MERCOLEDÌ 24 DICEMBRE 2008
R2 CULTURA
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Una iniziativa di L’espresso e la Repubblica
LA STREPITOSA LETTURA DELLA COMMEDIA IN DVD
GIUSEPPE LEONELLI
a lunga tradizione
di letture pubbliche della Divina
Commedia, che annovera il recente,
grande successo
popolare di Roberto Benigni,
attraversa i secoli e ha inizio
con il Boccaccio. Un altro momento importante si ebbe nel
1588 con le lezioni del giovane
Galilei presso l’Accademia fiorentina.
Da ricordare, nel nostro tempo, le perfomance interpretative di Gassman, Albertazzi, Carmelo Bene e le raffinate esecuzioni, orchestranti, lettura, racconto e commento, di Vittorio
Sermonti. E’ una conferma di
come la Commedia sia, fra i nostri classici, quello che più si
presta ad una lettura-recitazione. Pur non avendo il titolo nulla a che vedere con il genere letterario, esiste un’intrinseca
«comicità» del poema, fatta di
motilità linguistica e strutturazione dialogico-drammatica,
che lo rende particolarmente
adatto alla lettura da parte di un
comico sui generis come Benigni.
Boccaccio tenne la sua Lectura Dantis nel periodo che va
dal 23 ottobre 1373 al gennaio
1374 a Firenze, nella chiesa di
Santo Stefano in Badia, tutti i
giorni, tranne i festivi. L’incarico, previsto al massimo per un
anno, gli fu assegnato dal Consiglio del comune di Firenze su
petizione di un gruppo di cittadini, non senza l’intervento di
amici autorevoli, quali Filippo
Villani, poi suo successore nella lettura dantesca, Benvenuto
da Imola, che fu presente fra il
pubblico e sarebbe stato autore
in seguito del Comentum super
Dante, Coluccio Salutati. Era il
coronamento di una lunga fedeltà a Dante, cominciata in
giovane età e proseguita, fra il
351 e il 1352, con la stesura del
De origine, vita, studiis et moribus viri carissimi Dantis Aligheri Florentini, meglio conosciuto come Trattatello in laude di
Dante.
Lo scrittore preparò le sue
letture utilizzando ampiamente i suoi scritti e appunti danteschi e si presentò puntuale all’inaugurazione del corso, nel
luogo ubicato non lontano dalle case degli Alighieri. Possiamo farci un’idea delle letture
boccacciane, che s’interruppero al canto XVII dell’Inferno, v.
17, esaminando le Esposizioni
sopra la Comedia, opera in-
BENIGNI
“ECCO DANTE”
L
rano ancora a Firenze guelfi oltranzisti e teologi detrattori di
Dante, uno dei quali, fra’ Guido
Vernani, aveva definito con di-
teratura strenuamente aristocratica, si mostrava poco favorevole all’idea della divulgazione di un testo d’arte a un pub-
blico popolare.
In quattro sonetti delle sue
Rime, il Boccaccio è costretto a
difendersi dalle accuse di un
In edicola
da lunedì 29
CON il titolo “Roberto Benigni, Tutto Dante” arriva in edicola la nuova iniziativa editoriale di Repubblica e Espresso. Si tratta di 14 dvd che ripropongono gli straordinario
spettacoli teatrali di Benigni e tutta la grandezza della Divina Commedia di Dante Alighieri. A ogni dischetto è affiancato un libretto in cui si riproduce integralmente il canto “letto” dall’attore, oltre a pagine riempite da materiale
iconografico con incisioni e quadri sul tema (da Doré a
Blake, a Gabriel Rossetti), approfondimenti e presentazioni storiche dei personaggi via via citati (da Farinata degli
Uberti a Ciacco, al conte Ugolino).
“Tutto Dante” è principalmente uno strepitoso show, un
successo dovuto alla straripante personalità di Benigni,
capace di rendere appetibile un prodotto coltissimo al più
vasto pubblico. Si comincia da lunedì prossimo, il 29 dicembre, ma le uscite successive sono in programma ogni
mercoledì, a partire dal 7 gennaio. Il prezzo del dvd sarà di
9,90 euro.
Roberto Benigni. In alto, da sinistra, Dante e Boccaccio
Ad inaugurare le pubbliche
performance dantesche era
stato addirittura Giovanni
Boccaccio nella chiesa
di Santo Stefano in Badia
completa, forse non revisionata dall’autore, sicuramente
connessa alle letture di Santo
Stefano, che ne costituiscono la
premessa, numerate (probabile traccia della lettura pubblica) e articolate canto per canto.
In genere si è spiegata l’interruzione anticipata con ragioni
di salute. Nell’estate del 1374
Boccaccio si rappresenta in
un’epistola latina «semivivus et
anxius, ocio marciens et sui
ipsius incertus» («mezzo morto
e pieno d’ansia, marcente nell’ozio e incerto di se stesso»).
Ma ci furono anche forse più
decisive ragioni d’ordine politico, religioso e letterario. C’e-
sprezzo la Commedia «vas diaboli», mentre la nuova, incipiente cultura umanistica, legata a una concezione della let-
amico, che gli rimprovera di
avere «le Muse vilmente prostrate», aprendo «al vulgo indegno» l’opera altissima di Dante.
Alla fine Boccaccio è costretto
ad arrendersi, riconoscendo
d’aver «messo in galea senza biscotto/l’ingrato vulgo» e d’averlo lasciato «senza alcun piloto» in un mare «non a lui noto». Arriverà a considerare la
malattia una punizione d’origine divina per la sua sconsiderata audacia divulgativa.
Le letture dei canti fino al XIV
si dividono in esposizione «litterale», ovvero attenta alla lettera del significato, e «allegorica», intesa come individuazione di un senso morale, per lo
più generico, e meno sviluppata dell’altra. Nelle ultime tre
non si fa distinzione tra diversi
livelli interpretativi. Lo schema
generale era quello adottato,
nella prima metà del Trecento,
da Guido da Pisa, il quale però
aveva ecceduto nell’esegesi allegorica, facendo di Dante addirittura un profeta.
Boccaccio insiste invece sulla lettera del poema, sviluppando una lettura che tiene conto
del livello culturale di un pubblico popolare sicuramente assai poco sensibile alle sottili disquisizioni teologiche degli interpreti più dotti, che insistevano sul complesso sovrasenso
dell’opera. In questo anticipa
Benigni più di qualsiasi altro interprete. Il risultato è un interesse particolare per la fabula
del poema che non è però da
considerarsi solo un omaggio
alle possibilità ricettive degli
ascoltatori. E’ naturale pensare
che lo straordinario narratore
della «commedia umana» del
Decameron, inclinasse, di fronte alla Divina Commedia, a una
lettura vicina alla superficie del
racconto, particolarmente attenta allo sviluppo della trama.
Qualcuno, disapprovando,
ha parlato in proposito di «divagazioni novellistiche», non
coerenti al testo di Dante, sostanzialmente travisato. Il caso
più vistoso, addirittura esemplare, sarebbe il canto di Paolo
e Francesca. Dante non dice
nulla sulle circostanze del matrimonio tra Gianciotto e Francesca; racconta sobriamente
come la storia d’amore con
Paolo nascesse dopo il matrimonio e la sua «prima radice»
fosse la lettura comune, per
mero passatempo, di un antico
romanzo del ciclo di re Artù,
che comprende l’episodio del
bacio tra Lancillotto e Ginevra.
Boccaccio spiega a modo
suo, ampliando il racconto fino
La storia d’amore di Paolo e
Francesca è trasformata e lei
diventa una fanciulla ingenua
ingannata dai parenti: ne
risulta un intreccio complesso
a circostanze anteriori al matrimonio. Francesca è trasformata, contro ogni evidenza dantesca, in una fanciulla ingenua,
ingannata dai parenti: ne risulta un complesso intreccio, culminante nella scena madre dell’uccisione dei due amanti da
parte di Gianciotto, che li sorprende sul fatto. Ci viene consegnato un testo degno delle
pagine più appassionanti dedicate agli amori tragici nel Decameron; una novella in più, la
centounesima del capolavoro.
E’ proprio sicuro che vogliamo
biasimare il suo autore? Sicuramente il suo pubblico non lo fece.
Repubblica Nazionale
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la repubblica 24/12/2008