Poste Italiane SpA – Spedizione in abbonamento postale 70% – CN/BO – Bimestrale n. 1/2015 – anno XXIV/BO - € 2,00 gennaio/febbraio 2015 Kavakos, Gutman, Hagen Quartett: grandi maestri salutano il 2015 MICO inaugura la X edizione fra Resistenza e avanguardia Il Quartetto Prometeo fra i classici e una prima assoluta di D’Amico SOMMARIO n. 1 gennaio - febbraio 2015 Musica a Bologna - I programmi di Musica Insieme Editoriale Grazie dei fior… di Fabrizio Festa Note d’ascolto: la parola all’abbonato Gli amici di Invito alla Musica Baudelaire: I Fiori del male Il trionfo della cultura di Fulvia de Colle 11 14 16 Musica Insieme in Ateneo 18 MICO 20 In viaggio nel tempo di Elisabetta Collina Musica resistente di Vania Pedrotto Interviste Enrico Pace di Valentina De Ieso Natalia Gutman di Alessandro Di Marco Quartetto Prometeo di Cristina Fossati 22 24 26 Il profilo 28 I luoghi della musica Dediche brahmsiane di Maria Pace Marzocchi 30 Il calendario 33 Per leggere 50 Igor’ Fëdorovič Stravinskij di Anastasia Miro I concerti gennaio / febbraio 2015 I punti di vista di Brunello, Griffiths e Sabbadini di Chiara Sirk Da ascoltare Note italiane: Perrotta, Chiesa e gli Astrusi di Piero Mioli 52 In copertina: Quartetto Prometeo (foto di RibaltaLuce Studio) 8 MI MUSICA INSIEME EDITORIALE GRAZIE DEI FIOR… Alexander Romanovsky al piano in un momento di Baudelaire: I fiori del male Che leggendo Baudelaire si potesse fare il tutto esaurito era davvero un risultato imprevedibile. Eppure è andata proprio così. Nicola Muschitiello e Alexander Romanovsky hanno non solo ottenuto un meritatissimo successo, ma hanno dimostrato che arte e cultura sono un patrimonio ampiamente condiviso. Condiviso tra le generazioni (tutte presenti nell’Unipol Auditorium); condiviso indipendentemente dal proprio percorso di studi e di formazione; condiviso soprattutto perché non si vive di solo pane. Che sia così lo testimonia il fatto che a condividere questo progetto è stato anche uno sponsor, Gruppo Unipol appunto, dimostratosi a sua volta sensibilissimo verso una tematica culturale ed un progetto artistico fuori dal comune e che a Bologna non aveva precedenti. Musica Insieme – così com’era accaduto quest’estate con il Varignana Music Festival – non ha scommesso. Non si tratta di un tiro di dadi. E neppure di una sfida: non è in corso una singolar tenzone o una qualsivoglia competizione. Al contrario, l’impegno dell’operatore culturale si misura anche dal grado di sensibilità che dimostra nell’intuire in quale direzione può spingersi, quale itinerario prendere, sempre senza derogare dalle sue convinzioni. Pensiero strategico e coerenza vanno di pari passo. E il pubblico anche in queste occasioni ha dimostrato quanto fosse non solo disponibile ad affrontare iniziative del tutto nuove, ma anche quanto gradisse che tali novità fossero proiettate per così dire in avanti. C’è voglia di fare nuove scoperte, di guardarsi attorno, e, dicia- molo pure, d’imparare, di apprendere, di capire: un percorso questo che pubblico ed operatore culturale fanno camminando insieme. Così eccoci ora all’inizio del 2015 con la decima edizione di MICO – Musica Insieme COntemporanea. La nostra rassegna, tre appuntamenti della quale vanno ad arricchire il programma di “Resistenza Illuminata”, il progetto dedicato a Luigi Nono nei settant’anni dalla Resistenza, segue il filo proprio di quella memoria. Non per caso si apre col Quatuor di Messiaen, pagina composta nel lager di Görlitz, e si chiude con Un sopravvissuto di Varsavia di Schoenberg, la musica dei nostri giorni legata, come nelle scorse edizioni, a quella del passato in un affascinante scambio tra rami e radici. Poi ci sono i nostri concerti, quelli della stagione principale, concerti che, per programmi ed interpreti, s’inseriscono coerentemente nel percorso che abbiamo poc’anzi delineato. Dal 19 di gennaio riprenderanno al Manzoni: primi sotto i riflettori il violinista Leonidas Kavakos con il suo fidato compagno di strada, il pianista Enrico Pace. Il 26 ecco l’attesissimo ritorno di Natalia Gutman, la grande violoncellista russa dedicando il suo concerto alla memoria di Svjatoslav Richter, dedica per noi tanto più gradita, ché Richter lo avemmo ospite in stagione per due indimenticabili recital. Il 9 febbraio un debutto: quello del nuovo lavoro di Matteo D’Amico, su un testo di Sandro Cappelletto ispirato al Vangelo secondo Gesù di José Saramago. Infine, il 23 in scena ci sarà il Quartetto Hagen, per il quale non ci sono più aggettivi che possano definirlo. Fabrizio Festa NOTE D’ASCOLTO: LA PAROLA ALL’ABBONATO PATRIZIA COCCHI - DARIO LODI - SILVANO LODI Un Invito lungo 12 anni Ci parlano del loro legame con la rassegna Invito alla Musica tre amici di Musica Insieme, professionisti da sempre attivi nella promozione culturale, e con noi fin dall’inizio di quella che si è rivelata un’avventura pionieristica e di successo T re amici di lunga data per Musica Insieme, tre professionisti assai attivi nella promozione culturale come nel tessuto civile: Patrizia Cocchi, un impiego pubblico a San Lazzaro e un forte impegno per il volontariato sociale; Dario Lodi, residente a San Pietro in Casale ma da sempre attivo a Bologna, per vent’anni dirigente nel settore privato, e poi nel mondo cooperativo e nel pubblico; Silvano Lodi, la cui lunga esperienza professionale lo ha visto fra l’altro alla guida per una decina d’anni del Teatro “Borgatti” di Cento. Il polso del territorio, la capacità di coinvolgere, unire e comunicare hanno fatto di loro (come di altri amici che per limiti di spazio non citiamo, ma la cui collaborazione non è meno preziosa) degli alleati speciali per “Invito alla Musica”, la rassegna che da ormai dodici anni porta a concerto circa trecento abbonati, con un servizio pullman gratuito che si snoda su ben sette linee. Con noi sin dal principio di questa avventura, abbiamo chiesto loro di raccontarci questa esperienza. Come ha conosciuto Musica Insieme e com’è nato il suo impegno per “Invito alla Musica”? Patrizia Cocchi: «Quando Musica Insieme mi espose il suo progetto e mi propose di seguire l’area in cui sono più radicata (San Lazzaro, Ozzano, Castel San Pietro Terme) ne fui molto lusingata e pensai fosse una grande opportunità che veniva offerta a chi ama la musica classica. Vivere in provincia presenta tanti aspetti positivi ma, se si vuole partecipare ad un evento in città, tutto diventa più difficile. L’inverno, il buio e la difficoltà di parcheggio possono diventare ostacoli insormontabili. Eludendo questi problemi molte persone hanno potuto par14 MI MUSICA INSIEME tecipare con entusiasmo alle stagioni di Musica Insieme». Dario Lodi: «Posso far risalire la mia frequentazione concertistica a molti decenni addietro, quando ancora il Teatro Comunale rappresentava il principale operatore musicale cittadino, occupandosi della lirica come della sinfonica e della cameristica (ricordo i concerti ‘storici’ di Rubinstein, Michelangeli, Cortot, Menuhin, Milstein). Quando poi, quasi 30 anni fa, Musica Insieme ha intrapreso la sua attività, gradualmente si è sostituita al Teatro nella programmazione cameristica cittadina. Da sempre ho promosso Musica Insieme presso gli amici come presso le aziende dove operavo, e nel caso di “Invito alla Musica” si è trattato di un processo ancor più spontaneo». Silvano Lodi: «Propormi di parlare di “Invito alla Musica”, direbbe qualcuno, è come invitare un’oca a bere: lo faccio volentieri in quanto condivido l’operato di Musica Insieme con questa proposta. Non a caso sono presente dal primo anno, fin da quando le telecamere RAI documentavano l’arrivo dei pullman per il primo concerto di “Invito alla Musica”. La mia formazione musicale, basata come quella di tanti sull’ascolto dei dischi, si intona benissimo con la programmazione portata avanti in questi dodici anni. In più, nelle mie valutazioni sul versante organizzativo ha un peso anche l’esperienza di gestione del Teatro “Borgatti” di Cento, che mi fa comprendere particolarmente bene le difficoltà insite in una tale attività, peraltro messa in campo in un modo del tutto innovativo». La proposta di “Invito alla Musica” è stata pionieristica: ricorda le reazioni dei suoi interlocutori al primo ‘lancio’ dell’idea di Musica Insieme? Patrizia Cocchi: «Quando cominciai a divulgare questa brillante iniziativa subito colsi notevole interesse e fin dall’inizio vi furono parecchie adesioni. La maggior parte di queste persone sono tutt’ora abbonate. Ad Ozzano dell’Emilia vi è anche una Scuola di musica e questo ha permesso di trovare un’area fertile per il tipo di musica proposta». Dario Lodi: «La provincia ha sempre seguito le attività culturali del centro cittadino, e dare al pubblico la possibilità di venire a concerto con le agevolazioni che propone Musica Insieme è stato tanto più apprezzato. Difficilmente il pubblico di “Invito alla Musica” potrebbe partecipare ai concerti senza il servizio pullman, quindi la reazione è stata più che positiva». Silvano Lodi: «Curiosità per l’iniziativa del tutto originale, che coinvolgeva una platea ampia come non mai, e per il tipo di risposta del pubblico, sia come numeri che come tipologia. Il giudizio fu positivo per entrambi gli aspetti. Ricordo gente soddisfatta e senza pregiudizi, che sottolineava anzi gli aspetti positivi dell’iniziativa, dalla qualità artistica della proposta alla comodità del servizio». Se dovesse fare un’istantanea, come descriverebbe il pubblico di “Invito alla Musica” che accompagna a concerto da oltre dieci anni? Patrizia Cocchi: «Chi segue “Invito alla Musica” fa parte di un pubblico affezionato. Poi, com’è naturale, ogni anno vi è qualche defezione, ma in compenso vi sono sempre più nuove persone interessate. Ne è prova che da almeno tre anni si è reso necessario potenziare il trasporto con un secondo mezzo sulla nostra linea». Dario Lodi: «I concerti sono come una scuola, e chi partecipa a mio avviso vede ampliare non solo le proprie conoscenze, ma anche la propria sensibilità e capacità di ascolto. Al ritorno dai concerti accade perciò di scambiarsi impressioni e commenti; tuttavia sottolineo una mancanza fondamentale, quella delle recensioni sulla stampa locale, come ce n’erano una volta. L’arricchimento che ne conseguirebbe secondo me è prezioso». Silvano Lodi: «Mi ritrovo in una compagnia di persone che sento molto vicine al mio modo di approcciare la musica, a volte più disponibile a volte più critico. Sempre comunque portato a preferire la musica del Sette-Ottocento». A sinistra: 25 giugno 2012, Lang Lang ringrazia il pubblico dopo un applauditissimo recital al Manzoni. Sopra: i pullman raccolgono i passeggeri all’uscita di un concerto di “Invito alla Musica” (foto di Maurizio Guermandi) Ritiene inoltre che in questi anni il pubblico di “Invito alla Musica” sia cambiato, e magari in qualche modo ‘cresciuto’? Patrizia Cocchi: «Direi che il pubblico sia cresciuto soprattutto per le aspettative d’ascolto. Negli anni è diventato più colto, raffinato ed esigente. A fine stagione gli abbonati attendono con curiosità le proposte per la stagione successiva e sempre colgo grande approvazione». Dario Lodi: «Negli anni siamo aumentati di numero ed è avvenuta di certo qualche selezione, con l’avvicinamento di un pubblico più giovane, tutte persone che grazie alla proposta di Musica Insieme possono assistere ai concerti dei principali protagonisti del panorama internazionale. È innegabile infatti che l’ascolto di musica riprodotta non sia nemmeno lontanamente paragonabile all’esperienza d’ascolto di un concerto dal vivo». Silvano Lodi: «Cresciuto, certamente: nella consapevolezza di quello che va cercando, nell’approccio a un’offerta che richiede un’attenzione e una documentazione che qualche volta può andare oltre la presentazione prima dell’esecuzione». L’accostamento ai concerti da parte di chi deve ‘guadagnarseli’ affrontando diverse decine di chilometri per raggiungere il teatro è diverso da chi abita nel centro del capoluogo: come vede la situazione di “domanda e offerta musicale” nel territorio bolognese? Patrizia Cocchi: «Storicamente Bologna ha da sempre avuto un rapporto privilegiato con le sette note, tanto da essere stata eletta dall’Unesco “Città creativa della Musica”. Bologna è città cosmopolita e provinciale, ma pronta ad acco- gliere tutto quanto abbia sapore di vera innovazione. In questa città ovunque vi è musica: da ascoltare e da suonare. Di qualsiasi genere. Oltre alle stagioni di musica da camera, classica e lirica sono presenti diverse associazioni, circoli, scuole di musica, cori… Come non ricordare il Conservatorio intitolato a Padre Martini. La folta schiera di cantautori che hanno fatto scuola. Senza togliere niente a nessuno, ne ricordo solo uno: Lucio Dalla. La musica è di casa a Bologna, ed è naturale vi sia una variegata e sofisticata domanda musicale a cui corrisponde un’adeguata offerta». Dario Lodi: «Come ho sottolineato poc’anzi, il Comunale per diversi decenni ha ‘coperto’ l’offerta musicale cittadina e non solo, richiamando dalla provincia il pubblico, ovvero diffondendo la musica nel territorio, come accadeva negli anni Sessanta e Settanta con l’Orchestra che ‘circuitava’ nei comuni della provincia. Con “Invito alla Musica” si è svolto in un certo senso il processo inverso, facendo invece venire in centro la provincia, il che a mio avviso è ancora più naturale». Silvano Lodi: «Ritengo che chi vive fuori dal capoluogo sia svantaggiato nell’approccio a proposte che hanno bisogno di chiavi di lettura un po’ più articolate del solito. Crisi permettendo ci sarebbe una maggiore tendenza a valorizzare un qualche tipo di musica, anche se in questo senso la musica classica non è sempre privilegiata. Il problema è che la classica sarebbe quella che richiederebbe una maggiore continuità di frequentazione». C’è un concerto o una serata che ha lasciato in lei un ricordo speciale? Patrizia Cocchi: «Per quanto mi riguarda, la musica è il termometro del mio benessere: quando ascolto musica vuol dire che sto bene, quando la vita presenta aspetti un po’ grigi o neri tutto tace. Se poi si ha l’occasione di assistere ad un concerto con la levatura degli interpreti proposti da Musica Insieme e si è in sintonia con se stessi, allora diventa una serata stupenda». Dario Lodi: «Ne potrei ricordare persino troppi! Sicuramente il leggendario doppio concerto di Kissin, che dopo aver concluso il suo recital ne ha fatto un altro solo di bis… e poi i ‘nostri’ violoncellisti Brunello e Sollima». Silvano Lodi: «Il concerto di Lang Lang di alcuni anni fa mi porta a ricordare l’esternazione di uno spettatore che, al culmine dell’entusiasmo per quanto stava ascoltando, mentre il pianista stava dando fondo a una lunga serie di bis, disse ad alta voce: “Anche se suona Fra’ Martino campanaro io resto qui!”». MI MUSICA INSIEME 15 BAUDELAIRE: I FIORI DEL MALE Il trionfo della cultura Ha registrato il tutto esaurito la rassegna realizzata da Musica Insieme e Gruppo Unipol, 5 concerti di poesia e musica accolti da un pubblico con il fiato sospeso di Fulvia de Colle Q uando il 28 novembre scorso le luci si sono spente sulle parole finali della “Morte degli artisti”, che Baudelaire pose emblematicamente quale ultima poesia dei Fiori del male, il silenzio quasi palpabile della sala ha lasciato impressa indelebile in chi c’era una sensazione: forse c’è davvero bisogno di sprofondare a volte, in questa nostra esistenza affrettata e censurata, in pensieri e sentimenti contrastanti, che possono incantare ma anche far male, incatenandoci nell’ascolto di versi, come quelli di Baudelaire, che ci ricordano la grandezza e la sofferenza dell’essere umani. La formula era semplice, ovvero asciugata sino all’essenziale: la lettura, non da parte di un attore ‘di grido’ ma da parte del poeta e traduttore italiano oggi più accreditato di Baudelaire, e la musica – il pianoforte solo sul palco accanto al ritratto di Baudelaire – affidata a un interprete che ha fatto dell’approfondita conoscenza e di un’accurata, mai banale scelta del repertorio, le proprie cifre stilistiche, arrivando ad appena trent’anni ad essere considerato uno dei più acclamati pianisti dell’oggi. Alexander Romanovsky e Nicola Muschitiello, l’idea di Bruno Borsari di proporre per la prima volta nel panorama europeo la lettura integrale dei Fiori del male accostata alle musiche più affini al loro Autore, l’hanno accolta con l’umiltà e la professionalità di chi – citando le parole dello stesso Romanovsky – «fa ciò che sa far meglio: leggere o suonare, una cosa molto naturale». Dar vita ai versi di Baudelaire è per Muschitiello una questione quasi viscerale, per un intellettuale come lui, che ha consacrato per anni le proprie notti alla traduzione del capolavoro dell’autore francese, tanto da offrirne la prima edizione mai pubblicata in Italia (e in oltre 150 anni) che restituisce all’originale la sua struttura originaria in cento poesie più 16 MI MUSICA INSIEME un proemio, ricollocando nella posizione voluta dal loro autore anche le sei poesie che un tribunale parigino aveva condannato all’espunzione. Non a caso, la sua nuova versione dei Fiori del male, per i tipi di BUR Rizzoli, è stata salutata da Enzo Bianchi, Priore della comunità di Bose, come una versione che «dà ai Fiori di Baudelaire una lucentezza straordinaria, come se li rigenerasse nella lingua italiana». E li rende attuali anche per il lettore del XXI secolo, con una colloquialità che nasconde peraltro un lavoro intensissimo, grazie al quale Muschitiello è riuscito in un’impresa mai abbastanza decantata: restituire una raccolta poetica alla lettura (o all’ascolto) diretto, senza note esplicative, quelle note a piè di pagina, spesso necessarie, ma che sempre interrompono forzatamente l’incanto della poesia. Dar vita alle note di quegli autori, a loro volta pilastri della musica occidentale quali sono Beethoven, Chopin, Wagner, Liszt, Debussy e Skrjabin, che alle parole di Baudelaire sono legate da un’intima e mai banale corrispondenza, è stato invece il compito di un pianista come Romanovsky, che alle note non ha mai concesso la fretta della ricerca di un facile consenso, concentrando i propri studi, anche dopo la consacrazione internazionale che lo ha colto quasi bambino con la vittoria al “Busoni” del 2001, sull’approfondimento e la maturazione tecnica, stilistica, culturale. E lo ha fatto ben sapendo – come pochi a quell’età sanno capire – che un fuoco d’artificio avrebbe lasciato soltanto terra bruciata dopo di sé. «È la musica che deve parlare per me. Lei deve esplodere, non io – ha raccontato lo stesso Romanovsky in una recente intervista di Luca Baccolini per Repubblica. «All’Accademia di Imola ho studiato con Leonid Margarius, che viene dalla scuola di Horowitz. Stile asciutto, nel suonare e nel muoversi. Niente teatralità, ho imparato così. Pianisti come Rachmaninov e Horowitz li sento quasi parenti». Da parte sua, Nicola Muschitiello, voce carezzevole di chi Baudelaire lo sente a sua volta affine come un ‘parente’, mai la Sopra: l’Unipol Auditorium gremito per Baudelaire: I fiori del male. A fianco: Alexander Romanovsky al pianoforte durante la rassegna. A destra: Nicola Muschitiello in un momento della lettura del capolavoro di Baudelaire (foto di Luca Bolognese) voce tonitruante e impostata dell’attore, ha fatto propria quella che egli stesso non ha esitato a definire una “liturgia”: Baudelaire, il poeta più umano secondo la celebre definizione di Marcel Proust, ha saputo secondo Muschitiello estrarre la bellezza dal male, ed è per questo che la sua opera poetica sa ancora incantare, a tutte le età. Ecco perché, forse, un’operazione assai poco ‘popolare’ sulla carta come Baudelaire: I fiori del male ha riscosso una popolarità di proporzioni inattese anche dai suoi stessi organizzatori, richiamando per ciascuna delle cinque serate nel nuovo Unipol Auditorium un pubblico che la pur capiente sala (oltre 500 posti) recentemente inaugurata dal Gruppo Unipol non bastava ad accontentare. Decine di persone per ciascuna serata erano costrette a rinunciare, a fronte di un’affluenza che sin dall’apertura delle porte riversava in sala un pubblico di giovani e giovanissimi, orecchie aperte e cervelli pronti ad apprendere, con un’umiltà che forse molti di noi adulti abbiamo perso – o forse non siamo disposti a fermare per qualche ora il tempo per perderci nell’ascolto. Tutto questo non sarebbe stato possibile, d’altronde, senza un alleato fondamentale qual è stato il Gruppo Unipol per Musica Insieme, nella cui proposta ha saputo scommettere, mosso dall’intento di offrire alla città un momento dove fosse la cultura, e l’emozione che essa sa dare, ad essere protagonista. Grazie a Gruppo Unipol, cui si sono aggiunti il patrocinio del Comune di Bologna e dell’Università cittadina, la collaborazione di Alliance Française e di librerie Coop e il contributo della Provincia di Bologna, la città si è vista presentare una nuova e stimolante occasione culturale: e i risultati dimostrano che ha saputo coglierla. Riandando con la mente ad alcuni dei momenti più intensi ed emozionanti di questi cinque concerti di musica e poesia, ecco che in due serate la «musica lieve e appassionata» di Chopin, paragonata da Baudelaire «a un brillante uccello che volteggia sugli orrori d’un abisso», accompagnava ad esempio la lettura delle poesie appartenenti alla sezione “Spleen e Ideale” con le note della celebre Marche funèbre della Seconda Sonata. O ancora, la famosa poesia “L’invito al viaggio” (musicata già nel 1870, appena tre anni dopo la morte di Baudelaire, da Duparc e da Chabrier) dava il ‘la’ all’estatico Chiaro di luna di Beethoven, altro autore amatissimo dal Poeta, che lo considerava il primo ad aver fatto «vibrare i mondi di malinconia e disperazione insanabile come cumuli di nubi nel cielo interiore dell’uomo», riconoscendogli con ciò un’innegabile affinità elettiva con la propria opera. L’incanto della parola e quello della musica – un incanto che si richiedeva al pubblico di non interrompere con gli applausi, fino al termine di ciascuna serata – si è rinnovato infine per l’ultimo concerto, lo scorso 28 novembre, quando un crescendo ‘demoniaco’ che culminava con il Mephisto-Walzer di Liszt e le sconvolgenti “Litanie di Satana” di Baudelaire si placava nel Clair de lune di Debussy, il tempo e il respiro magicamente sospesi, per condurre poi gli spettatori nel progressivo stordimento di sensi delle poesie dedicate al “Vino”, e concludere con il combattimento fondamentale e primigenio, nella vita come nell’arte: quello fra Amore e Morte, dove il filtro che lega indissolubilmente i protagonisti del Tristano e Isotta wagneriano, e la “morte d’amore” che ne consegue, sembrano rievocare proprio il vino e la morte degli amanti baudelairiani. MI MUSICA INSIEME 17 MUSICA INSIEME IN ATENEO In viaggio nel tempo La XVIII edizione della rassegna organizzata in collaborazione con l’Ateneo bolognese conferma il proprio ruolo divulgativo, offrendo agli studenti universitari una panoramica delle epoche e dei protagonisti dell’arte dei suoni di Elisabetta Collina C Foto Roberta Tancredi on l’edizione 2014/15 Musica Insieme in Ateneo ha raggiunto la ‘maggiore età’, accompagnando da 18 anni l’esplorazione musicale degli studenti dell’Università cittadina con programmi che rendono conto delle diverse epoche e dei principali generi dell’arte dei suoni, tutti introdotti da conversazioni divulgative tenute da docenti e musicologi, e dagli stessi artisti. Dopo lo straordinario recital d’apertura che ha visto protagonista, lo scorso 25 novembre, il Quartetto di Cremona e Lawrence Dutton, giovedì 22 gennaio ecco l’appuntamento con un’artista di rara intensità interpretativa e brillantezza tecnica come Maria Perrotta, impegnata in un monumento quali sono le celebri Variazioni Goldberg di Johann Sebastian Bach. Paragonata dalla critica a Glenn Gould proprio per la perfezione stilistica nell’esecuzione delle opere del compositore tedesco, la Perrotta ha inciso ben due volte le Goldberg, ottenendo 5 Stelle dalle riviste Amadeus e Musica. Nel repertorio per archi e fiati si cimenterà poi giovedì 12 febbraio l’Orche- Maria Perrotta 18 MI MUSICA INSIEME stra da Camera del Collegium Musicum Almae Matris, compagine ufficiale dell’Università, e simbolo essa stessa del far musica in Ateneo, diretta nei decenni da Peskó, Polastri, Renzetti, Tenan, e per l’occasione sotto la guida di Roberto Pischedda, che ne è oggi maestro preparatore e direttore. Il concerto, un momento ormai tradizionale nel nostro cartellone, si svolgerà sotto il segno della serenata per archi e fiati, da Richard Strauss a Wagner ed Elgar. Giovedì 12 marzo sarà l’occasione per il debutto bolognese di un giovanissimo astro nascente del pianismo, il cinese Zhi Chao Julian Jia, aggiudicatosi nientemeno che Primo Premio, Premio della Critica e Premio del Pubblico al Concorso “Casagrande” 2014, competizione della quale Musica Insieme in Ateneo ospita da diversi anni i vincitori. Per lui un’antologia che va dal 1786 del Rondò di Mozart al 1905 della Sonatina di Ravel, in un programma che unisce virtuosismo e poesia. Il concerto finale, in collaborazione com’è ormai consuetudine con il Centro La Soffitta - Dipartimento delle Arti dell’Università di Bologna, presenterà giovedì 16 aprile un inedito quartetto di viole da gamba e violini, sulle note di Henry Purcell e Matthew Locke come del popolarissimo Michael Nyman. Dalle Fantazias seicentesche, ancora oggi modernissime, alle ‘fantasie’ che Nyman ambienta nell’Inghilterra del 1694 per la pellicola di Greenaway I misteri del giardino di Compton House, sul palco salirà il quartetto composto da Luca Giardini, Ayako Matsunaga, Francesca Chiocci e Rosita Ippolito, solisti impegnati nelle principali compagini di musica antica, dall’Accademia Bizantina al Giardino Armonico. Musica Insieme in Ateneo si realizza grazie al fondamentale contributo di Fondazione del Monte di Bologna e Ra- CALENDARIO 2015 Laboratori delle Arti /Auditorium (Piazzetta Pier Paolo Pasolini 5/b) ore 20,30 2015 giovedì 22 gennaio Maria Perrotta pianoforte 2015 giovedì 12 febbraio Orchestra da Camera del Musiche di Bach Collegium Musicum Almae Matris Roberto Pischedda direttore Musiche di R. Strauss, Wagner, Hindemith, Elgar 2015 giovedì 12 marzo Zhi Chao Julian Jia pianoforte Musiche di Mozart, Schubert, Chopin, Ravel, Liszt 2015 giovedì 16 aprile Luca Giardini, Ayako Matsunaga violino Francesca Chiocci, Rosita Ippolito viola da braccio e da gamba Musiche di Purcell, Nyman, Locke in collaborazione con Centro La Soffitta – Dipartimento delle Arti venna, cui si aggiunge la partnership tecnica di SOS Graphics, e il sostegno di Cassa di Risparmio in Bologna, Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, Confcommercio Ascom Bologna e Unicredit SpA. L’ingresso a tutti i concerti della rassegna è gratuito per gli studenti e il personale docente e tecnico amministrativo dell’Università di Bologna; gli inviti possono essere ritirati presso la sede dell’URP in Largo Trombetti n. 1 la settimana precedente ciascun concerto (Lunedì, Martedì, Mercoledì e Venerdì dalle 9 alle 12,30; Martedì e Giovedì dalle 14,30 alle16,30). Il giorno del concerto, tutti i cittadini potranno ritirare gli inviti ancora disponibili, recandosi all’URP negli orari di apertura. MICO - Musica Insieme COntemporanea 2015 Con sei concerti da gennaio ad aprile, la X edizione di MICO si riconferma vetrina della musica d’oggi, contribuendo inoltre al cartellone Resistenza illuminata, omaggio a Luigi Nono nel 70° anniversario della Liberazione di Vania Pedrotto L Musica resistente ’edizione 2015 di Musica Insieme COntemporanea corre sul filo della memoria, inserendosi coerentemente nella rassegna “Resistenza Illuminata”, omaggio a Luigi Nono nel settantesimo anniversario della Resistenza, che vede riuniti sotto il segno del Teatro Comunale di Bologna i principali operatori musicali bolognesi. Per essere esatti: della memoria condivisa, legata alla tragedia della seconda guerra mondiale e dell’Olocausto. Un tema questo con il quale le arti hanno cominciato a confrontarsi di fatto quando gli eventi erano ancora in corso, gli artisti stessi spesso coinvolti personalmente in quegli accadimenti. È il caso di Olivier Messiaen e del suo Quatuor pour la fin du Temps, pagina giustamente celebre, che domina il programma del primo dei concerti in cartellone, il 27 gennaio, affidato ai solisti di quello che è oggi ufficialmente l’ensemble in residenza di MICO, il FontanaMIXensemble. Scoppia la Andrea Bacchetti guerra e Messiaen è al fronte. Nel maggio del 1940 viene preso prigioniero e internato nel campo di concentramento di Görlitz, nella zona sud-ovest della Polonia. L’ufficiale che governa il campo ha la passione della musica, e non tarda a scoprire che tra i suoi prigionieri c’è un musicista del talento e della capacità di Messiaen. Si decide di organizzare un concerto. La data è quella del 15 gennaio 1941. A Messiaen viene chiesto di comporre un brano per l’occasione. Può contare su tre prigionieri, musicisti dilettanti: il clarinettista Henri Akoka, il violinista Jean le Boulaire ed il violoncellista Étienne Pasquier. A loro si aggiungerà lo stesso compositore seduto dietro un pianoforte di fortuna, malandato e vecchio, così come il violoncello, che di corde ne ha solo tre. Il concerto si tiene all’aperto, sotto la neve, nel gelo dell’inverno polacco. Nasce in questo modo e per queste ragioni uno dei più grandi capolavori dell’intera storia della musica. Un brano nel quale dolore ed eroismo (l’eroismo degli umili, dei giusti, dei credenti) costituiscono la linfa che alimenta un raro caso di epica musicale moderna, nella quale l’elemento sacro (il riferimento all’Apocalisse di San Giovanni cui allude il titolo) fornisce la struttura filosofica. Solo sette anni dopo, Arnold Schoenberg, che era stato costretto nel 1933 a lasciare Berlino a causa delle persecuzioni contro gli ebrei, compone A Survivor from Warsaw. L’intento è ben diverso da quello che aveva mosso Messiaen prigioniero a Görlitz. Schoenberg vuole descrivere quanto accadeva nel Ghetto di Varsavia, e lo fa affidandosi alla voce narrante di un sopravvissuto, di uno che c’era, ha visto e sentito. E ora racconta. Racconta di come venivano svegliati in piena notte gli abitanti del Ghetto. Di come venivano condotti a forza e con le percosse ai punti di raccolta. Di come venivano obbligati a contarsi per poter sapere quanti sarebbero andati a finire nelle camere a gas. Lo fa in inglese. Schoenberg ormai vive in California, e questo breve, ma intenso oratorio, debutterà il 4 novembre del 1948 ad Albuquerque nel Nuovo Messico. In tedesco soltanto le urla del sergente nazista, che guida la truppa in quell’infame compito. A quelle urla, nell’emozionante finale, risponde il canto in ebraico delle vittime, che intonano un celebre passo FontanaMIXensemble del Deuteronomio: «Shema Israel, Ascolta, o Signore, il Signore è uno. E amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutte le tue forze. E metterai queste parole che Io ti comando oggi, nel tuo cuore, e le insegnerai ai tuoi figli, pronunciandole quando riposi in casa, quando cammini per la strada, quando ti addormenti e quando ti alzi. E le legherai al tuo braccio, e le userai come “segno” tra i tuoi occhi, e le scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle porte (delle città)». Questa straordinaria pagina schoenberghiana chiuderà il 20 aprile prossimo l’ultimo appuntamento di MICO, altro capo di quel filo della memoria che avevamo cominciato a seguire col Quatuor di Messiaen. Del resto, il titolo del concerto …and they began singing è una citazione dal libretto dell’oratorio schoenberghiano, sono le ultime parole del narratore prima che cominci il coro finale. Un filo composito, ovviamente. Un filo che nasce dall’intreccio di molti fili diversi, come d’altronde si addice a una rassegna che vuol dare della contemporaneità una visione ampia e diversificata. Ecco l’ordito greco del secondo appuntamento, quello del 10 febbraio, anche questo sottolineato da un titolo fortemente significativo: anima. Francesco La Licata, animatore e co-fondatore del FontanaMIXensemble, dirigerà il DissonArt Ensemble, compagine con base a Salonicco. Un programma tutto focalizzato su pagine di compositori greci, nel quale spiccano i nomi di Iannis Xenakis e Georges Aperghis, e che permetterà al pubblico di scoprire una produzione tra le più interessanti nel contesto della nostra modernità. Sul tema della memoria, questa volta però quella intima, personale, persino privata, tornerà il flautista e performer siciliano Manuel Zurria per il terzo concerto della rassegna, il 9 marzo. Il titolo del suo recital, Landscape with tears, allude alle celebri pavane che John Dowland, uno dei protagonisti della scena musicale elisabettiana, nel 1604 riunì nella raccolta intitolata appunto Lachrimae. Le sette pavane del compositore inglese fanno parte integrante del programma e sa- Musica Insieme COntemporanea 2015 X EDIZIONE Oratorio di San Filippo Neri (Via Manzoni 5) ore 20,30 2015 martedì 27 gennaio FONTANAMIXENSEMBLE ⁄ LA FIN DU TEMPS Musiche di Olivero, Messiaen 2015 martedì 10 febbraio DISSONART ENSEMBLE FRANCESCO LA LICATA direttore ANIMA Musiche di Kokoras, Nikolaou, Lapidakis, Xenakis, Aperghis 2015 lunedì 9 marzo MANUEL ZURRIA flauto e video LANDSCAPE WITH TEARS Musiche di Dowland, Mazulis, Kurtág, Leach, Eötvös, Basinski, Janulyté, Shlomowitz 2015 mercoledì 18 marzo ANDREA BACCHETTI pianoforte IN MEMORIAM SILVIO OMIZZOLO E GUIDO ALBERTO FANO Musiche di Bach, Fano, Omizzolo, Hasse, Scarlatti 30 FONTANAMIXENSEMBLE marzo 2015 lunedì PSALMS AND NIGHT PRAYERS Musiche di Kancheli, Janulyté 20 FONTANAMIXENSEMBLE aprile 2015 lunedì VOCI DELLA SCUOLA DI TEATRO “ALESSANDRA GALANTE GARRONE” FRANCESCO LA LICATA direttore ⁄ AND THEY BEGAN SINGING Musiche di Nono, Olivero, Agostini, Schoenberg ranno interpolate da pagine contemporanee, nelle quali troverà posto l’elettronica sia dal punto di vista sonoro e musicale, sia dal punto di vista dell’immagine riprodotta. Il filo della memoria riprende il 18 marzo con il recital di Andrea Bacchetti, pianista che ha saputo ritagliarsi un suo spazio grazie ad un’attenta ricerca ai bordi e spesso al di là dei confini del repertorio. Tant’è che anche questo suo recital sarà un’interessante occasione per ascoltare pa- gine davvero rare. Bacchetti dedica il suo concerto In memoriam Silvio Omizzolo e Guido Alberto Fano, due autori i cui destini sono diversamente legati alla Resistenza e all’Olocausto: il primo vide infatti la moglie Maria Rosa Crico imprigionata per essersi pronunciata pubblicamente contro la guerra, e il di lei fratello Carlo morire a Mauthausen ai primi di gennaio del 1945. Fano, a sua volta stimatissimo insegnante di pianoforte al Conservatorio di Milano, fu licenziato nel 1938 per le sue origini ebraiche, per poi rifugiarsi nel ’43 con la famiglia a Fossombrone e ad Assisi per sfuggire alle deportazioni naziste. Ma i nomi di Fano e Omizzolo ci rimandano anche alla storia della grande scuola pianistica italiana, nella quale sovente interprete e compositore erano due facce della medesima medaglia. Bacchetti inserisce coerentemente i loro lavori in una cornice delimitata dalle opere di Bach e Scarlatti, musicisti verso i quali proprio la scuola pianistica italiana ha mostrato una significativa predilezione. Al quartetto d’archi sarà dedicato, poi, il quinto dei sei concerti in cartellone (30 marzo). Psalms and Night Prayers, questo il titolo. Un titolo che fonde insieme le due prime pagine in programma: Night Prayers di Giya Kancheli e Psalms di Justé Janulyté, compositrice lituana della quale in chiusura verrà presentata la prima esecuzione di una nuova versione del suo Sandglasses. MICO si realizza con il sostegno dell’Assessorato alla Cultura della Regione Emilia-Romagna e con il contributo della Cassa di Risparmio di Bologna, della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna e di SOS Graphics. ACQUISTO BIGLIETTI I biglietti saranno in vendita presso l’ORATORIO DI SAN FILIPPO NERI (Via Manzoni, 5 Bologna), il giorno del concerto a partire dalle ore 19. PREZZI: Posto unico € 10 Abbonati Musica Insieme, studenti Università e Conservatorio, possessori “Resistenza Illuminata Card” € 7 MI MUSICA INSIEME 21 L’INTERVISTA ENRICO PACE Immediate armonie Il pianista Enrico Pace, ospite di Musica Insieme il 19 gennaio con Leonidas Kavakos, parla della duratura e feconda collaborazione con il violinista greco di Valentina De Ieso P ianista italiano oggi tra i più apprezzati della sua generazione, Enrico Pace ha ormai all’attivo oltre venticinque anni di una brillantissima carriera internazionale che, a partire dalla vittoria del primo premio al Concorso “Franz Liszt” di Utrecht nel 1989, lo ha portato ad esibirsi nelle sale da concerto più prestigiose del mondo, al fianco dei direttori e delle orchestre più rinomati. In veste di camerista è corteggiato dai principali solisti del panorama internazionale, ma un posto speciale è occupato dal lungo e fruttuoso sodalizio con Leonidas Kavakos, con cui si esibirà nel cartellone di Musica Insieme. Insieme al violinista greco, Pace ha fra l’altro inciso l’integrale delle sonate per violino e pianoforte di Beethoven per l’etichetta Decca, con cui entrambi si sono aggiudicati il Premio Abbiati della critica italiana. Nella sua intervista ci parla proprio del rapporto con Kavakos e dell’immediata sintonia che si è creata tra loro già quindici anni fa. Pace ci rivela poi come si è accesa la prima scintilla della grande passione che lo lega alla musica, e al pianoforte in particolare, e ci racconta quali sono state le figure di riferimento più significative che lo hanno accompagnato durante tutta la carriera, dai primi insegnanti ai luminosi esempi dei grandi artisti da cui ha tratto ispirazione. Costantemente impegnato in tournée concertistiche internazionali, si è fatto un’idea precisa delle platee dei diversi paesi, e di come gli spettatori si accostino alla musica in maniera assai variabile. Da artista italiano che calca le scene di tutto il mondo, come definirebbe, o come percepisce il pubblico del nostro paese? «Quello che ho constatato è che esiste una differenza nel tipo di predisposizione all’ascolto del pubblico, a seconda del22 MI MUSICA INSIEME l’area geografica o del paese in cui ci si trova: in genere ciò è legato all’apertura mentale e all’assenza di pregiudizi o di sovrastrutture intellettuali nel recepire un brano, per cui a volte si percepisce una certa diffidenza iniziale, e bisogna conquistare a poco a poco la fiducia degli astanti, mentre in altri casi, specie al Sud, l’ascolto è più immediato e mette subito l’interprete più a proprio agio». Come presenterebbe il suo partner in questo concerto? Ci racconta come nasce la vostra collaborazione? «Con Leonidas Kavakos ci siamo incontrati quindici anni fa ad un festival in Norvegia, dove suonammo assieme il Doppio Concerto di Mendelssohn per pianoforte, violino e archi. Da allora, avendo trovato immediatamente un buon affiatamento, abbiamo cercato occasioni per poter suonare più spesso insieme, occasioni che si sono concretizzate dopo qualche anno nei primi concerti in Italia, poi in alcune tournée internazionali, fino ad arrivare nel 2012 a registrare insieme l’integrale delle sonate di Beethoven per violino e pianoforte. Per me è un onore e un privilegio fare musica con Leonidas Kavakos: la sua visione molto personale dei brani e la sua tenacia nel perseguire l’interpretazione ottimale sono sempre un grande stimolo di crescita musicale. Il suo assoluto impegno in ogni concerto, che sia in una grande ed importante sala o in una più piccola e remota, è per me un luminoso esempio di coerenza e dedizione». Quali sono i suoi primi ricordi legati alla musica? «Ricordo un pianoforte, a casa di uno zio, che volevo assolutamente suonare facendo i primi infantili tentativi sonori e poi i tanti dischi (allora LP) di musica classica che ascoltavo avidamente. Mi è rimasto impresso il momento in cui trovai, da bambino, in un negozio sul lungomare a Rimini una registrazione dei concerti di Liszt che volli assolutamente comprare. Ho avuto la fortuna di essere stato assecondato nella mia passione dai miei genitori, che acquistarono un pianoforte quando avevo circa sette anni e incoraggiarono sempre le mie scelte». Quali sono stati (o sono ancor oggi) i suoi punti di riferimento in campo pianistico, ma anche in campo musicale in genere? «Per primo il Maestro Franco Scala, che mi ha dato la fiducia ed i mezzi pianistici per poter sviluppare la mia passione in un’attività professionale: con la sua intuizione di dare la possibilità ai suoi allievi di frequentare master class con i migliori pianisti sulla scena, sfociati nella creazione dell’Accademia Pianistica “Incontri col Maestro” di Imola, ci ha insegnato ad essere aperti a tante scuole e tanti modi differenti di pensare la musica. Fra gli esecutori sono stato molto influenzato da Michelangeli, con la sua ascetica ricerca dell’equilibrio interpretativo e sonoro, da Horowitz e Rachmaninov per la fantasia e la flessibilità interpretativa, e da Lazar Berman, pianista immenso, soprattutto in Liszt, con cui ho avuto la fortuna di studiare per qualche anno a Imola. Anche Jorge Bolet, per la nobiltà dell’eloquio, e Rubinstein, per la naturalezza esecutiva ed interpretativa, sono stati significativi. Recentemente ho scoperto una pianista che ebbe una vita tragica ed ha lasciato pochi documenti in disco, ma che mi ha sbalordito nell’esecuzione di Chopin: Maryla Jonas. Fra i direttori Celibidache, per l’attenzione al rapporto fra spazio e tempo esecutivo e alla ricerca del filo rosso del discorso musicale, dando sempre il giusto rilievo alla “topografia espressiva” di ogni frase. Oggi si è un po’ persa l’arte di suonare in modo diverso a seconda delle dimensioni della sala, cercando un’utopica oggettività dell’interpretazione che può funzionare solo in una registrazione». Tra i premi e i riconoscimenti (anche verbali) che ha ricevuto, quali sono per Lei i più significativi? «Sono i consigli (e le critiche) sinceri e disinteressati delle persone che mi hanno aiutato a crescere ed influenzato di più, come il didatta belga Jacques de Tiège, i Maestri con i quali ho fatto master class, come Alexander Lonquich e Sergio Fiorentino. Importante è anche la soddisfazione di poter fare qualcosa di utile per i miei allievi, con i quali, cercando assieme la soluzione alle infinite possibilità interpretative di un brano, imparo sempre molto». Un compositore del passato o del presente da (ri)scoprire? «Per me Hindemith, spesso mal compreso o ingiustamente mal considerato. Sono stato a Blonay, sul Lago di Ginevra, nella villa dove il compositore passò gli ultimi anni della sua vita, e ho potuto apprezzare l’umanità e l’ironia di chi dedicò alla moglie una versione del Ludus Tonalis (che è fra i miei progetti attuali) istoriato con caricature di Leoni (segno zodiacale della moglie) in varie pose a seconda del contenuto musicale. Hindemith addirittura raccoglieva in un simpatico quadernetto i bigliettini o le lettere nelle quali il suo cognome era stato storpiato!» Poulenc, Fauré, Stravinskij e Schubert: 4 compositori per quattro differenti universi musicali. Come avete ideato il programma per il vostro concerto a Musica Insieme? E come descriverebbe la Sonata per violino di Poulenc, composta in memoria di García Lorca, ucciso durante la Guerra Civile Spagnola? «Ci sono due fili conduttori: la Francia nella prima parte e la danza e il folklore nella seconda. Nella prima parte c’è la “ Sonata di Fauré, che era stata accolta entusiasticamente da Saint-Saëns per le sue caratteristiche innovative e originali, e che già utilizza le lunghe frasi melodiche tipiche di questo compositore: alla liricità del primo movimento si contrappongono il dramma velato del secondo e la leggerezza dello Scherzo, con un finale dai forti contrasti. La Sonata di Poulenc, intrisa invece di drammaticità nei movimenti estremi, trova il suo centro espressivo nel secondo movimento, dove la citazione del poeta scomparso «la chitarra fa piangere i so- gni» ci introduce in un’atmosfera sognante e melanconica. Nella seconda parte si inizierà con la Suite dal balletto Le baiser de la fée, trascritta da Stravinskij per violino e pianoforte in collaborazione con Samuel Dushkin, nella quale assieme alla graffiante ironia ci sono chiari richiami popolari, come nelle Danses suisses. Richiami che ci riportano a Schubert, il quale con il Gran Duo – sonata pubblicata postuma con cui si chiude il programma – nobilita invece il folklore popolare e lo eleva a sublime fragranza espressiva». Nel programma del nostro concerto ci sono due fili conduttori: la Francia nella prima parte, la danza e il folklore nella seconda MI “ MUSICA INSIEME 23 L’INTERVISTA NATALIA GUTMAN L’onestà dell’arte L Il 26 gennaio si esibirà per Musica Insieme la grande violoncellista russa formatasi con Rostropovič, alle spalle una carriera straordinaria che l’ha vista al fianco di Svjatoslav Richter di Alessandro Di Marco i separano molti anni: lui nasce nel 1915, lei nel ’42. Generazioni diverse certamente, ma con in comune una straordinaria passione per la musica, e soprattutto per la musica da camera. Lui è Svjatoslav Richter, che il pubblico di Musica Insieme ricorderà nei due indimenticabili recital che lo hanno visto protagonista sotto i riflettori del Teatro Comunale. Lei è Natalia Gutman, la grande violoncellista, che una volta entrata al Conservatorio di Mosca avrà come insegnante Mstislav Rostropovič. Quel Rostropovič che avrà a sua volta un importante sodalizio artistico con Richter, condividendo con il pianista peraltro l’essere tra gli artisti prediletti dei compositori sovietici di quegli anni (primi fra tutti Prokof ’ev e Šostakovič), ma non solo. Dunque, sotto il cielo di Mosca s’incrociano i destini musicali di artisti che hanno dato un contributo essenziale alla storia dell’interpretazione e più in generale della musica, proponendosi attivamente come interpreti di quanto di nuovo si andava componendo. Elementi che fanno parte integrante della biografia di Natalia Gutman e di Svjatoslav Richter, la cui collaborazione peraltro aveva trovato in Oleg Kagan, eccellente violinista e marito della Gutman, un partner altrettanto sensibile e di altrettanto talento. Andiamo, però, per ordine e cominciamo a ricostruire, grazie anche alle parole della celebre artista russa, questa affascinante vicenda. Con Mstislav Rostropovič Natalia Gut- “ 24 MI man studia quattro anni. «Di lui – racconta la grande violoncellista – ho una collezione di ricordi, tutti vividi e molto presenti. Ricordi che attingono sia al lato umano della nostra relazione, sia a quello più strettamente professionale. Tant’è che da molto tempo coltivo un sogno nel cassetto: quello di scrivere un libro su di lui. D’altronde, non posso che riconfermare quanto sia stata fortunata nell’incontrare, oltre a Rostropovič, sempre maestri straordinari, da Ansim Berlin a Galina Kozolupova [il primo era il nonno della Gutman, violinista che era stato a sua volta allievo di Leopold Auer, la seconda è stata fra i migliori docenti della Scuola Gnessin di Mosca, ndr]. Elencarli tutti sarebbe troppo lungo, ma non posso certo tacere proprio di Svjatoslav Richter e dello stesso Rostropovič». Che il sodalizio con Richter fosse particolarmente profondo lo rivela una celebre dichiarazione dello stesso pianista. Richter ebbe, infatti, ad affermare, parlando di Natalia Gutman, che ella rappresentava l’incarnazione dell’onestà nell’arte. «Che cosa volesse davvero dire – si schermisce la violoncellista – confesso di non averlo mai effettivamente compreso. Al contrario posso dire cosa penso fosse davvero caratteristico in lui. Molto probabilmente si tratta proprio di ciò che separa il genio dalla gente comune. Un tratto che potrei così sintetizzare: la capacità di esprimere qualsiasi pensiero, qualsiasi idea nel modo più conciso ed insieme più preciso possibile». Nel ricostruire l’ordito di questa vicenda, dove i nodi hanno i nomi di Richter, Rostropovič, Kagan, ci siamo trovati di fronte ad una galleria di personalità, che vede raccolte molte tra le migliori del ventesimo secolo. La carriera di Natalia Gutman, però, non si è fermata. La violoncellista russa, al contrario, è non solo attivissima sulle scene musicali di tutto il mondo, ma dedica una parte rilevante del suo tempo anche alla formazione delle nuove generazioni di musicisti, esercitando infaticabilmente il suo magistero in molta parte del pianeta. Di conseguenza, tanto per la sua storia, quanto per il suo impegno oggi, Natalia Gutman è davvero un osservatore privilegiato del contesto musicale mondiale: «È mia ferma opinione che anche oggi siano attivi numerosi musicisti di talento, musicisti che sanno trasmettere al pubblico emozioni e suggestioni, e che quindi meritano il massimo interesse. Certo, rispetto al passato, agli anni in cui mi sono formata io, gli anni in cui ho cominciato e si è sviluppata la mia carriera, molte cose sono cambiate. È fuor di questione che viviamo in un’epoca in cui la comunicazione è certamente molto più facile. Sono questi nostri anni, gli anni dell’informazione, tanto dal punto di vista della domanda, quanto di quello dell’offerta. Una facilità nella comunicazione e nell’informazione che ci ha spinto a convincerci che tutto debba essere sempre a portata di mano, che tutto debba essere disponibile all’istante. La conseguenza Richter aveva la capacità del genio di esprimere qualsiasi pensiero, qualsiasi idea nel modo più conciso e insieme più preciso possibile MUSICA INSIEME “ di tutto questo è facilmente intuibile: in questo totale diluvio d’informazioni sempre disponibili, qualsiasi cosa non ci attragga immediatamente non ha in pratica alcuna possibilità di sopravvivere, di essere notata e conseguentemente ricordata, memorizzata. Perciò, i criteri su cui si fondano sia il concetto di successo, sia quello di leadership sono cambiati. Forse non è un caso, che i musicisti il cui talento mi colpisce, dai quali sono attratta, raramente sono tra i protagonisti della scena principale. E probabilmente vale anche il contrario». Come dicevamo in principio, un aspetto essenziale della vicenda artistica di Natalia Gutman, così come quella dei suoi straordinari compagni di viaggio, Richter incluso ovviamente, è l’interesse mai sopito per la musica contemporanea. Tanto nel passato quanto adesso, molti sono i compositori che hanno dedicato e dedicano i loro lavori alla Gutman, affidando così le loro composizioni alla sua acutissima sensibilità e alla sua più che consolidata maestria. «Se mi guardo intorno, pensando a chi compone musica ai nostri giorni, posso dire di essere circondata ancora oggi da un gruppo di ottimi amici. Certo alcuni sono scomparsi non troppi anni fa, come Alfred Schnittke e Edison Denisov [quest’ultimo tra gli allievi prediletti di Šostakovič, tanto per annodare altri fili della trama su questo medesimo affascinante ordito, ndr]. Altri, come Sofia Gubaidulina, un nome celebre, ma che sta fra i moltissimi che potrei citare, continuano a darci splendide prove della loro arte. Ovviamente, con alcuni di loro m’incontro molto spesso, con altri, invece, piuttosto raramente. Ma non posso non sottolineare il fatto che il conoscersi bene l’uno con l’altro è in certo qual senso una maniera d’intendersi altrettanto bene gli uni con gli altri. È il nostro modo di comprenderci. Questo spiega perché ciascuna delle partiture che sono state dedicate a me, oppure a me e Oleg Kagan assieme, o anche quelle che sono state dedicate solo a lui, sono il frutto di questo speciale legame che unisce noi come interpreti ai compositori. D’altronde, a nostra volta noi abbiamo cercato sempre di realizzare questa speciale connessione, il cui esito apparisse appunto nelle nuove opere che ci sono state dedicate, o che ancora oggi mi vengono dedicate. Diciamo, che è divenuta una sorta di richiesta preliminare. Solo dopo che si è realizzata, che l’abbiamo individuata, solo allora sentiamo e sento che questi lavori erano nostri e sono miei. Solo in quel momento posso dire che sono diventati una parte di noi e di me». Sempre restando in tema di consolidati sodalizi artistici, quello col pianista Viacheslav Poprugin dura ormai dal 1999. Poprugin, che a sua volta ha studiato con Svjatoslav Richter, è lui pure un appassionato camerista, senza disdegnare però l’attività solistica. Insomma, un musicista che s’inserisce appieno nel grande solco della scuola russa. «Viacheslav – ci conferma Natalia Gutman – è sia uno straordinario solista, sia un eccellente musicista da camera. Dopo tanti anni trascorsi insieme, oramai ci comprendiamo con uno sguardo: non c’è più bisogno delle parole. E credo anche che gli ascoltatori, soprattutto quelli più attenti, avranno la medesima sensazione e comprenderanno lo speciale legame che ci unisce». MI MUSICA INSIEME 25 L’INTERVISTA QUARTETTO PROMETEO Nuove risonanze L’ormai consolidata compagine, a cui nel 2012 è stato assegnato il Leone d’Argento a Venezia, ci racconta il suo modo di fare musica, tra grandi incontri artistici e collaborazioni eccellenti di Cristina Fossati N el 2010, per la stagione dedicata ai Maestri d’Italia, lo avevamo ascoltato in quintetto con Mario Brunello e, sotto la sua guida, insieme a Maurizio Ben Omar e Carlo Rebeschini nella emozionante esecuzione di Spasimo, di Giovanni Sollima. Lo abbiamo incontrato nuovamente due anni fa con quel toccante ritratto musicale del Messico che era il Canzoniere di Stefano Scodanibbio, omaggio ad un Paese a cui era particolarmente legato il compositore prematuramente scomparso nel 2012, a cui lo stesso Quartetto era legato da un profondo sentimento di amicizia. Nel frattempo, la Biennale Musica di Venezia gli ha assegnato il “Leone d’Argento”, riconoscimento destinato alle più interessanti realtà emergenti della musica contemporanea. Oggi lo ritroviamo sul 26 MI MUSICA INSIEME palcoscenico della ventottesima edizione dei nostri Concerti, alle prese con una prima assoluta di Matteo D’Amico, nata dalla collaborazione con Sandro Cappelletto, che li accompagna in qualità di voce recitante in questa nuova sfida. Francesco Dillon, violoncellista della compagine, risponde alle nostre domande e ci aiuta a conoscere meglio quello che è stato definito dalla critica come il più valido erede del Quartetto Italiano. Come nasce il Quartetto Prometeo, e perché la scelta di questo nome ‘mitico’? «La scelta del nome è sempre un passaggio complicato nella vita di un gruppo da camera. Il quartetto nacque in origine in seno all’Orchestra Giovanile Italiana del 1993. Piero Farulli, il nostro primo maestro, un giorno ci volle premiare, battez- zandoci come Quartetto dell’Orchestra Giovanile Italiana 1993; col senno di poi possiamo dire che si trattava del nome più lungo e ingestibile immaginabile, così presto lo sintetizzammo in Quartetto OGI. Dopo la prima tournée in Giappone, scoprimmo che anche questo nome era difficoltoso per una carriera professionale. Nella loro lingua il termine Ogi significa infatti “zio”… Ecco che al termine di riunioni e dibattiti infuocati, diventammo finalmente Quartetto Prometeo. Un nome che vuole evocare l’antico mito; un mito di rivolta e di ribellione rispetto all’autorità, e dunque di rinnovamento della tradizione. Un secondo riferimento importante era al lavoro teatrale di Luigi Nono (Prometeo per l’appunto), compositore che abbiamo sempre ammirato per idealismo e impegno sociale». Quali sono i segreti per far durare una convivenza artistica? Si tratta davvero di una ‘fragile armonia’? «Naturalmente l’equilibrio di quattro voci paritarie è il raggiungimento di un lavoro d’insieme capillare, a volte entusiasmante, altre volte faticoso. Noi intendiamo il quartetto come una forma veramente ‘democratica’, dove ogni voce e personalità si possa trovare realizzata. Non un cammino facile dunque. Perché ciò si realizzi, ognuno deve rinunciare a qualcosa di sé e mettere i propri desideri musicali al centro del dibattito e del processo di prove. Il miracolo è che, se talvolta si fa fatica a ‘digerire’ un’idea musicale altrui, dopo qualche tempo che si suona un pezzo si dimentica magari di chi fosse in origine una scelta che ci era sembrata tanto ‘innaturale’… Per concludere, i nostri segreti per una felice convivenza artistica si possono riassumere in: fiducia reciproca, apertura e tolleranza». Oltre alla musica, quali altre forti passioni vi accomunano? «La musica è sicuramente il denominatore comune dei quattro! Poi ci sono molte altre passioni, interessi, forti curiosità, che di volta in volta ci coinvolgono in varie combinazioni come viaggi, letture di vario tipo, calcio (rigorosamente per squadre rivali… e c’è anche un fiero sostenitore del Bologna!), astronomia, tennis (più guardato che giocato, causa scarsa compatibilità con il suonare uno strumento ad arco!) e cinema (chi i blockbusters, chi le rarità indipendenti…)». Le collaborazioni che ricordate con più affetto e quelle che sognate per il futuro? «Ce ne sono state moltissime! Sia quando ci siamo allargati ad un quintetto o sestetto, sia quando abbiamo creato nuove opere collaborando con grandi compositori. Nel primo caso i quintetti con due ex-insegnanti che hanno contribuito alla crescita del gruppo: ricordiamo bene un Secondo Quintetto di Mendelssohn con Piero Farulli e un preziosissimo Rondò di Schubert con Rainer Schmidt del Quartetto Hagen. Ancora le collaborazioni con pianisti quali Alexander Lonquich, Andrea Lucchesini e soprattutto quella più continuativa negli anni con l’amico Enrico Pace con cui abbiamo esplorato anche pagine più desuete (basti pensare al meraviglioso Quintetto op. 1 di Dohnanyi). Come dimenticare poi i bei progetti, da Schubert a Purcell, passando per la contemporanea di Knaifel e Sollima, con Mario Brunello, dalle Dolomiti al Teatro Manzoni? Anche con i compositori gli incontri e le collaborazioni memorabili sono molte. Dal lavoro di anni accanto a Salvatore Sciarrino, Ivan Fedele e Stefano Scodanibbio all’ultimo progetto discografico in uscita per Sony, che ci vede impegnati in trascrizioni dall’antico, oltre ai tre citati, anche Giorgio Battistelli, Francesco Filidei e Stefano Gervasoni. Per non dimenticare due nostri “idoli” quali Steve Reich e György Kurtág, in brevi collaborazioni per noi memorabili. Sogniamo dunque di continuare dialogando con artisti che stimiamo (e sono molti!) e continuando ad aprire il nostro quartetto a dialoghi che ci ispirino e ci sorprendano di volta in volta». Nel programma che presenterete a Bologna, si distribuiscono in perfetta simmetria il primo quartetto pubblicato da Haydn, l’ultimo di Schubert, e una prima assoluta di Matteo D’Amico. Sono tre opere a loro modo emblematiche, sia per il repertorio che per il vostro approccio ad epoche e stili così differenti. Come ce le descrivereste, e come avete deciso questo accostamento? «Non sempre per un concerto il criterio dell’affinità totale e della coerenza assoluta è il più efficace. Spesso il contrasto e la distanza (apparente) sono fonte di ‘risonanze’ stimolanti. Talvolta si trovano connessioni e temi espliciti, in altri casi e magari con ancora maggior successo, ci si affida all’intuizione. Crediamo che sarà sicuramente stimolante percorrere l’arco storico stilistico che c’è tra il primissimo Haydn e l’ultimo Schubert; una sorta di viaggio dagli albori alla fine del mondo classico, la storia di una trasformazione formale, e vedere come questi due diversi capolavori si rifletteranno nel nuovo lavoro di Matteo D’Amico». Riscontrate molte differenze tra il pubblico italiano e quello di altri paesi? «Sicuramente ci sono differenze che corrispondono sia alla condizione che vive il paese, sia alle tradizioni radicate di un luogo. In Italia, se da un lato ci sono radici culturali ben profonde, per contro c’è molto da ‘ricostruire’ in quanto a contatto con il pubblico e a ‘pazienza’ dell’ascolto. In questo senso ci sono comunque molte differenze fra le varie città, e sicuramente Musica Insieme a Bologna (detto senza alcuna piaggeria…) rappresenta una delle realtà italiane fra le più vitali e vivaci. Siamo tornati da non molto da un’entusiasmante tournée giapponese. Lì il pubblico ha un rispetto profondo di chi suona e se il concerto è apprezzato, l’artista diventa oggetto di vera e propria adorazione. Interessante e sorprendente è spesso il caso di paesi più ‘periferici’, dove si riscontra spesso una fame di cultura e di arte che danno un senso profondo all’esser musicista. In Europa è notevole la vitalità dei paesi dell’Est (Russia, Polonia, Praga…) che vedono spesso un pubblico dall’età media molto bassa. L’America Latina, penso al Messico, al Cile e all’Argentina in particolare (paese nel quale siamo spesso invitati), è un altro estremo geografico dove si trova davvero una passione e partecipazione e un’apertura entusiasmante». Cosa fareste per promuovere maggiormente l’ascolto della musica classica tra i giovani? «Naturalmente la prima cosa che viene in mente è l’educazione all’ascolto… dunque il lavoro nella scuola è fondamentale. Inoltre può essere importante la ricerca di programmi più ‘aperti’, dove si accostino musiche diverse stimolando l’ascoltatore ad un ruolo attivo; anche, se è il caso, con il supporto di nuove tecnologie (video, elettronica). Poi si può, si deve talvolta, uscire dai luoghi deputati della musica (teatri e auditori) per raggiungere i più giovani in ambienti meno formali. Capita spesso, quando si suona all’estero (penso a Londra, a Berlino…), di trovarsi in luoghi ‘alternativi’ e moderni quali ex-fabbriche, gallerie d’arte, addirittura clubs. Mantenute intatte qualità essenziali quali l’acustica e il silenzio, si possono creare situazioni molto stimolanti. In una parola, pur mantenendo intatta la nobile tradizione della musica classica, si dovrebbero cercare percorsi complementari più innovativi, riconsiderando quelli che possono essere gli aspetti più rigidi del nostro amato ‘rituale’». MI MUSICA INSIEME 27 IL PROFILO IGOR’ FËDOROVIČ STRAVINSKIJ L’attualità del genio «I La vita del compositore russo attraversa la storia della musica novecentesca, con una capacità di interpretare il gusto del tempo pari solo al suo talento artistico di Anastasia Miro o non scrivo musica moderna, scrivo solo buona musica». Emblematica la celebre affermazione di Stravinskij, compositore che forse più di ogni altro ha saputo cavalcare i tempi (il che significava a volte precorrerli, a volte recuperarli…), trovandosi inoltre, per volontà o per caso, sempre al posto giusto nel momento giusto. Stravinskij è immerso nella musica sin dall’infanzia (il padre cantava come primo basso all’Opera Imperiale di Pietroburgo). Sceglie però di consacrarsi alla musica solo intorno ai vent’anni, quando, svogliato studente di diritto all’Università pietroburghese, conosce Rimskij-Korsakov. Quest’ultimo diverrà suo mentore dal 1903 al 1908, istruendolo in particolar modo nell’analisi formale e nell’orchestrazione. Stravinskij si avvicina in quel periodo ai circoli avanguardistici del “Mir isskustva” (“Il mondo dell’arte”), rivista fondata da Djaghilev nel 1898, ed alle Serate di musica contemporanea, dove può ascoltare fra gli altri i lavori di Igor’ Stravinskij (1882-1971). Fotografia di George G. Bain risalente ai primi anni Trenta 28 MI MUSICA INSIEME Ravel, Debussy, Dukas. Proprio grazie all’interesse di Djaghilev per le sue composizioni ha inizio la collaborazione con i Ballets Russes, la storica compagnia che l’impresario russo guida alla conquista di Parigi, e che con la complicità di Stravinskij elettrizza la capitale con titoli quali L’oiseau de feu (1910), Petruška (1911) o Le sacre du printemps (1912-13), scatenando nell’ultimo caso uno degli scandali più clamorosi della storia della musica. La dirompente aggressività ritmica e sonora, che nel Sacre assume una violenza quasi tellurica, l’originalità ‘barbara’ del linguaggio armonico e il recupero arcaicizzante del folklore russo caratterizzano quello che è stato etichettato come il periodo “fauve” o, appunto, “russo” del compositore. In quegli anni Stravinskij entra inoltre in contatto con l’intellighenzia artistica della capitale francese, stringendo amicizia con i colleghi Ravel, Debussy, Satie, o con letterati quali Proust, Gide e Cocteau. Allo scoppio della prima guerra mondiale Stravinskij si stabilisce in Svizzera, e con la Rivoluzione del 1917 perde le sue proprietà in Russia: non vi farà più ritorno fino al suo ottantesimo compleanno, quando ad invitarlo per una trionfale tournée sarà Kruščëv in persona. Durante l’esilio svizzero – ed in un periodo di ristrettezze come quello bellico – Stravinskij cuce ai suoi personaggi abiti più dimessi: sono gli anni del teatro da camera dell’Histoire du soldat, del Rag-Time per 11 strumenti (entrambi del 1918), dei balletti Renard e Les noces. Dal 1920 al ’39 ha inizio per lui un nuovo periodo parigino, e una nuova fase creativa, quella “neoclassica” dell’elaborazione di materiali o stilemi desunti dal passato: nascono balletti come Pulcinella (su musiche attribuite a Pergolesi), Apollon Musagète (“ballet blanc” con il timbro dei soli archi), Le baiser de la fée (su temi di Čajkovskij), opere come Mavra e Oedipus rex, o brani strumentali quali l’Ottetto per fiati e il Concerto per pianoforte e fiati. È proprio dal Baiser de la fée che Stravinskij trae il Divertimento per violino e pianoforte, parte di una serie di lavori che egli stesso esegue accanto al violinista Samuel Dushkin, non da ultimo per ovviare alle difficoltà economiche che la Grande Depressione ha esacerbato. Ancora una volta insomma Stravinskij rivela un talento non solo per la musica, ma anche per gli affari, adattando da un lato le proprie note alle condizioni economiche, e proporzionalmente risollevando le proprie condizioni economiche grazie alle note. Sempre più corteggiato dagli Stati Uniti (con committenze come la Sinfonia di salmi per la Boston Symphony, Jeu de cartes per l’American Ballet o il concerto Dumbarton Oaks per la facoltosa famiglia Bliss di Washington), Stravinskij vi si trasferisce nel 1939, e nel 1945 ottiene la cittadinanza americana. È un periodo assai produttivo, che lo vede dare alle stampe la Sinfonia in tre movimenti, il balletto Orpheus e The Rake’s Progress, estremo frutto neoclassico dove risuona l’intera storia dell’opera da Monteverdi a Mozart, a Verdi. Intorno al 1952 – con l’eterna curiosità del genio – uno Stravinskij settantenne si accosta alla musica seriale, adottandone le tecniche in lavori di ispirazione liturgica come Canticum Sacrum e Threni, o in brani scritti in memoria di amici scomparsi, come le Variazioni orchestrali dedicate nel 1964 ad Aldous Huxley. Spentosi nella sua casa di New York nel 1971, riposa nel campo degli ortodossi del cimitero di San Michele a Venezia, accanto all’amico Djaghilev. I LUOGHI DELLA MUSICA Dediche brahmsiane Tra le incisioni di Klinger esposte a Palazzo Fava, spiccano quelle dedicate a Brahms, eseguite da un artista che dalla musica traeva la sua maggiore ispirazione di Maria Pace Marzocchi M ax Klinger (Lipsia 1857 – Grossjen 1920), pittore, scultore, decoratore, e soprattutto straordinario incisore, fu anche appassionato di musica e ottimo musicista dilettante, così che spesso musica e musicisti furono protagonisti della sua opera. Scolpì le immagini di Wagner e di Brahms, e realizzò il Monumento a Beethoven (ora a Lipsia, Museo delle Sculture), in quella sorta di “opera d’arte totale” (secondo la poetica wagneriana) che ebbe luogo a Vienna nel 1902 per la VII mostra della Secessione: nel palazzo di Joseph Olbrich, con l’allestimento di Joseph Hoffman, circondato dal Fregio di Beethoven di Klimt. E il giorno dell’inaugurazione Gustav Mahler, allora alla guida dell’Opera di Vienna, diresse il quarto movimento della IX Sinfonia. Della musica Klinger indaga anche la struttura interna, così da organizzare i suoi cicli grafici come composizioni e sequenze musicali, come indica anche la terminologia OPUS riferita ai quindici portfolio pubblicati tra il 1879 e il 1915, usando gli Intermezzi (non sempre in mezzo) come scansione del racconto. L’Opus II è dedicato a Robert Schumann: «Amo appassionatamente la sua musica e credo di essere molto influenzato dal suo modo di comporre – scrive Klinger – ma in una forma libera che mi è difficile spiegare». Dedicati a Johannes Brahms sono l’Opus V e l’Opus XII Brahmsphantasie (Lipsia 1894): 37 fogli con 41 incisioni, e spesso immagini e spartiti sulla stessa pagina, in una sorta di antologia dei pezzi musicali preferiti dall’artista. Quando Brahms vide l’Opus finito scrisse a Klinger: «Vedo la musica, le belle parole che l’accompagnano – e ora a mia insaputa i vostri disegni mi coinvolgono; contemplandoli mi sembra che la musica continui a risuonare nell’infinito ed esprima così tutto ciò che avrei voluto dire, più chiaramente di quello che avrebbe potuto la musica e allo stesso tempo con altrettanto senso di mistero e di anticipazione. Qualche volta vi invidio per come siete chiaro con la vostra matita. Qualche volta mi rallegro di non doverlo essere. Ma alla Due fogli della Brahmsphantasie di Max Klinger, opere della Collezione Paola Giovanardi Rossi, date in comodato alla Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna e custodite a Palazzo Fava 30 MI MUSICA INSIEME fine devo pensare che ogni arte è la stessa cosa e si esprime con lo stesso linguaggio». Sette dei fogli della Brahmsphantasie sono esposti fino all’11 gennaio in Palazzo Fava, in occasione della mostra MAX KLINGER. L’inconscio della realtà, che ha presentato le 116 incisioni del maestro tedesco della collezione di Paola Giovanardi Rossi, la quale ha concesso nel 2011 in comodato alla Fondazione Cassa di Risparmio, e quindi a Genus Bononiae - Musei nella città, la sua collezione grafica dell’artista di Lipsia. Ora è ancora in mostra una parte della collezione, anche perché per motivi di conservazione le raccolte di disegni e di stampe non possono restare esposti per lungo tempo. Ma, come è consuetudine per le raccolte museali di grafica, le opere possono essere visionate e consultate per motivi di studio. I CONCERTI gennaio/febbraio 2015 Lunedì 19 gennaio 2015 AUDITORIUM MANZONI ore 20.30 LEONIDAS KAVAKOS.............................violino ENRICO PACE................................................pianoforte Musiche di Poulenc, Fauré, Stravinskij, Schubert Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme” e “Invito alla Musica” – per i Comuni della provincia di Bologna Lunedì 26 gennaio 2015 AUDITORIUM MANZONI ore 20.30 NATALIA GUTMAN....................................violoncello VIACHESLAV POPRUGIN...................pianoforte Musiche di Mendelssohn, Grieg, Rachmaninov Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme” e “Invito alla Musica” – per i Comuni della provincia di Bologna Lunedì 9 febbraio 2015 AUDITORIUM MANZONI ore 20.30 QUARTETTO PROMETEO...................pianoforte SANDRO CAPPELLETTO.....................voce recitante Musiche di Haydn, D’Amico, Schubert Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme” e “Musica per le Scuole” Lunedì 23 febbraio 2015 AUDITORIUM MANZONI ore 20.30 HAGEN QUARTETT Musiche di Mozart, Brahms Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme” e “Invito alla Musica” – per i Comuni della provincia di Bologna Per ulteriori informazioni rivolgersi alla Segreteria di Musica Insieme: Galleria Cavour, 2 - 40124 Bologna - tel. 051.271932 - fax 051.279278 [email protected] - www.musicainsiemebologna.it Lunedì 19 gennaio 2015 Dimenticare Berlino Con un programma di capolavori ‘fuori dal coro’, in equilibrio fra la sonata e la danza, l’affiatato duo vincitore del Premio Abbiati inaugura il 2015 di Musica Insieme di Maria Chiara Mazzi D Foto Marco Borggreve imenticare Berlino (ma anche Bonn, Lipsia, Dresda, Mannheim, Monaco…): questo è il problema, o il compito, dei musicisti che si dedicano alla musica strumentale in Europa da inizio Ottocento in poi. Il primo ad accorgersi del peso di questa sudditanza psicologica è addirittura Schumann, che scrive: «Sembra che le nazioni confinanti con la Germania vogliano emanciparsi dal dominio della musica tedesca: ciò forse potrà dispiacere a un teutomane, ma al pensatore con occhio acuto e al conoscitore dell’umanità parrà invece una 34 MI MUSICA INSIEME cosa naturale e da rallegrarsene». Insomma: cosa stava accadendo? Semplicemente che, da Beethoven in poi, scrivere musica sinfonica o solistica o, come nel caso del nostro programma, da camera per violino e pianoforte era diventato un problema. Non solo e non tanto perché lo stesso Beethoven aveva ‘dimenticato’ la tradizione operando rivoluzioni formali inimmaginabili, ma anche, e soprattutto, perché le grandi forme (come la sonata) si erano poco per volta cristallizzate nei loro parametri fondamentali e chiunque le affrontasse non poteva non tenerne con- to per essere giudicato un ‘grande compositore’. Insomma, per farla breve, bisognava utilizzare la sonata, ma fatta proprio come poi era stata descritta dai teorici della composizione (tedeschi) e dai musicologi (tedeschi) che avevano costruito la storia delle forme vedendo nella ‘perfezione’ della struttura tripartita e bitematica il punto di arrivo di secoli di evoluzione musicale, consacrandola così anche a un placet storico. Era un problema, un problema per tutti, russi, italiani, francesi… I quali, sempre secondo i critici e i musicologi dell’epoca, passano in- Foto Marco Borggreve vece gran parte del loro tempo a scrivere ‘cose inutili’ (divertimenti, bagatelle, capricci, anziché sonate) o in maniera non conforme a quelle regole di forma e di armonia che avrebbero loro consentito di entrare nell’Olimpo della storia della musica. Prendiamo ad esempio i francesi. Quasi totalmente dediti nella prima parte dell’Ottocento alla loro particolare forma di opera in musica, si accorgono di essere rimasti un po’ indietro nei confronti della musica strumentale. Così, quando a metà secolo decidono di ‘rinnovare’ la musica (“renouveau” appunto viene chiamato quel movimento) e allargare l’orizzonte anche al genere strumentale, inevitabilmente prendono a modello le forme tedesche. E poi… poi la Francia di Napoleone III viene sconfitta a Sedan proprio da quei prussiani alle cui leggi musicali avevano fatto tanta fatica ad adeguarsi… E allora, in un impeto di autoconsapevolezza e in un attacco di nazionalismo (sempre musicali, intendiamoci bene) eccoli finalmente decidere di lavorare per conto proprio. Complice anche una corrente estetica sempre più forte che comincia a guardare al passato come modello (neogotico, neorinascimento, neobarocco…), ecco che i francesi decidono di cominciare a utilizzare modelli musicali – formali, costruttivi e armonici – legati alla propria storia e alla propria cultura. E mentre Viollet-le Duc restaura Notre Dame e i monaci di Solesmes recuperano il gregoriano, l’antica lingua diviene la base per una nuova concezione armonica ‘modale’, che nella sua mancanza di tensioni sembra non solo la più vaga ed affascinante realizzazione sonora delle correnti letterarie ed estetiche degli ultimi trent’anni dell’Ottocento francese, ma costituirà anche la contrapposizione più agguerrita e convincente alle inenarrabili tensioni wagneriane. Ed ecco, a questo punto, Fauré, con la sua musica da camera e in particolare con la sua Sonata per violino e pianoforte (1878), definita nel 1914 da una recensione (non francese): «Musica amabile, graziosa, deliziosa come un paesaggio all’acquerello, un ritratto in miniatura, una porcellana di Sèvres, tutti oggetti da salotto ma che possono essere preziosi». Una sonata nella quale si intravedono non le severe ed austere sale da concerto del centro Europa, ma i salotti e i circoli culturali parigini, nella loro vaga, elegante e dolcissima sensualità. Certo, nel primo tempo l’autore sembra ricadere nelle tentazioni della ‘grande forma’, ma la rivede a modo suo, facendone prevalere LUNEDÌ 19 GENNAIO 2015 AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30 LEONIDAS KAVAKOS violino ENRICO PACE pianoforte Francis Poulenc Sonata op. 119 Gabriel Fauré Sonata in la maggiore op. 13 Igor’ Stravinskij Divertimento Franz Schubert Sonata in la maggiore D 574 Introduce Nicola Sani. Compositore e musicologo, è consulente artistico e direttore artistico designato del Teatro Comunale di Bologna la inquieta scorrevolezza e un gusto dell’intarsio che ricorda più le delicate ornamentazioni preraffaellite piuttosto che l’intreccio contrappuntistico dei romantici tedeschi. Brillantezza e malinconia si alternano poi negli altri tre movimenti, dai quali sembra intravvedersi, in lontananza, quella libertà assoluta nei confronti dei modelli che ispirerà, nemmeno dieci anni dopo, la Sonata di Franck. I musicisti francesi continuano poi ine- Leonidas Kavakos Giunge alla consacrazione internazionale quando, non ancora ventunenne, si aggiudica importanti riconoscimenti come il “Concorso Sibelius” nel 1985, e il “Premio Paganini” tre anni dopo; la sua carriera lo ha portato a stringere collaborazioni con orchestre quali la Filarmonica di Berlino e Sir Simon Rattle, l’Orchestra del Concertgebouw e Mariss Jansons, l’Orchestra Sinfonica di Londra e Valery Gergiev, l’Orchestra della Gewandhaus di Lipsia e la Filarmonica di Vienna dirette da Riccardo Chailly. Per 15 anni ha curato gli eventi di musica da camera della Megaron Concert Hall della natia Atene, e la sua intensa attività cameristica lo ha visto al fianco di Emmanuel Ax come di Yuja Wang. Di recente è divenuto un apprezzato direttore d’orchestra. Enrico Pace Perfezionatosi all’Accademia Pianistica Internazionale “Incontri col Maestro” di Imola, dopo la vittoria nel 1989 del primo premio al Concorso Internazionale “Franz Liszt” di Utrecht, Enrico Pace si è esibito in tutta Europa nelle più rinomate sale da concerto, come solista e con orchestre quali Royal Orchestra del Concertgebouw, Filarmonica di Monaco, BBC Philharmonic Orchestra, Orchestra Nazionale di Santa Cecilia di Roma, oltre a essere invitato a suonare in numerosi festival internazionali, tra cui quelli di Lucerna, Salisburgo, Edimburgo, Stresa. In ambito cameristico ha collaborato con artisti come Frank Peter Zimmermann, il Quartetto Prometeo e il Quartetto Keller. MI MUSICA INSIEME 35 Lunedì 19 gennaio 2015 sorabilmente non solo nel loro proposito di ‘dimenticare Berlino’ (e anche Vienna, a quel punto della storia), ma persino quell’art nouveau a cui avevano dato forma musicale a fine secolo quando, dopo la prima guerra mondiale, Jean Cocteau scrive: «Basta con nuvole, onde, acquari, ondine, profumi di notte… abbiamo bisogno di una musica con i piedi per terra, una musica di tutti i giorni». E musica per tutti i giorni fu! Con “Les Six”, negli anni Venti, la musica si rinnova in una direzione diametralmente opposta a quella dei coevi viennesi, proprio grazie alla ‘musica di tutti i giorni’ (cafè chantant, circo, music hall e via discorrendo) dissociata dal contesto di partenza, esattamente come era accaduto in arte col ready-made di Duchamp. E tra i Six, Francis Poulenc, che nella Sonata per violino (1943) non solo recupera la tradizione della ‘sonata alla francese’, nell’interazione fra gli strumenti costruita grazie al fascino melodico, ma vi aggiunge, nell’irruenza del primo tempo e nella scorrevolezza dell’ultimo, quel disincanto tipico del suo stile. Oltre ad una valenza extramusicale di grande suggestione, come la dedica del lavoro alla memoria del poeta Federico García Lorca, ucciso nella Guerra di Spagna nel 1936. L’opposizione agli ‘imperi centrali’ della musica avviene non solo da parte dei francesi, ma anche da parte di un non francese al quale però proprio la ricchezza della cultura parigina di inizio secolo aveva consentito una delle svolte più significative della musica del nostro tempo. Stravinskij prende anche lui dopo la guerra una strada che non è quella di Vienna: il suo neoclassicismo non solo gira le spalle alle nuove teorie compositive, ma tenta di saltare d’un balzo anche la corrente più tedesca della storia, cioè il romanticismo. “Musica al quadrato”, cioè musica sulla musica, è definita la rilettura stravinskiana della musica del passato che lascia intatte le melodie e stravolge orchestrazione, ritmo e armonie, che si rigenerano proprio attraverso lo specchio deformante costruito dal compositore russo. L’elaborazione avviene inizialmen- DA ASCOLTARE La loro più recente fatica discografica data 2013. L’ha stampata la Decca. Leonidas Kavakos e Enrico Pace hanno inciso in 3 CD l’integrale delle Sonate di Ludwig van Beethoven, incisione che si è subito affermata tra le più interessanti tra quelle recenti. Sempre difficile fare il confronto quando si tratta di pagine così note, e così spesso incise e re-incise (rimasterizzazioni incluse), ma il duo vanta un così importante sodalizio artistico da far pensare che possano davvero dire la loro anche su un tema tanto trattato. Del resto, Leonidas Kavakos, dal punto di vista discografico, ha un catalogo vastissimo, che di fatto attraversa quasi tutto il repertorio. Basti dire che nel 2014 ha inciso le Sonate di Johannes Brahms, partner al pianoforte questa volta la brillante Yuja Wang. A Brahms aveva dedicato l’anno precedente un altro CD, contenente il Concerto per violino. Sul podio Riccardo Chailly alla testa dell’Orchestra del Gewandhaus di Lipsia. Tornando, infine, indietro nel tempo troviamo Stravinskij e Bach, Mendelssohn e Sibelius, il violinista greco dimostrando così, anche sotto il profilo del suo impegno in sala d’incisione, quell’insaziabile curiosità d’interprete che gli riconosciamo anche in sala da concerto. te sul passato settecentesco (il Pergolesi del Pulcinella), ma poi il musicista non può non rivolgere il suo occhio dissacrante proprio contro quel romanticismo che tanto aborriva. E quale romantico più romantico del conterraneo Čajkovskij e della sua romanticissima musica (in particolare alcuni brani per pianoforte, ‘riletti’ da Stravinskij nel balletto Le baiser de la fée, del 1928) per ribadire ancora una volta il proprio antiromanticismo e la propria ripulsa a considerare l’arte lo specchio della vita e dell’esistenza? È proprio dal Bacio della fata che nel 1932 egli trae, dietro invito del violinista polacco Samuel Dushkin, il Divertimento per violino e pianoforte che, per concludere con l’algebra e non con la musica, potremmo anche definire “musica al cubo”, trattandosi di “musica sulla musica sulla musica”… E se era stato complicato rinunciare a Vienna e a Berlino per i non centro europei, immaginatevi quanto deve essere stato terribile allontanarsi da questi ‘modelli vincenti’ per chi non solo viveva a Vienna, ma era quasi vicino di casa del monstrum Beethoven! Inutile quasi dire che stiamo parlando di Schubert, che pagò la propria indipendenza dalla moda musicale corrente con l’ostracismo editoriale e con la damnatio memoriae, e che dovrà attendere decenni per essere ‘scoper- to’ (proprio dallo Schumann che abbiamo citato all’inizio del nostro discorso), edito ed eseguito pubblicamente. Nel 1816 Beethoven aveva pubblicato la Sonata per violino e pianoforte op. 96 (la Kreutzer era addirittura del 1805!), e tra 1816 e 1817 Schubert osa comporre le sue sonate per violino e pianoforte, che vanno da tutt’altra parte. Incauto, come minimo. Il modello della ‘nuova sonata integrata’ era ormai stato depositato, così come era ormai chiaro anche il modello della ‘sonatina facile per dilettanti’ tanto di moda negli anni della Restaurazione. Ma Schubert, invece, con le sue sonate va da un’altra parte. Amabilità e piacevolezza senza sentimentalismo, nostalgia elegantemente settecentesca, gusto popolare ma lontanissimo dal facile popolarismo alla moda, virtuosismo musicale e non plateale come quello dei virtuosi che giravano le sale da concerto. Insomma le sonate, come questa in la maggiore, sono scritte, come diceva lo stesso autore, per chi «intende la musica, oltre che le note». Certo, non manca la ‘dialettica tematica’, ma il modello è Mozart, non l’ingombrante tedesco che abitava a Vienna… Nessuno stupore, quindi, che la sonata sia stata pubblicamente ignorata alla sua epoca e sia divenuta di pubblico dominio solo nel 1851, grazie all’Editore Diabelli. Lo sapevate che... Leonidas Kavakos, che ha una grande passione per l’arte della liuteria, ha avuto l’onore di suonare il celebre violino “Il Cannone” di Guarneri del Gesù appartenuto a Paganini 36 MI MUSICA INSIEME Lunedì 26 gennaio 2015 Natalia Gutman e Viacheslav Poprughin omaggiano la memoria di Richter, proponendo un programma che ripercorre la storia della sonata per violoncello di Francesco Corasaniti Caro fratello LUNEDÌ 26 GENNAIO 2015 AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30 NATALIA GUTMAN violoncello VIACHESLAV POPRUGIN pianoforte Felix Mendelssohn Sonata in si bemolle maggiore op. 45 Edvard Grieg Sonata in la minore op. 36 Sergej Rachmaninov Sonata in sol minore op. 19 Introduce Fulvia de Colle. Da quindici anni a Musica Insieme, collabora alla direzione artistica, scrive di musica e traduce per Einaudi Editore 38 MI MUSICA INSIEME « Voglio scriverti presto una sonata per violoncello e piano». Con queste parole, affidate ad una lettera scritta alla fine dell’ottobre 1837, Felix Mendelssohn annuncia da Lipsia la volontà di comporre una sonata e dedicarla al fratello Paul, destinatario della missiva. Egli, banchiere di professione e artefice della fortuna finanziaria della famiglia, era infatti anche un abile violoncellista. L’anno dopo il compositore, all’epoca ventinovenne, dà alla luce la sua prima Sonata in si bemolle maggiore per violoncello e pianoforte, l’opera 45. È questo un periodo di fervida attività per Mendelssohn, che da anni ormai, soprattutto dopo la ‘riscoperta’ e direzione della Passione secondo Matteo di Johann Sebastian Bach nel 1829, gode di una notevole fama in patria. Dal 1835 è infatti Direttore Stabile dell’Orchestra del Gewandhaus di Lipsia, ma l’attività concertistica lo porta a partecipare ai numerosi e celebri festival delle altre città tedesche. Non meno significativo è il periodo per la vita personale del compositore: la perdita del padre, un momento di grande sconforto, rafforza però il legame con i fratelli, Paul appunto, il minore, Fanny e Rebecka. A risollevare il compositore è l’incontro con Cécile Charlotte Sophia Jeanrenaud, che diverrà presto sua moglie. Ne segue un momento di rinnovata creatività che, complice la prestigiosa nomina imperiale, lo porta a comporre opere per i più svariati organici, tra cui spiccano le sue più importanti composizioni vocali sacre. Insolita, dunque, fra le opere del periodo, destinate naturalmente all’attività pubblica di direttore e concertista, sembra la Sonata op. 45, che ha invece una dimensione diversa, raccolta, familiare. Destinata forse solo a esecuzioni private, venne invece successivamente pubblicata, anche in una trascrizione per violino e pianoforte. L’aspetto intimo è colto in pieno da Robert Schumann, a cui la Sonata pareva essere stata composta espressamente per una serata in famiglia, dopo la lettura di un brano di Goethe o Lord Byron. Il repertorio per violoncello e pianoforte occupa uno spazio esiguo nel vasto catalogo di Mendelssohn, tanto che fino a questo momento ha scritto solo le Variazioni concertanti op. 17 (1829) e un Assai Tranquillo in si minore (1835); ancora lontani da venire sono la Sonata n. 2 in re maggiore op. 58 e il celeberrimo Lied ohne Worte (1845). Il primo movimento della sonata, Allegro vivace, si caratterizza per un tema rapido e deciso, in cui si assiste a un dialogo serrato tra i due strumenti, i quali vicendevolmente affio- Natalia Gutman Allieva prediletta di Rostropovič, si è imposta sulla scena internazionale a partire dalla vittoria del prestigioso Concorso della ARD di Monaco nel 1967, per divenire una delle più celebrate soliste degli ultimi 40 anni. Si esibisce con le orchestre piùimportanti,tracuiBerlinereWienerPhilharmoniker,LondonSymphonyOrchestra, Filarmonica di San Pietroburgo, ed è stata diretta da Abbado, Muti, Temirkanov. Nella sua intensa attività cameristica ha collaborato con Stern, Argerich, Bashmet, Virsaladze, oltre che con il marito Oleg Kagan e con Svjatoslav Richter. Tiene masterclass in tutto il mondo e ha ricevuto numerosi premi. Apprezzatissima tanto nel repertorio classico quanto nella promozione della musica contemporanea, importanti compositori, fra cui Alfred Schnittke, le hanno dedicato le loro opere. Viacheslav Poprugin Richiesto dai solisti più importanti al mondo, collabora con Natalia Gutman dal 1999, esibendosi in tour internazionali che riscuotono unanimi consensi. Affianca l’attività cameristica con quella di solista, in recital e al fianco delle principali orchestre, diretto fra gli altri da Jurowski e Verbitskij. Collabora inoltre con i principali compositori russi contemporanei, tra cui Denisov e Berinskij. Dal 1999 è docente del Conservatorio di Mosca, dove ricopre le cattedre di Musica da camera e Pianoforte. Artista eclettico, ama sperimentare diversi stili e generi musicali, ed è, inoltre, uno dei più autorevoli ed esperti tecnici del suono in Russia. rano e si immergono nell’impasto sonoro. Inizialmente il pianoforte appare quasi protagonista, per lasciare poi il ruolo alla veemenza del violoncello, che si abbandona talvolta a brevi, ma intensi, momenti lirici. L’incontro/scontro tra le due voci prosegue per l’intero movimento fra inseguimenti, imitazioni, veri e propri duelli. Nell’edizione originale del brano, la parità di importanza degli strumenti viene evidenziata tra l’altro sin dal frontespizio, che reca la dicitura “Sonate Duo”. Il lento movimento intermedio, Andante, si sviluppa a partire da un breve motivo ritmicamente pregnante. L’inizio, quasi lezioso, introduce poi ad un’atmosfera serena e sognante, caratterizzata da una melodia cantabile, quasi vocale, sostenuta dal violoncello. Successivamente il pianoforte, con leggere note ribattute, riporta il clima del brano su un piano di placida leggerezza. Il terzo e ultimo movimento, Allegro assai, inizia con un suadente tema esposto dal violoncello, che è prontamente incalzato dai rapidi accordi del pianoforte. Solo in prossimità del finale il ritmo si placa. Mendelssohn tornerà sulla Sonata alcuni anni dopo, citandola in due lettere indirizzate rispettivamente al fratello Paul e all’amico Ferdinand Hiller. In entrambe annuncia l’intenzione di revisionarla poiché non ne è del tutto soddisfatto, ma il progetto rimarrà in sospeso. Come Mendelssohn, anche Edvard Grieg aveva un fratello violoncellista, ed a lui fu dedicata la Sonata in la minore op. 36 per violoncello e pianoforte, vero gioiello della sua esigua, ma notevole, produzione cameristica. Al pari della famiglia Mendelssohn, le floride condizioni economiche consentirono anche ai Grieg di dare ai figli un’ottima educazione musicale. La madre, Gesine Judit Hagerup, valente cantante e pianista, e il maestro, il violinista Ole Bull, molto noto all’epoca, intravidero presto le doti non comuni di Edvard, e decisero di trasferirlo al Conservatorio di Lipsia. Egli compose la Sonata nel 1882, dopo un periodo d’inattività dettato dalle pessime condizioni fisiche (soffriva infatti di una grave malattia polmonare) e dagli impegni come direttore con l’Orchestra Sinfonica di Bergen. Era infatti ormai un compositore e direttore affermato e apprezzato, e il recente accordo con l’editore MI MUSICA INSIEME 39 Lunedì 26 gennaio 2015 Peters di Lipsia gli aveva fornito la tranquillità economica per dedicarsi alla composizione a tempo pieno, abbandonando la regolare attività concertistica. La dedica appare certamente come un tentativo di riconciliazione, visti i rapporti tesi che da tempo legavano i fratelli Grieg. La prima assoluta del brano, che consta di tre movimenti, avvenne il 22 ottobre 1883 a Dresda, con al pianoforte lo stesso compositore e al violoncello Friedrich Wilhelm Ludwig Gruztmacher. Nell’Allegro agitato iniziale, il primo tema concitato si abbandona al secondo, più sereno e sognante, ma ritorna ossessivamente ad imporsi lungo tutto il movimento, in cui si riconosce un’autocitazione: il tema del Concerto op. 16 per pianoforte. Il secondo movimento, Andante molto tranquillo, ha invece un andamento placido, che si lascia perturbare solo nella parte centrale da un breve episodio più agitato, fino all’intervento del violoncello, con morbidi arpeggi pizzicati. Chiude la Sonata l’Allegro molto, che si apre con un’introduzione per violoncello solo, a cui si unisce il pianoforte in una danza popolare norvegese, che riaffiora più volte, facendosi spazio tra gli interludi più lirici. Mentre il violoncello conclude con lunghe note acute, il pianoforte tratteggia la celebre melodia della “Canzone di Solveig” dal Peer Gynt. La perfezione stilistica, il respiro quasi orchestrale e i colori etnici fanno di questa sonata una delle opere più esemplificative della figura di Grieg, benché appartenente ad un repertorio da lui così poco esplorato. All’alba del nuovo secolo, Rachmaninov componeva la Sonata in sol minore per violoncello e pianoforte, l’opera 19. Il dedicatario era il famoso virtuoso Anatolij Andreevič Brandukov. Entrambi, nel dicembre del 1901, eseguirono la prima assoluta. Come Mendelssohn, all’epoca della composizione della sua Sonata Rachmaninov era alla soglia dei trent’anni, ma con una solida carriera già alle spalle. La sua fama era dovuta alle interpretazioni come pianista, mentre faticava ad imporsi come compositore, tanto che il fallimento della Sinfo- DA ASCOLTARE Gutman, Kagan, Richter. Un trio di stelle, delle quali oggi è possibile purtroppo ascoltare dal vivo soltanto la prima: ma con Richter e con il marito violinista Oleg Kagan, scomparso nel 1990, la Gutman ha lasciato incisioni memorabili, tanto da dare adito, lo scorso agosto 2014, ad una ristampa su vinile per i 50 anni della russo-sovietica Melodiya, una limited edition dove si ascolta il Trio di Ravel eseguito dal vivo alla Sala Grande del Conservatorio di Mosca nel 1983. Quanto alle mille altre declinazioni della Gutman, la discografia è sterminata: come solista con la Royal Philharmonic e Temirkanov ha inciso i due Concerti di Šostakovič per RCA/BMG Ariola, con la Philadelphia Orchestra e Sawallisch ha inciso il Concerto di Dvořák e con la London Philharmonic diretta da Masur i Concerti per violoncello di Schumann e di Schnittke, entrambi su etichetta EMI. Sempre per la EMI ha inciso le composizioni cameristiche di Schumann con partners come Argerich e Maisky. Filtrando a doppia maglia, nel repertorio cameristico e con il partner del suo concerto per Musica Insieme, troviamo anche il cd Live Classics del 2013, che la vede in duo con Poprugin nelle sonate di Britten, Poulenc, Mjaskovskij, come quinto volume delle “Natalia Gutman Portrait Series”. E nel caso della Gutman, la Live Classics non è solo un’etichetta, è la sua etichetta, nata in memoria di Kagan, per celebrare l’arte dei maggiori artisti russi del Novecento. nia in re minore op. 13 lo aveva gettato in un profondo momento di fragilità emotiva. L’intervento del suo terapeuta, il Dottor Dahl, riuscì a scuoterlo dall’inattività, e nel 1899 aveva ripreso a comporre. A questo momento di nuova linfa creativa appartiene la Sonata. Come in quella di Mendelssohn, anche qui i due strumenti sono da considerarsi alla pari. Nel primo movimento, Lento. Allegro moderato, il violoncello, la cui voce dal profilo quasi umano viene trattata con intensa partecipazione emotiva, alterna sezioni lente e quasi sofferte a parti più cantabili, fino ad arrivare a incisi agitati e pizzicati. Per quanto concerne il pianoforte, vi troviamo un atteggiamento in un certo senso ambiguo, ma sempre perfettamente in equilibrio, dovuto dall’avvicendarsi di atmo- sfere sognanti e ovattate e di bruschi risvegli. Il risultato è una perfetta armonia di straordinaria bellezza, tra potenza ben controllata e lirica leggerezza. Vi è un dialogo tra le parti che sembrano capirsi e unirsi in una mistica consonanza, in cui convergono le due anime del brano, fino al concitato finale. L’Allegro scherzando, secondo movimento, si apre in perfetta sintonia con il primo: in esso troviamo vari episodi dialogici, con i fraseggi pizzicati del violoncello e gli accordi veloci del pianoforte, fino ad una sorta di tregua finale, data dalla fusione dei due timbri. A metà del movimento si ha un interessante climax espressivo del violoncello in cui si ascolta contemporaneamente il pianoforte, suadente quanto aggraziato. Anche qui si intravede l’ambivalenza tra parti di cupa malinconia e intensa agitazione. Segue il terzo movimento, Andante, con il pianoforte solo che viene poi raggiunto dal violoncello che lentamente si accoda e assurge a co-protagonista, proseguendo verso il finale in un commovente dialogo tra gli strumenti. L’Allegro mosso conclusivo si contraddistingue invece per un’eterna rincorsa fra il ritmo incessante del pianoforte e l’esuberanza del violoncello. Lo sapevate che... Nel 1990 la Gutman fonda l’Internationaler Musikfest di Kreuth in Baviera, con il marito Oleg Kagan, scomparso quello stesso anno dopo la prima edizione del Festival 40 MI MUSICA INSIEME Lunedì 9 febbraio 2015 Ispirazioni classiche Il primo quartetto di Haydn e l’ultimo di Schubert incorniciano la prima assoluta di Matteo D’Amico tratta dal Vangelo di Saramago. Il Prometeo incontra Sandro Cappelletto sul palco del Teatro Manzoni di Fabrizio Festa C orreva l’anno 1757. Haydn ha all’incirca venticinque anni quando compone il Quartetto in si bemolle maggiore op. 1 n. 1 La Caccia. Nel 1740, ancora bambino, con la famiglia si era trasferito nella capitale dalla natia Rohrau – allora come oggi un piccolo villaggio situato nella Bassa Austria, dove si può visitare la casa natale del compositore e imbattersi nel monumento a lui dedicato. Il 1740 segna un momento particolarmente importante per l’Impero: sale al trono Maria Teresa, il cui regno durerà per quarant’anni. Tra i suoi sedici figli, ricordiamo qui Giuseppe II e Leopoldo II, che nelle vicende artistiche viennesi (incluse quelle musicali, vedi Mozart), proprio come la madre, avranno un ruolo importante. Maria Teresa, del resto, passerà alla storia come un “sovrano illuminato”, patrocinatrice delle arti, riformatrice in senso laico di uno Stato voluto efficiente e ben organizzato, sia sotto il profilo amministrativo, sia dal punto di vista finanziario. Sarà lei ad introdurre l’istruzione primaria obbligatoria. Che durante il suo regno Vienna divenga uno dei più attivi centri culturali europei, dunque, non può certo sorprendere. Nella capitale asburgica trovano accoglienza molti tra gli intellettuali più in vista, numerosi LUNEDÌ 9 FEBBRAIO 2015 AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30 QUARTETTO PROMETEO SANDRO CAPPELLETTO voce recitante Franz Joseph Haydn Quartetto in si bemolle maggiore op.1 n. 1 – La Chasse Matteo D’Amico Umana Passione per voce recitante e quartetto Drammaturgia di Sandro Cappelletto PRIMA ESECUZIONE ASSOLUTA Franz Schubert Quartetto in sol maggiore D 887 Introduce Sandro Cappelletto 42 MI MUSICA INSIEME Foto RibaltaLuce Studio GIULIO ROVIGHI violino ALDO CAMPAGNARI violino MASSIMO PIVA viola FRANCESCO DILLON violoncello dei quali sono italiani. Tra i tanti, basterebbe ricordare Pietro Metastasio, che nel 1729 aveva ricevuto l’incarico di poeta di corte presso gli Asburgo e che dal 1730 a Vienna vivrà la sua splendida carriera e a Vienna morrà nel 1782, due anni dopo Maria Teresa. È in questa Vienna che Haydn diventa, ancora fanciullo, cantore solista, ruolo che perderà a causa della muta di voce; è in questa Vienna che Haydn comunica alla famiglia, che lo voleva indirizzare verso la carriera ecclesiastica, la sua decisione di fare il musicista. Ottimista per carattere, determinato quant’altri mai, studia e lavora con mirabile impegno. Da autodidatta impara armonia e contrappunto, si forma sulla musica all’epoca di moda, quello stile galante che stava conquistando l’Europa tutta, e intanto si guadagna da vivere facendo il copista. Intraprendente, Haydn comincia a frequentare proprio Metastasio, il quale a sua volta gli presenta Niccolò Porpora (siamo nel 1752), il grande musicista napoletano che fu tra i pochi a dare al giovane Haydn lezioni di composizione, e lo prese con sé nel ruolo di accompa- DA ASCOLTARE Il catalogo del Prometeo sintetizza l’anima eclettica di uno degli ensemble più interessanti del panorama italiano e non solo. Dopo le prime incisioni, Schnittke, Stuppert e Di Scipio, il Prometeo si è dedicato ai grandi classici del repertorio, dando alla luce, nei soli 2011-12, tre CD: l’integrale dei Quartetti di Schumann (Amadeus), il CD per Brilliant dedicato a Hugo Wolf e l’incisione per Limen del Quartetto serioso di Beethoven e della Morte e la fanciulla di Schubert, impreziosita da due contenuti speciali: i commenti di Accardo e Sciarrino. Dopo la parentesi “classico-romantica”, sono tornati, nel 2013, ad occuparsi di contemporanea con tre importanti monografie. Dall’intensa collaborazione con Sciarrino ha preso vita un nuovo CD per Kairos, premiato con 5 Diapason, con il suo Quartetto n. 8, dedicato proprio al Prometeo. Dall’affettuoso sodalizio con Stefano Scodanibbio, contrabbassista e compositore prematuramente scomparso, è scaturito Reinventions (ECM) con rielaborazioni dell’Arte della Fuga e del folklore messicano e spagnolo. Suggestioni liturgiche, atmosfere salentine e canti di lotta risuonano nell’ultima fatica, Palimpsest, musiche di Ivan Fedele (Limen), realizzato insieme alla soprano Valentina Coladonato. gnatore di cantanti. Insomma, Haydn è un giovane d’ingegno e di talento, che apprende velocemente non solo i segreti dell’arte musicale, ma anche come affrontare con successo la carriera del musicista. Una carriera che, dopo un breve impiego presso i conti Morzin, dal 1760 in poi sarà segnata dall’incarico affidatogli dal principe Paul Anton Esterházy, Quartetto Prometeo Vincitore di prestigiosi riconoscimenti internazionali, tra cui il Leone d’Argento alla Biennale Musica di Venezia, il Premio Speciale “Bärenreiter” per la migliore esecuzione fedele al testo originale del Quartetto KV 590 di Mozart e il Premio “Città di Praga” come migliore quartetto, il Prometeo si esibisce nelle più prestigiose sale e festival del mondo, tra cui Concertgebouw di Amsterdam, Wigmore Hall di Londra, Accademia di Santa Cecilia di Roma, Società del Quartetto di Milano. Dal 2012è“Quartettoinresidenza”all’AccademiaFilarmonicaRomana.Hacollaborato con artisti quali Mario Brunello, Alexander Lonquich, Enrico Pace e Stefano Scodanibbio. Particolarmente intenso è il rapporto artistico con Salvatore Sciarrino e Ivan Fedele, che gli hanno dedicato diverse nuove composizioni. Sandro Cappelletto Scrittore e storico della musica, Sandro Cappelletto ha all’attivo numerosi programmi televisivi e radiofonici per la RAI, tra cui il recente Inventare il tempo. Tra i suoi libri più noti si segnalano Farinelli - La voce perduta e Mozart - La notte delle dissonanze. È autore di libretti per il teatro musicale, tra cui Messiaen - l’angelo del Tempo, Che Verdi viva! e La padrona di casa, ispirato alla relazione tra Chopin e George Sand. Scrive per il quotidiano La Stampa ed è stato invitato da Giuseppe Sinopoli a dirigere il settore drammaturgia e didattica del Teatro dell’Opera di Roma. Accademico dell’Accademia Filarmonica Romana, di cui è stato direttore artistico dal 2009 al 2013, dal 2001 è membro della commissione artistica della Scuola di Musica di Fiesole. famiglia che servirà per trent’anni. In questo quadro, non stupisce che tutta la prima produzione haydniana, di cui fanno parte anche i sei Quartetti op. 1, sia improntata sugli stilemi caratteristici della musica da intrattenimento tipica di quegli anni. Del resto, il termine “quartetto”, nell’accezione formale che oggi gli riconosciamo, Haydn lo utilizzerà solo a Lunedì 9 febbraio 2015 Prima esecuzione assoluta UMANA PASSIONE L’idea di Umana Passione nasce sulle tracce delle celebri Sette ultime parole del nostro Redentore sulla croce, capolavoro scritto da Haydn in tre differenti versioni: per quartetto d’archi, per orchestra e per soli, coro e orchestra. Sublime meditazione sul dolente e salvifico mistero della Passione di Cristo, la composizione haydniana, nelle sue due versioni puramente strumentali, si articola in nove quadri, tutti in tempo lento, salvo il Terremoto finale, la successione dei quali è scandita solitamente dalla lettura di ciascuna delle sette frasi pronunciate da Cristo durante la sua agonia in croce, commentate a piacere, a seconda delle circostanze dell’esecuzione. Subendo il fascino della versione più intima e intensa, quella per quartetto d’archi, quale può essere oggi il punto di partenza per una nuova riflessione su questo cruciale momento della vicenda di Cristo? Fra le più alte e inquietanti testimonianze in quest’ambito, c’è senz’altro il Vangelo secondo Gesù di José Saramago, scrittore fra i massimi dei nostri tempi. Egli non era credente, si diceva ateo. Nel suo Vangelo, il Cristo è una figura pienamente, ‘umanamente’ sofferente. Pur assumendo come base narrativa la versione classica della vita di Gesù, Saramago la riscrive, ristrutturandola ed umanizzandola: dal concepimento naturale, alle comuni problematiche adolescenziali e famigliari, all’amore carnale nei confronti della donna che gli starà accanto fino alla morte, Maria di Magdala; fino al rapporto equivoco e contraddittorio con un Dio Padre che lo costringe ad accettare una morte atroce, predicendogli, allo stesso tempo, le stragi che in suo nome e per secoli avverranno al fine di assicurare il proprio potere. Illuminante, in questo senso, l’ultima immagine del libro: «Allora Gesù capì di essere stato portato all’inganno come si conduce l’agnello al sacrificio e, ripensando al fiume di sangue e di sofferenza che sarebbe nato spargendosi per tutta la terra, esclamò rivolto al cielo, dove Dio sorrideva: “Uomini, perdonatelo, perché non sa quello che ha fatto”». All’interno dell’ultima parte del testo di Saramago, quella dedicata alla Passione, Sandro Cappelletto ha individuato sette ‘quadri’ che colgono i momenti più significativi di quel percorso, sostituendosi idealmente alle sette, evangeliche frasi di Gesù. Come avviene in Haydn, anche qui la musica, attraverso i propri, astratti mezzi d’espressione poetica e il suo costante anelito alla costruzione d’una forma, si propone come autonomo ripensamento dei contenuti delle letture. Diversi, questi ultimi, dalle canoniche citazioni evangeliche, diversa la temperatura di questa nuova musica, che non può prescindere dalla drammaticità, dalla crudezza e finanche dalla violenza del suo riferimento letterario. L’andamento inquieto, la dinamica incessante delle figure, la frequente asprezza delle soluzioni timbriche innervano di sé la trama musicale del brano, che però, pur nell’urgenza dell’emozione, non rinuncia all’intima elaborazione, al cesello raffinato della scrittura, accettando l’eredità della secolare tradizione quartettistica. Matteo D’Amico partire dal 1781, cioè dai Quartetti op. 33. I primi, invece, appartengono ancora a quel vario genere che include “notturni”, “serenate”, “cassazioni”, “divertimenti”; che include cioè musica composta per il diletto, tanto degli esecutori, spesso amatori, quanto del pubblico. Nel vasto gruppo degli amatori sta pure il barone Carl Josef Fürnberg, committente per il suo quartetto d’archi (che annove- rava accanto a Haydn, nel ruolo di maestro di cappella e primo violino, il parroco e il sovrintendente dello stesso barone) dei sei Quartetti op. 1, il primo dei quali fu probabilmente composto tra il 1757 ed il 1758. Che formalmente fossero ancora dei “divertimenti” lo dimostra sia la struttura compositiva, sia il titolo con il quale i primi quattro furono pubblicati a Parigi: Six Symphonies ou Quatuors Dialogués. Titoli dal sapore barocco, stile cui, pur aggiornati alle galanterie del momento, questi lavori attingono. Si tratta, comunque, di lavori importanti, che conobbero già all’epoca un notevole successo, grazie al quale la fama di Haydn cominciò a percorrere l’Europa intera. Tutt’altra Vienna è quella nella quale Schubert vivrà non troppi anni dopo. Siamo nel 1826. Napoleone si è spento in quel di Sant’Elena cinque anni prima, l’Europa è quella della Restaurazione. Sul trono asburgico c’è il figlio di Leopoldo II, Francesco I. Cancelliere di Stato è Klemens von Metternich. È un altro mondo, nel senso pieno di tale locuzione. Un mondo che è stato attraversato, musicalmente parlando, dall’astro beethoveniano, e nel quale Schubert ha cercato di trovare una sua collocazione. In dieci giorni, dal 20 al 30 luglio del ’26 appunto, compone l’ultimo e il più lungo dei suoi quindici quartetti, un’opera che, come scrive Sergio Sablich, è l’unica «in grado di stare accanto al monumento per eccellenza dell’arte quartettistica, l’op. 131 di Beethoven, che non a caso Schubert considerava il vertice della musica del suo tempo». Nell’unico concerto tutto incentrato sulla sua musica cui Schubert poté assistere, il 26 marzo del 1828 al Musikverein, il Quartetto Schuppanzig ne eseguì il primo movimento. Per ascoltare la prima esecuzione integrale bisognerà aspettare il 1850, e l’anno dopo il Quartetto sarà finalmente dato alle stampe. Che abbia tardato ad ottenere il meritato riconoscimento non sorprende. Citando ancora le illuminanti parole di Sablich, se da un lato il Quartetto in sol maggiore «non presenta… quei tratti che siamo abituati a considerare tipici di Schubert» e «sembra voler prendere di petto il problema della grande forma», dall’altro appare come «un’opera che si scuota di dosso i sogni del passato e si volga risolutamente a prefigurare un nuovo inizio». Lo sapevate che... Il Quartetto vanta frequenti collaborazioni sia con Enrico Pace che con Rainer Schmidt del Quartetto Hagen, entrambi presenti nel cartellone di Musica Insieme 2015 44 MI MUSICA INSIEME Lunedì 23 febbraio 2015 Il Quartetto formatosi a Salisburgo, da trent’anni acclamato da critica e pubblico sulle scene di tutto il mondo, torna a Musica Insieme con due autori fondamentali del repertorio di Luca Baccolini Foto Harald Hoffmann Omaggio all’amicizia 46 MI MUSICA INSIEME P ur non essendo presente nel programma proposto dal Quartetto Hagen, Franz Joseph Haydn sarà il convitato di pietra con cui bisognerà necessariamente fare i conti, ascoltando il KV 458 e il KV 465 di Mozart, assieme al Terzo Quartetto op. 67 di Brahms. Haydn, il vecchio patriarca di questo genere, è lo spirito tutelare che soffia benigno sui suoi successori, sopravvissuto al trascolorare delle epoche, rafforzato, anziché sminuito, al passare delle mode. Negli ultimi due secoli e mezzo di musica occidentale, la formazione a quattro archi è infatti pressoché l’unica a transitare indenne in mezzo alla decimazione delle forme più diverse. Se la sinfonia del XX secolo, salvo le ovvie eccezioni, dopo Mahler non ha mai più vissuto stagioni fulgide, il quartetto ha miracolosamente mantenuto, ritrovato e poi sviluppato una forza espressiva potentissima. Alla sua essenzialità primordiale sono stati attirati irresistibilmente i padri fondatori della musica moderna (Debussy, Janáček, Schoenberg, Berg, Webern, Ravel, Bartók), i grandi prima e dopo la seconda guerra (Šostakovič, Ligeti, Messiaen, Boulez, Scelsi, Britten), i geni viventi di oggi (Gubaidulina, Penderecki, Kancheli, Maxwell-Davies). Il quartetto è passato dai salotti delle parrucche incipriate al luogo eletto che il musicologo francese Dominique Jameux ha definito “laboratorio delle forme”, restituendo al meglio l’idea di uno spazio Hagen Quartett di ricerca libero e ancora fertile, nonostante l’immensa mole di letteratura accumulata, spesso ancora ignorata (chi ha ascoltato, per esempio, tutti i 17 quartetti di Villa-Lobos o i 16 di Milhaud?). Di tutto questo il maggior donatore genomico è ovviamente Franz Joseph Haydn (che il nostro legittimo patriottismo musicale vorrebbe issato sul podio dei pionieri assieme a Boccherini). Lo sapevano ancor meglio di noi sia Brahms che Mozart, grato il primo e quasi in atteggiamento venerante il secondo, nei confronti del comune maestro. Rimanendo ora alle sorti del Salisburghese, il KV 458 (conosciuto con l’aneddotico soprannome La caccia forse per l’allegro tema d’apertura) e il KV 465 (Dissonanze) fanno parte di un ciclo di sei quartetti scritti tra il 1782 e il 1785, pensati espressamente come omaggio disinteressato all’Amico Haydn (si vedrà presto il motivo della maiuscola). Ciò è noto anche per la famosa lettera di accompagnamento che Mozart gli inviò, assieme agli spartiti, e che qui ci concediamo il lusso di rileggere quasi per intero, per assaporare la rapita devozione del mittente: «Al mio caro Amico Haydn – scriveva da Vienna il genio ventinovenne, aumentando al grado maiuscolo la “a” – Un padre, avendo risolto di mandare i suoi figli nel gran Mondo, stimò doverli affidare alla protezione e condotta d’un Uomo molto celebre di allora, il quale per buona sorte era il suo miglior Amico. Ecco- Fondato a Salisburgo dai quattro fratelli Hagen (Angelika Hagen è stata sostituita da Annette Bik, a sua volta poi sostituita da Rainer Schmidt nel 1987), nel 1981 lo Hagen Quartett raggiunge la notorietà con la partecipazione al festival di musica da camera di Lockenhaus, vincendo il Premio della giuria e del pubblico, per poi ottenere l’anno seguente il Primo Premio alla International String Quartet Competition di Portsmouth, seguita da un concerto alla Wigmore Hall di Londra. Nel corso della sua trentennale carriera, ha tenuto concerti in tutto il mondo e ha collaborato e collabora con musicisti di primo piano come Maurizio Pollini, Mitsuko Uchida, Sabine Meyer, Krystian Zimerman. Gidon Kremer li ha spessocoinvoltineisuoiprogetti,comeilfestivaldimusicadacameradiLockenhaus, e numerosi autori contemporanei, tra cui Widmann, dedicano al Quartetto i propri lavori. Per le sue registrazioni lo Hagen ha ottenuto due volte il Grand Prix du Disque e nel 1996 il premio dell’Accademia Musicale Chigiana. Nel 2011 ha ricevuto il prestigioso premio ECHO Klassik come Ensemble dell’Anno e nel 2012 è stato nominato Membro onorario del Konzerthaus di Vienna. LUNEDÌ 23 FEBBRAIO 2015 AUDITORIUM MANZONI ORE 20.30 HAGEN QUARTETT LUKAS HAGEN violino RAINER SCHMIDT violino VERONIKA HAGEN viola CLEMENS HAGEN violoncello Wolfgang Amadeus Mozart Quartetto in si bemolle maggiore KV 458 – La caccia Johannes Brahms Quartetto in si bemolle maggiore op. 67 Wolfgang Amadeus Mozart Quartetto in la maggiore KV 465 Dissonanze Introduce Giordano Montecchi. Saggista e critico musicale per quotidiani e riviste, insegna Storia della musica al Conservatorio di Parma ti dunque del pari, Uom celebre, ed Amico mio carissimo i miei sei figli [i quartetti, ndr]. Essi sono, è vero, il frutto di una lunga e laboriosa fatica. Eppure la speranza fattami da più Amici di vederla almeno in parte compensata m’incoraggia e mi lusinga [...]. Tu stesso Amico carissimo, nell’ultimo tuo Soggiorno in questa Capitale, me ne dimostrasti la tua soddisfazione. Questo tuo suffragio mi anima sopra tutto perché io te li raccomandi, e mi fa sperare che non ti sembreranno del tutto indegni del tuo favore. Piacciati dunque accoglierli benignamente; ed esser loro Padre, Guida ed Amico! Da questo momento, io ti cedo i miei diritti sopra di essi; ti supplico però di guardare con indulgenza i difetti, che l’occhio parziale di Padre mi può aver celati, e di continuar loro malgrado la generosa tua Amicizia a chi tanto l’apprezza, mentre sono di tutto Cuore, il tuo Sincerissimo Amico, W.A. Mozart». Trascurando il profluvio di maiuscole, inchini e piroette lessicali, dalla risposta di Haydn in una lettera a Leopold Mozart, s’intuisce che l’apprezzamento dovette essere autentico: «Io dico, da uomo sincero, che Suo figlio è il più gran compositore che io conosca personalmente o di nome: possiede la più alta scienza nel comporre». Tale entusiastico consenso, al di là dell’amicizia, non era scontato. SoMI MUSICA INSIEME 47 Lunedì 23 febbraio 2015 DA ASCOLTARE Impossibile riassumere in poche righe la discografia, tutta marcata DGG, realizzata dal Quartetto Hagen. Dall’integrale mozartiana alla musica per quartetto d’archi di Ligeti, lo Hagen ha voluto dire la sua su tutto il repertorio, sottolineando una predilezione per il classicismo viennese e per la produzione beethoveniana. Ad alcuni fra i quartetti del compositore tedesco è dedicata anche una delle sue più recenti fatiche discografiche (2013), tassello che si aggiunge ad un articolato mosaico, che vede la compagine proporre e riproporre in sala di registrazione gli amati itinerari viennesi. Ad esempio, eccola nel 2009 mettere assieme l’op. 135 di Beethoven con i due più celebri quintetti per clarinetto, solista Sabine Meyer: quelli di Wolfgang Amadeus Mozart e di Carl Maria von Weber. A volte però si concedono qualche eccentricità. Nel medesimo anno sugli scaffali arriva un CD, nel quale il Quartetto Hagen avvicina La Morte e la Fanciulla, l’amatissimo capolavoro schubertiano, al chiaroscurale Quartetto in fa maggiore di Maurice Ravel. Ovviamente, non si tratta di una casuale incursione nella modernità. Il Quartetto Hagen, lo abbiamo detto, il repertorio lo affronta tutto. Tant’è che nella sua discografia spicca ad esempio Šostakovič. C’è Kodály. E c’è Webern, le cui pagine non possono certo mancare nel catalogo di un quartetto che, come lo Hagen, aspira a passare alla storia dell’interpretazione. prattutto nel KV 465 Mozart segnalava l’incontenibile esigenza di abbattere gli equilibri della tradizione: note dissonanti in avvio (da cui il sottotitolo), un lungo adagio introduttivo dall’atmosfera indefinibile, un clima di attesa risolto solo con il sopraggiungere di un Allegro che deve sicuramente aver tolto dall’apnea la platea viennese dell’epoca. Si trattava di un inquieto albeggiare romantico? Qualche critico vi ha scorto addirittura l’annuncio di Schubert, specie nel finale. Ma certamente la sensibilità del secolo successivo, che Mozart non vide mai se non nella presentita fama del giovanissimo Beethoven, stava trovando un solco in cui defluire da chissà quali sorgenti segrete. Non sarà sfuggito infatti che la composizione successiva alle Dissonanze è il Concerto per pianoforte e orchestra in re minore KV 466, in cui l’approfondimento psicologico, l’alternanza dialettica tra solo e tutti e la debordante drammaticità non possono che dirsi interpreti profeti del futuro romanticismo, se non già testimoni di un protoromanticismo. Ci si potrebbe chiedere se sia un caso che la porta sul nuovo mondo sia stata aperta con la maniglia di un quartetto. Forse non è stata una coincidenza, se è vero che chi compone in questa forma non può mai banalizzare il materiale musicale a disposizione, costretto com’è a raffrontarsi subito con un contenuto nudo, senza l’alibi di farciture orchestrali. Il Mozart dei sei Quartetti con dedica a Haydn sembra aver preso, per così dire, una rincorsa: chiusa la stagione del 1784, comincia il decollo sinfonico dei concerti per pianoforte più maturi (KV 466, 467, 482, 488, 491 e via fino al 595) e delle sinfonie, dalla “Praga”, la numero 38, in poi, come se la consacrazione ottenuta nel quartetto e l’approvazione dell’Amico Franz Joseph avessero stappato e legittimato ulteriormente la miglior vena sinfonica. Il processo è sorprendentemente analogo in Brahms. Il suo Terzo Quartetto in si bemolle maggiore vede la luce nel 1876, lo stesso anno in cui avviene il doloroso parto della Prima Sinfonia. Nulla sembra comunicare in modo solidale tra il clima caldo, gioviale e quasi popolaresco del Quartetto con i toni perentori, eruttivi, debordanti della Sinfonia, la “Decima”, come la definì Hans von Bülow in preda a un’estasi beethoveniana. Anche Brahms, come Mozart, sembra preparare il terreno per una rincorsa che l’avrebbe poi portato a diradare drasticamente la musica cameristica in favore delle vette sinfoniche conquistate con le altre tre sinfonie, il Secondo Concerto per pianoforte, quello per violino, il Doppio Concerto e le due ouvertures. Per arrivare così in alto, però, fino a quarant’anni inoltrati Brahms lavorò quasi esclusivamente sulle singole voci e su gruppi ristrettissimi di strumenti, su cui testare severamente l’austero e antico genere della Variazione, che riaffiora, guarda caso, anche nell’ultimo tempo del Terzo Quartetto. Eccolo dunque, l’ancora glabro Johannes cimentarsi con le Händel e le Paganini-Variationen, palestra e laboratorio di una raffinazione suprema del suo pensiero musicale. E perché il sinfonismo s’aprisse (o meglio, parafrasando lo stesso Brahms, gli desse il permesso di accedervi), l’Amburghese doveva passare ancora attraverso la prova di altre Variazioni: l’esame decisivo erano quelle per orchestra su un tema di Haydn. Solo qui si compie la svolta che autorizza Brahms a passare dall’organico ridotto all’orchestra, grazie a un processo di maturazione consapevole di tutto ciò che era accaduto fin lì nella storia della musica: il Franz Joseph Haydn beatamente vezzeggiato da Mozart, in Brahms, grazie al sedimentato storico di novant’anni dopo, diventa materiale coscientemente metabolizzato, con un uso consapevole degli stili del passato per produrre arte nuova. Bene o male che sia, a noi resta solo da contemplare il risultato dell’uno e dell’altro genio: la freschezza vergine di un Mozart ancora immune alle stratificazioni e alle sovrastrutture accumulate dalla storia, e la dolente presa di coscienza di un Brahms che non poté fare a meno di sintetizzare un passato già troppo carico per essere ignorato. Il suo lento incedere, trasmessoci dalla celebre silhouette con le braccia incrociate dietro la schiena, ci ricorda ogni volta quanta musica dovette distillare quella mente poderosa. Lo sapevate che... Nel 2011 il Quartetto Hagen ha celebrato i suoi trent’anni di attività con una tournée mondiale dedicata all’integrale dei quartetti per archi di Ludwig van Beethoven 48 MI MUSICA INSIEME PER LEGGERE Paul Griffiths La musica del Novecento (Einaudi, 2014) Paul Griffiths era già noto ai lettori italiani per la sua Breve storia della musica occidentale (Einaudi 2007), in cui, in 365 pagine, proponeva un excursus tra vari secoli di musica. Ora torna in libreria con La musica del Novecento, dedicato al tempo più recente, con un centinaio di pagine in più (470, stesso editore). Il libro, tradotto da Fulvia de Colle e Massimiliano Morini, cerca di rendere conto della complessità di un secolo che sarà pur stato “breve”, ma ha registrato movimenti tellurici nella musica come nelle altre arti, con brusche sterzate dalla strada tracciata in precedenza, lasciando un pubblico attonito, pieno di domande. Se l’opera non può risolvere tutti i dubbi, però offre alcune chiavi per meglio comprendere come si è arrivati alla scena musicale contemporanea. Lo stile – Griffiths è un critico musicale e autore di romanzi – è agevole, i riferimenti alla storia e alle situazioni sono frequenti, i tecnicismi inesistenti. L’ultima parte del volume è dedicata ad un canone di cento opere rappresentative, da Estampes di Claude Debussy a Unfolding di Francesca Veronelli. Un buon punto di partenza per orientarsi in un secolo di “vertiginosa creatività”. Francesco Sabbadini Sinfonia fantastica, raccolta di testi, saggi, interventi, recensioni (Conservatorio “Giovan Battista Martini”, 2014) Sinfonia fantastica, raccolta di testi, saggi, interventi, recensioni: così s’intitola un volume dedicato a Francesco Sabbadini, docente di Storia della musica al Conservatorio “Giovan Battista Martini” di Bologna, fino al 2010, anno della sua scomparsa. Un bel titolo per una pubblicazione importante, che esprime affetto, nel ricordo della moglie Patrizia Pavarini, e stima, nelle pagine di Piero Mioli. Un libro che passa dall’omaggiomemoria alla testimonianza della capacità di quel docente, essendo la maggior parte delle 547 pagine che lo compongono occupate da scritti dello stesso Sabbadini. Saggi, interventi, studi brevi, scritti per diverse occasioni e pubblicazioni, ormai difficilmente rintracciabili, si trovano qui raccolti. Riuniti con amore e competenza, offrono il quadro di una capacità di ricerca e di riflessione che meritava quest’attenzione. Nel libro si trovano pagine su Berlioz (compositore molto seguito dall’autore), su musica ed estetica, sulla musica a Bologna, programmi di sala e tanto altro. Il libro inaugura la serie de I Quaderni del Conservatorio Giovan Battista Martini. 50 MI MUSICA INSIEME di Chiara Sirk PUNTI DI VISTA Tre sguardi diversi su uno stesso enigmatico oggetto: la musica, ora osservata attraverso l’esperienza di un interprete, ora sintetizzata nella sua storia recente da un critico, e infine illustrata con sapienza da un docente di Conservatorio Silenzio e musica: due opposti. Allora, cosa fa scrivere a Mario Brunello, acclamato violoncellista di bella carriera e memorabile intraprendenza, artefice di molteplici iniziative (la più famosa delle quali, “Suoni delle Dolomiti”, ha visto lui e tanti suoi colleghi, e un pubblico numeroso, salire i sentieri di montagna per ascoltare, in luoghi unici, memorabili esecuzioni musicali), cosa fa scrivere a questo protagonista della scena musicale: «Più penso al silenzio e più la musica mi parla» nella quarta di copertina del suo ultimo libro? Libro interamente dedicato al Silenzio, questo anche il titolo, uscito quest’anno per i tipi de Il Mulino. Non è la prima volta che il Maestro si misura con la scrittura, ma gli altri volumi erano di comprensione più immediata. Se scrive Fuori con la musica o Per zaino un violoncello, capiamo tutto, se scrive Silenzio è più difficile. Sembra una contraddizione: se suoni non puoi occuparti del silenzio. In realtà non è così. Proprio chi costantemente gestisce un flusso sonoro s’accorge ben presto che dall’altra parte ha un’assenzapresenza con cui fare costantemente i conti. Il musicista può subire il silenzio, può illudersi di governarlo, può cercare di venire a patti con lui, in ogni caso deve fare i conti. Non solo, spiega Brunello, non esiste un solo silenzio, ma tanti tipi, con diverse qualità. «L’arte musicale degli ultimi due tre secoli, quella più complessa che più è stata elaborata, la musica cosiddetta “classica”, ha fatto del silenzio un elemento espressivo, di equilibrio formale, addirittura un elemento principale entro il quale distillare i suoni. Da Johann Sebastian Bach a John Cage è stato fatto un percorso che ha portato a ribaltare l’importanza dei ruoli tra suono e silenzio». La musica esce dal silenzio e lì ritorna, continuando a tessere un dialogo con lui nel suo divenire. Così si recupera anche la radice originaria del fare musica, un esercizio ascetico, che richiede dedizione e concentrazione. Solo dopo questo cammino, come in montagna quando si è camminato per tutta la notte, arriva l’alba della pienezza. Il musicista stesso, scopriamo, deve fare silenzio dentro di sé, per ascoltare la musica, che va e torna a lui, e per sentire il pubblico. Il libro di Brunello è un breve (119 pagine) saggio-testimonianza, prezioso in un’epoca di frastuono costante. Eppure l’autore conclude: «Amo il silenzio, ma mi piace ascoltare i rumori. Odio la musica di sottofondo. […] Ogni rumore ha la sua ragione di esistere e molte volte, attraverso il rumore, anche le cose si esprimono». Mario Brunello Silenzio (Il Mulino, 2014) DA ASCOLTARE di Piero Mioli DUE ACQUERELLI E UN OLIO L’Accademia degli Astrusi ci offre un viaggio tra barocco e preromanticismo, la Perrotta incanta il pubblico con le sue Variazioni Goldberg, mentre il violoncello della Chiesa dialoga affiatato con l’Orchestra della Rai Anna Bonitatibus, Accademia degli Astrusi, La Stagione Armonica, Federico Ferri Semiramide. La Signora Regale (Sony Music, 2014) Novanta minuti, ma che partita! È un’ora e mezza che percorre un secolo di opera italiana (d’anagrafe o di stile). Il nobile pretesto è la figura di Semiramide, ormai senza Dante e senza Voltaire ma presso molti dei moltissimi compositori che l’hanno intonata, con Metastasio o no, in aura di tragedia o quasi di commedia. La scelta, oculatissima, spazia fra lo strumentale delle sinfonie o delle introduzioni ai passi di bravura, dai recitativi misurati ai cantabili, dal solismo alla dialettica con altra voce o coro. Voce di mezzosoprano per personaggi che allora si sarebbero detti di primadonna e basta, Anna De Bonitatibus qualche volta cade nell’artificio (alla maniera, si direbbe, bartoliana), ma in genere pronuncia, lega, abbellisce, sveltisce adeguatamente, passando dallo sdegno di Jommelli e Händel all’intimismo di Paisiello e García. Delle 14 scene, solo una (Meyerbeer) è déja vue, ben 12 sono in “world premiere recording” (ad esempio Caldara, Porpora, Traetta, oltre ai citati) e una in “world historical premiere”: è “Bel raggio lusinghier”, la famosa cavatina di Rossini in altra, precedente versione. Silvia Chiesa, violoncello. Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, Corrado Rovaris The Italian Modernism Casella, Pizzetti, Cello concertos Respighi, Adagio with violoncello (Sony Classical, 2014) Di recente l’Orchestra della RAI ha alzato il vessillo dello strumentalismo italiano moderno, con un paio di sinfonie di Martucci e Casella, belle, robuste, degnissime di confronti d’oltralpe. Ed è la stessa Orchestra che ora raccomanda il concertismo di quella tradizione postromantica, con due solisti di tutto rispetto come la violoncellista Silvia Chiesa e il suo violoncello Grancino del 1697. Tre autori limitrofi, si ascoltano, ma certo non si confondono. In Casella la Chiesa e il direttore Rovaris hanno da dialogare fitti fitti, anzi proprio da correre nei percorsi dello humour più neoclassico: il violoncello che sembra un violino, i trilletti del Largo, un sentore di Hindemith assicurano appieno della novità del brano. Respighi no, Ottorino è sempre un bel po’ evocativo: altra, più sfumata e romanticheggiante forma di affiatamento, per gli esecutori. Anche Pizzetti ama il dialogo, ma lo vuole forte, divaricato, magari alla Brahms. Diceva Casella che il suo finale era un volo del calabrone: bene, il finale di Pizzetti, sotto le mani di Chiesa e Rovaris, sembra il volo di un simpatico calabrone che ha in mente non solo Rimskij-Korsakov ma anche Haydn e Schubert. È stato più svelto Beethoven, per lei, che Bach: le opere 109, 110 e 111 Maria Perrotta le ha registrate nel 2013 e la Decca le ha pubblicate pochi mesi dopo; invece le Goldberg le aveva registrate prima, nel ’12, e se le è viste sul mercato nel ’14. Quanto basta perché l’eletta concertista, 40 anni il novembre scorso, cominci a dire che ora potrebbe eseguirle diversamente. Bene, lo saprà chi la sentirà, come va facendo, in giro pel mondo, e a Bologna il 22 gennaio per Musica Insieme in Ateneo. Al mondo del disco resta questa mirabile registrazione del 12 gennaio 2012, al “Rossini” di Lugo, con un grancoda Steinway & Sons del 1989, davanti a un pubblico letteralmente sorpreso. Pianoforte e non clavicembalo, come invece si dovrebbe. Più attenzione per Gould che per Leonhardt, come non si dovrebbe proprio. Tuttavia il risultato è straordinario: tecnica perfetta, tenuta sbalorditiva, dinamica equilibrata, abbellimenti più scivolati che sgranati, assoluta mancanza di languore ma notevole dose di sorvegliato lirismo, e soprattutto senso della forma, di una forma, come dire? ad arco, di un’arcata che non si permette la minima deflessione fra un avvio, un’ascesa, un’acme, una discesa, una fin che sembra lo stesso commencement. Di “vitrea trasparenza” ha favellato la critica dopo il concerto, e certo con ogni fidente plausibilità: ma la durezza del vetro non fa giustizia del suono della Perrotta, che afferma di non praticare il cembalo e non deve avere simpatie viscerali per il pianismo fenomenale di Liszt e Rachmaninov. Il CD beethoveniano, difatti, lo chiude con uno studio di Skrjabin: molto pianistico, s’intende, ma anche niente vistoso. L’Arietta dell’op. 111? Nessun languore nemmeno qui, a riprova della costanza della sua musicalità. Macché, ha detto in un’intervista: mi piace e mi sento cambiare, ho passioni musicali in fieri, amo fare delle scoperte. E allora si scateni la fantasia di chi ascolta questo Bach in pura filigrana: la prossima passione sarà Scarlatti o Albéniz? Comunque sarebbe Spagna: al condizionale. Maria Perrotta Johann Sebastian Bach, Goldberg Variationen (Decca, 2014) 52 MI MUSICA INSIEME Fondazione Musica Insieme Galleria Cavour, 2 – 40124 Bologna Tel. 051 271932 – Fax 051 279278 Editore Fabrizio Festa Direttore responsabile Bruno Borsari, Fulvia de Colle, Valentina De Ieso, Cristina Fossati, Roberto Massacesi, Alessandra Scardovi In redazione Luca Baccolini, Elisabetta Collina, Francesco Corasaniti, Matteo D’Amico, Alessandro Di Marco, Maria Pace Marzocchi, Maria Chiara Mazzi, Piero Mioli, Anastasia Miro, Vania Pedrotto, Chiara Sirk Hanno collaborato Kore Edizioni - Bologna Grafica e impaginazione Grafiche Zanini - Anzola Emilia (Bologna) Stampa Registrazione al Tribunale di Bologna n° 6975 del 31-01-2000 Musica Insieme ringrazia: BANCA DI BOLOGNA, BANCA ETRURIA, BANCA POPOLARE DELL’EMILIA ROMAGNA, BANCO DI DESIO E DELLA BRIANZA, CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA ARTIGIANATO E AGRICOLTURA DI BOLOGNA, CAMST, CASSA DI RISPARMIO DI BOLOGNA, CASSA DI RISPARMIO DI CENTO, COCCHI TECHNOLOGY, CONFCOMMERCIO ASCOM BOLOGNA, COOP ADRIATICA, COSWELL, FATRO, FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO IN BOLOGNA, FONDAZIONE DEL MONTE DI BOLOGNA E RAVENNA, GRAFICHE ZANINI, GRUPPO GRANAROLO, GRUPPO HERA, MAURIZIO GUERMANDI E ASSOCIATI, MAX INFORMATION, M. 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