Semestrale del CLUB ALPINO ITALIANO – Sezione Cadorina “Luigi Rizzardi” AURONZO DI CADORE (BL) – ANNO XV n. 29. Giugno 2014 - Spedizione in A. P. – D.L. 353/2003 (convertito in Legge 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1, NE/VE
QVOTA 864
QVADERNI DI VITA DI MONTAGNA
“Quando arrivi in vetta ad un monte non fermarti, continua a salire”
Un Maestro del buddismo Zen
ANNO XV. N. 29. GIUGNO 2014. Semestrale
Registrato presso la Cancelleria del Tribunale di Belluno col n. 15/2000 in data 01.08.2000
Iscritto al Registro Nazionale della Stampa n. 10331 - R.O.C. N. 6944
Spedizione in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art.1, comma 1, NE/VE
PAOLA DE FILIPPO ROIA
Direttore Responsabile
GLAUCO GRANATELLI
Direttore Editoriale
e-mail: glaucogra natelli @ virgilio.it
COMITATO DI REDAZIONE
Alberto M. Franco (G.I.S.M.)
Mirco Gasparetto (G.I.S.M.), Mario Spinazzè
Questo numero esce in collaborazione con l’Istituto Geografico Polare “Silvio Zavatti” di Fermo
HANNO COLLABORATO:
Censi C., Comba F., Defrancesco A., Di Beaco B., Geotti P., Grilli A., Muzzi L.,
Orlich V., Pennino L., Raffaelli P., Rogari G.G., Tais M., Vallegiani A.A., Vecellio D.M.C.
FOTOGRAFIE di Granatelli G., Grilli A., Malterre G., Pennino L.
EDITORE - CLUB ALPINO ITALIANO
Sezione Cadorina “Luigi Rizzardi”
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REDAZIONE
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STAMPA
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Collezione Vladimiro Orlich
SOMMARIO
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ORGANICO DELLA SEZIONE
PARALLELI - Paola De Filippo Roia
La montagna è bella. Spetta a noi diffondere saperi ed esperienze
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140 ANNI DAL PASSATO AL FUTURO - Massimo Casagrande
A COLLOQUIO CON I LETTORI a cura di Glauco Granatelli. G.I.S.M.
DOLOMITI DI BELTA’ - Piero Raffaelli e Giorgio Babbini
Inno del 140° del C.A.I. di Auronzo di Cadore (1874-2014)
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DAL MARE AI MONTI
Trieste città di mare che guarda alla montagna
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IL GONFALONE DI AURONZO - Paola De Filippo Roia
Breve storia dello stemma e del Gonfalone del Comune di Auronzo
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I FIORI SONO IL SORRISO DELLA NATURA - Ella Torretta. G.I.S.M.-C.A.I. Milano
I fiori sorridono, profumano e dipingono di colori i prati delle nostre Dolomiti
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PASTORIZIA E PASTORI - Albino Defrancesco
Visione struggente di ricordi e nostalgia nella Valle di Fiemme
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DAVANTI AL CROCIFISSO - a cura di Paola De Filippo Roia
In ginocchio davanti al crocifisso nel ricordo di una persona meravigliosa: Anna B.
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MORIRE IN MONTAGNA, PERCHE’? - Glauco Granatelli. G.I.S.M.
Marco Anghileri ci ha lasciati. Ricordiamolo.
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100 ANNI FA LA GRANDE GUERRA
Guerra... o pace? - Franco Vaia
Ortigara - Giuliana Rogari Giulianati
ABBIAMO LETTO PER VOI
Fuga sul Kenya - Felice Benuzzi
LIBRI, RIVISTE, GIORNALI... E ALTRO ANCORA
L’indimenticabile visione. 1930 - Un ritrovamento casuale, immagini di un tempo lontano
Canti della Guerra 1915-18 nati in Cadore
RACCONTI, LEGGENDE, POESIE...
Le pecore verdi - Ludovico Muzzi. CAI Auronzo
La montagna vive e chiede rispetto - Angela Maria Vallegiani (pag. 66)
Vajont - Alberto Campi (pag. 68)
La musica dell’acqua - Chiara Vecellio Del Monego (pag. 69)
GIACOMO COSTANTINO BELTRAMI: un italiano in America - Cesare Censi. Museo Polare di Fermo
Una vita di viaggi, di avventure e scoperte. Non ebbe mai i dovuti riconoscimenti. Morì nella solitudine e nel totale distacco dal mondo
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ORGANICO DELLA SEZIONE 2013-2014
ANNO DI FONDAZIONE 1874
Presidente - Massimo Casagrande
Vice-Presidente - Davide Da Damos
Segreteria - Elisa Cella De Dan
Consiglieri - Siro Maschio, Paolo Monti, Stefano Muzzi,
Giuseppe Pais Becher
Revisori dei Conti - Sergio Boso, Francesca Caldart,
Federica Monti
SOCI N. 656: Ordinari N. 282 - Familiari N. 192 - Giovani N. 98 - Aggregati N. 82
Vitalizi N. 2: Magnifica Comunità di Cadore (Delibera del 15.9.1925), Leonardo Vecellio
Venticinquennali: Borghi Paola, Cattaruzza Dorigo Elena, Cella De Dan Vittore
Larese Gortigo Bruna, Paganin Luciano, Pais Golin Monica, Pais Marden Mariarosa,
Pontello Roberto, Tabaro Giannino, Zandegiacomo Bianco Pietro
STRUTTURE DELLA SEZIONE
Rifugio Auronzo - Forcella Longéres m 2330 slm alle Tre Cime di Lavaredo - tel. 0435.39002 - 62682
Rifugio G. Carducci - Alta Val Giralba m 2297 slm alla Croda dei Tóni - 0435.400485
TESSERAMENTO ll tesseramento è un atto d'amore verso la montagna e un atto responsabile.
Il Club Alpino Italiano, a partire dalla campagna associativa 2014, si avvarrà di una nuova piattaforma per il
tesseramento dei soci. Completezza dei dati, istantaneità delle registrazioni ai fini assicurativi, cura della riservatezza: sono questi alcuni dei miglioramenti introdotti dal nuovo servizio. Questi i vantaggi del nuovo sistema:
- garanzia della correttezza e dell'istantaneità delle registrazioni ai fini assicurativi tramite il tesseramento on-line;
- risoluzione di omonimie e duplicazioni di dati attraverso l'utilizzo del codice fiscale;
- rispetto della normativa sulla privacy nel contesto di Statuto e Regolamento generale del Sodalizio.
La nuova Piattaforma del tesseramento costituisce un trattamento dati dei soci nuovo ed indipendente dal prece-
NOI, I CANI DA SLITTA E LE MARATONE NORDICHE - Ada Grilli Bonini. Leading Edizioni
dente: pertanto tutti (nuovi e vecchi soci) sono invitati a prendere visione e sottoscrivere una nuova informativa
Un’esperienza singolare tra i popoli dei ghiacci
sulla privacy, che darà loro modo di esprimere la propria volontà in merito alla conservazione dei propri dati ed
A TAVOLA CON I LARES
GFM - GRUPPO FILATELICI DI MONTAGNA
Montagne in rosa: Bianca Di Beaco e Mary Varale (pag. 82)
Santi - Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II (pag. 88)
Friulano di roccia. Ignazio Piussi (pag. 90)
Giornata Internazionale della Felicità. XIII Incontro Filatelico di Primavera (pag. 92)
Dalle Dolomiti al mare del Salento. E’ nata la Sezione Giovani del GFM (pag. 94)
Nanga Parbat 1970. Quando morì Gunther Messner (pag. 95)
Himalaia - Il Ce.I.S. sul tetto del mondo (pag. 96)
alle modalità con cui ricevere le comunicazioni (per esempio, via mail) dalla propria Sezione/Sottosezione.
Sul sito www.cai.it o www.caiauronzo.it è disponibile la nuova informativa sulla privacy.
QUOTE ASSOCIATIVE: Socio Ordinario € 41,00 - Socio Famigliare € 22,00 (I Soci famigliari devono essere
componenti del nucleo famigliare del socio ordinario, con esso conviventi, di età maggiore di anni diciotto)
Socio Giovane € 16,00 (I minori di anni diciotto - nati nel 1997 e seguenti). Dal secondo socio giovane coabitante all'interno del nucleo familiare è prevista la quota di € 9,00 a condizione che esista il socio ordinario di riferimento (capo nucleo - quota intera).
Per informazioni vi invitiamo a chiamare il n. 0435/99454 (con servizio di segreteria telefonica) o ad inviare una
mail a [email protected]
Il versamento delle quote può avvenire a mezzo di:
c/c postale n.63312789 intestato al CAl, Sezione Cadorína - 32041 Auronzo di Cadore BL
IN COPERTINA
- Notte stellata sulle Lavaredo. Foto di Mariano Tais
Unicredit Banca Spa Agenzia Auronzo di Cadore IBAN IT86E0200861020000003411021
ABBONAMENTI: Le Alpi Venete € 5,00 - Le Dolomiti Bellunesi (soci non locali) € 8,00
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ORGANICO DELLA SEZIONE 3
PARALLELI
to sfogliando il libretto della XVI settimana nazionale dell'escursionismo che quest'anno si svolgerà nelle nostre
terre “SULLE DOLOMITI DI TIZIANO” dal 28 giugno al 6
luglio.
Istintivamente vado a leggere una pagina della storia della nostra
Sezione che compie 140 anni di vita. Nel 1877, esattamente tre anni
dopo la nascita della Sezione Cadorina del C. A. I., proprio in Cadore
viene organizzato il X Congresso del C. A. I. nazionale.
Si legge su “La Voce del Cadore” che esce l'11 gennaio 1877:
“L'associazione più vasta che conti l'Italia, il Club Alpino Italiano, ha
scelto il piccolo nostro paese a sede del suo decimo Congresso che
avrà luogo alla metà di agosto 1877, immediatamente dopo l'inaugurazione del monumento a
Tiziano Vecellio (…) Noi succediamo a Torino, ad Aquila, a Firenze e a Pistoia”.
Successivamente viene pubblicato un nutrito programma che avrà puntuale applicazione.
Il Congresso riscuote un ottimo successo: personalità d'ogni parte d'Italia convengono in
Auronzo, vedono il Cadore, conoscono i cadorini. La Sezione fa scrivere dal prof. Ronzon il
volume “Il Cadore descritto” che, distribuito ai congressisti ed ai turisti, farà meglio conoscere
il Cadore, il suo passato, la sua recente storia, i suoi paesi, i suoi monti.
Partiti gli alpinisti, si riprende la vita quotidiana con i suoi problemi anzi, con problemi maggiori. Scrive ancora il Ronzon: "Col Congresso alpino la Sezione cadorina aveva toccato il culmine della sua attività dopo solo quattro anni di vita. E adesso cominciava la discesa dinnanzi
alle due più semplici operazioni aritmetiche: l'addizione e la sottrazione. I cadorini sono stati
larghi di accoglienze, di gentilezze, di plausi agli alpinisti visitatori..., ma erano stati stretti stretti in danaro per concorrere a sostenere le spese non lievi delle feste...". Sarà il Presidente
della Sezione, Luigi Rizzardi a pagare di tasca propria, mentre tutto il Cadore ha avuto il vantaggio di farsi conoscere.
A parte quest'ultimo episodio poco edificante, trovo relazioni tra l'evento del 1877 ed il fervore
che sta alla base dell'organizzazione dell'attuale evento escursionistico. Ci sono sempre e
soltanto volontari che lavorano nell'ambito del C. A. I. con puro spirito di servizio; oggi come
allora l'escursionismo vuol promuovere la cultura e la conoscenza del territorio, e vuol tendere
verso un turismo sostenibile, nell'ottica di un ritorno alla natura, di un'evasione - non solo mentale ma talvolta anche affettiva - dalla quotidianità.
Oggi, anche il C. A. I. viene sollecitato perché risponda alle grandi trasformazioni che contraddistinguono la nostra epoca, ma rimane sempre la natura il denominatore comune. Dalla
fase pionieristica di tipo scientifico-esplorativo-geografico siamo passati a nuove forme di sensibilità ambientale. L'attività del nostro Sodalizio è un libro aperto sulla montagna, luogo per
eccellenza della biodiversità, sul suo aspetto geomorfologico, sugli elementi del microclima,
sulla conservazione di attività agro-silvo-pastorali d'eccellenza. Le nostre scuole, i nostri
accompagnatori rimangono impegnati a comunicare una vocazione antica, a diffondere saperi
ed esperienze legati alla montagna, a guidare la frequentazione consapevole della stessa, il
saper leggere il territorio ed il paesaggio, presupposti indispensabili anche per la sicurezza.
Tali aspetti ci permettono di affermare, oggi come ieri, che la montagna è bella. Spetta a noi
diffonderne saperi ed esperienze, ma soprattutto mostrare, con orgoglio, ai nostri escursionisti, i nostri prati, i nostri boschi, le nostre cime. Ma spetta sempre a noi averne cura e far
rispettare un ambiente così particolare ma altrettanto fragile.
S
Paola De Filippo Roia
Direttore
4 QVOTA 864 GIUGNO 2014
140 ANNI DAL PASSATO AL FUTURO
uesto numero di QVOTA 864 esce nel momento culminante delle celebrazioni del 140° anno di fondazione
della Sezione Cadorina del Cai di Auronzo, attiva appunto dal lontano 1874.
Nello scorso numero abbiamo ricordato quanto la storia della Sezione
sia un tutt'uno con la storia dell'alpinismo dolomitico ma anche quali
ostacoli siano seguiti all'atto fondativo. Ai momenti di difficoltà sono
seguiti spesso slanci di entusiasmo e di notevole impegno, si pensi ai
problemi economici e al rischio di deriva che la Sezione patì all'indomani del X Congresso Alpino del 1877 o alla ricostruzione del Rifugio
Auronzo dopo l'incendio che lo distrusse a metà degli anni Cinquanta;
la riedificazione fu relizzata sostanzialmente a debito poi riscattato
con diversi e generosi contributi sollecitati dall'allora presidente Silvio Monti.
Con l'intento di ritrovare e rinnovare quell'energia positiva, quella voglia di rialzarsi dopo una
caduta, da diversi mesi il Consiglio del Cai ha messo in cantiere una serie di attività che, complice l'importante anniversario, ne rinvigoriscano l'attività e l'incisività nel tessuto economico e
sociale minato da questi anni di crisi non solo economica.
Il primo riconoscimento ufficiale del nostro impegno, l'abbiamo ottenuto organizzando e presiedendo l'Assemblea Annuale dei Delegati del Veneto che si è tenuta quest'anno ad Auronzo
ad aprile; è stata questa l'occasione per fare il punto sulle problematiche ma anche sulle proposte per il conseguimento dei nostri scopi statutari.
La stagione estiva si aprirà con la XVI Settimana Nazionale dell'Escursionismo che quest'anno si terrà appunto in Cadore e a Cortina dal 28 giugno al 6 luglio. Questo importante evento, che richiamerà centinaia di escursionisti e ciclo-escursionisti, unirà tutte le sezioni cadorine
in un comune sforzo organizzativo per l'accompagnamento su decine di diversi itinerari escursio-nistici nel cuore delle nostre montagne ma parallelamente offrirà uno spaccato delle tante
atti-vità culturali di cui si può godere visitando i nostri territori.
In particolare all'interno della settimana, venerdì 4 luglio verrà ricordata la storia della Sezione
nel corso di una serata incentrata sulla presentazione della riedizione del libro di Toni
Sanmarchi, "Le Dolomiti di Auronzo" pubblicato nel 1974 per i cent'anni della Sezione ed oggi
riperso e aggiornato con gli ultimi quarant'anni di vita non solo del sodalizio ma di tutto il paese
di Auronzo. Sarà con noi a festeggiare il past-president nazionale del Cai Annibale Salsa.
La Settimana Nazionale dell'Escursionismo servirà anche da trampolino di lancio per un'iniziativa che il direttivo da tanti anni tiene nel cassetto: la ricostruzione del bivacco Fratelli Fanton
a Forcella Marmarole, dismettendo l'attuale bivacco fatiscente collocato in bassa Val Baion.
Per questo progetto verrà indetto un Concorso internazionale di progettazione, in collaborazione con la Fondazione Architettura Belluno Dolomiti, che potrà essere un'esperienza
pilota per il rinnovamento del patrimonio delle opere alpine di tutta la provincia di Belluno.
Le opere alpine rappresentano il biglietto da visita della Sezione e dell'intera comunità, in particolar modo nei confronti dei turisti stranieri assolvendo alla funzione di avamposti per la frequentazione del territorio. Al Rifugio Auronzo e al Rifugio G. Carducci, con l'aiuto di un contributo finalizzato alla promozione dei Siti Natura 2000 e con la collaborazione dei gestori (nel
caso del Rifugio Auronzo la Sezione stessa) realizzeremo due aule didattiche per lo studio e
la divulgazione dei contenuti naturalistici e scientifici dell'ambiente che ci circonda. La sala del
Rifugio Carducci per l'occasione verrà dedicata ai 140 anni della Sezione Cadorina.
Rimanendo in tema di rinnovamento sono in programma importanti lavori di ristrutturazione
della copertura della chiesetta di Maria Ausiliatrice Madonna della Croda alle Tre Cime di
Lavaredo, in occasione dei 50 anni della sua riedificazione (la chiesetta originale risaliva al
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6 QVOTA 864 GIUGNO 2014
tempo del primo conflitto mondiale) ed in collaborazione con la Brg.ta Alpina Tridentina. Se il
programma verrà rispettato l'inaugurazione è prevista per la metà di settembre 2014.
Sul fronte dell'attività in montagna, siamo riusciti nell'intento di coinvolgere i nostri soci più
attivi e dinamici, per cui ci siamo impegnati ad organizzare in collaborazione con le Guide
Alpine Tre Cime e con la locale stazione del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico
(quest'anno hanno festeggiato i 60 anni della loro nascita) una piccola spedizione alpinistica
sul monte Elbrus, nel Caucaso, una vetta prestigiosa, con i suoi 5.642 m la più alta dell'Europa
geografica ed una della Seven Summits, le cime più alte dei sette continenti. L'avventura è
prevista dal 23 agosto al 3 settembre.
Un'altra importante opera alpina, frutto di una corale collaborazione, ma attuata dalla Sezione
Cadorina di Auronzo, è la variante al sentiero attrezzato 107 per rendere nuovamente possibile il giro completo attorno alla Croda dei Tòni. Infatti da tantissimi anni, nel tratto tra il bivacco De Toni e la Forcella Maria esiste un'ordinanza di chiusura del sentiero derivante dalla pericolosità dello stesso a causa delle continue frane e smottamenti che regolarmente seguono
gli eventi meteorologici.
In previsione delle celebrazioni per i 100 anni dall'inizio del Primo Conflitto Mondiale e dell'immensa tragedia che vi è succeduta, la Sezione si è fatta promotrice di un progetto per la
realizzazione di un'area monumentale a Forcella Longéres, prospiciente la Val Marzon, da cui
sarà possibile ammirare, e ancor meglio conoscere con l'ausilio di approfondimenti storici,
parte della prima linea del fronte che allora ci opponeva all'invasore austroungarico. Se verranno reperiti i finanziamenti, quest'opera potrebbe rappresentare un ulteriore arricchimento,
in sinergia con il Rifugio Auronzo, alla principale porta di accesso al "santuario" delle Tre Cime
di Lavaredo.
Oltre al programma principale, altre mostre ed avvenimenti minori ci accompagneranno per
tutto il 2014, sull'onda del ricordo ma con la piena consapevolezza di gettare le basi per un
futuro migliore.
Intacto vertice ardens.
Massimo Casagrande
Presidente
140 ANNI DAL PASSATO AL FUTURO 7
A COLLOQUIO CON I LETTORI
"LA TENGO SUL COMODINO PERCHE' QUI C'E' LA MONTAGNA,
QUELLA VERA." Gianni Poloni
“Felicità” che, come è scritto sulla busta filatelica, ci riporta ai giorni solari vissuti con lei: “Ti
sei mai "legato" ad una donna? Se non ti è mai successo, alla tua vita di alpinista manca qualcosa. Se poi questa donna ha il volto dell'amore, allora avrai provato sensazioni immense che
ti accompagneranno per tutta la vita. Come descrivere le vette riflesse nei suoi occhi confuse
all'azzurro dei cieli e al bianco dei ghiacciai? Come dimenticare la gioia delle vette e quei
lunghi silenzi che sanno d'infinito? “ g.g.
CORSA D’INVERNO
“Ti scriverò più avanti. Intanto tu sogni la montagna, io la respiro tutto il dì, nè so quanto sia
fortunato”. È Aldo che mi scrive da là dove spira l’aria che scende dalla vetta del Latemar e
che dalla catena del Lagorai invade la Val di Fiemme.
“‘Viva la montagna’, magico, prodigioso messaggio che è ispirazione, estro, potenza creativa,
suggestione! Come ti capisco quando corri verso Auronzo, ai piedi delle tre Sorelle di cognome Lavaredo! Là, a recuperare energia, salute, ossigeno! Leggendoti, io mi sento baciato dal destino che mi fa trovare di fronte a Daiano l’aria resinosa del larice, l’aria carica di O2,
tutto a dieci minuti da casa, a un’ora Cûgola, a due ore Cima Rocca 2442 m, a dieci chilometri
Passo Lavazè tra i muggiti delle sonnacchiose mucche”.
Come far fronte all’onda emotiva che sale dall’anima? Non facile questo colloquiare nel silenzio della mia stanza. La forza dei sentimenti ne infrange il muro e non sono più solo. La
Montagna è il grande motore della condivisione.
Attraverso le parole di Marco mi sembra di rivivere quel tempo che fu anche mio: “Non frequento più la montagna come in passato. Se va bene, riesco a trascorrerci una settimana in
estate, ma sempre con quella tensione e inquietudine per i bei tempi perduti in cui andavo
come un mulo e mi arrampicavo per le pareti più selvagge e isolate, accarezzando quella roccia vergine che restituiva pace e armonia. La vita cambia, ma a volte faccio fatica ad
accettarne le conseguenze. Il passeggiare per i sentieri, a fondovalle, non mi basta: lo sguardo volge sempre verso l’alto, verso la vetta, sale rabbioso il pensiero di non poter andare a
trovarla, a visitarla, a parlarci. Spero sempre che il ‘prossimo anno’ sia quello giusto per
riprendere questo rapporto di vera passione, di sincero amore”.
Nell’annuale “Incontro di Primavera” quale “Felicità”! “Felicità” che, su suggerimento delle
Nazioni Unite, ha toccato temi come l’incanto del sorriso di una donna, la felicità di un bambino o la dolce emotività di un cane. Il sorriso è coraggioso, è una forza universale.
E nemmeno so perché
mi scopro solo oggi a vedere
ciò che la vita sussurra
nei suoi passi veloci.
Tutto quel che resta
del mio pensare vibra
inghiottito e sovrastato
da lampi di consapevolezza.
Sciolgo nella fatica
di questa corsa d’inverno
lacrime ghiacciate sui fili d’argento
memoria dei giorni vissuti.
Tendo lo sguardo alle stelle
nel mattino che viene
non per sognare cose mai viste
ma per avere ancora da Dio
il tempo di abbracciarti.
Ettore Patriarca
La montagna è gioia, è condivisione. Sono le parole di Ettore che ti prendono al cuore.
Cosa c’è di più bello che essere lassù con lei.
Glauco Granatelli
Redattore
Immagini dall’emissione ONU del 17 marzo 2014 “International day of happiness - Giornata Internazionale della Felicità”
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A COLLOQUIO CON I LETTORI 9
10 QVOTA 864 GIUGNO 2014
DOLOMITI DI BELTA’ 11
DAL MARE AI MONTI
ome ai bei tempi! È stato un
susseguirsi di emozioni lo scambio
di esperienze tra Auronzo e Trieste,
quasi a suggellare il celebre aforisma:
"Trieste, città di mare che guarda alla montagna".
L'idea di regalare l'albero di Natale alla città di
Trieste è stata di Aldo Corte Metto, direttore del
nostro Consorzio Turistico, con l'obiettivo,
anche, di rinsaldare una tradizione che ha visto
per decenni le genti di Trieste apprezzare le
bellezze della nostra località turistica.
Le celebrazioni sono iniziate con la rievocazione
della prima salita allo Spigolo Giallo della
Piccola di Lavaredo. Ottant'anni fa, Emilio
Comici, con Mary Varale e Renato Zanutti
hanno aperto questo storico tracciato, oggi meta
ambita da alpinisti di ogni parte del mondo.
Per sottolineare le origini di Comici, chi meglio di
Spiro della Porta Xidias poteva dare voce e
commentare il cortometraggio “Spigolo Giallo”
realizzato dalle Guide Alpine “Tre Cime di
Lavaredo”. Una delegazione auronzana ha voluto essere presente alla proiezione nella sede triestina della XXX Ottobre. La domenica successiva, numerosi auronzani sono scesi per l'accensione dell'albero, accompagnati dal Corpo
Musicale di Auronzo diretto dal Maestro
C
Saviane. In piazza Unità, accanto ai gonfaloni di
Trieste e di Auronzo, il sindaco di Auronzo
Daniela Larese Filon che ha incontrato il collega
triestino Cosolini.
A coronamento della manifestazione, è stata
inaugurata presso una saletta comunale la
mostra fotografica “Emilio Comici: un uomo
avanti”, - già a Palazzo Corte Metto di Auronzo realizzata dall'alpinista e fotografo Manrico
Dell'Agnola. In pochi giorni la mostra ha contato
oltre un migliaio di visitatori, provenienti da varie
città italiane e dall'estero.
L'albero, partito dai boschi auronzani, con un
gioco di luci di incomparabile effetto, è stato
inserito nella gallery fotografica del sito del “Sole
24 ore” on line fra i ventotto alberi natalizi più
belli del mondo.
A significare che questa serie di eventi vuol
avere un seguito - memori degli amici triestini
che negli anni sessanta hanno eretto un loro
rifugio nel cuore dei Cadini - i signori Roberto
Fonda, instancabile organizzatore, Tullio
Ranni, Presidente della XXX ottobre e Daniela
Candelari, segretaria della Società Alpina delle
Giulie, sono venuti in Auronzo per consegnare
personalmente al Sindaco il libro della
Mostra.
Trieste. Piazza dell’Unità d’Italia
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DAL MARE AI MONTI 13
IL
GONFALONE DI AURONZO
di Paola De Filippo Roia
ntrando nella sala consiliare del nostro Comune, il mio sguardo, quasi
naturalmente, sempre si rivolge a sinistra e si posa sul gonfalone.
Spontaneamente il mio pensiero si rivolge a
Renzo De Filippo che con orgoglio più volte mi
aveva raccontato come, in qualità di pro-sindaco,
fosse stato suo compito seguirne l'iter burocratico, e soprattutto fosse spettato a Lui riceverlo da
S. E. il Sig. Prefetto di Belluno. Era il 23 aprile
1998. Così il pro-sindaco ad alunni e studenti
che gremiscono la sala consiliare: “La consegna
del decreto presidenziale di riconoscimento
dello stemma del Comune di Auronzo di Cadore,
oltre ad onorarmi quale amministratore, mi compiace quale cittadino di questo Comune. Lo
stemma costituisce l'emblema di un Comune
che lo fa proprio e ne impedisce l'uso da parte di
chiunque, una volta che ne abbia ottenuto il
riconoscimento dell'Autorità Governativa. La
cerimonia odierna va al di là della formalità dell'evento e riveste alto significato morale, storico
ed educativo; per questo ad essa sono stati invitati tutti i ragazzi che frequentano le nostre
scuole. Le immagini contenute nello stemma rievocano e rilevano le origini stesse del Comune,
ne fanno riscoprire le “radici” e costituiscono
patrimonio della cittadinanza...”.
L'opera era stata commissionata allo “Studio
araldico-consulenza legale nobiliare” di Genova
che attraverso il Conte Vittorio Guelfi Camajani
ci tenne a sottolineare come soltanto il suo studio fosse specializzato in araldica e che la materia fosse di prima qualità. Il costo, comprensivo
anche della miniatura dell'opera, sarà di
6.576.000 di vecchie lire.
Sfogliando la pratica, è facile dedurre come l'iter
sia stato alquanto complesso.
La prima corrispondenza tra il Comune e la
Presidenza del Consiglio dei Ministri - Ufficio
Araldico, tramite lo Studio araldico di Genova, è
datata 1985 per il riconoscimento dello stemma
civico e del gonfalone municipale.
Curiosi ed interessanti gli scambi epistolari degli
anni Sessanta, tra l'Istituto genealogico italiano ufficio araldico - ed il nostro comune invitato già
allora a munirsi dello stemma riconosciuto e del
gonfalone.
E
14 QVOTA 864 GIUGNO 2014
BREVE CENNO STORICO E MOTIVO ARALDICO
(trascrizione)
Dovendo in seguito a contesa, nel 1400 delimitare la proprietà fra il Comune di Auronzo e
quello di Dobbiacco, si convenne che i confini
fossero determinati al punto di incontro avvenuto dalle due donne più vecchie del rispettivo
Comune, partenti al mattino al canto del gallo.
La leggenda reca che la vecchietta Auronzana,
approffittando che il doblacense, delegato dalla
parte avversaria, leggermente si addormentò,
lasciò cadere il ferro da calza sul gallo che stava
accovacciato nella gabbia accanto a loro e sotto
la panca del focolare, promuovendo il canto
avanti tempo dell'ora matuttina ed iniziando il
cammino prima recò sensibile vantaggio per la
delimitazione confinaria.
DESCRIZIONE BLASONICA
Partito al capo del Littorio:
Nel primo: Su campo di cielo, ai lati due torri
quadrate uscenti, finestrate e merlate a due
piani erette su terrazzo, nel cuore in palo un'abete, tronco attraversato da catena di ferro ad
anelli circolari in fascia, moventi da sopra la
porta delle due torri; il tutto al naturale.
Nel secondo: D'oro al gallo d'azzurro armato,
bargigliato e crestato di rosso, nell'atto di
cantare.
Si conserva a destra dello scudo la pezza
araldica del Cadore per secoli usata e si pone in
capo il Fascio Littorio, sotto il cui segno la
Nazione si è avviata verso la potenza e la
grandezza immortale.
Sormontato dalla corona di Comune.
Auronzo. Il Prefetto di Belluno in Sala Consiliare con esponenti del Comune.
BLASONATURA DELLO STEMMA DEL COMUNE
DI AURONZO DI CADORE
Troncato semipartito:
nel PRIMO, di azzurro, al pino silvestre di verde,
fustato al naturale, nodrito nella pianura di
verde, incatenato con catena di tredici anelli di
nero, posta con effetto di catenaria, alle due torri
quadrate, di due palchi, merlate alla guelfa di tre
ogni lato, fondate sulla pianura di verde, viste in
prospettiva, pressochè affrontate, d'oro finestrate e chiuse di nero;
nel SECONDO, d'oro, al gallo cantante, di azzurro, crestato, imbeccato, bargigliato, linguato,
membrato di rosso;
nel TERZO, troncato di rosso e di verde.
Ornamenti esteriori da Comune.
Lo stemma di Auronzo consiste in uno scudo tripartito, sovrastato da una corona. Questa simboleggia l'autonomia che è propria di tutti i
Comuni.
Sono invece caratteristiche le sue tre parti: due
torri ed un abete racchiuso da una catena nella
metà superiore, un gallo sul quadrante inferiore
di sinistra. Due colori su quello di destra. Tre
simboli che vogliono rispecchiare nell'ordine:
l'odierna appartenenza alla Magnifica Comunità
di Cadore, la peculiarità del paese, la sua origine storica.
Sino al 1932 i ventuno Comuni cadorini usavano
tutti il medesimo stemma della Comunità, cioè le
due torri e l'abete al centro. Al di sotto stava il nome di ciascuno.
In quell'anno, un decreto del Governo obbligò
ogni Comune ad adottare uno stemma proprio. I
ventun Comuni che componevano il Cadore,
d'intesa con la Magnifica, manterranno tutti lo
scudo crociato, quale simbolo comune.
L'abete legato dalla catena fra le due torri (che
ricordano i castelli di Pieve e di Botestagno) rappresenta le foreste di conifere, grande ricchezza
del Cadore e dei suoi abitanti. Ma sugli stemmi
antichi, dal 1500 fino al 1700, l'albero racchiuso
fra le torri era un tiglio a simboleggiare le libertà
godute dalla Comunità sotto i Patriarchi di
Aquileia e poi con Venezia.
I colori rosso e verde sono riportati dal gonfalone di quando Auronzo era una delle dieci
Centurie che formavano il Cadore, al tempo
della Serenissima. Il gallo, in procinto di lanciare
il suo grido di vittoria, è il simbolo che caratterizza Auronzo e vuole ricordare le sue secolari
contese per i confini con i vicini del nord, un
tempo entrambi tirolesi: Dobbiaco e Cortina
d'Ampezzo.
E per chiudere, aggiungo altra notizia storica:
con Decreto del Presidente della Repubblica 16
gennaio 1961, n. 13 ( in Gazz. Uff., 22 febbraio,
n. 47 ) - Mutamento della denominazione del
Comune di Auronzo in quella di “Auronzo di
Cadore”, in provincia di Belluno. Notizia che non
è da sottovalutare in tempi in cui si parla sempre
più spesso di <fusione> oppure <unione dei
servizi>.
IL GONFALONE DI AURONZO 15
I FIORI SONO IL SORRISO DELLA NATURA
di Ella Torretta. GISM - CAI MIlano
I fiori sorridono,
profumano e
dipingono di colori
i prati delle nostre
Dolomiti!
Raponzolo chiomoso - Physoplexis comosa.
Cima Piccola di Lavaredo.
foto g.g.
Un giorno del mese di luglio, sul sentiero che
conduce al Rifugio Auronzo, vi era parecchia
gente che camminava: signore con i bambini in
braccio o nel passeggino, persone d'una certa
età con il bastone, giovanotti e ragazze con
scarpe da tennis ed abiti trasandati, altri giovani
con degli zaini che parevano armadi colmi di
corde, chiodi, “natz”, insòmma tutta l'attrezzatura per andare a fare un’ arrampicata su una “via
tosta”, come dicono loro. Tutta questa gente
giungeva fino al Rifugio Auronzo a m. 2320
senza fare fatica, perché c'è una strada privata
a pagamento che poco sopra al Lago di Antorno
li pòrta fin qui sia in pullman che in auto.
Dal Rifugio Auronzo tutti si avviavano a piedi per
il sentiero, o per meglio dire una carrareccia
larga un paio di metri che contorna la montagna
a mezza costa.
foto Ginette Malterre
I FIORI SONO IL SORRISO DELLA NATURA 17
Giunti a Forcella Lavaredo, qualcuno si sdraiava
sul prato a prendere il sole, altri scartavano pacchetti, stendevano la tovaglia ed iniziavano a
consumare il pasto, altri ancora allungavano il
collo e stavano lì incantati col naso all’aria per
vedere quelli che arrampicavano su questi
monumenti di sasso che sono poi le “Tre Cime
di Lavaredo”.
Io e mio marito, poiché siamo appassionati e
studiosi della “flora alpina”, ogni tanto ci sdraiavamo sul bordo del sentiero per ammirare e
fotografare qualche esemplare di flora, mai
determinato prima di allora.
Giunge un gruppo di Giapponesi e, curiosi come
il mal di pancia, si fermano intorno a noi.
Il “capo gita”, per attaccare discorso, si presenta con un inchino sfoderando un lungo sorriso,
poi mi chiede un po’ in inglese ed in italiano i
nomi dei fiori nei dintorni.
Come sanno tutti i Botanici, la determinazione
scientifica del regno vegetale è riportata in latino, per potersi intendere sia con chi parla in
tedesco, in inglese o in giapponese.
Così é stato proprio con questo giapponese che,
quale Professore di Botanica, era venuto in Italia
per studiare la “flora alpina delle Dolomiti” con al
seguito una ventina di studentesse.
La conversazion prende una piega sempre più
confidenziale, allegra e piena d’interesse visto
che sul campo aveva trovato chi gli forniva
esaurienti spiegazioni.
Ogni tanto faceva la traduzione in giapponese di
quello io avevo detto e le studentesse in fila,
una dietro all’altra, appoggiate sugli zaini della
compagna davanti, scrivevano quello che il professor aveva spiegato.
Sistemata poi nello zainetto carta e penna, prendevano in mano la macchina per fotografare
tutto: fiori, foglie, cespugli, fili d'erba, terra, tratti
di sentiero, sassi , rocce...
Non mi lasciava più...
Prima di salutarlo gli comunico che sia io che
mio marito facciamo parte del Gruppo Botanico
del Museo di Storia Naturale di Milano e presentiamo conferenze con la proiezione di foto,
specialmente riguardanti la flora alpina.
Lo informo che io sono milanese da molte generazioni.
“I fior hinn el sorris de la Natura” – “I fiori sono il
sorriso della Natura”, spiegandogli in italiano
questa definizione in lingua milanese.
18 QVOTA 864 GIUGNO 2014
Prati delle Lavaredo
All’improvviso un suo cenno fa tacere tutte le
ragazze del gruppo e dopo la solita spiegazione
in giapponese, tutte ripetono in coro una, due,
tre volte…: “I fiol inn el sollis de la Natula!” - “I
fior hinn el sorris de la Natura”.
Le allieve erano contente di parlare in milanese,
ridevano... ridevano... poi, come tante ballerine,
ordinate in fila per due, mi sono passate davanti con un inchino di ringraziamento e con una
vocina delicata, ognuna ancora sussurrava: “I
fiol inn el sollis de la Natula! - “I fior hinn el sorris de la Natura!”.
foto g.g.
La dizione era un po’ storpiata, ma sentire delle
fanciulle giapponesi che cercavano di parlare in
milanese, qui in mezzo a queste montagne, mi
scoppiava il cuore per l'emozione e la contentezza.
La gente che passava si fermava meravigliata
senza comprendere quanto accadeva.
A conclusione il Professore mi ha allungato un
libretto dove aveva disegnato diversi fiori e dove
mi invitava a scrivere la suddetta mia citazione,
mentre continuava a ripetere: "Molte volte,
glazie, glazie... Sig-nola Milan-ese!".
Briciole della mia lingua milanese non solo sono
state imparate e ripetute da studentesse giapponesi, ma anche riportate sul diario di un
Professore di Botanica per ricordare che in
Italia i fiori sorridono, profumano e dipingono di
colori i prati delle nostre Dolomiti! I FIORI SONO IL SORRISO DELLA NATURA 19
PASTORIZIA
E PASTORI
Visione struggente di ricordi e nostalgia nella Valle di Fiemme
di Albino Defrancesco
on che adesso la pastorizia non
venga più esercitata ma l’immagine,
la figura e il ricordo di quel pastore,
con la borsa del sale a tracolla, in
piedi sul tombolo più alto del pascolo con le
mani sulla cima del bastone e queste appoggiate al mento, osservava e tutto vedeva e controllava, è una visione struggente di ricordi e
nostalgia.
Già sul vecchio “quadernolo” della Regola di
Varena il pastore era considerato persona di
fiducia. Anche la pastorizia era regolamentata
fin nei minimi particolari, osservata, e fatta
osservare come legge.
Perfino per regolamentare il pascolo dei cavalli,
che al tempo non dovevano essere tanti, era
stato necessario convocare un “Laudo”, deliberazione di tutti i capi famiglia, che con voto, il 29
settembre 1764, ordinava: “I cavalli devono pascolare delà (oltre) dal rivo di Valchalcaia, solo il
musato (asino) del molin di Antonio Casata,
quando lo dopererà per il mulino possa pascolarlo nella val, e non doperandolo deba pararlo
con li altri”. E ancora: “I bestiami minuti (capre e
pecore) trovandoli nei lochi (pascoli) proibiti,
siano pignorati (multati) in lire 2, dico lire 2 in
dinaro ogni volta e per ogni capo.”
In tempi più recenti, il 19 giugno 1948, appena
finita l’aggregazione con Cavalese durata il ventennio fascista, nel Primo Consiglio Comunale
Varena si diede un regolamento di pascolo con
nuove e precise regole da osservare.
Era concesso agli allevatori di Pozzole (Stava)
di pascolare il proprio bestiame, con pastore, in
località “La Man”, di Varena, fino alla fine di giugno, senza pernottamento. Inoltre, era concesso
alle famiglie che non possedevano bestiame
bovino di assumere per il periodo di pascolo una
vacca foresta, una sola, coseddetta “a erba” e
solo se il latte era necessario alla famiglia.
La prima domenica di marzo il Sindaco ordinava
la nomina dei “Cavedolari” (responsabile della
malga o tipo di bestiame). Il giorno di San
Giuseppe, 19 marzo, era consuetudine
provvedere alla nomina dei pastori per la sta
gione di alpeggio. I proprietari si trovavano in
piazza, ultima testimonianza dei vecchi placidi di
N
20 QVOTA 864 GIUGNO 2014
un tempo. Si radunavano alla “Cesura”, ora
piazza della Chiesa, più tardi in piazza
Assemblea fra le attuali via Scaran e via Delvai.
In mezzo alla piazza veniva posta l’urna per le
votazioni su uno sgabello. Dopo le solite discussioni, a volte anche animate, il cavedolaro, di
turno, invitava i candidati pastori a presentare le
proprie condizioni e prezzo che, scritto su un
bigliettino, veniva affisso, bene in vista al cassettino dell’urna stessa. Dopodiche ad ogni proprietario veniva consegnato un fagiolo che
ognuno, con il braccio infilato nel foro dell’urna,
posto nella parte superiore, lo faceva cadere nel
cassettino del pastore desiderato nel più assoluto segreto. Era nominato pastore chi trovava, nel
suo cassettino, il maggior numero di fagioli.
La votazione veniva ripetuta per ogni qualità di
bestiame da pascolare.
Il giorno di inizio del pascolo era regolamentato
da precise norme sia per le pecore, capre e vacche e finiva, di regola, il giorno di San Matteo, 21
settembre.
Il bestiame partiva ogni mattina dalla stalla. I
pastori si portavano in fondo al paese per
iniziare la raccolta. Il primo, il pecoraio che con
un fischio invitava i proprietari a liberare le
pecore, seguiva poi il capraio che con la tromba
invitava a sua volta a liberare le capre, infine il
pastore delle vacche che, con il corno, dava il
proprio segnale.
Ogni qualità di bestiame doveva pascolare, rigorosamente, il proprio territorio senza invadere
il pascolo delle altre specie. Il pascolo assegnato alle capre, ad esempio, erano le pendici del
monte Rocca, con viaggio quotidiano via
Lavazè-Rocca-Pozzi e ritorno a Varena.
Le pecore, dopo un breve periodo primaverile
sui pascoli casalinghi, erano assegnate alla
montagna di Cece, a est di Predazzo.
La cosa meravigliosa che stupiva, anche i pochi
villeggianti che al tempo soggiornavano a
Varena, era il ritorno a casa la sera.
Prima le capre con le loro piccole campanelle
spandevano per le strade del paese un tintinnio
dolce e melodioso, che non aveva nulla da
invidiare ai moderni Suoni delle Dolomiti,
seguivano le vacche con i suoni più profondi.
Il fatto più interessante era che lungo il percorso
ogni animale trovava con sicurezza la porta
della propria stalla. Quando l'ultimo animale in
fondo al paese era entrato nella stalla il pastore
concludeva la sua giornata.
Nel caso una vacca staccandosi dalla mandria,
si fosse perduta nel bosco, si mobilitava il paese
e non c'era pace fino a quando non veniva
ritrovata e ricondotta nella propria stalla.
Alcune persone hanno fatto storia per la loro vita
da pastore come il Mario, badiaro caorae, che
viveva in simbiosi con le sue capre e il Natale
campanela, che conosceva e chiamava per
nome, una per una, le sue bestie, infine anche il
buon Natale nantarù che l'ho visto piangere per
un infortunio occorso a una vacca che aveva in
consegna.
Questi mitici, caratteristici personaggi, se li è portati via
il tempo. Resta il ricordo di chi li ha conosciuti, ricordo
che non sarà facile dimenticare.
© Editrice "Strenna Trentina" coop a r.l.
DAVANTI
AL CROCIFISSO
a cura di Paola De Filippo Roia
Lozzo di Cadore. Crocifisso in ferro dell'artista Alfiero Nena, posto sulla facciata della chiesa.
Percorrendo i nostri paesi, le nostre valli,
ci si imbatte frequentemente in piccole
cappelle votive, edicole sacre, crocifissi.
Queste opere, quasi sempre artistiche, sono
segno di devozioni popolari che privilegiavano
i temi del dolore, della morte e della vita
quotidiana affidata alla protezione dei Santi.
Sono espressioni della fede, di un'autentica
riconoscenza verso il Divino, ma anche della storia
degli abitanti delle nostre vallate. All'interno delle
contrade, soprattutto agli incroci che segnano le
direzioni, si possono ancora trovare crocifissi,
elementi di questo passato, reliquie di una fede
e preziose testimonianze di una religiosità antica
che un tempo animava e permeava l'esistenza
dei montanari. Quasi esclusivamente realizzati in
legno, sono ottimi manufatti artigianali, spesso
autentiche opere d'arte perché, anche se il
soggetto è sempre lo stesso, la realizzazione è
dettata dall'intima profondità personale
dell'esecutore che ha espresso nello stesso tempo
l'abilità e la fede. Anche lungo i sentieri di
montagna è facile trovare una croce, talvolta con
accanto una panchina, quasi un richiamo eloquente
a soffermarsi per un silenzio meditativo, arricchito
dalla maestosità delle nostre montagne che ci
riportano al Creatore.
La croce, simbolo religioso antichissimo, nel culto
del cristianesimo assume come base il dolore e la
sofferenza, spesso tangibili nel volto di Cristo.
C'è uno scritto che conservo gelosamente e riporto
integralmente, uno scritto che mi ricorda una
persona meravigliosa: Anna. Quale profondità di
sentimenti, quanta fede, racchiudono queste poche
righe che ci trasmettono tanto. Anna: persona che
rende fortunata chi ha avuto la possibilità di averla
come amica, persona che mi ha fatto sentire
privilegiata quando ha accettato di poterle star
vicino nel corso della sua ultima malattia.
22 QVOTA 864 GIUGNO 2014
IN GINOCCHIO
Sono in chiesa, mi inginocchio, mi siedo, mi alzo esprimendo con la posizione del corpo
l'importanza dei vari momenti del rito della Messa o della Funzione e la posizione che il
nostro spirito assume davanti a Dio.
Ma anche in casa c'è qualche momento in cui sento il bisogno di inginocchiarmi. Finchè
sbrigo le faccende, il mio pensiero è spesso rivolto al Signore:
- in una breve preghiera, un'invocazione in ogni difficoltà, e quante ne abbiamo in una
giornata noi e i nostri cari, perché debbo pensare anche a loro che forse credono di poter
superare tutto con le loro forze;
- in una lode, perchè “è cosa buona e giusta lodare Te”, ed è il momento in cui la
preghiera mi riempie maggiormente di gioia: lodare Te, il contatto con Te semplicemente
perché sei Tu che tutto hai fatto, che tutto hai dato. Mi ricorda il bacio che ogni tanto i
bimbi vanno a dare alla mamma così, solo per la gioia di quel contatto;
- in un ringraziamento per tutte le piccole cose della giornata che andando "diritte" sono
piccole ma se vanno "storte" diventano subito enormi.
- Ma arriva un momento in cui debbo inginocchiarmi, sola: non prego, ma qualche cosa
entra in me. Mi inginocchio davanti a te, Signore, senza dirti nulla perché tutto sai,
senza chiederti nulla perché vedi la mia disperazione, senza ringraziarti perché non sono
capace di dirti grazie delle sofferenze anche se te le offro; mi metto in ginocchio davanti a te pochi attimi, i più sereni della giornata, anche se accompagnati da qualche
lacrima.
- Non una preghiera, non un libro di meditazione, perché sei Tu, Signore, che riempi il
mio spirito, il mio vuoto, la mia incapacità.
Con che cosa?
Non lo so, ma so che dopo essermi inginocchiata davanti a Te posso rialzarmi, sorridere e
dirti grazie di questa giornata.
Anna B.
DAVANTI AL CROCIFISSO 23
MORIRE
IN MONTAGNA, PERCHE’?
Pensieri ricordando Marco Anghileri
di Glauco Granatelli - GISM
Marco Anghileri
avanti alla morte in montagna chi di
noi non si è posta la domanda: perché? Domanda che si ripete insistente ogni volta e alla quale non
sappiamo dare una risposta convincente, giustificatrice di un evento tragico nella sua ineluttabile fatalità. Perché, perchè.
Ove tu ne sia coinvolto in prima persona - un
amico, ancor più qualcuno del tuo stesso
sangue - una risposta è ancor più difficile. Sia
pure che tu voglia darne delle motivazioni
ascetiche, risposta alcuna potrà mai giustificare
la morte in montagna.
L’alpinismo, questo macerarsi del corpo e dell’anima nella ricerca del Supremo Assoluto.
Ecco, allora, che la morte di Marco Anghileri assume la trascendenza del grande passo: “From
here to Eternity” - “Da qui all’Eternità”.
Ritornano alla mente le parole degli amici, di noi
che della penna abbiamo fatto lo strumento dei
sentimenti: “Che ne sappiamo noi delle misteriose forze interiori che si agitano nel cuore di un
D
Auronzo di Cadore. L’antico Crocifisso di via Unione.
uomo, delle sue solitudini, delle sue domande, i
suoi sentieri personali, le grandi pareti dello spirito, le pietraie della cima che non arrivano mai...
Ogni volta che una persona amata ci lascia,
abbiamo la dolorosa impressione di essere
diventati più poveri, carichi di rimpianto per le
cose non dette, non fatte, un dialogo interrotto...
se ci fosse ancora!” don Agostino Butturini.
E il perché ritorna più insistente di prima.
Non mi sento di esprimere parole di rimpianto,
ma solo di dolore intriso di egoistica solitudine.
Una nota di tristezza che ho più volte provato
nella vita, sinfonia d’infinito, di orizzonti soprannaturali.
Da qui all’Eternità.
“Sono nel posto più bello del mondo... domani
sono in cima!” M. A.
Sono le parole che ognuno di noi ha pronunciato almeno una volta inseguendo un desiderio
inconscio di felicità.
Se esiste un paradiso degli alpinisti, lassù ti
penso - nel posto più bello del mondo. MORIRE IN MONTAGNA, PERCHE’? 25
100 anni fa la Grande Guerra
GUERRA...
O PACE?
di Franco Vaia
veva ancora sul corpo le ferite infertegli dai colpi degli aguzzini nel
campo di prigionia, verso la fine del
1917. Gli bruciavano ancora, nel
ricordo di quei mesi spaventosi, lontano da tutto
ciò che rappresentava il suo mondo di montanaro e contadino, di cacciatore e boscaiolo, di
sereno abitante di quel paradiso terrestre che
erano le sue montagne piene di colori e di suoni
in ogni stagione. Per troppo tempo non aveva
più potuto goderne, assieme ai suoi familiari ed
agli amici più cari, dei quali molti erano scomparsi sui campi di battaglia e pochi, purtroppo,
erano finiti con lui entro quel recinto di cattiveria,
di odio, di disprezzo esternati ad ogni istante nei
modi più incredibili ed inaccettabili per uomini
buoni, amanti della natura e, in essa, dell'uomo
come proprio fratello e proprio simile, così come
il Creatore aveva deciso dovesse essere.
Niente di tutto ciò, in quel luogo infernale; solo
miseria materiale e morale e dimostrazione della
supremazia dell'odio su tutte le possibili virtù
dell'essere umano.
Tuttavia non era mai stato sopraffatto da considerazioni di ineluttabilità, di rassegnazione, di
fatalismo: ogni giorno si guardava attorno per
riconoscere tra i compagni di sofferenza colui
che più dimostrava necessità di aiuto, da ogni
punto di vista e, nei momenti in cui i controlli si
allentavano e il duro lavoro cui erano costantemente sottoposti poteva interrompersi, avvicinava il bisognoso e se ne prendeva cura.
Si accorse col tempo di essere sempre più frequentemente imitato da altri, che comprendevano come questo impegno, non facile e certo
anche pericoloso, rappresentasse un salvagente, un robusto appiglio per sopravvivere, per
resistere, per non impazzire e per non commettere, esaurite le forze, atti estremi.
Un particolare, tuttavia, tendeva a sconvolgerlo,
nonostante gli fosse evidente che avrebbe dovu-
A
26 QVOTA 864 GIUGNO 2014
to essersene abituato, dopo tanti mesi di detenzione; ogni volta che ciò accadeva, ne restava
stupito e tentava inutilmente di farsene una
ragione, ma senza esito: non riuscì mai, infatti,
ad accettare l'incomprensibile ringhiare gutturale delle guardie del campo, che lo terrorizzava letteralmente in modo del tutto irrazionale,
ma inevitabile.
Era questa la tortura più efficace per piegare il
suo spirito, benché gli stessi soldati nemici non
ne fossero ovviamente consapevoli. Lo capiva
perfettamente, tuttavia spesso gli venne da pensare che lo facessero apposta, essendosi forse
accorti del suo sconcerto.
Dopo simili elucubrazioni a volte, nell'angoscia
del momento, gli veniva spontaneo deridersi per
la sua stupida fobia, ma ogni volta ricadeva nella
trappola inconscia e autoindotta che non poteva
mai evitare.
L'episodio più drammatico, da questo punto di
vista, si verificò quando, per un malinteso di
cui non era colpevole, venne condotto di fronte
al comandante del campo per un interrogatorio
formale e, per una volta, non determinante per
la sua incolumità. La voce, il tono, il suono
delle parole che l'interprete via via traduceva,
anch'egli comunque con accenti decisamente
gutturali, lo sconvolsero al punto che dapprima
gli si manifestò un sibilo acutissimo nelle orecchie, poi la sua vista si offuscò, non riuscì più
a mantenere a fuoco la figura dell'ufficiale e
infine si risvegliò nell'infermeria del campo.
Qui gli venne concesso un misto di compassione e di sopportazione da parte del personale e ciò lenì la sua sofferenza, in particolare
quella spirituale. Tuttavia, quando venne
liberato a guerra finita, la sua scelta era fatta
senza tentennamenti o scappatoie: tornare alla
vita tra i boschi e gli animali selvatici, dove sofferenze e odio e rifiuto e persecuzione non
avrebbero mai avuto spazio.
Al paese non c'era più molta gente: morti in
guerra, morti nelle razzie, fuggiti davanti all'invasione, emigrati in cerca di lavoro. Lei non c'era
più: gli indicarono la croce al camposanto, ma
non gli diceva alcunché quel nome inciso nel
legno chiaro e se ne andò alla sua baracca al
margine del bosco. Non volle ascoltare chi gli
raccontava gli eventi, tra cui la cattura, la violenza e
l'uccisione di lei, lei che non aveva mai sfiorato,
che aveva solo abbracciato partendo e che
aveva sognato ogni notte ed anche nei sogni
con infinito rispetto.
Evitò i contatti non necessari con i compaesani
e visse la sua vita per vent'anni in piena solitudine, alla ricerca di una pace che non trovava,
osservando la pace che era tornata nel mondo
dopo anni di guerra e che non lo convinceva del
tutto, parlando con lei quando guardava le stelle
seduto sotto il larice davanti alla casupola o al
mattino, quando il sole entrava dalla finestra e
scaldava la stanza e il cuore: lei gli appariva e
discorrevano serenamente. Le rivelava i suoi
pensieri, i suoi dubbi, le sue speranze, le sue
sofferenze, il suo amore e quando lei se ne
andava si incamminava verso il bosco con gli
attrezzi in spalla, sereno suo malgrado, per la
forza che ne riceveva.
Quando meno se lo aspettava, quando le
tragiche esperienze vissute ormai più di vent'anni prima erano sopite in fondo ai suoi pensieri,
vennero a cercarlo i carabinieri per informarlo
che da tempo c'era la cartolina del richiamo
sotto le armi che lo aspettava.
Partì, questa volta, senza poter abbracciare
qualcuno che gli volesse bene veramente,
senza poter salutare se non lei, che lo fissava
dalla soglia della baracca, rassicurante.
Quello sguardo consapevole gli tornò alla mente
quando, ferito in maniera relativamente grave, fu
rispedito a casa, convalescente ed esonerato:
un vecchio, per di più ferito, non serviva più... e
lei lo aveva previsto.
Così non ebbe neppure il tempo di rendersi
conto che quelli che emettevano quei suoni secchi e gutturali, che non capiva e che lo spaventavano, che lo avevano spaventato fino a terrorizzarlo, stavano dalla sua parte. Né seppe
mai che dopo un poco essi non stavano più dalla
stessa parte e che di nuovo rappresentavano un
pericolo per la sua terra, per il suo paese, per la
sua gente.
Non si interessava a ciò che accadeva lontano
dai suoi boschi, dai suoi monti, dal suo orto.
Si era costruita una notevole serie di sgorbie e
scalpelli, utilizzando scarti di miniera e di segheria, e con la sua abilità di boscaiolo sceglieva i
pezzi di tronco migliori tra quelli non smerciabili
e scolpiva.
Moltissimi, tra le figurine di bestiole selvatiche,
erano i volti di lei, cui approntava ogni volta
acconciature diverse, immaginando come
avrebbe voluto vederla alla messa, al lavoro, tra
le sue braccia, durante le solenni feste cristiane.
E diverse erano anche le espressioni di quei
volti scolpiti ora nel larice ora nel cirmolo. Era
diventato anche bracconiere per necessità.
Uccideva l'animale solo quando capiva che gli
serviva la carne: le conosceva tutte, le bestie del
bosco, le onorava della sua ammirazione e della
sua gratitudine, sapeva quale poteva colpire per
la propria sopravvivenza.
Al di sopra dello sparo talora percepiva, più o
meno lontani, ben più forti boati che tuttavia non
lo coinvolgevano, non voleva esserne coinvolto:
raccoglieva la carne conquistata e si imponeva
di non pensare all'altra carne massacrata dalle
conseguenze di quei rimbombi, tornando alla
baracca in un cupo silenzio. Solo la visita serale
di lei, sotto le stelle, gli distendeva nuovamente
la rete di rughe che ormai costantemente gli
segnava il volto e via via si infittiva con l'eco dei
tuoni spaventosi, che ben conosceva, ma non
voleva riconoscere.
Un tardo pomeriggio si rese conto che era vissuto troppo distaccato dal mondo esterno: tornando dal bosco trovò la baracca semidistrutta
dal fuoco, i volti di lei anneriti, bruciacchiati o
completamente ridotti in cenere. Non perse
tempo, non pensò nulla di inutile: agì rapidamente, da uomo abituato ad affrontare il pericolo con semplicità e decisione. Da tempo aveva
scoperto, appena sopra il bosco, nella
antichissima roccia compatta del monte che
dominava la valle, una cavità eccezionale:
asciutta, con l'ingresso costituito da una fessura
verticale poco distinguibile tra i cespugli e i radi
larici, colpita dal sole tutto il giorno. L'aveva
attrezzata con le pelli, che aveva imparato a
conciare perfettamente, con oggetti di immediata utilità per abitarvi anche per tempi lunghi,
poiché in vicinanza sgorgava una modesta sorgente, che egli riteneva perenne, e con oggetti
atti a rendere l'abitazione trogloditica sufficientemente confortevole per uno spartano come lui.
Partì immediatamente verso la grotta, dopo
aver recuperato la doppietta e il fucile a palla,
GUERRA... O PACE? 27
precisissimo, regalo dell'unico amico che se ne
era andato in America a cercar fortuna. Non
l'aveva seguito, perché si sentiva il custode dei
luoghi dei suoi avi, della pace che vi regnava
nono-stante tutto, della pace che non doveva
sparire per la follia degli uomini: si scannassero
altrove, non lì.
Nella cavità resa decisamente accogliente
riprese, guardando le stelle dalla fessura d'ingresso, a parlare con lei, che tornava ogni sera
e gli appariva quasi con dolcezza per non
spaventarlo e per non turbare la quiete dei
luoghi e del suo animo. Attendeva quella visita
convinto che fosse la sua salvezza, che solo
quell'apparizione gli garantisse l'integrità intellettuale necessaria per non impazzire.
Una mattina si svegliò per un rumore che gli era
noto: si erano mossi i ciottoli spigolosi della falda
detritica accumulata lungo il versante.
Si avvicinò a quella fessura verticale, che gli
ricordava quella di una donna, che tuttavia non
aveva mai visto se non quando sua madre lo
mise alla luce, e li vide: due, che parlavano con
quei suoni gutturali che stimolarono nuovamente in lui i ricordi terribili facendogli rizzare i
peli sul collo, che ridevano con quelle voci roche
e chiocce, che spesso risuonavano nel recinto di
sofferenza non ancora dimenticato.
Guardavano verso la fessura. Nel cannocchiale
del suo fucile i baffi rossicci del primo volto si
arrossarono del tutto dopo il primo sparo. Nel
crocifilo dell'oculare il secondo volto fu sostituito
per un attimo dal visetto di lei, che sorrideva con
un'ombra di tristezza, che egli lesse come una
preghiera, poi quel volto fu disintegrato dal secondo colpo.
La pace era tornata. ACCADEVA 100 ANNI FA
Siamo alla vigilia della prima guerra
mondiale, e Dülfer compie le sue ultime
ascensioni prima che una granata ad Arras
spenga la sua giovane vita.
Sale il Catenaccio d’Antermoia per la parete
sud incontrando difficoltà di quinto grado, e
poi con Hanne Franz, Barth e Wolf supera
l’ardua fessura sud dell’Odla di Cisles, e
assieme a Trenker compie il tentativo di salita
della parete nord della Furchetta. Giungono
fino al pulpito, che si chiamerà Dülfer, a due
terzi della parete. La continuerà poi Solleder
con Wiessner raggiungendo la cima il 1°
agosto 1925, e sarà questa la prima scalata
dolomitica con i mezzo artificiali.
Berti e Tarra traversano la Cima Laste nel
Duranno, e poi montano sul Campanile Terzo
di Popera, e con Celli, Berti sale la Croda di
Ligonto per l’immane parete ovest, e con da
Rin il Pupera Valgrande Est dalla Forcella
Castellati.
Umberto Fanton, nelle Marmarole, con Errera
raggiunge la vergine Croda De Marchi da sud
ovest e con la sorella Luisa monta su tre
nuove cime, con Levi su altre due.
Fabbro con Bussi, nelle Pale, sale la Torre
Bettega, il Campanile Adele da nord e l’Ago
Canali e, da solo, la Cima Val di Roda per la
parete ovest.
Terschak con Kees supera la parete est della
Cima Canali, e Tarra con Celli e Barbieri apre
cinque vie nel Popera e nella Croda da Lago.
Il 1914 conta trentatre nuove ascensioni.
Ma è l’ultima estate di pace, nella nuova
primavera sulle Dolomiti echeggerà il rombo
del cannone.
Esce il libro di Guido Rey Alpinismo
acrobatico dedicato in parte alle Dolomiti.
P.S. Le immagini che accompagnano questo testo sono state
ricavate da oggetti reali.
- Il filo spinato è stato da me rinvenuto durante un’escursione
sul Sasso di Sesto nei pressi della Torre di Toblin.
- La bandierina la tenne gelosamente custodita per tutta la
vita nel suo portafoglio un combattente della Grande Guerra,
mio padre. g.g.
28 QVOTA 864 GIUGNO 2014
ORTIGARA
di Giuliana Rogari Giulianati
Cima Ortigara
Giancarlo Giulianati
Scarpe chiodate
spuntano tra i sassi:
come bocche spalancate
gridano al cielo
la disperazione
di chi le avea calzate.
Perché Caino,
ricordalo fratello,
più non uccide
armato di coltello,
bagnandosi le mani
col tuo sangue.
Come resiste il cuoio
al vento e al gelo,
all’acqua e al sole,
al sasso della frana,
quand’è pregno di sangue
e rappresenta
l’ultima traccia
d’una vita umana!
Egli fa sì che Abele,
Abele uccida:
e con monumenti
ne soffoca le grida.
Se tu ripensi
al giovane destino
che qui s’infranse
all’alba di un mattino
sconvolto dagli scoppi
di granate
da urla disumane
di carni martoriate,
e tu chiedi: “perché”,
chi ti risponde?
Nessuna voce d’uomo
sulla terra
può darti la risposta
che tu cerchi.
Ed anche i monumenti
ne le piazze
con marmi e bronzi
e simboli di guerra
son voci false
per prolungar l’inganno.
La risposta l’avrai
da queste scarpe,
da le gavette sparse
e arruginite,
da queste poche piante
ischeletrite,
e qui, fra questi sassi,
dove Abele giace,
ascolta la sua voce:
sussurra Pace... Pace!
Dall’Ortigara
al Passo dell’Agnella,
dalla Caldiera
a Cima Campanella,
te la ripete
il vento della sera:
ti sembra un urlo:
è invece, una preghiera.
Roana, 27.1.1975
da Severino Casara. IL LIBRO D’ORO DELLE DOLOMITI
Longanesi & C. 1980. Pag. 51
ORTIGARA 29
La poesia “Ortigara” fa parte della raccolta di
poesie di Giancarlo Giulianati ed è una fra le più
toccanti, per la tristezza e lo sgomento che
esprime di fronte a un famoso caposaldo della
Prima Guerra Mondiale, di quella guerra
spaventosa e micidiale che si è combattuta in
gran parte sulle nostre amatissime montagne.
Salendo sulla cima di questo monte, si ha
subito un'immagine sconvolgente: dalla terra
arida, solcata da fosse e ingombra di massi
enormi, in mezzo agli anfratti, spuntano ancora
resti di gamelle e di elmetti; e ci si chiede perché tante giovani vite abbiano dovuto sacrificarsi lassù, in una battaglia "impossibile" che durò
ben tre settimane!
Gianni Pieropan, il valente studioso conoscitore
delle Alpi e delle Dolomiti, indagando sulle
cause di queste operazioni, ci offre un quadro
assai complesso sulle motivazioni che spinsero
gli Alti Comandi a prendere tali iniziative: cause
che a noi, oggi, paiono assurde e prive di logica.
L'episodio dell'Ortigara, che si è svolto nel giugno del 1917, fa parte di un'operazione italiana
tesa a rendere più sicura tutta la zona che comprende il Costone del Portule, punto importantissimo in un'eventuali attacco nemico, e le cime
e valli circostanti - Monte Campanella, Monte
Zevio, Monte Rotondo.
In realtà, già da quando l'esercito austroungarico,
nel 1916, aveva effettuato la Strafe Expedition, si
era avanzata l'idea di operare al più presto dei
poderosi contrattacchi, per rientrare in possesso
almeno di una parte del territorio che ci era stato
tolto: Rotzo, Roana, Asiago, il Cengio, tanto per
citarne alcuni.
Ma tra il dire e il fare… Il Comandante Supremo
Cadorna più volte fu sul punto di organizzare la
sospirata operazione, ma poi… lo richiamava da
un'altra parte una più importante azione
sull'Isonzo, oppure i suoi generali battibeccavano su particolari del piano presentato (anzi,
spesso e volentieri erano in disaccordo con lui),
o si verificavano ritardi nell'invio di truppe e di
materiale: ricordiamoci che si sta combattendo
sulle cime di alte montagne, che le strade, se
così si possono chiamare, sono primitive e disagevoli, e che gli approvvigionamenti si effettuano con lentezze esasperanti.
Finalmente, dopo due rinvii tra la fine del 1916 e
gli inizi del 1917, dovuto quest'ultimo soprattutto
ad un inverno durissimo, con tre metri di neve,
sembra si possa dar vita ad un attacco ben con30 QVOTA 864 GIUGNO 2014
gegnato, la cui azione principale è quella di
irrompere a nord nelle linee nemiche in corrispondenza dei monti Ortigara e Forno, mentre
un altro attacco sarà portato a sud tra lo Zevio e
Monte Rotondo.
Naturalmente l'operazione avrà un nome simbolico di tutto rispetto: “Difensiva Ipotesi Uno”,
che sostituisce il precedente troppo ovvio
“Operazione K”.
Nel periodo precedente, si era proceduto allo
sgombero di masse di neve, si erano riattate
mulattiere, raddoppiate alcune teleferiche, sistemate anche artiglierie e munizioni, in un importante sforzo logistico: si sperava che questa
messa a punto fosse sufficiente a far procedere
speditamente i nostri, e a porli in condizioni di
superiorità rispetto alle complesse opere di difesa dei nemici.
Infatti, dopo aver dovuto porre fine alla Strafe
Expedition, sia per la forte resistenza italiana in
alcuni punti chiave (Pasubio, Novegno,
Vallarsa) sia per far fronte all'improvviso attacco russo nel settore orientale, gli AustroUngarici si erano sistemati in luoghi facilmente
difendibili, rinforzandoli con robuste muraglie e
camminamenti. Per di più, in quel periodo si
sentivano particolarmente sicuri e protetti: il neoeletto Imperatore Carlo aveva inviato al comando delle truppe del Tirolo il terribile e ben
conosciuto Generale Conrad!
Preparata la 6ª Armata, composta da
squadroni di alpini, ben informati su ciò che
devono affrontare, e da battaglioni di fanteria
che hanno il compito di affiancare e completare
l'opera dei colleghi - hanno un'idea a grandi
linee di ciò che avverrà! - si può dar luogo
all'inizio delle operazioni. Il morale delle truppe è
ottimo - così viene assicurato agli Alti Comandi.
La battaglia ebbe inizio il 10 giugno 1917 alle
ore 5.25 con un forte bombardamento delle
artiglierie italiane che si protrasse per nove ore.
Purtroppo, dopo i tiri d'inizio, una nebbia fitta
avvolse l'intera zona, rendendo l'azione sempre
più insicura e difficile. Gli Austriaci riuscirono a
ripararsi e a rispondere al fuoco.
Alla Brigata Sassari toccò anche la brutta avventura di trovarsi fra due fuochi: il nostro e quello
del nemico, essendoci grande vicinanza fra le
linee italiane e quelle austriache. Ebbe 500 morti!
Tutte le nostre truppe, del resto, che si erano
abbarbicate fra i massi, erano allo scoperto.
Alle 15.00, terminati i tiri di artiglieria, ha inizio
l'attacco della fanteria su tutto il fronte.
Il giornalista De Mori riferisce commosso il
momento emozionante in cui alpini e fanti
escono di corsa e danno la scalata alle rupi,
scomparendo poi in mezzo al fumo e alla nebbia, al grido di "Savoia!".
La vittoria sembra certa; ma alla sera le notizie
sono pessime: il successo sull'ala destra non
era stato secondato al centro e a sinistra
(Zebio), cosicché tutti devono rientrare sulle
posizioni di partenza, eccettuate le truppe
dell'Ortigara, esposte alla furia del nemico e isolate.
Anche i tiri dell'artiglieria sono stati meno efficaci
del previsto e poche le brecce aperte.
Sottoponendosi ad attraversamenti paurosi nel
vallone dell'Agnellizza, sotto una pioggia battente e il fuoco preciso del nemico, colonne di
Alpini continuano a salire, aggrappandosi con le
unghie e con i denti, sull'Ortigara: quelli, naturalmente, che riescono a sottrarsi al fuoco nemico!
Immaginiamo per un attimo la scena: affrontando pieghe del terreno piene di erbe scivolose e
rocce grigiastre fessurate, questi giovani vestiti
con scarpacce, una divisa stinta e le balorde
fasce gambiere, coperti da una mantellina
inzuppata d'acqua e riforniti di zaino - pesantissimo! - e '91, devono salire per un cammino
impervio e difficilissimo, per aggrapparsi a quattro rocce, sotto il tiro nemico!
La “Sette Comuni” arriva alla famosa quota 2105
e lì rimane inchiodata, non potendo andare
lungo il declivio est dell'Ortigara, battuto dalle
artiglierie nemiche.
Soltanto lo “Spluga” riesce a raggiungere quota
2101 e la sua puntata è la massima penetrazione raggiunta durante l'intera battaglia.
Per giorni ci si mantiene in questa precarissima
posizione, senza riuscire ad ottenere risultati
migliori, per l'intensità della difesa nemica; dalle
loro postazioni sicure e ben protette, gli Austriaci
si prendono gioco dei nostri.
Lunedì 18 riprendono a tuonare le artiglierie italiane, ma si alza nuovamente la nebbia e nella
notte cade nuovamente la pioggia.
La risposta nemica, assai vivace, fa molte vittime fra gli Alpini aggrappati a quota 2105.
Durante la terza settimana gli Austro-Ungarici
organizzano una spaventevole difesa: tutta la
montagna è scossa da un fuoco infernale, che
viene per di più allungato sul vallone di Caldiera
e supportato da lanciafiamme.
Il Maggiore Von Buol s'infiltra rapidamente con
la sua colonna d'assalto nelle posizioni di sinistra di quota 2105, tenute da due battaglioni, e
ben pochi si salvano.
Nonostante il violentissimo fuoco d'artiglieria
austriaco, che vuole rendere vano ogni contrattacco, i soldati dello Stelvio riescono ad aggrapparsi ad un roccione sul lato orientale e ad
impedire che il nemico arrivi fin sul ciglio, per
dominare il terreno circostante.
Ma l'eroico contrattacco italiano è vano. Il 26
giugno molti battaglioni vengono fatti rientrare.
Il 30 giugno si effettua il ripiegamento totale.
È un'amarissima rinuncia!
Le nostre perdite, fra morti, feriti e dispersi,
furono di 28.000 uomini. Particolarmente elevate furono quelle delle truppe alpine.
Notevoli furono anche le perdite degli Austriaci.
Dalle varie Relazioni Ufficiali che si
susseguirono dopo la tragedia voglio solo ricordare le parole di Silvio Volta: “Nessuna posizione più aspra fu in nessun luogo attaccata
frontalmente nella guerra europea”.
E questa affermazione pone fine a tutti gli interrogativi sul motivo della sconfitta.
Nel settembre 1920 l'A.N.A. - Associazione
Nazionale Alpini erige a quota 2105 sull'Ortigara
una colonna mozza, posta su un basamento
quadrangolare, con la scritta “Per non dimenticare”.
Don Giulio Bevilacqua, ufficiale sacerdote sul
“Monte Stelvio”, pronuncia l'orazione celebrativa con una passione ed un trasporto indicibili.
Sono parole che si incidono profondamente nel
nostro cuore:
Qui non vi è pietra non sacrata dal crisma del
sangue; non vi è roccia che nelle lastre più sensibili non abbia fissato l'ombra di esseri che
volavano e non avevano ali.”
“L'Ortigara non è una sconfitta”.
“Per sedici giorni strisciammo sul ferro e nel
fango le nostre carni sbrindellate, rodendo il
pane sul ventre dei morti, respirando il loro
alito…”
“L'Ortigara è un altare di anime”.
“Ortigara! Libro tessuto con gli stracci e con gli
splendori dell'anima alpina!”
“Ortigara! Cattedrale degli Apini!”.
Credo che di fronte a queste parole, si possa
solo dire “Non dimentichiamo”! ORTIGARA 31
Si parla di montagna soprattutto in occasione d’incidenti affermando che: “la montagna è pericolosa”; tuttavia
la montagna, come ogni ambiente naturale, è semplicemente meravigliosa.
Con serenità, senza colpevolizzare nessuno e demonizzare nulla, è necessario parlare di prevenzione
affinché diminuiscano sempre più gli incidenti e la frequentazione della montagna avvenga nel pieno rispetto
delle regole di sicurezza attraverso la cognizione dei propri limiti d’azione, ovvero, l’accettazione di rischi
ragionevolmente controllabili. Difficile è la percezione dei rischi da parte di chi ha poca esperienza, anche su
terreno facile. Il CORPO NAZIONALE SOCCORSO ALPINO E SPELEOLOGICO rivolge specialmente a costoro un forte
appello d’attenzione e prudenza.
SENTIERO. L’escursionismo permette di scoprire la montagna con percorsi che vanno dalle semplici passeggiate all’ambiente d’alta quota che arriva a lambire i ghiacciai. Le difficoltà possono essere quindi molto
diverse. Non bisogna mai dimenticare di considerare bene le condizioni del terreno, di noi stessi e degli amici
che camminano con noi, le variazioni del tempo. Spesso, dalle analisi degli incidenti, traspare l’incapacità a
compiere quelle valutazioni che, prima che l’incidente succeda, dovrebbero far optare per una sana rinuncia.
Scegli, pertanto, itinerari commisurati alla tua preparazione tecnica e alla tua condizione psico-fisica, non
sopravvalutare le tua capacità. Studia il percorso e, in caso d’incertazza, affidati ad un Accompagnatore o
Istruttore del CAI, ad una Guida Alpina. Il tuo zaino sia piccolo e leggero ma senza dimenticare ciò che serve:
cibo, bevande, un ricambio asciutto da lasciare ben protetto in un sacchetto impermeabile. Vesti in modo
adeguato con particolare attenzione alle calzature, robuste da montagna. Il brutto tempo in montagna va evitato e ricordati che una sana rinuncia non è mai disonorevole. Lascia detto a parenti ed amici l’itinerario e la
meta, non variarla ed avvisa al rientro. Se ti trovi in seria difficoltà, mantieni la calma e non farti prendere dal
panico, mettiti al riparo ed attendi i soccorsi.
FERRATA. Percorsi attrezzati storici o moderni, le ferrate continuano a richiamare un gran numero di appassionati; le strutture di protezione, cavi, catene, staffe ed altro, sono di regola affidabili e controllate. Le cause
d’incidente riguardano, nella quasi totalità, errori personali. L’assicurazione, con dissipatore d’energia di caduta, l’imbracatura ed il casco, sono le attrezzature indispensabili per proteggersi in caso di caduta. Non
dimetichiamo che esistono altri problemi da evitare: l’affollamento, il maltempo e la salita di percorsi troppo
lunghi e faticosi.
FUNGHI. Belli, buoni ed irresistibili; i funghi continuano a richiamare l’attenzione di ricercatori occasionali od
incalliti. Innumerevoli sono gli infortuni causati, per la quasi totalità, da scivolata su terreno impervio. L’andar
per funghi non è assolutamente una pratica pericolosa, è semplicemente stupendo ed appagante. Basta
osservare alcune piccole regole. Non utilizzare stivali di gomma. Non farti prendere dalla frenesia della raccolta, potresti trovarti inaspettatamente su pendii esposti e difficilmente percorribili. Programma l’uscita in
zona conosciuta. Porta sempre con te un piccolo zainetto con indumenti di ricambio, cibo e bevande.
Comunica sempre il luogo che intendi frequentare e non variare la destinazione. Avvisa dell’avvenuto rientro.
ALPINISMO. Le pareti di roccia ed il mondo
dei ghiacciai costituiscono il terreno
d’avventura proprio dell’alpinismo - un
mondo che va frequentato con passione,
competenza ma soprattutto rispetto.
L’ambiente dell’alta montagna va
conosciuto senza incertezze perché i
pericoli ambientali possono essere molto
rilevanti. La gestione dei rischi e la capacità di percepire i propri limiti stanno alla
base della sicurezza, insieme ad un indispensabile bagaglio tecnico.
32 QVOTA 864 GIUGNO 2014
IL TEMPO IN MONTAGNA E I PERICOLI CONNESSI
L’iniziativa Montagna Amica e Sicura propone, per la frequentazione dell’ambiente montano nel periodo estivo, varie tematiche di base, tutte indirizzate alla prevenzione degli incidenti. Temi che danno le indicazioni del
corretto comportamentoi a chi si cimenta in escursioni di vario livello.
I PERICOLI METEO
VISIBILITA’ RIDOTTA E NEBBIA. Gli elementi che compromettono maggiormente la visibilità in montagna
sono la nebbia, le nuvole basse e le nevicate, in particolare con vento. L’orientamento è facilitato dagli
oggetti che assorbono luce (rocce, alberi, tralicci, ecc.) che diventano punti di riferimento, mentre è ostacolato da ciò che riflette la luce come la neve - effetto white out.
PRECIPITAZIONI E FREDDO ESTIVO. Salendo con la quota la temperatura diminuisce mediamente di 0.65°
C/100 m. Il transito di un fronte freddo può dar luogo a forti temporali, forti raffiche di vento, grandinate ed
anche trombe d’aria; è una delle condizioni di maggior pericolo in montagna! Attenzione alle nevicate a
bassa quota. La perdita di calore notturna - gelate notturne - dovuta ad irragiamento, può portare ad una
sensibile diminuzione della temperatura.
TEMPORALI E FULMINI. Effetti sono l’ipotermia da raffreddamento, il rischio di folgorazione, il terreno
scivoloso. Per determinare la distanza di un fulmine dal punto in cui ci si trova, si divide per 3 il numero di
secondi fra lampo e tuono e si ottiene la distanza in km - es.: se fra lampo e tuono passano 6 secondi significa che ci si trova a 2 km dal punto in cui si è prodotto il fulmine.
VENTO ED EFFETTO WIND-CHILL. Il vento in montagna è influenzato dalla morfologia del terreno. Può
provocare un effetto meccanico con pericolo di caduta e raffreddatamento - effetto chill. L’osservazione del
movimento delle nubi dà un’indicazione della direzione di provenienza del vento.In alta quota le “bandiere di
neve” in prossimità delle creste indicano un forte vento. Con condizioni di foehn (Föhn) i venti possono raggiungere anche i 100-120 km/h. Il wind-chill è il potere raffreddante del vento e quindi la sua capacità di
togliere calore al corpo umano. In montagna la temperatura percepita può essere molto più bassa di
quella reale misurata.
RADIAZIONE SOLARE E INDICE DI CALORE. Il bel tempo stabile può portare a significativi aumenti di temperatura che possono essere aggravati da condizioni di elevata umidità. Possono insorgere crampi, insolazione e colpi di calore, problemi di orientamento e oftalmia a causa di esposizione ai raggi UV che possono
penetrare profondamente anche con la nebbia e quindi è essenziale proteggersi. In montagna la temperatura percepita può essere molto più alta di quella reale misurata.
GLI STRUMENTI DI PREVENZIONE
AUTO PREVISIONE. Lo sviluppo di cumuli diurni in condizioni di instabilità è spesso preludio alla formazione di un temporale pomeridiano.. Con condizioni di stabilità il.cumulo cerca di crescere in alto, ma la
presenza di aria secca ed il forte vento in quota ne provocano la dissoluzione.
Sulle Alpi Orientali la rotazione del vento dai quadranti meridionali determina un probabile peggioramento,
dai quadranti settentrionali un probabile miglioramento.
La pressione in una zona può variare significativamente anche in maniera repentina.Un aumento della pressione indica l’approssimarsi e l’affermarsi di un promontorio anticiclonico che solitamente porta bel tempo,
viceversa un calo della pressione indica un probabile peggioramento. Strumento frequentemente usato per
fare le opportune valutazioni è l’altimetro basato sul principio che la pressione diminuisce con la quota.
IL BOLLETTINO METEOROLOGICO. Contiene informazioni circa la situazione generale del tempo e la
sua evoluzione nei seguenti 3-4 giorni. Fornisce delle indicazioni sintetiche e spesso non può scendere nel
dettaglio. Non fornisce indicazioni circa possibili pericoli tanto più si è lontani rispetto alla zona oggetto della
previsione, tanto meno precisa risulterà la previsione stessa.
Veneto: www.arpa.veneto.it/bollettini/htm/meteo.asp
Dolomiti Meteo: tel. 043678007 - www.arpa.veneto.it/bollettini/htm/mailing_list.asp
MONTAGNA AMICA E SICURA 33
Misurina. Alberi...
...dopo la grande nevicata del 2013
Abbiamo letto per voi
FUGA
SUL KENYA
di Felice Benuzzi
Nel 1943 tre prigionieri di guerra italiani, Felice Benuzzi, Giovanni Balletto e Vincenzo Barsotti evasero dal campo di prigionia britannico a Nanyuki, in Kenya, al solo scopo di scalare il Monte Kenya. Felice e Giovanni raggiunsero la cima della
Punta Lenana (4985 m). Dopo aver piantato il tricolore, i due si riunirono a Vincenzo e, insieme, fecero ritorno a Nanyuki
dove si consegnarono alle autorità. Gli inglesi dovettero organizzare una spedizione per togliere la bandiera italiana.
“Fuga sul Kenya” - edizione italiana 1947, apparve in inglese nel 1952 col titolo: “No Picnic on Mount Kenya”.
“Forse mai innamorati della montagna si sono avvicinati al monte dei loro sogni in condizioni quali le nostre... Ogni passo
era una scoperta, un principio. Eravamo all’origine delle cose, quando i luoghi non avevano nome; ogni sguardo faceva
scaturire dal nostro animo pensieri d’ammirazione, di gratitudine, di riverenza”.
F.B. Casa Editrice Corbaccio. Garzanti Libri spa. Milano
Il Monte Kenya dall’Hausberg Col
“...dirimpetto a noi, dall’altra parte di essa si ergeva una catena di rupi immense, del tutto staccate
dal massiccio centrale del monte: tutta una serie di torrioni, pinnacoli, gendarmi favolosamente arditi, che precipitano con una vertiginosa parete di qualche centinaio di metri.
La prima impressione fu che questa straordinaria montagna somigliasse a un rottame di caravella
colombiana o a una carcassa di Vascello Fantasma.
La nube di Magellano era vicina al tramonto. Sul limpido nord campeggiava solitaria l’Orsa
Maggiore. Neppure da quell’altezza affiorava all’orizzonte la Stella Polare.
Lentamente le fosche murate del Vacello Fantasma illividirono. Intorno ai laghetti spiccavano le
lobelie come stele funerarie d’un cimitero abbandonato. Hanno qualche cosa di lugubre queste
piante: anche il primo italiano, o uno dei primi, a descriverle, il Duca degli Abruzzi sul Ruwenzori le
paragonò a torce funebri.
Finalmente alla destra del Vascello dove esso si collega con un’ampia sella al Lenana il cielo cominciò a trascolorare. Non c’era un fiato di vento e regnava un silenzio abissale: la solenne attesa
del giorno.
Le rupi erano esangui, ma le tenebre a poco a poco cedettero terreno e scomparvero”.
36 QVOTA 864 GIUGNO 2014
Era l’ora mitica del Cantico del gallo silvestre, l’ora in cui le cose incominciano, diventano... ed ecco
che un brivido percorse la montagna.
Là, sul più alto pennone del Vascello Fantasma s’era levato un segnale di fiamma. Le sue vele
rupestri si tinsero di rosa, di rosso. L’antico miracolo s’era degnato ancora una volta di ripetersi.
È giorno, mortali, è giorno!
“Oltre la valle il Vascello era diventato di mille colori e la sua gran parete sud nell’ombra sembrava
per contrasto ancora più imponente. Ci domandammo se mai piede umano, se mai ansia d’altezze
d’arrampicatore, si fossero cimentati su quell’appicco.
Marciavamo come in un sogno”.
“Ghiaioni noiosi, penosi. Non ci consolava per nulla il fatto che i sassi avevano bellissimi colori e
presentavano lucide sfaccettature cristalline”.
Aggirammo un gran roccione che sporgeva come un’isola dall’agitato mare di ghiaioni e, dopo mille
fatiche, giungemmo sotto il Ghiacciaio Gregory. La morena qui era tagliata da una specie di cengione che proseguiva fino alla Sella Flake, larga e piana da sembrare una strada.
Erano le sette quando da questo cengione salimmo facili rocce che scendevano dalla cresta nordest del Lenana. Eravamo stanchissimi e il vetrato delle rocce ci dava parecchia noia, ma più si saliva e più il cielo si faceva limpido. Alla nostra destra l’immane possente muraglia nord-est del Nelion
splendeva d’un giallo così luminoso, da farci dimenticare ogni fatica. Ancor oggi se chiudo gli occhi
e tento di rievocare quella visione, rivedo quel giallo cromo saturo, carico, un giallo come quello di
cui splendono le case della vecchia Roma d’autunno, prima che il tramonto le tinga di vermiglio.
Dovevamo spicciarci se volevamo essere in vetta entro le 10. Infatti ci spicciammo tanto che alle 8
eravamo sulla cresta, a meno d’un centinaio di metri sotto la vetta.
“Un panorama indimenticabile intorno”.
...un mare di nuvole, veli di nuvole, cortine di nuvole, soffuse d’una luce così dolce, che quasi ti veniva il desiderio d’avere le ali d’Icaro e di tuffarti in quelle onde evanescenti. Nuvole auree, nuvole porporine, nuvole rosse, nuvole che coprivano valli e piani, deserti e boscaglie, per quanti chilometri lo
sa solo Iddio.
“Con passo esitante, chi sa perché profondamente turbato, mi avvicinai all’ometto di sassi che segnava la vetta del Lenana; ma prima di giungervi mi fermai. Volevo arrivarci insieme a Giuàn, che
aveva diviso fraternamente con me ansie, pericoli, gioie ed emozioni di questa strana spedizione.
Finalmente mi raggiunse, la piccozza sotto il braccio, in mano «francobolli» e occhiali.
Ci guardammo e leggemmo negli occhi quello che non potevamo esprimere a parole. Muti, arrivammo insieme là donde non si sale più.
“Ci sedemmo sui sassi di vetta, al sole, assaporando la nostra vittoria.
Era certamente una vittoria sulla quotidianità inerte della prigionia, sul presente schiacciante e
immutabile che incombeva su di noi da due anni”.
“Le nubi si accavallavano, si mescolavano, urgevano, come acqua in ebollizione in una caldaia.
Talora un brandello di nebbia urtava contro le rupi del Lenana, ma veniva respinto, scoppiava, si
fondeva nel nulla, come una bolla di sapone che urti contro un ostacolo. Tra non molto le nebbie
avrebbero vinto, prevalso. Avevano atteso anche troppo. Era tempo di issare la bandiera!”
Aggiustammo l’ometto di sassi in modo da conficcarvi comodamente la parte inferiore dell’asta, fornita di guaina. In questa introducemmo la parte superiore ov’era legato il drappo. Mentre reggevo
l’asta, Giuàn fissava le quattro funi su altrettanti spuntoni di roccia.
L’aria era ferma, non spirava un alito.
Feci qualche passo indietro per controllare se l’asta fosse a piombo. Lo era. E mentre guardavo, un
brivido mi corse per la schiena come se avvenisse qualcosa di soprannaturale: si levò da sud una
brezza e il drappo, che già pendeva inerte, fremette, prese vita. Ecco, un lembo si solleva... la brezza diventa vento... il sangue mi martella nelle tempie... con un crescendo musicale il vento delle
altezze aumenta d’intensità... ecco, ecco il rosso si spiega... il bianco... il verde; un attimo e il bianco rosso verde si distende, si gonfia, sbatte, garrisce, schiocca, libero, libero, libero! E sventola in
direzione nord, verso il campo dove fummo prigionieri, verso l’Italia.
Il tricolore che sventola, libero nell’azzurro, un tricolore d’Italia finalmente, dopo tante, tante bandiere
bianche... Non sapevo non potevo più trattenermi e piansi, piansi come un bambino”. FUGA SUL KENYA 37
Libri, riviste, giornali... e altro ancora
UOMINI & NEVE
" Non perdete tempo in cose futili se non volete soffrire di rimpianti da grandi. Rifuggite banalità e
conformismi. Leggete libri e innamoratevi “.
Mario Rigoni Stern
IMMAGINI MOTANE
Un omaggio alla
bellezza della Natura
L. Ceretti - V.
Corona
Grafica 5 - Arco
Un libro dove c’è
quasi nulla da leggere e dove tutto è
lasciato all’occhio,
forse curioso, certamente appassionato
del
lettore.
Una
“scarpinata” straordinaria attraverso le immagini
di luoghi noti, ma che ti rapiscono sempre per la
loro bellezza. Ecco quanto scrivono gli autori:
Splendore montano
Nell’infinito silenzio
vaga un raggio di luce.
si insinua lentamente,
muta le pagine del tempo,
scopre l’essenza della vita.
Laura Ceretti
L’eco dei monti
Amo la solitudine
perché conduce ai veri affetti,
amo il silenzio
perché permette di udire
i sussurri della natura,
amo la pace
perché apre le porte
all’eterno e all’infinito,
amo i monti
perché in essi tutto ciò si conclude.
Quando la vista vaga
rimbalzando fra verdi valli
e scoscesi dirupi,
quando l’olfatto assapora
il profumo dei boschi e dei venti,
quando l’udito raccoglie
lo scroscio delle acque
e il sibilo delle altezze,
la mente penetra con dolcezza il profondo
e il cuore vince.
Allora, non puoi più dimenticare.
Vittorio Corona
38 QVOTA 864 GIUGNO 2014
LE MIE MONTAGNE
Marcello Verlicchi
Edizioni Stear, Ravenna
€ 11,00
Se il postino ti porta
un libro è sempre un
regalo straordinario,
se poi il libro è di un
tuo amico allora è lo
spaccato di una vita,
che credevi di conoscere, che ti si apre
davanti: il cuore e i
luoghi che sono anche i tuoi, “non lo sterile confronto con la Natura ma esserne parte e poi,
cosa mirabile, questo oceano così irreale che
approda all’isola dell’amicizia”. E.M.
Marcello ci offre con questo suo scritto un ricordo molto personale della sua esperienza in montagna. È la “dolce ossessione” che si esalta nel
contatto con la roccia.
“E se questa arriva, non se ne va più! Provi di
scrollartela di dosso, ma la febbre rimane. Poi
quando il fisico non risponde più alle sollecitazioni richieste, resta la nostalgia: una
malattia ancor peggiore della febbre.
“Un rimedio a tutto questo? Nessuno!
Le montagne che hai dentro, infatti, non se ne
vanno più...”.
Scorrono le pagine, dal Sassolungo alle Torri del
Vajolet, alle Lavaredo... sogno di pietra - il tuo
cuore si apre e si commuove. Puoi dare spazio
a lacrime di gioia.
Il Campanile di Val Montanaia - luogo fatato ed
incantevole, le Marmarole.
Si alternano memorie storiche.
Pagine di grande sensibilità nel ricordo delle
donne che hanno tinto di rosa le Dolomiti auronzane: Mary Gennary Varale, Luisa Fanton,
Paula Wiesinger, Ninì Pietrasanta, Bianca Di
Beaco e altre.
“Le mie montagne”, le nostre montagne
Marcello.
Non posso non concludere ripetendo le tue
stesse parole: A tarda sera, fissando gli alberi
che mi circondano, vedo alti cirri che corrono ad
abbracciare le vette maestose e il mio pensiero
vola in alto con loro”. Là è il mio cuore.
18 incontri
ravvicinati con i
protagonisti del freeride
Martino Colonna
Francesco Perini
Edizioni Versante Sud
I RAMPICANTI € 33,00
Il freeride è una disciplina non solo sportiva, ma
soprattutto mentale. È il pensiero che spinge i
rider a sfidare i propri limiti e affrontare una
discesa estrema, o a partire per l’esplorazione di
una regione sconosciuta.
È proprio il lato interiore quello che viene fuori
da questo volume che ci offre diciotto interviste
a sciatori e snowboarder, del presente e del
passato, che hanno lasciato un segno indelebile
nel mondo del freeride e delle neve fresca.
Attraverso le loro parole e i loro racconti vengono affrontate le ragioni più profonde che li
hanno spinti a mettersi in gioco e alle volte a
rischiare la propria vita per sentirsi liberi di poter
lasciare la propria traccia sui pendii che sognavano. Per molti di loro fare
freeride non è stata
l’opzione più semplice.
Hanno rinunciato alla strada
più facile e meno pericolosa,
per potersi esprimere nel
modo che più li rappresentava, quello della libertà e del
contatto con la natura. Le
linee che hanno tracciato
sono un po’ la cifra della loro
anima e del loro modo di
essere.
Fridtjof Nansen ha detto:
“Diventi un tutt’uno con i tuoi
sci e la natura. È qualcosa
che non sviluppa solo il tuo
corpo ma soprattutto la tua
mente, con un significato
così profondo che molti di
noi non sono in grado di
comprenderderlo”.
La femminilità e l’energia positiva
“Sono provocativa e passionale, sono una
snowboarder radicale, sorrido e mordo. Più
cado e più mi rialzo e ci riprovo. La vita è breve
e preziosa, bisogna assaporarne ogni momento”.
Sono le sue stesse parole a descriverla nel
miglior modo.
Anne-Flore Marxer è probabilmente la snowboarder più completa e radicale che ci sia mai
stata. Una rider capace di tutto, di vincere qualsiasi tipo di evento e di scendere le linee più difficili. Ma a conoscerla quello che più colpisce è
la sua fantastica purezza e schiettezza uguali
proprio alle sue linee in fresca. È riuscita a farsi
strada nell’industria senza mai scendere a nessun compromesso ed ha imposto la sua personalità e il suo stile.
Un suggerimento se mai avrete la fortuna di poter
essere ad un party con lei preparatevi a essere
trascinati dalla sua energia e dal suo fascino.
Anne-Flore Marxer: splendida, coinvolgente,
punk!
Anne-Flore Marxer
LIBRI, RIVISTE, GIORNALI... E ALTRO ANCORA 39
EDIZIONI VERSANTE SUD
SENTIERI IN OSSOLA E VALSESIA
Cesare Re
La Valsesia e l’Ossola: un unico e straordinario
ambiente naturale, ove oltre alle vette ci sono
altre vette ed altre ancora.
La Valsesia è la valle del Monte Rosa, ambiente
ricco di attrattive naturali, anche grazie alla presenza del Parco Alta Valsesia, e culturali, vista
l’origine Walser di molti dei suoi abitanti. “Il
Monte Rosa è il re. Nessun massiccio alpino
l’eguaglia nella grandiosità della mole e nella
varietà delle cime; nessuno, con le sue distese
nevose, lancia una nota più smagliante nel pallido azzurro del cielo italiano”. È Luigi Ravelli che
scrive. Nonostante l’importanza del Monte Rosa,
la valle prende nome dal fiume Sesia ideale terreno di gioco per gli sport acquatici, rafting e
canoa su tutti, ma anche torrentismo e
hydrospeed. La Valsesia è anche un ambiente
particolare dal punto di vista culturale, data la
presenza delle genti Walser: gente operosa che
conosceva la montagna con le sue insidie, l’agricoltura in quota e le tecniche d’allevamento del
bestiame. Un ambiente alpino di rara suggestione e bellezza da vivere camminando lungo
sentieri, giogaie, morene, cime e ghiacciai.
L’Ossola è una penisola in territorio svizzero, un
cuneo di montagne imponenti e arcigne che si
riflettono nei numerosi laghi alpini, adagiati alle
pendici di fianchi vallivi scoscesi e impervi.
Regione caratterizzata dall’abbondanza d’acqua. L’Ossola è un piccolo scrigno di bellezze
naturali.
40 QVOTA 864 GIUGNO 2014
COLLANA LUOGHI VERTICALI
SUL CONFINE
Daniele Bucco
Falesie del Friuli-Venezia Giulia e delle terre confinanti
della Slovenia
Volume altamente tecnico che ci trasporta in
una terra che ha visto nascere l’arrampicata da
alpinisti come Comici e Carlesso. Una guida
completa frutto di due anni di lavoro sul campo
con l’aiuto di una manciata di amici fidati e la collaborazione di alcuni dei principali chiodatori
della zona ma anche del coraggio di mettersi in
gioco con al fiducia di chi crede che la divulgazione di questo sport possa contribuire alla
sua crescita sportiva ma anche culturale.
SENTIERI DI FINALE
Marco Tomassini
Il Finalese offre una ricca varietà di percorsi e
passeggiate adatti sia all’escursionista esperto
che al turista balneare che voglia affrontare e conoscere un paesaggio diverso da quello marino.
Inoltrandosi oltre la linea di costa fra le strette
valli che salgono fino al crinale prealpino, si può
incontrare una natura incontaminata dove
comunque è presente la mano dell’uomo che,
con fatica, ha strappato queste ripide terre alla
montagna per tarne sostentamento.
La storia di Finale inizia milioni di anni fa e la si
legge nella sua particolare roccia, la Pietra di
Finale, enorme deposito sedimentario calcificato
ed emerso dal mare, ricchissimo di biodiversità
di specie arboree e floreali e di un’altrettanto
varietà faunistica.
MONTE BALDO ROCK
Cristiano Pastorello - Eugenio Cipriani
La parte veronese della Val d’Adige, il settore
meridionale del Monte Baldo e l’entroterra
gardesano sono divenuti da alcuni decenni un
paradiso per gli arrampicatori. Il clima mite della
zona permette di arrampicare praticamente tutto
l’anno. A tutti i frequentatori il compito di prendere coscienza del grande patrimonio che abbiamo a disposizione e frequentare con rispetto
questo importante centro di arrampicata.
MOUNTAIN BIKE SUI LAGHI
Luca De Franco - Matteo Gattoni
All’inizio c’era il “rampichino”, scrive Luca - e chi
di noi non lo ricorda - poi hanno fatto la comparsa le forcelle ammortizzate. Si iniziava a parlare di cross-country (XC), freeride o downhill.
Oggi il mondo della MTB si è ancora più specializzato e, direi, complicato, con l’aggiunta dell’all mountain e di altre categorie.
Sono 69 itinerari che si sviluppano su un territorio che parte dalla Brianza Comasca e si
estende fino alla punta settentrionale del Canton
Ticino a ridosso delle alpi: pianure, boschi, laghi,
colline, montagne, sentieri, strade sterrate. Gli
itinerari non sono descritti al centimetro, anzi,
forniscono i punti di riferimento principali per
poterli ripetere, ed eventualmente anche modificare “in fieri”.
La pratica dellla mountain bike è si uno sport,
ma quella descritta in questa bella guida è divertimento, non competizione.
A SUD
Graziamo Montel
Pietro Radassao
In questi anni, l’arrampicata al sud Italia si è
sviluppata notevolmente
ed è diventata anche un
importante richiamo per
un turismo sportivo in sintonia con l’ambiente.
Molte zone si trovano
all’interno di aree protette,
parchi o oasi naturali.
Possibili divieti o limitazioni. La gente del Sud
è sempre molto ospitale e
più volte è capitato di
essere trattenuti a pochi
metri dalla via in lunghi
discorsi a sorseggiare del
buon vino locale, indispensabile integratore prima della realizzazione.
In Puglia e Calabria le zone
di arrampicata sono vicine
ai centri abitati, spesso
invece in Basilicata e
Molise è possibile sfruttare
aree pic nic o zone con
fonti d’acqua nelle vicinanze per passare la notte
sotto un tetto di stelle.
LIBRI, RIVISTE, GIORNALI... E ALTRO ANCORA 41
NANGA PARBAT
Jochen Hemmleb
Edizioni Versante Sud
Collana I RAMPICANTI
€ 19,00
È una delle tragedie
alpinistiche più raccontate e discusse: quella di
Reinhold Messner e
della morte del fratello
Günther sul Nanga
Parbat nel 1970. Un
trauma di notevole
importanza per i sopravvissuti e allo stesso
tempo un dramma colmo di contraddizioni, controversie, dispute, accuse. Un tema emotivamente toccante ancor oggi.
Se trattata in maniera obiettiva, la prima parte
della storia del Nanga Parbat del 1970 parla di
un dramma di montagna, niente più e niente
meno. Due giovani alpinisti si sono ritrovati a
dover prendere decisioni, le cui conseguenze
furono la morte di uno e la mera sopravvivenza
dell’altro. Si potrebbe discutere e valutare tale
decisione da un punto di vista alpinistico. Ma
non la si deve giudicare. Il mondo dell’alpinismo
è pieno di simili esempi. Il particolare di questa
storia è che i due alpinisti erano fratelli e quello
sopravvissuto ha acquisito fama mondiale.
La seconda parte della storia: si tratta di uno
spettacolo mediatico che ruota attorno al destino di Messner ed è stato messo in piedi da lui
stesso.
Günther Messner
42 QVOTA 864 GIUGNO 2014
“Ci sono buoni motivi per i quali ogni cultura
vuole possedere miti dell’avventura. L’eroe raggiante, pronto a buttarsi nel fuoco, che ci solleva dalle nostre paure e dai nostri limiti. Eppure
vedo valore anche nel voler tentare di comprendere gli aspetti più oscuri... Ci aiutano a capire
meglio il senso profondo e il fascino dell’avventura, e ci permettono di dare una valutazione più
onesta di noi stessi... Le storie che si raccontano
nei miti dell’avventura racchiudono raramente
tutta la verità”. Geoff Powter in Strange and
Dangerous Dreams - The fine line between
adventure and madness.
IO SUPERCLIMBER
Johnny Dawes
Edizioni Versante Sud
Collana I RAMPICANTI
€ 19,00
È un grande regalo quello che Versante Sud ci
fa con questo libro
facendoci
conoscere
Johnny Dawes. Un libro
scritto da lui, dallo stile
audace e fluido, un vero
artista, un coreografo
con spirito guerriero.
Leggiamo le sue stesse parole: “Quello che mi
rende più orgoglioso è la sensazione di essere
perfettamente in sintonia con il comportamento
che la roccia può avere. È come se mi stesse
rivolgendo delle domande. È una musica impersonale - non scritta in forma di musica, è come
se qualche bizzarro stravolgimento geologico
abbia tramutato certe rocce in uno spirito su cui,
quando siamo in grado di leggerlo, possiamo
danzare. E se presti davvero attenzione a questa danza, tanto più la via diventa dura, tanto
meno prese o soluzioni ovvie presenta, quanto
più il messaggio che ti trasmette la roccia è complesso e articolato”.
E Zippy così ammonisce: “Sono stato fortunato
a poter scalare con alcuni dei migliori arrampicatori degli ultimi trent’anni, Fawcett, Moon,
Moffat, McClure, ma soltanto quando arrampicavo con Johnny rimanevo perplesso e sconcertato. Vederlo scalare nel suo periodo d’oro era
qualcosa di speciale, così speciale che alcuni la
rigettavano come una stravaganza; non lasciatevi raggirare, il termine ‘grande’ di rado viene
usato per un arrampicatore, ma Johnny è uno
dei grandi”.
RICCARDO BEE
Marco Kulot
Angela Bertagna
Edizioni Versante Sud
Collana I RAMPICANTI
€ 19,00
Questo libro è un omaggio a Riccardo Bee, non
solo come scalatore
estremo ma anche
come uomo, ricostruisce
i tratti salienti delle sue
esperienze di vita e di
alpinista, fino al tragico epilogo durante le
vacanze di Natale del 1982 sulla ghiacciata
parete Nord-est dell’Agnèr.
Numerose le testimonianze dirette di chi lo ha
conosciuto o ha ripetuto qualche sua via: il ricordo del fratello Adriano, quello dell’amico, quello
del compagno di cordata, quello dell’alpinista
che ha ripetuto una sua via-viaggio.
Questo libro insegna ad alzare i limiti delle proprie imprese mantenendo i rischi sotto controllo.
Si rivolge principalmente al mondo degli sport
d’avventura all’aria aperta, fornendo idee e strumenti utili sia allo sportivo occasionale che al
professionista che pratica o gestisce un’attività
outdoor. ma offre anche molte riflessioni e stimoli a chiunque si trovi ad affrontare, per scelta
o per dovere. una situazione di rischio, nel
lavoro e nella vita quotidiana.
Dopo la lettura del libro, avrete:
realizzato che la gestione del rischio va molto
oltre la cultura tradizionale della Sicurezza;
compreso perché la libertà di rischiare passa
necessariamente per una migliore conoscenza
della Gestione del Rischio;
imparato ad implementare un Sistema di
Gestione dei Rischi per voi invidualmente o per
la vostra organizzazione.
compreso la logica degli errore e i metodi per
ridurli;
imparato come reagire a fronte di un’emergenza;
acquisito le conoscenze e gli strumenti per
contribuire a ridurre le frequenza e la gravità
degli incidenti;
migliorato la comprensione sulle responsabilità anche giuriche a carico di partecipanti,
organizzatori, accompagnatori, fornitori della
logistica, produttori di attrezzature...
imparato a utilizzare la Gestione del Rischio
come strumento per cogliere nuove opportunità
e in generale incrementare le prestazioni nello
sport, nel lavoro, nella vita.
LIBERTA’
DI RISCHIARE
Filippo Gamba
Edizioni
Versante
Sud
Collana PERFORMA
€ 29,50
Premetto che il contenuto del libro ben si
sposa all’argomento
accennato in più pagine di questo numero (pagg. 25, 32/33). Gli
sport di avventura outdoor possono comportare
rischi elevati e persino letali.
Questo libro si propone di
offrire una conoscenza sulla
gestione dei rischi, ma non
è un manuale operativo e
non ha la pretesa di fornire
soluzioni ai possibili problemi. Chi pratica l’outdoor lo
fa per sua scelta e sotto la
propria responsabilità.
Questo libro non può sostituire in alcun modo il
giudizio e le valutazioni di
chi si trova sul campo
durante un’attività, né tanto
meno le disposizioni eventuali di organizzatori, guide
Cartello segnaletico alla base del vulcano Lanin, Argentina.
e accompagnatori.
Nessuna normativa può sostituire il buon senso.
LIBRI, RIVISTE, GIORNALI... E ALTRO ANCORA 43
BOLLETTINO SAT
SOCIETA’ ALPINISTI
TRIDENTINI N.1 - 2014
Un incontro che si rinnova periodicamente e
sempre ricco di contenuti. Un confronto
sempre stimolante che
viene da un’esperienza
editoriale di ben settantasette anni.
Come molte altre pubblicazioni anche il Bollettino preannuncia una serie
di testi in coincidenza con la ricorrenza dei cento
anni dalla Grande Guerra.
Maria Carla Failo ci tiene a sottolineare - ed è
anche il nostro pensiero: “Non pensiamo che ci
sia niente da celebrare quando si parla di guerra, ma certo moltissimo da ricordare, molto su
cui riflettere insieme per onorare il sacrificio di
tanti morti di tutti gli schieramenti e per sollecitare i vivi a coltivare, nella consapevolezza di
quanto è stato, i valori della pace, del rispetto
dell’altro, della solidarietà, dell’accoglienza.”
GIOVANE MONTAGNA
Rivista di vita alpina
Anno 100° - N. 1
Giovanni Padovani, come sempre, ci regala un
numero che ci prende al
cuore per i suoi contenuti, figli di quell’amore per la montagna
che non ha età nonostante i dichiarati “100
Anni”. Certamente sono
anni portati più che bene. Per noi “giovani” è
come guardare attraverso un cannocchiale
rovesciato. Chissà! Alla montagna si sposano
quei valori cristiani che la Giovame Montagna ha
sempre dichiarato quale
componente primaria:
“La cifra identificativa di
Giovane Montagna fu
quella di avere la
‘Messa nel sacco’ e di
questo forte carisma vi
sono le testimonianza
che ci provengono dalla
vita di Pier Giorgio
Frassati, ma pur quelle
più ordinarie di chi iniziò
44 QVOTA 864 GIUGNO 2014
l’alpinismo nel sodalizio prima del Concilio.
[...] Il nostro patrimonio genetico ispirato e nutrito da valori cristiani sa rapportarsi con una cultura di montagna condivisa, che ha chiaro il significato di ‘bene comune’ e che sa distaccarsi
dalle pulsioni di una montagna puramente egocentrica e di consumo”.
Ad multos annos !!!
Ma non posso chiudere senza citare quanto ci
offre l’edizione del Centenario con uno scritto di
Spiro Dalla Porta -Xydias dedicato a “Le
Lavaredo e la classe di Emilio Comici”: è una
pioggia di nomi da brivido: ”Non solo fascino di
pareti e spigoli, ma anche quello dei protagonisti
di quelle prime ascensioni [...] Cassin, Ratti,
Vinatzer, Soldà, Comici, Carlesso. Castiglioni,
De Tassis, Andrich,Gilberti, Gervasutti, Chabod,
Cretier Boccalatte, Negri, Bramanti, Vinci,
Sandri, Menti [...] Uomini dotati oltre che di
capacità arrampicatoria eccezionale, di un carisma personale particolare, per cui, oltre che
scalatori, appaiono al ricordo quasi nobili avventurieri: più che i compassati pionieri, iniziatori
dell’esplorazione alpina, ricordano i personaggi
famosi delle opere di Salgari. [...] Emilio Comici
forse più di ogni altro simboleggia questo periodo con sapore di leggenda.”
IL NOTIZIARIO
CAI
Sezione
di
Pordenone
Il tempo sche scorre
veloce ha portato sul
nostro tavolo editoriale
due
anni
del
“Il
Notiziario”.
Quattro
numeri che è impossibile riassumere in così
poche righe. E’ una
valanga di sentimenti e di immagini. Uomini, animali, montagne di una terra sempre affascinante
- Alex Ratti: “Ho visto le belle montagne friulane... la mia meta nei prossimi anni sarà qui.”
Un vagabondo dell’Anima, pellegrino della vita.
Le emozioni fotografiche di Giuseppe “Pino”
Salice che emergono da un archivio fotografico
immenso. Con Adriano Bruna passiamo dal
bianco-nero al colore abbacinante di un mondo
meraviglioso, ricco di fascino: i fiori della Val
Cimoliana, del Monte Jouf, i prati del Monte
Buscada e la Val Tramontina. E per finire le
immagini sempre sorprendentemente uniche di
Cibiana di Gianni Pasquale.
L’INDIMENTICABILE
VISIONE. 1930
Un ritrovamento casuale, immagini di un tempo lontano (Collezione V.A.)
orniamo con la memoria ai giorni lontani del 1933 quando segreti ricordi
furono affidati alle immagini di un
affascinante bianconero.
Ti senti prendere da un senso di curiosità, ma
ecco che il tempo sembra essersi improvvisamente fermato e ti ritrovi assorto in una dimensione atemporale.
E in questa intima lotta contro il tempo, è l’immagine il testimone unico di giorni felici.
Tornano a vivere emozioni che altrimenti sarebbero andate perdute per sempre. E nel raffronto
con il tempo andato nasce spontaneo un senso
di nostalgia cui non possiamo sottrarci. Ci sorge
allora la voglia di tornare là e vedere l’opera
sconvolgitrice del tempo.
Ma in fondo che conta?
Era l’agosto del 1933, esattamente il 31 agosto,
tra le 9.00 e le 10.00 del mattino...
T
Renon. 7 luglio 1935
Gardesana Occidentale. 31 agosto 1933
L’INDIMENTICABILE VISIONE 45
Val Canali. 17 settembre 1933
h 11.00
Verso Riva. 31 agosto 1933
Tra le 9.00 e le 10.00
Val Cellina. 15 ottobre 1933
h 8.00
La Valle del Sarca
Dro e il suo castello. 31 agosto 1933
h 12.30
46 QVOTA 864 GIUGNO 2014
L’INDIMENTICABILE VISIONE 47
Ritorno al Lago di Garda. 15 luglio 1935
48 QVOTA 864 GIUGNO 2014
(continua)
Racconti, leggende, poesie...
LE PECORE VERDI
Simili
a greggi di pecore verdi,
boschi d'abeti
salgono
verso lontane pasture di neve.
Sussurrano
il mito dell'uomo
che attende il tramonto.
I greggi di pecore verdi
si adagiano al sonno.
È l'ora
in cui tutto è dipinto
di viola.
Un solo minuscolo abete
è giunto alla vetta.
Un volo lontano di corvi
si perde con roco clamore,
abbrunato,
nel cielo.
E un bianco brandello di luna
riflette
l'ombra solinga
di quello che seppe l'incanto
di giungere solo,
d'intender
la voce segreta
del vento
nel vasto silenzio.
E' l'ora
dei sogni perduti.
Ludovico Muzzi
LE PECORE VERDI 65
LA MONTAGNA VIVE E CHIEDE RISPETTO
Di ritorno da Longarone settembre 2013
di Angela Maria Vallegiani
e Dolomiti sono le più affascinanti e
suggestive montagne che io conosca;
hanno affascinato pittori e poeti.
Dino Buzzati scriveva:
“Avvicinatevi, vi prego, esaminate questo spettacolo che senza ombra di dubbio è una delle
cose più belle e straordinarie di cui questo
pianeta disponga... Sono pietre o nuvole? Sono
vere oppure è un sogno.”
E Giosuè Carducci: “Auronzo bella al piano
stendesi lunga tra l'acqua sotto la fosca
Ajarnola.” (da Ode al Cadore)
Ma se non sono eteree nuvole, certo non sono
solo sterili rocce o grandi sassi che si alzano
verso il cielo; non sempre si pensa alla
Montagna come ad un essere vivente, ma la
Montagna nasce, cresce, si modifica, invecchia
e può morire proprio come un fiore o un animale
cui siamo affezionati. Come a tutta la natura,
alla montagna dobbiamo soprattutto rispetto che
vuol dire aver cura di Lei, non solo dei suoi fiori,
frutti, sentieri; anche delle rocce, ghiacciai,
acque.
Ritornando da Auronzo, dove ero stata con il
TCI e il CAI ad ammirare le Dolomiti del Cadore,
pa-trimonio dell'Umanità, mi sono fermata a
Longarone dove quest'anno ricorre il cinquantenario della tragedia del Vajont.
Risiedo a Milano da 55 anni, dove vivo la maggior parte dell'anno, ma sono nata e cresciuta a
San Giorgio di Lomellina, un piccolo paese che
amo molto. Sta a dieci km da Mortara dove circa
settanta anni fa ho frequentato le scuole medie
e fatto conoscenza con Alessandra.
Alessandra Biscaldi è una delle tante vittime del
disastro del Vajont; ventinove anni, figlia unica,
era insegnante alla scuola elementare.
Il 9 ottobre 1963 la scuola era iniziata da pochi
giorni; per Alessandra i suoi ultimi giorni di vita.
Non ho mai dimenticato Alessandra, sorridente
e felice di iniziare il suo primo, credo, anno scolastico in ruolo anche allontanandosi così tanto
da casa.
Trovandomi da quelle parti ho avuto il desiderio
di visitare il luogo della sua sepoltura; un atto più
che di pietà, di rispetto e di affetto.
Il cimitero delle vittime del Vajont è a Fortogna,
una delle nove frazioni di Longarone.
L
66 QVOTA 864 GIUGNO 2014
Era il tramonto, ma quanto era lontano il roseo
tramontare del sole sui Monti Pallidi!
La sera era vicina, presto sarebbe giunta la
notte e con la notte più vivo il ricordo.
Arrivati al nuovo cimitero delle Vittime io e Mary
Joy, che mi accompagnava, abbiamo iniziato a
cercare il suo nome fra i bianchi cippi, allineati in
lunghe file lievemente degradanti come basse
onde spumeggianti su una spiaggia infinita; un
ritmo lento, di una continuità senza tempo.
È stata Mary Joy ad individuare per prima il
cippo col nome; per me una sensazione profonda, triste, ma discreta.
Difficile pregare, solo il silenzio poteva reggere
l'emozione; un silenzio più forte e profondo della
preghiera.
E... cercare di capire.
La montagna era stata ferita, senza ascoltare il
suo lamento di cui pure aveva dato segno.
Senza ascoltare, forse, per presunzione, avidità,
disprezzo di tante vite, chi aveva fino all'ultimo
espresso dubbi, riserve.
Nel lasciare il luogo abbiamo incontrato una signora, sopravvissuta all'immane tragedia. Era
piccola, allora, e nel cimitero era sepolto il suo
papà. Anche se a quel tempo bambina, ricordava tutto; non poteva dimenticare.
Ci siamo, poi, avviate verso Erto, sopra
Longarone.
Erto è ai piedi del monte Toc e con Longarone,
ove il campanile di Pirago, rimasto miracolosamente in piedi, è testimone del luogo e della sua
gente. È lì, forse per ammonire.
Erto è, ora, un paese vuoto; rimangono le case,
come spettri a ricordo della tragedia.
Il paese è stato ricostruito più in alto, ancora una
volta senza considerare i desideri e le esigenze
di coloro che si erano salvati, lasciando sepolti
nel fango tanti loro cari.
Il nuovo Erto è un agglomerato di cemento
armato che nulla ha a che vedere con un
paese di montagna. A Erto vecchia solo ora
qualcuno ha cominciato a restaurare qualche
vecchia casa; gerani rossi sono comparsi in
alcune piccole finestre; si è aperta qualche
porta. Forse solo così può ricominciare la
ricostruzione di Erto che, per la sua architettura di montagna, spontanea e particolare, nel
1976 è stata riconosciuta monumento nazionale.
Dietro la diga, dove era il lago, c'è ora un lago
residuo, poco più' di una pozza d'acqua e nel
lago una nuova montagna: la frana del Toc, in
corrispondenza della grande ferita del monte.
Mauro Corona, nel suo libro, pubblicato nel
2010, così ne parla: “…osserviamo la montagna
seduta per sempre nel luogo in cui doveva starci l'acqua della diga più alta del mondo.”
Il cinquantesimo anno del dramma del Vajont
deve essere, non solo, ricordo e commemorazione, ma monito e insegnamento.
Amare le nostre splendide montagne e la loro
gente vuol dire portare loro rispetto, non abbandonare rifiuti, rispettare i sentieri, i fiori, il silenzio
rotto solo dall'eco dei canti degli alpini, ma,
soprattutto, non sfruttarle e ferirle per calcolo e
avidità. Il Campanile della Chiesa di Pirago,
rimasto miracolosamente in piedi nel
disastro del Vajont.
La chiesa venne completamente
spazzata via dalla furia delle acque.
IL CAMPANILE DI PIRAGO
Toc toc toc
è solo un sasso
un sasso che cade.
Toc toc toc
è solo il pianto
del monte.
Ore 22 e 39
un fragore
un tuono.
Toc toc toc
e le campane
un grido
un richiamo
d’aiuto
un grido soffocato
di dolore.
E... un eterno pianto.
Toc
ancora un tocco.
Toc
un altro... toc.
A Pirago la campana
suona
a martello
toc... toc
solo un campanile
non c’è chiesa
per pregare.
Solo un campanile
per ricordare
...e
a Fortogna
bianchi cippi
corrono.
Corrono
bianche fila
degradanti
verso il cielo
...e
corrono i nomi
verso quel Cielo
che tutti ha accolto.
a. m. v.
Dedicato ad Alessandra Biscaldi (1924 1963) insegnate a Longarone, sepolta nel
cimitero di Fortogna.
LA MONTAGNA VIVE E CHIEDE RISPETTO 67
LA
MUSICA DELL’ACQUA
di Chiara Vecellio Del Monego
VAJONT
Sono stato a Vajont...
Tutti almeno una volta hanno sentito quel nome: Vajont.
Una complicata storia umana legata a una valle, ad alcuni paesi, a una diga, a una frana e a
un'onda che nella notte del 3 Ottobre del '63 ha cancellato un paese intero e tutti i suoi
abitanti.
Oggi, 45 anni dopo quella catasrofe vado in quei luoghi ne studio la storia, leggo gli scritti di
grandi autori come Dino Buzzati, Tina Merlin, Mauro Corona, ascolto Marco Paolini e i racconti
di un amico che la mattina del 10 Ottobre era nel fango a cercare chi non c'era più e mi rendo
conto che non si riesce ad arrivare a Longarone senza un nodo alla gola.
Arrivo da sud e, lasciata l'autostrada poco dopo Belluno risalgo la valle del Piave, e mi trovo a
cercare con lo sguardo tra le montagne lo scorcio di quella diga. La prima traccia della
tragedia è il cimitero delle vittime a Fortogna, una grande distesa di lapidi di marmo bianco.
Proseguo verso il paese che quella mattina del '63 era sparito... Eccolo Longarone. E da qui sì,
che si vede la diga, che ci guarda dal fondo di quella gola: una gigantesca opera, un grande
esempio della maestria ingegneristica dell'uomo.
Il nuovo paese di Longarone è un esempio di moderna urbanistica, un paese che ospita un
poema di calcestruzzo che è la Chiesa dell'architetto Giovanni Michelucci.
Quando ci si addentra in questa chiesa, raccoglie i resti del vecchio paese, pezzi di migliaia di
vite dispersi per sempre lungo il letto del Piave, ci si addentra anche sempre di più in ciò che
è accaduto quella notte. Percorro a piedi la stretta gola del torrente Vajont, un passaggio assai
difficile verso il Friuli Venezia Giulia, e si arriva fin sotto l'immane sbarramento è tutto così
irreale, un'altissima e strettissima gola, una diga gigantesca e un torrente di montagna, e i
pensieri volano via, tornano a Longarone dove quel soffio di vento quella notte aveva
brutalmente spalancato le porte di quelle case che qualche istante dopo non ci sarebbero state
più. Seguo la statale 251 e mi alzo verso il coronamento della diga, che è l'unica parte
danneggiata dall'onda.
Dai finestroni della galleria stradale vedo quel muro a doppio arco, quella stoica opera che ha
trattenuto ciò che non doveva cadere e all'uscita della galleria scopro il tatuaggio della
montagna a forma di M che è il segno della frana sul monte Toc.
Resto senza parole, davanti a quello che vedo: un paesaggio che non può esistere, un gioco di
curve di livello e pendii incomprensibili, un cumulo di detriti che non può essere una semplice
frana, una montagna al posto di un lago. Ho girato per quella valle, sono andato alla scoperta
di Erto e Casso i paesi Friulani del lago, ho cercato Mauro Corona e sono andato in alto...
scappato non riuscivo a sopportare quel silenzio: ovunque mi giravo vedevo lapidi e fiori,
troppe anime inquiete girano ancora in quei luoghi...
Alberto Campi
68 QVOTA 864 GIUGNO 2014
“Sul rio Pondarin, o meglio sul canale derivato dal rio S. Rocco,
deviato alla sommità dell'abitato di via Pais, si sviluppò,
con l'andare degli anni, tutta una serie di impianti.
Le officine di fabbro, i mulini comunali o privati e le segherie
lungo il Pondarin, hanno funzionato da tempi immemorabili,
approfittando delle copiose acque del rio S.Rocco che
beneficiavano anche delle sorgenti alle pendici dell'Ajarnola.”
Pietro Vecellio Segate, Ricordi di Auronzo del 1900
n luogo di Auronzo che mi piace in
modo particolare è la piccola piazza
della borgata di Pais dove si trova
anche una fontana vicino al capitello
di San Fermo: è proprio qui che durante l'estate
ci troviamo spesso noi ragazzi a giocare.
L'altro giorno parlavo con il nonno proprio di
questa fontana. Mi ha raccontato che, a sua
memoria, una fontana in questo luogo c'è sempre stata.
All'inizio era posizionata più al centro della
piazzetta, aveva una vasca grande per
abbeverare gli animali, sei vasche più piccole
ed era coperta. Nel 1953 è stato proprio lui a
ricostruirla a fianco del capitello di San Fermo
con una vasca grande e quattro piccole.
Legata a questa fontana c'è una bella storia, che
ha come protagonista una giovane ragazza di
Auronzo che dalla tarda primavera fino alla fine
dell'estate, ogni sera al tramonto, si sedeva vicino alla fontana per ascoltare il mormorìo dell'acqua; le sue amiche la prendevano un po' in giro
per questa sua passione, ma a lei non importava di quello che le dicevano.
A quel tempo, tuttavia, la fontana era ridotta proprio male: la vasca era annerita e qua e là la
pietra era fessurata. Molti abitanti della contrada
avevano chiesto più volte al marigo di sostituirla
ed erano già stati fatti dei progetti per realizzare
una nuova fontana.
Quando Giustina, così si chiamava la nostra
protagonista, sentiva questi discorsi diventava
triste, ma sapeva di non poter fare nulla per salvare la sua amata fontana: nessuno avrebbe
dato ascolto ad una ragazza, a maggior ragione
se avesse detto che dalla fontana proveniva una
musica dolcissima.
U
N posto agnò che soral duto me piase stà, e la
piaza pizola de la contrada de Pais, propio agnò
che e poioù l brento davesin al capitèl de San
Fermo e propio cà che via por l istiade noi tosate
se ciatòn de spes a duià.
L autro dì, ciacolando co me nono propio de stò
brento, l me a contoù che lui se pensaa da senpro de n brento de stò posto.
N ota l era n tin pì n medo a la piaza, no pasaa
alora machine.
Era na vasca granda agnò che le bestie le dea
a beverà, po l avèa siè vasche pì pizole e la era
scuerta.
Proprio del 1953 me nono l avèa rifata, tacada al
capitèl de San Fermo co na vasca granda e cuatro pizole.
Sto brento recorda na bela storia de na tosa de
Auronzo che da la fin de l aisuda via via, fin n
cioù a l istiade, se sentàà n zima de l brento e la
stasèa a sentì l rumor de l aga; le so coleghe la
ciapaa n giro por sta pasiòn, ma ela no i nteresaa nuia, i bastaa sentì sta musica.
Ma l brento l era propio n desorden, la vasca la
avea tante sbreghe, la era negra.
Dute chi de la contrada de Pais i domandaa
al marigo de refeila, tante i avea fato anche n
tin de disegno, i volea n brento nioo, por dì a
fei la lesiva.
Ogni ota che Ostina, cusì la se ciamaa sta tosa,
la sentia sti discorse, la vinièa n bota seria ma la
savèa anche che no la podèa fei nùia por salvà
sto brento e nesun l avarae creduda se l avese
contoù che l brento l mandaa fora na bela musica che ela sentìa come che viniea scuro.
LA MUSICA DELL’ACQUA 69
Una sera si trovava, come al solito, vicino alla
vasca e vedendo il suo grembiule macchiato
pensò di lavarlo; fece per immergerlo, ma
improvvisamente il telo colorato si alzò sopra l'acqua che iniziò a produrre un suono armonioso.
La ragazza, anche se un po' impaurita, decise di
fermarsi a vedere quello strano prodigio.
L'acqua iniziò a sollevarsi andando contro la
forza di gravità ed assunse la forma di due grandi mani che si strinsero intorno ad una piccola
arpa dalla quale usciva un suono melodioso.
Giustina rimase in ascolto, impaurita, ma incapace di muoversi. La musica usciva dall'arpa,
ma era come se tutta la fontana partecipasse al
concerto.
La sera seguente si ripetè la stessa identica
cosa ed ancora per tutte le sere seguenti, fino a
quando la vecchia fontana rimase al suo posto.
Poi, inesorabilmente, venne abbattuta ed al suo
posto comparve quella nuova, tutta lucida e
molto più grande.
Inutilmente, sera dopo sera, Giustina sperò che
il concerto potesse riprendere.
Dalla nuova fontana usciva un suono allegro, sì,
ma era solo un suono d'acqua che scorreva.
Passarono gli anni e si racconta che, più il
tempo passava, più Giustina cambiava aspetto:
le sue mani erano diventate trasparenti e leggere, i suoi capelli un tempo nerissimi, erano
diventati candidi come l'acqua che usciva con
forza dalla vecchia fontana.
Quando, ormai centenaria, raccontava gli episodi della sua vita come amano fare le persone
anziane, i suoi occhi brillavano, trasparenti
come l'acqua, le mani tremolanti sembrava
quasi danzassero e la sua voce aveva un tono
così giovane e dolce da ricordare lo scrosciare
dell'acqua nelle vasche della fontana.
A nessuno, tuttavia, raccontò mai ciò che aveva
visto e udito: lei era stata l'unica a voler custodire le vecchie pietre ed era stata l'unica per
la quale la vecchia fontana aveva suonato. Na siera la se ciataa, come dute le siere, darente l brento e la bìcia l ocio sul garmal che l a
na pefa de macia. La pensa de lavalo n ghero.
La fei por betelo infe de l aga, ma dereto l garmal l se aufa sora l aga e l cominzia a mandà
fora na musica strana, bela, bela.
E come se l garmal volase, ela no po' fei nùia.
La tosa, anche se de seguro la e ngramafada, la
vò fermase por rendese conto ce fin che fei l
garmàl. L aga la se fei senpro pì auta e la ciapa
la figura de doe man che le tien ntrà na arpa
pizola. Sta arpa la manda fòra n strano son, na
roba fora de l ordenario. Ostina la stà a sentì,
anche se la trema da la paura. La a tanta paura
che la stenta a moese. La musica la vien fòra da
l arpa ma e come se duto l brento fasese n concerto, come se i fose n tante a sonà.
La siera dopo sufiede la stesa roba, propio compagna e por dute le siere, fin che l vecio brento
l resta là.
Ma a la fin sto brento l vien desfato e a l so posto
i rifei n autro, pì gran.
Ogni siera Ostina la spera che la musica torne a
sautà fora, ma nuia. Se sentìa solo l rumor de l
aga, cuan che la vien fòra da la cana.
N tanto i ane i pasa; Ostina la canbia porfin fazada: le so man le vien trasparenti, i suoi ciavès
che n ota i era negre, negre, i vien bianche,
bianche, come trasparenti, propio come l aga
che vien fora da chel brento.
Cuan che la a cento ane, come dute i vece, i
piase contà le storie de la so vita.
I suoi oce i e lustre, i somea contente, i e
trasparenti come l aga, le man le trema come
che fei l aga de l brento cuan che e tanto vento,
somea che le bale. La so òs la deventa come la
òs de na dovena e la e cusì dolze che la somèa
a l aga che vien do por l brento.
Ma Ostina no contarà mai a nesun ce che la a
visto e sentiù ntorno a chel brento.
Ela la e stada l unica che a sentiù chel brento
sonà e ciantà. L'acqua iniziò a sollevarsi andando contro la
forza di gravità ed assunse la forma di due grandi mani che si strinsero intorno ad una piccola
arpa dalla quale usciva un suono melodioso.
70 QVOTA 864 GIUGNO 2014
LA MUSICA DELL’ACQUA 71
GIACOMO COSTANTINO BELTRAMI: un italiano in America
di Cesare Censi. Istituto Geografico Polare “Silvio Zavatti” - Fermo
iacomo Costantino Beltrami nacque
a Bergamo nel 1779, sembra, da un
discendente di un ugonotto scampato alla strage di San Bartolomeo
del 1572. La conoscenza del francese e i suoi
studi giuridici, durante la campagna italiana
delle truppe napoleoniche, gli consentirono di
ricoprire incarichi di responsabilità nell'ambito
della giustizia. In seguito fu nominato cancelliere
nel dipartimento di Giustizia del Taro (Parma) e
giudice presso la Corte di giustizia civile e criminale del Tagliamento (Udine), per giungere,
nel 1809, a Macerata in qualità di giudice della
Corte del dipartimento del Musone.
In questa città il giovane Giacomo Costantino trentenne, brillante, pieno di energia, beneducato e con notevoli interessi culturali - conobbe la
contessa Giulia de' Medici Spada, con la quale
strinse una forte amicizia che dette luogo a molti
pettegolezzi che, comunque, non ebbero mai
conferme riguardo una loro effettiva relazione.
La giovane amica lo presentò alla duchessa
Luisa Stolberg d'Albany, vedova di Carlo
Edoardo Stuart, che lo introdusse nel mondo
della cultura e dell'arte facendogli conoscere
Foscolo, Chateaubriand, Byron, Canova.
Dopo qualche anno, non condividendo alcune
nomine “versicolori che meritavano più di essere
giudicate che di giudicare”, si dimise dalla magistratura e si dedicò alle sue tenute agricole di
Filottrano (AN).
Nel 1817 fu accusato di appartenere alla massoneria e, fatto ancor più grave, alla carboneria.
Il primo provvedimento a suo carico fu l'esilio e,
conseguentemente, si trasferì a Firenze. In suo
aiuto, come c'era da aspettarsi, intervenne la
contessa Giulia de' Medici che scrisse di suo
pugno al Segretario di Stato, cardinale Ettore
Consalvi, per perorare la causa del suo amico e
sollecitò la duchessa d'Albany perché si interessasse del caso. Quest'ultima mobilitò l'ambasciatore austriaco a Roma, principe Kaunitz; il rappresentante del governo austriaco a Firenze,
conte Antonio Rodolfo Appony; il conte Antonelli
di Firenze; la principessa Sciarra e molti altri
cardinali e monsignori. La sentenza che fu
emanata l'anno seguente non gli riconobbe la
G
72 QVOTA 864 GIUGNO 2014
piena innocenza e, nonostante non fosse stato
condannato, fu costretto a risiedere a Filottrano
come "vigilato speciale con un permesso di soggiorno rinnovabile ogni quindici giorni". La
restrizione fu presto annullata e le nuove disposizioni erano decisamente meno costrittive.
Giacomo Costantino tornò alla suoi affari, ma la
relativa tranquillità durò poco perché, dopo una
breve malattia, la contessa Giulia de' Medici
morì. Disperato per questa improvvisa tragedia
prese la decisione di lasciare l'Italia e partì.
Visitò la Francia, il Belgio, la Germania, l'Olanda
e l'Inghilterra.
A Londra frequentò i circoli più esclusivi dove
conobbe Lord Wellington, il vincitore di
Waterloo, e quattro futuri primi ministri. Quando
giunse a Liverpool, un po' per le condizioni economiche che cominciavano a preoccuparlo e per
il pensiero di dover tornare a Filottrano a occuparsi di nuovo dell'azienda, prese la decisione di
imbarcarsi per l'America. Il viaggio fu tremendo,
sia per le condizioni del mare che per la condotta deprimente del capitano della nave.
Comunque sia, giunse a Filadelfia, in una terra
dove era libero di muoversi in piena libertà, ma
soprattutto libero da costrizioni e imposizioni.
Visitò molte città e a Washington, come fosse un
fatto normale, conobbe il presidente degli Stati
Uniti James Monroe.
Da Washington si recò a Pittsburg dove si
imbarcò su un piroscafo con il quale avrebbe
raggiunto la confluenza del Mississippi e quindi
New Orleans. Alla confluenza incontrò il generale William Clark - "fratello del flagello degli
indiani" - e il maggiore Lawrence Taliaferro - di
chiare origini italiane - agente governativo per i
territori indiani del nord-ovest e decise di proseguire il viaggio con loro per incontrare finalmente gli indiani, "quelle misteriose popolazioni
che avevano suscitato in lui maraviglia e
incredulità". Sulla nave conobbe Grande Aquila,
capo Saukis, che viaggiava insieme con i suoi
due figli e quando giunsero a Fort St. Anthony
conobbe i capitribù Sioux e Cypawais, da sempre in guerra tra di loro per rivalità irreconciliabili.
Durante i due mesi di permanenza a Fort St.
Anthony nacque in lui il desiderio di risalire il
Giacomo Costantino Beltrami
Mississippi fino alle sorgenti. Prospettò l'idea al
maggiore Taliaferro, ma questi rinunciò per
problemi di salute non senza prima avergli fatto
presente le numerose difficoltà logistiche che
avrebbe incontrato e il pericolo degli indiani.
Quando ormai era deciso ad abbandonare l'impresa, giunse al forte il Maggiore Stephen
Harriman Long - un tipo duro, rozzo di carattere,
rigidamente militare - che era diretto verso il
confine canadese per delimitare la frontiera.
Chiese ed ottenne di aggregarsi alla spedizione
in “qualità di viaggiatore, venuto da lontano a
visitare i paesi indiani e gli Indiani”.
Partirono il 7 luglio 1823 e durante il cammino i
motivi di contrasto con il maggiore Long furono
tanti e tali che, quando il 3 agosto giunsero a
destinazione, Giacomo Costantino si sentì finalmente libero e, accompagnato da due guide
indiane, continuò da solo.
Nella risalita del Mississippi ebbe molti incontri
con gli indiani, non sempre facili e cordiali, ma fu
sempre rispettato e le difficoltà maggiori che
dovette affrontare riguardarono aspetti pratici
come risalire la corrente o pagaiare.
Una sua caratteristica che lo rese celebre tra le
popolazioni indiane fu l'ombrello rosso che
aveva con sé e che, oltre a conferirgli maggiore
autorità, funzionava come una sorta di passaporto per la sua identificazione immediata e
come lasciapassare.
Raggiunse le sorgenti del padre dei fiumi il 31
agosto e chiamò Giulia il lago da dove il
Mississippi prende origine.
Al suo ritorno a New Orleans pubblicò la notizia
della sua impresa e dopo qualche mese anche il
libro che ne descriveva l'avventura.
Ricevette molti riconoscimenti dal mondo della
politica, come il Segretario del Senato, il
Cancelliere della Camera dei Deputati, ma gli
mancò quello della comunità scientifica.
Deluso per l'accoglienza fredda riservata alla
sua scoperta partì per il Messico.
Anche in questa terra dovette affrontare diverse
avventure che misero a rischio la sua vita, ma
quella che lo coinvolse maggiormente fu l'incontro con una ragazza dagli “occhi seducenti” che
avrebbe voluto sposarlo.
Riuscì a svincolarsi con il pensiero della patria
lontana e con lo studio della antica civiltà
azteca. Infatti, ritrovò i vangeli scritti in lingua
azteca nel 1522 su fogli di agave da padre
Bernardino di Sahagun, quattordici dipinti su
74 QVOTA 864 GIUGNO 2014
papiro che raffiguravano le epoche storiche
delle dinastie dei re aztechi e un manoscritto del
XVII secolo nel quale veniva riportata una rivolta degli indigeni del Nuovo Messico repressa
dagli spagnoli.
Ritornò a New Orleans e, dopo una breve permanenza ad Haiti, nel mese di settembre del
1827 si imbarcò per l'Inghilterra e lasciò definitivamente quella terra che lo aveva visto protagonista di un'avventura indimenticabile e dalla
quale non aveva ricevuto le soddisfazioni alle
quali ambiva.
A Londra pubblicò la versione inglese del libro
della sua scoperta e nonostante alcune lusinghiere recensioni la Royal Geographic
Society non lo riconobbe come il vero scopritore
e non lo ammise nella sua associazione.
Si trasferì, allora, a Parigi dove aveva molti
amici, tra i quali Jacques Laffitte (Primo
Ministro), Benjamin Constant (Presidente del
Consiglio di Stato), Marie-Joseph de la Fayette
(comandante della Guardia Nazionale).
Grazie all'amicizia con Louis J. Jullien, fondatore della Revue Encyclopédique, fu eletto
membro della Societé Géographique de France
e in seguito membro della Società Géologique,
della Societé Universelle de Civilisation e
dell'Institut Historique de Paris.
Nonostante tutti questi riconoscimenti ufficiali e il
fatto che frequentasse un ambiente socialmente
e intellettualmente elevato, il suo animo era
sempre inquieto e insoddisfatto.
Ciò che lo infastidiva maggiormente era che il
mondo accademico non riconoscesse ufficialmente la sua scoperta.
I suoi amici, in questo campo, non avevano
molta autorità e non potevano aiutarlo più di
tanto.
Nel 1834, durante un convegno internazionale a
Stoccarda, decise di trasferirsi in Germania e
"trovare un palcoscenico ideale per segnalarsi
come personalità di spicco". Ma le cose, anche
qui, non andarono come aveva sperato.
Dopo tre anni di vita solitaria e polemiche epistolari con vari personaggi della cultura del
tempo, prese la decisione di tornare a Filottrano.
Gli ultimi anni della sua vita li passò lontano dal
mondo accademico e dalla cultura ufficiale.
Scrisse tre lettere a papa Pio IX, ma non
ricevette mai risposta e praticamente morì solo,
nel 1855, "nella solitudine e nel totale distacco
dal mondo". NOI, I CANI DA SLITTA E LE MARATONE NORDICHE
di Ada Grilli Bonini. Direttrice della Casa Editrice LEADING EDIZIONI. Bergamo
nche ad Alta, 70° lat. nord in
Norvegia, in estate c'è l'erba e riaffiorano le famose pitture rupestri sui
massi levigati da secoli e secoli di
abrasione dei ghiacci. E gli abitanti della regione
vanno in bicicletta piuttosto che sugli sci e sulle
slitte trainate dai cani. Ma chi alleva cani da
competizione, non ha appeso al chiodo le slitte
(e tantomeno i cani…), perché gli allenamenti
non possono avere interruzioni. Come si conviene ad atleti di razza. E allora, se non c'è la
neve, si corre sul terreno che alle latitudini alte
sarà ricoperto di muschi e licheni piuttosto che di
erbe dal lungo stelo. E anziché le slitte i cani
traineranno dei pesanti quad (o ATV, come li
chiamano nei Paesi anglofoni, ossia “all terrain
vehicles”). Ma vacanze mai.
È vita da cani? Non la pensano così i musher e
se potessero rispondere, nemmeno i cani nordici.
I musher sono così concentrati sulle prestazioni
e la salute dei loro trenta/quaranta quadrupedi
che ormai la loro vita ha le scansioni di quella
dei loro animali, allestire le passeggiate coi finimenti, provare i ruoli nel team, correre, mangiare, dare/ricevere coccole. E sono felici così.
Vivono molte ore all'aria aperta, nella natura
che per lo più è veramente ampia e quasi infinita natura, non un patchwork di scampoli ritagliati
da ambienti fortemente antropizzati. E pensano
alla prossima maratona, forse in un altro continente, forse in situazioni geomorfologiche un po'
diverse da quelle abituali, chissà, giusto per
provare. Ma ognuno è affezionato al proprio
ambiente. Che loro percorrono per migliaia di
chilometri per gli allenamenti tra una maratona e
l'altra, nei paesi nordici quasi sempre tra i 600 e
i 1600 km.
A
Loro sono i popoli dei ghiacci, quelli che vivono
in Norvegia, Finlandia, Svezia, Canada, Alaska.
Gente molto molto tosta, avvezza a temperature
parecchio basse, a mesi di notte polare, a paesaggi inabitati o abitati solo da volpi, lupi, renne,
orsi (tutti animaletti che noi denunceremmo
all'autorità pubblica come “sans papier” e prenderemmo senza esitare a bersaglio, salvo che
non abbiamo casualmente a tracolla una mac-
china fotografica piuttosto che un fucile).
Invece ad Alta in Norvegia, anzi nella Lapponia
norvegese, dove ho seguito in auto tutta la
Finnmarksløpet, una delle competizioni tra le più
lunghe e quella in assoluto più a nord del
mondo, le cose vanno diversamente.
Alta è a circa 2000 km in linea d'aria rispetto al
Polo nord Geografico, ma il tracciato si sviluppa
fino a 71° toccando Tana Bru.
Tutte e due le località famose per la taglia del
salmoni che vi si pescano nei fiumi omonimi,
quando li risalgono per andare a deporre le
uova, per istinto ancestrale. Perfino i cani da slitta ne sono ghiotti e ne ricevono belle fette congelate, quando se le meritano. Trattati benissimo in cibo, carezze, parole dolci, perché per lo
più se lo meritano sia negli allenamenti duri e
faticosi, durante tutto l'anno su ogni tipo di terreno, sia in gara, quando tirano il musher e la
slitta carica dei viveri, degli effetti personali, di
quanto può essere utile per la sopravvivenza in
casi imprevedibili.
Alla Finmmarksløpet, gran competizione nata
nel 1981 con soli due equipaggi e oggi diventata un mito per tutti i musher europei, ben 170
team allo start l'8 marzo, quattordici nazioni,
nessun italiano, quattro francesi, due classi di
gara (500 e 1000 km), dieci check point per la
1000, già alla partenza si respira il significato di
sfida di questa maratona. Un solo uomo (o
donna in molti casi), 14 cani, nessun aiuto
durante la gara, nemmeno ai check point, nessuna differenza tra il giorno e la notte.
Non tutti i cani ce la fanno, e non tutti i musher
arrivano al traguardo. Di check point in check
point qualcuno molla e non sapremo mai
davvero se per la fatica del musher o dei suoi
cani. Ad ogni tappa c'è qualcuno che si ritira e lo
si riconosce dall'aria mogia, dalle manovre
intorno ai trailer, dove i cani sono già agganciati
al rimorchio e la mestolata di cibo pare che gli
venga somministrata con meno affetto che non
sulle spianate dove si accoccolano senza un
guaito e senza pretese per avere la ciotola piena
subito, dopo tanto correre.
Sebastien, francese è uno dei frustrati, e si
NOI, I CANI DA SLITTA E LE MARATONE NORDICHE 75
fo-
Ronni, al traguardo felice, accarezza
i suoi cani
Stromsund (Svezia). Anselmo Cagnati. Amundsen Race
Karasjok. Una pausa sotto la neve
Passo di Monte Cenis (Francia). Anselmo Cagnati. Trofeo Haute Maurienne Vanoise
foto Ada Grilli Bonini
ga, inarrestabile, in un lungo soliloquio una sera
a Neiden: “Faccio tutto sempre con passione,
ma è dura dover mollare. Ci tengo alla salute dei
miei cani e non li voglio sfruttare”.
“Speravo che facesse più freddo perché i miei
cani hanno un pelo folto, ci speravo proprio.
Invece niente, finirà che piove quasi quasi. E
intanto però qualcuno dei miei cani ha cominciato ad avere diarrea. Quando sono partito da
Kirkenes (vicino al confine con la Russia, il
check point prima di Neiden), il musher davanti
a me aveva ancora 14 cani, ci pensi! 14 cani e
non manca molto alla fine della corsa. I miei
andavano, tant'è che ho fatto la metà del percorso dietro a lui sempre sul freno (una pedana
di gomma tra i due pattini)”.
“Negli ultimi due anni ho lavorato giorno dopo
giorno per costruire il mio team, posso fare
anche trenta km con un solo cane e io sulla slitta e sì che non sono magro… E ho incontrato i
miei colleghi e antagonisti che hanno vinto la
Iditarod, ho revisionato la mia tabella di allenamento coi loro consigli, eppure guarda come è
finita quest'anno!”
Catherine, anche lei francese, 62 anni, nella vita
ha un'agenzia di pompe funebri nella regione di
Tour, ha un handler (assistente alla gara) giovane che la segue docile e chiacchiera volentieri. Anche Catherine che ha fatto la Grande
Odyssée nel 2007 e nel 2008 chiacchiera volentieri - a differenza dei norvegesi che sono molto
taciturni - dall'area di riposo e controllo dei cani.
“Quella è una gara tutta diversa - dice curva sui
cani - lì le tappe sono più brevi, circa 40/60 km
al giorno, ma i dislivelli sono micidiali e poi 500
km in quindici giorni! Qui sull'altipiano norvegese si fanno in tre giorni! Puoi immaginare… E
la Grande Odyssée certo è molto tecnica, ma ci
sono parecchi incidenti, cadute, e non c'è bisogno di allenarsi tanto come per questa… Io non
la farò più la Grande Odyssée. Questa
Finnmarksløpet è la prima volta che la faccio e
mi piace. Spero che i miei siberiani resistano,
adesso qui a Kirkenes ne ho dieci ancora, ma
non ho chances di piazzarmi bene, mi
basterebbe arrivare.”
È finita che anche Catherine deve rinunciare ma
almeno avrà l'onore di essere stato l'ultima dei
francesi a ritirarsi, a poche centinaia di
chilometri dal traguardo.
La Grande Odyssée (www.grandeodyssee.com)
ha un monte premi molto inferiore alla FL
78 QVOTA 864 GIUGNO 2014
(55.000 €). Gli organizzatori si definiscono i professionisti della Montagna.
Racconta Anselmo Cagnati di Falcade: “Io ci
sono andato quest'anno per la prima volta e non
ho conosciuto molti musher, ma penso che per i
nordici sia una cosa diversa da quello a cui sono
abituati, per es. i cani non sono abituati a fare i
tornanti in discesa come abbiamo qui sulle Alpi
e dunque tendevano a tirare dritto, penso che ad
alcuni piaccia come tutte le cose nuove come a
noi piace andare al nord, mentre ad altri più
tradizionalisti no”.
E le donne?
La Finnmarskløpet ha visto due donne musher
al 1° e 2° posto. Veterane, con un background
non da poco, esperienze di Alaska e non solo
per la breve durata della Iditarod (mitica, che si
corre all'inizio di marzo ogni anno per ricordare
l'eccezionale prestazione del cane Balto che
senza fiato, ma ancora prestante, arrivò a Nome
col vaccino antidifterico che salvò la popolazione dall'epidemia nel 1925).
Che ne pensa Anselmo Cagnati?
“Mah, in questo sport le donne si fanno valere
tantissimo, abbiamo avuto una donna al secondo posto per 4 anni consecutivi alla Iditarod,
siamo a livello di eccellenza su scala mondiale.
Questo è uno sport in cui non c'è nessuna differenza con gli uomini, perché è una questione
di strategia, di feeling con la muta, di cose che
hanno poco a che fare con la forza fisica, e quindi le donne possono riuscire esattamente come
gli uomini”.
“Ormai ci sono tante praticanti anche in Italia…,
tra l'altro anche mia moglie, e così possiamo
allenare due mute distinte.”
E tra gli uomini, se gli si chiede di chi ha stima
tra i musher italiani, ha in mente pochi nomi: “Ce
ne sono di bravi e le mie persone di riferimento
sono quelle che praticano quel tipo di attività,
non sono tantissime. Però mi viene subito in
mente Fabrizio Lovati, che ha fatto due Iditarod,
e poi Germano De Martin, che ha il centro di
sleddog in Comelico e col quale vado via spesso, poi ancora Rinaldo Marioli bresciano che ha
partecipato a grandi gare in nord Europa, come
la Polar Distance. Ecco non c'è molto altro in
Italia in questo momento, anche perché parliamo di un'attività molto impegnativa, sia dal
punto di vista della disponibilità del tempo che
finanziaria.” LA FINNMARKSLØPET
La Finnmarksløpet si corre a marzo sull'altopiano norvegese “Finnmarksvidda” che è ampio
400 km da ovest a est fino al confine con la Russia. L'altipiano ha un'altitudine tra i 300 e i 500
mt slm, vegetazione di betulle, salici nani e pini, temperature che possono arrivare anche
intorno ai -45° (ma sulla FL del 2014 è perfino piovuto, con gran disperazione dei cani che
sudavano sette… camicie).
È una bellissima esperienza seguire tutta la maratona in auto, dormendo nei check point e condividendo, almeno nello spirito, le fatiche di giorno e di notte dei ragazzini dello staff, dei veterinari, dei gestori delle baite che devono tarare i servizi delle cucine e della reception sulla
base degli orari previsti
PER DORMIRE AD ALTA E DINTORNI
Ricahotel, 4 stelle, centrale, [email protected]; Thonhotel Alta, 3 stelle, centrale, con ottimo buffet della
colazione (salmone e gamberi e ogni bendidio), tel. 47 78 49 40 00
A 30 km da Alta, una baita in mezzo ai cani: Gargia Fjellstue, [email protected], con buona cucina
sami, camere semplici, ma bella atmosfera familiare nel corpo centrale della baita
A circa 15 km da Alta, Icehotel Sorrisniva, con le camere di ghiaccio e belle scenografie negli spazi comuni,
[email protected]
A circa 20 km da Alta, nella Mathisdalen, una splendida isolata opportunità nelle baite della Ongajok (come
in paradiso!), www.ongajok.no
A Karasjok: ancora baite deliziose, fatte a mano da un ex campione di dogsledding, Engholm Husky,
www.engholm.no
A Neiden, piccolissime casette rosse intorno al corpo centrale con il ristorante/bar, alla Neiden Fjellstue,
www.neidenfjellstue.com. A pochi chilometri c'è un'antica e graziosa chiesetta in stile ortodosso/vichingo.
A Varangerbotn è opportuno fare una sosta al Samiske Museum, piccolo ma ben allestito e in magnifica
posizione sul fiordo.
PER MANGIARE
Ad Alta ci sono due buoni locali in centro: Du werden (offre buffet abbondanti) e Alfa Omega (servizio
al tavolo). Spuntini ovunque nel mall dove ci sono vari caffè e gastronomie. Ovunque conviene provare,
ovviamente, i piatti di renna e di salmone.
Per ascoltare sulla rete l'intervista a Sigrid Ekran: www.youtube.com/watch?v=zTM85n1Yokg?
Karasjok. Un’intera baita deliziosa offre il vecchio campione di sleddog Sven Engholm.
A tavola con i Lares
IL TARASSACO
Una pianta spontanea dalle proprietà terapeutiche e alimentari.
AI LARES
Splendido agriturismo
fattoria didattica
realizzato in una ex
caserma militare
ubicata quasi al
culmine del passo di
Sant’Antonio, valico
collegante Auronzo di
Cadore e Padola di
Comelico Superiore.
Immerso nel verde di
boschi e pascoli in
estate è ideale punto
di partenza di
passeggiate ed
escursioni.
In inverno sono
comodamente
accessibili il
comprensorio sciistico
di Padola e le Terme
di Valgrande.
Il tarassaco - pianta comunissima nei prati, nei campi, liungo i sentieri e spesso
anche tra le fessure dei marciapiedi, dal mare alla montagna, fino a circa 1700
metri - è una delle erbe spontanee più idonee a diventare ingrediente base per
ricette dal sapore selvatico. Una caratteristica è la nota di amaro, ossia il gusto di
ferro leggero che lascia in bocca, ma che diventa poi un sapore dolce, appena la
si mastichi un po’ più a lungo.
Il succo lattiginoso contenuto nelle foglie è composto da inulina, zuccheri, tannino, minerali (ferro, magnesio e potassio), vitamine (B1, B2, C, E), sostanze
resinose, mucillagini, flavonoidi, carotenoidi e taraxicina, un principio fortemente
amaro in grado di eccitare l’attività gastrica e stimolare il deflusso della bile.
Raccolte giovanissime all’inizio della primavera, magari con un pezzetto di radice
e ben lavate, si consumano in abbondanza come verdura cruda, condite con olio
d’oliva, aceto (o limone) e sale; nel resto dell’anno si lessano in acqua bollente
salata, quindi si scolano, e dopo averle tritate grossolanamente, si passano in
padella con olio o burro ed uno spicchio d’aglio. Si possono pure consumare da
sole, semplicemente condite con olio e limone.
Le radici - che in campo terapeutico costituiscono la parte più importante lessate e condite con olio extravergine di oliva e un po’ di sale, anche se un tantino amare, possono risultare gradevoli. Si possono pure tagliare a rondelle e
insaporire in un tegame con sale e poco olio. Un tempo nelle case rurali era consuetudine preparare, sempre con le radici, un ottimo vino di tarassaco, che costituiva un toccasana sia per la digestione che per il buon funzionamento del
fegato e della bile. Si metteva in infusione per otto giorni, in un litro di generoso
vino bianco, una manciata di radice tagliuzzata. Dopo averlo filtrato, se ne beveva mezzo bicchiere prima dei pasti principali.
I fiori si possono aggiungere alle insalate per conferire loro un tocco di colore e
un sapore delicato e particolare. Oltre che crudi, si consumano pure in saporiti
stuzzichini, dopo averli passati nella pastella e fritti in olio d’oliva extravergine.
Essendo una specie mellifera, il tarassaco è adatto alla produzione di miele. In
campagna, molte contadine si sostituiscono alle... api e preparano con i fiori un
gustoso sciroppo (o gelatina) cui danno spesso il nome di miele.
Boccioli di tarassaco
sott’aceto
Gruppo
Filatelici di Montagna
ANTONIO RUSSO
* Affiliato alla Federazione fra le
Società Filateliche Italiane
* Socio dell’Ass. “Ardito Desio”
* Socio dell’Associazione
Italiana di Maximafilia
* Socio del Circolo Filatelico
“Guglielmo Marconi”
}* Socio Centro It. Fil. Resistenza
e-mail: [email protected]
c/c postale n. 14266373 intestato:
CAI Auronzo. 32041 Auronzo di Cadore BL
“Quando arrivi in vetta
ad un monte non fermarti,
continua a salire”
Un Maestro del buddismo Zen
Raccolti i boccioli perfettamente
chiusi, si eliminano le brattee
verdi più dure che circondano i
capolini, quindi si tuffano in
acqua bollente un po’ salata per
un paio di minuti e si mettono ad
asciugare sopra un telo.
Si depongono quindi in vasetti di
vetro puliti e asciutti e si coprono
con aceto caldo dopo aver
aggiunto qualche rametto di
dragoncello e grani di pepe.
Far uscire tutta l’aria e chiudere.
© Provincia Autonoma di Trento
Ass. Prov. Agricoltura e Foreste
- MONTAGNE IN ROSA
- SANTI
- FRIULANO DI ROCCIA
- GIORNATA INT.LE DELLA FELICITA’
- DALLE DOLOMITI AL MARE DEL SALENTO
- NANGA PARBAT 1970
- HIMALAIA - IL Ce.I.S. SUL TETTO DEL MONDO
www.filatelicidi montagna.com
MONTAGNE IN ROSA
BIANCA DI BEACO
na fotografia... per annaspare alla sua ricerca ho avuto il coraggio di annegare in uno
scatolone polveroso, disordinato e piangente di ricordi, mi sono persa in un mondo
che è andato a pezzi ed un po’ alla volta si è impoverito di volti, di odori, di colori, di
emozioni e squarci di vita, che mi hanno assalito violenti e che mi pare di non aver
neanche vissuto.
Penso che ho sopportato la perdita di troppe cose essenziali, fino alla rinuncia totale persino della
visione dei monti, proprio perché tutto è avvenuto un poco per volta.
Ma adesso che guardo queste vecchie immagini, la perdita mi arriva addosso tutta in un solo colpo
ed è tremendo. La vita ha un’arte sottile per farti sopportare l’insopportabile ed è tremendamente
perfida per farti morire pian pianino.
Adesso mi sono ridotta a dire: “Vedo dei fili d’erba e per me sono un prato, vedo un albero e mi
basta per perdermi in una foresta.Quando il cielo è terso scorgo all’orizzonte una cresta montuosa
ed è sufficiente per condurmi su tutte le montagne del mondo”.
Ma adesso che mi perdo tra tutte questa fotografie, vorrei poter urlare che non è così e che il dolore
in me è incontenibile e che mi mancano da morire gli spazi e la bellezza e che la mia mente è stanca di sopperire a tale esigenza con la sola fantasia.
Cercando una mia fotografia mi sono anche accorta che la mia vita si è svolta sempre in un tempo,
in uno spazio ed in un modo al di fuori di ogni schema.
Non mi sentivo di appartenere al mondo animale perché la violenza mi ripugna, ancor meno potevo aderire alla realtà umana, dove la violenza era “condita” dall’arroganza e dalla crudeltà. I medici
mi dicono che il mio male è dovuto ad uno stress troppo grave e prolungato nel tempo. Lo sforzo
d’adattamento dura dalla mia nascita, ma non posso far parte di nessuna storia. Allora guardo le
mie foto in montagna e sulle cime e mi assale un grande disagio.
U
Bianca Di Beaco
82 QVOTA 864 GIUGNO 2014
Io non so come sono capitata a far parte della storia
dell’alpinismo, dove non merito di avere un posto perché non ho fatto niente di speciale ed anche perché
non ho mai voluto compiere “imprese”.
Io andavo in montagna come andavo ad attraversare
i deserti o per mare su barchette fatte a mano, solo
per non perdermi in una folla in cui non mi riconoscevo, solo per non partecipare ad una vita che disapprovavo, ed anche per trovare solitudine ed armonia.
Non segnavo le mie salite.
Per me era lo stesso arrancare tra i mughi per
arrivare su una cima di erba. Per cui a stento riesco a
fare un elenco delle mie “imprese”.
Qualcosa avevano fatto i miei compagni di cordata
quando avevano voluto presentarmi al Club
Accademico Italiano. Io avevo accettato per abbattere il muro della discriminazione sessista, ma quando questo avvenne io non ripresentai la domanda
d’ammissione perché non mi interessava di far parte
di un’élite. Pochi lo capirono, i più lo interpretarono
come una rivalsa.
È perciò che non so come mi abbiano inserita nella
storia dell’alpinismo, quando io sono semplicemente
un povero essere al di fuori di ogni contesto. Una
creatura confusa e dolente che alla montagna è
andata per chiedere molto ed ha preteso che fosse
una dea a cui tutto era possibile.
Io ho ricevuto molto ed ho avuto un bisogno estremo
di lei, di accarezzare il suo corpo di pietra, di fermarmi sulle sue cime e mettere la mia pietra sull’ometto,
come un atto disperato di una fede senza senso ma
profonda. Ma lei avrebbe potuto fare a meno di me.
Anzi, anch’io, per quanto sia andata a lei con umiltà,
ho pur sempre portato l’impronta pesante del
mioessere umano.
Guardo la mia fotografia.
C’è un pizzico di arroganza in quel mio presentarmi in
primo piano con la montagna sullo sfondo. In realtà è
lei la protagonista, sempre, e sento quasi che mi sopporta a stento.
Anch’io ho voluto parlare per lei e darle sentimenti
che erano i miei. È come quando parliamo con gli animali e non conosciamo niente del loro linguaggio.
La mania d’imporre la nostra intelligenza a tutto il
resto del creato e di adattare ogni espressione della
vita e del mondo alle nostre esigenze, come se fossimo solo noi ad esistere, ci ha strappato dalla natura e
ci ha confinato in uno stato di solitudine, questa sì,
terribilmente triste che ci porta alla disperazione.
Quando salivo le montagne cercavo di andare in
silenzio perché gli animali non si spaventassero. Ma
scappavano lo stesso.
Quando arrivavo in cima, dicevo “grazie”, non so a
MONTAGNE IN ROSA 83
chi, ma sapevo che ero solo io a ricevere qualcosa di
estremamente importante. E quando me ne andavo
mi voltavo continuamente per dire sempre “grazie”.
Fino all’ultima svolta del sentiero nella valle.
Mandavo un bacio alla montagna a cui davo un
volto, che volevo amare e conservare in me. Ma la
sera calava con le sue ombre ed in me nasceva il
sospetto che la montagna tirasse un sospiro di sollievo e si raccogliesse nel suo riposo ed abbracciasse le sue membra di pietra, i suoi boschi, le sue
creature e volesse finalmente ritrovare il suo vero
volto e la sua pace.
Siamo noi che abbiamo bisogno dei monti e di tutte le
manifestazioni del creato per quietare le nostre ansie.
Però, ben lontano da me la pretesa di usare della
montagna per esaltare delle mie presunte gesta. Ben
lontano da me l’intento di piegare la bellezza alla miseria del mio mondo umano.
La prima vera cima della mia vita è l’Antelao, salito da
sola, in preda ad una fascinazione quasi infantile, che
prevalse su inesperienza ed ignoranza di tutto. C’era
un tempo tremendo per cui mi sono fermata a dormire
in una baracca, dove entravano vento e neve; mi
sono anche infilata il pigiama.La mattina, fuori, ho
visto una donna tutta in nero, l’unico essere incontrato, uscita da una capanna nera fumosa e che parlava
in una lingua per me strana, la quale mi diede una
scodella di latte caldo. Eravamo due apparizioni in
questa valle innevata. Sono salita con gli ultimi turbini di neve e sono arrivata al Galassi, dove c’era il solo
gestore, che venne sulla porta ad accogliermi. Era
estate, ma le condizioni erano invernali, ed io, poiché
la mia ignoranza in materia era grande, mi dissi:
questa è la montagna...
Bellissimo però, e sono adata su tranquillamente,
scarpette da ginnastica e lo zaino di tela fatto dalla
mamma e al quale il papà aveva fatto le cinghie con
delle cinture di cuoio. Sono salita, c’era molta neve, e
allora ho aggirato la calotta innevata posta in alto.
Dopo, nello scendere i lastroni, pericolosissimi, mi
sono tolta le scarpe perché la suola si era rotta e
avvoltolandosi sarebbe stata pericolosa, rimanendo
con le calze: che freddo ai piedi! A quell’età e senza
sapere niente...
Ma ero incosciente. Stanchezza, ma dove? Ero come
un camoscio.
E così comincò la mia avventura sulle montagne di
casa nostra: Alpi Giulie, Alpi Carniche, Dolomiti, Alpi
Centrali ed Occidentali con alcune vie nuove e
diverse “prime femminili” salendo a comando alternato sulle vie considerate allora estreme, con compagni
di cordata di grande bravura e sensibilità.
84 QVOTA 864 GIUGNO 2014
Ho cominciato con Berto Pacifico, della Società Alpina delle Giulie, che mi aveva visto arrampicare
da sola in Val Rosandra (dopo con lui ho arrampicato anche in montagna), e Piero Zaccaria e tutti
volevano farmi da maestri; poi, vedendo le mie capacità mi dicevano: sarai la prima donna... Ma a
me non interessava, non capivano questa mia mentalità.
Mi arrampicavo come facevo sugli alberi in Istria, quando andavo a trovare i parenti dei miei genitori, entrambi istriani. Ho molto arrampicato con Spiro, in seguito i miei compagni principali sono stati
Walter Mejak e Jose Baron. Con tutti loro mi sentivo in sintonia, erano nella mia personalità.
Jose è stato l’uomo della mia vita. Era nato in provincia di Pistoia, da mamma toscana e papà triestino. Era arrivato a Trieste a sette anni. Come in altri triestini, anche in lui convivevano due grandi passioni: mare e montagna. Jose, grande alpinista, fondatore della Scuola di alpi-nismo “Enzo
Cozzolino” e suo primo direttore. Jose, uomo di mare, maestro d’ascia (uno degli ultimi) e costruttore di barche.
E poi sui monti della Corsica ed in Montenegro. E in Grecia con la Scuola di Alpinismo. Si faceva
scuola in un rifugio sull’Olimpo, allora una baracca, dove si mangiavano di quelle robe tremende di
caprone.
Quindi le nostre piccole ma splendide spedizioni sempre più lontano, partendo da Trieste con le
nostre vecchie macchine scassate che quasi regolarmente si guastavano. Ma Walter Mejak, che era
l’ideatore e l’anima di queste nostre pazze avventure, compiute sempre in quattro, massimo cinque
componenti, riusciva sempre a smontare ed a rimontare il motore in condizioni disperate. E così
andammo in Turchia salendo sull’Ararat e diverse cime nuove nella zona del Monzur, del Karanfil,
del Kara Dag e del Kaçkar. In Iran, sul Haran Bzrk, propio sopra il Caspio, dove vivevamo con i
pescatori. Mi studiavo i vocabolarietti che allora erano difficili da reperire, cercando di imparare la
lingua del posto, robe da ridere, non discussioni filosofiche ma per chiedere le cose semplici, il che
era molto apprezzato. In Afghanistan era meraviglioso, siamo passati per Herat, Kandahar e Kabul,
andando fino all’Hindukush e in Pakistan, nell’Hinduraj.
Finalmente sono riuscita ad andare via con Jose, suna sola volta, perché lui non voleva mai andare
via dalle sue montagne. Destinazione Argentina: “Partiamo con la macchina - gli dissi - portiamo la
nostra bandiera e andiamo con l’ultimo viaggio della Marconi”. Abbiamo scelto la Cordillera Ansilta
dove abbiamo fatto una prima salita al Cerro Fortuna e altre quattro cime nuove, un po’ a Nord
dell’Aconcagua, un paesaggio non di ghiaccio ma di terre rosse coloratissime. PIù avanti, per mio
conto, come piace a me, e con Daniela Pulvirenti, sono andata negli Stati Uniti: in Sierra Nevada,
salendo il Mount Whitney e il Muir, con una via nuova molto bella. Nello Yellowstone, sulle
Montagne Rocciose, dove mi aspettavano degli amici polacchi rifugiatisi in America, conosciuti anni
prima, che mi avevano “ingaggiata” come alpiniste per accompagnare alcuni amici in montagna.
Entusiasti, l’anno dopo, mi invitarono di nuovo e così siamo andati in Messico a fare i vulcani:
Ixtaccihuatl, Pico de Orizaba, Popocatepetl, più tutti gli altri oltre i 4 mila metri.
Adesso, che cerco di fare un elenco, mi accorgo che sono troppe le cose da ricordare.(*)
Montagne, montagne: dove va il mio cuore?
L’Antelao, perché mi riconduce ai miei sogni di ragazzina, con la scoperta di quel mondo pur aspro
ma che in me esercitò da subito un richiamo irresistibile: tutta quella neve in estate, i personaggi
surreali come la donna vestita di nero, il gestore, e poi questa cima incredibile...
Bianca Di Beaco
(*)
I testi riportati in corsivo sono tratti da “Le Alpi Venete” Primavera-Estate 2004 pagg. 31-37.
Prime salite e prime femminili: Secondo Campanile delle Genziane (Avanza), via direttissima per parete S,
VI; Torrione Pacherini (Monfalconi), spigolo N, IV; Crete Cacciatori (Avanza), parete S Direttissima “Via dei
Triestini”,V-; Pic Chiadenis (Peralba), parete SO della II° Torre, variante “Via Pachner”; Cima delle Lastie (San
Sebastiano Tamer) da NO; Croda di Pelsa (Civetta), per spigolo O. Il Cimerlo nelle Pale di San Martino, versante SE, V.; Torre Su Alto (Civetta), “Via Merk-Schneider”, VI; Torre Carnizza (Montasio), parete SE “Via
Dalla Porta Xydias-Maucci”; Porre di Pelsa in Civetta, parete SO “Via Bortoli-Zorzi-Tissi”,V.
Altre salite: Strapiombi Nord del Campanile di Val Montanaia; Spigolo Gilberti-Soravito dell’Agner; Cima della
Busazza, spigolo O, VI; Cimone del Montasio, per parete Sud Via Bulfoni “direttissima Gervasutti”; Torre di
Babele, “Via Soldà”; Torre di Valgrande, “Via Carlesso-Menti”; Piz Popena, “Via Comici”; Sass Maor per
spigolo SE “Via Detassis-Castiglioni”; Catinaccio per parete E “Via Steger”.
MONTAGNE IN ROSA 85
MARY VARALE
Mary Varale
86 QVOTA 864 GIUGNO 2014
Mary Varale, “la signora di Milano col giubbetto
rosso”.
Si chiamava Maria Giovanna Gennaro, era nata a
Marsiglia nel 1895 da una giovane coppia di emigranti
italiani.
Oggi la ricordiamo come Mary Varale, moglie di
Vittorio, giornalista e scrittore.
Per la maggior parte degli alpinisti è ricordata per
essere stata compagna di cordata di Emilio Comici e
Renato Zanutti sullo spigolo Giallo della Piccola di
Lavaredo e di Giovanni Andrich e Furio Bianchet per
la “Via dei Bellunesi” al Cimon della Pala, inoltre per
essersi legata in cordata con altri nomi illustri dell'alpinismo di quei tempi: Tita Piaz, Riccardo Cassin, i
fratelli Dimai, i sesto gradisti lecchesi.
Gli anni che vanno dal 1924 al 1935 sono quelli in cui
darà il meglio di sè come alpinista, scalando 325
vette, dal Monte Rosa alle Dolomiti.
Il lungo elenco delle ascensioni da lei redatto al
momento del brusco e forse intempestivo abbandono
dell'attività alpinistica, è già di per sè sufficiente a
dare un giudizio delle qualità atletiche e di carattere
della donna.
Volendo definire più compiutamente la personalità di
Mary Varale, sono di aiuto i giudizi espressi da chi
con lei ha affrontato le ascensioni più impegnative.
Renato Zanutti in “Come vincemmo lo Spigolo
Giallo” così la ricorda : « …solo ci tengo a far risaltare
la completa fiducia che essa ispira ai compagni di cordata, possedendo essa, in modo indiscutibile, doti
non comuni, specialmente in una donna, e cioè: interesse ed attenzione durante tutta l'arrampicata,
resistenza fisica, buona tecnica e molto coraggio. »
Furio Bianchet, compagno sulla Via dei Bellunesi al
Cimon della Pala, scrive : “Questa singolare tempra di
alpinista, che alterna i pericoli e i disagi delle salite di
sesto grado alle placide passeggiate sui prati...
capace di prendere il comando d'una cordata quanto
improvvisarsi emerita cuoca…”.
“Le donne avanzano verso il 6° grado, un'audace salita in Grignetta" così titola una notizia apparsa in
“Roccia" nel 1933:” …per la prima volta una donna la Signora Mary Varale della sezione del CAI di
Belluno - ha guidato una cordata di arrampicatori sugli
850 metri della via “Fasana” sulla parete nord del
Pizzo della Pieve. La scalata che ha passaggi di 5° e
4° grado, è stata compiuta quasi interamente sotto la
pioggia”.
Donne alpiniste, pur non avendola conosciuta personalmente, così la ricordano.
Irene Affentranger: “Fu l'epoca eroica dei Gervasutti,
dei Comici, dei Cassin. E qui si scatenò la nostra
Mary, la “Signora di Milano” (così familiarmente la chiamavano gli amici arrampicatori bellunesi), che
legandosi con capicordata eccezionali raggiunse una posizione di primo piano nell'alpinismo di
punta di quegli anni”.
Silvia Metzeltin: “Mary Varale ha scoperto l'alpinismo tardi, alla soglia della trentina, ma è stato un
colpo di fulmine che ha cambiato la sua vita anche nei modi esteriori e in cui non solo le Dolomiti
ma in particolare le Grigne hanno avuto un ruolo determinante”.
Singolare è il ritratto che Marisella Volpe ci ha lasciato della nipote Mary negli anni venti: “era una
giovane elegante signora con gli abiti corti sotto il ginocchio, i tacchi alti, i capelli tagliati e il rossetto alle labbra”.
Ritrovandola negli anni successivi l'avrebbe trovata molto cambiata, quasi quotidianamente in tenuta da montagna, pantaloni di velluto a coste, giubbetto rosso, bandana a contenere ribelli capelli
castani, le scarpette da arrampicata legate alla cintola e viso senza ombra di belletto,
Non resta che il rimpianto di non averla conosciuta e l'invidia per chi la ha avuta come compagna di
cordata. Francesco Comba
Antonio Berti. Dolomiti Orientali Volume I - Parte 2°. pagg. 208-209. IV Edizione 1973
_______________________________________________
“MONTAGNE IN ROSA” vuole offrire al Lettore una panoramica, sia pur limitata, del mondo della montagna al femminile. Al testo si accompagna l’emissione di una serie di cartoline giunta quest’anno alla terza edizione.
Le cartoline edite gli anni passati sono state dedicate a Elizabeth Fox Tuckett, Jeanne Immink, Beatrice
Tomasson, Luisa Fanton, Paula Wiesinger, Tiziana Weiss.
MONTAGNE IN ROSA 87
San GIOVANNI PAOLO II
27 aprile 2014
“Questi monti con la loro pacifica grandiosa
maestosità parlano di Dio.” Giovanni Paolo II
Papa Karol Wojtyla ha trascorso la prima vacanza a
Lorenzago nel 1987. Appassionato della montagna e
delle Dolomiti ricordiamo certamente come il 26 agosto 1979 volle salire in vetta alla Marmolada, Punta
Rocca, pur in presenza di una violenta bufera di neve
o le sue salite in Adamello, la scalata al Peralba.
Ma sono le parole che devono rimanere incise nei
nostri ricordi, partendo dal 12 luglio 1987, quando in
Val Visdende così rifletteva: “Davanti a questo
panorama di prati, di boschi, di torrenti, di cime svettanti noi ritroviamo il desiderio di ringraziare Dio per le
meraviglie delle sue opere. Vogliamo ascoltare in
silenzio la voce della natura al fine di trasformare in
preghiera la nostra ammirazione. Queste montagne,
infatti, suscitano nel cuore il senso dell'infinito, con il
desiderio di sollevare la mente verso ciò che è sublime. Queste meraviglie le ha create lo stesso autore
della bellezza.”
«Cari figlioli, sento le vostre voci. La mia è una sola, ma riassume
tutte le voci del mondo; e qui di fatto il mondo è rappresentato.
Si direbbe che persino la luna si è affrettata stasera... Osservatela in
alto, a guardare questo spettacolo...
Tornando a casa, troverete i bambini. Date loro una carezza e dite:
“Questa è la carezza del Papa”.
Troverete forse qualche lacrima da asciugare. Abbiate per chi soffre
una parola di conforto. Sappiano gli afflitti che il Papa è con i suoi
figli specie nelle ore della mestizia e dell'amarezza...».
San GIOVANNI XXIII. 27 aprile 2014
Marmarole foto g.g.
“La predilezione di Maria per le zone montane,
protese per loro natura verso il cielo, assume un significato molto vivo, che ognuno di noi può condensare nella consolante certezza del Salmista:
‘Exaudivit me de monte sancto suo’ (Sal 3, 5). Maria
santissima, ‘Regina delle Dolomiti’, ‘Madonna della
Neve’ e sotto ogni altro titolo con cui viene invocata
nei santuari più celebri e nelle più romite cappelle,
protegga l'amata nazione italiana.” Giovanni Paolo II
Amava moltissimo la montagna. Era nato e cresciuto
con questo amore. Per lui, la montagna non era un
diversivo, un'occasione per divertirsi. La montagna
era l'ambiente che gli permetteva di sentirsi più vicino
a Dio, che lo aiutava a concentrarsi nella preghiera.
Mentre passeggiava in montagna, aveva sempre il
rosario tra le mani e pregava. Si fermava ad ammirare
il paesaggio e pregava. La natura lo aiutava a parlare
con Dio. Andare in montagna era per lui come fare un
giorno di immersione nella spiritualità più profonda.
SANTI 89
FRIULANO
DI ROCCIA
di Paolo Geotti. C.A.I. Gorizia
gnazio Piussi non è più
con noi ormai da alcuni
anni, ma se ripercorriamo i nostri ricordi e la
sua storia alpinistica, non
possiamo fare a meno di
rivederlo ancora, sempre
forte e sornione, nonostante i
tanti problemi, amico di quanti sentiva vicini al
suo immenso amore per la montagna.
Siamo stati ancora a trovarlo, alla sua Malga Sot
Cregnedul, dove nel locale della stalla è stato
ricreato un itinerario museale a lui dedicato,
trovando anche lo spazio per una foresteria. E
poi visitando la sua estrema dimora, la piccola
essenziale tomba al cimitero di Saletto, nella
sua Val Raccolana.
Il rimpianto di tutti non è solo per la sua persona,
ma anche per il punto di riferimento che egli costituiva per tutti gli amici, che puntualmente ad
ogni estate lo ritrovavano al suo "buen retiro"
a Sella Nevea.
Se sfogliamo i libri che parlano di lui, a cominciare da “Volo con l'aquila” di Celso Macor con
foto di Carlo Tavagnutti, potremo rivedere i
luoghi e rileggere la vita di Ignazio, a partire dal
suo incontro con l'arrampicata, nella lunga attesa al pascolo con le capre sui prati alti del
Grant'Agar.
Cito: “E c'erano spazi immensi di silenzio, mentre fotografie eroiche raccontavano grandi giornate, entusiasmi, amicizie forti, attimi di poesia e
di umano.
Una vita d'alpinista: tanti giorni
di sole e di ardimento, di canto
al bello estremo, di memorie.
La calma è tutta
dentro.
Per uscire urgono aggettivi e
qualche superlativo. Un alpinista vero non
ne ha.”
In modo ancor
più esteso ed
I
90 QVOTA 864 GIUGNO 2014
esauriente però la sua storia ce la racconta
Nereo Zeper in “Ladro di Montagne - Ignazio
Piussi montanaro, alpinista, esploratore” edito
nel '97 per Muzzio di Padova.
I capitoli del libro ne tratteggiano la vita, partendo dall'infanzia e dalle prime crode, passando per le più celebrate ascensioni ed attraversando le sue grandi passioni per la caccia, il
bosco e il soccorso, tra i pericoli e le avventure
sul confine con la Yugoslavia comunista. E poi
ancora fino alle celebrate imprese alla Torre
Trieste, sul Monte Bianco, alla Civetta e le 17
volte dell'Eiger. Ancora la Tissi con Pierre
Mazeaud, che ha suscitato polemiche per l'uso
degli spits in un periodo di grande espansione
alpinistica ed esplorativa.
Ecco appunto le spedizioni extraeuropee, in
Himalaya, con la partecipazione alla spedizione
del CAI al Lhotse assieme a Riccardo Cassin
(vedi cartolina a pag. 91) ed in Antartide.
Sempre da protagonista e riconosciuto dai compagni uomo forte e generoso. Ad esempio in
occasione delle storica ripetizione in prima
invernale della Solleder Lettenbauer alla
Civetta, accompagnato da Giorgio Redaelli e
Toni Hiebeler con altri di seguito nel 1963: otto
giorni per una prima invernale di sesto grado ai
limiti dell'impossibile!
“Alpinismo Goriziano”, il trimestrale della
Sezione di Gorizia del CAI, ha sempre pubblicato cronache e fotografie del nostro, in particolare
per la partecipazione al prestigioso conferimento dell'ambito
Premio annuale
delle Comunità
Bellunesi, il
___________
Un caro
ricordo di
Ignazio:
una cartolina
postale con il
timbro della
sua Malga Sot
Cregnedul e la
sua firma.
PELMO D'ORO, per la carriera alpinistica
eccezionale di un grande della montagna nel
2003.
L'ultimo monumento ad Ignazio Piussi l'ha dedicato Marcello Manzoni con “Zingari in
Antartide”, pubblicato per Alpine Studio nel
2012. Una spedizione scientifica durante la
quale l'autore ha vissuto con Ignazio un'esperienza alpinistica ed esplorativa di grande
dimensione,
percorrendo
quei
luoghi
all'estremità della terra in condizioni climatiche
estreme e salendo cionono-stante 8 cime inviolate nei 21 giorni. Passati assieme ad una
vera e propria forza della natura, quale è stato
davvero Ignazio Piussi.
“Alla sella Seconda Ignazio prende il grosso
sacco dove ieri l'avevo lasciato e lo trascina
dall'altra parte del ghiacciaietto; sul vetrato il
sacco segue docilmente. Lo mettiamo al riparo
e lo ancoriamo con dei sassi. Lo recupererò io
nei prossimi giorni. Proseguiamo lungo le vecchie morene che il Taylor aveva costruito quando il suo livello era più alto. Una piccola pozza
gelata prova che quassù, per qualche ora di
qualche estate di qualche anno, il calore assorbito dalle pietre, riesce a sciogliere un po' di
ghiaccio.”
Messner, Cassarà ed altri grandi lo definivano
il più forte alpinista degli anni sessanta, lui
nato nella Valle dei
Magri, come veniva
definita la sua Val
Raccolana, stretta a
precludersi il sole per
tanta parte dell'anno
ma culla allo stesso
tempo di uomini forti e
determinati, come i suoi
parenti Pesamosca di
storica memoria.
Bracconieri per necessità, boscaioli per dedizione, allevatori per
mestiere, guide alpinistiche poi, avezze a
superare ogni difficoltà
della montagna come
della vita. Celebre il suo
commento da spirito
indomito qual'era, alla
vicissitudine trascorsa
in un periodo difficile
dell'esistenza. “Guarda
un po', mi muoiono la capra e il maiale e subito
mi nascono due gemelli!”.
Un mito poi tra alpinisti e arrampicatori che,
in una qualche occasione, l'hanno avuto compagno di salita in parete, celebre o meno. Il
suo peregrinare per l'Italia, ad inseguire carriere sportive o di lavoro, lo hanno portato a
contatto di amicizie dovunque, lasciando un
ricordo indelebile di passione alpinistica e
dedizione.
“La storia del Gruppo Rocciatori Ragni di
Pieve di Cadore”, pubblicato per Tiziano
Edizioni nel 2009, riporta, a partire da una
sua introduzione, ampi spazi dedicati ad
Ignazio. Egli infatti passò diversi anni a Pieve
e fu in quel periodo che frequentò le celebri
montagne dolomitiche, tracciandovi vie celeberrime, assieme a compagni i cui nomi
hanno fatto la storia dell'alpinismo.
Un ruolo poi che va piacevolmente ricordato e
che ha svolto in diverse occasioni, a Pieve
per i Ragni ma anche altrove, è stato quello di
direttore e istruttore ai corsi di roccia. Tale
disponibilità appare oltremodo significativa
della sua umana versatilità. Io in particolare
lo ricordo a Recoaro, al Rifugio Campogrosso, impareggiabile amico e maestro, ma
sempre Accademico del CAI.
Mandi Ignazio.
Pezzeit di Val
Raccolana, 22 aprile
1935 - Gemona del
Friuli, 11 giugno 2008.
__________________
C.A.I. Spedizione
Nazionale “LHOTSE 75”
Annullo commemorativo
della partenza da Milano
(25.2.75) e annullo da
Kathmandu (18.3.75).
Autografo di Ignazio
Piussi.
FRIULANO DI ROCCIA 91
GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA FELICITÀ
XXIII Incontro Filatelico di Primavera
iornata Internazionale della Felicità si celebra in tutto il mondo il 20 marzo di ciascun
anno. È stata istituita dall'Assemblea Generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite
(ONU) il 28 giugno 2012.
La risoluzione A/RES/66/281 dell'Assemblea dell'ONU, stabilisce che:
“L'Assemblea Generale [...] consapevole che la ricerca della felicità è un scopo fondamentale dell'umanità, [...] riconoscendo inoltre di un approccio più inclusivo, equo ed equilibrato alla crescita
economica che promuova lo sviluppo sostenibile, l'eradicazione della povertà, la felicità e il
benessere di tutte le persone, decide di proclamare il 20 marzo la Giornata Internazionale della
Felicità, invita tutti gli stati membri, le organizzazioni del sistema delle Nazioni Unite, e altri organismi internazionali e regionali, così come la società civile, incluse le organizzazioni non governative
e i singoli individui, a celebrare la ricorrenza della Giornata Internazionale della Felicità in maniera
appropriata, anche attraverso attività educative di crescita della consapevolezza pubblica [...].”
La Giornata Internazionale della Felicità è un movimento per la promozione della felicità in quanto
obiettivo e aspirazione universale nelle vite degli esseri umani di tutto il mondo. Quindi il primo
“dovere” di questa giornata è niente meno che "essere felici".
Secondo le parole dell'Assemblea Onu “il perseguimento della felicità è al centro degli sforzi umani.
Le persone in tutto il mondo aspirano a condurre vite felici e appaganti, libere dalla paura e dal
bisogno e in armonia con la natura”.
G
Cartolina del XIII Incontro Filatelico di Primavera presso la Casa Vinicola Zonin.
Convivio da una lastra della Tomba del Tuffatore di Paestum
“Rafforziamo il nostro impegno per lo sviluppo
umano inclusivo e sostenibile e per rinnovare la nostra
promessa solenne di aiutare gli altri. Quando diamo il
nostro contributo al bene comune, noi stessi ne siamo
arricchiti. La compassione promuove la felicità e aiuterà
a costruire il futuro che vogliamo.”
Ban Ki-moon Segretario Generale UN
Giardino della Casa Vinicola Zonin.
Statua del giovane Bacco.
DALLE DOLOMITI AL
MARE DEL SALENTO
l 29 maggio 2014 è nata ufficialmente la
Sezione Giovani del Gruppo Filatelici di
Montagna.
Grazie alla disponibilità ed alla sensibilità d’animo della Preside Prof.sa Eleonora Giuri del 3°
Comprensivo “San Giuseppe da Copertino” e di
Poste Italiane, ha avuto luogo il Corso di
Filatelia “Conoscere l'Italia e l'Europa attraverso
la filatelia” - ai ragazzi delle 5ª elementari e delle
tre medie nelle varie sezioni - tenuto dal nostro
Delegato per il Sud Luigi Pennino, in collaborazione con il Prof. Americo Giannelli.
Il Corso si è chiuso con l’annullo postale dedicato appunto al tema trattato.
Gli alunni di Copertino hanno vinto anche un
premio speciale partecipando al concorso
“Progetto Scuola” organizzato da Veronafil.
Scopo del Corso era quello di avvicinare i
ragazzi alla filatelia, svegliare l'amore per i francobolli, stimolare la loro attenzione, apprezzare
la bellezza artistica racchiusa nel francobollo,
apprendere una minima tecnica indispensabile
per un collezionista, oltre alle nozioni di cultura
generale scaturite da quel pezzetto di carta così
particolare.
Ai ragazzi che hanno evidenziato una maggiore
propensione al collezionismo filatelico è stata
offerta la tessera del GFM-Sezione Giovani per
non disperdere la passione acquisita durante il
corso.
A norma dell’art. 5bis dello Statuto, approvato
dal Consiglio della Sezione Cadorina secondo
quanto disposto dalla Commissione legale del
CAI (prot. n. 326/08.02.2002), i ragazzi, sino
all’età di quindici anni, saranno iscritti al GFM
gratuitamente con gli stessi diritti dei soci ordinari. Essi riceveranno la Rivista "QVOTA 864" e
tutte le comunicazioni riservate ai soci circa le
iniziative filateliche e le attività culturali inerenti
alla montagna.
I
NANGA PARBAT 1970
ono più di mille le lettere e le cartoline che fanno parte del “Fondo Varale” della
Biblioteca Civica di Belluno. Sono alcune centinaia i mittenti e i destinatari, come
pure gli argomenti trattati, relativi alla professione di Vittorio Varale, giornalista e
scrittore che dedicò la maggior parte della propria attività professionale al ciclismo
e all'alpinismo.
Sull’alpinismo pubblicò alcuni libri rievocativi delle imprese più impegnative degli anni intercorsi fra
le due guerre che incendiarono l'Europa nel secolo scorso.
Conobbe e frequentò gli alpinisti più affermati di quel periodo; con alcuni ebbe scambi di corrispondenza sia a commento delle loro imprese, sia a carattere personale.
Per citare i più noti basta ricordare Tita Piaz, Riccardo Cassin, Emilio Comici, Hans Steger.
Con Reinhold Messner ebbe un notevole scambio di corrispondenza tra il 1966 e il 1973. Le lettere, circa un centinaio, riguardano la preparazione del libro “Sesto grado” che verrà pubblicato da
Longanesi nel 1971, scritto da Varale e Reinhold Messner assieme a Domenico Rudatis.*
Tra le lettere si trova, quasi nascosta, una cartolina, spedita il 9 maggio 1970 dal Pakistan a Varale,
in occasione della spedizione tedesca al Nanga Parbat voluta da Karl M. Herrligkoffer e da lui guidata, a ricordo di Sigi Low; la cartolina porta le firme di quasi tutti i componenti della spedizione.
La vetta venne raggiunta il 29 giugno 1970 da due cordate, la prima composta dai fratelli Messner,
la seconda da Toni Kinshofer e Anderl Mannhardt.
Durante la discesa dal versante Diamir perse la vita Gunther Messner travolto da una valanga.
Siegfried (Sigi) Low, l'alpinista tedesco a cui fu dedicata la spedizione al Nanga Parbat, perì dopo
averne raggiunta la vetta in cordata con Toni Kinshofer e Anderl Mannhardt,nel 1962.
L'alpinista tedesco fece parte, nel 1959, della cordata che tracciò, in cinque giorni, la via diretta
della parete Nord della Cima Grande di Lavaredo. La scalata di Hasse e compagni suscitò molto
scalpore avendo usato, oltre a 180 chiodi normali e vari cunei di legni, 15 chiodi ad espansione, segnando l'esordio di una nuova tecnica di arrampicata. Francesco Comba
*cfr. Jochen Hemmleb Nanga Parbat. Das Drama 1970 und die Kontroverse - Edizione italiana VERSANTE SUD 2012
S
Cartolina della GERMAN RUPAL - EXPEDITION
TO NANGA PARBAT
GILGIT-ASTOR - W. PAKISTAN
LEADER: DR. KARL M. HERRLIGKOFFER
MUNICH 25, Plinganserstr. 120, W.Germany
Copertino.
Chiusura del Corso di Filatelia e premiazione
degli alunni partecipanti da parte della Preside
Prof.ssa Eleonora Giuri.
94 QVOTA 864 GIUGNO 2014
NANGA PARBAT 1970 95
HIMALAIA - IL Ce.I.S. SUL TETTO DEL MONDO
l Ce.I.S. di Belluno è in
prima linea dal 1983 contro ogni forma di dipendenza e crea, attraverso
le proprie Comunità, percorsi riabilitativi finalizzati
alla autonomia e libertà
della persona; si rivolge a
persone con problemi di
tossicodipendenza e di
alcolismo e recentemente
anche a persone con problemi psichiatrici e di
dipendenza associati.
Nel corso dell'anno corrente il Centro ha attraversato momenti terribili, in particolare per l'incendio
che ha distrutto la nuova struttura di Doppia Diagnosi, invalidando anni di lavoro e apportando danni
ingentissimi non solo a livello economico ma anche morale.
Moltissimi gruppi di persone si dedicano anche gratuitamante ad aiutare persone, ammalati gravi e
terminali accompagnandoli con amore sino alla fine della loro vita. Ma i nostri ragazzi del Ce.I.S.
non sono malati terminali e sono certamente in grado di superare, con la loro volontà, questo
enorme scoglio e di affacciarsi a fronte alta e con l'orgoglio di avercela fatta, nella società civile.
I
In occasione del trentennale e onde infondere nuova speranza, il Ce.I.S. ha proposto e realizzato,
con la collaborazione e la disponibilità del noto alpinista Francesco Santon, un percorso di trekking
e alpinismo nel territorio nepalese, riallacciandosi alla precedente analoga esperienza che lo stesso alpinista ha effettuato con il Ce.I.S. di Padova negli anni novanta. Esperienza, impegnativa e
gratificante, rivolta ai ragazzi dell’ultima fase del Reinserimento che hanno già affrontato il problema della tossicodipendenza e che si accingono a reinserirsi nella società come persone alla pari
nonostante il loro trascorso di sofferenza.
Una nuova avventura, quindi, in continuità con il percorso terapeutico che nel nostro Centro hanno
intrapreso e completato, poichè la montagna offre la possibilità di confrontarsi con i compagni di
avventura, con le proprie capacità e i propri limiti, ma con il proposito di approfondire la conoscenza di sè stessi prima di affrontare le avversità della vita. Una nuova vita cui si accingeranno con
maggiore responsabilità, con il lavoro, la dedizione alla famiglia, agli amici e, nel tempo libero, alla
natura e all'alpinismo che, come sappiamo, è veramente scuola di vita!
GFM for Africa
Cari amici,
Come state? Spero che stiate bene, come sto io qui in Kenia.
Vi mando i saluti della mia famiglia e gli auguri di ogni bene da Rumuruti.
Io ora sono in prima e studio tanto. Questo trimestre sono stata la 4° su 50.
Un altr'anno sarò in seconda.
Colgo l'occasione per ringraziarvi dell'aiuto che mi date.
Prego affinché il Signore vi ricompensi abbondantemente.
Vi auguro un Felice Anno e un Buon Natale.
La vostra amica Anne Njeri
* Chi desidera contribuire può versare quote da € 10,00 sul ccp n. 14266373 intestato al CAI Auronzo di Cadore BL che
provvederà all’inoltro alla Missione di Rumuruti.
96 QVOTA 864 GIUGNO 2014
Genziane. Gentiana acaulis o Genziana di Koch
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Sezione Cadorina “Luigi Rizzardi” AURONZO DI