fermo. La storia del
battaglione continuerà l'anno
prossimo,
analizzando
gli
avvenimenti del 1916.
Socio Aggregato
Marino Michieli
Pagina 18
Sei Alpini resistono per cinque ore a più di duecento austriaci, Disegno di A. Beltrame tratto da
“La Domenica del Corriere”, luglio 1915. Direzione de “L’Alpino” A.N.A. - Milano
Anno 26, numero 45
Pagina 19
“ I G A R I BA L D I N I
Ricciotti Garibaldi (1847 1924) patriota e soldato, figlio
di Anita e Giuseppe Garibaldi,
ebbe otto figli.
Un'unica figlia femmina Anita
Italia e sette figli maschi: Peppino, Ricciotti jr., Menotti jr.,
Sante, Bruno, Costante, Ezio.
Peppino Garibaldi (1879 1950) allo scoppio della prima
guerra mondiale, forte della tradizione famigliare, sull'esempio
del nonno e del padre, nell'autunno del 1914 a Parigi da vita
alla Legione
Garibaldina.
Al suo appello accorrono
con entusiasmo
molti
giovani italiani, repubblicani, Mazziniani, sindacalisti, e anche veterani
delle numerose spedizioni
garibaldine
effettuate in
ogni area del
mondo in difesa dei popoli oppressi.
Con 57 ufficiali e circa 2.100
uomini di truppa, molti dei quali emigrati già residenti in Francia, viene formato un reggimento incorporato nella Legione
Straniera, denominato IV° Reggimento di Marcia. I volontari
indossano l'uniforme tipica della Legione Straniera, ma portano la camicia rossa sotto la
giubba!
Dopo un rapido addestramento
a Montelimar , Nimes e Mòntboucher, la Legione Garibaldina viene trasferita l'11 novembre a Mailly, dove il Tenente
Colonnello Peppino Garibaldi
Anno 26, numero 45
DELLE
A RG O N N E ”
ne assume formalmente il comando. I Garibaldini inviati al
fronte nella foresta delle Argonne, compiono numerose azioni
di pattuglia e temerari colpi di
mano, fino al 26 dicembre 1914
quando a Belle Etoile nei pressi
di Bois de Bolante, ingaggiano
una
sanguinosa
battaglia
e vincono! Nello scontro cade
uno dei fratelli, il Sottotenente
Bruno Garibaldi (1889 - 1914).
Il 5 gennaio 1915 a Four de Paris, sostengono un altro duro
combattimento e subiscono gravi perdite. Muore in battaglia
anche Costante Garibaldi (1892
- 1915), Sergente dei Garibaldini. La Legione Garibaldina ebbe
trecento Caduti, quattrocento
feriti, e molti ammalati a causa
della durissima vita di trincea.
Tra gli ufficiali caduti vengono
anche ricordati: il Tenente Lamberto Duranti, il Tenente Gregorio Trombetta, il Sottotenente
Paolo Muracciole, il Sottotenente Marino Pasquale.
Il 6 marzo 1915, la Legione,
data la mobilitazione generale
tacitamente già iniziata in
Italia, viene disciolta e il IV°
Reggimento di Marcia rientra
al deposito di Avignone. Tutti i
Volontari Garibaldini fanno
ritorno in Italia per arruolarsi
nel Regio Esercito.
Nel maggio 1915 su "Il Gazzettino" compare un trafiletto
dove si comunica che: "Quasi
sicuramente agli ufficiali della
Legione Garibaldina verrà
mantenuto il grado acquisito
nell'esercito francese". Molti
dei Garibaldini in Italia vengono incorporati nella Brigata
"Alpi" (51° e
52° Rgt. Fanteria) dove
sotto la giubba grigioverde continuano orgogliosamente ad
indossare la
camicia rossa!
Peppino Garibaldi assume come Colonnello
il
comando di
uno dei Reggimenti della
Brigata "Alpi" e nel 1918 ritorna in Francia con la Brigata
inserita nel Corpo di Spedizione Italiano. A fine guerra viene
congedato con il grado di Generale di Brigata. Il Garibaldino Lazzaro Ponticelli, emigrato
in Francia e
volontario all'epoca sedicenne,
negli anni trenta diventa cittadino francese. E' ricordato in
Francia come le Dernier Poilu
(l'ultimo Fante), l'ultimo dei
veterani della Grande Guerra.
Al suo funerale avvenuto in
anni recenti, erano presenti ufficiali superiori della Legione
Straniera e anche degli Alpini,
Pagina 20
perchè Lazzaro (Lazar) una
volta rientrato in Italia era stato
arruolato negli Alpini. Altro
giovanissimo Volontario Garibaldino, anche lui sedicenne,
era stato lo scrittore Curzio
Malaparte (Kurt Erich Suckert). Al cimitero italiano di
Bligny, una stele in marmo e
bronzo, è dedicata al sacrificio
dei volontari italiani, Garibaldini delle Argonne!
Geniere Alpino
Sandro Vio
Primo a destra, Luigi Bravin (classe 1892, fratello della nonna
paterna di Giovanni Dal Maschio) negli anni ‘30 a Caprera, alla
tomba di Garibaldi, con i commilitoni della Brigata “Alpi”.
Anno 26, numero 45
Pagina 21
LA
G U E R R A S U L M AR E
La corazzata austriaca “Santo Stefano” affonda, colpita dal M.A.S. 15 del comandante Luigi Rizzo,
decorato con 2 medaglie d’oro al valor militare (Da “La nostra guerra 1915 - 1918 nel
cinquantenario” - ed. Touring Club Italiano).
Anno 26, numero 45
Pagina 22
Una squadriglia di M.A.S. (motoscafi armati siluranti); piccole imbarcazioni militari utilizzate come
mezzo d’assalto veloce dalla Regia Marina durante la prima e seconda guerra mondiale, in alcuni casi
assumevano la denominazione di “motobarca armata SVAN” dal nome del cantiere veneziano che li
produceva.
Fondamentalmente si trattava di motoscafi da 20 - 30 tonnellate di dislocamento (a seconda della
classe) con una decina di uomini di equipaggio ed armamento costituito da due siluri ed alcune bombe
di profondità, oltre ad una mitragliatrice o un cannoncino.
Erano dotati di motori entro-fuoribordo a benzina, a combustione interna, di grande potenza ed
efficacia.
(Da “La nostra guerra 1915 - 1918 nel cinquantenario” - ed. Touring Club Italiano).
Dettaglio
del
cannoncino di un
M.A.S.,
da
“La
Lettura”
(rivista
mensile del Corriere
della Sera) del 1°
gennaio 1917.
Anno 26, numero 45
Pagina 23
L E P O RTA T R I C I C A R N I C H E ,
SUI MONTI
C O N C O R AG G I O
Le Portatrici Carniche erano
quelle donne che nel corso della
prima guerra mondiale operarono
lungo il fronte della Carnia,
trasportando con le loro gerle
rifornimenti,
materiali
e
munizioni fino alle prime linee
italiane, dove molto spesso
combattevano i loro uomini nei
reparti alpini. Le portatrici erano
dotate di un libretto personale
con numero di matricola dove
venivano registrati i trasporti
effettuati e portavano un
bracciale rosso con il numero del
reparto.
Potevano
essere
chiamate in qualsiasi momento,
sia di giorno che di notte, per
partire con le loro gerle ed il
peso di trenta, quaranta chili, e
dover affrontare anche mille
metri di dislivello per raggiungere le linee italiane.
Ogni viaggio veniva retribuito
con una lira e cinquanta
centesimi (euro 3,50 di oggi) e
molte volte nel viaggio di
ritorno, le portatrici trasportavano i feriti con le barelle ed
anche i morti che poi loro stesse
seppellivano
nel
cimitero
militare di Timau. Nelle
emergenze venivano affiancate
nel loro compito anche dai
vecchi e dai bambini. La loro
missione iniziò nell'agosto del
1915 e finì nell'ottobre del 1917
e più di mille donne (1.454) dai
quindici
ai
sessant'anni,
prestarono servizio sul fronte
carnico provenendo da tutti i
paesi della zona. Le più
numerose venivano da Paluzza
(223 portatrici) e Paularo (229) e
tre di loro rimasero ferite: Maria
Muser Olivotto e Maria Silverio
Matiz di Timau e Rosalia
Primus di Cleulis.
Il 15 febbraio 1916, la portatrice
Maria Plozner Mentil morì in
servizio colpita da un cecchino
austriaco al Malpasso di Pramo-
sio sopra Timau, mentre con la
sua gerla stava trasportando i
rifornimenti per i nostri soldati.
Si era fermata un istante per
prendere fiato, aveva trentadue
anni e a casa la stavano
aspettando quattro piccoli bimbi.
Il marito era lontano, al fronte
sul Carso, Fante del 9°
Reggimento
della
Brigata
"Regina". Durante il funerale a
Maria vennero tributati gli onori
militari. Nel 1997 il Presidente
Oscar Luigi Scalfaro concesse a
Maria
Plozner
Mentil
la
medaglia d'Oro al Valor Militare
e la croce di Cavaliere alle
portatrici reduci. Un monumento dedicato a Maria Plozner
Mentil ed alle Portatrici Carniche
è stato eretto nel 1992 a Timau
nell'Alto But ed un altro si trova
nell'Agro Pontino vicino Latina,
dove si trova una numerosa
comunità friulana.
La salma di Maria Plozner
Mentil riposa nel
tempio ossario di
Timau ed a Lei è
stata intitolata una
caserma
della
"Julia" a Paluzza
(unica donna italiana
ad avere questo
onore). Anche la
Batteria Comando e
Supporto Logistico
del 3° Reggimento
Artiglieria
(terrestre) da Montagna
porta il suo nome.
Artigliere alpino
Sandro Vescovi
Un gruppo di portatrici carniche. Coraggiose ed infaticabili, trasportavano in prima
linea le loro gerle cariche di rifornimenti. Musei Provinciali di Gorizia.
Anno 26, numero 45
Pagina 24
C R I S TA L LI D I ROC C I A
( BR E VI NOT IZ I E S UL L ’ AT T UAL ITA ’ D E L G RUP P O )
ULTIME INIZIATIVE NEL CAMPO DELLA SOLIDARIETA’
Libro verde ANA - consuntivo 2014: anche quest’anno il Gruppo Alpini “Sten. Giacinto
Agostini” figura all’interno del paragrafo dedicato alla Sezione di Venezia nel novero dei
sodalizi alpini che hanno contribuito a rendere possibili iniziative nel campo della solidarietà.
Complessivamente, nel corso dell’anno 2014 i soci hanno donato circa centossessanta ore e
contributi economici per alcune centinaia di euro ad iniziative di volontariato.
Anche quest’anno il Gruppo ha deciso devolvere un contributo economico in favore della
Benemerita Associazione “Via di Natale” Onlus di Pordenone, che si occupa sia di
promuovere e sostenere programmi di studio, ricerca scientifica, istruzione e diffusione delle
conoscenze nel campo della salute e della cura alle patologie oncologiche in particolare, sia di
gestire la struttura “Casa Via di Natale” presso il Centro Oncologico di Aviano, destinata ad
accogliere i malati con i loro familiari in assistenza.
PROSSIMI PELLEGRINAGGIO AL COL DI LANA
E RIEVOCAZIONE STORICA SULLE 5 TORRI
Domenica 2 agosto, come ogni anno, vi sarà il pellegrinaggio alla cima del Col di Lana, al
quale parteciperanno alpini e kaiserjaeger e una folta rappresentanza di eugubini, in quanto la
Brigata Alpi era in prevalenza formata da giovani di Gubbio. Sarà celebrata la Messa in cima.
normalmente officiata dal vescovo di Belluno e funzionerà un posto di ristoro gestito dagli
Alpini della Sezione di Livinallongo del Col di Lana.
Sabato e domenica 8 e 9 agosto vi sarà la consueta rievocazione storica alle 5 Torri, alla
quale parteciperanno fanti, bersaglieri, alpini, kaiserjaeger e soldati tedeschi in divisa della
Prima Guerra Mondiale. Sparerà a salve anche il cannone da 75 mm in bronzo che ha fatto la
guerra di Libia. Orario dalle 9 alle 16; consigliato il pranzo al sacco, oppure nei vari rifugi a
valle dove parte la seggiovia o in quota.
DEVOLVI IL TUO 5 PER MILLE ALL’ANA VENEZIA ONLUS
Destina anche tu il tuo 5 per mille dell’Irpef all’Associazione denominata ANA Venezia Onlus!!
SE VUOI
SE DESIDERI
SE VUOI
sostenere le attività del Nucleo di Protezione Civile della Sezione di Venezia nei suoi interventi in Italia e all’estero
supportare le attività di volontariato, di beneficenza e gli interventi
preventivi volti al riassetto ambientale e recupero del territorio
contribuire alla tutela ed alla valorizzazione dei manufatti storici legati
alla storia ed alle tradizioni degli Alpini
Si porta a conoscenza dei soci che, come ogni anno, in linea con i provvedimenti in materia di
legislazione finanziaria, è possibile destinare, oltre all’8 per mille (allo Stato, alla Chiesa Cattolica, ecc.)
un ulteriore 5 per mille dell’Irpef all’Associazione denominata ANA Venezia Onlus, pienamente
titolata a ricevere questo tipo di contributo.
Chiunque, iscritto all’ANA o anche non iscritto, può destinare questo ulteriore contributo indicando,
nelle sua prossima dichiarazione dei redditi, il numero di codice fiscale dell’Associazione:
94072810271.
Anno 26, numero 45
Pagina 25
Segreteria di redazione ,
grafica e impaginazione
Comunichiamo a tutti i nostri Soci che presso la Segreteria del
Gruppo sono già a disposizione i bollini relativi all’anno sociale
2015, con le seguenti, invariate quote:
Alvise Romanelli


Comitato di Redazione
Sandro Vio, Alvise Romanelli,
Sandro Vescovi, Marino Michieli,
Vittorio Casagrande e Giovanni
Prospero.
Soci Alpini
Soci Aggregati
€ 28,00
€ 28,00
Rinnovando la propria iscrizione al più presto non si incorrerà
nel rischio di una spiacevole interruzione dell’abbonamento alle
riviste “L’Alpino” e “Quota Zero”.
Redatto e stampato
INDICE
Ricordiamo che “Il Mulo” è
il notiziario di tutti i Soci del
Gruppo di Venezia, pertanto
ogni Socio Alpino ed ogni
Socio Aggregato (Amico degli Alpini) è calorosamente
invitato a collaborare per la
realizzazione del giornale:
saremo ben lieti di pubblicare le Vostre storie
o le Vostre fotografie.
“Maggio 1915, l’Italia entra in guerra” (P. Monelli)
pag.
1
“La nostra preparazione per il primo conflitto” (M. Michieli)
pag.
8
“La guerra nei cieli”
pag. 10
“El vintiquatro magio, la guera è dichiarata” (S. Vio)
pag. 11
“L’alpino Riccardo Giusto, il primo caduto” (S. Vescovi)
pag. 14
“La guerra sui monti”
pag. 16
“Storia del Battaglione Alpini Aosta” (M. Michieli)
pag. 18
“I Garibaldini delle Argonne” (S. Vio)
pag. 20
“La guerra sul mare”
pag. 22
“Le portatrici carniche ” (S. Vescovi)
pag. 24
Cristalli di roccia - notizie sull’attualità del Gruppo
pag. 25
P RO S S I M I
A P P U N TA M E N T I
Raccomandiamo ai nostri Soci di partecipare alla vita associativa ed alle manifestazioni
programmate:
 Domenica
31 maggio 2015: a Tessera (VE), presso il Forte Bazzera, terza edizione del
Family Day sezionale.
Martedì 2 giugno 2015: a Venezia, in occasione della Festa della Repubblica,
alzabandiera solenne in p.zza San Marco, in collaborazione con il Comitato di
Coordinamento delle Associazioni d’Arma di Venezia.

Domenica 14 giugno 2015: a Conegliano (TV), Raduno Triveneto delle Sezioni del 3°
Raggruppamento.

Associazione Nazionale Alpini - Sezione di Venezia
Gruppo Alpini di Venezia
"S. Ten. Giacinto Agostini"
San Marco, n° 1260 - 30124 Venezia (VE)
Tel./fax: 041. 5237854
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Il Mulo n°45 - Sezione di Venezia