Leonardo Di Paola
In collaborazione
con Viviana Taccione
wec
Edizioni I FEEL GOOD
Progetto di formazione continua “Weco Club”
Collana “Wellness Coach Professionista”
Esclusiva dei Soci del Weco Club
PNL, Mappe e Strategie™
Cervello, il libretto di Istruzioni™
Software, Volontà e Affermazioni Operative™
La Sublime Arte del Rapport™
La logica delle Strategie Rappresentazionali™
Comportamento: lavorare sui livelli (1)™
Comportamento: lavorare sui livelli (2)™
Preparazione, Ascolto e Feedback efficaci™
L’Intake di Coaching™
Scoprire e definire gli Obiettivi™
La Verifica Organica™
Anno 1: dalla PNL alle prime Sessioni™
Linguaggio, Semiotica e Modelli MM
Il modello MM1 (parte prima)
Il modello MM1: (parte seconda)
Il modello MM1: (parte terza)
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Leonardo Di Paola • Special Report # 13 “Corso Wellness Coach Professionista”
Progetto di Formazione Continua “Weco Club” Riservato ai Soci • www.wecoclub.it
Proprietà letteraria riservata certificata © 2010 Versione 1.0 • Vietata ogni diffusione o duplicazione Edizioni
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Questo ebook ha esclusivamente scopo formativo e rappresenta la libera opinione dell’autore. Non è una
guida di automedicazione e non sostituisce alcun tipo di trattamento medico o psicologico.
Il Modello MM1
(parte seconda)
Report #15 Corso Wellness Coaching Professionista
Leonardo Di Paola
in collaborazione con Viviana Taccione
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vietato trasmettere ad altri il presente ebook, nè in formato cartaceo né
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Specificità, Fedeltà, Conformità
Il 14° Report è stato interamente dedicato all’introduzione del modello MM1.
Per riprendere un attimo le file del discorso, ricorderai che siamo partiti dal
modello delle 3 realtà, in base al quale:
1. esiste il mondo fisico (realtà primaria)
2. esiste una mappa mentale soggettiva individuale di questo mondo (realtà
secondaria)
3. esiste una terza rappresentazione di questa mappa, il nostro linguaggio
(realtà terziaria)
Grazie al lavoro geniale di Bandler e Grinder, che hanno recuperato e
finalizzato negli anni ‘70 studi e risultati provenienti da psicoterapia,
linguistica e antropologia, è nata la PNL. E uno dei principali risultati della
Programmazione Neuro Linguistica è stato quello non solo di aver rilevato il
valore ed il significato di questa realtà terziaria, ma anche e soprattutto di
aver sistematizzato in quanti modi diversi possiamo allontanarci dalla realtà
primaria.
Questo allontanamento avviene violando di fatto delle precise regole logicolinguistiche, e dato che la PNL nasce per migliorare la risposta della mente
umana agli stimoli ambientali (per così dire e in senso lato), gli studi su
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queste violazioni sono stati fatti soprattutto guardando l’errore per
correggerlo con apposite domande, ed il Metamodello (o modello di precisione)
è in effetti una raccolta sistematica di questi possibili errori.
Questi errori, anche grazie agli studi di altri geniali autori, sono stati raccolti
in 4 categorie (alla 4a, la più evoluta e complessa, mi sono permesso di dare
io un nome, dato che in letteratura non l’ho trovato):
Cancellazioni
Generalizzazioni
Distorsioni
Alterazioni
Abbiamo detto che queste conclusioni ci interessano sia come strumento di
coaching che come strumento di ragionamento personale.
Il metamodello è la chiave per mostrare ad una persona in quanti modi la sua
mappa è diversa dalla realtà, e torneremo certamente anche noi ad usarlo in
questo modo… Ma in questo momento, come anticipato nel Report precedente,
invece di concentrarci sugli errori (Metamodello), in questi primi report ci
concentriamo sul ben fatto (Modello MM1), cioè sulle caratteristiche che deve
avere una comunicazione per essere il più possibile vicino alla realtà primaria
che rappresenta.
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Il modello MM1 infatti per noi rappresenta il modo più preciso, puntuale e
sensorialmente definito per rappresentare con il linguaggio verbale la realtà
che ci circonda (o che sperimentiamo dentro di noi).
Se vogliamo, il modello MM1 ci aiuta a capire come comunicare con noi stessi
e con gli altri senza incappare negli errori rilevabili dal Metamodello.
Il modello MM1 è in un certo senso opposto e quindi speculare al Metamodello.
Il primo ci spiega come parlare e scrivere restando aderenti alla realtà (e
quindi massimamente comprensibili), il secondo ci aiuta a capire invece quali
errori facciamo quando non parliamo e scriviamo restando aderenti alla realtà.
Ribadito questa idea di base, nel Report 14 siamo partiti comunque dallo
schema del Metamodello ampliato vedendo i corrispettivi del modello MM1
delle 5 sotto-categorie classiche delle cancellazioni:
Cancellazioni semplici
Indici referenziali non specificati
Cancellazioni comparative
Processi non specificati (avverbi)
Processi non specificati (aggettivi)
E delle prime due sotto-categorie delle generalizzazioni:
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Quantificatori universali
Operatori modali
A livello grammaticale abbiamo infatti parlato di ricchezza informativa
(opposto della cancellazione) attraverso:
Nomi e pronomi specificati (per evitare “Cancellazioni semplici”)
Verbi specificati (per evitare “Indici referenziali non specificati”)
Congiunzioni
comparative
specificate
(per
evitare
“Cancellazioni
comparative”)
Avverbi specificati (per evitare “Processi non specificati – avverbi”)
Aggettivi specificati (per evitare “Processi non specificati – aggettivi”)
Per poi passare a parlare di specificità (che è l’opposto della generalizzazione)
con frasi che utilizzino al massimo:
Avverbi,
pronomi
e
nomi
usati
in
modo
relativo
(per
evitare
“Quantificatori universali”)
Verbi modali potenzianti (per evitare “Operatori modali”)
Adesso continueremo il discorso sulla Fedeltà dedicandoci al corrispettivo
della terza sotto-categoria delle Generalizzazioni, le cosiddette
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Performative Perdute
(Tranquilli! Sembra complicato ma è più semplice di quel che sembra! ☺), per
poi dare un’occhiata alla categoria della Fedeltà con le sue 5 sotto-categorie
simmetriche e opposte alla Distorsione:
Nominalizzazioni
Lettura del pensiero
Causa/effetto
Equivalenze complesse
Presupposizioni
E infine chiuderemo il Report con la prima sotto-categoria della Conformità,
categoria complementare di quella che abbiamo chiamato Alterazioni,
Termini sovra/sotto definiti
Come si è visto nel Report 14, anche qui scoveremo le sotto-categorie
corrispondenti e complementari a queste 7 del Metamodello.
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A mano a mano che avanziamo in questa nostra carrellata, ti renderai conto
che ci sposteremo sempre più dalla grammatica alla sintassi, e dalla sintassi
della frase alla logica relativa al significato dei concetti (quella che i linguisti
chiamano semantica).
Insomma ci spostiamo dai legami stretti del linguaggio a quelli più larghi.
Cominciamo subito con la prima!
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Esplicitare la fonte
Quello che vedremo adesso è la terza sotto-categoria della Specificità, che
rimanda all’ultima sotto-categoria delle Generalizzazioni, la cosiddetta
Performativa Perduta.
Come già anticipato ci sarà un Report specifico interamente dedicato alle
domande del Metamodello, domande utili per aiutare il nostro Coachee – se del
caso - a trasformare le preoccupazioni ed i pensieri limitanti che condivide
con noi (realtà terziaria) in una mappa (Realtà secondaria) più dettagliata, più
ricca, meno pessimistica e paralizzante.
Il Metamodello funziona molto bene per rendere più realistico il pessimismo,
trasformandolo in ottimismo.
In fondo l’unica realtà da cui conviene partire è che ognuno di noi, in qualsiasi
momento della sua vita, può cambiare ciò che non gli piace, o almeno
pianificare un cambiamento a breve/medio termine.
Adesso cerchiamo di vedere un’altra caratteristica del linguaggio MM1, una
modalità di comunicazione estrememente precisa, concreta e pragmatica.
Spesso, quando si parla, tendiamo a dar voce alle nostre convinzioni più
profonde, a quella affermazioni cognitive che come tanti fili concettuali
tessono la nostra identità. Non c’è nulla di male nel condividere i nostri
pensieri e le nostre certezze, ma per restare nel modello MM1 dobbiamo
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sempre ricordarci di esplicitare la fonte delle nostre affermazioni cognitive,
soprattutto quando hanno la forma di una legge, di un giudizio, di una regola
assoluta.
Che si tratti di convinzioni superficiali (affermazioni cognitive sulla moda dei
vestiti) o che coinvolga le nostre certezze ed i nostri valori più radicati e
profondi (ciò che è giusto o non giusto fare, cosa pensiamo della vita dopo la
morte, quali sono le nostre ideologie politiche, etc.), quando affermiamo
quella che per noi è una verità dovremmo sempre anche citarne in qualche
modo la fonte.
Verrebbe istintivo dire che io sono la fonte di queste convinzioni, e che
dunque non ha molto senso appesantire la conversazione (o peggio il Coaching)
con tediosi dettagli di paternità intellettuale. In fondo se sono io a dire:
“l’unico modo per combattere la criminalità è la frusta!”
per un tacito accordo tra parlanti ci aspettiamo che il mio interlocutore
capisca: (questo è quello che penso).
Ad ogni modo non solo non è così automatico, ma questa mancanza di
riferimento per così dire “bibliografico” (permettimi l’aggettivo, ho un debole
per le citazioni!), l’omissione della fonte, ottiene un effetto molto singolare
sia su noi che sull’ascoltatore. Vediamo insieme perché:
Effetto su di me che parlo:
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E’ ovvio che se non sto volontariamente plagiando un autore durante una
conferenza, dimenticarsi della fonte significa dare per scontato che mi prendo
io, in un certo senso, la responsabilità della paternità della frase.
Ma dimenticarsi di dire: secondo me (in my honest opinion - IMHO, come si
usa dire nei gruppi di discussione web), tende a cristallizzare la mia
convinzione, sclerotizzando il mio pensiero ed accelerando come sempre in
questi casi il mio invecchiamento mentale.
Se uso affermazioni assolute, queste risuonano in me come leggi eterne,
evidenze scientifiche o religiose che possono solo essere sottoscritte.
E’
una
specie
di
auto-induzione
ipnotica
che
rafforza
il
potere
dell’affermazione cognitiva, non solo perché viene espressa sotto forma di
generalizzazione, ma anche perché cancellando l’autore morale della frase di
fatto l’abbiamo trasformata in una frase senza paternità, ma anche senza
nascita né morte, in un’evidenza senza tempo.
E mi viene in mente solo un’entità fuori dal tempo che può permettersi il lusso
di non necessitare di definizioni!
Se non espliciti la fonte quando dichiari una presunta verità, anche
premettendo semplicemente che è quello che pensi tu, stai usando la
maschera di Dio per rinforzare la tua idea di base.
E non finisce qui, perché così facendo alimentiamo anche l’idea errata che
non possa esistere il cambiamento, nelle nostre idee e quindi in noi.
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Questo è l’effetto che questo errore ha sul tuo linguaggio, privandolo della sua
natura MM1.
Effetto sul mio ascoltatore:
Ma non esplicitare la fonte ha un effetto particolare anche sul nostro
interlocutore. Ci sono grosso modo due possibilità di massima.
1) Se la tua affermazione esprime idee abbastanza intuitive, o comunque
supportate dalla morale o dal buon senso dominante o ancora nate dallo stato
dell’arte di una determinata conoscenza specialistica, il tuo interlocutore
tenderà a recepirle come comandi ipnotici, verità assolute che non possono
essere contraddette e che di conseguenza rappresentano un vero e proprio
travaso di software.
Il che – chiaramente – non ha molto a che vedere con una comunicazione volta
a trasferire concretamente fatti e percezioni!
E nota che questa cosa sarà tanto più potente quanto più il background
culturale del tuo interlocutore sarà simile al tuo. In un certo senso è come se si
creasse un gioco di specchi in cui uno dei due fa esplicitare e confermare
dalla Voce di Dio le convinzioni dell’altro, in cui si ritrova.
Eventuali contrasti ideologici verranno invece apparentemente bypassati,
perché invece di discuterne in modo sensorialmente fondato e specifico,
l’assolutizzazione della fonte supererà nella maggior parte dei casi il filtro
della mente razionale.
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La conseguenza in questo caso, se l’interlocutore non è addestrato o pronto a
riconoscere l’errore comunicativo, è che si creano conflitti interni di cui lì per
lì non ci si accorge, ma con cui poi la persona in un modo o nell’altro prima o
poi dovrà confrontarsi.
2) Se invece la tua affermazione esprime idee innovative, controcorrente o in
ogni caso lontane dall’ideologia della persona che ti ascolta, facendole
passare come Leggi Assolute rischi di creare fastidio o chiusura, vanificando
nella migliore delle ipotesi qualsiasi rapport tu abbia avviato e – peraltro senza neanche capire dove hai sbagliato.
Quindi, per evitare questi rischi, quando vuoi esprimere un’opinione
relativizzala prendendoti la responsabilità di evidenziarne la paternità e se possibile o necessario - anche il contesto storico o culturale.
Se io dico infatti:
“Anni fa pensavo che l’unico modo per arricchirsi fosse vincere al
superenalotto” o “gli amanti del gioco credono che l’unico modo per
arricchirsi sia vincere al superenalotto”,
in entrambi i casi il messaggio che metto sul tavolo del confronto è ben diverso
che dire:
“l’unico modo per arricchirsi è vincere al superenalotto”.
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Come si vede, infatti, contestualizzare un’affermazione assoluta ci induce ad
abbandonare il presente indicativo, che è il verbo della verità assoluta.
Se lo usi consapevolmente per creare un futuro migliore con la Legge di
Attrazione, ok, ma usarlo così non è utile, almeno non lo è se vuoi restare
nell’ambito della comunicazione MM1 DOC!
Quindi, nel modello MM1 ogni generalizzazione, ogni affermazione cognitiva
che esprime “una verità” su una qualsiasi categoria di oggetti, situazioni o
persone, dovrebbe avere sempre un soggetto, un luogo, un tempo ed un
contesto espressi.
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Contrastare la Distorsione: una questione di Fedeltà
Dopo aver completato il discorso sulla specificità, ci occupiamo adesso della
Fedeltà, categoria simmetrica e opposta alla Distorsione.
Come scrive Michael Hall nel suo “La Pnl e la magia del Linguaggio” (testo
favoloso ma un po’ complesso per i non addetti ai lavori, tra le fonti primarie
sul metamodello per questi report),
“distorcere immagini, rappresentazioni, strutture, sequenze, etc. fa
parte del nostro potere di pensare e di mappare la realtà. Il nostro
sistema nervoso non può gestire la forma delle manifestazioni di energia
che esistono nel campo elettromagnetico. Pertanto, distorce le onde
luminose trasformandole in un codice che possiamo utilizzare. Quindi la
codifica dei nostri coni e bastoncelli viene convertita in un’altra forma,
e a sua volta l’impulso nervoso viene trasmesso ancora in un’altra forma
di scambio chimico e così via. Mappare significa distorcere”.
Abbiamo abbondantemente trattato il nocciolo della questione parlando di
semiotica e linguaggio, di segni e simboli che stanno al posto di qualcos’altro,
di eventi e pezzetti di realtà fisica con cui noi trasformiamo un pensiero o
un’idea in qualcosa che la rappresenta.
Vista così la distorsione, intesa in senso lato, potrebbe assorbire in sé sia la
cancellazione e la generalizzazione che abbiamo trattato che l’alterazione di
cui parleremo tra breve.
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Limitiamoci però alla sua definizione specifica in seno al metamodello, che è
quella di trasformazione riduttiva della bellezza e della ricchezza della
realtà primaria (il mondo) nella costruzione della nostra realtà secondaria
(convinzioni e valori) che traspare dalla realtà terziaria (le nostre parole).
Ecco un esempio per capire cosa intendiamo con il concetto di fedeltà.
Si parla comunemente di “alta fedeltà” nella riproduzione di un brano
musicale, magari eseguito da un’orchestra di 100 elementi, quando si cerca di
rendere nel modo più verosimile la purezza del suono, la sua diffusione nello
spazio, i suoi ritmi.
Il discorso è analogo qui per noi. L’uso puntuale e definito delle parole nel
modello MM1 pretende che – pur nei limiti imposti dalla natura traduttiva e
distortiva del linguaggio – noi si cerchi di restare il più possibile fedeli alla
realtà che raccontiamo.
Percorso che diventa a questo punto via via più difficile se non impariamo a
mettere in discussione i nostri naturali schemi logici alla radice.
Tornando all’esempio musicale, infatti, mentre onorare le categorie della
specificità e della ricchezza informativa può corrispondere al contenuto del
disco, alle informazioni sull’autore e alla realizzazione tecnica del brano, con
la fedeltà ci spostiamo in un certo senso alla qualità della musica, ad una sua
caratteristica formale che va oltre il contenuto.
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Con un po’ di attenzione posso approfondire le mie conoscenze storiche e
tecniche su un brano, e apprezzarne il contenuto dopo averlo ascoltato tutto.
Ma se sono abituato ad ascoltare la riproduzione audio mono di un vecchio
mangianastri, potrei non immaginare neanche che esista il suono digitale
dolby surround a 6 vie.
Se vogliamo raccontare la nostra realtà in modo adeguato, dobbiamo
presupporre che forse abitualmente ascoltiamo mangianastri quando
potremmo ascoltare CD, e comportarci di conseguenza facendo tutte le
verifiche del caso.
Fuor di metafora, possiamo certamente dire che l’MM1 deve possedere precise
caratteristiche di fedeltà, al di fuori delle quali il linguaggio perde la sua
capacità di rispondenza puntuale della realtà.
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Rendere il dinamismo
La prima sotto-categoria della fedeltà corrisponde, come abbiamo visto, alle
nominalizzazioni.
Di che si tratta?
Il linguaggio descrive la realtà, fin qui ci siamo. Se dovessimo indicare una
caratteristica di questa realtà e una sola, questa sarebbe probabilmente il suo
perenne movimento. Non è questa la sede per tornare sul cambiamento come
essenza del mondo fisico, sappiamo bene che tutto, continuamente, cambia ed
evolve.
Laddove esiste il tempo, lì c’è cambiamento, continuo e senza posa, a livello
fisico microscopico e macroscopico. Ora il microscopico ci sfugge, cellule o
molecole che siano, se non abbiamo determinati strumenti (e a certi livelli
anche se abbiamo lo strumento più evoluto di indagine). Ma a livello
macroscopico questo cambiamento si rivela a vari livelli spesso proprio sotto i
nostri occhi sotto forma di movimento.
Il mondo si muove e noi – almeno ad un certo livello - ce ne accorgiamo,
giusto?
Se vogliamo che il nostro linguaggio sia realistico, non possiamo tralasciare
questo punto. Dato che il mondo si muove, nel descriverlo dovremmo far sì che
il nostro linguaggio ne esprima nel modo più fedele e rispondente possibile il
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dinamismo. Fin qui credo sia tutto chiaro. Se devo descrivere un treno in
corsa, dirò “il treno correva sulle rotaie”, magari aggiungendo a quale
velocità, verso dove, etc.
Il punto è però che spesso, molto più spesso di quanto pensiamo, usiamo
appunto le nominalizzazioni, trasformando di fatto un’azione in un oggetto
statico.
Si potrebbe dire prendendo spunto da Hall che appiattiamo la dinamicità di
un filmato nella staticità di
una foto.
Come facciamo?
Semplice!
Nascondiamo i verbi, trasformandoli in nomi.
Un esempio? Amore, decisione, progetto, fallimento…
Se io dico: “la mia decisione di accettare questo lavoro mi ha rovinato la
vita”, non sto parlando con il modello MM1.
La distorsione, la mancata fedeltà del linguaggio sta nel fatto che decisione
non è un oggetto statico e che la sua natura di sostantivo è esclusivamente
grammaticale, convenzionale. Sotto c’è un verbo, un luogo ed uno spazio. Non
è una foto, è un filmato.
Finché la vedo come una foto rinforzo in me (ed in chi mi ascolta) il fatto che
rappresenti ed indichi una situazione immutabile, fissa, inalterabile.
Di fatto così non è, perché se io ho deciso un anno fa in base alla mia
situazione di allora di accettare questo lavoro, ciò non toglie che il processo
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Questo ebook ha esclusivamente scopo formativo e rappresenta la libera opinione dell’autore. Non è una
guida di automedicazione e non sostituisce alcun tipo di trattamento medico o psicologico.
decisionale è ancora in movimento, e che se tutte le mattine mi presento in
quell’ufficio sto continuando a decidere. Certo, ora magari ci sono
automatismi che supportano questa mia scelta, rendendola più semplice
(abitudini, contratti, rapporti umani, etc.).
Ma solo quando riconosco che è un’azione dinamica capisco che possono
cambiarla.
Se sono io che scelgo tutti i giorni di andare in ufficio, posso anche
scegliere di non andarci più, perché la realtà è un film in continuo
movimento.
Ancora una volta, non dobbiamo diventare fissati, possiamo usare benissimo
tutte le nominalizzazioni che vogliamo, ma non se per noi è importante restare
nell’MM1.
Bandler, con il suo solito e proverbiale umorismo, indica un sistema infallibile
per capire se stiamo usando o meno nominalizzazioni: gli oggetti cui ci
riferiamo con i sostantivi possono entrare in una carriola?
Dimensioni a parte, vedi che barca o penna entrano in una carriola, mentre
fallimento o amore no, perché sono nominalizzazioni. ☺
Un altro metodo consiste nel vedere se il termine può essere abbinato alla
frase di verifica di cui parla Hall: “in corso di svolgimento”.
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Questa frase rileva se c’è un processo che dobbiamo rappresentare per
esprimere il dinamismo della realtà o meno. Mentre infatti non ha senso dire:
“una barca in corso di svolgimento”, aldilà delle evidenti note stilistiche è
possibile dire “un progetto in corso di svolgimento”.
Talvolta il verbo è nascosto dal sostantivo in modo ancora più profondo.
Se infatti è facile, una volta capito il gioco, sostituire “fallimento” con “lavoro
che fino ad oggi non ti ha ancora portato i risultati che speravi”, perché il
sostantivo deriva direttamente dal verbo fallire, può non esserlo con altri
sostantivi astratti come energia o orgoglio.
Mi spiego meglio: “energia” fa riferimento alla manifestazione di un flusso
energetico che parte da una fonte e si propaga nell’ambiente, e “orgoglio” si
riferisce ad un emozione (più o meno positiva) che qualcuno prova
dinamicamente rispetto a ciò che è diventato, che ha fatto o che possiede.
Se dico: “ho un sacco di energia!”, di fatto per l’MM1 sarebbe meglio dire:
“dal giorno X ho cominciato a sperimentare una grande energia fisica
(mentale, etc.) che sento tuttora e che in questo momento mi fa sentire
forte”.
Se invece dico: “per colpa del suo orgoglio non trova lavoro”, in realtà dovrei
dire:
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“il suo sentirsi orgoglioso lo spinge continuamente ad evitare le offerte
di lavoro o a rinunciare quando le incontra”.
Un’indicazione pratica di fatto risolutiva (altrimenti ci si perde!), consiste
nell’utilizzare il più possibile termini che fanno riferimento ad oggetti
materiali, e limitare tutti i termini generici, astratti e vaghi.
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Concedere il beneficio del dubbio
La seconda sotto-categoria della fedeltà corrisponde alla cosiddetta “lettura
del pensiero”.
Prima che ti esalti troppo incominciando ad immaginarti tutte le possibilità che
avresti imparando a leggere nel pensiero… ☺ ti devo dire che su questa
andremo veloce, perché si tratta di un errore di fedeltà molto semplice da
capire ed ancor più semplice da evitare, nonostante sia estremamente diffuso.
Concedere il beneficio del dubbio significa tenere per fermo, sempre e
comunque, che non possiamo in alcun modo sapere, presupporre o dare per
scontato quello che pensano gli altri, a meno che non ce lo abbiamo
esplicitamente detto a chiare lettere (e aggiungerei seguendo puntualmente il
modello MM1!).
So che razionalmente sei d’accordo con me… ma pensa un attimo a queste
frasi:
“lo so che ce l’hai con me”
“tutti pensano che io sia una persona insensibile”
“so cosa hai deciso di fare”
Che abbiamo fatto in tutti e tre i casi? Abbiamo fatto una lettura del
pensiero! 24 di 62
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Se invece avessimo incastonato le frasi in:
“mi sembra che…. Ho ragione?”
“da quello che ho capito forse…. Che ne dici?”
“in base alle tue azioni ipotizzo che…. Secondo te è vero?”
Allora avremmo concesso il beneficio del dubbio e fugato il rischio lettura del
pensiero.
Dimenticarsi di concedere il beneficio del dubbio non solo rende la
comunicazione meno precisa perché più aperta a diverse interpretazioni (cosa
che vogliamo evitare con l’MM1, ricordiamocelo), ma ci espone ad un rischio
relazionale molto preciso.
Se da un lato alimenta la creazione di una complicità, tra amici piuttosto che
tra partner, dall’altra può proiettare sul nostro interlocutore un senso di
violenza, di sopruso, di intrusione nella sua intimità.
Spesso cadiamo nella trappola della lettura del pensiero semplicemente perché
conosciamo bene chi ci sta davanti e siamo in grado di calibrarlo in modo
efficace.
Calibrare in PNL significa leggere i segnali esterni (linguaggio non verbale,
postura, accessi oculari, respirazione, etc.) per intuire lo stato emozionale di
una persona.
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Ora è normale che quando diventi un bravo Coach, o dopo che hai lavorato a
lungo con le persone, o ancora quando conosci qualcuno da anni tu sia molto
abile a calibrare il suo stato emotivo....
E’ esperienza comune capire l’umore del partner o di un amico anche
ascoltando il suo silenzio, o dando un’occhiata a come cammina, o dal tono
della sua voce.
Capire che una persona è arrabbiata o depressa non ci autorizza però a
leggere la sua mente, a decidere perché è arrabbiata e ad utilizzare questa
“intuizione” in un dialogo funzionale con lei.
Dato che quando lo facciamo ci basiamo infatti sempre sulle nostre
convinzioni, sui nostri valori e sui nostri criteri di attuazione dei valori stessi
(come evitarlo!), esplicitare una lettura del pensiero suona quasi sempre
come un giudizio, in cui diamo per scontato quali convinzioni e valori siano
all’opera nel determinare quello stato in quel momento.
Anche se conoscessimo (e aggiungerei condividessimo) esattamente il software
del nostro interlocutore questa operazione oltre ad essere percepita come una
violazione mentale, suonerebbe comunque nella testa (e nel cuore) del tuo
interlocutore come una privazione di libertà, come l’annullamento del suo
libero arbitrio, come se avesse meno voce in capitolo nel vostro rapporto,
qualunque esso sia.
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Concedere
il
beneficio
del
dubbio,
oltre
che
fugare
il
rischio di
incomprensioni potenzialmente molto pericolose, è insomma innanzitutto una
questione di rispetto per il mistero e la sacralità dell’individuo.
E non dimentichiamoci una cosa, che trascende il significato formale, ma che è
comunque basilare per chi lavora con passione aiutando le persone…
Meno concediamo il beneficio del dubbio, più c’è lettura del pensiero e più c’è
lettura del pensiero meno ha senso frequentare persone e confrontarsi…
Se ho già capito tutto di qualcuno, dov’è la magia? ☺
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Contestualizzare i nessi causali
Il nostro approccio scientifico al mondo, l’approccio Occidentale per capirci,
nasce in seguito al successo della filosofia pragmatica di Aristotele.
La nascita della scienza moderna, di Newton e Galileo Galilei per capirci, non
sarebbe stata possibile senza Aristotele, o sarebbe comunque stata molto
diversa.
Sta di fatto che per una serie di coincidenze storiche il nostro mondo ha
sviluppato accanto alle grandi religioni monoteistiche ebraico-cristiane una
tradizione logica, materialistica, interessata alla valutazione quantitativa della
realtà che ha sovrastato e dominato per secoli la tradizione esoterica,
spiritualistica, interessata alla valutazione qualitativa del mondo.
Oggi la scienza, grazie alla fisica quantistica e alla pressione delle cosiddette
teorie, filosofie e discipline alternative, sta recuperando il senso di ciò che
non è osservabile, misurabile e riproducibile in laboratorio.
Tuttavia credo di essere abbastanza nel giusto dicendo che noi Occidentali
(Europei e Americani, soprattutto) condividiamo una serie di convinzioni di
fondo, di meta strategie estremamente radicate relative al nesso causale che
collega i diversi elementi della realtà.
Nella percezione diffusa, il mondo è una catena lineare di avvenimenti in cui
A causa B che causa C che causa D, etc.
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Il punto non è qui confutare o confermare questa tesi. Il punto è che nella
migliore delle ipotesi questi catene causali sono talmente tante e talmente
interrelate tra loro da impedirci di fatto di individuare sempre con certezza
una sequenza univoca.
Questo avviene soprattutto per due motivi:
1. perché come abbiamo visto l’essere umano è un sistema complesso, in
cui ogni evento può avere diverse spiegazioni a seconda del diverso
livello cui facciamo riferimento. Ad esempio il lunedì mattina potrei
essere sotto tono perché torno ad un lavoro che non amo, oppure perché
affronto il traffico, o perché domenica ho mangiato troppo, o perché in
ufficio c’è una brutta atmosfera, o ancora perché domenica mi sono
stancato facendo una gita, etc.
2. perché non sta scritto da nessuna parte che ogni volta che B segue A vuol
dire che sia stato A a causare B. La nostra osservazione rileva un nesso
temporale, ma trasformarlo in un nesso causale è tutt’altro che
automatico e scontato. Se smetto di bere caffè e poi mi comporto come
una persona nervosa, questo non vuol dire necessariamente che chi
prende caffè si comporti in modo più tranquillo!
Sappiamo che leggi fisiche sono modelli in grado di spiegare il movimento dei
pianeti, la diffusione del calore o la caduta di un sasso lasciato a mezz’aria
senza sostegno.
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Ma anche tralasciando il fatto che non riescono già più da anni a render conto
regolarmente del comportamento delle particelle infinitesimali della materia
(come i fotoni o gli elettroni), per certo non credo che né la fisica classica né
la teoria della relatività riescano a prevedere il comportamento di un uomo
innamorato, né la magia di una vera amicizia, né tanto meno le scelte di una
mamma preoccupata per suo figlio che va a scuola.
Che succede se io parlando applico una semplice connessione di tipo causaeffetto ad un rapporto umano? Che – ancora una volta – quello che dico manca
di fedeltà nel riprodurre la porzione di mondo di cui voglio parlare.
L’esempio classico è l’emozione…
In un mondo così ricco di rapporti, relazioni, piani, livelli, interazioni, la mia
scoperta di un nesso causale potrebbe nascondere una semplice casualità (da
CAUSALE a CASUALE cambia una sola lettera, ma questo cambia davvero le
cose, non credi?):
Es. oggi in treno una persona mi ha guardato torvo, certamente ero
vestita buffa (magari era semplicemente un miope senza occhiali!)
Oppure la mia deduzione nasconde una relazione biunivoca, in cui non si può
dire chi causa cosa:
Es. il mio capo mi tratta male, ecco perché gli rispondo male! (o magari
lui ti tratta male solo perché tu gli rispondi male…)
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Ecco perché i nessi causali vanno contestualizzati.
Stiamo parlando della terza sotto-categoria della fedeltà, che corrisponde alla
creazione di nessi causa/effetto.
Solo se definiamo i nessi causali, delimitandone l’assolutezza, possiamo
riuscire a rappresentare degnamente la ricchezza del mondo interno di un
essere umano.
Al contrario, concedersi il lusso di ammettere che “il comportamento di Tizio
causa il comportamento di Caio”, o che “l’evento X ci fa star male”, o ancora
che “solo raggiungendo un certo risultato realizzerò un determinato
obiettivo” porta con sé il rischio di gravi implicazioni per la nostra libertà
(ecco un esempio concreto di come inizia una giusta contestualizzazione: usare
nessi di causa-effetto assoluti non limita la nostra libertà, ma “porta con sé il
rischio di gravi implicazioni per la nostra libertà” ☺).
Ed ora vediamo in che senso ignorare questa esigenza di fedeltà linguisticoverbale è correlata alla diminuzione della libertà (altra caratteristica di una
buona contestualizzazione: spiegare in che modo o in che senso A causa B).
Il nesso chiave qui è capire che mentre un sasso lanciato da un palazzo sul
pianeta Terra oggi non ha scelta, deve obbedire alla legge di gravità, cosi
come un pallone di plastica immerso in acqua deve obbedire al Principio di
Archimede schizzando verso l’alto, un uomo, una donna o un bambino (e per
estensione ci metterei anche un animale) può scegliere di opporsi alla
presunte regole che governerebbero la sua vita.
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Certo, in quanto corpo dotato di massa anche noi siamo obbligati oggi ad
obbedire alla legge di gravità o al principio di Archimede, ma in quanto
individui possiamo sempre scegliere se opporci a queste leggi, ad esempio
attaccandoci ad un aliante per volare o ai piombi di un sub per immergerci.
E se riusciamo a modificare la nostra struttura materiale sensibile per opporci
alla fisica, figuriamoci quello che possiamo fare con la nostra struttura
spirituale, con la nostra essenza immateriale, con la nostra fantasia, il nostro
desiderio ed il nostro Amore! ☺
Ora attenzione (e questo vale per qualsiasi tipo di violazione del sistema MM1,
come vedremo studiando lo speculare MM2): non è detto che i nessi causali
siano sempre negativi per la nostra vita!
Restando nell’ambito delle 4 sotto-categorie di cui abbiamo parlato in questo
report, è possibile…
non esplicitare la fonte?
rendere la realtà statica?
leggere il pensiero e persino?
evidenziare nessi banali tra i comportamenti altrui ed i miei traendone
un vantaggio personale?
Certo che sì!
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Se sono cosciente di quello che faccio e non lo subisco per ignoranza o pigrizia
intellettuale, posso
- ripetermi che sono un essere di luce
- ribadire che il mio destino è comunque in un modo o nell’altro
essere felice
- informare mia moglie che so che sente di essere una donna
straordinaria
- collegare sistematicamente le mancanze di rispetto altrui alla
conferma che sono una persona fortunata per la mia sensibilità…
Ma devo conoscere il funzionamento della magia, come la chiama Hall. E per
conoscerla devo prima imparare a dominarla senza esserne dominato.
Per questo, se voglio usare un linguaggio preciso, che limiti il rischio di
fraintendimenti, un atto dovuto di Fedeltà consiste nel contestualizzare
sempre i nessi causali che uso, spiegando dove e quando A causa B, e come
questo accade.
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Evitare le equivalenze complesse
La quarta sotto-categoria della fedeltà corrisponde alle equivalenze
complesse.
Da un certo punto di vista le equivalenze complesse possono rassomigliare ai
rapporti causa/effetto, ma in realtà il volo qui è ancora più pindarico, perché
spesso un’equivalenza complessa nasconde diversi nessi causali non
contestualizzati che legano un fatto ad un’emozione…
Come dire che un’equivalenza complessa ci allontana dalla realtà primaria
come farebbe un grappolo di nessi causali non contestualizzati e che in più
vedono sempre un comportamento come causa di un’emozione!
Ma procediamo con ordine.
Il potere del linguaggio sta nel creare collegamenti tra diversi pezzi di realtà,
questo ormai lo abbiamo capito. E’ vero che nel far ciò le lingue naturali
(italiano, inglese, arabo, etc.) seguono delle regole di grammatica e sintassi,
tuttavia queste regole permettono una certa elasticità rispetto a quelle molto
rigide della logica formale o dell’aritmetica.
Questo all’atto pratico significa che posso formulare una frase formalmente
corretta ma altrettanto scorretta nel postulare un’identità tra due fenomeni
che – chiaramente – sono identici solo nella mia mente.
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Per esempio non è grammaticalmente scorretto in italiano dire:
Il modo in cui mi guarda mi manda in bestia!
Il fatto però è che questo breve brandello di realtà terziaria mina alle radici il
livello di fedeltà rappresentativa che il modello MM1 dovrebbe esprimere
rispetto alla realtà primaria (il mondo) passando da quella secondaria
(convinzioni e valori).
Quello che dovrei dire per evitare l’equivalenza complessa è qualcosa tipo:
Il modo in cui mi guarda mi manda un segnale particolare; io traduco
questo segnale particolare, per qualche motivo che non conosco o che
non ricordo, in un messaggio di aggressione (o di offesa); dal momento
che non sono in grado di controllare le mie reazioni emotive reagisco
arrabbiandomi sulla base delle mia personale interpretazione di questo
evento.
Come si vede ci sono almeno tre passaggi causali:
- il vedere lo sguardo particolare causa una mia interpretazione
personale di aggressione
- questo messaggio di aggressione è talmente forte da oltrepassare il
mio autocontrollo emotivo e causare paura
- questa paura causa una reazione difensiva di innesco della rabbia
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Tipicamente
evitiamo
le
equivalenze
complesse
quando
consideriamo
l’assurdità (da un punto di vista MM1 di realismo descrittivo della realtà, non
da un punto di vista umano, ovviamente!) di una frase in cui:
evento esterno = stato interno
Come si vede ogni volta che tendiamo a parlare di reazioni emotive
abbandoniamo il modello MM1.
Se vogliamo farci capire, e aiutare il Coachee a vedere in modo più ricco la sua
realtà, è fondamentale evitare queste equivalenze complesse e smontarle
quando le incontriamo.
Il punto è che dichiarando che A = B sto partendo da un dato di fatto
assolutamente infondato logicamente, che normalmente causa risposte o
reazioni altrettanto infondate:
- LUI: hai fatto quella cosa (A, comportamento) e questo significa
che non mi ami (1, emozione)
- LEI: anche tu hai fatto quell’altra cosa (B, comportamento) e
questo vuol dire che non mi rispetti (2, emozione)
Alle elementari avevo una maestra vecchio stampo che spiegando le addizioni
diceva che non si possono sommare pere e mele.
Qui il discorso è simile, perché se tu puoi dire che una mela è uguale ad una
noce, allora io posso dire che un melone è uguale ad una pesca… e non se ne
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esce, se non con una bella macedonia di comportamenti/emozioni che
certamente non aiuta a chiarire le cose. ☺
Senza dimenticare che non solo stiamo affermando l’identità tra un evento e
un’emozione, ma che il nesso tra le due cose è tra l’altro assolutamente
soggettivo…
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Limitare ed esplicitare le Presupposizioni
La quinta sotto-categoria della fedeltà corrisponde alle presupposizioni.
Mi piacciono molto le presupposizioni, perché se vogliamo rappresentano il
modello più puro e semplice di infedeltà rappresentativa del linguaggio.
In questo caso la presupposizioni non violano tanto rapporto di aderenza tra
linguaggio e realtà, ma cancellano l’idea stessa che esista una mappa, una
realtà secondaria che è sempre e per definizione (lo ricordo) diversa dalla
realtà.
Quando uso una presupposizione, io sto supponendo in anticipo (pre) qualcosa
dandolo per scontato in quello che dico.
In un certo senso è inevitabile che ci sia un certo grado di presupposizione in
quello che diciamo. Tra tutte le sotto-categorie di violazioni del modello MM1
certamente una di quelle meno eliminabili dal discorso… per esempio devo
dare per scontato, cioè presupporre, che se parlo con te tu capisci quello che
dico e un minimo mi ascolti.
Ma è facile farsi prendere la mano… (anzi, forse dovrei dire “farsi prendere il
neurone”… ☺ )
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Se do qualcosa di scontato, allora mi comporto come chi crede di essere
infallibile, e già questo paragone dovremmo illuminarci sui danni che le
presupposizioni possono creare all’interno del modello MM1.
Se infatti il mio scopo è usare una mappa allargata, che sia più aderente ad un
mondo ricco di possibilità, appena introduco una presupposizioni io ribadisco
una limitazione della mia mappa, e su quello articolo il mio messaggio.
Ipotizziamo che io voglia descrivere la possibilità che chiunque ha nella sua
vita di cambiare stile di vita, in qualsiasi momento, a qualsiasi età, con
qualsiasi livello di formazione, qualsiasi sesso abbia.
Teoricamente, la realtà ci dice che questo è possibile.
Non solo perché ci sono migliaia di persone diverse che lo hanno già fatto, ma
anche perché in un paese libero (almeno giuridicamente… ) come il nostro,
tutti possono cambiare lavoro, città, studiare cose nuove, etc.
Se tuttavia per dare forza e realismo a questo discorso dico:
“Giovanni, che aveva un sacco di soldi, ha deciso di cambiare vita e c’è
riuscito”
che cosa sto facendo per impoverire la realtà di cui abbiamo appena parlato,
per esprimerla in un modo meno fedele?
Sto presupponendo che proprio come Giovanni si debbano avere un sacco di
soldi per cambiare vita.
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Leonardo Di Paola • Special Report # 13 “Corso Wellness Coach Professionista”
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Proprietà letteraria riservata certificata © 2010 Versione 1.0 • Vietata ogni diffusione o duplicazione Edizioni
www.ifeelgood.it • Soluzioni per il Benessere, l’Abbondanza e la Libertà personale
Questo ebook ha esclusivamente scopo formativo e rappresenta la libera opinione dell’autore. Non è una
guida di automedicazione e non sostituisce alcun tipo di trattamento medico o psicologico.
Il che significa che se non li ha, non puoi cambiare vita.
Quindi io ho espresso una possibilità, e poi senza usare alcuna negazione, l’ho
stroncata sul nascere, perché con la mia presupposizione ho ridotto
estremamente questa possibilità.
Non a caso per rendere meno ricca dal punto di vista informativo (dunque
meno MM1), in questa affermazione appare anche un processo non specificato
(che significa “un sacco di soldi”? 100.000 euro o 100 milioni di euro?).
Torniamo alla presupposizione… Cosa c’è dietro?
Non ci crederai ma ci sono le solite care, vecchie affermazioni cognitive, le
convinzioni, le credenze, i valori, i corrispettivi dei valori…
Nell’esempio che ho appena fatto, magari una parte di me crede al messaggio
di fondo, che tutti possono cambiare il loro stile di vita, ma quella
presupposizione senza neanche accorgermene taglia via in modo implicito e
nascosto la maggioranza di questi tutti che non hanno un sacco di soldi…
Messaggio esplicito: Tutti possono cambiare vita
Messaggio implicito: purché abbiano un sacco di soldi (qualsiasi cosa significhi
esattamente!)
Capirai che osservare le presupposizioni che usa il Coachee è estremamente
utile per un Coach... Ma ci torneremo! ☺
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E attenzione, ci sono tanti modi formalmente diversi per vanificare il sistema
MM1 con una presupposizione.
Ecco alcuni schemi di presupposizioni:
- credo che tizio sbagli come caio
- ti stai sbagliando, come fai di solito
- se devi comportarti in modo così irragionevole allora…
- posso anche parlare per ultimo dato che quello che devo dire non è
poi così interessante
- non farai tardi anche stavolta, vero?
Sulle presupposizioni ci sarebbe tanto altro da dire, per esempio che si possono
anche esprimere con l’ironia o addirittura con il semplice tono della voce, ma
per ora credo sia sufficiente così.
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Limitare le Alterazioni. Obiettivo: Conformità
L’ultima categoria di controllo sul modello MM1 è la conformità.
Nel metamodello, come vedremo in fase operativa nel Report dedicato a
questo schema di intervento, le violazioni della conformità corrispondono a
quelle che abbiamo definito alterazioni.
In questo momento vediamo la prima, che ha a che fare con la natura del
significato che diamo alle parole che usiamo, mentre nel prossimo Report
concluderemo il percorso MM1 analizzando le altre 7.
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Verificare sempre le tue Definizioni
Eccoci alla prima sotto-categoria dell’Alterazione, quella che corrisponde in
base agli studi di Michael Hall ai Termini sovra/sotto definiti.
Ti chiedo un attimo di concentrazione in più, perché come promesso (!) più
procediamo più il gioco tende a diventare astratto…
Che significa “verifica sempre le tue definizioni”?
Innanzitutto significa che le definizioni delle parole che usiamo, soprattutto
nomi e verbi, non sono oggettive, ma sono soggettive. Se mi hai seguito fin
qui, avrai forse notato che questo è peraltro un piccolo esempio di
Presupposizione…
Ad ogni modo, le parole che tutti noi usiamo fanno riferimento a due tipi di
definizioni, che di prassi concorrono con pesi variabili a dare significato a
quella parola nella nostra testa: la definizione intenzionale e quella
estensionale.
La definizione intenzionale (sovra-definizione, cioè definizione astratta)
è quella del dizionario, la definizione teorica del significato di un
termine effettuata per mezzo di parole.
Su Wikipedia, la definizione di casa per esempio è:
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una qualunque struttura utilizzata dall'uomo per ripararsi dagli agenti
atmosferici; essa generalmente ospita uno o più famiglie e talvolta
anche animali.
La
definizione
estensionale
(sotto-definizione,
cioè
definizione
concreta), è invece quella che fa riferimento alla realtà fisica di una casa
o più case ben precise.
Al suo livello più puro, la definizione estensionale consiste nel tacere ed
indicare un oggetto.
Una mia definizione estensionale della mia casa consiste quindi nell’indicare la
mia casa, senza commenti, oppure nel fare riferimento a quello che è una casa
in base alla mia esperienza.
E’ chiaro che tra queste due definizioni c’è una bella differenza!
E questo tipo di definizione non vale solo per gli oggetti materiali, ma vale per
ogni cosa.
Prendiamo per esempio l’Amore.
Due giovani adolescenti ne parlano partendo implicitamente dalla definizione
letteraria e cinematografica di “Amore romantico”, due amanti di lunga data
partono invece da un’esperienza in prima persona di tutto quello che per loro
rientra nella parola Amore.
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Parlano tutti di Amore, ma mentre la prima coppia ne ha una definizione
soprattutto intenzionale, la seconda si basa su una definizione estensionale,
fatta di esperienze pratiche. La parola è la stessa, il significato chiaramente
diverso.
Quando abbiamo fatto il nostro veloce ripasso di semiotica, quello per cui ogni
termine prevede sempre tre dimensioni (segno, significato e significante che
li lega) abbiamo già visto come sia estremamente soggettivo il nesso (il
significante appunto) tra la parola “Mela” fatta di 4 lettere ed il suo significato
globale poniamo nella Mente di Dio (risultante dalla somma di tutte le mele
mai esistite e che mai esisteranno).
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Riprendendo lo schema, non solo sappiamo che il significante è soggettivo (e
che quindi se parliamo in generale del colore degli scacchi io posso pensare ai
bianchi, tu ai neri ed evidentemente entrambi possiamo non capirci!), ma
sappiamo anche che nella mia mente può avere origine astratta (sovradefinito, linguistico, teorico… gli scacchi da dizionario sono bianchi e neri)
oppure concreta (sotto-definito: cioè basato sulle mie esperienze, dirette e
indirette… per esempio alcuni scacchi sono in legno chiaro e legno scuro, non
proprio bianchi e neri).
Quindi, il significante oltre che relativo è in una certa misura:
astratto (sovra-definito e “intensionale”, neologismo creato Bandler e
Grinder, da non confondere con il termine “intenzionale”) e
concreto (sotto-definito e “estensionale”, altro neologismo della
Premiata coppia…)
Cosa dobbiamo fare noi per evitare l’alterazione del messaggio e restare in
zona MM1?
Includere in quello che diciamo riferimenti estensionali condivisibili - se non
li abbiamo davanti agli occhi - dei termini che usiamo (es. “amo le case in
pietra, hai presente quelle tipiche Umbre, a forma di casale e rivestite in
pietra bianca irregolare?”).
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Se vogliamo possiamo anche dire che l’MM1 ha fame di esempi pratici, di
riferimenti
concreti,
in
grado
di
ridurre
al
massimo
il
rischio
di
fraintendimento.
Limitarci alle definizioni intensionali toglie concretezza al linguaggio MM1,
portandoci a credere ancora una volta erroneamente che la mappa che c’è
dietro alle parole sia il territorio.
Se ho solo una definizione intensionale di Amicizia, posso arrivare ad illudermi
che quella definizione fatta di parole sia l’Amicizia stessa, e darlo per scontato
mentre ne parlo con qualcuno…
Se c’è un modo per creare fraintendimenti è proprio quello di parlare per vie
astratte, dando per scontato che la nostra definizione sia “La Definizione”.
In realtà la definizione da dizionario, o la definizione astratta che vive nella
nostra testa, è solo un’ennesima traduzione linguistica semplificata di una
realtà intangibile, al limite può essere un interpretante ben strutturato, ma di
qualcosa che possiamo conoscere fino in fondo solo con la sperimentazione
diretta, e rendere agli altri limitando i fraintendimenti solo con definizioni
estensionali pratiche e sensoriali.
Certo, senza la definizione intensionale non esisterebbe letteratura, non
esisterebbe cultura scritta, esisterebbero solo esperienze dirette uniche,
isolate e indicibili.
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Per comunicare servono anche le descrizioni e le definizioni astratte, ma dato
che si tende sempre di più a sovra-definire i termini che a sotto-definirli,
confidando per lo più nel valore assoluto della teoria, solitamente è necessario
aggiungere un po’ di estensione per avere un linguaggio MM1 non alterato (o
poco alterato) rispetto alla realtà che vuole esprimere.
Quindi: indicare o fornire esempi concreti dei termini che usiamo è l’unico
modo per garantire al nostro linguaggio MM1 massima aderenza alla realtà e al
nostro dialogo minime probabilità di incomprensione e fraintendimento.
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Conclusioni laser e sfida finale
L’MM1 è il modello di linguaggio specifico ottimale per descrivere nel modo più
realistico ed oggettivo possibile il nostro mondo (realtà primaria).
Dopo aver visto insieme le diverse sotto-categorie della Ricchezza Informativa
(corrispondente alle “Cancellazioni” del Metamodello originale) e le prime due
della Specificità (corrispondente alle “Generalizzazioni” del Metamodello
originale), in questo report abbiamo analizzato anche l’ultima sotto-categoria
della Specificità, Esplicitare la fonte (simmetrica e opposta alle “Performative
Perdute”).
In base a questa sotto-categoria quando facciamo un’affermazione assoluta
dobbiamo sempre chiarire chi è che lo dice, anche se siamo noi, se è una
nostra convinzione, fa sempre bene riassumersene la responsabilità ai fini di
una comunicazione più efficace.
Poi è stata la volta della categoria della Fedeltà (opposta alla “Distorsione
classica”), di cui si sono analizzate cinque sotto-categorie.
La prima è Rendere il Dinamismo (opposto alle “Nominalizzazioni”), in base
alla quale è necessario ricordarsi che le parole non sono tutte uguali, e che se
il termine che utilizziamo può esprimere un processo dinamico, non va trattato
come una cosa statica, altrimenti il messaggio è falsato, per noi e per gli altri.
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La seconda è Concedere il beneficio del dubbio (opposto alla “Lettura del
pensiero”). In base a questa indicazione di realismo linguistico, come dice il
nome, bisogna evitare la tentazione di indovinare e dare per scontato il
pensiero del nostro interlocutore. E’ poco rispettoso, crea fraintendimenti ed
elimina il fascino della diversità appiattendo l’altro ad una catena di pensieri
prevedibili.
La terza è Contestualizzare i nessi causali (opposto alla “Causa-effetto”),
dinamica di buona comunicazione MM1 per cui fa sempre bene, quando
affermiamo che X in qualche modo causa Y spiegare anche in che senso lo
diciamo, dal momento che spesso i fenomeni della nostra vita hanno ben più di
una causa o comunque è difficile affermare in modo certo cosa sia concausa di
cosa.
La quarta è Evitare le equivalenze complesse (opposto alle “Equivalenze
complesse”, come dice il nome! ☺). Le equivalenze complesse sono salti
pindarici logici con cui affermiamo che un evento è (significa, corrisponde a)
un altro evento, tipicamente che un comportamento significa un’emozione.
Evitarli ossigena il dialogo e mantiene il discorso nei binari MM1.
La
quinta
ed
Presupposizioni
ultima
sotto-categoria
(opposto,
anche
è
qui
Limitare
in
ed
modo
esplicitare
intuibile,
le
alle
“Presupposizioni”). Le presupposizioni sono affermazioni nascoste nella frase,
che presuppongono una convinzione senza dichiararla o esplicitarla. Un minimo
è inevitabile, ma - se non si controllano - il linguaggio cessa di essere fedele
(come sempre nei limiti del possibile) alla realtà primaria che vogliamo
esprimere e condividere.
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In chiusura abbiamo introdotto la quarta ed ultima categoria del modello MM1,
la Conformità, dando un’occhiata alla sua prima sotto-categoria, Verificare
sempre le tue Definizioni (opposta a “Termini sovra/sotto definiti”). In
pratica si tratta di usare i termini, soprattutto se critici per il discorso che
facciamo, aggiungendo sempre alla definizione intensionale (quella linguistica
che gira nella nostra mente, quella teorica da dizionario) il più possibile
elementi estensionali (che fanno riferimento alla realtà che hai davanti, che
puoi indicare con un gesto, oppure ad esempi condivisibili chiarificatori).
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Esercizi
Gli esercizi, la sfida finale, sono ancora una volta esercizi sul riconoscimento e
l’uso del linguaggio MM1.
Dato che queste tipologie di errore MM1 possono essere molto difficili da
cogliere, esercitati a riconoscerle quando parli con le persone, e trascrivi
prendendole dalla tua esperienza quotidiana dei prossimi giorni (valgono anche
Film, romanzi, spettacoli e canzoni, non chiaramente libri di Pnl!) un esempio
concreto di ognuna delle 7 sotto-categorie analizzate.
Per fare questo esercizio puoi usare il Post già aperto dedicato a questo 15°
Report:
Clicca qui: http://www.wecoclub.it/forum/index.php?topic=508.0
Sotto lo stesso post come di consueto potrai anche postare domande e
commenti.
Ci vediamo nel Forum, alla prossima! ☺
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Note
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Leonardo Di Paola,
laureato con lode in Critica
Letteraria, dopo quasi 10 anni come Responsabile Fund
Raising per una nota ONLUS nazionale per la quale ha
coordinato centinaia di Volontari per iniziative di Solidarietà
e Assistenza, con un passato nell’editoria tradizionale come
Grafico e Copywriter, decide di dedicarsi in via prioritaria al
Coaching e alla Formazione professionale.
Innamoratosi del profilo del Wellness Coach, che ben si sposa con la sua passione
per Crescita personale, studi di PNL, linguistica e costante ricerca di
miglioramento, fonda - insieme a Viviana Taccione - l’A.C. I FEEL GOOD per
promuovere uno sviluppo consapevole nelle aree del Benessere fisico,
l’Abbondanza finanziaria e la Libertà personale.
Autore di E-book e Manuali di Formazione, è Web Trainer del “Corso di
Autodifesa Alimentare®”, del PS LAB, Laboratorio di Public Speaking e del
“Weco Club™” – il Wellness Coaching Club di cui è Direttore.
Tra le sue pubblicazioni:
Felicitologia™, Ed. I Feel Good, 2010
Wellness Coaching™, Ed. MyLife, 2010
Zen To Done. Organizzati la Vita!™, Ed. I Feel Good, 2010
Soldi, Amore e Fantasia™, Ed. I Feel Good, 2010
Prevenzione Povertà™, Ed. I Feel Good, 2010
Dolce da Morire™, Ed. I Feel Good, 2009
Nudo Giudizio™, Ed. I Feel Good, 2009
Wellness Coach Professionista (Dispense del Weco Club) Ed. I Feel Good, 2009-10
Public Speaking in 12 Passi™, Ed. I Feel Good, 2009
Linguaggio Corporeo™ Ed. I Feel Good, 2009
Il Cibometro™, Ed. I Feel Good, 2009
Acqua: sai cosa bevi?™, Ed. I Feel Good, 2008
Autodifesa Alimentare®, Bruno Editore, 2008
Riattiva il Metabolismo in 5 mosse™, Ed. I Feel Good, 2007
I 7 Segreti dei veri Ricchi™, Ed. I Feel Good, 2007-2010
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Leonardo Di Paola • Special Report # 13 “Corso Wellness Coach Professionista”
Progetto di Formazione Continua “Weco Club” Riservato ai Soci • www.wecoclub.it
Proprietà letteraria riservata certificata © 2010 Versione 1.0 • Vietata ogni diffusione o duplicazione Edizioni
www.ifeelgood.it • Soluzioni per il Benessere, l’Abbondanza e la Libertà personale
Questo ebook ha esclusivamente scopo formativo e rappresenta la libera opinione dell’autore. Non è una
guida di automedicazione e non sostituisce alcun tipo di trattamento medico o psicologico.
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Leonardo Di Paola • Special Report # 13 “Corso Wellness Coach Professionista”
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Edizioni I FEEL GOOD
Edizioni
I Feel Goode la Libertà Personale
Soluzioni per il Benessere,
l’Abbondanza
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Leonardo Di Paola • Special
Report
#
13
“Corso
Wellness
Coach
Professionista”
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Progetto di Formazione Continua
“Weco Club” Riservato ai Soci • www.wecoclub.it
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Edizionil’Abbondanza
I Feel Good e la Libertà Personale
Soluzioni per il Benessere,
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