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ANNO XLI N. 6
GIUGNO 1993
MENSILE DELL'AICCRE
ASSOCIAZIONE UNITARIA DI COMUNI PROVINCE REGIONI
dal quartiere alla regione per una Comunità europea federale
I partiti europei
Etiopia 1936, gli effetti dei gas italiani sui resistenti locali. Buchenwald 1945, la prova provata
della follia antisemita. Oggi, in Europa e nel mondo, a cosa può portare la colpevole rimozione
di un terribile ricordo?
Anzitutto è bene chiarire, di questi tempi,
cosa intendiamo per partito. Non ci interessa
il nome o la tradizionale caratteristica di determinati partiti storici: ma dobbiamo chiarire che per partiti intendiamo formazioni politiche vòlte anzitutto a formulare teorie politiche e ipotesi operative nell'interesse generale
- commune bonurn - e non in funzione di
interessi settoriali della società e, dunque,
parziali. Vòite, tutto sommato, a proparre all'elettorato di istituzioni democratiche programmi di governo alternativi a quelli di altri
partiti. Non aliene dal guardare, al di là del
breve o medio termine, ad una strategia, che
proponga obiettivi a lungo termine alla cosa
pubblica. Le formazioni politiche settoriali o
corporative non sono capaci spontaneamente
..
. .
di mediare i loro interessi contrastanti - la
loro conflittualità potenziale - per una sintesi di governo, nell'interesse generale, e si
deve quindi, se trascinano una parte dell'elettorato, ricorrere poi a un deus ex machina, che
in generale è un partito unico, totalitario (etico, come è stato detto spiritosamente), che fa
capo a un dittatore o a un «gruppo guida»: di
qui la nostra avversione al corporativismo.
Ciò premesso, dal momento che ci avviciniamo alle elezioni europee (primavera 1774),
veniamo al rapporto tra il Parlamento Europeo da eleggere e le forze politiche, che mobiliteranno, nelle nostre Nazioni o direttamente in tutta la Comunità, l'elettorato. Si è fin
qui notato, nelle precedenti tornate elettorali
europee, il ruolo di freno esercitato per lo più
dai partiti nazionali: belle parole a parte, le
candidature hanno sempre lasciato a desiderare, candidature d i parcheggio, candidature
di consolazione, candidature rappresentative
di interessi particolari - nazionali o locali o
settoriali -. Poi, una volta eletti, i parlamentari europei o sono stati ignorati dai mandanti o al contrario beccati ogni qualvolta hanno
difeso interessi fuori del controllo dei partiti
nazionali. I n ogni modo i parlamentari troppo bravi, troppo «europei» e perciò fuori controllo, non sono stati altro che raramente ripresentati alle successive elezioni europee.
sta situazione proveniente da varie parti talvolta perfino dall'interno dei partiti colpevoli, ove convinti europeisti e federalisti ci
sono, anche se si tende ad emarginarli - si
è cominciato a inventare formazioni politiche
«europee», consorzi dei partiti nazionali di
convinzioni analoghe, se non addirittura di
denominazione comune. Veri partiti europei?
Intendiamoci, non vogliamo fare di ogni erba
un fascio; in alcune di queste formazioni, che
hanno spesso per interlocutori i rispettivi
gruppi politici - sovranazionali - del Parlamento Europeo, le buone intenzioni non
mancano: ma le componenti nazionali rimangono, tutto sommato, sovrane e le unanimità
o quanto meno le maggioranze significative si
ottengono all'interno di queste formazioni
«europee» tenendo conto, necessariamente,
delle componenti più lontane dalle prospettive sovranazionali. Insomma queste formazioni europee rimangono una somma di componenti nazionali, non rispondono quasi mai direttamente a interessi e a forze sociali transnazionali. I1 problema è dunque: esistono
queste forze transnazionali? Se si riferissero
solamente ad esse quale sarebbe l'ubi consistam di questi partiti europei? .
Siamo sempre lì: autentici partiti europei
dovranno essere, appunto, partiti, così come
abbiamo definito più sopra un partito (politico). E il Parlamento Europeo non ha di fronte un Governo europeo: in questo senso dei
partiti europei perdono buona parte del loro
significato e del loro mordente, rimangono
organi di proposte platoniche o - in caso che
il Parlamento Europeo ottenga larga codecisione legislativa - fonte (phziale) di leggi
avulse da un disegno politico coerente. Per
avere allora buoni partiti europei, che producano un buon Parlamento Europeo, occorre
non fermarsi al Parlamento Europeo, ma prevedere un modo - non intergovernativo
(cioè alla mercè dei governi nazionali) - di
governare l'Europa: e quindi provvisoriamente comportarsi come se un Governo europeo ci fosse e, per restare coi piedi per terra, nella previsione che realmente, a breve, ci
sarà. Quindi, da una parte l'intera prossima
campagna elettorale europea dovrà esprimere, con forza e malgrado tutto, un mandato
costituente al Parlamento Europeo - in vista di una Costituzione federale, con Governo che gestisca, oltre la macroeconomia e le
fondamentali istanze sociali, politica estera e
di sicurezza comuni -; ma dail'altro dovrà di(segue a pag. 16)
som
ma
rio
La seconda Repubblica?
Sentir parlare di seconda Repubblica - italiana, beninteso - talvolta mi lascia perplesso, tulaltra mi irrita decisamente. Certo, non per un
particolare attaccamento alla prima Repubblica, di cui sono stato, per molti aspetti, un critico
almeno a partire dal '48, se non subito, fin dalla
Costituente e prima: non a caso sono stato un
militante - e mi è caro ricordarlo - nel Movimento Comunità e un critico (già nel '52-'53)
della partitocrazia.
Purtroppo molti degli antifascisti - o postfascisti - emergenti a metà degli anni quaranta
li ho sentiti spesso assai fuori strada. Salvo molti
vecchi - i «restaurati»-, i resistenti di dopo
1'8 settembre li ho guardati spesso con preoccupazione. Ormai si capiva - anche prima del 9
settembre - chi era il vincitore del Il conflitto
mondiale: si trattava di aderire ad uno dei modelli trionfanti di probabile importazione, l'unglosassone (con le molte varianti) o il sovietico
- magari rifacendosi a qualcuno dei santoni
antifascisti, coraggiosi e stagionati, che ne sapevano «di più» (e c'erano anche coloro che erano
vissuti a lungo esuli in Francia: e questo creava
qualche complicazione). Orbene, valeva la pena
- si era giovani - impegnarsi e rischiare, rischiare forte: e non vorrei con questo creare una
risewa su quella pagina, che è una pagina positiva ed esaltante, della nostra storia italiana esaltante (anche se talvolta confusa) e tragica,
come tutto sommato si ricava dalla riflessione
del mio amico Claudio Pavone -: è la Resistenza, quella di Luciano Bolis, ma anche di
tanti altri che non pensavano come lui; ed è la
stagione altresì dei concittadini schierati dall'altra parte, i cui problemi e le cui sofferenze mi
sforzo tuttora di capire con spirito di giustizia
(direi, se mi è consentita questa orgogliosa affermazione, da storico). Ma rimane ilfatto che i resistenti di venticinque trent'anni - i miei coetanei - erano stati generalmente educati sotto
il fascismo, erano stati fascisti spesso frondisti
(ma fascisti convinti: e non gliene faccio davvero una colpa), se ne erano liberati con le rapide
e spesso supetjficiali letture che sappiamo (e affidandosi non di rado a maestri ambigui). Faccio
questo discorso, nel momento in cul si parla di
Il Repubblica, perché si constata nella crisi, prima che politica, morale e culturale dell'ltalia, il
revival inaspettato di scrittori parafascisti, prefascisti anticipatori del fascismo, filonazisti puri
(lasciamo la polemica su Heidegger, ma basta
pensare a Spengler). E Santi Romano, la bestia
nera della mia gioventù?
La Repubblica - né prima né2econda: la
Repubblica t w t court -, quellfche, malgrado questa mia riflessione che sqhà sicuramente
fraintesa, è stata grazie a Dio $n gran passo nel
senso dellautentico progresso mano, si è rifattu - e con essa lo spirito e no gli errori, della
nostra Costituzione - alla Resis nza europea,
e nell'alveo di quest'ultima va visto - con un
passo indietro - quel Risorgimento italiano così spesso rievocato e che - malgrado la lettura
di Giovanni Gentile e di Gioacchino Volpe era stato a suo tempo il rientro dell'ltalia in Europa - non unlEuropa qualsiasi, ma un'Europa che -fino al tradimento da parte del nazionalismo, in parte prosperato e teorizzato (carifilosofi neo-hegeliani) con l'incitamento del Romanticismo reazionario - era quella dell'llluminismo, era quella che aveva guardato alla Rivoluzione americana, alla Rivoluzione francese
dei diritti dell'uomo, a Kant, Lessing, Herder,
Schiller, Goethe, e naturalmente - prima uncora - a Locke e ai liberali inglesi.
Col legame italiano alla Resistenza europea,
si spiega il senso preciso della rinascita democratica della Nazione italiana - un momento, un
episodio del processo, contrastato, del federalismo nel mondo, su cui ci soffermeremo concludendo -: per ora contentiamoci di sostenere
che il sentimento nazionale italiano vive anche,
checchè ne pensino alcuni intellettuali snob, nel
cuore di tantihmili cittadini di tutte le Regioni
(ma questa è un'altra faccia, da non trascurare,
del problema). Il rientro dell'ltalia in Europa,
durante la preparazione intellettuale del Risorgimento italiano, passava per il Nord e per il
Sud, per Milano e per Napoli. Vico e Giannone,
Antonio Genovesi, l'abate Galiani, Pietro Verri, Cesare Beccaria, I1 Caffè e Carli, Gaetano
Filangeri, Mario Pagano. La Resistenza europea
(e l'italiana in essa) nella sua ispirazione comune si rifaceva ai valori, a cui si erano ispirati i
precursori del Risorgimento italiano - che poi
aveva avuto per protagonisti uomini autenticamente europei e cosmopoliti, Mazzini (e con lui
pensiamo anche al giansenismo), Cavour, Cattaneo, Garibaldi, Pisacane -.
La nostra Costituzione - e quindi la nascita
del nuovo patto nazionale - ha voluto fare i
conti con l'Europa e con il federalismo: questo
non soltanto per l'articolo l l , ma per l'impostazione della sua struttura in generale, comparata
con altre Costituzioni nazionali europee, ritenu-
i
(segue a pag. I T)
1 - I partiti europei
2 - La seconda Repubblica?, di U.S.
3 - L'Europa dei Comuni e delle Regioni, di Romano Viola
5 - Parola d'ordine: volare basso, di Raimond Vautier
7 - Verde locale, sovranazionale, cosmopolitico, di Alberto Majocchi
9 - Il federalismo e la Jugoslavia
11 - Una Comunità aperta contro il razzismo, di Cesare De Piccoli
GIUGNO 1993
intervista al Presidente del Consiglio provinciale di Bolzano
L'Europa dei Comuni e delle Regioni
di Romano Viola
Il mondo si trova di fronte a un dilemma: o
si instaura un processo per cui, rispettando
tutte le particolarità, si è disposti, pur rimanendo diversi, a vivere sotto una legge comune (e questo è il succo del federalismo), oppure avremo la rinascita del vecchio nazionalismo o addirittura del micronazionalismo
razzista delle etnie. Cosa ha da dire su questo, con la sua esperienza, la Provincia di
Bolzano?
In provincia di Bolzano, con lo Statuto di
autonomia, si è realizzata quella che a buon
diritto.può essere definita una vera e propria
«quadratura del cerchio»: in altri termini si è
riusciti a garantire, insieme, la difesa dell'identità linguistico-culturale e il diritto all'autogoverno delle minoranze di lingua tedesca
e latina, e l'unità dello Stato nazionale italiano, senza quindi i traumi del separatismo e
dello spostamento dei confini.
della
. I1 miglior
. . riconoscimento
.
.
. . validità della soluzione altoatesina è, del resto, venuto
dallo stesso Presidente della Repubblica austriaco, quando, in occasione della visita del
Presidente Scalfaro dello scorso anno a Vienna, ha definito lo Statuto di autonomia: «Un
modello esemplare per l'Europa e per il mondo intero*.
Credo che la validità di questa soluzione
autonomista e non secessionista del problema
dei diritti delle minoranze etniche emerga
nella sua piena luce particolarmente in questi
ultimi anni, di fronte alla tragedia dei popoli
della ex Iugoslavia.
Anche l'attuale dibattito sul neo-regionalismo e sul federalismo che caratterizza il nostro Paese, dovrebbe tenere maggiormente
conto, a mio avviso, dell'esperienza culturale
Il palazzo della Provincia autonoma di Bolzano
e politica che ha portato al nostro Statuto,
che può essere a buon titolo considerato una
forma di federalismo ante litteram.
Non è del resto un caso che la F.U.E.V.
(Foderalistische Union der Europaischen
Volksgruppen), che riiinisce oltre 50 gruppi
etnici europei, abbia approvato una «Convenzione sui diritti fondamentali dei gruppi
etnici in Europa», che viene significativamente chiamata «Progetto Rolzano~,perché
è stata elaborata da studiosi altoatesini, proprio alla luce della complessa esperienza di
questa provincia.
Alla luce del suo ragionamento quello della
Lega è dunque un finto federalismo: perché
c'è una maniera caazionalista~o razzista di
vivere fa propria etnia, il proprio regionalismo, e una maniera civile, umana, federalista
di viverla. Vuol chiarire meglio la sua opinione?
Le posizioni della Lega riguardo al federalismo sono state caratterizzate da una rapida
e caotica evoluzione. Dal vero e proprio separatismo da «Repubblica Cisalpina* dei primi
tempi, basato su di un antimeridionalismo
elementare, si è passati rapidamente all'idea
delle tre Repubbliche, poi a quella delle Macroregioni.
Non c'è dubbio tuttavia, che il federalismo
leghista, anche nelle sue ultime e più presentabili versioni, non può non risentire dell'elementare pulsione separatistico-difensiva da
cui è partito.
L'esperienza di federalismo storico che noi
conosciamo, da quello degli Stati Uniti a
quello della R.F.T., è di ben altro stampo ed
ha dimostrato di saper contemperare la valorizzazione della diversità e del pluralismo delle autonomie locali con quello dell'unità e solidarietà nazionali.
Del resto, è solo con un progetto federalista di questo tipo e con le riforme costituzionali ad esso connesse, a cominciare dalla Camera delle Regioni, che si può rispondere efficacemente alla concezione di federalismo ristretto tipico della Lega.
Se invece la risposta sarà intessuta unicamente di astratti richiami all'unità nazionale,
il leghismo, lungi dall'essere contrastato, sarà
ulteriormente alimentato e legittimato.
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COMUNI D'EUROPA
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Nella RFT è esploso nei mesi scorsi un
conflitto tra Lander e Comuni, sulla composizione e la rappresentanza nel Comitato delle
Regioni e delle Comunità locali europee, introdotto dal Trattato di Maastricht.
Il Consiglio dei Comuni e delle Regioni
d'Europa, e la sua Sezione italiana AICCRE,
pensa da parte sua a Regioni che siano sì alla
testa del movimento autonomista, ma che
non alimentino un rapporto conflittuale con
le autonomie locali, che operino una sintesi di
sviluppo economico e pianificazione del territorio, che difendano i singoli territori dalla
burocrazia centrale e che rispettino col più
assoluto rigore il principio di sussidiarietà.
Un rafforzamentoquindi del sistema unitario delle autonomie territoriali, evitando una
lotta di logoramento tra i diversi livelli istituzionali, che andrebbe ad esclusivo vantaggio
dello Stato centralizzato e della burocratizzazione della Comunità europea. Lei cosa ne
pensa?
Non può esservi dubbio che l'«Europa delle Regioni» non potrà mai vedere la luce se
non sarà anche l'«Europa dei Comuni». Ogni
conflittualità fra questi due liveili di autonomia locale non soltanto è chiaramente inso,stenibile sul piano teorico, ma non avrebbe
altro effetto che impedire quel consenso
spontaneo di base delle popolazioni senza il
quale non vi possono essere possibilità concrete per un'effettiva realizzazione dell'unità
europea.
Toccando in parte un argomento di scottante attualità, la crisi etica che sta vivendo la
politica italiana, potremmo dire che, se il Risorgimento italiano fu il rientro dell'Italia
nell'Europa, un 'Europa che coe'ncia va allora a battersi per i diritti dell'uomo e per la
fratellanza tra i popoli, andrebbe oggi costruito un nuovo ethos, per un'Europa possibile
ma non qualsiasi, accettabile da una opinione
I1 palazzo della Regione Trentino-Alto Adige
COMUNI D'EUROPA
pubblica purtroppo amareggiata e sfiduciata.
È d'accordo con questo auspicio?
gioni, non significa volere le Regioni senza
Europa.
La costruzione di un'etica europea, vale a
dire di un sistema di valori che siano insieme
sovranazionali e antilocalistici, è questione di
lungo periodo. Ad essa non vi sono, tuttativa,
alternative possibili.
Se crediamo, con un grande spirito europeo come Thomas Mann, che la politica sia la
forma più alta di umanesimo, la costruzione
dell'unità federalistica europea diviene oggi
assolutamente centrale.
Vorrei però sottolineare che questo ideale
non ha soltanto da fronteggiare il nemico rappresentato dai centralismi statali e dal burocratismo della C.E.E. Non meno insidioso è
il rischio del localismo soddisfatto ed egoistico. In altri termini, volere l'Europa delle Re-
Per concludere, vuole illustrare ai nostri
lettori l'azione della Provincia ed i propositi
del Consiglioper la promozione dell'unità europea?
La sensibilità per la promozione dell'unità
europea non può essere evidentemente estranea proprio al Consiglio della Provincia autonoma di Bolzano.
Di recente è partita da questo Consiglio
un'iniziativa dalle straordinarie potenzialità
europeistiche. Mi riferisco all'organizzazione
a Merano, i1 2 1 maggio 1991, della prima seduta congiunta dei Consigli delle Province
autonome di Bolzano e Trento con le Diete
regionali di Tirolo e Vorarlberg (le quattro
province dell'antico Tirolo storico). Questa
iniziativa che ha scadenza biennale si è ripetuta il giugno 1993 a Innsbruck.
È la prima volta nella storia d'Europa che
si incontrano quattro Assemblee legislative
appartenenti a due Nazioni diverse. Nella
riunione di Innsbruck sono state approvate
all'unanimità delle importanti mozioni che
prevedono, fra l'altro, il coordinamento delle
strutture di ricerca universitarie, lo scambio
di studenti ed insegnanti, l'avvio del coordinamento delle quattro Camere di Commercio, l'elaborazione di progetti comuni per i
trasporti e la difesa ecologica, lo studio di un
modello di Statuto interregionale ecc..
Se i quattro esecutivi saranno all'altezza di
questi compiti, non c'è dubbio che questo tipo di intensificazione dei rapporti trasfrontalieri volti alla costruzione di una nuova possibile realtà interregionale, può essere un contributo estremamente prezioso per tracciare
una via concreta e partecipata per la costruzione dell'Europa delle Regioni, nonché un
obiettivo rafforzamento della tematica federalista non soltanto in Italia ma anche in Austria.
(intervista a cura di Mario MarsalaJ
GIUGNO 199:
il Vertice di Copenaghen
Parola d'ordine: volare basso
di Raimond Vautier
A Copenaghen, con i1 Vertice dei capi di Stato e di Governo, è calato il sipario sul semestre di presidenza danese. Come era facilmente preventivabile, la rappresentazione offerta in questi mesi non è stata esaltante.
Tuttavia, nessuno poteva prevedere che, malgrado l'esistenza di problemi molto scottanti,
si sarebbe registrata la completa assenza di
appuntamenti politici importanti a livello comunitario.
I1 panorama politico della Comunità è stato di fatto caratterizzato dalle vicende politiche interne di alcuni Stati membri. Per alcuni
di questi è stato il momento delle verifiche.
L'accordo raggiunto ad Edimburgo sulle deroghe concesse al governo danese ha tenuto,
permettendo alla maggioranza dei cittadini
danese di approvare la ratifica del Trattato di
Maastricht. Un John Major sempre più in crisi politica ha tutto sommato retto bene alla
pressione dell'ibrida alleanza tra euro-rebels
conservatori e i laburisti evitando di essere
messo in minoranza durante il voto di ratifica
del nuovo Trattato di Maastricht.
Nulla si è mosso come si è detto nel dibattito politico in seno alle istituzioni comunitarie.
D i fronte ad una crisi economica ed occupazionale devastante si sono al contrario registrati preoccupanti segni di ritorno ad ottiche
puramente nazionali. La deriva è evidente
davanti agli occhi d i tutti gli osservatori. Eppure nessuno ha avuto il coraggio di lanciare
questo grido di allarme. Tutto è stato coperto
da una sorta di cinica indifferenza mentre i
dati economici testimoniano la drammaticità
della situazione. La crescita economica in termini di prodotto interno lordo è praticament e nulla, i disoccupati ufficiali sono circa 17
milioni, una percentuale pari ai 12% della
popolazione attiva della Comunità. Gli indici
riguardanti la produzione industriale, il tasso
di utilizzazione delle capacità produttive degli impianti nonché il volume degli investimenti privati e pubblici segnano un pauroso
ribasso.
Di fronte a questa situazione che richiama
un'orgogliosa impennata politica, la presidenza danese ha preferito mantenere un livello
bassissimo. La Commissione da parte sua si è
rinchiusa su sè stessa aspettando, in una sorta
di messianica attesa, il sopraggiungere di
qualche evento che potesse in qualche modo
spezzare il circolo vizioso recessione economica-disoccupazione. Questo atteggiamento
attendistico della Commissione, reso ancora
più evidente dalla sua estrema debolezza politica, ha raggiunto la sua massima ed indecente espressione con le proposte del Commissario Flynn che è responsabile della politica sociale e del lavoro.
Una sua Comunicazione dal retorico titolo
«Quadro comunitario per l'occupazione» fatta propria, non si sa come, della Commissione nella sua collegialità (ma dove erano gli alGIUGNO 1993
tri 16 commissari?) si limita a proporre di elaborare un programma comune per l'inizio del
1995. Nulla è stato dunque offerto ai lavoratori comunitari che conoscono in numero
sempre più frequente la disgrazia di una disoccupazione che assume caratteri decisamente strutturali.
Anche Jacques Delors non ha avuto sussulto politico per cinque mesi. Depresso, preso
a tenaglia dalla modificata situazione politica
francese con un governo che ne controlla
ogni minima iniziativa politica, il Presidente
sembrava incapace di riprendere in mano I'iniziativa politica. La sua anima cattolica e socialista non poteva tuttavia restare insensibile alle reazioni di una opinione pubblica sempre più preoccupata dal deteriorarsi della situazione economica e sociale e dal moltiplicarsi di fenomeni di esclusione sociale. E d è
per questo che, in uno slancio di orgoglio, si
è rinchiuso nei suoi uffici per definire un
nuovo progetto, simile al Libro bianco della
Commissione per il completamento del mercato interno, in grado di rianimare la dinamica politica della Comunità. Lasciando completamente all'oscuro i suoi sedici colleghi,
Jacques Delors ha esposto ai Capi di Stato e
di Governo il suo personale punto di vista sul
modello europeo di sviluppo. Confortato da
dati statistici e grafici preparati appositamente per lui, il Presidente della Commissione ha
mostrato come, a differenza di Giappone e
Stati Uniti, all'interno della Comunità ad
uno sviluppo produttivo non corrisponda un
adeguato aumento dei livelli di occupazione.
Su questa base, Delors ha in un certo senso
ribaltato i1 tradizionale rapporto di causaeffetto tra recessione economica e disoccupazione. È da quest'ultima che occorre agire
per trovare una soluzione ai problemi di crescita economica. Tale approccio non lascia
spazio alle soluzioni liberiste degli anni ottanta, che puntano sullo smantellamento dello
Stato sociale attraverso la diminuzione del
costo del lavoro e dei diritti sociali acquisiti.
Egli sceglie decisamente la strada del modello
europeo di sviluppo economico, il solo che,
secondo la sua visione politica, può conciliare
i principi del libero mercato, gli interventi
pubblici in economia e la concertazione tra le
parti sociali. I1 Presidente della Commissione
non abbandona dunque i principi che sono alla base delle relazioni tra stato e mercato anche se è incapace di fornire una risposta chiara e netta su quale sia la via più efficace per
realizzare un moderno modello d i società europea.
Avviata questa riflessione su una nuova
formula di contratto sociale che deve condurre ad una nuova forma di Welfare State, Delors ha indicato quali dovrebbero essere gli
orientamenti concreti per rispondere all'urgenza della crisi economica e occupazionale.
Su questo Delors è stato molto più povero di
proposte: restando fedele ai criteri di conver-
genza economica fissati dal Trattato di Maastricht e consapevole del fatto che le politiche
di bilancio non hanno margini di manovra
sufficienti perché strozzate da deficit pubblici sempre più consistenti, Delors si è limitato
a proporre un aumento delle risorse finanziarie per l'attuazione di quell'azione palliativo
conosciuta come «iniziativa di crescita comunitaria». A breve termine si tratta di aggiungere 3 miliardi di ECUsupplementari ai 5 già
decisi dal Consiglio europeo di Edimburgo. 8
miliardi di ECUin totale, sotto forma di prestiti e garanzie di prestito, sono un flusso finanziario assolutamente insufficiente per dare respiro ail'economia europea.
Jacques Delors ha per contro tracciato otto
piste a medio e lungo termine per riprendere
un sentiero di sviluppo economico più stabile
ed equilibrato. Delors riprende la sua proposta più cara: la definitiva istituzione dell'unione economica e monetaria, il quadro entro
cui è possibile esercitare un controllo più efficace sui grandi aggregati macroeconomici,
sull'evoluzione dei processi di convergenza,
dei sistemi economici nazionali e su un processo di sviluppo più armonioso. Egli ha proposto ancora una politica di ricerca e sviluppo
tecnologico più sostanziosa con un aumento
delle spese comunitarie fino al 3% del PIL
comunitario; il rafforzamento della politica
comunitaria in favore delle grandi infrastrutture; lo sviluppo di un'industria informatica
che sia finalmente in grado di confrontarsi
con quelle di Stati Uniti e Giappone; una politica d i istruzione e di formazione che concili
le esigenze di qualificazioni sempre più elevate con un più grande assorbimento del mercato del lavoro. Su questo aspetto, Delors propone una riflessione sulla flessibilità delle politiche del lavoro, fattore che costituisce I'ideale spartiacque tra coloro che ritengono necessaria una diminuzione del costo del lavoro
e dunque un deciso ritorno ad un orientamento liberista e coloro invece che considerano la flessibilità come lo strumento per affermare nuove forme di impiego senza venir meno agli standars sociali acquisiti e garantire
nel contempo una maggiore produttività.
Questa ambiguità su come devono essere
intese le politiche del lavoro ha permesso ai
Capi di Stato e di Governo di accettare I'analisi e le piste indicate da Delors anche se John
Major si è affrettato a ricordare che la Gran
Bretagna è contraria a qualsiasi forma di legislazione sociale in materia sociale e del lavoro. I1 Presidente della Commissione è riuscito
a raggiungere l'obiettivo che si prefiggeva in
occasione del vertice di Copenaghen. I1 Consiglio europeo ha infatti dato incarico alla
Commissione di elaborare un Libro bianco su
crescita, competitività ed occupazione da
presentare per la fine di dicembre in occasione del prossimo Summit di Bruxelles. Negli
intendimenti d i Delors il Libro bianco dovrebbe costituire il quadro politico per rilanCOMUNI D'EUROPA
ciare il processo di integrazione in modo simile al Libro bianco del 1985 sul mercato interno. A differenza di allora non vi è più fattore
«sorpresa». In quell'occasione infatti la Commissione ebbe un ruolo autonomo nel definire gli obiettivi, il calendario ed il metodo di
lavoro per il completamento dell'integrazione
negativa. Facendo tesoro del vantaggio strategico che fu dato alla Commissione, il Consi, glio europeo ha piantato dei paletti di fronte
al cammino dell'esecutivo comunitario. È
stato infatti deciso che gli Stati membri presenteranno entro il 1 settembre 1993 proposte su elementi specifici da includere eventualmente in questa iniziativa. Inoltre, è stato deciso che un primo progetto del Libro
bianco debba essere passato al vaglio del
Consiglio dei Ministri Economia e finanze.
Di fatto dunque vi sarà uno stretto controllo
da parte dei governi nazionali sul lavoro di
elaborazione della Commissione che dunque
non potrà disporre dell'autonomia necessaria
a presentare un documento di ampio respiro
comunitario. Si tratta dunque di una grave limitazione del ruolo propositivo dell'esecutivo.
D'altro canto, non può non essere sottolineato il fatto che nell'esposizione delle sua
analisi e delle sue proposte, Jacques Delors ha
totalmente ignorato gli aspetti politici di
un'iniziativa che per avere successo deve necessariamente essere confortata da un disegno istituzionale che permetta di realizzare
efficientemente le politiche che verranno definite. Si possono comprendere facilmente le
ragioni di questa voluta dimenticanza che sono riconducibili principalmente al mutato clima che oggi si respira all'interno della Comunità europea. In primo luogo c'è ancora da digerire il Trattato di Maastricht la cui entrata
in vigore dovrebbe avvenire, nelle più ottimistiche delle previsioni, il prossimo 1 novembre. In secondo luogo, malgrado le prospettive che si apriranno con il nuovo Trattato, le
tentazioni di alcuni governi di ritornare a vie
nazionali dello sviluppo sono sempre più forti. D'altro canto, il modello intergovernativo
prescelto per due dei tre pilastri della futura
Unione, la politica estera e della sicurezza e
la cooperazione negli affari interni e giudiziari, lascia invitanti spazi agli Stati membri per
bloccare ogni evoluzione politica della Comunità europea. È molto facile prevedere che
l'impotenza della Comunità di fronte alla crisi della ex-Yugoslavia si manifesti in altre occasioni azzerrando di fatto il suo ruolo e la
sua influenza nel panorama delle relazioni internazionali. Inoltre, Jacques Delors, sempre
più condizionato dalla politica interna francese e dalle sue aspirazioni presidenziali, sembra aver abbandonato quello spirito federalista che ne aveva ispirato l'azione politica durante lo svolgimento delle conferenze intergovernative del 1991.
Oggi la Comunità è in forte crisi politica.
Dopo la massiccia utilizzazione del voto a
maggioranza per l'adozione degli atti legislativi riguardanti il mercato interno, in seno al
Consiglio sembra di essere tornati agli anni
settanta durante i quali ogni processo decisionale veniva paralizzato dai veti incrociati. La
paralisi dei processi politici è infatti evidente:
non vi è più un dossier che non presenti fattori molto problematici. Dai negoziati del
GATT ai fondi strutturali, dalle disposizioni
sociali a quelle agricole. Si conferma il teorema secondo cui allorquando la Comunità fa
un salto di qualità nella cosiddetta «sovranazionalità normativa», immediatamente si registra un arretramento nella «sovranazionalità decisionale». Si tratta di un grave problema politico perché dimostra la fondatezza di
coloro, come i federalisti, che da subito hanno sottolineato che senza una incisiva riforma in termini di efficacia e democrazia delle
strutture istituzionali e delle procedure decisionali il processo di integrazione europea è
destinato ad entrare in crisi.
Ciò appare più evidente se si pensa che la
Comunità è destinata ad accogliere quattro
nuovi Stati e che entro il 2000 potrebbe vedere raddoppiare i suoi Stati membri. Su questo aspetto tutto tace. Lo' stesso Delors in un
discorso di fronte al Parlamento europeo aveva anticipato che a Copenaghen avrebbe delineato gli orientamenti politici della «Grande
Europa». Su questo argomento invece il Presidente della Commissione ha preferito non
parlare sapendo benissimo che avrebbe trovato di fronte a sé interlocutori o poco sensibili
o decisamente ostili.
Eppure l'entrata di Finlandia, Svezia, Norvegia ed Austria sembra essere più vicina ed
anzi non sembrano esserci dubbi sul fatto che
ciò potrà avvenire già prima del 1996, cioé
prima della conferenza intergovernativa che
dovrebe modificare le disposizioni istituzionali del Trattato di Maastricht. Ora, con l'allargamento a tre paesi che tradizionalmente
sposano la visione inglese della costruzione
comunitaria basata sul metodo intergovernativo, i rischi di una indebolimento della Comunità sono sempre più evidenti. La Comunità rischia effettivamente di vedere stravolta la sua visione solidaristica e le sue strutture
istituzionali. La tentazione a considerare l'insieme dei vincoli comunitari non più come disposizioni di natura costituzionale, ma come
semplice accordi di diritto privato internazionale, dal quale ciascun contraente può recedere senza che ciò non provochi gravi conseguenze, viene rafforzata dalla volontà di molti governi nazionali di procedere verso una ristatualizzazione delle politiche comuni. Senza modifiche incisive, il Trattato di Maastricht e le modalità della sua applicazione
aprono la strada alla creazione di un'Europa
a geometria variabile o meglio di un Europa
alla carta.
Questa analisi richiama la necessità di riprendere un'azione politica forte per favorire
la trasformazione della Comunità in un'Unione europea su base federale, l'unica che possa
impedire la dissoluzione di un patrimonio politico e culturale di più di trent'anni.
L'azione politica del Parlamento europeo,
che chiuderà nell'aprile 1994 la sua terza legislatura dopo l'istituzione delle elezioni a suffragio universale diretto, non sembra avere
quella forza e quella determinazione necessaria a rilanciare il processo di trasformazione
della Comunità in Unione europea nonostante le sue notevoli prese di posizione. I1 20
gennaio '1993 il Parlamento europeo ha vota-
to la risoluzione Hansch sulla strategia dell'Unione per il nuovo ordine europeo. In tale
relazione, l'Assemblea di Strasburgo afferma
che l'approfondimento dell'unione deve precedere il suo ampliamento e che tale approfondimento deve essere realizzato sulla base
di una carta costituzionale di tipo federale,
elaborata dal Parlamento europeo ed esaminata da una conferenza dei governi, convocata prima delle scadenza naturale del 1996.
Questa carta costituzionale è in corso di elaborazione da parte della commissione istituzionale del Parlamento europeo che dovrebbe
adottarla entro il mese di novembre affinché
le grandi famiglie politiche europee ne integrino i principi nei rispettivi manifesti politici in vista dalle prossime elezioni europee.
Nonostante questo impegno elaborativo, il
Parlamento europeo non ha tuttavia individuato una strada chiara da seguire per metterlo in pratica.
Da questo punto di vista è chiaro che l'unica via di uscita è costituita ancora una volta
dal metodo costituente attraverso cui il Parlamento europeo, in stretto contatto con i parlamenti nazionali, dovrebbe redigere una costituzione breve ed essenziale, facilmente
comprensibile dai cittadini europei, integrante i principi federalisti e che preveda una riforma delle istituzioni che ne consenta una
migliore efficacia ed il pieno rispetto dei
principi democratici. A questa riforma dovrebbe essere accompagnata una chiara definizione delle competenze comunitarie e quelle nazionali, lasciando giocare il principio di
sussidiarietà per la definizione dei livelli di
responsabilità nelle cosiddette «competenze
concorrenti». Questa carta costituzionale dovrebbe poi essere inviata ad una conferenza
di Stati a cui spetterebbe il compito di approvarla e di ratificarla nei propri ordinamenti
nazionali.
Le procedure di ratifica potrebbero essere
accompagnate da referendum popolari che, a
differenza di quanto è avvenuto per il Trattato di Maastricht, non dovrebbero avere carattere sospensivo nei confronti dei paesi che
accettino i principi costituzionali, ma determinare di fatto la partecipazione dello Stato
membro in questione all'unione. Verrebbe
dunque finalmente affermato il principio,
evocato per primo da Francois Mitterand nel
1984, della realizzazione dell'unione per coloro che lo vorranno.
Questo processo politico deve essere accompagnato da una forte pressione esterna
esercitata da quelle forze che sono favorevoli
ad una più stretta integrazione politica dell'Europa. Queste forze politiche possono trovare espressione all'interno della Convenzione democratica europea che potrebbe essere
convocata in occasione delle elezioni europee
del giugno del 1994 e svolgere un'azione politica permanente. Dalla pressione che questa
Convenzione sarà in grado di esercitare sulle
forze politiche tradizionali dipenderà il grado
di risposta del Parlamento europeo cui spetta
il compito di riprendere quel naturale ruolo
costituente che gli deriva dall'essere l'unica
istituzione comunitaria dotata di legittimità
democratica essendo eletta direttamente dai
cittadini comunitari.
¤
GIUGNO 1993
Maastricht non basta
Verde locale, sovranazionale, cosmopolitico
di Alberto Majocchi
Una sintesi a priori di sviluppo economico, servizi e pianificazione del territorio fiscalità ecologica e occupazione «verde»
Durante gli anni '80 la grande attenzione dell'opinione pubblica per avviare a soluzione i
problemi ecologici che rendono sempre più
incerto il destino futuro dell'umanità ha certamente favorito lo sviluppo - soprattutto
nei paesi industrializzati - di una politica
ambientale più avanzata. Ma negli ultimi
tempi, mentre si è manifestato un certo distacco dell'elettorato nei confronti dei partiti
verdi, sono emersi altresì con maggiore evidenza gli elevati costi legati alla protezione
ambientale che, a giudizio dell'industria europea, rischiano di mettere fuori mercato
questo settore produttivo nei confronti dei
paesi dove gli standards ambientali sono meno severi. E certamente questo problema si
presenta con una particolare severità nella situazione attuale caratterizzata da una grave
recessione che colpisce in modo generalizzato
tutti i paesi europei. Appare quindi opportuna una riflessione pacata per cercare di capire
in che senso occorre orientare le scelte di fondo di una politica efficace per la protezione
dell'ambiente - che presentano un grande
rilievo anche per gli enti locali -, in modo
tale da individuare le linee strategiche di
un'azione efficace per affrontare i grandi problemi ecologici con cui il mondo si deve oggi
necessariamente confrontare.
In questa riflessione il primo punto da
prendere in considerazione riguarda il cambiamento radicale intervenuto nei contenuti
della politica ambientale. In effetti, in una
prima fase essa ha dovuto affrontare problemi che presentavano un carattere essenzialmente locale, regionale o, al più, nazionale e
che riguardavano sostanzialmente la protezione della qualità dell'acqua e la riduzione
dell'inquinamento atmosferico. Su questo
terreno si sono realizzati certamente significativi passi in avanti, anche se ancora molto
si deve fare soprattutto nelle aree meno sviluppate dell'Europa del Sud. D'altra parte,
anche in questi settori della politica ambientale si è dovuto ben presto riconoscere che
molti problemi richiedono una soluzione di
carattere sovranazionale, tenendo presente il
rilievo crescente dei problemi legati ai fenomeni di inquinamento che si manifestano al
di là delle frontiere degli stati.
I n realtà, i problemi con cui si deve confrontare la politica ambientale presentano
sempre di più un carattere globale: la protezione della fascia d'ozono, la riduzione delle
emissioni di gas che provocano l'effetto serra, la conservazione delle foreste tropicali e
della bio-diversità rappresentano soltanto alcuni esempi di ~ r o b l e m iambientali che non
possono più trovare una soluzione adeguata
su scala nazionale, e neppure continentale.
GIUGNO 1993
Emerge quindi un problema politico che deve
essere affrontato e risolto se si vuole garantire un efficacia reale della politica ambientale.
In effetti, se ci fosse un governo mondiale,
ovvero se le Nazioni Unite disponessero di
un potere di decisione limitato ma reale nel
settore ambientale, spetterebbe a questo livello di governo il compito di prendere i
provvedimenti necessari con il sostegno della
maggioranza dell'opinione pubblica mondiale
e di farli rispettare da parte di tutti gli Stati.
Ma I'ONU non dispone di questo potere e,
conseguentemente, l'unica alternativa politicamente praticabile per far fronte a questi
problemi è quella di arrivare alla stipulazione
di una convezione multilaterale approvata da
tutti gli Stati - o almeno da un grande numero di Stati -, in modo tale che le decisioni
assunte siano tendenzialmente vincolanti per
la maggior parte dell'umanità.
Ma non si possono certo trascurare i molteplici problemi che rendono assai difficile procedere lungo questa strada. In primo luogo, il
processo per arrivare alla conclusione di una
convenzione multilaterale richiederà tempi
lunghi, mentre i problemi incalzano e le soluzioni devono essere trovate rapidamente, prima che il danno ambientale diventi irreversibile. Inoltre, dato che il metodo decisionale
è fondato sul consenso, il che significa in altri
termini che ogni Stato in linea di principio
dispone di un diritto di veto, è chiaro che il
risultato finale rappresenta necessariamente
un compromesso raggiunto ad un livello molto basso, tale da ottenere il consenso anche
degli Stati meno favorevoli. In questo senso
l'esperienza della Conferenza di Rio è stata
molto significativa, visti i numerosi annacquamenti alle proposte originali che sono stati necessari per ottenere il consenso degli Stati Uniti, sia nel caso della convenzione sulla
bio-diversità, sia per quanto riguarda la convenzione sui cambiamenti climatici.
I1 limite fondamentale di una soluzione basata sulla cooperazione internazionale consiste dunque nel fatto che, come avviene in
ogni sistema in cui non esista un potere sovranazionale, basta l'opposizione di un paese
o di un gruppo limitato di paesi per impedire
d i raggiungere un accordo. Un caso rilevante
da questo punto di vista è certamente quello
della protezione delle foreste tropicali, laddove a Rio ci si è dovuti limitare ad una dichiarazione di principio senza effetti vincolanti,
mentre l'obiettivo fissato dall'ITTO di una
gestione sostenibile delle foreste tropicali entro l'anno 2000 appare assai difficile da conseguire a seguito della ferma opposizione che
I1 Reno a Colonia
COMUNI D'EUROPA
permane d a parte di alcuni grandi paesi produttori.
Queste difficoltà mettono dunque in evidenza un problema di grande rilievo, che non
si può comunque evitare attraverso l'imposizione unilaterale di misure restrittive al commercio d a parte dei grandi paesi consumatori,
come spesso è avvenuto in passato da parte
degli Stati Uniti. I n assenza d i un governo federale, che può prendere una decisione soltanto se è in grado di definire una politica capace di conseguire l'appoggio della maggioranza della popolazione interessata, l'unica
via da seguire se si vuole prendere in considerazione gli interessi di tutte le parti in causa
è quella di promuovere la stipulazione di un
accordo multilaterale con i consenso di tendenzialmente - tutte le parti interessate.
Questa opzione è soggetta comunque a due limiti importanti: una volta raggiunto un largo
ambientalisti, di «rendere verde il GATT»,
non appare invece convincente. I1 G A T T deve fare il suo mestiere, che è quello di evitare
il diffondersi di pratiche protezionistiche.
Ma ogni volta che in dispute di natura commerciale sono coinvolti interessi ambientali è
invece indispensabile che il giudizio su questi
aspetti sia affidato all'agenzia mondiale per
l'ambiente, mentre gli organi deputati in seno al G A T T per la soluzione delle controversie dovranno limitarsi a recepire la decisione
dell'organo destinato alla protezione degli interessi ambientali su scala mondiale.
Ma vi è un secondo elemento che caratterizza in modo significativo questa nuova fase
della politica ambientale, e che coinvolge più
direttamente tutti i livelli di governo. I n effetti, è emerso ormai con grande chiarezza
che la politica di protezione dell'ambiente
può risultare efficace soltanto nella misura in
L'ANIC di Gela in Sicilia
consenso - il che non implica necessariamente l'unanimità - le decisioni devono applicarsi a tutti, ivi compresi i paesi che non
hanno sottoscritto l'accordo. Inoltre il costo
di questa politica deve essere ripartito in mod o equo fra tutti i paesi tenendo conto altresì
dei diversi livelli d i sviluppo. E questo principio stato solennemente riaffermato nella dichiarazione finale di Rio.
Da un punto di vista istituzionale, si tratta
dunque di unificare e, al contempo, d i rafforzare le agenzie delle Nazioni Unite che si occupano di problemi ambientali a carattere
globale, in modo tale d a renderle capaci di gestire in modo unitario ed efficace le diverse
convenzioni che nel tempo sono state approvate e quelle che dovranno essere definite in '
futuro. I n particolare, si tratta di rafforzare
la Commissione per lo Sviluppo Sostenibile,
la cui creazione è stata decisa a Rio, e d i farne
il centro della politica ambientale su scala
mondiale.
La scelta, largamente sostenuta da molti
COMUNI D'EUROPA
cui cessa di essere una politica settoriale e l'obiettivo ambientale viene effettivamente integrato in tutte le politiche settoriali rilevanti
dal punto d i vista ecologico. I n questa prospettiva un carattere particolarmente innovativo presenta il
programma di azione ambientale definito i livello comunitario, che
pone al centro dell'attenzione appunto l'integrazione dell'ambiente nella definizione delle
altre politiche. Ma questa integrazione deve
essere realizzata a tutti i livelli (locale, regionale e nazionale) se si vuole effettivamente
garantire un'efficace protezione dell'ambiente.
Così, una politica per ridurre le emissioni
dei gas che provocano l'effetto serra non può
risultare efficace se non viene integrata con
una politica adeguata dei trasporti, un nuovo
assetto della politica urbanistica che preveda
una più razionale distribuzione della popolazione e della attività produttive sul territorio,
misure per internalizzare i costi esterni legati
all'uso delle strade, una politica energetica
che promuova l'utilizzo d i energie alternative, misure regolative per promuovere l'efficienza energetica, e così via. In definitiva,
l'integrazione dell'ambiente nelle altre politiche richiede non soltanto una politica di correzione dei fallimenti del mercato, ma anche
una politica di piano capace di mettere in evidenza e di sfruttare efficacemente le sinergie
di politiche settoriali gestite ai diversi livelli
di attività della pubblica amministrazione.
Resta infine da considerare un ultimo
aspetto che caratterizza questa nuova fase
della politica ambientale. Mentre inizialment e la politica ambientale si è affidata soprattutto all'utilizzo di strumenti d i tipo amministrativo, da alcuni anni in diversi paesi si è
fatto sempre più ricorso all'uso dei cosiddetti
strumenti economici, e in particolare alle tasse ambientali. Ma negli anni più recenti si è
manifestata un'ulteriore innovazione, in
quanto le tasse ambientali tendono a raggiungere livelli di prelievo rilevanti anche da un
punto di vista macroeconomico. Basti pensare che la tassa sull'energia proposta dalla Comunità per combattere l'effetto serra a regime dovrebbe generare un gettito pari circa
allll% del PIL comunitario.
È chiaro quindi che imposte di queste dimensioni possono esercitare un effetto significativo sull'economia, sia in termini d i aumenti dei costi per i settori industriali più direttamente colpiti, sia in termini distributivi,
per le classi di reddito che devono sopportare
l'onere finale dell'imposta. Si è quindi fatta
strada un'idea particolarmente innovativa,
che prevede di utilizzare il gettito delle imposte ambientali per ridurre il prelievo fiscale
che attualmente grava sul lavoro, sulla capacità imprenditoriale e sull'assunzione del rischio. Per dirla in breve, si tratta di spostare
il peso del sistema fiscale dall'imposizione dei
goods - come avviene prevalentemente oggi
in quasi tutti i paesi - alla tassazione dei
bads: uso delle risorse naturali, inquinamento, congestione, rifiuti, uso del sistema stradale, e così via. È questo il grande tema, che
si sta affacciando nel dibattito politico, della
riforma fiscale ecologica come strumento per
promuovere efficacemente un modello di sviluppo sostenibile.
E interessante sottolineare come questa
trasformazione del sistema fiscale possa essere utilizzata altresì per mettere in piedi una
politica efficace per far fronte al drammatico
problema della disoccupazione, riducendo il
carico degi oneri che gravano sulì'utilizzo del
fattore lavoro attraverso il gettito che deriva
dalla tassazione ambientale. I n questa prospettiva interessanti elementi d i novità sono
emersi dal recente Consiglio europeo di Copenhagen. I1 Consiglio ha preso in esame una
serie di proposte avanzate dal presidente Delors, che si collocano su due piani diversi: nell'ambito della politica a n t i ~ o n ~ i u n t u r a lDee,
lors suggerisce sostanzialmente di procedere
ad un rafforzamento sul piano finanziario degli strumenti di intervento già decisi ad Edinburgo, in modo da creare nuova occupazione
attraverso una ripresa degli investimenti nei
settori strategici delle grandi reti di comunicazione e per favorire l'impiego d i manodo(segue a pag. 10,
GIUGNO 199:
Il federalismo e la Iugoslavia
Proponiamo ai nostri lettori, con la speranza di aprire un dibattito serrato e anche infuocato, un testo sui fatti di Jugoslavia redatto da vecchi dirigenti federalisti. A proposito della Jugoslavia (che si
suol chiamare ex Jugoslavia) si dimentica,
con notevole ignoranza stouica, tutta la
battaglia democratica ottocentesca e di
parte del novecento per l'assetto solidale
tra gli slavi del sud e, più largamente, tra
le popolazioni variamente cristiane, mussulmane e poi ebree dell'intero vicino
Ouiente. Una vergogna del17Europaoccidentale e della inesistente unità politica
della Comunità europea è l'atteggiamento
verso la cuisi iugoslava che ha tollerato, se
non appoggiato, il frazionamento etnico e
l'incapacità di far subentrare un accordo
in qualche modo federale fra etnie e tradizioni alle quali era stato imposto dall'alto
un federalismo antidemocratico.
presenta come una autentica pietra di paragone, come una testimonianza rivelatrice dei
reali orientamenti «europei» dei governi e dei
parlamenti nazionali, dei partiti, delle stesse
istituzioni comunitarie: d'altra parte questa
tragedia - che implica la barbarie, orribile,
spaventosa, della «pulizia etnica» - richiede
una presa di posizione, chiara e impegnata allo spasimo, della militanza federalista e, coerentemente, dell'intera «forza federalista»,
organizzata su scala sovranazionale.
L'attuale Europa intergovernativa - sulla
quale non offre progressi automatici e decisivi l'Unione di Maastricht - si è coperta e rischia di coprirsi ogni ora di più di vergogna,
Prologo
La terra trovata
Chi non sa dare ascolto a una canzone
una tempesta finirà per ascoltare.
Lascia che coloro che hanno il potere
del mondo
pensino a cosa fare di esso
noi abbiamo solo parole
e sappiamo fare buon uso
di tale povertà
Gloria al fuoco
... ... ...
La caduta del regime dittatoriale sovietico e
di quanto, anche abusando del termine federalismo, si era costituito in modi autoritari e
imposti dall'esterno nel Centro e nell'Est europeo, ha creato una doppia tendenza: da un
lato una spiegabile affermazione di autonomia da parte di popolazioni, peraltro spesso
costrette già alla fine della prima guerra mondiale entro confini statuali parzialmente artificiali, frutto d i compromessi diplomatici; ma
dall'altro lato anche una tendenza crescente
verso un rinnovato nazionalismo - specie di
rivalsa all'egemonia sovietica -, che a sua
volta si è spezzato in micronazionalismi etnici: nell'ambito d i questa tendenza si sono sviluppati il razzismo, l'intolleranza religiosa,
un vero e proprio spirito tribale. È questa la
situazione che si è trovata di fronte la Comunità europea o, in sostanza, quel primo nucleo di Paesi che dovrebbe avviarsi a una
svolta storica, la quale implica - accanto alla
democrazia negli Stati - la democrazia tra
gli Stati, cioé la federazione sovranazionale
dotata di tutti i poteri statuali. Una Europa
autenticamente federata non sarà certa preparata da un mercato comune che, allargandosi senza un chiaro orientamento politico,
tenda a trasformarsi in una zona di libero
scambio (questo allargamento è da scartare a
priori): ma non può neanche chiudersi in se
stessa e deve guardare fin da ora - come del
resto ha preveduto il rapporto Hansch approvato dal Parlamento Europeo nel gennaio
1993 - alla prospettiva di una Paneuropa
democratica e federata. I n questo contesto la
tragedia della Jugoslavia si è presentata e si
GIUGNO 1993
zione unitaria, a orientamento federalista,
deve prendere comunque l'Unione nel quadro delle CSCE e, anche con tutte le armi necessarie e adeguate, deve intervenire in Jugoslavia, annullando i confini creati col genocidio e ristabilendo la legge del diritto e del rispetto della persona umana su quella della
forza bruta.
Ma hanno poi le carte in regola gli Stati
della Comunità europea - e, in fondo, la
stessa Comunità? - Non hanno avuto e non
hanno evidenti responsabilità nell'acuirsi del
conflitto infraiugoslavo? Un'azione unitaria e
comprensibile è stata sin dall'inizio impedita
dal colpevole -riconoscimento, unilaterale e
ma
la libertà raggiunta saprà cantare
come i martiri cantavano per essa?
C'è consolazione nell'essere terra
c'è fierezza nell'essere roccia
c'è saggezza nell'essere fuoco
c'è pietà nel saper essere nulla
... ... ...
Sono versi di un giovane poeta serbo, Branko Miljkovic, morto nel 1968. Ci domandiamo
se buona parte della mischia razzista che ha coperto e sta coprendo di sangue la Jugoslavia
non sia stata appoggiata o addirittura promossa da paesi europei che, tradendo le stesse
regole comunitarie e la retorica di Maastricht, hanno riconosciuto anzitempo le nuove formazioni statuali in cui, caduta la dittatura, sLè divisa la federazione antidemocratica della
Jugoslavia. Viene voglia di ricordare a questi paesi della Comunità, che accusano di razzismo invincibile le etnie iugoslavie, non solo l'olocausto perpetrato daila Germania hitleriana, ma anche le stragi italiane in Cienaica e le deportazioni degli ebrei sotto il regime
di Vichy. Nessun peggior razzismo di quello che vede, con falso orrore, il razzismo degli
altri e non si ricorda del proprio.
oltre a commettere errori politici che non ammettono scuse e che anche sul cosiddetto terreno del realismo sono tutti da condannare
senza appello. La logica del federalismo di
fronte al genocidio al di là dell'adriatico come a qualsiasi altro genocidio non può che reclamare una «polizia internazionale» che attui, con la forza oltre ogni ipocrisia, un intervento umanitario, gestito, al di fuori di ogni
strumentalismo egemonico, dalle Nazioni
Unite: nel quadro dell'ONU, frattanto, una
Unione Europea che voglia cominciare a dar
segni di vita, deve mostrare senza esitazioni
una voce unica e chiedere, non ammettendo
tergiversazioni, di salvare le leggi elementari
dell'umanità. Se 1'ONU non riesce ad affrontare immediatamente, come si conviene, il
problema, l'Unione europea deve prendere
una posizione decisiva nell'ambito della NAT O , agendo come un polo unitario in una
N A T O intesa in senso bipolare. Ma una posi-
intempestivo, di uno Stato sloveno e di uno
Stato croato, indipendenti, da parte del governo tedesco: gli altri governi nazionali hanno poi continuato ad agire in completa anarchia e succubi delle relative ragioni di Stato.
Da una parte l'Europa del «non intervento»
sta fomentando in Jugoslavia solo la legge della giungla e del «tutti contro tutti», poiché dimostra di essere incapace di battersi per un
valore morale e di dare un esempio trascinatore: ma d'altra parte nel costringere i musulmani della Bosnia ad accettare il fatto compiuto e ad essere confinati in «campi di concentramento» assediatij invece di potersi considerare cittadini di pieno diritto di un territorio europeo, ostenta una miopia al d i là di
ogni immaginazione e prepara la sconfitta dei
musulmani democratici in tutto il Mediterraneo e nel Medio Oriente.
Mai come ora si è fatta sentire l'esigenza
indilazionabile di un governo europeo, re-
sponsabile a un Parlamento sovranazionale,
nel quadro di una Costituzione che preveda
politica estera e di sicurezza comuni. Se 1'Europa - o quella parte che prevede imminente
la formazione di un Unione politica - non
vuole perdere ogni connotato morale e civile,
deve crescere, senza ripensamenti, ed essere
in condizione di impegnarsi con tutti i mezzi
per l'affermazione della solidarietà umana internazionale, contro il banditismo che imperversa un po' ovunque, anche entro i suoi confini, e si organizza a livello locale, nazionale
e mondiale in forme razziste, compie genocidi e le atrocità della «pulizia etnica», gestisce
il traffico delle armi e della droga. È dunque
anche di fronte alla tragedia iugoslavia che i
cittadini europei debbono rivendicare nel
prepararsi alle prossime elezioni europee'del
1994, un potere costituente al Parlamento
Europeo, esigendo che una Europa intergovernativa, mercantile e vile oltre ogni misura,
divenga l'Europa dei popoli, amica di tutti i
popoli, nemica di tutti i banditi. I cittadini
europei non debbono limitarsi a un voto platonico, ma formare subito un fronte democratico europeo, capace di imporre la sua volontà.
Frattanto la Jugoslavia non può attendere:
i federalisti chiedono ai governi nazionali della Comunità un sussulto collettivo di dignità
e di coraggio. Sarà l'ultimo loro atto, per riscattare un minimo di onorabilità, prima di
cedere il passo e le responsabilità primarie a
un governo europeo federale. I1 federalismo è
per tutti l'unico obiettivo di un realismo intelligente: esso dovrà estendersi via via, prendendo le mosse da atti coerenti dell'unione
europea, a una Paneuropa democratica, e procedere oltre. Apriamo gli occhi: di fronte alla
minaccia di una anarchia planetaria armata, il
dilemma indicato dal buon senso è semplice
«O le Nazioni Unite a vocazione federale o il
caos».
Ma la Jugoslavia aspetta: occorre fare subito il primo passo, costi quel che costi, e ristabilire rapporti civili interni, non violenti, con
totale rispetto delle minoranze - di tutte le
minoranze - e, prima ancora, di ogni persona umana. Le armi vanno usate ragionevolmente contro i banditi e non vendute, con
profitto che gronda sangue, ai banditi. Troppo comodo lasciare che il nostro onore e la
nostra umanità siano rappresentati da un pugno di eroici e inermi volontari: la responsabilità è di noi tutti e delle nostre istituzioni,
coi sacrifici che ci possono essere richiesti. I1
federalismo non ammette l'ipocrisia. In una
società non violenta spetta poi ai federalisti
di tutta Europa proporre, giorno dopo giorno, la solidarietà garantita da istituzioni super
partes. Quella che è stata la Jugoslavia comprende un complesso di etnie, di religioni e
anche di posizioni personali, che debbono
stare a cuore ai fratelli d'occidente, d'oriente, del nord e del sud: anche sul territorio jugoslavo si dovrà costruire la Paneuropa democratica e federale, elemento esemplare e
necessario di un mondo non violento, ordinato a garantire, nella libertà, nella giustizia e
con adeguate sanzioni, la pace per tutti.
COMUNI D'EUROPA
Verde locale..
.
(segue da pag. 8)
pera da parte delle piccole e medie imprese.
Ma le proposte di Delors non si limitano
alla politica anticongiunturale, e in effetti le
indicazioni più innovative riguardano la definizione di un piano a medio termine per affrontare positivamente il drammatico problema della disoccupazione senza distruggere le
conquiste sul terreno sociale che caratterizzano l'economia europea rispetto agli Stati Uniti e al Giappone. Delors ritiene che la Comunità debba promuovere un nuovo modello di
sviluppo, fondato su tre idee di fondo: 1) la
protezione dell'ambiente può favorire la creazione di numerosi nuovi posti di lavoro; 2)
prekeynesiani della riduzione salariale e di
una minore protezione sociale per tutti i cittadini. D'altro lato, se prevalgono le indicazioni di Delors, si tratta di vedere in che modo la Comunità possa realizzare questo progetto con i meccanismi decisionali attualmente disponibili. Se si tiene presente che a Copenaghen il Consiglio europeo ha ribadito
l'impegno di giungere entro il I o gennaio
1995 all'allargamento ai quattro paesi EFTA
candidati all'adesione, appare del tutto irrealistico pensare che le istituzioni esistenti possano gestire una Comunità a Sedici e realizzare al contempo le profonde modifiche strutturali che sono necessarie per avviare l'economia europea nella direzione di uno sviluppo
sostenibile. È questo un nodo essenziale che
Birmingham, la città del coke
un'accresciuta imposizione sulle risorse naturali scarse può consentire di ridurre il carico
fiscale gravante sul costo del lavoro, in modo
tale da accrescere la competitività delle imprese europee; 3 ) gli incrementi di produttività devono essere destinati a migliorare la qualità della vita e a favorire la creazione di nuova occupazione.
Queste proposte di natura strategica, destinate a promuovere un nuovo modello di
sviluppo, si accompagnano altresì a prescrizioni di natura strutturale che prevedono una
politica più attiva di gestione del mercato del
lavoro per promuovere lo sviluppo dell'occupazione, in particolare attraverso una riforma
del mercato del lavoro che accompagni una
maggiore flessibilità con l'introduzione di
forme di ripartizione delle ore di lavoro disponibili.
In questa prospettiva, due questioni politiche di fondo rimangono comunqueda definire, se si vuole che la Comunità sia in grado di
assumere una decisione positiva al Consiglio
europeo di Bruxelles in dicembre. Da un lato,
si tratta di superare le obiezioni del governo
inglese, che vuole promuovere la creazione di
una Comunità fondata su un liberismo di tipo
tradizionale, dove il problema della piena occupazione venga affrontato con gli strumenti
si deve affrontare, prendendo al più presto
coscienza del fatto che l'allargamento dovrà
essere necessariamente accompagnato da una
revisione delle disposizioni istituzionali che
sono state decise a Maastricht e che
già oggi appaiono largamente obsolete.
ELENCO DELLE
NUOVE ADESIONI
DI ENTI LOCALI ALL'AICCRE
Giugno 1993
1
~ b .
~omuni
Montottone (AP) . . . . . . . . . .
Civitella Roveto (AQ) . . . . . .
Pezzaze (BS) . . . . . . . . . . . . . .
Milena (CL) . . . . . . . . . . . . . .
Usmate Velate (MI) . . . . . . . .
Frattaminore (NA) . . . . . . . . .
Serrara Fontana (NA) . . . . . .
Carcare (SV) . . . . . . . . . . . . . .
Crispiano (SA) . . . . . . . . . . . .
San Mauro Torinese (SO) . . .
Fregona (TV) . . . . . . . . . . . . .
Fiesso D'Artico (VE) . . . . . . .
GIUGNO 1993
in una relazione al Parlamento europeo
Una Comunità aperta contro il razzismo
di Cesare De Piccoli*
Com'è noto assistiamo oggi al proliferare nei
vari Stati membri di gruppi e movimenti
estremisti di destra che, pur con talune diversità, hanno in comune come punti rilevanti
della loro «ideologia» il razzismo e, in nome
dell'odio razziale, perpetrano violenze di
ogni genere nei confronti di lavoratori immigrati, rifugiati, richiedenti asilo, nomadi ed
ebrei. Soprattutto negli ultimi due anni è diventato molto più serrato il ritmo di frequenza di episodi di violenza e di criminalità raz-
significativo che la discussione al Parlamento europeo sul tema del razzismo sia
coincisa con la commemorazione del cinquantesimo anniversario dell'insurrezione del Ghetto
di Varsavia. Vorrei riprendere le parole di Papa
Giovanni Paolo Il: dgiorni della Shoah hanno
segnato una vera notte nella storia, registrando
crimini inauditi contro Dio e contro l'uomo».
Altrettanto pregnanti sono state le parole di
Mark Eldman, vicecomandante dell'insurrezione del Ghetto e uno dei pochi superstiti. L'Olocausto non èfinito insieme alla guerra. Si è rivisto in Cambogia, in Somalia ed oggi in Bosnia.
Con la sua relazione sull'argomento, il Parlamento europeo ha inteso dare una risposta positiva all'inquietudine e allo sdegno presenti nell'opinione pubblica europea per gli innumerevoli episodi di intolleranza razzista manifestatisi
negli ultimi due anni.
Il Parlamento ha voluto viaffermarela solidarietà alle vittime innocenti di tanti atti crimina:
li, raccogliere l'appello della comunità ebraica,
delle chiese cristiane, del Forum europeo degli
emigranti, di tante associazioni della società civile e da ultimo l'invito rivoltoci dal Consiglio
europeo di Edimburgo dove, nella sua dichiarazione finale, riafferma viva preoccupazione per
l'intensificarsi di episodi di intolleranza in Europa, dichiarandosi convinto della necessità, allo scopo di combattere tale fenomeno, di prendere in tutta Europa misure vigorose ed efficaci,
tanto sul piano dell'educazione che sul piano legislativo.
Dai contenuti della relazione voglio riprendere alcuni punti che ritengo essenziali. Dagli innumerevoli atti di razzismo e di intolleranza religiosa si trae il convincimento che questi non
sono frutto della spontaneità, ma si individuano
precise responsabilità di gruppi o movimenti di
estrema destra, di vecchia o di recente formazione. Si avanza la proposta che, per quanto concerne la lotta alla discriminazione razziale, all'antisemitismo e all'intolleranza religiosa, sia
chiesto al Consiglio europeo di adottare una direttiva che preveda l'introduzione negli Stati
membri di una legislazione più rigorosa ed eficuce di quelle attualmente in vigore nella quasi
E
GIUGNO 1993
zista nonchè di atteggiamenti xenofobi.
Dinanzi all'intensificarsi di tali fenomeni,
la Commissione per le libertà pubbliche e gli
affari interni, nel quadro delle sue competenze, ha avvertito l'esigenza di elaborare una
relazione specifica in merito a tali problemi e,
viste le connessioni esistenti tra il risorgere
dell'estremismo di destra e il propagarsi del
razzismo e della xenofobia, ha deciso di trattare questi temi in un'unica relazione.
I1 Parlamento europeo, particolarmente
sensibile e conscio del suo dovere di vigilare
al rispetto dei diritti fondamentali e dei valo-
generalità degli Stati della Comunità; che questa
direttiva si fondi sul riconoscimento che l'atto
di razzismo è un crimine e come tale vada perseguito penalmente.
A complemento di questa scelta fondamentale, si chiede che gli enti e le associazioni interessate possano costituirsi parte civile nei processi
contro gli atti di razzismo. Si chiede inoltre una
competenza specifica in seno alla Commissione
nella lotta contro la discriminazione razziale e
la predisposizione di un programma d'azione rivolto soprattutto all'informazionee ai diversi sistemi educativi.
Da ultimo è riconosciuto ormai che, oltre alle profanazioni contro i simboli dell'Olocausto
e alla provocazione nei confronti delle comunità ebraiche, le vittime di episodi di intolleranza
razziale sono soprattutto i cittadini extracomunitari, rifugiati o che risiedono legalmente nella
Comunità, individuati da questi gruppi violenti
come i nuovi capri espiatoti.
In questa relazione si riaffermanole principali posizioni espresse informa ufficiale dal Parlamento, per una pik incisiva politica di integrazione a favore di milioni di cittadini extracomunitari legalmente residenti nella Comunità e si
avanzano alcune proposte innovative intese ad
estendere il campo di applicazione di questi diritti civili e politici compreso il voto nelle elezioni locali.
Sono questioni delicate che trovano reazioni
contrastanti anche nella stessa pubblica opinione, anche in virtù dell'impatto che i flussi migratori hanno in maniera differente negli Stati
della Comunità. Sul come dare soluzione pratica a questi diritti permangono tra noi valutazioni diverse, anche si sono fatti importanti passi in
avanti. Deve però prevalere la concezione comune che abbiamo della Comunità, intesa come istituzione democratica aperta e in netto
contrasto con una situazione di fatto che, se si
protrae nel tempo, rischia di legittimare sul piano dei dirittifondamentali dell'uomo l'esistenza
nella Comunità di cittadini di serie A e di altri
di serie B.
CDP
ri democratici, presupposto fondamentale
della legittimità comunitaria, dedica da tempo particolare attenzione a tali problemi.
Ricordiamo in particolare l'imponente lavoro svolto dalle due Commissioni d'inchiesta istituite dal Parlamento europeo: una nel
1985 («Commissione d'inchiesta sulla recrudescenza del fascismo e del razzismo in Europa») e l'altra nel 1990 («Commissione d'inchiesta sul razzismo e la xenofobiap). Purtroppo, come vedremo, a molte raccomandazioni proposte nelle conclusioni delle due
Commissioni d'inchiesta non è stato dato seguito. Ciononostante il Parlamento europeo
ha continuato ad attirare l'attenzione delle
istanze comunitarie e nazionali su tale tema
mediante interrogazioni orali e scritte e ha
adottato numerose risoluzioni in cui ha condannato in modo inequivocabile ogni atto di
violenza raszista.
Nella presente relazione ci proponiamo di
fare un bilancio della situazione a partire dalla fine della seconda Commissione d'inchiesta sino ad oggi, di verificare in quale misura
i governi degli Stati membri hanno tradotto
in concreto gli impegni presi per lottare contro il razzismo e la xenofobia nonché le azioni
da promuovere a livello comunitario alla luce
degli ultimi avvenimenti.
Analisi
L'esplosione dell'intolleranza razziale nei
confronti di cittadini extracomunitari, gli atti
vandalici nei campi simboli dell'Olocausto
hanno trovato nel corso del '92 una particolare intensità. Infatti nella sola Germania si sono registrati circa 2100 attentati provocando 17 vittime, basti ricordare: ripetuti incidenti a Rostock da parte di bande legate all'estremismo di destra contro i centri di accoglienza degli asylanten (Zast), gli atti scandalosi perpetrati nel campo di concentramento
di Ravensbruck. il tragico attentato di Amburgo dove hanno perso la vita tre bambine
turche. Ma la Germania non è l'unico Stato
coinvolto. La profanazione di cimiteri ebraici
in Francia, le provocazioni contro gli ebrei
della Comunità romana in Italia, gli innumerevoli episodi di intolleranza razzista e xenofoba in Francia, Italia, Belgio, Spagna che
hanno provocato la perdita di alcune vite
umane, dimostrano la pericolosità raggiunta.
Evidenziano una sottovalutazione da parte
delle Autorità preposte alla difesa dell'ordine
pubblico e della sicurezza di tutti i cittadini
nel prevenire e reprimere con misure efficaci
l'azione di questi gruppi violenti legati all'estremismo di destra. Testimoniano un più generale malessere che coinvolge settori non
Parlamentare europeo. Relazione presentata al Parlamento Europeo ed approvata il 21.4.93.
COMUNI D'EUROPA
trascurabili dell'opinione pubblica e soprattutto d i giovani. È in questa situazione d i
confusione culturale e d i malessere sociale
che si inserisce l'azione dei partiti tradizionali dell'estrema destra e d i nuovi movimenti:
skinheads, naziskin e d i altre formazioni utilizzando i temi relativi all'immigrazione o al
diritto d'asilo.
A fronte di questa preoccupante situazione, si devono registrare positivamente le numerose manifestazioni contro il razzismo e la
xenofobia che si sono svolte nell'ultima parte
del 1992 in diverse città europee e che hanno
visto una grande partecipazione di cittadini.
Assistiamo spesso alla somma di fenomeni
di esclusione che sfocia nella ricerca, già conosciuta dalla storia, del capro-espiatorio.
L'inserimento d i individui in una società moderna sempre più complessa (evoluzione molto rapida delle tecniche, perdita dei punti di
riferimento tradizionali e delle influenze dottrinali) diventa molto difficile. I1 ricorso al
passato come strumento per affermare la propria identità, diventa un rimedio all'impossibilità d'inserirsi senza difficoltà nel terzo millenario. La violenza corrisponde allora al mod o di esprimere un profondo smarrimento
corrispondente al fallimento di un certo numero di strutture sociali.
La disoccupazione che colpisce particolarmente i giovani, e in modo più generale la
gravità della situazione economica anche se
non giustificano la recrudescenza del razzismo, della xenofobia e dell'antisemitismo,
vengono strumentalizzati dall'estremismo di
destra. L'urbanizzazione spesso anarchica e il
degrado delle condizioni di vita nei grandi
centri favorisce sicuramente l'estendersi della criminalità e diffonde un sentimento d'insicurezza. È necessario insistere sul tema dell'insicurezza che è risentita sempre di più dai
cittadini, anche quando non sono le vittime
o i bersagli della delinquenza.
La recrudescenza d i questi fenomeni di intolleranza colpisce particolarmente regioni
che hanno visto l'avvento della democrazia
nei paesi dell'Est. Oltre ai nuovi Lander della
Repubblica federale di Germania, vediamo,
per esempio, che nel novembre 1992 mentre
l'opinione ungherese si preoccupava dell'aumento d i un clima d i intolleranza, il tribunale
di Budapest, ha condannato 48 skinheads accusati di aver aggredito degli zingari e degli
stranieri.
La globalizzazione dei fenomeni economici
e sociali, che ignorano la realtà delle frontiere
fisiche, richiama l'emergenza di una società
multietnica. L'Europa comunitaria deve dunque evolvere in un clima di tolleranza e d i
comprensione reciproca. Lo sviluppo d i una
società multiculturale europea non nega per
niente la storia e la realtà delle nazioni europee. Richiama ad una applicazione più rigorosa d i legislazioni che reprimano la violenza e
tutte le sue articolazioni.
Gli Stati membri dovranno impegnarsi in
una riflessione sui modi d i accesso alla nazionalità. La costruzione di una cittadinanza europea.deve, al riguardo, non essere compresa
solo come la coesistenza o la somma d i nazionalità già esistenti.
Si deve evitare che in tale contesto si assista all'esclusione di popolazioni fragili in nome di un concetto discriminatorio dell'attribuzione dei diritti. L'origine o l'appartenenza nazionale non possono più, in avvenire,
creare una distinzione rispetto alla protezione giuridica concessa agli uni ed agli altri.
Definizioni
Razzismo
Si ritiene che la definizione del razzismo
fornitaci nel rapporto della .prima Commissione di inchiesta sia tuttora valida e anche in
questa occasione facciamo nostro il giudizio
espresso dalla Conferenza generale dell'UNESCO del 27.11.1978 nella dichiarazione
su «Razza e pregiudizio razziale» dove si sostiene: «Ogni teoria che asserisca la superiorità o l'inferiorità intrinseca di un gruppo razziale o etnico conferendo così agli uni il diritto di dominare e d i eliminare gli altri ritenuti
inferiori, ovvero che fondi i propri giudizi d i
valore su una differenza razziale, è priva di
ogni fondamento scientifico e contraria ai
principi morali ed etnici dell'umanità».
Sono pertanto d a condannare sul piano
morale ogni atto d i violenza e di intollerenza
razzista contro cittadini diversi per razza, nazionalità o religione.
Va inoltre sottolineata la insidiosità e pericolosità di tesi che si rifanno al «revisionismo
storico» secondo cui l'Olocausto non sarebbe
mai esistito, facendo leva sull'affievolirsi della memoria storica tra le diverse generazioni
anche per la progressiva scomparsa dei testimoni di quella immane tragedia.
Xenofobia
La xenofobia che, in linea generale, può
definirsi come la paura irrazionale nei confronti dello straniero, merita una particolare
riflessione, soprattutto per quanto riguarda le
cause che la generano.
Ciò si rende necessario per il diffondersi di
atteggiamenti xenofobi nelle popolazioni della Comunità come si rileva d a diversi indicatori d'opinione e comporta un approfondimento delle cause che li determinano e che si
possono riassumere in un senso diffuso di insicurezza e una psicosi d i paura dell'individuo che lo inducono ad evitare e a respingere
tutto ciò che è straniero o semplicemente «diverso», tutto ciò che può essere configurato
come una minaccia.
Lo spettro della disoccupazione, l'aggravamento dei problemi sociali, il persistere delle
ingiustizie, la miseria, l'ignoranza e, in generale, la mancanza di certezze spingono l'individuo alla diffidenza nei confronti dell'altro.
Tutti questi motivi costituiscono un terreno
fertilissimo per il proliferare del seme della
xenofobia e del pregiudizio razzista che può
essere demagogicamente sfruttato dai gruppi
dell'estremismo di destra che si prefiggono
un nuovo ordine ispirato a modelli antidemocratici e totalitari.
Per combattere efficacemente la recrudescenza del razzismo e della xenofobia si deve
perciò agire con maggiore determinazione
sulle cause che originano tali fenomeni, dissipando a livello individuale e collettivo il senso di insicurezza, di precarietà e d i mancanza
d i protezione derivante da una società confusa, chiusa e impreparata alle nuove sfide che
le si presentano in questo momento storico.
Non possiamo pensare di risolvere i problemi eludendoli o demonizzandoli, ma rispondendo positivamente alle spinte che in
termini contradditori agiscono nella società.
Occorre perciò mettere in cantiere, da parte
delle istituzioni comunitarie e degli Stati
membri, politiche coerenti e coordinate che
preparino l'individuo alla realtà che lo circond a ridandogli la fiducia e la sicurezza. Solo in
tal modo sarà possibile evitare la crescita di
sentimenti di intolleranza che possono sfociare a livello collettivo in forme violente di sovversivismo antidemocratico.
Estremismo di destra
I1 relatore ritiene che siano tuttora valide
le argomentazioni utilizzate per definire la
COMUNI D'EUROPA
GIUGNO 1993
nozione di «fascismo» contenute nella relazione Evrigenis, soprattutto nella parte conclusiva dove il fascismo veniva definito come:
«un atteggiamento nazionalista sostanzialmente ostile ai principi della democrazia rappresentativa, del primato del diritto e dei diritti e delle libertà fondamentali, nonchè una
esaltazione irrazionale di una comunità nei
confronti della quale vengono operate esclusioni e discriminazioni sistematiche. Tale atteggiamento si manifesta sul piano delle idee,
del discorso, dell'azione e degli obiettivi».
Le novità che si possono cogliere anche alla
luce delle azioni di violenza registratesi con
particolare virulenza nel corso del 1992, evidenziano l'espansione di movimenti o gruppi
di estrema destra che non necessariamente si
richiamano alllideologia fascista con un preciso riferimento storico politico ai regimi formatisi negli anni '20-'30 in Europa.
Questi movimenti o gruppi organizzati si
connotano oltre che per la pratica violenta
del loro agire, per una forte caratterizzazione
«antisistema» consistente nel rigetto violento
della democrazia, delle sue forme politiche ed
istituzionali di rappresentanza e delle sue regole di funzionamento.
I1 fatto che si tratti di gruppi estremisti di
recente formazione, con un non alto numero
di aderenti e che utilizzano sigle il più delle
--
Berlino, maggio 1933: il rogo dei libri alla Staatsoper
stinzione dei partiti tradizionali di estrema
destra che evidenziano riferimenti ideologico-simbolici del fascismo e del nazismo da
quelli che manifestano soprattutto una attitudine antisistemica.
Vanno inoltre meglio approfonditi i programmi e i comportamenti pratici al fine della
loro collocazione politica, dei nuovi movimenti separatisti o di identificazione nazionalista o etnica.
Applicazione delle raccomandazioni
del Parlamento Europeo
volte quasi sconosciute non fa venir meno la
loro pericolosità politica. Si deve constatare
che in molti casi tali gruppi possono contare
sia su una adesione di settori non trascurabili
di opinione pubblica soprattutto nell'area del
disagio giovanile, sia su atteggiamenti che
giustificano le loro azioni violente soprattutto contro i cittadini extracomunitari.
Né vanno sottovalutati i loro collegamenti
organizzativi che li porta ad essere non un
movimento «spontaneo», ma gruppi sempre
più «strutturati» sul piano organizzativo.
Nell'identificare e definire i partiti e i
gruppi che agiscono nell'ambito dell'estremismo si rende sempre più necessaria una diGIUGNO 1993
C i consta che parecchie raccomandazioni
non hanno avuto seguito. Il Parlamento europeo si è pertanto pronunciato numerose volte
sulla lotta contro il razzismo e la xenofobia.
L'allegato 1 riprende le principali risoluzioni
già adottate e, a sostegno del testo votato il
30 ottobre 1992, le raccomandazioni essenziali indirizzate al Consiglio, alla Commissione e agli Stati membri. Ne ricorderemo qui di
seguito alcune.
La Comunità non ha sempre aderito ai testi fondamentali relativi ai diritti dell'uomo
(Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali; Convenzione delle Nazioni Unite sulla soppressione di tutte le forme d i discriminazione razziale). I1 Parlamento europeo è sempre in attesa di una raccomandazione della Commissione al Consiglio sul ruolo che l'insegnamento
può svolgere a favore della prevenzione e della repressione del razzismo e della xenofobia.
Traendo conoscenza dalla tragedia della seconda guerra mondiale e dall'aumento dei pericoli degli anni '30, l'impresa di costruzione
europea si basa innanzitutto sul perseguimento della pace ed il rispetto dei principi democratici. I n quest'ottica, la lotta contro il razzismo e la xenofobia dev'essere imperniata,
conformemente alle raccomandazioni delle
precedenti relazioni, sulla prevenzione degli
atti violenti che ad essi si ispirano, sulla repressione dei colpevoli e la protezione delle
vittime.
La Commissione ha elaborato un documento di lavoro sulle legislazioni nei vari Stati membri in materia di lotta contro il razzismo, la xenofobia e l'antisemitismo. Dobbiamo riaffermare in merito, che l'adesione alla
Comunità dovrebbe essere condizionata dall'adozione e dal rispetto di tali legislazioni.
C
Difesa dei valori democratici nello
spirito dei trattati
Le istanze comunitarie ed in particolare il
Parlamento europeo in quanto istituzione dotata di piena legittimità democratica hanno il
precipuo dovere d i vigilare al pieno rispetto
dei valori democratici e sono tenuti a combattere tutte le tendenze e i movimenti sovversivi suscettibili di rappresentare una minaccia per la democrazia, i suoi valori e per
i diritti fondamentali dell'individuo.
La Comunità infatti, nata come organizzazione economica, ha sin dall'inizio avuto l'obiettivo di diventare un'unione politica e
questa sua vocazione fa sì che anche nei trattati originari - sia pure in forma non esplicita - ritroviamo riferimenti a taluni valori
democratici e alla tutela dei diritti fondamentali. Questo deficit iniziale dei trattati è stato
man mano in parte colmato. Nel preambolo
dell'Atto unico leggiamo che gli Stati membri
«decisi a promuovere insieme la democrazia
basandosi sui diritti fondamentali sanciti dalle Costituzioni e dalle leggi degli Stati membri.. .D, «consapevoli della responsabilità che
incombe all'Europa d i adoperarsi per parlare
sempre più ad una sola voce e per agire con
coesione e solidarietà al fine di difendere più
efficacemente i suoi interessi comuni e la sua
COMUNI D'EUROPA
indipendenza, nonché di far valere i principi
della democrazia e il rispetto del-diritto e dei
diritti dell'uomo.. .».
Inoltre ricordiamo che l'adesione alla democrazia rappresentativa è una condizione
indispensabile per qualsiasi paese sia per candidarsi ad entrare nella Comunità che per rimanervi. Infatti nei Pareri della Commissione relativi alle domande di adesione - pareri
che fanno parte integrante degli Atti di adesione - leggiamo: «considerando che i principi di democrazia pluralista e di rispetto dei
diritti dell'uomo fanno parte del patrimonio
comune dei popoli riuniti nelle Comunità europee e costituiscono pertanto elementi essenziali dell'appartenenza a dette Comunità...».
Infine l'articolo F (p. l e 2) del Trattato di
Maastricht recita: « l . L'Unione rispetta l'identità nazionale dei suoi Stati membri, i cui
sistemi di governo si fondano sui principi democratici.
2. L'Unione rispetta i diritti fondamentali
quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle libertà fondamentali.. . e quali risultano
dalle tradizioni costituzionali comuni degli
Stati membri in quanto principi generali del
diritto comunitario».
In questo contesto ci sembra opportuno rilevare che il Trattato di Maastricht istituisce
all'art. 8 la cittadinanza dell'unione. È evidente che il concetto di «cittadinanza europea» implica che accanto all'insieme dei diritti e doveri del cittadino verso il proprio ordinamento nazionale nascono una serie di diritti e doveri del cittadino verso l'ordinamento
comunitario. Questi diritti e doveri non sono
il semplice trasferimento dal piano nazionale
a quello comunitario di uno «status» del cittadino. In realtà, la cittadinanza comunitaria si
aggiunge a quella nazionale così come l'ordinamento comunitario cogente o di altro tipo
si aggiunge agli ordinamenti e alle normative
nazionali.
Per quanto riguarda il tema oggetto della
presente relazione, si tratta di porre in essere
forme di «tutela comunitaria» per «questioni
comuni» agli Stati membri che non trovano
più adeguata protezione (efficacia) sul piano
nazionale.
Del resto l'esistenza di una linea di bilancio per la lotta contro il razzismo e la xenofobia dimostra che, di fatto, è già riconosciuta
una reale competenza comunitaria in materia.
In concreto, combattere ogni sorta di
estremismo per difendere la democrazia e stimolare l'adozione di misure a livello comunitario per lottare contro il razzismo e la xenofobia, rientra oggi, a nostro avviso, in una
corretta applicazione del principio di sussidiarietà inteso come necessaria e dinamica attuazione a livello comunitario di azioni complementari e aggiuntive a quelle degli Stati
membri al fine di realizzare in modo più soddisfacente gli obiettivi enunciati dal Trattato, in particolare quelli previsti agli artt. 8A8E del Trattato di Maastricht.
Questo orientamento rientra, a nostro avviso, anche nello spirito delle dichiarazioni su
tale tema fatte 1'11-12 dicembre 1992 ad
COMUNI D'EUROPA
Edimburgo dal Consiglio europeo che, tra
l'altro, ha chiaramente espresso viva preoccupazione «per l'intensificarsi di episodi di intolleranza in Europa» e si è dichiarato convinto che «allo scopo di combattere tale fenomeno debbano essere prese in tutta l'Europa
misure vigorose ed efficaci tanto sul piano
dell'educazione che su quello legislativo».
Ciò ci trova pienamente concordi in quanto riteniamo che interventi nel campo dell'educazione, della formazione professionale e
della cultura mediante programmi di sostegno, di incoraggiamento e di informazione,
sono basilari nella lotta contro il razzismo e
la xenofobia.
La necessità di rafforzare la lotta contro il
razzismo e la xenofobia è stata anche chiara-
bile degli strumenti giuridici e dall'altro sul
ruolo fondamentale dell'educazione e dell'informazione.
Azioni sul piano giuridico e istituzionale
Si ribadisce la necessità di una armonizzazione delle legislazioni da parte degli Stati
membri che permetta di combattere più efficacemente il razzismo e I'estremismo politico
antidemocratico, con l'adozione di norme più
rigorose sul piano giudiziario e con provvedimenti più restrittivi nei confronti di gruppi e
associazioni le cui finalità siano quelle dell'incitamento all'odio razziale, religioso o etnico.
Insistere affinchè nell'azione più generale
Germania, aprile 1933, prime violenze antisemite
mente espressa in numerose dichiarazioni tra
cui ricordiamo le dichiarazioni congiunte
adottate dal Parlamento europeo, dal Consiglio e dalla Commissione nel 1977 e nel 1986
nonchè quella adottata dal Consiglio europeo
di Maastricht .
All'affermazione dei diritti fondamentali
ha fortemente contribuito anche la giurisprudenza della Corte di Giustizia che, sin dal
1969, ha affermato che i diritti fondamentali
rientrano nei principi generali del diritto comunitario di cui essa è garante.
L'azione comunitaria di vigilanza della democrazia e dei diritti dell'uomo va esercitata
dalla Comunità anche per quanto riguarda i
rapporti che essa ha con i paesi terzi. Infatti
ogni volta che la Comunità conclude accordi
internazionali e svolge quindi UII ruolo che
non è solo economico, deve tener conto di fenomeni e atti che, nei paesi terzi, possono
configurare una lesione dei diritti fondamentali.
Azioni
Le politiche che sono descritte di seguito
insistono, da un lato, sull'esplorazione possi-
contro il razzismo e la xenofobia per alcuni
aspetti specifici e compatibilmente con il
principio della sussidiarietà, sia prevista una
competenza comunitaria del problema. A tale
proposito si dovrà prevedere un gruppo di lavoro ad hoc nell'ambito dei lavori preparatori
per la revisione del Trattato di Maastricht
prevista per il 1996.
Data la persistenza e la dimensione europea del fenomeno è assolutamente necessario
che un Commissario sia incaricato delle questioni attinenti la cittadinanza europea e specificamente agli «Affari razziali».
La realizzazione degli obiettivi del Trattato di Roma e dell'Atto Unico (art. 8A), in
conformità con la Convenzione d'applicazione degli accordi di Schengen, non deve dar
adito a manifestazioni discriminatorie nei
confronti dei «non nazionali». L'adozione
con questo spirito, di uno «Statuto di residente» ci pare obbligatoria.
Al fine di combattere più efficacemente la
discriminazione razziale ed etnica anche in
paesi esterni alla Comunità vanno previste
delle clausole specifiche negli Accordi di cooperazione e soprattutto di associazione stipulati dalla Comunità con i paesi terzi.
GIUGNO 1993
seconda Repubblica?
Azioni sul piano educativo, sociale e
informativo
(segue do pug.
L'inserimento nei programmi scolastici di
corsi di educazione civica e storica di ispirazine europeista, elaborati dagli Stati membri e
dalle regioni, permetterebbe di creare un primo spazio di lotta contro l'intolleranza. La
Commissione potrebbe proporre un programma, nell'ambito del quale gli Stati membri offrirebbero alle istituzioni scolastiche e universitarie, la possibilità di aderire ad una
campagna di lotta contro il pregiudizio razziale, la xenofobia e l'antisemitismo.
Lottare contro il razzismo e la xenofobia
non può e non dov'essere la prerogativa dei
soli poteri pubblici comunitari o nazionali. I
partners sociali (sindacati, imprese, associazioni) dovrebbero contribuire con iniziative
appropriate all'integrazione dei soggetti a rischio vittime di atti di violenza o comunque
ispirati da atteggiamenti razzisti o xenofobi.
La formazione professionale è un vettore
di comunicazione che può mettere l'accento
sul ruolo che svolgono gli emigrati per quanto
riguarda lo sviluppo della ricchezza nazionale, ciò troverebbe interlocutori particolarmente attenti soprattutto nei luoghi di lavoro
dove sono presenti lavoratori emigrati.
Favorire una riflessione sulla deontologia
dell'informazione di fronte agli episodi di
violenza politica e al diffondersi di fenomeni
di razzismo. La libertà di espressione e la libertà della stampa, per le quali il Parlamento
europeo ribadisce il suo particolare attaccamento, non possono svilupparsi senza sensi di
responsabilità e senza condanna dei loro
abusi.
A questo proposito va ribadita l'importanza del ruolo che possono svolgere i mezzi di
comunicazione nella diminuzione del pregiudizio razziale e nello sviluppo di rapporti
umani più solidali.
Svolgere un nuovo studio demoscopico attraverso Eurobarometro per un aggiornamento delle tendenze e sullo stato delle relazioni
tra le diverse comunità, con particolare attenzione alle aree geografiche dove maggiormente si sono registrati fenomeni di risorgenza
razzista e xenofoba.
La presentazione annuale al Parlamento
europeo da parte della Commissione di un insieme di programmi, azioni e imprese per la
lotta contro il razzismo, xenofobia e antisemitismo deve diventare una scadenza obbligatoria.
La predisposizione di una relazione annuale sullo stato delle spese, la realizzazione di
programmi e l'evoluzione dei fenomeni dovrebbe essere assicurata dalla competente
commissione per le libertà pubbliche e gli affari interni.
Dichiarare il 1994 «Anno europeo della
concordia tra le comunità», prevedendo l'organizzazione di conferenze e manifestazioni
aventi per oggetto la lotta al razzismo e al
pregiudizio razziale, alla xenofobia e all'antisemitismo e per la promozione di nuove forme di tolleranze e di solidarietà tra popoli ed
etnie differenti.
m
GIUGNO 1993
2)
te esemplari o innovative. In questo senso è quasi un luogo comune Gaspare Ambrosini e lo studio, in particolare della Costituzione austriaca
(kelseniana) e di quella spagnola repubblicana;
d'altra parte è altrettanto banale ricordare la circolazione presso di noi, in quel tempo, di «Les
costitutions de l'Europe nouvelle~del MirkineGuetzevitch (più tardi edito in italiano e tradotto da Sergio Cotta, nelle edizioni di Comunità).
Questa ispirazione - direi questa aspirazione
fondamentale alla democrazia sovranazionale
- rimane il dato di partenza vivo e vitale della
Repubblica: che non impedisce di rilevare i difetti, anche gravi che si sono poi riscontrati nella
Costituzione (ma una parte di responsabilità va
addebitata a quelle incrostazioni e interpretazioni «discutibili» - dovute al mondo politico,
che correva parallelo -, formanti la cosiddetta
Costituzione materiale). Ebbene, uno degli
aspetti negativi, ad avviso di parecchi, di intere
correnti politiche e10 scientifiche e - per non
nascondermi - mio, è il fallimento, nella pratica e nella teoria, del cosiddetto Stato regionale,
intermedio tra l'unitario e il federale (è la definizione dello stesso Ambrosini). Se il potere dato alle Regioni è fittizio, il sistema non è affatto
intermedio tra l'unitario e il federale; se si dà un
largo, larghissimo potere alle Regioni senza gli
altri accorgimenti federali, si ha un sistema
anarchico, con scarsa soddisfazione della stessa
autonomia territoriale: il sistema federale - lo
Stato nazionale federale - dà ben altre garanzie
ed è ben altrimenti razionale. Prendiamo la Federazione tedesca (Bonn): le Regioni-Stati federati (i Laender) confluiscono nel Bundesrat; si
controllano e si equilibrano spontaneamente, in
un ordinamento trasparente; si confrontano
complessivamente col Bundestag, cioé con l'espressione democratica del potere centrale; la
massima autonomia finanziaria di tutti gli Enti
territoriali è compensata, ai fini della capacità
per tutti di adempiere ai compiti di istituto, dal
federalismo fiscale; infine (e a questo non molti
riflettono) la maggioranza dei membri del Consiglio di Amministrazione della Bundesbank
- la banca federale, che gestisce la moneta è designata dai Laender.
Ma anche rimanendo allo Stato cosiddetto regionale, I'AICCRE ha costantemente criticato
- dagli anni '50 - l'art. 11 7 e connessi della
Costituzione, che ha attribuito alle Regioni alcune singole materie e non altre - impedendo
una coerente programmazione economica, una
coerente politica dell'occupazione, una simultanea pianificazione del territorio che abbia una
incidenza reale -. Ma i difetti della Costituzione sono conosciuti da tempo e non c'è da meravigliarsene ora: un parlamentarismo che non si
preoccupa della stabilità dei governi (ma che poi
nella pratica non è stato néanche rispettato, con
le crisi di governo extraparlamentari); un articolo 49, che conferisce poteri costituzionali ai partiti politici, ma che poi non li definisce e non
li limita, riferendosi a un «metodo democratico» che non è chiaro di che genere sia e, soprattutto, se debba essere rispettato all'interno e10
all'esterno dei partiti stessi; eccetera. Se dunque
per seconda Repubblica si intende una correzione anche radicale dei difetti, non ci scandaliz-
ziamo: ma quel che ci interessa è che dell'avventu della Repubblica rimanga, anzi si sviluppi lo
spirito europeo e federalista con cui è nata. Ipolitici e gli opinion makers, che affrontano il terreno delle riforme in Italia, si rendono conto di
questo quadro irrinunciabile? Sembra invece
che il provincialismo e le scorribande un po' casuali nelle esperienze di altri Paesi prevalgano,
anche con atteggiamenti saccenti e di noia per
questi «abusati e astratti vincoli ideali». Allora
sarà bene che ci spieghiamo chiaramente, come
abbiamo promesso, sul federalismo.
L'obiettivo dell'unità europea non è un evento casuale ed eccezionale, verificatosi nel nostro
continente per certe particolari contingenze.
Certo, talune contingenze ne hanno determinato
l'accentuazione o l'accelerazione: l'utilità di
una conciliazione -finalmente - tra Francia
e Germania, la coesione contro la minaccia dell'imperialismo sovietico, l'orgogliosa rivendicazione di un umanesimo che si opporrebbe
all'iper-tecnologismo americano imperversante
(ma attenzione a non cadere nelpeggior Heidegger o di ignorare, semplicemente, le pagine di
Tocqueville o di B yce). .. Ma è da ciechi il non
avvedersi che con gli aspetti sempre più terribili
della guerra -fino all'atomica e, ora, alla chimica e alla biologica -, con la nascita, la crescita e la decadenza del colonialismo e la simultanea insorgenza del villaggio globale, con la
sempre maggiore internazionalizzazione dell'economia, la bomba demografica, la scoperta dei
limiti dello sviluppo, addirittura con un frequente distrarsi guardando «tecnicamente» agli
altri pianeti e alle stelle, si è posto come impellente il problema dell'ordine mondiale. Si sono
fatti in tal senso tentativi razionali e tentativi
aberranti, si sono avute reazioni difensive da
parte delle tradizioni particolari minacciate, degli integralismi religiosi, dei purismi linguistici,
dell'orgoglio di bandiera, dunque il nazionalismo, e poi il razzismo, il micronazionalismo, la
(pulizia etnica». Insomma l'umanità sta vivendo un processo di vita o di morte.
e
In questo frangente, a cominciare dalla fine
del Settecento, e poi in tutto il secolo XIX, e ora
più decisamente dopo le distruzioni di due conflitti mondiali, si è fatto avanti il federalismo,
con due caratteristiche irrinunciabili: la c0ns.t~tazione dell'interdipendenza di tutti i popoli e
dell'unità della casa, la Terra (col suo ecosistema), e la necessità di darsi alcune regole o leggi
comuni e anche un comune centro decisionale
(il governo mondiale e tutti i governi sovranazionali: la lentezza e I'incertezza del negoziato
diplomatico e il tentativo di vivere nel precario
dell'equilibrio hanno fatto il loro tempo); per
contro il pericolo dell'omogeneizzazione fonosa del mondo, la perdita di ogni individualità di
gruppo, di ogni valore storico, per dirla brutalmente quel «mondo nuovo» descritto con amaro umorismo dalla geniale favola di Aldous
Huxley (1932). Il federalismo - l'unità nella
diversità, l'autonomia e la solidarietà, il principio di sussidiarietà (adoperato in buona fede) è la soluzione razionale del terribile processo in
corso. Si è presentato e si'presenta sotto diversi
climi - di natura e politici -: l'unica alternativa definitiva è il disastro dell'umanità, l'anarchia planetaria armata.
Le discussioni sulla seconda Repubblica (italiana) procedano pure: perchè no? Ma guai a di-
menticare il quadro generale e a lasciarsi seduwe
da un realismo cretino: «L'Europa e la sua unità? una prospettiva illanguidita. La democrazia
sovranazionale? chiacchiere. Il federalismo?
scherziamo?». Realizzare il federalismo, dal
quartiere urbano e dal villaggio rurale al mondo
intero, è, se va bene, la storia futura, prossima
o meno prossima: ma noi dobbiamo giuocare
consapevolmente h nostra piccola parte e renderci conto che non è vero che il reale è razionale, ma è vero che il razionale è reale. Scusate il
rozzo bisticcio, che potrebbe costarmi l'insufficienza all'esame di filosofia con un hegeliano
pignolo. Ma ormai è ben più di mezzo secolo
che non dò questi esami - quelli del libretto
universitario -, perchè me ne toccano di più
difficili.
U.S.
I partiti europei
(segue
da pag. 2)
battere scottanti contenuti attuali di politica
europea, con soluzioni alternative, che prescindano da come gli stessi problemi si riflettono
nelle singole angolature nazionali. I1 che non
vuol dire che saranno impostazioni generiche,
tutt'altro, ma che entro ciascun programma bianco, azzurro, verde, rosa, rosso - si rifletteranno tutte le esigenze del territorio e della
gente, confluendo in sintesi, che sarebbero le
stesse espresse da un esistente Governo europeo. Insomma c'è bisogno non di insignificante
omogeneità, ma di Europa, cioè di programmi alternativi «per l'Europa» - dato per scontato che l'Europa, prima o poi, porti a risultati positivi, come tale, per tutti -.
Ma subito? Ecco, il discorso fin qui fatto
sembra portarci a un circolo vizioso (non c'è
un buon Parlamento Europeo senza partiti
europei, ma non emergono autentici partiti
europei se non c'è un Parlamento Europeo a
cui risponde un Esecutivo federale, e questo
complesso non nasce se non ci sono partiti europei che conducano una coerente campagna
elettorale europea, eccetera, eccetera): bisogna dunque rompere il circolo vizioso.
Sono anni (almeno 29, dagli Stati Generali
del CCRE a Roma, nel 1964) che noi sottolineiamo l'esigenza e la possibilità di un fronte
democratico europeo. Sul terreno della democrazia federale, sovranazionale, si debbono ritrovare tutte le formazioni politiche e
culturali, tutte le forze sociali, che non si ispirino al nazionalismo (macro e micro), al razzi-
smo, alla «pulizia etnica», all'anarchia secessionista, potenzialmente armata, cioè vòlte a
preparare la fine del mondo. I1 federalismo
- che è fatto insieme di autonomia e di solidarietà e deve procedere all'insegna della tolleranza o, meglio, dell'intercultura, dell'ecumenismo, della comprensione umana - non
ha alternative: in questo senso la piccola Europa, la grande Europa, il Mondo sono inseriti in un processo necessario per la ragione,
anche se non di sicuro successo: può darsi che
facciamo la fine dei dinosauri, ma per colpa
nostra, non della Natura. Ma non è detto poi
che di quale Europa federata si tratti sia fuori
discussione: anzi, questo discorso è quanto
mai aperto.
I1 fronte democratico europeo nascerà, può
nascere anzitutto da tutte quelle forze che
«sono federaliste e non lo sanno». Più volte
in questi decenni abbiamo predicato che il
vecchio Movimento Europeo se ne faccia l'ostetrico, mentre all'unione europea dei fede-ralisti abbiamo raccomandato - con scarso
successo, finora - di fornirgli i «quadri». I
verdi, gli antirazzisti, i movimenti volontari
umanitari, i fautori di una migliore qualità
della vita, i fautori di una assai maggiore partecipazione popolare alle istituzioni, quindi i
fautori di una urbanistica disegnata per gli
uomini e non per la speculazione fondiaria, i
credenti di tutte le religioni e i liberi pensatori che vogliamo restare liberi.. . Ma qualsiasi
elenco è riduttivo: soprattutto non vogliamo
demagogicamente escludere tutti i liberaldemocratici, i cristiano-sociali, i socialisti, che
non si siano lasciati chiudere nelle gabbie nazionali delle loro belle idee, e così i sindacati
che guardino più alla miseria e alla emarginazione che ai lavoratori privilegiati, gli imprenditori che abbiano una concezione democratica del mercato (questo è un discorso tutto da fare, magari con la collaborazione di
Galbraith).
Un embrione sperimentale del fronte democratico lo mostrammo a Roma, in Campidoglio, nel dicembre 1990, con la Convenzione europea per l'Unione democratica: esso dimostrò quanto potevano e possono fare sinergicamente le componenti della cosiddetta
«forza federalista» (Movimento Europeo,
UEF, CCRE, AEDE, ecc.), cioé quanto possono promuovere e coordinare nella società,
solo che lavorino strettamente collegati e con
una chiara strategia comune. Un fronte democratico comune, senza dubbio: ma poi con
le elezioni europee - ecco il punto - la sua
articolazione nelle diverse ipotesi di governo
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COMUNI D'EUROPA
europeo. Avremo diverse opzioni sui contenuti, tutti a reale dimensione europea: da
parte sua il fronte come tale appoggerà in generale candidati e poi parlamentari federalisti, taglierà le gambe - nei loro stessi collegi
- agli altri. Bloccherà soprattutto i ritorni di
fiamma delle burocrazie dei partiti nazionali.
Come avvenne in piccolo per la Convenzione europea, del '90 - e lo sa chi ne portò
avanti la preparazione -, così può essere in
grande nella preparazione delle elezioni europee, un disegno siffatto sembrerà megalomane e astratto a molti opinion makers e troverà
le mille ostilità: ma il successo può essere viceversa straordinario. Straordinario ma basato su una virtù che non si insegna: la fede nel
successo e - prima di questo - nelle proprie
idee.
Ma i partiti europei non possono che nutrirsi di società europea: il resto è veramente
fantasia. E il crescendo rossiniano si potrà
constatare - cioè la grande accoglienza popolare - quando si parlerà di Federazione
europea chiaramente; quando non si pretenderà di fare l'Europa di nascosto, senza che
gli avversari se ne accorgano. I1 compromesso
di Maastricht - figlio tipico di un7Europa
concordata dai governi nazionali e «dosata»
dai diplomatici - ha fatto calare 1'Eurobarometro e ha creato una strana alleanza fra i nazionalisti e i delusi da una Europa senza connotati ideali. Siatene sicuri: la grande maggioranza degli europei - una maggioranza silenziosa? - è per gli Stati Uniti d'Europa:
quelli autentici, quelli seri, quelli giusti.
Quelli, forse soprattutto, che con una Europa
federata si rivolgono al Mondo intero, per organizzare più giustizia, più libertà, più pace,
più rispetto di questo «pover'uomo».
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