0° 0 1 al a t rra a e c i u ed de G d e ial ran c G e sp della e n zio sario i d E er v i ann “Il Mulo n°45” ASSOCIAZIONE NAZIONALE ALPINI SEZIONE DI VENEZIA GRUPPO ALPINI DI VENEZIA “S. TEN. GIACINTO AGOSTINI” N o t i z i a r i o d e l G r u p p o A l p i n i d i Ve n ez i a A n n o 2 6 , N u m e r o 4 5 - G iu g n o 2 0 1 5 “ M A G G I O 1 9 1 5 , L’ I TA L I A E N T R A I N G U E R R A” (note tratte dalla rievocazione fatta da Paolo Monelli nel 1965, per il Touring Club Italiano. La Nostra Guerra 1915 - 1918 nel cinquantenario). morale di nazione che cinquant'anni di unità politica non erano riusciti a creare. Come sentì prima di tutti noi il poeta delle battaglie dell'Isonzo e del Carso, Giuseppe Ungaretti: In noi c'era la certezza di combattere per una giusta causa, la coscienza di cementare la Patria giovane nell'urto contro stati assai più solidi e antichi, il senso che nei crogioli ardenti dell'Isonzo e degli altipiani si preparava quella unità Di che reggimento siete fratelli ? Parola tremante nella notte Foglia appena nata Nell'aria spasimante involontaria rivolta dell'uomo presente alla sua fragilità Fratelli Pacifista convinto come tutti coloro che le guerre le hanno corporalmente sofferte, rievocando la nostra guerra del 1915-18 mi verrà naturale metterne in rilievo l'umanità, la cavalleria, la giustificazione morale di parteciparvi con il corpo e con il sacrificio. E subito fin dall'inizio voglio celebrarne i più umili combattenti; quei Fanti che la guerra patirono assai più di ogni altra specialità dell'esercito, nello stesso modo di quei fanti specializzati che sono i Granatieri, i Bersaglieri, gli Alpini, gli Arditi (o forse più, perchè un certo sollievo anche nel rischio più grave poteva venire al soldato scelto dall'orgoglio di essere appunto tale). Eroi oscuri della guerra scomoda senza altri aggettivi, del giaciglio improvvisato, del rancio freddo, dell'acqua scarsa, delle scarpe rotte, delle coperte fradicie, della posta che non arrivava, degli ordini incoerenti o nefasti, delle circolari pignole dei superiori comandi. Bersaglio quotidiano delle artiglierie nemiche sulle linee avanzate e nelle marcie di avvicinamento e spesso anche quando erano a riposo, delle mitragliatrici imboscate dei tiratori solitari all'agguato; Anno 26, numero 45 esposti all'insidia delle mine e dei gas; sgrananti un rosario continuo di stenti, di sacrifici, di rinunce; schiavi di una disciplina imposta da necessità naturali o tattiche, di non far luce, di non farsi vedere, di non far fuoco per riscaldarsi; sempre in ansiosa attesa dell'ordine, improvviso come la pallottola o la granata, di cambiare posizione e settore, di uscire all'attacco, di avanzare allo scoperto, di resistere ad oltranza. Una retorica piagnona li offese spesso, nel corso di quella prima guerra, chiamandoli "soldatini", quasi fossero innocenti od ottusi bambocci; mentre fu qualità precipua della massima parte di quei nostri combattenti dal 1915 al '18 la virile accettazione di una condizione disperante, un civile senso del dovere che li fece spesso animosi, e ad ogni modo non mai inferiori ad un nemico che affrontavano senza odio e senza crudeltà; trasportando con naturalezza nella vita di guerra la serietà e l'impegno della dura vita borghese. Si giunse alla prima guerra mondiale dopo tre generazioni di pace. Le guerre coloniali ci erano parse avventure fuori di casa, più che compensate dai vantaggi che si contava di averne e soprattutto dalle ricchezze che si sperava di trarre da quelle terre deserte e doviziose; le guerre balcaniche ci parvero la naturale e lungamente maturata ribellione alla tirannia turca e ad ogni modo limitate all'estremità sudorientale del continente; in margine ad una Europa benestante raffinata e civile ove lo scambio delle idee, delle invenzioni, delle comodità della vita, dei prodotti dell'ingegno e dell'arte era facile e frequente. Praticamente le frontiere non esistevano più, si passava in Francia, in Svizzera, in Austria, in Germania, in Gran Bretagna senza passaporto, senza problemi di valuta. La nostra lira, alla pari col franco francese e svizzero e col fiorino austriaco, faceva aggio sull'oro. Quell'Europa unita che così faticosamente oggi si cerca di mettere insieme era allora già una realtà, anche se non ce ne rendevamo conto. Più volte negli anni dal principio del secolo al 1914 si aveva avuto il timore di una guerra europea, ma tutte le volte quelle apprensioni si erano rivelate vane; e non si vedeva motivo ora, nel 1914, di darsi eccessivo pensiero per un contrasto fra Pagina 2 bombardamenti a tappeto che giungevano d'oltre la curva dell' orizzonte. (Ci accorgemmo dopo che virtù assai maggiori, di adattamento, di sopportazione, di pazienza, di fermezza, ci volevano per sopportare quella l'impero austro-ungarico e la condizione di vittime predestinadebole Serbia. "Lasciate che l'Austria schiacci la Serbia. Si potrà sempre localizzare il conflitto", dicevano scettici uomini di stato. Francesi, Tedeschi, Inglesi, Russi, precipitarono d'un colpo, senza alcuna preparazione spirituale, da tanta spensierata dolcezza di vita in una conflagrazione mondiale. Le cose andarono diversamente per noi Italiani, rimasti per quasi un anno spettatori della guerra degli altri. Noi la nostra preparazione morale la avemmo, leggendo con passione le cronache bellicose della seconda metà del 1914 e dei primi mesi del '15 in Francia e sulle frontiere orientali dell'Austria e della Germania. Sentimmo subito che questa guerra mondiale era una cosa diversa da quella dei secoli precedenti di cui avevamo studiato le vicende a scuola; nella quale scomparivano le qualità individuali del combattente divenuto elemento di una massa anonima, si moriva senza previsione, spesso senza vedere l'avversario, sotto Anno 26, numero 45 te). Pur prevedendo che nella caldaia saremmo stati buttati anche noi, vedevamo venire la nostra ora con serenità; gli studenti universitari andavano ad urlare Trento e Trieste davanti ai consolati austriaci e si azzuffavano con la polizia cantando la canzone di Oberdan, "a morte Franz, viva Oberdan" o i canti del Risorgimento, "all'armi, all'armi, ondeggiano le insegne gialle e nere, fuoco per Dio sui barbari, sulle vendute schiere". Le primissime settimane, che anche la nostra guerra aveva preso un volto severo sul Carso e sul fronte alpino del Monte Nero e della Carnia, mi trovai ad istrui- Pagina 3 re presso il deposito di un battaglione Alpino del Settimo reclute delle terze categorie inquadrate da richiamati delle vecchie classi. E conversando alla buona con i miei uomini trovavo in essi, anche nei più vecchi, un'attesa rassegnata e serena della sorte che li attendeva; la coscienza di un'oscura necessità a cui bisognava conformarsi per concetti di cui molti apprendevano ora soltanto il significato perentorio, Patria, Dovere; e soprattutto per Dignità di uomini. Così dunque ci si preparava alla guerra, ufficiali di complemento e soldati; con molta dignità e confidenza, non conoscendo altri superiori che il nostro Capitano, serio quarantenne che Anno 26, numero 45 aveva fatto la Libia, e il nostro Maggiore, un barbone paterno e grigio; e pensavamo che tutto l'olimpo dei comandi superiori su su fino al Cadorna fosse composto di gente che sapeva il fatto suo, ai quali eravamo disposti ad affidarci con fiducia. Quanto tempo doveva passare perchè apprendessimo con postumo raccapriccio che gli ufficiali dello Stato Maggiore e del Comando Supremo non avevano profittato per nulla degli insegnamenti di un anno di guerra sul fronte francese; e chissà come ci saremmo meravigliati se avessimo saputo che il Generalissimo Luigi Cadorna alla vigilia di portare alla guerra un esercito composto di richiamati di venti classi, un milione e mezzo di uomini di cui novecentomila appartenenti all'esercito di campagna, ne dava questo poco tranquillante giudizio: "scarsezza della forza bilanciata, deficienti i nuclei di milizia mobile, manchevole istruzione delle classi in congedo, anemici i quadri degli ufficiali, insufficienza dei servizi e delle munizioni, inadeguatezza dell'artiglieria in qualità e quantità, carreggio di tipo antiquato, sezioni mitragliatrici poche e incomplete". Infine "la campagna di Libia ha prodotto effetti non buoni nella compagine morale dei corpi e non ne ha avvantaggiato l'istruzione". Le prime settimane gli ufficiali andavano al fuoco con l'uniforme da passeggio, la diagonale grigia con le stellette del grado sulle maniche, e i fregi d'argento sul berretto o sul cappello, e la sciabola sguainata. Poi ci si accorse che erano troppo cospicui e nei combattimenti da vicino erano presi di mira da tiratori scelti. Allora venne l'ordine di brunire la lama delle sciabole e annerire i fregi. Infine fu prescritta per tutti, dal Generale al Sergente, la stessa francescana uniforme di panno grigioverde della truppa, senza tasche, con le controspalline dette salamini, le grosse stellette di metallo al bavero, la giubba abbottonata stretta sotto il mento e le fasce, dette mollettiere alla francese, che i soldati chiamavano "mulattiere", tormento dei Fanti; solo gli Alpini sapevano portarle per tutta una giornata senza che si disfacessero. Settemila studenti universitari, che avevano ritardato il servizio militare per la durata degli studi, immediatamente chiamati alle armi furono spediti a due corsi accelerati di due mesi Pagina 4 ciascuno alla scuola militare di Modena da cui uscirono Sottotenenti delle varie specialità della Fanteria. Erano il fiore della borghesia. Cantavano una canzone nuova: "Si batterà la carica sull'Alpi, su coi cannoni su con le mani, le baionette nella schiena ai cani, le pianteremo senza pietà". Appena nominati Sottotenenti furono spediti allo sbaraglio, sulle Alpi, sull'Isonzo, sul Carso; quando due anni dopo, l'ottobre del '17, uscì il bollettino che li promoveva Capitani, non ce n'era più che la metà. A tanto bello e generoso impeto non corrisposero, all'inizio, le operazioni militari. Il Comando Supremo sembrò mancare di audacia e di risolutezza. Una più rapida avanzata delle truppe di copertura contro i quindici battaglioni austriaci che difendevano il fronte dal Monte Nero al mare ci avrebbe dato certamente il possesso del primo ciglione del Carso. Invece occupammo soltanto la zona che il nemico ci aveva volontariamente abbandonata, e ci fermammo contro la linea Sabotino-Podgora-Monte San Michele-Sei Busi-mare, sulla quale intanto, già munita di trincee e di reticolati, erano venuti ad attestarsi due corpi d'armata austriaci. Altra zona fortificata contro cui si infransero lungamente i nostri attacchi fu quella di Santa Maria e Santa Lucia di Tolmino. Il Generalissimo austriaco Conrad aveva capito subito il suo avversario. Diceva di lui: "Cadorna non dà l'ordine dell’azione prima che l’ultima carretta di munizioni non sia arrivata dove deve arrivare…... Anno 26, numero 45 1917, fante sul Monte Grappa. (Da “La nostra guerra 1915 1918 nel cinquantenario” - ed. Touring Club Italiano). E' un organizzatore di prim'ordine, e in questo campo ha reso grandi servizi all'Italia. Ma è soprattutto un caparbio. E manca assolutamente di slancio. Se ne avesse, Dio solo sa dove potrebbe arrivare". "Di là dal fiume Isonzo ci sta Santa Lucia, se stanco sei di vivere t'insegnerò la via". Cominciarono verso la fine di giugno quelle truculente battaglie che presero il nome dal fiume Isonzo, che si susseguirono per settimane e per mesi senza che si riuscisse a guadagnar terreno, o portando avanti la nostra linea, qua di cento, là di cinquecento metri; il massimo del progresso fu di un chilometro e mezzo in alcuni punti. Un progresso di quattro metri al giorno che ci costò poco meno di duecentomila fra morti e feriti. Fu, da parte del Comando Supremo, un ottuso insistere a lanciare il fiore dell'esercito in attacchi frontali a poderose posizioni avversarie che non cedevano o si ricomponevano poche dozzine, poche centinaia di metri più addietro; considerando i soldati come un'inerte materia prima da usare senza badare alle perdite, pur che ce ne fossero sempre dell’altra. Da parte dei soldati fu, quei primi mesi, la guerra Pagina 5 della generosa inesperienza, del sacrificio accettato come una necessità contro cui non valeva nè fortuna nè furberia. Si susseguivano all'assalto di vette catafratte, di colli, di costoni irti di reticolati e di trappole, spesso partendo sempre dallo stesso punto, le Brigate che avevano i nomi di tutte le città e le regioni d'Italia, Abruzzi, Acqui, Alessandria, Alpi, Ancona, Aosta, Avellino, Bari, Basilicata, Bergamo, Bisagno, Bologna, Brescia, Cagliari, Calabria, Casale, Catanzaro, Como, Cremona, Cuneo, Etna, Ferrara, Firenze, Forlì, Friuli, Lario, Lecce, Liguria, Livorno, Lombardia, Macerata, Mantova, Marche, Messina, Milano, Modena, Napoli, Novara, Padova, Palermo, Parma, Pavia, Perugia, Pesaro, Pescara, Piacenza, Piemonte, Pinerolo, Pisa, Pistoia, Puglie, Ravenna, Reggio, Roma, Salerno, Sassari, Savona, Sicilia, Siena, Spezia, Torino, Toscana, Trapani, Treviso, Umbria, Valtellina, Venezia, Verona, Volturno, Re, Regina, Carabinieri. Con impeto fresco e giovanile ogni volta, come non avessero nell'animo l'esperienza dei rovinosi assalti precedenti, e la certezza dell'insuccesso, ardevano, si disfacevano in poche ore contro difese che nessuna preparazione d'artiglieria aveva indebolito, contro reticolati che dovevano tagliarsi con forbici da giardiniere, o sotto i quali pattuglie suicide infilavano tubi di gelatina esplosiva. "Il Genio te combina l'invenzione, de fà saltà li fili e li paletti, consuma gelatina a profusione, e dopo li aritrovi più perfetti". Quei Fanti, figli di una nazione vissuta per cinquant'anni in sicura pace, quei vecchi ufficiali Anno 26, numero 45 intristiti fino allora nelle caserme e sulle carte d'ufficio, credevano ancora che la guerra fosse soltanto questo, un rassegnato immolarsi per l'onore e per il dovere, in nome d'una Patria che era per i più una parola scolastica, e accettare senza bestemmiare stupidi ordini di morte. ("I miei Bersaglieri strapperanno i reticolati con i denti e col fegato", "Passeremo su un ponte di cadaveri", "Il soldato lavori finchè non cade affranto"). Uscivano dalle trincee scavate in fretta, da tane di sassi crollanti per conquistarne altre altrettanto instabili; combattevano giornate per impadronirsi di una trincea delle Frasche, di una trincea dei Ratti, di una trincea dei Morti, di una dolina, di una piccola elevazione chiamata quota che prendeva nome da un albero smozzicato o era indicata dall'altezza sul livello del mare, 208, 285, numeri che si incidevano nella memoria tante volte ci si era andati all'attacco; o d'un bivio di strade cancellate, o di quattro rocce in bilico su dalla sassaia frantumata e arsa, colma di sangue in ogni ruga. Dividevano con gli Austriaci sassi e muretti con atroce minuzia, si scambiavano dall'alba al tramonto il possesso di un camminamento o della buca scavata da una mina. I nomi di quegli accidenti del terreno diventarono personificazione di mostri insaziabili. Doberdò e il suo altipiano, che i nostri e gli Austriaci chiamavano concordemente l'inferno. San Michele, funebre monte scavato da valloni aridi, da buche fosche da aspri crepacci, fatto di quattro cime; una di queste fu chiamata dai Magiari il monte dei cadaveri tanti ce ne avevano lasciati dei loro ammonticchiati sì da alterarne il profilo. Il Vallone, trista conca intorno alla palude morta di Doberdò ove sorgevano cimiteri come funghi dopo le battaglie. Quanti sono ora i superstiti (scriveva Monelli nel 1965), i sopravvissuti per miracolo, che si ricordano ancora di questi nomi che avevano tanta forza di evocazione allora per chi ne sbigottì il giorno che l'uno o l'altro gli fu indicato come meta dell'azione dopo un breve riposo, in quei giorni eterni che la vita e la morte avevano lo stesso fiato di dissoluzione? Anche nelle soste dei combattimenti la vigilia era angosciosa. Fra gli ultimi posti avanzati nostri e quelli nemici intercorrevano spesso poche decine di metri; una verminaia di sassi spezzati dal bombardamento, una pattumiera di schegge, di armi troncate, di lembi di panno, di scatolette, di vanghette, di ossame, di cadaveri freschi nell'uniforme grigioverde nostra o turchina degli Austriaci, sotto un continuo basso volo di corvi. Per tutta l'estate la petraia fu aspra, secca, difficile interrarsi in quel duro, si che le trincee erano semplicemente un canale poco cupo con sponde di sassi. Ma quando l'autunno portò le nebbie, la pioggia e il colera, trincee e camminamenti divennero un melma sanguigna. Bisognava aspettare il buio per muoversi dal posto dove s'era stati sorpresi dall'alba, per ricevere un rancio portato da cucinieri frettolosi di tornare all'angolo morto delle cucine, pagnotta e carne fredda e vino, e un pò di brodo e di caffè appena tiepidi; per l'acqua bisognava fare fino a mezz'ora di cammino, andava un Fante Pagina 6 per tutta la squadra con una collana di gavette intorno al corpo infilate nella cinghia che strepitavano durante la marcia e la vedetta austriaca più vicina sgranava un caricatore contro quel tintinnio. Il poeta Ungaretti giacendo su questa pietra del San Michele, "fredda dura prosciugata totalmente disanimata" sotto una volta appannata di cielo, chiuso nella sua uniforme di soldato di Fanteria "come nella cuna di mio padre" recitò a se stesso lievi altissime parole, la sorte sua e dei suoi compagni di pena: “Si sta come d'autunno sugli alberi le foglie”. Paolo Monelli Capitano degli Alpini 1890 - 1980 Rapporto: un generale comandante di brigata (a sin.) a colloquio con un comandante di Reggimento. (Dal volume “Il Piave mormorava. Dopo cinquant’anni la verità sulla Grande Guerra”, di F. Bandini - Longanesi Editore). Anno 26, numero 45 Pagina 7 L A N OST R A P R EPA R A ZI ON E , O I M P R EPA RA ZI ON E A D I R S I VOG L I A , P ER I L P R IM O C ON F L I T TO M ON DI A L E Non volendo cimentarmi in occasione del centenario della nostra entrata in guerra con i "media" che letteralmente hanno cominciato a "bombardarci", spiegando i precedenti, le cause, gli attriti fra nazioni, ecc., ho pensato di esaminare invece quale e a che punto fosse la nostra preparazione nel 1914 e nel 1915, dato che non potevamo esimerci dal partecipare a quel conflitto che per la prima volta coinvolgeva moltissime nazioni del mondo intero. Nel 1914 possiamo dire che praticamente non avevamo un esercito, anche perchè quel poco che era stato fatto dai governi che avevamo avuto dal 1900 in poi, era stato consumato con la guerra di Libia. Nel periodo agosto 1914 - maggio 1915, pochi mesi quindi, Cadorna, capo di Stato Maggiore del nostro esercito, e il generale Zupelli, ministro della guerra, in parte riuscirono a dare un po' di capacità operativa e di preparazione alle nostre esigue truppe. Si potè aumentare di 11 divisioni quanto precedentemente previsto dallo Stato Maggiore; così fu possibile mobilitare circa 1 milione di uomini per le prime linee e mezzo milione per le seconde. Chiaramente tutto ciò comportò l'aumento direi esponenziale della nostra produzione industriale con la riconversione di molte aziende alle nuove esigenze: armi, munizioni, automezzi, areoplani, cibi in Anno 26, numero 45 scatola (la Cirio aumentò il proprio personale di parecchie migliaia di unità). Se pensiamo che nel 1914 avevamo solo 12 batterie di cannoni da 75 mm, 48 pezzi, calibro maggiormente usato da tutti i contendenti, 14 batterie da 149, 56 pezzi, 300.000 fucili '91 e soprattutto pochissime mitragliatrici, ci possiamo rendere conto della nostra situazione e della conseguente impossibilità di entrare subito in guerra. I 9 mesi di neutralità ci fecero veramente compiere un miracolo. Quando fu completata la mobilitazione l'Italia potè schierare 53 divisioni di Fanteria, 1 di Bersaglieri, 4 di Cavalleria, 52 battaglioni di Alpini, 14 del Genio, 3 di Reali Carabinieri, 18 di Guardie di Finanza, 207 di Milizia Territoriale e 113 compagnie presidiarie. Inoltre avevamo 371 batterie da campagna, 28 di obici pesanti, 68 da montagna e someggiate, 15 squadriglie di areoplani e 5 dirigibili. In definitiva c'erano pronti 900.000 uomini, 216.000 quadrupedi, quasi 2.000 pezzi campali e 132 d'assedio, 618 mitragliatrici (sempre pochissime rispetto agli austriaci e ai germanici). Ma a questo punto sorge una domanda: eravamo pronti tecnicamente a offendere, dato che la nostra doveva essere una guerra d'attacco e non di difesa? Assolutamente no! La concezione di guerra era ancora quella di battaglie in campo aperto e non di guerra di posizione: ogni nazione era convinta che la guerra dovesse durare molto poco e che lo stabilizzarsi del fronte fosse una cosa transitoria. A tal proposito ricordo come i chilometri di sbarramenti di filo spinato abbiano contribuito alla staticità della linea del fronte. Questo nuovo modo di combattere sconcertò tutti. La nuova imprevista situazione trovò tutti impreparati. Nei secoli precedenti una nazione vinceva la guerra quando il proprio esercito avesse sbaragliato in campo aperto l'esercito dei nemici. Comunque non ci volle molto per gli eserciti contrapposti per capire che i tempi erano cambiati. Il fronte nostro, per la maggior parte montano, non permetteva una celere manovra e nemmeno lo schieramento di grandi masse di uomini. Solo sul fronte giulio la cosa fu possibile, col risultato di macelli inenarrabili, come era già e sarebbe successo sul fronte occidentale. In Cadore poi, come si sarebbe potuto velocemente sfondare una linea abbarbicata, per forza di cose, sulle creste dolomitiche? L'andamento del conflitto dimostrò l'impossibilità di un simile atteggiamento. Però sappiamo che se (non è "se mia nonna avesse le ruote...") la IV Armata al comando del generale Nava, uno dei primi alti ufficiale silurati da Cadorna, avesse Pagina 8 subito preso l'iniziativa con azioni ficcanti, cosa temutissima dagli austriaci, avrebbe potuto conseguire risultati notevoli su un velo di truppe - anziani e giovanissimi -, dato che il grosso dell'esercito AU era impegnato in Galizia contro i Russi. E tutto questo anche se, come ho già detto, tecnicamente non eravamo ancora pronti a sostenere quest'ultima guerra di indipendenza il 24 maggio 1915. Socio Aggregato Marino Michieli 1915: Volontari ciclisti in partenza per il fronte. (Da “La nostra guerra 1915 - 1918 nel cinquantenario” - ed. Touring Club Italiano). Anno 26, numero 45 Pagina 9 LA GUERRA NEI CIELI Aereo Macchi - Nieuport “Bebè” dell’aviazione italiana; sulla carlinga la scritta “ocio fiol d’un can!” rivolta al nemico. (Dal volume “Il Piave mormorava. Dopo cinquant’anni la verità sulla Grande Guerra”, di F. Bandini - Longanesi Editore). Anno 26, numero 45 Pagina 10 “ E L V IN T IQUA T RO MA G IO L A G U ER A È D IC H IA RA TA ” L A G R A ND E G U E R R A A V EN E ZI A , N EI R I C OR D I FA MI G LI A R I “El vintiquatro magio la guera è dichiarata, ai sinque de matina Venessia bombardata". Così si cantava a Venezia l'indomani della prima incursione aerea degli Austriaci sulla città. Alle ore 4,10 del 24 maggio erano arrivati gli aeroplani, i Veneziani svegliati di soprassalto da quel rumore insolito di motori, avevano spalancato i balconi, preoccupati. Ma subito qualcuno aveva detto: "Xe i nostri che i fa e prove"! Così non era, fin da subito l'Austria voleva lanciare il suo chiaro messaggio e impressionare fortemente la popolazione. Potevano in qualsiasi momento arrivare dal cielo e seminare morte e disperazione! L'impressione tra la gente era forte, anche se solo due aerei avevano lanciato in totale quindici bombe e provocato soltanto quattro feriti. Conoscevano in modo millimetrico la topografia della città e con la massima precisione tutti gli obiettivi da colpire, per il fatto di aver governato a Venezia per tanto tempo. Rimane quindi non credibile la giustificazione postuma di aver colpito per errore l'ospedale civile a S. Giovanni e Paolo, con distruzioni nei reparti e diverse vittime tra i ricoverati! Certo, quei primi bombardamenti aerei erano soprattutto simbolici se confrontati con i bombardamenti a tappeto, tremendi, drammatici, della seconda guerra mondiale. Le Anno 26, numero 45 bombe anche di notevoli dimensioni e le incendiarie, provocavano comunque danni distruggendo abitazioni, depositi, fabbriche, e sempre causando vittime. La popolazione non preparata a questo tipo di attacchi ne era impressionata! Anche Mestre, importante nodo ferroviario, punto strategico delle retrovie con i suoi forti, caserme, stabilimenti militari, fabbriche, e gli hangars dei dirigibili a Campalto, viene ripetutamente bombardata con numerose vittime. Nei miei ricordi famigliari, c'è quello dello zio Paolo (cl. 1893) che durante una di quelle prime incursioni aeree, aveva visto ai Giardini, davanti al monumento di Garibaldi mentre la gente fuggiva impaurita, un Finanziere che con tutta calma estratta la pistola d'ordinanza aveva poi mirando in alto al velivolo, scaricato tutto il caricatore. Ma anche mio papà che all'epoca aveva otto anni aveva conservato nel tempo ricordi nitidissimi! Durante un allarme aereo era fuggito con la mamma e tante altre donne e bambini verso il rifugio. I rifugi erano poi semplici magazzini a piano terra, rinforzati con alcune travi e protetti da sacchetti di sabbia e coperte antischegge imbottite di alghe. Nella corsa concitata aveva sentito netta la voce dell'ufficiale che in alto sull'altana dava gli ordini. Mirate! Fuoco! Poi la scarica potente di quaranta fucili che sparavano all'unisono e subito dopo la voce urlata! A posto! Caricate! Fuoco! Sparavano così dalle numerose altane sopra i tetti di Venezia, i soldati della Milizia Territoriale e i Marinai. I Territoriali, richiamati "anziani", sparavano con il vecchio fucile a quattro colpi, il Vetterli-Vitali 1870/87. I Marinai sparavano con il mitico '91 arma allora sicuramente all'altezza, precisa ed efficace. Soltanto in tempi successivi i soldati dotati finalmente di elmetto (l'Adrian di ideazione francese), si vedono nelle foto d'epoca, manovrare anche la mitragliatrice Colt (con la quale erano armati anche i MAS). Le incursioni aeree sulla nostra città si susseguirono per tutto il conflitto e furono ben quarantadue, più volte i velivoli vennero abbattuti dal fuoco contraereo, e la grande fortuna fu che moltissime bombe caddero in acqua, nei canali o in laguna. Di giorno e di notte si vegliava sulle altane e nel silenzio notturno le sentinelle si scambiavano alla voce la consegna "Per l'aria, buona guardia!". L'ottimo Sindaco di allora Filippo Grimani, aveva operato da subito con grande determinazione per coordinare i servizi di assistenza e di protezione nella città. Erano stati predisposti i rifugi ed evacuate o protette efficacemente tutte le opere d'arte. Pagina 11 Dopo Caporetto poi, con la minaccia incombente sulla città ( gli Austriaci "spavaldi" avevano già predisposto i timbri con la scritta VenedigKommandantur ) gran parte della popolazione era stata trasferita "profuga" in altre località lontane dal fronte (mio papà a Firenze). Tra i miei famigliari, mio nonno paterno già anziano era operaio "militarizzato" all'Arsenale dove si lavorava a ritmo continuo. Mio nonno materno di professione oste era rimasto al suo posto, credo perchè svolgeva un lavoro ritenuto utile al sostentamento della popolazione rimasta in città. Tra i miei zii, Giovanni (cl. 1898) fratello più vecchio di mia mamma, era imbarcato sulla Regia Nave Corsini e poi sulla Regia Nave Stocco (dalla R.N. Stocco venne sparata nel 1919, la cannonata che colpì la facciata del municipio di Fiume dove era alloggiato l'Imaginifico, il Comandante D'Annunzio). Guido, era uno dei famosi "Ragazzi del '99", ultima riserva di uomini che il Regio Esercito Italiano aveva messo in campo nel '17 contro il potente ImperialRegio Esercito Austro Ungarico. Arruolato in Marina e imbarcato sulla leggendaria corazzata "Andrea Doria" dopo pochi mesi era stato sbarcato e inquadrato tra i Marò del Reggimento Marina, destinato a combattere sul basso Piave e alle grave di Papadopoli. In realtà i Ragazzi del '99 non furono gli ultimi chiamati alle armi, come mi raccontava mio papà, gli ultimi precettati per la guerra furono i giovani nati entro il 1° semestre del 1900. Lo zio Paolo che ho citato all'inizio, pur essendo un giovane di "sana e robusta costituzione" non era stato fatto abile perchè un grave incidente a Anno 26, numero 45 quindici anni nel cantiere navale dove lavorava, gli aveva prodotto una grave menomazione alla mano sinistra. Dopo Caporetto però riceve la cartolina e viene subito arruolato nella Milizia Territoriale! Tra i tanti ricordi, infine, c'è quello della cara zia Rita (cl. 1889), la Santola di mio papà. La zia Rita era una brava sarta e come moltissime altre era stata precettata per fornire il vestiario necessario all'Esercito. Dobbiamo ricordare che per la massa enorme di uomini alle armi, era necessario un continuo approvvigionamento di oggetti di vestiario di ogni tipo: "Camicie, maglie, giubbe, pantaloni, fasce, berretti, mantelline, maglioni, guanti, calzettoni, passamontagna e altro". Nei locali comunali gestiti dalle "Patronesse", di solito signore della nobiltà veneziana, venivano distribuiti i tessuti, la lana, e impartite precise direttive su come confezionare il vestiario. A lavoro ultimato queste sarte, donne giovani e anziane, si presentavano dalle Patronesse per consegnare tutto quanto avevano preparato con giorni e giorni di pesante impegno e di fatiche. Era anche il sospirato momento in cui ricevevano il compenso previsto! Mio papà aveva più volte accompagnato la zia Rita aiutandola a trasportare i numerosi pacchi e involti. In quel momento però le Patronesse, con cipiglio militaresco e la massima severità sottoponevano quel vestiario ad un vero collaudo. I capi venivano controllati uno ad uno, tirati con forza, quasi strappati per verificare che le cuciture, i bottoni e tutto fosse fissato saldamente e a regola d'arte. Quello che si scuciva veniva scartato e messo da parte! Risuonavano allora i pianti e la "disperazione" di quelle sarte, specialmente le più giovani, che vedevano in un attimo vanificato tutto il loro lavoro! Geniere Alpino Sandro Vio Nella pagina a fianco, in alto, case colpite in campo Rialto Novo. In basso, Fondamenta del ferro e la birreria Spiess distrutta. (Dal volume “Il martirio di Venezia durante la Grande Guerra - vol. 1”, di G. Scarabello). Pagina 12 Anno 26, numero 45 Pagina 13 L’ A L P IN O R IC C A R DO DI G I U S TO, I L P R I M O C A D U TO Non tutti sanno che il primo soldato italiano caduto nella 1^ guerra mondiale è stato l'Alpino Riccardo Di Giusto (Udine 10 febbraio 1895 - Drenchia 24 maggio 1915), della 16^ Compagnia del Btg. Cividale dell'8° Reggimento Alpini, inquadrato nella 2^ Armata di stanza nella zona del monte Colovrat. Il 24 maggio 1915 (primo giorno di una guerra che ci costò 650.000 morti) il suo reparto alle due di notte penetrò in territorio nemico per alcune centinaia di metri sul monte Colovrat, nel comune di Drenchia (UD) che segnava il confine tra il Regno d'Italia e l'Impero AustriaUngarico. Riccardo Di Giusto, Alpino esploratore, precedeva con la sua pattuglia la colonna di Alpini che aveva il compito di occupare la cima del monte Natpriciar davanti a Tolmino, passando in silenzio per il passo Zagradan. Ma i quattordici gendarmi austriaci che presidiavano il valico, li videro ed aprirono il fuoco colpendo il Di Giusto alla nuca, dopo che il proiettile era rimbalzato sulla vanghetta metallica appesa al suo zaino. Erano le quattro del mattino. Riccardo Di Giusto morì dopo pochi istanti, avendo solo il tempo di pronunciare il nome della mamma. L'Alpino Riccardo Di Giusto è ricordato con un cippo eretto sul monte Colovrat e la sua salma dal 1923 riposa nel cimitero monumentale di Udine. Un altro monumento che ricorda il suo sacrificio si trova sul passo Solarie, dove ogni anno, la prima domenica di giugno gli Alpini rendono onore e rivolgono il loro pensiero a questo ragazzo di vent'anni, Primo Caduto Italiano della Grande Guerra. Artigliere Alpino Sandro Vescovi “Aprite le porte che passano…”. Fanfara in testa il Battaglione Alpini parte per il fronte. Edizioni Tipografiche Miani - Udine. Anno 26, numero 45 Pagina 14 Giugno 1918. “A Nervesa, a Nervesa, c’è una croce mio fratello è sepolto là io ci ho scritto su Nineto e la mamma lo ritroverà….” (foto tratta dal volume “Il Piave mormorava. Dopo cinquant’anni la verità sulla Grande Guerra”, di F. Bandini - Longanesi Editore). Anno 26, numero 45 Pagina 15 LA GUERRA SUI MONTI Il Battaglione “Val d’Intelvi” sale al Passo Brizio quale truppa di rincalzo. Sullo sfondo la parete nord dell’Adamello (foto Bonacossa). Dal libro “Guerra bianca” di Robbiati/Viazzi, Mursia Editore. Anno 26, numero 45 Pagina 16 1917, sul Monte Santo la bandiera del 43° Rgt. Fanteria della Brigata Forlì. (Da “La nostra guerra 1915 1918 nel cinquantenario” - ed. Touring Club Italiano). Estate del 1916. Alpini sulla Tofana III. Anno 26, numero 45 Pagina 17 S TO R I A D E L B A T TA G L I O N E A L P IN I A O S TA “C H 'A CO US TA LON CH 'A CO U S TA, VIVA L'AO U S TA! ” Ho pensato per il centenario della nostra entrata in guerra di scrivere anno per anno, con un breve cenno sulla formazione e la storia prebellica, le vicende di un battaglione alpino. Ho scelto il battaglione "Aosta" per il fatto che fu uno dei battaglioni che, tranne in Dolomiti, praticamente fu presente lungo tutto il nostro fronte: Globocak, Jeza, Sleme, Vrata, Vrsic, Stelvio, Scorluzzo, Adamello, Zugna, Pasubio, Vodice, Solaroli, Fontana Secca, Palòn. Nel brano che segue illustrerò le vicende del battaglione nell'anno 1915, dal 24 maggio al 31 dicembre. Nei prossimi tre anni ricorderò le imprese dell'Aosta di cento anni prima. Nel 1873 in Aosta vi era una 8a Compagnia Alpina dipendente dal distretto di Torino. Nell'82 vi era un Battaglione "Val d'Aosta" del 6° Reggimento; nell'85 il battaglione passava al 4° Reggimento; due anni dopo perse il nome di "Valle" e divenne "Aosta", con 3 compagnie: 41a, 42a e 43a. Partecipò nel '96 alla Guerra d'Africa. Nel 1915 aveva 2 compagnie in più: la 87a e la 103a, passate poi al Battaglione Monte Cervino quando fu formato. E 2 sezioni mitragliatrici! Pensate, 4 armi per 5 compagnie! Subito varcò il confine ed occupò il Globocak, monte di circa 800 metri. Di lì fu spostato nella zona di Tolmino e Caporetto; poi fu di rincalzo al 5° Bersaglieri sullo Jeza. Infine, nella zona di Monte Nero, sotto il Vrata, la 42a compagnia Anno 26, numero 45 attaccò le trincee di quota 1270, conquistandole. Ai primi di luglio fu sullo Sleme assieme ai battaglioni "Intra" e "Val Toce" del 4°. Dieci giorni di riposo e salì sul Vrata donde infruttuosamente tentò la conquista del Lemez. Qui cadde il suo primo ufficiale, un Sottotenente romano della 42a. Il battaglione tornò al Vrata e poi a riposo a Ravna. Fino a questo momento ebbe 15 caduti e 114 feriti. E siamo così giunti all'agosto 1915, quando la 43a e la 103a furono inviate a Monte Nero a rincalzo della Brigata Emilia; poi tutto il battaglione presidiò il Vrsic, già in parte nostro: gli AU tenevano la parte settentrionale della cresta. L'incarico era quello di sorvegliare e di cercare di demoralizzare il nemico con una continua attività di disturbo. A ferragosto vi fu la prima azione: la 42a, con 150 uomini, attaccò a fondo la trinceaosservatorio austriaca, conquistandola con largo bottino di armi e materiali. Purtroppo ebbe un centinaio di morti e feriti, tra cui due Sottotenenti. Tentativi di riconquista furono fatti, senza esito però. La stessa cosa avvenne per i nostri tentativi di avanzata verso le nuove posizioni austriache. Arriviamo così al 13 settembre, data in cui una nostra pattuglia salì la parete di un contrafforte tra il Vrata e il Vrsic. Un Caporalmaggiore, tale Revel, scalò da solo la parete portando una corda per aiutare poi i compagni. Arrivato poco sotto la trincea avversaria, prese di mira la sentinella e la uccise. Un altro austriaco, affacciatosi al parapetto, venne colpito dal '91 di Revel. Un terzo fu afferrato e lanciato nel vuoto dal caporale. La pattuglia, ringalluzzita, con un poderoso "Savoia", scalò gli ultimi metri di parete e fece sgombrare gli AU dalla posizione. Tre medaglie d'argento al valore furono concesse per questa operazione. Altri attacchi furono tentati tra il 20 e il 21 ottobre e tra l'11 e il 12 novembre con ampio spargimento di sangue, ma senza apprezzabili risultati. Si giunse così all'inizio dell'inverno con la situazione immutata. Forti nevicate resero impossibile ogni operazione. Solo le pattuglie si mossero faticosamente in perlustrazione. Da ricordare che il 15 settembre giunse il nuovo comandante del battaglione a sostituire il Maggiore Dalmasso: il Maggiore Ernesto Umberto Testa Fochi, che doveva legare il suo nome a tante pagine gloriose dell' "Aosta". Ma qui mi fermo. La storia del battaglione continuerà l'anno prossimo, analizzando gli avvenimenti del 1916. Socio Aggregato Marino Michieli Pagina 18 Sei Alpini resistono per cinque ore a più di duecento austriaci, Disegno di A. Beltrame tratto da “La Domenica del Corriere”, luglio 1915. Direzione de “L’Alpino” A.N.A. - Milano Anno 26, numero 45 Pagina 19 “ I G A R I BA L D I N I Ricciotti Garibaldi (1847 1924) patriota e soldato, figlio di Anita e Giuseppe Garibaldi, ebbe otto figli. Un'unica figlia femmina Anita Italia e sette figli maschi: Peppino, Ricciotti jr., Menotti jr., Sante, Bruno, Costante, Ezio. Peppino Garibaldi (1879 1950) allo scoppio della prima guerra mondiale, forte della tradizione famigliare, sull'esempio del nonno e del padre, nell'autunno del 1914 a Parigi da vita alla Legione Garibaldina. Al suo appello accorrono con entusiasmo molti giovani italiani, repubblicani, Mazziniani, sindacalisti, e anche veterani delle numerose spedizioni garibaldine effettuate in ogni area del mondo in difesa dei popoli oppressi. Con 57 ufficiali e circa 2.100 uomini di truppa, molti dei quali emigrati già residenti in Francia, viene formato un reggimento incorporato nella Legione Straniera, denominato IV° Reggimento di Marcia. I volontari indossano l'uniforme tipica della Legione Straniera, ma portano la camicia rossa sotto la giubba! Dopo un rapido addestramento a Montelimar , Nimes e Mòntboucher, la Legione Garibaldina viene trasferita l'11 novembre a Mailly, dove il Tenente Colonnello Peppino Garibaldi Anno 26, numero 45 DELLE A RG O N N E ” ne assume formalmente il comando. I Garibaldini inviati al fronte nella foresta delle Argonne, compiono numerose azioni di pattuglia e temerari colpi di mano, fino al 26 dicembre 1914 quando a Belle Etoile nei pressi di Bois de Bolante, ingaggiano una sanguinosa battaglia e vincono! Nello scontro cade uno dei fratelli, il Sottotenente Bruno Garibaldi (1889 - 1914). Il 5 gennaio 1915 a Four de Paris, sostengono un altro duro combattimento e subiscono gravi perdite. Muore in battaglia anche Costante Garibaldi (1892 - 1915), Sergente dei Garibaldini. La Legione Garibaldina ebbe trecento Caduti, quattrocento feriti, e molti ammalati a causa della durissima vita di trincea. Tra gli ufficiali caduti vengono anche ricordati: il Tenente Lamberto Duranti, il Tenente Gregorio Trombetta, il Sottotenente Paolo Muracciole, il Sottotenente Marino Pasquale. Il 6 marzo 1915, la Legione, data la mobilitazione generale tacitamente già iniziata in Italia, viene disciolta e il IV° Reggimento di Marcia rientra al deposito di Avignone. Tutti i Volontari Garibaldini fanno ritorno in Italia per arruolarsi nel Regio Esercito. Nel maggio 1915 su "Il Gazzettino" compare un trafiletto dove si comunica che: "Quasi sicuramente agli ufficiali della Legione Garibaldina verrà mantenuto il grado acquisito nell'esercito francese". Molti dei Garibaldini in Italia vengono incorporati nella Brigata "Alpi" (51° e 52° Rgt. Fanteria) dove sotto la giubba grigioverde continuano orgogliosamente ad indossare la camicia rossa! Peppino Garibaldi assume come Colonnello il comando di uno dei Reggimenti della Brigata "Alpi" e nel 1918 ritorna in Francia con la Brigata inserita nel Corpo di Spedizione Italiano. A fine guerra viene congedato con il grado di Generale di Brigata. Il Garibaldino Lazzaro Ponticelli, emigrato in Francia e volontario all'epoca sedicenne, negli anni trenta diventa cittadino francese. E' ricordato in Francia come le Dernier Poilu (l'ultimo Fante), l'ultimo dei veterani della Grande Guerra. Al suo funerale avvenuto in anni recenti, erano presenti ufficiali superiori della Legione Straniera e anche degli Alpini, Pagina 20 perchè Lazzaro (Lazar) una volta rientrato in Italia era stato arruolato negli Alpini. Altro giovanissimo Volontario Garibaldino, anche lui sedicenne, era stato lo scrittore Curzio Malaparte (Kurt Erich Suckert). Al cimitero italiano di Bligny, una stele in marmo e bronzo, è dedicata al sacrificio dei volontari italiani, Garibaldini delle Argonne! Geniere Alpino Sandro Vio Primo a destra, Luigi Bravin (classe 1892, fratello della nonna paterna di Giovanni Dal Maschio) negli anni ‘30 a Caprera, alla tomba di Garibaldi, con i commilitoni della Brigata “Alpi”. Anno 26, numero 45 Pagina 21 LA G U E R R A S U L M AR E La corazzata austriaca “Santo Stefano” affonda, colpita dal M.A.S. 15 del comandante Luigi Rizzo, decorato con 2 medaglie d’oro al valor militare (Da “La nostra guerra 1915 - 1918 nel cinquantenario” - ed. Touring Club Italiano). Anno 26, numero 45 Pagina 22 Una squadriglia di M.A.S. (motoscafi armati siluranti); piccole imbarcazioni militari utilizzate come mezzo d’assalto veloce dalla Regia Marina durante la prima e seconda guerra mondiale, in alcuni casi assumevano la denominazione di “motobarca armata SVAN” dal nome del cantiere veneziano che li produceva. Fondamentalmente si trattava di motoscafi da 20 - 30 tonnellate di dislocamento (a seconda della classe) con una decina di uomini di equipaggio ed armamento costituito da due siluri ed alcune bombe di profondità, oltre ad una mitragliatrice o un cannoncino. Erano dotati di motori entro-fuoribordo a benzina, a combustione interna, di grande potenza ed efficacia. (Da “La nostra guerra 1915 - 1918 nel cinquantenario” - ed. Touring Club Italiano). Dettaglio del cannoncino di un M.A.S., da “La Lettura” (rivista mensile del Corriere della Sera) del 1° gennaio 1917. Anno 26, numero 45 Pagina 23 L E P O RTA T R I C I C A R N I C H E , SUI MONTI C O N C O R AG G I O Le Portatrici Carniche erano quelle donne che nel corso della prima guerra mondiale operarono lungo il fronte della Carnia, trasportando con le loro gerle rifornimenti, materiali e munizioni fino alle prime linee italiane, dove molto spesso combattevano i loro uomini nei reparti alpini. Le portatrici erano dotate di un libretto personale con numero di matricola dove venivano registrati i trasporti effettuati e portavano un bracciale rosso con il numero del reparto. Potevano essere chiamate in qualsiasi momento, sia di giorno che di notte, per partire con le loro gerle ed il peso di trenta, quaranta chili, e dover affrontare anche mille metri di dislivello per raggiungere le linee italiane. Ogni viaggio veniva retribuito con una lira e cinquanta centesimi (euro 3,50 di oggi) e molte volte nel viaggio di ritorno, le portatrici trasportavano i feriti con le barelle ed anche i morti che poi loro stesse seppellivano nel cimitero militare di Timau. Nelle emergenze venivano affiancate nel loro compito anche dai vecchi e dai bambini. La loro missione iniziò nell'agosto del 1915 e finì nell'ottobre del 1917 e più di mille donne (1.454) dai quindici ai sessant'anni, prestarono servizio sul fronte carnico provenendo da tutti i paesi della zona. Le più numerose venivano da Paluzza (223 portatrici) e Paularo (229) e tre di loro rimasero ferite: Maria Muser Olivotto e Maria Silverio Matiz di Timau e Rosalia Primus di Cleulis. Il 15 febbraio 1916, la portatrice Maria Plozner Mentil morì in servizio colpita da un cecchino austriaco al Malpasso di Pramo- sio sopra Timau, mentre con la sua gerla stava trasportando i rifornimenti per i nostri soldati. Si era fermata un istante per prendere fiato, aveva trentadue anni e a casa la stavano aspettando quattro piccoli bimbi. Il marito era lontano, al fronte sul Carso, Fante del 9° Reggimento della Brigata "Regina". Durante il funerale a Maria vennero tributati gli onori militari. Nel 1997 il Presidente Oscar Luigi Scalfaro concesse a Maria Plozner Mentil la medaglia d'Oro al Valor Militare e la croce di Cavaliere alle portatrici reduci. Un monumento dedicato a Maria Plozner Mentil ed alle Portatrici Carniche è stato eretto nel 1992 a Timau nell'Alto But ed un altro si trova nell'Agro Pontino vicino Latina, dove si trova una numerosa comunità friulana. La salma di Maria Plozner Mentil riposa nel tempio ossario di Timau ed a Lei è stata intitolata una caserma della "Julia" a Paluzza (unica donna italiana ad avere questo onore). Anche la Batteria Comando e Supporto Logistico del 3° Reggimento Artiglieria (terrestre) da Montagna porta il suo nome. Artigliere alpino Sandro Vescovi Un gruppo di portatrici carniche. Coraggiose ed infaticabili, trasportavano in prima linea le loro gerle cariche di rifornimenti. Musei Provinciali di Gorizia. Anno 26, numero 45 Pagina 24 C R I S TA L LI D I ROC C I A ( BR E VI NOT IZ I E S UL L ’ AT T UAL ITA ’ D E L G RUP P O ) ULTIME INIZIATIVE NEL CAMPO DELLA SOLIDARIETA’ Libro verde ANA - consuntivo 2014: anche quest’anno il Gruppo Alpini “Sten. Giacinto Agostini” figura all’interno del paragrafo dedicato alla Sezione di Venezia nel novero dei sodalizi alpini che hanno contribuito a rendere possibili iniziative nel campo della solidarietà. Complessivamente, nel corso dell’anno 2014 i soci hanno donato circa centossessanta ore e contributi economici per alcune centinaia di euro ad iniziative di volontariato. Anche quest’anno il Gruppo ha deciso devolvere un contributo economico in favore della Benemerita Associazione “Via di Natale” Onlus di Pordenone, che si occupa sia di promuovere e sostenere programmi di studio, ricerca scientifica, istruzione e diffusione delle conoscenze nel campo della salute e della cura alle patologie oncologiche in particolare, sia di gestire la struttura “Casa Via di Natale” presso il Centro Oncologico di Aviano, destinata ad accogliere i malati con i loro familiari in assistenza. PROSSIMI PELLEGRINAGGIO AL COL DI LANA E RIEVOCAZIONE STORICA SULLE 5 TORRI Domenica 2 agosto, come ogni anno, vi sarà il pellegrinaggio alla cima del Col di Lana, al quale parteciperanno alpini e kaiserjaeger e una folta rappresentanza di eugubini, in quanto la Brigata Alpi era in prevalenza formata da giovani di Gubbio. Sarà celebrata la Messa in cima. normalmente officiata dal vescovo di Belluno e funzionerà un posto di ristoro gestito dagli Alpini della Sezione di Livinallongo del Col di Lana. Sabato e domenica 8 e 9 agosto vi sarà la consueta rievocazione storica alle 5 Torri, alla quale parteciperanno fanti, bersaglieri, alpini, kaiserjaeger e soldati tedeschi in divisa della Prima Guerra Mondiale. Sparerà a salve anche il cannone da 75 mm in bronzo che ha fatto la guerra di Libia. Orario dalle 9 alle 16; consigliato il pranzo al sacco, oppure nei vari rifugi a valle dove parte la seggiovia o in quota. DEVOLVI IL TUO 5 PER MILLE ALL’ANA VENEZIA ONLUS Destina anche tu il tuo 5 per mille dell’Irpef all’Associazione denominata ANA Venezia Onlus!! SE VUOI SE DESIDERI SE VUOI sostenere le attività del Nucleo di Protezione Civile della Sezione di Venezia nei suoi interventi in Italia e all’estero supportare le attività di volontariato, di beneficenza e gli interventi preventivi volti al riassetto ambientale e recupero del territorio contribuire alla tutela ed alla valorizzazione dei manufatti storici legati alla storia ed alle tradizioni degli Alpini Si porta a conoscenza dei soci che, come ogni anno, in linea con i provvedimenti in materia di legislazione finanziaria, è possibile destinare, oltre all’8 per mille (allo Stato, alla Chiesa Cattolica, ecc.) un ulteriore 5 per mille dell’Irpef all’Associazione denominata ANA Venezia Onlus, pienamente titolata a ricevere questo tipo di contributo. Chiunque, iscritto all’ANA o anche non iscritto, può destinare questo ulteriore contributo indicando, nelle sua prossima dichiarazione dei redditi, il numero di codice fiscale dell’Associazione: 94072810271. Anno 26, numero 45 Pagina 25 Segreteria di redazione , grafica e impaginazione Comunichiamo a tutti i nostri Soci che presso la Segreteria del Gruppo sono già a disposizione i bollini relativi all’anno sociale 2015, con le seguenti, invariate quote: Alvise Romanelli Comitato di Redazione Sandro Vio, Alvise Romanelli, Sandro Vescovi, Marino Michieli, Vittorio Casagrande e Giovanni Prospero. Soci Alpini Soci Aggregati € 28,00 € 28,00 Rinnovando la propria iscrizione al più presto non si incorrerà nel rischio di una spiacevole interruzione dell’abbonamento alle riviste “L’Alpino” e “Quota Zero”. Redatto e stampato INDICE Ricordiamo che “Il Mulo” è il notiziario di tutti i Soci del Gruppo di Venezia, pertanto ogni Socio Alpino ed ogni Socio Aggregato (Amico degli Alpini) è calorosamente invitato a collaborare per la realizzazione del giornale: saremo ben lieti di pubblicare le Vostre storie o le Vostre fotografie. “Maggio 1915, l’Italia entra in guerra” (P. Monelli) pag. 1 “La nostra preparazione per il primo conflitto” (M. Michieli) pag. 8 “La guerra nei cieli” pag. 10 “El vintiquatro magio, la guera è dichiarata” (S. Vio) pag. 11 “L’alpino Riccardo Giusto, il primo caduto” (S. Vescovi) pag. 14 “La guerra sui monti” pag. 16 “Storia del Battaglione Alpini Aosta” (M. Michieli) pag. 18 “I Garibaldini delle Argonne” (S. Vio) pag. 20 “La guerra sul mare” pag. 22 “Le portatrici carniche ” (S. Vescovi) pag. 24 Cristalli di roccia - notizie sull’attualità del Gruppo pag. 25 P RO S S I M I A P P U N TA M E N T I Raccomandiamo ai nostri Soci di partecipare alla vita associativa ed alle manifestazioni programmate: Domenica 31 maggio 2015: a Tessera (VE), presso il Forte Bazzera, terza edizione del Family Day sezionale. Martedì 2 giugno 2015: a Venezia, in occasione della Festa della Repubblica, alzabandiera solenne in p.zza San Marco, in collaborazione con il Comitato di Coordinamento delle Associazioni d’Arma di Venezia. Domenica 14 giugno 2015: a Conegliano (TV), Raduno Triveneto delle Sezioni del 3° Raggruppamento. Associazione Nazionale Alpini - Sezione di Venezia Gruppo Alpini di Venezia "S. Ten. Giacinto Agostini" San Marco, n° 1260 - 30124 Venezia (VE) Tel./fax: 041. 5237854