PREMESSE AL DIALOGO EPISTOLARE DI I.G. CON ANDREOTTI
Il Senatore Giulio Andreotti, più volte Presidente del Consiglio, è “un personaggio
di casa” Gabrielli. Infatti è stato grande amico del cugino Diego de Castro. Prima
della guerra Diego era ospite a Roma del “Commendator Falasca”, in Via di Parione.
Andreotti era parente dei Signori Falasca ed incontrava spesso Diego. La
frequentazione è poi continuata quando Andreotti faceva il delfino di De Gasperi e
Diego il suo consigliere (“L’istriano ragionevole”) per gli affari del Confine
Orientale. Ho tenuto un lungo scambio di lettere con Andreotti. Ecco le sue parole
in una sua lettera veramente sorprendente del 2002, scritta autografa, per l’apprezzata
deferenza nei miei riguardi.
<<Chiederò al Ministro degli Esteri elementi per ricostruire sia Osimo che il
dopo Osimo, nelle mie carte non ho pagine che illuminino in proposito.>>
Gli avevo domandato in che cosa fossero consistite le pressioni ”alleate” per
ratificare Osimo, di cui parlavano sia l’on. Corrado Belci in un suo libro che lui nella
Prefazione allo stesso.
Non mi ha dato nessun chiarimento nelle successive lettere. Ora, essendo entrambi
sui 90 anni, tento di svelare il mistero. Gli ho scritto in data 25 aprile 2009 una lettera
a stampa con le Premesse ed una autografa (qui riportata a stampa), in cui ripeto la
domanda. Gli ho allegato il mio libretto: ”Dove l’Italia non poté tornare” e due
lettere del Vescovo Santin, con monito a non ratificare Osimo, che allego anche qui.
Nel libretto gli ho scritto questa dedica: “Al Presiedente Andreotti la sintesi dele
vicende al confine Orientale fallimentarmente subìte da tutti i Governi italiani.
Veda alle pagine 35-37 i cedimenti di Osimo ed il monito rivoltoLe dal vescovo
Santin di non divenirne responsabile. – Doverosamente –Trieste, 25 aprile
2009 - Italo Gabrielli”
Mi sono naturalmente impegnato ad aggiungere nel Sito la Sua risposta.
Da sempre lotto civilmente per ripristinare la Verità contestata “dai tiranni di fuori
e dai vigliacchi di dentro”.
Chi ha voglia legga il seguito.
I.G.
• **
Italo Gabrielli
Viale Terza Armata 17
34123 TRIESTE
tel e fax 040-305112
e.mail: [email protected]
Lettera Aperta Raccomandata
Trieste 25 aprile 2009
On. Senatore
Giulio Andreotti
Senato della Repubblica
Palazzo Madama
00186 ROMA
PREMESSE ALLA LETTERA AUTOGRAFA
Egregio Presidente,
Nato a Pirano d’Istria il 26 gennaio 1921, “a riposo” dalla mia vita di fisico sperimentale
dal 1991, mi dedico a salvare per i posteri la storia del confine orientale dalle falsificazione
dei negazionisti e dei riduzionisti delle violenze slave contro gli italiani. È necessario che la
verità sia conosciuta.
Conservo un raccoglitore con la nostra cordiale corrispondenza.
Rileggo oggi la Sua lettera datata il 12 ottobre del lontano 2002, che mi ha fatto l’onore
di scrivere autografa. A questa ho risposto il successivo 17 ottobre. Le ho scritto anche
successivamente.
Le avevo chiesto chi avesse spinto l’Italia, dopo 30 anni dalla sconfitta, a riconoscere ad
Osimo la sovranità jugoslava sulla Zona B. Lei mi ha scritto: <<Chiederò al Ministero
degli Esteri elementi per ricostruire sia Osimo che il dopo Osimo, nelle mie carte non
ho pagine che illuminino in proposito.>> Poi si propone “approfondimenti all’O.S.C.E.”,
garante “dei diritti umani”.
Nei successivi scambi di corrispondenza non ho mai avuto notizia dei risultati di dette
ricerche. Non capivo e non capisco come Lei possa aver “rimosso freudianamente” un
evento non secondario della Sua attività politica, la ratifica del Trattato di Osimo, che ha
dato a quello che era un pezzo di carta il potere di regalare a Tito i 527 kmq di territorio
istriano, che il Ministero degli Esteri nel 1974 aveva dichiarato “Terra italiana”. Diego de
Castro mi ha scritto, prima di Osimo: “È perfettamente cretino che uno Stato ceda territori
senza alcuna contropartita”. Poi mio cugino non ha mosso un dito contro quegli Accordi.
Resta un segreto perché non l’ha fatto.
Indubbiamente Lei conosceva la dichiarazioni di Moro e Rumor, del I ottobre 1975,
secondo cui la responsabilità storica del destino della Zona B era affidato a chi avesse
ratificato l’Accordo. Quel giorno al Parlamento si chiedeva intanto l’autorizzazione alla
firma, atto non definitivo.
È poi veramente incredibile che Lei possa aver riconosciuto la sovranità jugoslava sulla
Zona B, violando i diritti di tanti concittadini, che era tenuto istituzionalmente a difendere,
mentre doveva essere già persuaso di quanto ha dichiarato poi in Senato (Rivista “30
GIORNI”, N.10 - ottobre 1995, pag. 29): “Se … si tratta in realtà di spostare determinate
popolazioni … vorrei far notare che questo lo si può fare in una biblioteca, non in una
nazione”.
È veramente incomprensibile che, avendo tale convinzione, Lei, nel 1976-77, abbia
attivamente condiviso con Tito un’operazione simile “contro” i 50.000 italiani della Zona B,
senza operare, come poteva, in quell’occasione di pretesa ristabilita amicizia, per farli
tornare pacificamente a casa, pur sotto altra bandiera, pur cedendo al Dittatore jugoslavo la
Zona B. Per oltre un secolo, dal 1815 al 1918, eravamo vissuti in sicurezza a casa nostra, in
uno Stato di Diritto, sotto un Governo straniero.
Con la ratifica Lei cancellava, con i nostri diritti personali, anche i diritti italiani sulla
Zona B, modesti che fossero. Il punitivo Trattato di pace aveva dichiarato quell’ultimo
lembo dell’Istria non ceduto alla Jugoslavia, i suoi cittadini erano stati garantiti, affidando al
Consiglio di Sicurezza dell’ONU la salvaguardia dei loro diritti: quello di restare a casa
loro, e quello di conservare i beni. Il problema del TLT e la nomina del suo Governatore
erano ancora all’ordine del giorno del Consiglio stesso, fino all’autunno 1977!
Ma per un politico accorto la storia non può partire dal Trattato di pace. Deve tener
conto come si è arrivati a quel compromesso fra “i 4 grandi”. Già i censimenti austriaci del
1900 e 1910 riconoscono una grande maggioranza italiana, superiore anche a quella di
Trieste o di Gorizia, nella futura Zona B del TLT e per tutta la costa occidentale dell’Istria,
da Capodistria a Pola e fino ad Albona e Fianona. Le tre Delegazioni occidentali, inviate
nella Venezia Giulia nella primavera 1946 dalla Commissione che preparava il Trattato,
avevano proposto tre linee che restituivano all’Italia quanto meno la Zona B. È stato poi
Molotov, tirapiedi di Stalin e ”padrino” di Tito a far prima ritirare i tre “conigli a Parigi” (i
Ministri Byrnes, Benin e Bidault) sulla Linea francese, poi con i loro successivo cedimento
(di tre contro uno!) a trasformare tale linea nel confine occidentale della Jugoslavia per
creare fra Duino e Cittanova il TLT. Alla luce di tale premessa la decisione firmata il 10
febbraio 1947 da 21 Nazioni si configurava già come una grave ingiustizia per l’Italia da
parte dei vincitori, che avevano promesso l’autodeterminazione dei popoli!
Un
coscienzioso statista avrebbe dovuto tenere conto di tutto questo e provvedere a salvare
diritti della popolazione, nel proporre ad un annoiato e distratto Parlamento la vergognosa
ratifica di Osimo, addirittura per alzata di mano al Senato e con la dimostrata mancanza del
numero legale!
Nella ricerca di una giustificazione della Sua perversa azione di Capo del Governo nel
1976-77, tesa a far ratificare Osimo, trovo qualche appiglio nella tuttora perdurante
sovranità limitata dell’Italia.
L’ex deputato Corrado Belci (Trieste – Memorie di trent’anni” - Morcelliana, 1989) a
pag. 180 scrive: “Le pressioni jugoslave, degli Alleati occidentali e della NATO
spingevano in tal senso”. (la definizione giuridica dei confini).
Anche Lei, nella Prefazione a tale libro, uscito nell’ottobre 1989 (prima degli eventi
epocali di qualche giorno dopo) ha scritto: “La funzione della Jugoslavia … acquistò
nuova importanza agli occhi dei paesi occidentali, che premettero per una sollecita
soluzione del contenzioso con l’Italia.”
Per diminuire, di fronte alla Storia, la Sua responsabilità politica, voglia almeno
rivelarci, dopo 33 anni, quali furono tali “pressioni” alleate sul Suo Governo.
Signor Presidente.
Alla soglia dei 90 anni, sento il dovere morale di scriverLe questa lettera. Lascio agli
eredi un nutrito archivio della mia impegnata azione in difesa dei miei compagni d’esilio,
alla quale mi dedico interamente dal 1991, dopo averla iniziata ancora durante la mia vita di
docente e ricercatore di fisica. E vorrei che restasse chiarita una fase importante della nostra
storia, che ha compromesso gli eventi successivi.
Sarebbe stato mio dovere scrivere tutta questa lettera a mano, per ricambiare la Sua
cortesia. Considerando che scriverla in parte a stampa facilita la vita a due cittadini “non più
giovani”, Lei e me, limito l’autografo alla parte più delicata della lettera, quella che ho
atteso anni per scriverLe, ma sento oggi mio dovere farlo.
La prego di leggere con attenzione la parte autografa qui unita.
Con distinti ossequi
F.to Italo Gabrielli
Allegati:
0 - Lettera autografa
1 - Lettera del Vescovo Santin del 5 agosto 1976
2 - Lettera del Vescovo Santin del 5 dicembre 1976
3 - Mia Nota pubblicata il 2 settembre 2002
4 - Mia Nota pubblicata il 24 settembre 2002
5 - Libretto: Italo Gabrielli “Dove l’Italia non poté tornare”
---(NOTA PER IL SITO) Il Libretto reca la seguente dedica autografa:
Al Presidente Andreotti la sintesi delle vicende al Confine Orientale, fallimentarmente
subìte da tutti i Governi italiani. Veda alle pagine 35-37 i cedimenti di Osimo ed il monito
rivoltoLe dal Vescovo Santin di non divenirne responsabile.
Doverosamente
F.to Italo Gabrielli
Trieste, 25 aprile 2009
Alla pagina 37 del libretto è stata sottolineata la frase:
Mons. Santin scrisse il 5 dicembre 1976 al Presidente Andreotti: “Non si doveva e non
si poteva decidere della terra senza interpellare la popolazione. Di ciò i responsabili
non saranno mai assolti.”
COPIA A STAMPA DELLA LETTERA AUTOGRAFA
Italo Gabrielli
al Senatore Giulio Andreotti
Lettera aperta raccomandata
Trieste, 25 aprile 2009
Signor Presidente
Chiedo scusa di scrivere autografa solo questa parte della mia lettera del 25 aprile 2009.
Per meglio capire le seguenti righe, La consiglio di leggere prima la parte della lettera scritta
a stampa.
Oggi, trovandoci avviati entrambi sul Viale del Tramonto, sento, come cattolico,
confortato dalle parole di S. Matteo il dovere di invitarLa a fare un esame di coscienza. Mi
riferisco al capitolo 18 – 15 di quel Vangelo, in cui l’evangelista insegna come uno deve
comportarsi nella ”correzione fraterna”. Prima lo si richiama personalmente in via riservata
- poi con una o due persone - poi ci si rivolge “alla Comunità dei credenti.“ Sento mio il
dovere della ”correzione fraterna”.
Lei conserva certamente nel Suo archivio le suppliche del Vescovo Santin contro la
ratifica parlamentare degli Accordi di Osimo, che Lei pilotava. Precedentemente Le ho
allegato copie di giornali con le frasi più qualificanti del Pastore. Oggi Le allego copia delle
stesse e delle lettere inviate a Lei, affidate personalmente alla fiducia di cui mi onorava il
Vescovo.
Il venerato Pastore è andato pesante con Lei, nella speranza che si rendesse conto della
violenza che i Governi italiani stavano conducendo contro 50.000 pacifici cittadini italiani,
violando una volta di più il loro diritto all’autodeterminazione quando poteva difenderli
dalla perseverante azione sciovinistica di Tito.
Santin Le ha scritto: “Chi lo farà non potrà mai essere assolto.” Era un pesante
monito che arrivava da quella alta cattedra al Presidente del Consiglio “pro tempore”.
A Sua consolazione resta il fatto che solo il Padre eterno condanna o assolve chi si pente,
dove però il pentimento impone ogni possibile riparazione.
Se l’Italia nel 1975-77 non poteva evitare di cedere a Tito la Zona B, tutti i Documenti
Internazionali che impongono il rispetto dei Diritti Umani mettevano i nostri Governi in
condizione di pretendere di concordare contestualmente il nostro ritorno a casa con la
conservazione dei beni, nel preteso spirito di amicizia italo-jugoslava.
Per il Suo carisma di politico di lunga carriera, Lei può ancora esercitare il Suo prestigio
per chiedere una tardiva, ma ancora possibile Giustizia per noi, nella nuova situazione
geopolitica, ai Governi sistematicamente sordi, in riparazione alla Sua pregressa debolezza.
Lei deve rendersi conto di quanta sofferenza ha prodotto nei 50.000 Esuli dalla Zona B e
dei loro eredi, che, dopo 30 anni, in cui l’Italia non aveva perso nessuna guerra, aspettavano
giustizia, anche sulla base delle assicurazioni dei “responsabili”. Lei stesso aveva dichiarato
il 17 gennaio 1973: “Immutata la posizione del Governo italiano, che segue i problemi
attinenti alla sovranità sulla Zona B uniformemente a tale situazione“ (Trattato di pace e
Memorandum, evidentemente nell’interpretazione italiana).
Ho aperto in internet il Sito: “www.italogabrielli.eu”, per testimoniare la mia civile
battaglia. Vi inserirò anche la presente Lettera aperta con gli allegati, in attesa di aggiungere
la Sua risposta. Tutti dobbiamo rispondere di fronte ai posteri delle nostre azioni, nel bene e
nel male, giudicate alla luce della verità e della logica, dove le circostanze politiche del
momento storico possono costituire solo un attenuante.
Pur non potendo spogliarmi della mia veste di esule a vita, tale in quanto vittima della
politica dei “calabrache” di tutti i Governi di Roma dal 1943 ad oggi, mi sento
cristianamente vicino a Lei, accomunato dal lungo periodo di storia condivisa, e quasi uno
di famiglia per la comune amicizia con Diego de Castro.
Attendo fiduciosamente una risposta che contribuisca a giustificare le Sue obiettive
responsabilità storiche.
Con sentiti, distinti ossequi.
F.to Italo Gabrielli
Allegati come da lista
su lettera a stampa
Trieste, 5 aprile 1976 (autografo)
Eccellenza,
alle mie congratulazioni per il felice inizio della Sua opera unisco l'assicurazione della
mia preghiera, perché possa affrontare con frutto la grande impresa, alla quale si è accinto.
Ad aiutarla anche con qualche parola, visto che ha detto che uno dei primi atti - con tutti i
formidabili impegni che gravano su di V. E. -, sarà il trattato di Osimo, vorrei pregarLa di
riflettere con molta attenzione sul problema.
Lei sa che il trattato di pace causò grave pena a De Gasperi. Egli più volte affermò che
non l'avrebbe firmato. Era la cosa più ingiusta che si potesse concepire. Uomini come Luigi
Sturzo, Benedetto Croce, Vittorio Emanuele Orlando furono sempre contrari. Lo fece, per
incominciare la ricostruzione dell'Italia.
La Commissione anglo-franco-americana, pur a noi avversa, qui mandata per esaminare
la situazione, era nettamente convinta che la parte occidentale dell'Istria dovesse rimanere
all'Italia secondo giustizia. Questo lo dissero a me essi qui a Trieste, dopo essere stati
sopraluogo. Solo la Francia, date le difficoltà, arrivava con il confine al Quieto. Ma al di qua
nessuno riteneva possibile di arrivare. Data l'opposizione della Iugoslavia - che occupava
l'Istria, gli alleati, che avevano fretta di finire, crearono il Territorio libero di Trieste,
formato da Trieste (Zona A) e dalla Zona B (Istria settentrionale). E così fu firmato il
trattato di pace, con riserva da parte dell’Italia.
Il confine iugoslavo del trattato è quindi definitivamente al Quieto. Il Territorio libero
non sorse per la mancata nomina del Governatore, la cui scelta continua ad essere all'ordine
del giorno del Consiglio di Sicurezza.
Nel 1954 a Londra si firmò un memorandum, il quale fissava lo statu quo de facto, senza
toccare la questione de iure e senza cambiare naturalmente il trattato di pace. Così Trieste
continuò ad essere amministrata dall'Italia e la Zona B dalla Iugoslavia rimanendo intatto il
diritto precedente sulla Zona B. E così siamo ancora. La situazione si è normalizzata e la
linea di demarcazione è molto aperta.
Il nuovo trattato prevede la cessione della Zona B, lo spostamento dei confini con gravi
conseguenze per il porto di Trieste le cui navi non potranno più navigare in acque nazionali,
per entrare e uscire, e una Zona franca a cavallo del nuovo confine.
L'equità esige che se un cambiamento vi deve intervenire questo dovrebbe compiersi per
restituire all'Italia l'amministrazione (oltre al possesso che rimane) della Zona B, che fu
occupata con la violenza dagli iugoslavi. Nessuno riuscirà mai a capire perché non avvenga
piuttosto questo nella linea del diritto. Che se ciò non può avvenire per l'ingiusta
opposizione della Iugoslavia, non si capisce perché l'Italia debba ora cedere il suo diritto. Fra
le altre dovrebbe pur essere interpellata la popolazione, che ha tutti i diritti su quella terra, la
quale popolazione è tutta contraria. Ritorniamo al Signore padrone dello Stato, che fa e
disfa come vuole, mettendo al posto del Signore un Parlamento, che insensibile agli interessi
materiali e sentimentali, fa quello che vuole contro la volontà di coloro che sono
direttamente interessati. So che la Costituzione è salva, ma non lo sono né la coscienza, né
il senso di umanità. Non sono i diritti dell'uomo da tutti accettati che ordinano che siano
interpellate le popolazioni aventi diritto?
Perché non si continua come finora? La situazione à normale.
Vi à poi la questione della Zona franca. La cosa appare non solo di nessun vantaggio
reale per Trieste, ma di vero danno per la città. E l'Italia ci rimette per di più 300 miliardi.
Triestini onesti e competenti, come il Presidente della Camera di Commercio e altri, mi
hanno assicurato che la Zona franca non gioverà, ma aggraverà la situazione di Trieste da
ogni punto di vista, della economia, del commercio e di quello nazionale. E allora perché far
sorgere tale zona?
Questa mia lettera ha lo scopo di farLa riflettere, chè da Roma può sembrare semplice,
ciò che non lo è.
Pensi, Eccellenza, che sono molti i triestini, i quali, prima di arrivare a così iniqua
cessione, preferirebbero che sorgesse il Territorio Libero di Trieste, completando il trattato
di pace. Questo Le dice lo stato d'animo della gente.
Io sarei felice che lei non si assumesse questa triste responsabilità che peserà sulla
coscienza di chi se la prenderà.
E' anche un atto ostile, che farà soffrire 350.000 profughi e quanti ancora sono vivi della
guerra 1915-1918. E non meritano questo nuovo dolore.
Chiedo venia per la lunghezza della lettera e La prego di gradire i sensi del mio cordiale
ossequio.
Dev.mo
F.to + Antonio Santin
A S. E.
l'On. Giulio Andreotti
Presidente del Consiglio dei Ministri
ROMA
5 dicembre 1976.
Nota a mano:
Per conoscenza (a Italo Gabrielli)
6/xii
+ A(ntonio)
Eccellenza.
si avvicina il momento della decisione circa il trattato siglato a Oslmo. E in coscienza sento il dovere
di manifestarLe le gravissime preoccupazioni che nutro. Questo trattato fu preparato in secreto senza
interpellare gli aventi diritto e la popolazione di Trieste. La gravità della decisione, anche se avallata dalla
maggioranza del Parlamento - che con qualunque maggioranza non potrà mai rendere giusto ciò che è
ingiusto – si rivelerà sempre più nell’avvenire. Non si doveva, non si poteva decidere della terra, senza
interpellare la popolazione. Di ciò i responsabili non saranno mai assolti.
Ma non. È di questo che Le voglio parlare, bensì della zona franca a cavallo del nuovo confine, che si è
voluto aggiungere a precipitare la situazione. E anche questo senza che la città potesse esprimersi. Una
imposizione che non ha senso. Perché si dirà che rappresentino la città e l'elettorato quella dozzina di
signori, che, staccati totalmente dalla popolazione, costituiscono la direzione dei vari partiti e che si
uniformano alle direttive che vengono dall'alto. Quella zona sarà certamente la rovina economica, ecologica
ed etnologica dl Trieste. E' Il principio della fine della nostra città. Chi vive qui da sempre o da molti
decenni ne è convinto. Una seconda Trieste si formerà a ridosso della prima formata da popolazioni slave
venute dalla Iugoslavia, che, lentamente, assorbirà la nostra città. I triestini ne sono convinti per
l’esperienza che hanno del passato. Perché voler attentare all'avvenire. di questa povera città? Perché si
tratta dl questo. Perché chi da lontano decide e lontano ha la propria terra e la propria casa, non rischia
nulla, anche se domani per noi sarà la rovina. Tolga almeno dal trattato la Zona franca a cavallo, che
nessuno vuole. E' un regalo avvelenato che. tutti respingono. Tutti i ceti sono concordi. Oggi si sono
pronunciati anche i professori dell'università, i quali contestano che non si possa, pur siglato, modificare
parte de1 trattato, per la zona franca, che si vuole imporre a chi non la vuole.
Eccellenza, non si assuma questa responsabilità. Si può ancora impedire il male. Almeno questa parte
aia modificata.
Gradisca con l’espressione del mio ossequio, l'augurio dl un buon Natale.
Mi creda
Suo dev.mo
F.to + Antonio Santin
A S.E. l.'On. Giulio Andreotti
Presidente del Consiglio dei Ministri - Roma
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