- ANNO XLI N. 6 GIUGNO 1993 MENSILE DELL'AICCRE ASSOCIAZIONE UNITARIA DI COMUNI PROVINCE REGIONI dal quartiere alla regione per una Comunità europea federale I partiti europei Etiopia 1936, gli effetti dei gas italiani sui resistenti locali. Buchenwald 1945, la prova provata della follia antisemita. Oggi, in Europa e nel mondo, a cosa può portare la colpevole rimozione di un terribile ricordo? Anzitutto è bene chiarire, di questi tempi, cosa intendiamo per partito. Non ci interessa il nome o la tradizionale caratteristica di determinati partiti storici: ma dobbiamo chiarire che per partiti intendiamo formazioni politiche vòlte anzitutto a formulare teorie politiche e ipotesi operative nell'interesse generale - commune bonurn - e non in funzione di interessi settoriali della società e, dunque, parziali. Vòite, tutto sommato, a proparre all'elettorato di istituzioni democratiche programmi di governo alternativi a quelli di altri partiti. Non aliene dal guardare, al di là del breve o medio termine, ad una strategia, che proponga obiettivi a lungo termine alla cosa pubblica. Le formazioni politiche settoriali o corporative non sono capaci spontaneamente .. . . di mediare i loro interessi contrastanti - la loro conflittualità potenziale - per una sintesi di governo, nell'interesse generale, e si deve quindi, se trascinano una parte dell'elettorato, ricorrere poi a un deus ex machina, che in generale è un partito unico, totalitario (etico, come è stato detto spiritosamente), che fa capo a un dittatore o a un «gruppo guida»: di qui la nostra avversione al corporativismo. Ciò premesso, dal momento che ci avviciniamo alle elezioni europee (primavera 1774), veniamo al rapporto tra il Parlamento Europeo da eleggere e le forze politiche, che mobiliteranno, nelle nostre Nazioni o direttamente in tutta la Comunità, l'elettorato. Si è fin qui notato, nelle precedenti tornate elettorali europee, il ruolo di freno esercitato per lo più dai partiti nazionali: belle parole a parte, le candidature hanno sempre lasciato a desiderare, candidature d i parcheggio, candidature di consolazione, candidature rappresentative di interessi particolari - nazionali o locali o settoriali -. Poi, una volta eletti, i parlamentari europei o sono stati ignorati dai mandanti o al contrario beccati ogni qualvolta hanno difeso interessi fuori del controllo dei partiti nazionali. I n ogni modo i parlamentari troppo bravi, troppo «europei» e perciò fuori controllo, non sono stati altro che raramente ripresentati alle successive elezioni europee. sta situazione proveniente da varie parti talvolta perfino dall'interno dei partiti colpevoli, ove convinti europeisti e federalisti ci sono, anche se si tende ad emarginarli - si è cominciato a inventare formazioni politiche «europee», consorzi dei partiti nazionali di convinzioni analoghe, se non addirittura di denominazione comune. Veri partiti europei? Intendiamoci, non vogliamo fare di ogni erba un fascio; in alcune di queste formazioni, che hanno spesso per interlocutori i rispettivi gruppi politici - sovranazionali - del Parlamento Europeo, le buone intenzioni non mancano: ma le componenti nazionali rimangono, tutto sommato, sovrane e le unanimità o quanto meno le maggioranze significative si ottengono all'interno di queste formazioni «europee» tenendo conto, necessariamente, delle componenti più lontane dalle prospettive sovranazionali. Insomma queste formazioni europee rimangono una somma di componenti nazionali, non rispondono quasi mai direttamente a interessi e a forze sociali transnazionali. I1 problema è dunque: esistono queste forze transnazionali? Se si riferissero solamente ad esse quale sarebbe l'ubi consistam di questi partiti europei? . Siamo sempre lì: autentici partiti europei dovranno essere, appunto, partiti, così come abbiamo definito più sopra un partito (politico). E il Parlamento Europeo non ha di fronte un Governo europeo: in questo senso dei partiti europei perdono buona parte del loro significato e del loro mordente, rimangono organi di proposte platoniche o - in caso che il Parlamento Europeo ottenga larga codecisione legislativa - fonte (phziale) di leggi avulse da un disegno politico coerente. Per avere allora buoni partiti europei, che producano un buon Parlamento Europeo, occorre non fermarsi al Parlamento Europeo, ma prevedere un modo - non intergovernativo (cioè alla mercè dei governi nazionali) - di governare l'Europa: e quindi provvisoriamente comportarsi come se un Governo europeo ci fosse e, per restare coi piedi per terra, nella previsione che realmente, a breve, ci sarà. Quindi, da una parte l'intera prossima campagna elettorale europea dovrà esprimere, con forza e malgrado tutto, un mandato costituente al Parlamento Europeo - in vista di una Costituzione federale, con Governo che gestisca, oltre la macroeconomia e le fondamentali istanze sociali, politica estera e di sicurezza comuni -; ma dail'altro dovrà di(segue a pag. 16) som ma rio La seconda Repubblica? Sentir parlare di seconda Repubblica - italiana, beninteso - talvolta mi lascia perplesso, tulaltra mi irrita decisamente. Certo, non per un particolare attaccamento alla prima Repubblica, di cui sono stato, per molti aspetti, un critico almeno a partire dal '48, se non subito, fin dalla Costituente e prima: non a caso sono stato un militante - e mi è caro ricordarlo - nel Movimento Comunità e un critico (già nel '52-'53) della partitocrazia. Purtroppo molti degli antifascisti - o postfascisti - emergenti a metà degli anni quaranta li ho sentiti spesso assai fuori strada. Salvo molti vecchi - i «restaurati»-, i resistenti di dopo 1'8 settembre li ho guardati spesso con preoccupazione. Ormai si capiva - anche prima del 9 settembre - chi era il vincitore del Il conflitto mondiale: si trattava di aderire ad uno dei modelli trionfanti di probabile importazione, l'unglosassone (con le molte varianti) o il sovietico - magari rifacendosi a qualcuno dei santoni antifascisti, coraggiosi e stagionati, che ne sapevano «di più» (e c'erano anche coloro che erano vissuti a lungo esuli in Francia: e questo creava qualche complicazione). Orbene, valeva la pena - si era giovani - impegnarsi e rischiare, rischiare forte: e non vorrei con questo creare una risewa su quella pagina, che è una pagina positiva ed esaltante, della nostra storia italiana esaltante (anche se talvolta confusa) e tragica, come tutto sommato si ricava dalla riflessione del mio amico Claudio Pavone -: è la Resistenza, quella di Luciano Bolis, ma anche di tanti altri che non pensavano come lui; ed è la stagione altresì dei concittadini schierati dall'altra parte, i cui problemi e le cui sofferenze mi sforzo tuttora di capire con spirito di giustizia (direi, se mi è consentita questa orgogliosa affermazione, da storico). Ma rimane ilfatto che i resistenti di venticinque trent'anni - i miei coetanei - erano stati generalmente educati sotto il fascismo, erano stati fascisti spesso frondisti (ma fascisti convinti: e non gliene faccio davvero una colpa), se ne erano liberati con le rapide e spesso supetjficiali letture che sappiamo (e affidandosi non di rado a maestri ambigui). Faccio questo discorso, nel momento in cul si parla di Il Repubblica, perché si constata nella crisi, prima che politica, morale e culturale dell'ltalia, il revival inaspettato di scrittori parafascisti, prefascisti anticipatori del fascismo, filonazisti puri (lasciamo la polemica su Heidegger, ma basta pensare a Spengler). E Santi Romano, la bestia nera della mia gioventù? La Repubblica - né prima né2econda: la Repubblica t w t court -, quellfche, malgrado questa mia riflessione che sqhà sicuramente fraintesa, è stata grazie a Dio $n gran passo nel senso dellautentico progresso mano, si è rifattu - e con essa lo spirito e no gli errori, della nostra Costituzione - alla Resis nza europea, e nell'alveo di quest'ultima va visto - con un passo indietro - quel Risorgimento italiano così spesso rievocato e che - malgrado la lettura di Giovanni Gentile e di Gioacchino Volpe era stato a suo tempo il rientro dell'ltalia in Europa - non unlEuropa qualsiasi, ma un'Europa che -fino al tradimento da parte del nazionalismo, in parte prosperato e teorizzato (carifilosofi neo-hegeliani) con l'incitamento del Romanticismo reazionario - era quella dell'llluminismo, era quella che aveva guardato alla Rivoluzione americana, alla Rivoluzione francese dei diritti dell'uomo, a Kant, Lessing, Herder, Schiller, Goethe, e naturalmente - prima uncora - a Locke e ai liberali inglesi. Col legame italiano alla Resistenza europea, si spiega il senso preciso della rinascita democratica della Nazione italiana - un momento, un episodio del processo, contrastato, del federalismo nel mondo, su cui ci soffermeremo concludendo -: per ora contentiamoci di sostenere che il sentimento nazionale italiano vive anche, checchè ne pensino alcuni intellettuali snob, nel cuore di tantihmili cittadini di tutte le Regioni (ma questa è un'altra faccia, da non trascurare, del problema). Il rientro dell'ltalia in Europa, durante la preparazione intellettuale del Risorgimento italiano, passava per il Nord e per il Sud, per Milano e per Napoli. Vico e Giannone, Antonio Genovesi, l'abate Galiani, Pietro Verri, Cesare Beccaria, I1 Caffè e Carli, Gaetano Filangeri, Mario Pagano. La Resistenza europea (e l'italiana in essa) nella sua ispirazione comune si rifaceva ai valori, a cui si erano ispirati i precursori del Risorgimento italiano - che poi aveva avuto per protagonisti uomini autenticamente europei e cosmopoliti, Mazzini (e con lui pensiamo anche al giansenismo), Cavour, Cattaneo, Garibaldi, Pisacane -. La nostra Costituzione - e quindi la nascita del nuovo patto nazionale - ha voluto fare i conti con l'Europa e con il federalismo: questo non soltanto per l'articolo l l , ma per l'impostazione della sua struttura in generale, comparata con altre Costituzioni nazionali europee, ritenu- i (segue a pag. I T) 1 - I partiti europei 2 - La seconda Repubblica?, di U.S. 3 - L'Europa dei Comuni e delle Regioni, di Romano Viola 5 - Parola d'ordine: volare basso, di Raimond Vautier 7 - Verde locale, sovranazionale, cosmopolitico, di Alberto Majocchi 9 - Il federalismo e la Jugoslavia 11 - Una Comunità aperta contro il razzismo, di Cesare De Piccoli GIUGNO 1993 intervista al Presidente del Consiglio provinciale di Bolzano L'Europa dei Comuni e delle Regioni di Romano Viola Il mondo si trova di fronte a un dilemma: o si instaura un processo per cui, rispettando tutte le particolarità, si è disposti, pur rimanendo diversi, a vivere sotto una legge comune (e questo è il succo del federalismo), oppure avremo la rinascita del vecchio nazionalismo o addirittura del micronazionalismo razzista delle etnie. Cosa ha da dire su questo, con la sua esperienza, la Provincia di Bolzano? In provincia di Bolzano, con lo Statuto di autonomia, si è realizzata quella che a buon diritto.può essere definita una vera e propria «quadratura del cerchio»: in altri termini si è riusciti a garantire, insieme, la difesa dell'identità linguistico-culturale e il diritto all'autogoverno delle minoranze di lingua tedesca e latina, e l'unità dello Stato nazionale italiano, senza quindi i traumi del separatismo e dello spostamento dei confini. della . I1 miglior . . riconoscimento . . . . validità della soluzione altoatesina è, del resto, venuto dallo stesso Presidente della Repubblica austriaco, quando, in occasione della visita del Presidente Scalfaro dello scorso anno a Vienna, ha definito lo Statuto di autonomia: «Un modello esemplare per l'Europa e per il mondo intero*. Credo che la validità di questa soluzione autonomista e non secessionista del problema dei diritti delle minoranze etniche emerga nella sua piena luce particolarmente in questi ultimi anni, di fronte alla tragedia dei popoli della ex Iugoslavia. Anche l'attuale dibattito sul neo-regionalismo e sul federalismo che caratterizza il nostro Paese, dovrebbe tenere maggiormente conto, a mio avviso, dell'esperienza culturale Il palazzo della Provincia autonoma di Bolzano e politica che ha portato al nostro Statuto, che può essere a buon titolo considerato una forma di federalismo ante litteram. Non è del resto un caso che la F.U.E.V. (Foderalistische Union der Europaischen Volksgruppen), che riiinisce oltre 50 gruppi etnici europei, abbia approvato una «Convenzione sui diritti fondamentali dei gruppi etnici in Europa», che viene significativamente chiamata «Progetto Rolzano~,perché è stata elaborata da studiosi altoatesini, proprio alla luce della complessa esperienza di questa provincia. Alla luce del suo ragionamento quello della Lega è dunque un finto federalismo: perché c'è una maniera caazionalista~o razzista di vivere fa propria etnia, il proprio regionalismo, e una maniera civile, umana, federalista di viverla. Vuol chiarire meglio la sua opinione? Le posizioni della Lega riguardo al federalismo sono state caratterizzate da una rapida e caotica evoluzione. Dal vero e proprio separatismo da «Repubblica Cisalpina* dei primi tempi, basato su di un antimeridionalismo elementare, si è passati rapidamente all'idea delle tre Repubbliche, poi a quella delle Macroregioni. Non c'è dubbio tuttavia, che il federalismo leghista, anche nelle sue ultime e più presentabili versioni, non può non risentire dell'elementare pulsione separatistico-difensiva da cui è partito. L'esperienza di federalismo storico che noi conosciamo, da quello degli Stati Uniti a quello della R.F.T., è di ben altro stampo ed ha dimostrato di saper contemperare la valorizzazione della diversità e del pluralismo delle autonomie locali con quello dell'unità e solidarietà nazionali. Del resto, è solo con un progetto federalista di questo tipo e con le riforme costituzionali ad esso connesse, a cominciare dalla Camera delle Regioni, che si può rispondere efficacemente alla concezione di federalismo ristretto tipico della Lega. Se invece la risposta sarà intessuta unicamente di astratti richiami all'unità nazionale, il leghismo, lungi dall'essere contrastato, sarà ulteriormente alimentato e legittimato. ;*,$$,t COMUNI D'EUROPA .T yQ;:*$y t 4..-i,,.? Nella RFT è esploso nei mesi scorsi un conflitto tra Lander e Comuni, sulla composizione e la rappresentanza nel Comitato delle Regioni e delle Comunità locali europee, introdotto dal Trattato di Maastricht. Il Consiglio dei Comuni e delle Regioni d'Europa, e la sua Sezione italiana AICCRE, pensa da parte sua a Regioni che siano sì alla testa del movimento autonomista, ma che non alimentino un rapporto conflittuale con le autonomie locali, che operino una sintesi di sviluppo economico e pianificazione del territorio, che difendano i singoli territori dalla burocrazia centrale e che rispettino col più assoluto rigore il principio di sussidiarietà. Un rafforzamentoquindi del sistema unitario delle autonomie territoriali, evitando una lotta di logoramento tra i diversi livelli istituzionali, che andrebbe ad esclusivo vantaggio dello Stato centralizzato e della burocratizzazione della Comunità europea. Lei cosa ne pensa? Non può esservi dubbio che l'«Europa delle Regioni» non potrà mai vedere la luce se non sarà anche l'«Europa dei Comuni». Ogni conflittualità fra questi due liveili di autonomia locale non soltanto è chiaramente inso,stenibile sul piano teorico, ma non avrebbe altro effetto che impedire quel consenso spontaneo di base delle popolazioni senza il quale non vi possono essere possibilità concrete per un'effettiva realizzazione dell'unità europea. Toccando in parte un argomento di scottante attualità, la crisi etica che sta vivendo la politica italiana, potremmo dire che, se il Risorgimento italiano fu il rientro dell'Italia nell'Europa, un 'Europa che coe'ncia va allora a battersi per i diritti dell'uomo e per la fratellanza tra i popoli, andrebbe oggi costruito un nuovo ethos, per un'Europa possibile ma non qualsiasi, accettabile da una opinione I1 palazzo della Regione Trentino-Alto Adige COMUNI D'EUROPA pubblica purtroppo amareggiata e sfiduciata. È d'accordo con questo auspicio? gioni, non significa volere le Regioni senza Europa. La costruzione di un'etica europea, vale a dire di un sistema di valori che siano insieme sovranazionali e antilocalistici, è questione di lungo periodo. Ad essa non vi sono, tuttativa, alternative possibili. Se crediamo, con un grande spirito europeo come Thomas Mann, che la politica sia la forma più alta di umanesimo, la costruzione dell'unità federalistica europea diviene oggi assolutamente centrale. Vorrei però sottolineare che questo ideale non ha soltanto da fronteggiare il nemico rappresentato dai centralismi statali e dal burocratismo della C.E.E. Non meno insidioso è il rischio del localismo soddisfatto ed egoistico. In altri termini, volere l'Europa delle Re- Per concludere, vuole illustrare ai nostri lettori l'azione della Provincia ed i propositi del Consiglioper la promozione dell'unità europea? La sensibilità per la promozione dell'unità europea non può essere evidentemente estranea proprio al Consiglio della Provincia autonoma di Bolzano. Di recente è partita da questo Consiglio un'iniziativa dalle straordinarie potenzialità europeistiche. Mi riferisco all'organizzazione a Merano, i1 2 1 maggio 1991, della prima seduta congiunta dei Consigli delle Province autonome di Bolzano e Trento con le Diete regionali di Tirolo e Vorarlberg (le quattro province dell'antico Tirolo storico). Questa iniziativa che ha scadenza biennale si è ripetuta il giugno 1993 a Innsbruck. È la prima volta nella storia d'Europa che si incontrano quattro Assemblee legislative appartenenti a due Nazioni diverse. Nella riunione di Innsbruck sono state approvate all'unanimità delle importanti mozioni che prevedono, fra l'altro, il coordinamento delle strutture di ricerca universitarie, lo scambio di studenti ed insegnanti, l'avvio del coordinamento delle quattro Camere di Commercio, l'elaborazione di progetti comuni per i trasporti e la difesa ecologica, lo studio di un modello di Statuto interregionale ecc.. Se i quattro esecutivi saranno all'altezza di questi compiti, non c'è dubbio che questo tipo di intensificazione dei rapporti trasfrontalieri volti alla costruzione di una nuova possibile realtà interregionale, può essere un contributo estremamente prezioso per tracciare una via concreta e partecipata per la costruzione dell'Europa delle Regioni, nonché un obiettivo rafforzamento della tematica federalista non soltanto in Italia ma anche in Austria. (intervista a cura di Mario MarsalaJ GIUGNO 199: il Vertice di Copenaghen Parola d'ordine: volare basso di Raimond Vautier A Copenaghen, con i1 Vertice dei capi di Stato e di Governo, è calato il sipario sul semestre di presidenza danese. Come era facilmente preventivabile, la rappresentazione offerta in questi mesi non è stata esaltante. Tuttavia, nessuno poteva prevedere che, malgrado l'esistenza di problemi molto scottanti, si sarebbe registrata la completa assenza di appuntamenti politici importanti a livello comunitario. I1 panorama politico della Comunità è stato di fatto caratterizzato dalle vicende politiche interne di alcuni Stati membri. Per alcuni di questi è stato il momento delle verifiche. L'accordo raggiunto ad Edimburgo sulle deroghe concesse al governo danese ha tenuto, permettendo alla maggioranza dei cittadini danese di approvare la ratifica del Trattato di Maastricht. Un John Major sempre più in crisi politica ha tutto sommato retto bene alla pressione dell'ibrida alleanza tra euro-rebels conservatori e i laburisti evitando di essere messo in minoranza durante il voto di ratifica del nuovo Trattato di Maastricht. Nulla si è mosso come si è detto nel dibattito politico in seno alle istituzioni comunitarie. D i fronte ad una crisi economica ed occupazionale devastante si sono al contrario registrati preoccupanti segni di ritorno ad ottiche puramente nazionali. La deriva è evidente davanti agli occhi d i tutti gli osservatori. Eppure nessuno ha avuto il coraggio di lanciare questo grido di allarme. Tutto è stato coperto da una sorta di cinica indifferenza mentre i dati economici testimoniano la drammaticità della situazione. La crescita economica in termini di prodotto interno lordo è praticament e nulla, i disoccupati ufficiali sono circa 17 milioni, una percentuale pari ai 12% della popolazione attiva della Comunità. Gli indici riguardanti la produzione industriale, il tasso di utilizzazione delle capacità produttive degli impianti nonché il volume degli investimenti privati e pubblici segnano un pauroso ribasso. Di fronte a questa situazione che richiama un'orgogliosa impennata politica, la presidenza danese ha preferito mantenere un livello bassissimo. La Commissione da parte sua si è rinchiusa su sè stessa aspettando, in una sorta di messianica attesa, il sopraggiungere di qualche evento che potesse in qualche modo spezzare il circolo vizioso recessione economica-disoccupazione. Questo atteggiamento attendistico della Commissione, reso ancora più evidente dalla sua estrema debolezza politica, ha raggiunto la sua massima ed indecente espressione con le proposte del Commissario Flynn che è responsabile della politica sociale e del lavoro. Una sua Comunicazione dal retorico titolo «Quadro comunitario per l'occupazione» fatta propria, non si sa come, della Commissione nella sua collegialità (ma dove erano gli alGIUGNO 1993 tri 16 commissari?) si limita a proporre di elaborare un programma comune per l'inizio del 1995. Nulla è stato dunque offerto ai lavoratori comunitari che conoscono in numero sempre più frequente la disgrazia di una disoccupazione che assume caratteri decisamente strutturali. Anche Jacques Delors non ha avuto sussulto politico per cinque mesi. Depresso, preso a tenaglia dalla modificata situazione politica francese con un governo che ne controlla ogni minima iniziativa politica, il Presidente sembrava incapace di riprendere in mano I'iniziativa politica. La sua anima cattolica e socialista non poteva tuttavia restare insensibile alle reazioni di una opinione pubblica sempre più preoccupata dal deteriorarsi della situazione economica e sociale e dal moltiplicarsi di fenomeni di esclusione sociale. E d è per questo che, in uno slancio di orgoglio, si è rinchiuso nei suoi uffici per definire un nuovo progetto, simile al Libro bianco della Commissione per il completamento del mercato interno, in grado di rianimare la dinamica politica della Comunità. Lasciando completamente all'oscuro i suoi sedici colleghi, Jacques Delors ha esposto ai Capi di Stato e di Governo il suo personale punto di vista sul modello europeo di sviluppo. Confortato da dati statistici e grafici preparati appositamente per lui, il Presidente della Commissione ha mostrato come, a differenza di Giappone e Stati Uniti, all'interno della Comunità ad uno sviluppo produttivo non corrisponda un adeguato aumento dei livelli di occupazione. Su questa base, Delors ha in un certo senso ribaltato i1 tradizionale rapporto di causaeffetto tra recessione economica e disoccupazione. È da quest'ultima che occorre agire per trovare una soluzione ai problemi di crescita economica. Tale approccio non lascia spazio alle soluzioni liberiste degli anni ottanta, che puntano sullo smantellamento dello Stato sociale attraverso la diminuzione del costo del lavoro e dei diritti sociali acquisiti. Egli sceglie decisamente la strada del modello europeo di sviluppo economico, il solo che, secondo la sua visione politica, può conciliare i principi del libero mercato, gli interventi pubblici in economia e la concertazione tra le parti sociali. I1 Presidente della Commissione non abbandona dunque i principi che sono alla base delle relazioni tra stato e mercato anche se è incapace di fornire una risposta chiara e netta su quale sia la via più efficace per realizzare un moderno modello d i società europea. Avviata questa riflessione su una nuova formula di contratto sociale che deve condurre ad una nuova forma di Welfare State, Delors ha indicato quali dovrebbero essere gli orientamenti concreti per rispondere all'urgenza della crisi economica e occupazionale. Su questo Delors è stato molto più povero di proposte: restando fedele ai criteri di conver- genza economica fissati dal Trattato di Maastricht e consapevole del fatto che le politiche di bilancio non hanno margini di manovra sufficienti perché strozzate da deficit pubblici sempre più consistenti, Delors si è limitato a proporre un aumento delle risorse finanziarie per l'attuazione di quell'azione palliativo conosciuta come «iniziativa di crescita comunitaria». A breve termine si tratta di aggiungere 3 miliardi di ECUsupplementari ai 5 già decisi dal Consiglio europeo di Edimburgo. 8 miliardi di ECUin totale, sotto forma di prestiti e garanzie di prestito, sono un flusso finanziario assolutamente insufficiente per dare respiro ail'economia europea. Jacques Delors ha per contro tracciato otto piste a medio e lungo termine per riprendere un sentiero di sviluppo economico più stabile ed equilibrato. Delors riprende la sua proposta più cara: la definitiva istituzione dell'unione economica e monetaria, il quadro entro cui è possibile esercitare un controllo più efficace sui grandi aggregati macroeconomici, sull'evoluzione dei processi di convergenza, dei sistemi economici nazionali e su un processo di sviluppo più armonioso. Egli ha proposto ancora una politica di ricerca e sviluppo tecnologico più sostanziosa con un aumento delle spese comunitarie fino al 3% del PIL comunitario; il rafforzamento della politica comunitaria in favore delle grandi infrastrutture; lo sviluppo di un'industria informatica che sia finalmente in grado di confrontarsi con quelle di Stati Uniti e Giappone; una politica d i istruzione e di formazione che concili le esigenze di qualificazioni sempre più elevate con un più grande assorbimento del mercato del lavoro. Su questo aspetto, Delors propone una riflessione sulla flessibilità delle politiche del lavoro, fattore che costituisce I'ideale spartiacque tra coloro che ritengono necessaria una diminuzione del costo del lavoro e dunque un deciso ritorno ad un orientamento liberista e coloro invece che considerano la flessibilità come lo strumento per affermare nuove forme di impiego senza venir meno agli standars sociali acquisiti e garantire nel contempo una maggiore produttività. Questa ambiguità su come devono essere intese le politiche del lavoro ha permesso ai Capi di Stato e di Governo di accettare I'analisi e le piste indicate da Delors anche se John Major si è affrettato a ricordare che la Gran Bretagna è contraria a qualsiasi forma di legislazione sociale in materia sociale e del lavoro. I1 Presidente della Commissione è riuscito a raggiungere l'obiettivo che si prefiggeva in occasione del vertice di Copenaghen. I1 Consiglio europeo ha infatti dato incarico alla Commissione di elaborare un Libro bianco su crescita, competitività ed occupazione da presentare per la fine di dicembre in occasione del prossimo Summit di Bruxelles. Negli intendimenti d i Delors il Libro bianco dovrebbe costituire il quadro politico per rilanCOMUNI D'EUROPA ciare il processo di integrazione in modo simile al Libro bianco del 1985 sul mercato interno. A differenza di allora non vi è più fattore «sorpresa». In quell'occasione infatti la Commissione ebbe un ruolo autonomo nel definire gli obiettivi, il calendario ed il metodo di lavoro per il completamento dell'integrazione negativa. Facendo tesoro del vantaggio strategico che fu dato alla Commissione, il Consi, glio europeo ha piantato dei paletti di fronte al cammino dell'esecutivo comunitario. È stato infatti deciso che gli Stati membri presenteranno entro il 1 settembre 1993 proposte su elementi specifici da includere eventualmente in questa iniziativa. Inoltre, è stato deciso che un primo progetto del Libro bianco debba essere passato al vaglio del Consiglio dei Ministri Economia e finanze. Di fatto dunque vi sarà uno stretto controllo da parte dei governi nazionali sul lavoro di elaborazione della Commissione che dunque non potrà disporre dell'autonomia necessaria a presentare un documento di ampio respiro comunitario. Si tratta dunque di una grave limitazione del ruolo propositivo dell'esecutivo. D'altro canto, non può non essere sottolineato il fatto che nell'esposizione delle sua analisi e delle sue proposte, Jacques Delors ha totalmente ignorato gli aspetti politici di un'iniziativa che per avere successo deve necessariamente essere confortata da un disegno istituzionale che permetta di realizzare efficientemente le politiche che verranno definite. Si possono comprendere facilmente le ragioni di questa voluta dimenticanza che sono riconducibili principalmente al mutato clima che oggi si respira all'interno della Comunità europea. In primo luogo c'è ancora da digerire il Trattato di Maastricht la cui entrata in vigore dovrebbe avvenire, nelle più ottimistiche delle previsioni, il prossimo 1 novembre. In secondo luogo, malgrado le prospettive che si apriranno con il nuovo Trattato, le tentazioni di alcuni governi di ritornare a vie nazionali dello sviluppo sono sempre più forti. D'altro canto, il modello intergovernativo prescelto per due dei tre pilastri della futura Unione, la politica estera e della sicurezza e la cooperazione negli affari interni e giudiziari, lascia invitanti spazi agli Stati membri per bloccare ogni evoluzione politica della Comunità europea. È molto facile prevedere che l'impotenza della Comunità di fronte alla crisi della ex-Yugoslavia si manifesti in altre occasioni azzerrando di fatto il suo ruolo e la sua influenza nel panorama delle relazioni internazionali. Inoltre, Jacques Delors, sempre più condizionato dalla politica interna francese e dalle sue aspirazioni presidenziali, sembra aver abbandonato quello spirito federalista che ne aveva ispirato l'azione politica durante lo svolgimento delle conferenze intergovernative del 1991. Oggi la Comunità è in forte crisi politica. Dopo la massiccia utilizzazione del voto a maggioranza per l'adozione degli atti legislativi riguardanti il mercato interno, in seno al Consiglio sembra di essere tornati agli anni settanta durante i quali ogni processo decisionale veniva paralizzato dai veti incrociati. La paralisi dei processi politici è infatti evidente: non vi è più un dossier che non presenti fattori molto problematici. Dai negoziati del GATT ai fondi strutturali, dalle disposizioni sociali a quelle agricole. Si conferma il teorema secondo cui allorquando la Comunità fa un salto di qualità nella cosiddetta «sovranazionalità normativa», immediatamente si registra un arretramento nella «sovranazionalità decisionale». Si tratta di un grave problema politico perché dimostra la fondatezza di coloro, come i federalisti, che da subito hanno sottolineato che senza una incisiva riforma in termini di efficacia e democrazia delle strutture istituzionali e delle procedure decisionali il processo di integrazione europea è destinato ad entrare in crisi. Ciò appare più evidente se si pensa che la Comunità è destinata ad accogliere quattro nuovi Stati e che entro il 2000 potrebbe vedere raddoppiare i suoi Stati membri. Su questo aspetto tutto tace. Lo' stesso Delors in un discorso di fronte al Parlamento europeo aveva anticipato che a Copenaghen avrebbe delineato gli orientamenti politici della «Grande Europa». Su questo argomento invece il Presidente della Commissione ha preferito non parlare sapendo benissimo che avrebbe trovato di fronte a sé interlocutori o poco sensibili o decisamente ostili. Eppure l'entrata di Finlandia, Svezia, Norvegia ed Austria sembra essere più vicina ed anzi non sembrano esserci dubbi sul fatto che ciò potrà avvenire già prima del 1996, cioé prima della conferenza intergovernativa che dovrebe modificare le disposizioni istituzionali del Trattato di Maastricht. Ora, con l'allargamento a tre paesi che tradizionalmente sposano la visione inglese della costruzione comunitaria basata sul metodo intergovernativo, i rischi di una indebolimento della Comunità sono sempre più evidenti. La Comunità rischia effettivamente di vedere stravolta la sua visione solidaristica e le sue strutture istituzionali. La tentazione a considerare l'insieme dei vincoli comunitari non più come disposizioni di natura costituzionale, ma come semplice accordi di diritto privato internazionale, dal quale ciascun contraente può recedere senza che ciò non provochi gravi conseguenze, viene rafforzata dalla volontà di molti governi nazionali di procedere verso una ristatualizzazione delle politiche comuni. Senza modifiche incisive, il Trattato di Maastricht e le modalità della sua applicazione aprono la strada alla creazione di un'Europa a geometria variabile o meglio di un Europa alla carta. Questa analisi richiama la necessità di riprendere un'azione politica forte per favorire la trasformazione della Comunità in un'Unione europea su base federale, l'unica che possa impedire la dissoluzione di un patrimonio politico e culturale di più di trent'anni. L'azione politica del Parlamento europeo, che chiuderà nell'aprile 1994 la sua terza legislatura dopo l'istituzione delle elezioni a suffragio universale diretto, non sembra avere quella forza e quella determinazione necessaria a rilanciare il processo di trasformazione della Comunità in Unione europea nonostante le sue notevoli prese di posizione. I1 20 gennaio '1993 il Parlamento europeo ha vota- to la risoluzione Hansch sulla strategia dell'Unione per il nuovo ordine europeo. In tale relazione, l'Assemblea di Strasburgo afferma che l'approfondimento dell'unione deve precedere il suo ampliamento e che tale approfondimento deve essere realizzato sulla base di una carta costituzionale di tipo federale, elaborata dal Parlamento europeo ed esaminata da una conferenza dei governi, convocata prima delle scadenza naturale del 1996. Questa carta costituzionale è in corso di elaborazione da parte della commissione istituzionale del Parlamento europeo che dovrebbe adottarla entro il mese di novembre affinché le grandi famiglie politiche europee ne integrino i principi nei rispettivi manifesti politici in vista dalle prossime elezioni europee. Nonostante questo impegno elaborativo, il Parlamento europeo non ha tuttavia individuato una strada chiara da seguire per metterlo in pratica. Da questo punto di vista è chiaro che l'unica via di uscita è costituita ancora una volta dal metodo costituente attraverso cui il Parlamento europeo, in stretto contatto con i parlamenti nazionali, dovrebbe redigere una costituzione breve ed essenziale, facilmente comprensibile dai cittadini europei, integrante i principi federalisti e che preveda una riforma delle istituzioni che ne consenta una migliore efficacia ed il pieno rispetto dei principi democratici. A questa riforma dovrebbe essere accompagnata una chiara definizione delle competenze comunitarie e quelle nazionali, lasciando giocare il principio di sussidiarietà per la definizione dei livelli di responsabilità nelle cosiddette «competenze concorrenti». Questa carta costituzionale dovrebbe poi essere inviata ad una conferenza di Stati a cui spetterebbe il compito di approvarla e di ratificarla nei propri ordinamenti nazionali. Le procedure di ratifica potrebbero essere accompagnate da referendum popolari che, a differenza di quanto è avvenuto per il Trattato di Maastricht, non dovrebbero avere carattere sospensivo nei confronti dei paesi che accettino i principi costituzionali, ma determinare di fatto la partecipazione dello Stato membro in questione all'unione. Verrebbe dunque finalmente affermato il principio, evocato per primo da Francois Mitterand nel 1984, della realizzazione dell'unione per coloro che lo vorranno. Questo processo politico deve essere accompagnato da una forte pressione esterna esercitata da quelle forze che sono favorevoli ad una più stretta integrazione politica dell'Europa. Queste forze politiche possono trovare espressione all'interno della Convenzione democratica europea che potrebbe essere convocata in occasione delle elezioni europee del giugno del 1994 e svolgere un'azione politica permanente. Dalla pressione che questa Convenzione sarà in grado di esercitare sulle forze politiche tradizionali dipenderà il grado di risposta del Parlamento europeo cui spetta il compito di riprendere quel naturale ruolo costituente che gli deriva dall'essere l'unica istituzione comunitaria dotata di legittimità democratica essendo eletta direttamente dai cittadini comunitari. ¤ GIUGNO 1993 Maastricht non basta Verde locale, sovranazionale, cosmopolitico di Alberto Majocchi Una sintesi a priori di sviluppo economico, servizi e pianificazione del territorio fiscalità ecologica e occupazione «verde» Durante gli anni '80 la grande attenzione dell'opinione pubblica per avviare a soluzione i problemi ecologici che rendono sempre più incerto il destino futuro dell'umanità ha certamente favorito lo sviluppo - soprattutto nei paesi industrializzati - di una politica ambientale più avanzata. Ma negli ultimi tempi, mentre si è manifestato un certo distacco dell'elettorato nei confronti dei partiti verdi, sono emersi altresì con maggiore evidenza gli elevati costi legati alla protezione ambientale che, a giudizio dell'industria europea, rischiano di mettere fuori mercato questo settore produttivo nei confronti dei paesi dove gli standards ambientali sono meno severi. E certamente questo problema si presenta con una particolare severità nella situazione attuale caratterizzata da una grave recessione che colpisce in modo generalizzato tutti i paesi europei. Appare quindi opportuna una riflessione pacata per cercare di capire in che senso occorre orientare le scelte di fondo di una politica efficace per la protezione dell'ambiente - che presentano un grande rilievo anche per gli enti locali -, in modo tale da individuare le linee strategiche di un'azione efficace per affrontare i grandi problemi ecologici con cui il mondo si deve oggi necessariamente confrontare. In questa riflessione il primo punto da prendere in considerazione riguarda il cambiamento radicale intervenuto nei contenuti della politica ambientale. In effetti, in una prima fase essa ha dovuto affrontare problemi che presentavano un carattere essenzialmente locale, regionale o, al più, nazionale e che riguardavano sostanzialmente la protezione della qualità dell'acqua e la riduzione dell'inquinamento atmosferico. Su questo terreno si sono realizzati certamente significativi passi in avanti, anche se ancora molto si deve fare soprattutto nelle aree meno sviluppate dell'Europa del Sud. D'altra parte, anche in questi settori della politica ambientale si è dovuto ben presto riconoscere che molti problemi richiedono una soluzione di carattere sovranazionale, tenendo presente il rilievo crescente dei problemi legati ai fenomeni di inquinamento che si manifestano al di là delle frontiere degli stati. I n realtà, i problemi con cui si deve confrontare la politica ambientale presentano sempre di più un carattere globale: la protezione della fascia d'ozono, la riduzione delle emissioni di gas che provocano l'effetto serra, la conservazione delle foreste tropicali e della bio-diversità rappresentano soltanto alcuni esempi di ~ r o b l e m iambientali che non possono più trovare una soluzione adeguata su scala nazionale, e neppure continentale. GIUGNO 1993 Emerge quindi un problema politico che deve essere affrontato e risolto se si vuole garantire un efficacia reale della politica ambientale. In effetti, se ci fosse un governo mondiale, ovvero se le Nazioni Unite disponessero di un potere di decisione limitato ma reale nel settore ambientale, spetterebbe a questo livello di governo il compito di prendere i provvedimenti necessari con il sostegno della maggioranza dell'opinione pubblica mondiale e di farli rispettare da parte di tutti gli Stati. Ma I'ONU non dispone di questo potere e, conseguentemente, l'unica alternativa politicamente praticabile per far fronte a questi problemi è quella di arrivare alla stipulazione di una convezione multilaterale approvata da tutti gli Stati - o almeno da un grande numero di Stati -, in modo tale che le decisioni assunte siano tendenzialmente vincolanti per la maggior parte dell'umanità. Ma non si possono certo trascurare i molteplici problemi che rendono assai difficile procedere lungo questa strada. In primo luogo, il processo per arrivare alla conclusione di una convenzione multilaterale richiederà tempi lunghi, mentre i problemi incalzano e le soluzioni devono essere trovate rapidamente, prima che il danno ambientale diventi irreversibile. Inoltre, dato che il metodo decisionale è fondato sul consenso, il che significa in altri termini che ogni Stato in linea di principio dispone di un diritto di veto, è chiaro che il risultato finale rappresenta necessariamente un compromesso raggiunto ad un livello molto basso, tale da ottenere il consenso anche degli Stati meno favorevoli. In questo senso l'esperienza della Conferenza di Rio è stata molto significativa, visti i numerosi annacquamenti alle proposte originali che sono stati necessari per ottenere il consenso degli Stati Uniti, sia nel caso della convenzione sulla bio-diversità, sia per quanto riguarda la convenzione sui cambiamenti climatici. I1 limite fondamentale di una soluzione basata sulla cooperazione internazionale consiste dunque nel fatto che, come avviene in ogni sistema in cui non esista un potere sovranazionale, basta l'opposizione di un paese o di un gruppo limitato di paesi per impedire d i raggiungere un accordo. Un caso rilevante da questo punto di vista è certamente quello della protezione delle foreste tropicali, laddove a Rio ci si è dovuti limitare ad una dichiarazione di principio senza effetti vincolanti, mentre l'obiettivo fissato dall'ITTO di una gestione sostenibile delle foreste tropicali entro l'anno 2000 appare assai difficile da conseguire a seguito della ferma opposizione che I1 Reno a Colonia COMUNI D'EUROPA permane d a parte di alcuni grandi paesi produttori. Queste difficoltà mettono dunque in evidenza un problema di grande rilievo, che non si può comunque evitare attraverso l'imposizione unilaterale di misure restrittive al commercio d a parte dei grandi paesi consumatori, come spesso è avvenuto in passato da parte degli Stati Uniti. I n assenza d i un governo federale, che può prendere una decisione soltanto se è in grado di definire una politica capace di conseguire l'appoggio della maggioranza della popolazione interessata, l'unica via da seguire se si vuole prendere in considerazione gli interessi di tutte le parti in causa è quella di promuovere la stipulazione di un accordo multilaterale con i consenso di tendenzialmente - tutte le parti interessate. Questa opzione è soggetta comunque a due limiti importanti: una volta raggiunto un largo ambientalisti, di «rendere verde il GATT», non appare invece convincente. I1 G A T T deve fare il suo mestiere, che è quello di evitare il diffondersi di pratiche protezionistiche. Ma ogni volta che in dispute di natura commerciale sono coinvolti interessi ambientali è invece indispensabile che il giudizio su questi aspetti sia affidato all'agenzia mondiale per l'ambiente, mentre gli organi deputati in seno al G A T T per la soluzione delle controversie dovranno limitarsi a recepire la decisione dell'organo destinato alla protezione degli interessi ambientali su scala mondiale. Ma vi è un secondo elemento che caratterizza in modo significativo questa nuova fase della politica ambientale, e che coinvolge più direttamente tutti i livelli di governo. I n effetti, è emerso ormai con grande chiarezza che la politica di protezione dell'ambiente può risultare efficace soltanto nella misura in L'ANIC di Gela in Sicilia consenso - il che non implica necessariamente l'unanimità - le decisioni devono applicarsi a tutti, ivi compresi i paesi che non hanno sottoscritto l'accordo. Inoltre il costo di questa politica deve essere ripartito in mod o equo fra tutti i paesi tenendo conto altresì dei diversi livelli d i sviluppo. E questo principio stato solennemente riaffermato nella dichiarazione finale di Rio. Da un punto di vista istituzionale, si tratta dunque di unificare e, al contempo, d i rafforzare le agenzie delle Nazioni Unite che si occupano di problemi ambientali a carattere globale, in modo tale d a renderle capaci di gestire in modo unitario ed efficace le diverse convenzioni che nel tempo sono state approvate e quelle che dovranno essere definite in ' futuro. I n particolare, si tratta di rafforzare la Commissione per lo Sviluppo Sostenibile, la cui creazione è stata decisa a Rio, e d i farne il centro della politica ambientale su scala mondiale. La scelta, largamente sostenuta da molti COMUNI D'EUROPA cui cessa di essere una politica settoriale e l'obiettivo ambientale viene effettivamente integrato in tutte le politiche settoriali rilevanti dal punto d i vista ecologico. I n questa prospettiva un carattere particolarmente innovativo presenta il programma di azione ambientale definito i livello comunitario, che pone al centro dell'attenzione appunto l'integrazione dell'ambiente nella definizione delle altre politiche. Ma questa integrazione deve essere realizzata a tutti i livelli (locale, regionale e nazionale) se si vuole effettivamente garantire un'efficace protezione dell'ambiente. Così, una politica per ridurre le emissioni dei gas che provocano l'effetto serra non può risultare efficace se non viene integrata con una politica adeguata dei trasporti, un nuovo assetto della politica urbanistica che preveda una più razionale distribuzione della popolazione e della attività produttive sul territorio, misure per internalizzare i costi esterni legati all'uso delle strade, una politica energetica che promuova l'utilizzo d i energie alternative, misure regolative per promuovere l'efficienza energetica, e così via. In definitiva, l'integrazione dell'ambiente nelle altre politiche richiede non soltanto una politica di correzione dei fallimenti del mercato, ma anche una politica di piano capace di mettere in evidenza e di sfruttare efficacemente le sinergie di politiche settoriali gestite ai diversi livelli di attività della pubblica amministrazione. Resta infine da considerare un ultimo aspetto che caratterizza questa nuova fase della politica ambientale. Mentre inizialment e la politica ambientale si è affidata soprattutto all'utilizzo di strumenti d i tipo amministrativo, da alcuni anni in diversi paesi si è fatto sempre più ricorso all'uso dei cosiddetti strumenti economici, e in particolare alle tasse ambientali. Ma negli anni più recenti si è manifestata un'ulteriore innovazione, in quanto le tasse ambientali tendono a raggiungere livelli di prelievo rilevanti anche da un punto di vista macroeconomico. Basti pensare che la tassa sull'energia proposta dalla Comunità per combattere l'effetto serra a regime dovrebbe generare un gettito pari circa allll% del PIL comunitario. È chiaro quindi che imposte di queste dimensioni possono esercitare un effetto significativo sull'economia, sia in termini d i aumenti dei costi per i settori industriali più direttamente colpiti, sia in termini distributivi, per le classi di reddito che devono sopportare l'onere finale dell'imposta. Si è quindi fatta strada un'idea particolarmente innovativa, che prevede di utilizzare il gettito delle imposte ambientali per ridurre il prelievo fiscale che attualmente grava sul lavoro, sulla capacità imprenditoriale e sull'assunzione del rischio. Per dirla in breve, si tratta di spostare il peso del sistema fiscale dall'imposizione dei goods - come avviene prevalentemente oggi in quasi tutti i paesi - alla tassazione dei bads: uso delle risorse naturali, inquinamento, congestione, rifiuti, uso del sistema stradale, e così via. È questo il grande tema, che si sta affacciando nel dibattito politico, della riforma fiscale ecologica come strumento per promuovere efficacemente un modello di sviluppo sostenibile. E interessante sottolineare come questa trasformazione del sistema fiscale possa essere utilizzata altresì per mettere in piedi una politica efficace per far fronte al drammatico problema della disoccupazione, riducendo il carico degi oneri che gravano sulì'utilizzo del fattore lavoro attraverso il gettito che deriva dalla tassazione ambientale. I n questa prospettiva interessanti elementi d i novità sono emersi dal recente Consiglio europeo di Copenhagen. I1 Consiglio ha preso in esame una serie di proposte avanzate dal presidente Delors, che si collocano su due piani diversi: nell'ambito della politica a n t i ~ o n ~ i u n t u r a lDee, lors suggerisce sostanzialmente di procedere ad un rafforzamento sul piano finanziario degli strumenti di intervento già decisi ad Edinburgo, in modo da creare nuova occupazione attraverso una ripresa degli investimenti nei settori strategici delle grandi reti di comunicazione e per favorire l'impiego d i manodo(segue a pag. 10, GIUGNO 199: Il federalismo e la Iugoslavia Proponiamo ai nostri lettori, con la speranza di aprire un dibattito serrato e anche infuocato, un testo sui fatti di Jugoslavia redatto da vecchi dirigenti federalisti. A proposito della Jugoslavia (che si suol chiamare ex Jugoslavia) si dimentica, con notevole ignoranza stouica, tutta la battaglia democratica ottocentesca e di parte del novecento per l'assetto solidale tra gli slavi del sud e, più largamente, tra le popolazioni variamente cristiane, mussulmane e poi ebree dell'intero vicino Ouiente. Una vergogna del17Europaoccidentale e della inesistente unità politica della Comunità europea è l'atteggiamento verso la cuisi iugoslava che ha tollerato, se non appoggiato, il frazionamento etnico e l'incapacità di far subentrare un accordo in qualche modo federale fra etnie e tradizioni alle quali era stato imposto dall'alto un federalismo antidemocratico. presenta come una autentica pietra di paragone, come una testimonianza rivelatrice dei reali orientamenti «europei» dei governi e dei parlamenti nazionali, dei partiti, delle stesse istituzioni comunitarie: d'altra parte questa tragedia - che implica la barbarie, orribile, spaventosa, della «pulizia etnica» - richiede una presa di posizione, chiara e impegnata allo spasimo, della militanza federalista e, coerentemente, dell'intera «forza federalista», organizzata su scala sovranazionale. L'attuale Europa intergovernativa - sulla quale non offre progressi automatici e decisivi l'Unione di Maastricht - si è coperta e rischia di coprirsi ogni ora di più di vergogna, Prologo La terra trovata Chi non sa dare ascolto a una canzone una tempesta finirà per ascoltare. Lascia che coloro che hanno il potere del mondo pensino a cosa fare di esso noi abbiamo solo parole e sappiamo fare buon uso di tale povertà Gloria al fuoco ... ... ... La caduta del regime dittatoriale sovietico e di quanto, anche abusando del termine federalismo, si era costituito in modi autoritari e imposti dall'esterno nel Centro e nell'Est europeo, ha creato una doppia tendenza: da un lato una spiegabile affermazione di autonomia da parte di popolazioni, peraltro spesso costrette già alla fine della prima guerra mondiale entro confini statuali parzialmente artificiali, frutto d i compromessi diplomatici; ma dall'altro lato anche una tendenza crescente verso un rinnovato nazionalismo - specie di rivalsa all'egemonia sovietica -, che a sua volta si è spezzato in micronazionalismi etnici: nell'ambito d i questa tendenza si sono sviluppati il razzismo, l'intolleranza religiosa, un vero e proprio spirito tribale. È questa la situazione che si è trovata di fronte la Comunità europea o, in sostanza, quel primo nucleo di Paesi che dovrebbe avviarsi a una svolta storica, la quale implica - accanto alla democrazia negli Stati - la democrazia tra gli Stati, cioé la federazione sovranazionale dotata di tutti i poteri statuali. Una Europa autenticamente federata non sarà certa preparata da un mercato comune che, allargandosi senza un chiaro orientamento politico, tenda a trasformarsi in una zona di libero scambio (questo allargamento è da scartare a priori): ma non può neanche chiudersi in se stessa e deve guardare fin da ora - come del resto ha preveduto il rapporto Hansch approvato dal Parlamento Europeo nel gennaio 1993 - alla prospettiva di una Paneuropa democratica e federata. I n questo contesto la tragedia della Jugoslavia si è presentata e si GIUGNO 1993 zione unitaria, a orientamento federalista, deve prendere comunque l'Unione nel quadro delle CSCE e, anche con tutte le armi necessarie e adeguate, deve intervenire in Jugoslavia, annullando i confini creati col genocidio e ristabilendo la legge del diritto e del rispetto della persona umana su quella della forza bruta. Ma hanno poi le carte in regola gli Stati della Comunità europea - e, in fondo, la stessa Comunità? - Non hanno avuto e non hanno evidenti responsabilità nell'acuirsi del conflitto infraiugoslavo? Un'azione unitaria e comprensibile è stata sin dall'inizio impedita dal colpevole -riconoscimento, unilaterale e ma la libertà raggiunta saprà cantare come i martiri cantavano per essa? C'è consolazione nell'essere terra c'è fierezza nell'essere roccia c'è saggezza nell'essere fuoco c'è pietà nel saper essere nulla ... ... ... Sono versi di un giovane poeta serbo, Branko Miljkovic, morto nel 1968. Ci domandiamo se buona parte della mischia razzista che ha coperto e sta coprendo di sangue la Jugoslavia non sia stata appoggiata o addirittura promossa da paesi europei che, tradendo le stesse regole comunitarie e la retorica di Maastricht, hanno riconosciuto anzitempo le nuove formazioni statuali in cui, caduta la dittatura, sLè divisa la federazione antidemocratica della Jugoslavia. Viene voglia di ricordare a questi paesi della Comunità, che accusano di razzismo invincibile le etnie iugoslavie, non solo l'olocausto perpetrato daila Germania hitleriana, ma anche le stragi italiane in Cienaica e le deportazioni degli ebrei sotto il regime di Vichy. Nessun peggior razzismo di quello che vede, con falso orrore, il razzismo degli altri e non si ricorda del proprio. oltre a commettere errori politici che non ammettono scuse e che anche sul cosiddetto terreno del realismo sono tutti da condannare senza appello. La logica del federalismo di fronte al genocidio al di là dell'adriatico come a qualsiasi altro genocidio non può che reclamare una «polizia internazionale» che attui, con la forza oltre ogni ipocrisia, un intervento umanitario, gestito, al di fuori di ogni strumentalismo egemonico, dalle Nazioni Unite: nel quadro dell'ONU, frattanto, una Unione Europea che voglia cominciare a dar segni di vita, deve mostrare senza esitazioni una voce unica e chiedere, non ammettendo tergiversazioni, di salvare le leggi elementari dell'umanità. Se 1'ONU non riesce ad affrontare immediatamente, come si conviene, il problema, l'Unione europea deve prendere una posizione decisiva nell'ambito della NAT O , agendo come un polo unitario in una N A T O intesa in senso bipolare. Ma una posi- intempestivo, di uno Stato sloveno e di uno Stato croato, indipendenti, da parte del governo tedesco: gli altri governi nazionali hanno poi continuato ad agire in completa anarchia e succubi delle relative ragioni di Stato. Da una parte l'Europa del «non intervento» sta fomentando in Jugoslavia solo la legge della giungla e del «tutti contro tutti», poiché dimostra di essere incapace di battersi per un valore morale e di dare un esempio trascinatore: ma d'altra parte nel costringere i musulmani della Bosnia ad accettare il fatto compiuto e ad essere confinati in «campi di concentramento» assediatij invece di potersi considerare cittadini di pieno diritto di un territorio europeo, ostenta una miopia al d i là di ogni immaginazione e prepara la sconfitta dei musulmani democratici in tutto il Mediterraneo e nel Medio Oriente. Mai come ora si è fatta sentire l'esigenza indilazionabile di un governo europeo, re- sponsabile a un Parlamento sovranazionale, nel quadro di una Costituzione che preveda politica estera e di sicurezza comuni. Se 1'Europa - o quella parte che prevede imminente la formazione di un Unione politica - non vuole perdere ogni connotato morale e civile, deve crescere, senza ripensamenti, ed essere in condizione di impegnarsi con tutti i mezzi per l'affermazione della solidarietà umana internazionale, contro il banditismo che imperversa un po' ovunque, anche entro i suoi confini, e si organizza a livello locale, nazionale e mondiale in forme razziste, compie genocidi e le atrocità della «pulizia etnica», gestisce il traffico delle armi e della droga. È dunque anche di fronte alla tragedia iugoslavia che i cittadini europei debbono rivendicare nel prepararsi alle prossime elezioni europee'del 1994, un potere costituente al Parlamento Europeo, esigendo che una Europa intergovernativa, mercantile e vile oltre ogni misura, divenga l'Europa dei popoli, amica di tutti i popoli, nemica di tutti i banditi. I cittadini europei non debbono limitarsi a un voto platonico, ma formare subito un fronte democratico europeo, capace di imporre la sua volontà. Frattanto la Jugoslavia non può attendere: i federalisti chiedono ai governi nazionali della Comunità un sussulto collettivo di dignità e di coraggio. Sarà l'ultimo loro atto, per riscattare un minimo di onorabilità, prima di cedere il passo e le responsabilità primarie a un governo europeo federale. I1 federalismo è per tutti l'unico obiettivo di un realismo intelligente: esso dovrà estendersi via via, prendendo le mosse da atti coerenti dell'unione europea, a una Paneuropa democratica, e procedere oltre. Apriamo gli occhi: di fronte alla minaccia di una anarchia planetaria armata, il dilemma indicato dal buon senso è semplice «O le Nazioni Unite a vocazione federale o il caos». Ma la Jugoslavia aspetta: occorre fare subito il primo passo, costi quel che costi, e ristabilire rapporti civili interni, non violenti, con totale rispetto delle minoranze - di tutte le minoranze - e, prima ancora, di ogni persona umana. Le armi vanno usate ragionevolmente contro i banditi e non vendute, con profitto che gronda sangue, ai banditi. Troppo comodo lasciare che il nostro onore e la nostra umanità siano rappresentati da un pugno di eroici e inermi volontari: la responsabilità è di noi tutti e delle nostre istituzioni, coi sacrifici che ci possono essere richiesti. I1 federalismo non ammette l'ipocrisia. In una società non violenta spetta poi ai federalisti di tutta Europa proporre, giorno dopo giorno, la solidarietà garantita da istituzioni super partes. Quella che è stata la Jugoslavia comprende un complesso di etnie, di religioni e anche di posizioni personali, che debbono stare a cuore ai fratelli d'occidente, d'oriente, del nord e del sud: anche sul territorio jugoslavo si dovrà costruire la Paneuropa democratica e federale, elemento esemplare e necessario di un mondo non violento, ordinato a garantire, nella libertà, nella giustizia e con adeguate sanzioni, la pace per tutti. COMUNI D'EUROPA Verde locale.. . (segue da pag. 8) pera da parte delle piccole e medie imprese. Ma le proposte di Delors non si limitano alla politica anticongiunturale, e in effetti le indicazioni più innovative riguardano la definizione di un piano a medio termine per affrontare positivamente il drammatico problema della disoccupazione senza distruggere le conquiste sul terreno sociale che caratterizzano l'economia europea rispetto agli Stati Uniti e al Giappone. Delors ritiene che la Comunità debba promuovere un nuovo modello di sviluppo, fondato su tre idee di fondo: 1) la protezione dell'ambiente può favorire la creazione di numerosi nuovi posti di lavoro; 2) prekeynesiani della riduzione salariale e di una minore protezione sociale per tutti i cittadini. D'altro lato, se prevalgono le indicazioni di Delors, si tratta di vedere in che modo la Comunità possa realizzare questo progetto con i meccanismi decisionali attualmente disponibili. Se si tiene presente che a Copenaghen il Consiglio europeo ha ribadito l'impegno di giungere entro il I o gennaio 1995 all'allargamento ai quattro paesi EFTA candidati all'adesione, appare del tutto irrealistico pensare che le istituzioni esistenti possano gestire una Comunità a Sedici e realizzare al contempo le profonde modifiche strutturali che sono necessarie per avviare l'economia europea nella direzione di uno sviluppo sostenibile. È questo un nodo essenziale che Birmingham, la città del coke un'accresciuta imposizione sulle risorse naturali scarse può consentire di ridurre il carico fiscale gravante sul costo del lavoro, in modo tale da accrescere la competitività delle imprese europee; 3 ) gli incrementi di produttività devono essere destinati a migliorare la qualità della vita e a favorire la creazione di nuova occupazione. Queste proposte di natura strategica, destinate a promuovere un nuovo modello di sviluppo, si accompagnano altresì a prescrizioni di natura strutturale che prevedono una politica più attiva di gestione del mercato del lavoro per promuovere lo sviluppo dell'occupazione, in particolare attraverso una riforma del mercato del lavoro che accompagni una maggiore flessibilità con l'introduzione di forme di ripartizione delle ore di lavoro disponibili. In questa prospettiva, due questioni politiche di fondo rimangono comunqueda definire, se si vuole che la Comunità sia in grado di assumere una decisione positiva al Consiglio europeo di Bruxelles in dicembre. Da un lato, si tratta di superare le obiezioni del governo inglese, che vuole promuovere la creazione di una Comunità fondata su un liberismo di tipo tradizionale, dove il problema della piena occupazione venga affrontato con gli strumenti si deve affrontare, prendendo al più presto coscienza del fatto che l'allargamento dovrà essere necessariamente accompagnato da una revisione delle disposizioni istituzionali che sono state decise a Maastricht e che già oggi appaiono largamente obsolete. ELENCO DELLE NUOVE ADESIONI DI ENTI LOCALI ALL'AICCRE Giugno 1993 1 ~ b . ~omuni Montottone (AP) . . . . . . . . . . Civitella Roveto (AQ) . . . . . . Pezzaze (BS) . . . . . . . . . . . . . . Milena (CL) . . . . . . . . . . . . . . Usmate Velate (MI) . . . . . . . . Frattaminore (NA) . . . . . . . . . Serrara Fontana (NA) . . . . . . Carcare (SV) . . . . . . . . . . . . . . Crispiano (SA) . . . . . . . . . . . . San Mauro Torinese (SO) . . . Fregona (TV) . . . . . . . . . . . . . Fiesso D'Artico (VE) . . . . . . . GIUGNO 1993 in una relazione al Parlamento europeo Una Comunità aperta contro il razzismo di Cesare De Piccoli* Com'è noto assistiamo oggi al proliferare nei vari Stati membri di gruppi e movimenti estremisti di destra che, pur con talune diversità, hanno in comune come punti rilevanti della loro «ideologia» il razzismo e, in nome dell'odio razziale, perpetrano violenze di ogni genere nei confronti di lavoratori immigrati, rifugiati, richiedenti asilo, nomadi ed ebrei. Soprattutto negli ultimi due anni è diventato molto più serrato il ritmo di frequenza di episodi di violenza e di criminalità raz- significativo che la discussione al Parlamento europeo sul tema del razzismo sia coincisa con la commemorazione del cinquantesimo anniversario dell'insurrezione del Ghetto di Varsavia. Vorrei riprendere le parole di Papa Giovanni Paolo Il: dgiorni della Shoah hanno segnato una vera notte nella storia, registrando crimini inauditi contro Dio e contro l'uomo». Altrettanto pregnanti sono state le parole di Mark Eldman, vicecomandante dell'insurrezione del Ghetto e uno dei pochi superstiti. L'Olocausto non èfinito insieme alla guerra. Si è rivisto in Cambogia, in Somalia ed oggi in Bosnia. Con la sua relazione sull'argomento, il Parlamento europeo ha inteso dare una risposta positiva all'inquietudine e allo sdegno presenti nell'opinione pubblica europea per gli innumerevoli episodi di intolleranza razzista manifestatisi negli ultimi due anni. Il Parlamento ha voluto viaffermarela solidarietà alle vittime innocenti di tanti atti crimina: li, raccogliere l'appello della comunità ebraica, delle chiese cristiane, del Forum europeo degli emigranti, di tante associazioni della società civile e da ultimo l'invito rivoltoci dal Consiglio europeo di Edimburgo dove, nella sua dichiarazione finale, riafferma viva preoccupazione per l'intensificarsi di episodi di intolleranza in Europa, dichiarandosi convinto della necessità, allo scopo di combattere tale fenomeno, di prendere in tutta Europa misure vigorose ed efficaci, tanto sul piano dell'educazione che sul piano legislativo. Dai contenuti della relazione voglio riprendere alcuni punti che ritengo essenziali. Dagli innumerevoli atti di razzismo e di intolleranza religiosa si trae il convincimento che questi non sono frutto della spontaneità, ma si individuano precise responsabilità di gruppi o movimenti di estrema destra, di vecchia o di recente formazione. Si avanza la proposta che, per quanto concerne la lotta alla discriminazione razziale, all'antisemitismo e all'intolleranza religiosa, sia chiesto al Consiglio europeo di adottare una direttiva che preveda l'introduzione negli Stati membri di una legislazione più rigorosa ed eficuce di quelle attualmente in vigore nella quasi E GIUGNO 1993 zista nonchè di atteggiamenti xenofobi. Dinanzi all'intensificarsi di tali fenomeni, la Commissione per le libertà pubbliche e gli affari interni, nel quadro delle sue competenze, ha avvertito l'esigenza di elaborare una relazione specifica in merito a tali problemi e, viste le connessioni esistenti tra il risorgere dell'estremismo di destra e il propagarsi del razzismo e della xenofobia, ha deciso di trattare questi temi in un'unica relazione. I1 Parlamento europeo, particolarmente sensibile e conscio del suo dovere di vigilare al rispetto dei diritti fondamentali e dei valo- generalità degli Stati della Comunità; che questa direttiva si fondi sul riconoscimento che l'atto di razzismo è un crimine e come tale vada perseguito penalmente. A complemento di questa scelta fondamentale, si chiede che gli enti e le associazioni interessate possano costituirsi parte civile nei processi contro gli atti di razzismo. Si chiede inoltre una competenza specifica in seno alla Commissione nella lotta contro la discriminazione razziale e la predisposizione di un programma d'azione rivolto soprattutto all'informazionee ai diversi sistemi educativi. Da ultimo è riconosciuto ormai che, oltre alle profanazioni contro i simboli dell'Olocausto e alla provocazione nei confronti delle comunità ebraiche, le vittime di episodi di intolleranza razziale sono soprattutto i cittadini extracomunitari, rifugiati o che risiedono legalmente nella Comunità, individuati da questi gruppi violenti come i nuovi capri espiatoti. In questa relazione si riaffermanole principali posizioni espresse informa ufficiale dal Parlamento, per una pik incisiva politica di integrazione a favore di milioni di cittadini extracomunitari legalmente residenti nella Comunità e si avanzano alcune proposte innovative intese ad estendere il campo di applicazione di questi diritti civili e politici compreso il voto nelle elezioni locali. Sono questioni delicate che trovano reazioni contrastanti anche nella stessa pubblica opinione, anche in virtù dell'impatto che i flussi migratori hanno in maniera differente negli Stati della Comunità. Sul come dare soluzione pratica a questi diritti permangono tra noi valutazioni diverse, anche si sono fatti importanti passi in avanti. Deve però prevalere la concezione comune che abbiamo della Comunità, intesa come istituzione democratica aperta e in netto contrasto con una situazione di fatto che, se si protrae nel tempo, rischia di legittimare sul piano dei dirittifondamentali dell'uomo l'esistenza nella Comunità di cittadini di serie A e di altri di serie B. CDP ri democratici, presupposto fondamentale della legittimità comunitaria, dedica da tempo particolare attenzione a tali problemi. Ricordiamo in particolare l'imponente lavoro svolto dalle due Commissioni d'inchiesta istituite dal Parlamento europeo: una nel 1985 («Commissione d'inchiesta sulla recrudescenza del fascismo e del razzismo in Europa») e l'altra nel 1990 («Commissione d'inchiesta sul razzismo e la xenofobiap). Purtroppo, come vedremo, a molte raccomandazioni proposte nelle conclusioni delle due Commissioni d'inchiesta non è stato dato seguito. Ciononostante il Parlamento europeo ha continuato ad attirare l'attenzione delle istanze comunitarie e nazionali su tale tema mediante interrogazioni orali e scritte e ha adottato numerose risoluzioni in cui ha condannato in modo inequivocabile ogni atto di violenza raszista. Nella presente relazione ci proponiamo di fare un bilancio della situazione a partire dalla fine della seconda Commissione d'inchiesta sino ad oggi, di verificare in quale misura i governi degli Stati membri hanno tradotto in concreto gli impegni presi per lottare contro il razzismo e la xenofobia nonché le azioni da promuovere a livello comunitario alla luce degli ultimi avvenimenti. Analisi L'esplosione dell'intolleranza razziale nei confronti di cittadini extracomunitari, gli atti vandalici nei campi simboli dell'Olocausto hanno trovato nel corso del '92 una particolare intensità. Infatti nella sola Germania si sono registrati circa 2100 attentati provocando 17 vittime, basti ricordare: ripetuti incidenti a Rostock da parte di bande legate all'estremismo di destra contro i centri di accoglienza degli asylanten (Zast), gli atti scandalosi perpetrati nel campo di concentramento di Ravensbruck. il tragico attentato di Amburgo dove hanno perso la vita tre bambine turche. Ma la Germania non è l'unico Stato coinvolto. La profanazione di cimiteri ebraici in Francia, le provocazioni contro gli ebrei della Comunità romana in Italia, gli innumerevoli episodi di intolleranza razzista e xenofoba in Francia, Italia, Belgio, Spagna che hanno provocato la perdita di alcune vite umane, dimostrano la pericolosità raggiunta. Evidenziano una sottovalutazione da parte delle Autorità preposte alla difesa dell'ordine pubblico e della sicurezza di tutti i cittadini nel prevenire e reprimere con misure efficaci l'azione di questi gruppi violenti legati all'estremismo di destra. Testimoniano un più generale malessere che coinvolge settori non Parlamentare europeo. Relazione presentata al Parlamento Europeo ed approvata il 21.4.93. COMUNI D'EUROPA trascurabili dell'opinione pubblica e soprattutto d i giovani. È in questa situazione d i confusione culturale e d i malessere sociale che si inserisce l'azione dei partiti tradizionali dell'estrema destra e d i nuovi movimenti: skinheads, naziskin e d i altre formazioni utilizzando i temi relativi all'immigrazione o al diritto d'asilo. A fronte di questa preoccupante situazione, si devono registrare positivamente le numerose manifestazioni contro il razzismo e la xenofobia che si sono svolte nell'ultima parte del 1992 in diverse città europee e che hanno visto una grande partecipazione di cittadini. Assistiamo spesso alla somma di fenomeni di esclusione che sfocia nella ricerca, già conosciuta dalla storia, del capro-espiatorio. L'inserimento d i individui in una società moderna sempre più complessa (evoluzione molto rapida delle tecniche, perdita dei punti di riferimento tradizionali e delle influenze dottrinali) diventa molto difficile. I1 ricorso al passato come strumento per affermare la propria identità, diventa un rimedio all'impossibilità d'inserirsi senza difficoltà nel terzo millenario. La violenza corrisponde allora al mod o di esprimere un profondo smarrimento corrispondente al fallimento di un certo numero di strutture sociali. La disoccupazione che colpisce particolarmente i giovani, e in modo più generale la gravità della situazione economica anche se non giustificano la recrudescenza del razzismo, della xenofobia e dell'antisemitismo, vengono strumentalizzati dall'estremismo di destra. L'urbanizzazione spesso anarchica e il degrado delle condizioni di vita nei grandi centri favorisce sicuramente l'estendersi della criminalità e diffonde un sentimento d'insicurezza. È necessario insistere sul tema dell'insicurezza che è risentita sempre di più dai cittadini, anche quando non sono le vittime o i bersagli della delinquenza. La recrudescenza d i questi fenomeni di intolleranza colpisce particolarmente regioni che hanno visto l'avvento della democrazia nei paesi dell'Est. Oltre ai nuovi Lander della Repubblica federale di Germania, vediamo, per esempio, che nel novembre 1992 mentre l'opinione ungherese si preoccupava dell'aumento d i un clima d i intolleranza, il tribunale di Budapest, ha condannato 48 skinheads accusati di aver aggredito degli zingari e degli stranieri. La globalizzazione dei fenomeni economici e sociali, che ignorano la realtà delle frontiere fisiche, richiama l'emergenza di una società multietnica. L'Europa comunitaria deve dunque evolvere in un clima di tolleranza e d i comprensione reciproca. Lo sviluppo d i una società multiculturale europea non nega per niente la storia e la realtà delle nazioni europee. Richiama ad una applicazione più rigorosa d i legislazioni che reprimano la violenza e tutte le sue articolazioni. Gli Stati membri dovranno impegnarsi in una riflessione sui modi d i accesso alla nazionalità. La costruzione di una cittadinanza europea.deve, al riguardo, non essere compresa solo come la coesistenza o la somma d i nazionalità già esistenti. Si deve evitare che in tale contesto si assista all'esclusione di popolazioni fragili in nome di un concetto discriminatorio dell'attribuzione dei diritti. L'origine o l'appartenenza nazionale non possono più, in avvenire, creare una distinzione rispetto alla protezione giuridica concessa agli uni ed agli altri. Definizioni Razzismo Si ritiene che la definizione del razzismo fornitaci nel rapporto della .prima Commissione di inchiesta sia tuttora valida e anche in questa occasione facciamo nostro il giudizio espresso dalla Conferenza generale dell'UNESCO del 27.11.1978 nella dichiarazione su «Razza e pregiudizio razziale» dove si sostiene: «Ogni teoria che asserisca la superiorità o l'inferiorità intrinseca di un gruppo razziale o etnico conferendo così agli uni il diritto di dominare e d i eliminare gli altri ritenuti inferiori, ovvero che fondi i propri giudizi d i valore su una differenza razziale, è priva di ogni fondamento scientifico e contraria ai principi morali ed etnici dell'umanità». Sono pertanto d a condannare sul piano morale ogni atto d i violenza e di intollerenza razzista contro cittadini diversi per razza, nazionalità o religione. Va inoltre sottolineata la insidiosità e pericolosità di tesi che si rifanno al «revisionismo storico» secondo cui l'Olocausto non sarebbe mai esistito, facendo leva sull'affievolirsi della memoria storica tra le diverse generazioni anche per la progressiva scomparsa dei testimoni di quella immane tragedia. Xenofobia La xenofobia che, in linea generale, può definirsi come la paura irrazionale nei confronti dello straniero, merita una particolare riflessione, soprattutto per quanto riguarda le cause che la generano. Ciò si rende necessario per il diffondersi di atteggiamenti xenofobi nelle popolazioni della Comunità come si rileva d a diversi indicatori d'opinione e comporta un approfondimento delle cause che li determinano e che si possono riassumere in un senso diffuso di insicurezza e una psicosi d i paura dell'individuo che lo inducono ad evitare e a respingere tutto ciò che è straniero o semplicemente «diverso», tutto ciò che può essere configurato come una minaccia. Lo spettro della disoccupazione, l'aggravamento dei problemi sociali, il persistere delle ingiustizie, la miseria, l'ignoranza e, in generale, la mancanza di certezze spingono l'individuo alla diffidenza nei confronti dell'altro. Tutti questi motivi costituiscono un terreno fertilissimo per il proliferare del seme della xenofobia e del pregiudizio razzista che può essere demagogicamente sfruttato dai gruppi dell'estremismo di destra che si prefiggono un nuovo ordine ispirato a modelli antidemocratici e totalitari. Per combattere efficacemente la recrudescenza del razzismo e della xenofobia si deve perciò agire con maggiore determinazione sulle cause che originano tali fenomeni, dissipando a livello individuale e collettivo il senso di insicurezza, di precarietà e d i mancanza d i protezione derivante da una società confusa, chiusa e impreparata alle nuove sfide che le si presentano in questo momento storico. Non possiamo pensare di risolvere i problemi eludendoli o demonizzandoli, ma rispondendo positivamente alle spinte che in termini contradditori agiscono nella società. Occorre perciò mettere in cantiere, da parte delle istituzioni comunitarie e degli Stati membri, politiche coerenti e coordinate che preparino l'individuo alla realtà che lo circond a ridandogli la fiducia e la sicurezza. Solo in tal modo sarà possibile evitare la crescita di sentimenti di intolleranza che possono sfociare a livello collettivo in forme violente di sovversivismo antidemocratico. Estremismo di destra I1 relatore ritiene che siano tuttora valide le argomentazioni utilizzate per definire la COMUNI D'EUROPA GIUGNO 1993 nozione di «fascismo» contenute nella relazione Evrigenis, soprattutto nella parte conclusiva dove il fascismo veniva definito come: «un atteggiamento nazionalista sostanzialmente ostile ai principi della democrazia rappresentativa, del primato del diritto e dei diritti e delle libertà fondamentali, nonchè una esaltazione irrazionale di una comunità nei confronti della quale vengono operate esclusioni e discriminazioni sistematiche. Tale atteggiamento si manifesta sul piano delle idee, del discorso, dell'azione e degli obiettivi». Le novità che si possono cogliere anche alla luce delle azioni di violenza registratesi con particolare virulenza nel corso del 1992, evidenziano l'espansione di movimenti o gruppi di estrema destra che non necessariamente si richiamano alllideologia fascista con un preciso riferimento storico politico ai regimi formatisi negli anni '20-'30 in Europa. Questi movimenti o gruppi organizzati si connotano oltre che per la pratica violenta del loro agire, per una forte caratterizzazione «antisistema» consistente nel rigetto violento della democrazia, delle sue forme politiche ed istituzionali di rappresentanza e delle sue regole di funzionamento. I1 fatto che si tratti di gruppi estremisti di recente formazione, con un non alto numero di aderenti e che utilizzano sigle il più delle -- Berlino, maggio 1933: il rogo dei libri alla Staatsoper stinzione dei partiti tradizionali di estrema destra che evidenziano riferimenti ideologico-simbolici del fascismo e del nazismo da quelli che manifestano soprattutto una attitudine antisistemica. Vanno inoltre meglio approfonditi i programmi e i comportamenti pratici al fine della loro collocazione politica, dei nuovi movimenti separatisti o di identificazione nazionalista o etnica. Applicazione delle raccomandazioni del Parlamento Europeo volte quasi sconosciute non fa venir meno la loro pericolosità politica. Si deve constatare che in molti casi tali gruppi possono contare sia su una adesione di settori non trascurabili di opinione pubblica soprattutto nell'area del disagio giovanile, sia su atteggiamenti che giustificano le loro azioni violente soprattutto contro i cittadini extracomunitari. Né vanno sottovalutati i loro collegamenti organizzativi che li porta ad essere non un movimento «spontaneo», ma gruppi sempre più «strutturati» sul piano organizzativo. Nell'identificare e definire i partiti e i gruppi che agiscono nell'ambito dell'estremismo si rende sempre più necessaria una diGIUGNO 1993 C i consta che parecchie raccomandazioni non hanno avuto seguito. Il Parlamento europeo si è pertanto pronunciato numerose volte sulla lotta contro il razzismo e la xenofobia. L'allegato 1 riprende le principali risoluzioni già adottate e, a sostegno del testo votato il 30 ottobre 1992, le raccomandazioni essenziali indirizzate al Consiglio, alla Commissione e agli Stati membri. Ne ricorderemo qui di seguito alcune. La Comunità non ha sempre aderito ai testi fondamentali relativi ai diritti dell'uomo (Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali; Convenzione delle Nazioni Unite sulla soppressione di tutte le forme d i discriminazione razziale). I1 Parlamento europeo è sempre in attesa di una raccomandazione della Commissione al Consiglio sul ruolo che l'insegnamento può svolgere a favore della prevenzione e della repressione del razzismo e della xenofobia. Traendo conoscenza dalla tragedia della seconda guerra mondiale e dall'aumento dei pericoli degli anni '30, l'impresa di costruzione europea si basa innanzitutto sul perseguimento della pace ed il rispetto dei principi democratici. I n quest'ottica, la lotta contro il razzismo e la xenofobia dev'essere imperniata, conformemente alle raccomandazioni delle precedenti relazioni, sulla prevenzione degli atti violenti che ad essi si ispirano, sulla repressione dei colpevoli e la protezione delle vittime. La Commissione ha elaborato un documento di lavoro sulle legislazioni nei vari Stati membri in materia di lotta contro il razzismo, la xenofobia e l'antisemitismo. Dobbiamo riaffermare in merito, che l'adesione alla Comunità dovrebbe essere condizionata dall'adozione e dal rispetto di tali legislazioni. C Difesa dei valori democratici nello spirito dei trattati Le istanze comunitarie ed in particolare il Parlamento europeo in quanto istituzione dotata di piena legittimità democratica hanno il precipuo dovere d i vigilare al pieno rispetto dei valori democratici e sono tenuti a combattere tutte le tendenze e i movimenti sovversivi suscettibili di rappresentare una minaccia per la democrazia, i suoi valori e per i diritti fondamentali dell'individuo. La Comunità infatti, nata come organizzazione economica, ha sin dall'inizio avuto l'obiettivo di diventare un'unione politica e questa sua vocazione fa sì che anche nei trattati originari - sia pure in forma non esplicita - ritroviamo riferimenti a taluni valori democratici e alla tutela dei diritti fondamentali. Questo deficit iniziale dei trattati è stato man mano in parte colmato. Nel preambolo dell'Atto unico leggiamo che gli Stati membri «decisi a promuovere insieme la democrazia basandosi sui diritti fondamentali sanciti dalle Costituzioni e dalle leggi degli Stati membri.. .D, «consapevoli della responsabilità che incombe all'Europa d i adoperarsi per parlare sempre più ad una sola voce e per agire con coesione e solidarietà al fine di difendere più efficacemente i suoi interessi comuni e la sua COMUNI D'EUROPA indipendenza, nonché di far valere i principi della democrazia e il rispetto del-diritto e dei diritti dell'uomo.. .». Inoltre ricordiamo che l'adesione alla democrazia rappresentativa è una condizione indispensabile per qualsiasi paese sia per candidarsi ad entrare nella Comunità che per rimanervi. Infatti nei Pareri della Commissione relativi alle domande di adesione - pareri che fanno parte integrante degli Atti di adesione - leggiamo: «considerando che i principi di democrazia pluralista e di rispetto dei diritti dell'uomo fanno parte del patrimonio comune dei popoli riuniti nelle Comunità europee e costituiscono pertanto elementi essenziali dell'appartenenza a dette Comunità...». Infine l'articolo F (p. l e 2) del Trattato di Maastricht recita: « l . L'Unione rispetta l'identità nazionale dei suoi Stati membri, i cui sistemi di governo si fondano sui principi democratici. 2. L'Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.. . e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri in quanto principi generali del diritto comunitario». In questo contesto ci sembra opportuno rilevare che il Trattato di Maastricht istituisce all'art. 8 la cittadinanza dell'unione. È evidente che il concetto di «cittadinanza europea» implica che accanto all'insieme dei diritti e doveri del cittadino verso il proprio ordinamento nazionale nascono una serie di diritti e doveri del cittadino verso l'ordinamento comunitario. Questi diritti e doveri non sono il semplice trasferimento dal piano nazionale a quello comunitario di uno «status» del cittadino. In realtà, la cittadinanza comunitaria si aggiunge a quella nazionale così come l'ordinamento comunitario cogente o di altro tipo si aggiunge agli ordinamenti e alle normative nazionali. Per quanto riguarda il tema oggetto della presente relazione, si tratta di porre in essere forme di «tutela comunitaria» per «questioni comuni» agli Stati membri che non trovano più adeguata protezione (efficacia) sul piano nazionale. Del resto l'esistenza di una linea di bilancio per la lotta contro il razzismo e la xenofobia dimostra che, di fatto, è già riconosciuta una reale competenza comunitaria in materia. In concreto, combattere ogni sorta di estremismo per difendere la democrazia e stimolare l'adozione di misure a livello comunitario per lottare contro il razzismo e la xenofobia, rientra oggi, a nostro avviso, in una corretta applicazione del principio di sussidiarietà inteso come necessaria e dinamica attuazione a livello comunitario di azioni complementari e aggiuntive a quelle degli Stati membri al fine di realizzare in modo più soddisfacente gli obiettivi enunciati dal Trattato, in particolare quelli previsti agli artt. 8A8E del Trattato di Maastricht. Questo orientamento rientra, a nostro avviso, anche nello spirito delle dichiarazioni su tale tema fatte 1'11-12 dicembre 1992 ad COMUNI D'EUROPA Edimburgo dal Consiglio europeo che, tra l'altro, ha chiaramente espresso viva preoccupazione «per l'intensificarsi di episodi di intolleranza in Europa» e si è dichiarato convinto che «allo scopo di combattere tale fenomeno debbano essere prese in tutta l'Europa misure vigorose ed efficaci tanto sul piano dell'educazione che su quello legislativo». Ciò ci trova pienamente concordi in quanto riteniamo che interventi nel campo dell'educazione, della formazione professionale e della cultura mediante programmi di sostegno, di incoraggiamento e di informazione, sono basilari nella lotta contro il razzismo e la xenofobia. La necessità di rafforzare la lotta contro il razzismo e la xenofobia è stata anche chiara- bile degli strumenti giuridici e dall'altro sul ruolo fondamentale dell'educazione e dell'informazione. Azioni sul piano giuridico e istituzionale Si ribadisce la necessità di una armonizzazione delle legislazioni da parte degli Stati membri che permetta di combattere più efficacemente il razzismo e I'estremismo politico antidemocratico, con l'adozione di norme più rigorose sul piano giudiziario e con provvedimenti più restrittivi nei confronti di gruppi e associazioni le cui finalità siano quelle dell'incitamento all'odio razziale, religioso o etnico. Insistere affinchè nell'azione più generale Germania, aprile 1933, prime violenze antisemite mente espressa in numerose dichiarazioni tra cui ricordiamo le dichiarazioni congiunte adottate dal Parlamento europeo, dal Consiglio e dalla Commissione nel 1977 e nel 1986 nonchè quella adottata dal Consiglio europeo di Maastricht . All'affermazione dei diritti fondamentali ha fortemente contribuito anche la giurisprudenza della Corte di Giustizia che, sin dal 1969, ha affermato che i diritti fondamentali rientrano nei principi generali del diritto comunitario di cui essa è garante. L'azione comunitaria di vigilanza della democrazia e dei diritti dell'uomo va esercitata dalla Comunità anche per quanto riguarda i rapporti che essa ha con i paesi terzi. Infatti ogni volta che la Comunità conclude accordi internazionali e svolge quindi UII ruolo che non è solo economico, deve tener conto di fenomeni e atti che, nei paesi terzi, possono configurare una lesione dei diritti fondamentali. Azioni Le politiche che sono descritte di seguito insistono, da un lato, sull'esplorazione possi- contro il razzismo e la xenofobia per alcuni aspetti specifici e compatibilmente con il principio della sussidiarietà, sia prevista una competenza comunitaria del problema. A tale proposito si dovrà prevedere un gruppo di lavoro ad hoc nell'ambito dei lavori preparatori per la revisione del Trattato di Maastricht prevista per il 1996. Data la persistenza e la dimensione europea del fenomeno è assolutamente necessario che un Commissario sia incaricato delle questioni attinenti la cittadinanza europea e specificamente agli «Affari razziali». La realizzazione degli obiettivi del Trattato di Roma e dell'Atto Unico (art. 8A), in conformità con la Convenzione d'applicazione degli accordi di Schengen, non deve dar adito a manifestazioni discriminatorie nei confronti dei «non nazionali». L'adozione con questo spirito, di uno «Statuto di residente» ci pare obbligatoria. Al fine di combattere più efficacemente la discriminazione razziale ed etnica anche in paesi esterni alla Comunità vanno previste delle clausole specifiche negli Accordi di cooperazione e soprattutto di associazione stipulati dalla Comunità con i paesi terzi. GIUGNO 1993 seconda Repubblica? Azioni sul piano educativo, sociale e informativo (segue do pug. L'inserimento nei programmi scolastici di corsi di educazione civica e storica di ispirazine europeista, elaborati dagli Stati membri e dalle regioni, permetterebbe di creare un primo spazio di lotta contro l'intolleranza. La Commissione potrebbe proporre un programma, nell'ambito del quale gli Stati membri offrirebbero alle istituzioni scolastiche e universitarie, la possibilità di aderire ad una campagna di lotta contro il pregiudizio razziale, la xenofobia e l'antisemitismo. Lottare contro il razzismo e la xenofobia non può e non dov'essere la prerogativa dei soli poteri pubblici comunitari o nazionali. I partners sociali (sindacati, imprese, associazioni) dovrebbero contribuire con iniziative appropriate all'integrazione dei soggetti a rischio vittime di atti di violenza o comunque ispirati da atteggiamenti razzisti o xenofobi. La formazione professionale è un vettore di comunicazione che può mettere l'accento sul ruolo che svolgono gli emigrati per quanto riguarda lo sviluppo della ricchezza nazionale, ciò troverebbe interlocutori particolarmente attenti soprattutto nei luoghi di lavoro dove sono presenti lavoratori emigrati. Favorire una riflessione sulla deontologia dell'informazione di fronte agli episodi di violenza politica e al diffondersi di fenomeni di razzismo. La libertà di espressione e la libertà della stampa, per le quali il Parlamento europeo ribadisce il suo particolare attaccamento, non possono svilupparsi senza sensi di responsabilità e senza condanna dei loro abusi. A questo proposito va ribadita l'importanza del ruolo che possono svolgere i mezzi di comunicazione nella diminuzione del pregiudizio razziale e nello sviluppo di rapporti umani più solidali. Svolgere un nuovo studio demoscopico attraverso Eurobarometro per un aggiornamento delle tendenze e sullo stato delle relazioni tra le diverse comunità, con particolare attenzione alle aree geografiche dove maggiormente si sono registrati fenomeni di risorgenza razzista e xenofoba. La presentazione annuale al Parlamento europeo da parte della Commissione di un insieme di programmi, azioni e imprese per la lotta contro il razzismo, xenofobia e antisemitismo deve diventare una scadenza obbligatoria. La predisposizione di una relazione annuale sullo stato delle spese, la realizzazione di programmi e l'evoluzione dei fenomeni dovrebbe essere assicurata dalla competente commissione per le libertà pubbliche e gli affari interni. Dichiarare il 1994 «Anno europeo della concordia tra le comunità», prevedendo l'organizzazione di conferenze e manifestazioni aventi per oggetto la lotta al razzismo e al pregiudizio razziale, alla xenofobia e all'antisemitismo e per la promozione di nuove forme di tolleranze e di solidarietà tra popoli ed etnie differenti. m GIUGNO 1993 2) te esemplari o innovative. In questo senso è quasi un luogo comune Gaspare Ambrosini e lo studio, in particolare della Costituzione austriaca (kelseniana) e di quella spagnola repubblicana; d'altra parte è altrettanto banale ricordare la circolazione presso di noi, in quel tempo, di «Les costitutions de l'Europe nouvelle~del MirkineGuetzevitch (più tardi edito in italiano e tradotto da Sergio Cotta, nelle edizioni di Comunità). Questa ispirazione - direi questa aspirazione fondamentale alla democrazia sovranazionale - rimane il dato di partenza vivo e vitale della Repubblica: che non impedisce di rilevare i difetti, anche gravi che si sono poi riscontrati nella Costituzione (ma una parte di responsabilità va addebitata a quelle incrostazioni e interpretazioni «discutibili» - dovute al mondo politico, che correva parallelo -, formanti la cosiddetta Costituzione materiale). Ebbene, uno degli aspetti negativi, ad avviso di parecchi, di intere correnti politiche e10 scientifiche e - per non nascondermi - mio, è il fallimento, nella pratica e nella teoria, del cosiddetto Stato regionale, intermedio tra l'unitario e il federale (è la definizione dello stesso Ambrosini). Se il potere dato alle Regioni è fittizio, il sistema non è affatto intermedio tra l'unitario e il federale; se si dà un largo, larghissimo potere alle Regioni senza gli altri accorgimenti federali, si ha un sistema anarchico, con scarsa soddisfazione della stessa autonomia territoriale: il sistema federale - lo Stato nazionale federale - dà ben altre garanzie ed è ben altrimenti razionale. Prendiamo la Federazione tedesca (Bonn): le Regioni-Stati federati (i Laender) confluiscono nel Bundesrat; si controllano e si equilibrano spontaneamente, in un ordinamento trasparente; si confrontano complessivamente col Bundestag, cioé con l'espressione democratica del potere centrale; la massima autonomia finanziaria di tutti gli Enti territoriali è compensata, ai fini della capacità per tutti di adempiere ai compiti di istituto, dal federalismo fiscale; infine (e a questo non molti riflettono) la maggioranza dei membri del Consiglio di Amministrazione della Bundesbank - la banca federale, che gestisce la moneta è designata dai Laender. Ma anche rimanendo allo Stato cosiddetto regionale, I'AICCRE ha costantemente criticato - dagli anni '50 - l'art. 11 7 e connessi della Costituzione, che ha attribuito alle Regioni alcune singole materie e non altre - impedendo una coerente programmazione economica, una coerente politica dell'occupazione, una simultanea pianificazione del territorio che abbia una incidenza reale -. Ma i difetti della Costituzione sono conosciuti da tempo e non c'è da meravigliarsene ora: un parlamentarismo che non si preoccupa della stabilità dei governi (ma che poi nella pratica non è stato néanche rispettato, con le crisi di governo extraparlamentari); un articolo 49, che conferisce poteri costituzionali ai partiti politici, ma che poi non li definisce e non li limita, riferendosi a un «metodo democratico» che non è chiaro di che genere sia e, soprattutto, se debba essere rispettato all'interno e10 all'esterno dei partiti stessi; eccetera. Se dunque per seconda Repubblica si intende una correzione anche radicale dei difetti, non ci scandaliz- ziamo: ma quel che ci interessa è che dell'avventu della Repubblica rimanga, anzi si sviluppi lo spirito europeo e federalista con cui è nata. Ipolitici e gli opinion makers, che affrontano il terreno delle riforme in Italia, si rendono conto di questo quadro irrinunciabile? Sembra invece che il provincialismo e le scorribande un po' casuali nelle esperienze di altri Paesi prevalgano, anche con atteggiamenti saccenti e di noia per questi «abusati e astratti vincoli ideali». Allora sarà bene che ci spieghiamo chiaramente, come abbiamo promesso, sul federalismo. L'obiettivo dell'unità europea non è un evento casuale ed eccezionale, verificatosi nel nostro continente per certe particolari contingenze. Certo, talune contingenze ne hanno determinato l'accentuazione o l'accelerazione: l'utilità di una conciliazione -finalmente - tra Francia e Germania, la coesione contro la minaccia dell'imperialismo sovietico, l'orgogliosa rivendicazione di un umanesimo che si opporrebbe all'iper-tecnologismo americano imperversante (ma attenzione a non cadere nelpeggior Heidegger o di ignorare, semplicemente, le pagine di Tocqueville o di B yce). .. Ma è da ciechi il non avvedersi che con gli aspetti sempre più terribili della guerra -fino all'atomica e, ora, alla chimica e alla biologica -, con la nascita, la crescita e la decadenza del colonialismo e la simultanea insorgenza del villaggio globale, con la sempre maggiore internazionalizzazione dell'economia, la bomba demografica, la scoperta dei limiti dello sviluppo, addirittura con un frequente distrarsi guardando «tecnicamente» agli altri pianeti e alle stelle, si è posto come impellente il problema dell'ordine mondiale. Si sono fatti in tal senso tentativi razionali e tentativi aberranti, si sono avute reazioni difensive da parte delle tradizioni particolari minacciate, degli integralismi religiosi, dei purismi linguistici, dell'orgoglio di bandiera, dunque il nazionalismo, e poi il razzismo, il micronazionalismo, la (pulizia etnica». Insomma l'umanità sta vivendo un processo di vita o di morte. e In questo frangente, a cominciare dalla fine del Settecento, e poi in tutto il secolo XIX, e ora più decisamente dopo le distruzioni di due conflitti mondiali, si è fatto avanti il federalismo, con due caratteristiche irrinunciabili: la c0ns.t~tazione dell'interdipendenza di tutti i popoli e dell'unità della casa, la Terra (col suo ecosistema), e la necessità di darsi alcune regole o leggi comuni e anche un comune centro decisionale (il governo mondiale e tutti i governi sovranazionali: la lentezza e I'incertezza del negoziato diplomatico e il tentativo di vivere nel precario dell'equilibrio hanno fatto il loro tempo); per contro il pericolo dell'omogeneizzazione fonosa del mondo, la perdita di ogni individualità di gruppo, di ogni valore storico, per dirla brutalmente quel «mondo nuovo» descritto con amaro umorismo dalla geniale favola di Aldous Huxley (1932). Il federalismo - l'unità nella diversità, l'autonomia e la solidarietà, il principio di sussidiarietà (adoperato in buona fede) è la soluzione razionale del terribile processo in corso. Si è presentato e si'presenta sotto diversi climi - di natura e politici -: l'unica alternativa definitiva è il disastro dell'umanità, l'anarchia planetaria armata. Le discussioni sulla seconda Repubblica (italiana) procedano pure: perchè no? Ma guai a di- menticare il quadro generale e a lasciarsi seduwe da un realismo cretino: «L'Europa e la sua unità? una prospettiva illanguidita. La democrazia sovranazionale? chiacchiere. Il federalismo? scherziamo?». Realizzare il federalismo, dal quartiere urbano e dal villaggio rurale al mondo intero, è, se va bene, la storia futura, prossima o meno prossima: ma noi dobbiamo giuocare consapevolmente h nostra piccola parte e renderci conto che non è vero che il reale è razionale, ma è vero che il razionale è reale. Scusate il rozzo bisticcio, che potrebbe costarmi l'insufficienza all'esame di filosofia con un hegeliano pignolo. Ma ormai è ben più di mezzo secolo che non dò questi esami - quelli del libretto universitario -, perchè me ne toccano di più difficili. U.S. I partiti europei (segue da pag. 2) battere scottanti contenuti attuali di politica europea, con soluzioni alternative, che prescindano da come gli stessi problemi si riflettono nelle singole angolature nazionali. I1 che non vuol dire che saranno impostazioni generiche, tutt'altro, ma che entro ciascun programma bianco, azzurro, verde, rosa, rosso - si rifletteranno tutte le esigenze del territorio e della gente, confluendo in sintesi, che sarebbero le stesse espresse da un esistente Governo europeo. Insomma c'è bisogno non di insignificante omogeneità, ma di Europa, cioè di programmi alternativi «per l'Europa» - dato per scontato che l'Europa, prima o poi, porti a risultati positivi, come tale, per tutti -. Ma subito? Ecco, il discorso fin qui fatto sembra portarci a un circolo vizioso (non c'è un buon Parlamento Europeo senza partiti europei, ma non emergono autentici partiti europei se non c'è un Parlamento Europeo a cui risponde un Esecutivo federale, e questo complesso non nasce se non ci sono partiti europei che conducano una coerente campagna elettorale europea, eccetera, eccetera): bisogna dunque rompere il circolo vizioso. Sono anni (almeno 29, dagli Stati Generali del CCRE a Roma, nel 1964) che noi sottolineiamo l'esigenza e la possibilità di un fronte democratico europeo. Sul terreno della democrazia federale, sovranazionale, si debbono ritrovare tutte le formazioni politiche e culturali, tutte le forze sociali, che non si ispirino al nazionalismo (macro e micro), al razzi- smo, alla «pulizia etnica», all'anarchia secessionista, potenzialmente armata, cioè vòlte a preparare la fine del mondo. I1 federalismo - che è fatto insieme di autonomia e di solidarietà e deve procedere all'insegna della tolleranza o, meglio, dell'intercultura, dell'ecumenismo, della comprensione umana - non ha alternative: in questo senso la piccola Europa, la grande Europa, il Mondo sono inseriti in un processo necessario per la ragione, anche se non di sicuro successo: può darsi che facciamo la fine dei dinosauri, ma per colpa nostra, non della Natura. Ma non è detto poi che di quale Europa federata si tratti sia fuori discussione: anzi, questo discorso è quanto mai aperto. I1 fronte democratico europeo nascerà, può nascere anzitutto da tutte quelle forze che «sono federaliste e non lo sanno». Più volte in questi decenni abbiamo predicato che il vecchio Movimento Europeo se ne faccia l'ostetrico, mentre all'unione europea dei fede-ralisti abbiamo raccomandato - con scarso successo, finora - di fornirgli i «quadri». I verdi, gli antirazzisti, i movimenti volontari umanitari, i fautori di una migliore qualità della vita, i fautori di una assai maggiore partecipazione popolare alle istituzioni, quindi i fautori di una urbanistica disegnata per gli uomini e non per la speculazione fondiaria, i credenti di tutte le religioni e i liberi pensatori che vogliamo restare liberi.. . Ma qualsiasi elenco è riduttivo: soprattutto non vogliamo demagogicamente escludere tutti i liberaldemocratici, i cristiano-sociali, i socialisti, che non si siano lasciati chiudere nelle gabbie nazionali delle loro belle idee, e così i sindacati che guardino più alla miseria e alla emarginazione che ai lavoratori privilegiati, gli imprenditori che abbiano una concezione democratica del mercato (questo è un discorso tutto da fare, magari con la collaborazione di Galbraith). Un embrione sperimentale del fronte democratico lo mostrammo a Roma, in Campidoglio, nel dicembre 1990, con la Convenzione europea per l'Unione democratica: esso dimostrò quanto potevano e possono fare sinergicamente le componenti della cosiddetta «forza federalista» (Movimento Europeo, UEF, CCRE, AEDE, ecc.), cioé quanto possono promuovere e coordinare nella società, solo che lavorino strettamente collegati e con una chiara strategia comune. Un fronte democratico comune, senza dubbio: ma poi con le elezioni europee - ecco il punto - la sua articolazione nelle diverse ipotesi di governo mensile dell'AICCRE Direttore responsabile: Umberto Serafini Condirettore: Giancarlo Piombino Redazione: Mario Marsah Direzione e redazione: Piazza di Trevi 86 - 00187 Roma Indir. telegrafico: Comuneuropa - Roma tel. 6840461-2-3-4-5, fax 6793275 Questo numero è stato finito di stampare il 28/7/1993 ISSN 0010-4973 Abbonamento annuo: per la Comunità europea, inclusa l'Italia L. 30.000 Estero L. 40.000; per Enti L. 150.000 Sostenitore L. 500.000 Benemerito L. 1.000.000 COMUNI D'EUROPA europeo. Avremo diverse opzioni sui contenuti, tutti a reale dimensione europea: da parte sua il fronte come tale appoggerà in generale candidati e poi parlamentari federalisti, taglierà le gambe - nei loro stessi collegi - agli altri. Bloccherà soprattutto i ritorni di fiamma delle burocrazie dei partiti nazionali. Come avvenne in piccolo per la Convenzione europea, del '90 - e lo sa chi ne portò avanti la preparazione -, così può essere in grande nella preparazione delle elezioni europee, un disegno siffatto sembrerà megalomane e astratto a molti opinion makers e troverà le mille ostilità: ma il successo può essere viceversa straordinario. Straordinario ma basato su una virtù che non si insegna: la fede nel successo e - prima di questo - nelle proprie idee. Ma i partiti europei non possono che nutrirsi di società europea: il resto è veramente fantasia. E il crescendo rossiniano si potrà constatare - cioè la grande accoglienza popolare - quando si parlerà di Federazione europea chiaramente; quando non si pretenderà di fare l'Europa di nascosto, senza che gli avversari se ne accorgano. I1 compromesso di Maastricht - figlio tipico di un7Europa concordata dai governi nazionali e «dosata» dai diplomatici - ha fatto calare 1'Eurobarometro e ha creato una strana alleanza fra i nazionalisti e i delusi da una Europa senza connotati ideali. Siatene sicuri: la grande maggioranza degli europei - una maggioranza silenziosa? - è per gli Stati Uniti d'Europa: quelli autentici, quelli seri, quelli giusti. Quelli, forse soprattutto, che con una Europa federata si rivolgono al Mondo intero, per organizzare più giustizia, più libertà, più pace, più rispetto di questo «pover'uomo». Abbonatevi a EuropaRegioni l'agenzia settimanale che da 14 anni dice tutto l'occorrente sull'integrazione europea agli amministratori locali e regionali Piazza di Trevi, 86 - 00187 Roma Tel. 6840461 - fax 6793275 dal 15 gennaio 1993 viene inviata, sperimentalmente, gratis a tutti i Soci, nella convinzione che gli Enti medi e grandi appoggeranno questo grande impegno finanziario dell'AICCRE abbonandosi Una copia L. 3.000 (arretrata L. 5.000) I versamenti devono essere effettuati: 1) sul c/c bancario n. 300.008 intestato: AICCRE c/o Istituto bancario San Paolo di Torino, sede a Roma, Via della Stamperia, 64 - 00187 Roma, specificando la causale del versamento; 2) su1c.c.p. n. 38276002 intestatoa "Comunid'Europa", piazza diTrevi, 86-00187 Roma; 3) a mezzo assegno circolare - non trasferibile - intestato a: AICCRE, specificando la causale del versamento. Aut. Trib. di Roma n. 4696 dell'll-6-1955. Tip. Della Valle F. 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