Giovanni Guazzone Il Fil e i labirinti della I personaggi. I luoghi. I tempi. I libretti chiariti. Curiosità e storie , d Arianna Lirica Giovanni Guazzone IL FILO D’ARIANNA E I LABIRINTI DELLA LIRICA I personaggi. I luoghi. I tempi. I libretti completi e chiariti. Curiosità e storie * Editing Emilio F.M. Guazzone MUNARI edizioni Ringraziamenti Un grato ricordo alla memoria del mio primogenito Stefano, musicista inserito in numerose formazioni di musica di vario genere, dal pop al jazz alla musica colta, grande ammiratore della produzione operistica, soprattutto di Mozart e Verdi. Per primo mi incoraggiò a pubblicare certe mie noterelle divenute base di questo libro. Per i consigli e per l’aiuto di revisione del lavoro, devo i più sentiti ringraziamenti a Chiara Guglielmi, mezzosoprano d’agilità e redattrice editoriale esperta. Copyright Copyright Titolo del libro: Il Filo d’Arianna e i labirinti della Lirica Titolo del libro: Il Filo d’Arianna e i labirinti della Lirica Autore: Giovanni Guazzone Autore: Giovanni Guazzone © 2011, Giovanni Guazzone © 2011, Giovanni Guazzone [email protected] [email protected] isbn: 978889770143-9 edizione digitale: luglio 2013 TUTTI I DIRITTI RISERVATI. La riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo, non è consentita senza la preventiva autorizzazione scritta dell’Autore. TUTTI I DIRITTI RISERVATI. La riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo, non è consentita senza la preventiva autorizzazione scritta dell’Autore. Dedico questo libro alla memoria di Rodolfo Paoli, critico musicale, germanista (primo traduttore della Metamorfosi di Kafka), fu un vero zio, in momenti difficili; e alla memoria di Mario Casalini, grande amico della musica e dei libri, fu anche un amico per me, inusuale, ricco di finezze e di spirito. Entrambi hanno fatto compagnia ai miei pensieri ed ai miei dubbi fra queste pagine. INDICE 9 10 11 Scopo del libro Schema tipo per ogni melodramma Nota sui libretti d’opera opere musica libretto anno 17 Arianna C. Monteverdi O. Rinuccini 67 La Serva Padrona G.B. Pergolesi G.A. Federico 1733 1608 109 Norma V. Bellini F. Romani 1831 175 Nabucco G. Verdi T. Solera 1842 225 Rigoletto G. Verdi F.M. Piave 1851 309 Aida G. Verdi A. Ghislanzoni 1871 SCOPO DEL LIBRO Questo libro è fatto per noi, Vecchi e Giovani, coi libretti d’opera, ma senza la musica che i vecchi ritrovano nella memoria del passato e i giovani nella memoria elettronica e pochissimi, purtroppo, in Teatro. Per noi: quello che la musica da sola non dice. Quello che, anche senza musica, piace lo stesso. In altre parole, questo lavoro è stato compilato da uno che conosce poco la musica, per tutti quelli che, come lo scrivente, curiosi dell’opera lirica, apprezzano arie e cabalette, ma se vanno a teatro o ascoltano i CD, capiscono poco. Le parole, le arie, i recitativi, le scene, spesso sono incomprensibili. Perfino gli studenti di musica a teatro si distraggono dalla vicenda e dalle parole; si interessano della composizione, della direzione d’orchestra, della concertazione, della realizzazione sonora. Tutti sanno che l’Opera è importante, attira appassionati di tutte le classi sociali e di tutti i paesi del mondo, ma la conoscono bene davvero in pochi. Insomma, l’Opera per i nostri sensi ineducati, è come un panorama nella nebbia, un bel libro con molte pagine bianche. Il sotto titolo di questo libro poteva essere: Prima della Prima. Da leggere, per capire il Libretto, e la vicenda, prima di vedere e di ascoltare (lo stesso titolo è di una nota trasmissione TV). A questo primo volume ne seguiranno altri, con opere scelte dall’autore fra i melodrammi più rappresentativi e attraenti, compresi fra Monteverdi e Puccini. 9 SCHEMA TIPO PER OGNI MELODRAMMA Inquadramento in poche righe (tempo e luoghi) Personaggi (con citazioni dei versi del libretto) Percezioni melodrammatiche e approfondimento della vicenda (con poche citazioni c. s., e qualche rilievo sulle musiche più note) Luoghi citati e scene (cartina geografica – immagini) Curiosità e storie: Personaggi e Autori (immagini) Il Libretto. Note e significato delle parole e delle frasi oscure 10 NOTA SUI LIBRETTI D’OPERA (riservata ai non esperti ed ai curiosi) Non tutti sanno che i libretti delle opere liriche sono per lo più scritti in versi; quelli di questo libro lo sono tutti. La stretta parentela fra poesia e musica vocale è sempre esistita, anche nella pratica religiosa, e perfino nella musica leggera. Capita di canticchiare O sole mio e Volare senza renderci conto che sono “poesie”. Cantautori come De André, De Gregori, ed altri, sono anche poeti. Noti poeti, ingiustamente chiamati parolieri, hanno avuto in questo campo molta importanza, come il famoso Mogol. Talvolta capita che sia scritta prima la poesia e poi la musica, o viceversa; talvolta l’ideazione di musica e parole può essere contemporanea e coagente fra i due autori, come è avvenuto, credo, per coppie famose come Battisti e Mogol, e come è ovvio quando l’ideatore è uno solo, come Conte, Battiato, Gaber, ed altri. Nella storia della musica operistica è successo di tutto a monte della messa in scena: prima la metamorfosi dal soggetto (commedia o dramma, testi religiosi, miti tratti da greci e latini, libri di successo…) alla stesura poetica del Libretto, poi il confronto fra il poeta e il musicista: è nota la grande influenza che Verdi ha avuto, e non solo lui, sui propri librettisti, con la complicazione della censura austriaca, e con il risultato di sofferte alterazioni della versificazione originale. Storicamente vi è stata una vera identificazione fra poesia e canti monodici e polifonici, documentata da terminologia comune, come: sonetto, madrigale, canzone, etc.. Per i Libretti d’Opera si può aggiungere che mentre le Arie cantate (con ripetizioni e varianti) sono generalmente chiuse in strofe, i Recitativi sono costituiti da versi più o meno liberi. Comunque i versi possono essere interi su unica riga di scrittura oppure spezzati in due o più parti, disposte su righe diverse, in successione quando le parti sono cantate da personaggi diversi. 11 Affinché il lettore inavvertito possa leggere per primo uno qualsiasi dei Libretti qui riportati, alcune di queste avvertenze sono ripetute tali e quali sulle note a margine di tutti i Libretti. Il lettore inesperto dovrà abituarsi alla lettura di una scrittura di stile un po’ vintage, in voga nella pratica dei poeti dei secoli passati, anche affascinante nel dire e non dire, nell’uso di parole viete e nel preferire costruzioni delle frasi alla latina, cioè con il verbo verso la fine della frase, es.: “… io nei voleri arcani leggo del cielo…”. Un’altra sorpresa potrà essere la riscoperta di modi di dire, travasati dalla lirica al linguaggio comune, come succede, per altre strade, ai proverbi. Senza addentrarsi nel difficile campo della Metrica e della Stilistica, è forse interessante riportare alcune osservazioni sul genere dei versi più adottati in questi Libretti; fermo restando che anche nelle strofe più classiche i versi possono essere irregolari per eccesso e per difetto, e che in molti casi i versi in successione possono seguire metriche diverse, in alternanza, secondo le esigenze poetiche o drammatiche. Non si può tralasciare di ricordare che nella poesia le sillabe metriche (ritmiche) non coincidono sempre con quelle grammaticali; sicché in un verso il numero delle sillabe m. è quasi sempre diverso da quello delle sillabe g. Certamente i versi più comuni dei Libretti sono i settenari (7 sillabe m.), notoriamente i più cantabili: “… in così gran martire/ lasciatemi morire…” (Arianna, Rinuccini - Monteverdi) “… una voce poco fa/ qui nel cor mi risuonò…” (Il Barbiere di Siviglia, Sterbini - Rossini) “… stizzoso mio stizzoso/ voi fate il borioso…” (La Serva Padrona, Federico - Pergolesi) “… ma quando vien lo sgelo/ il primo sole è mio…” (La Bohème, Giacosa e Illica - Puccini) 12 Fra le poesie a noi più note, nate non per la musica, ma con lo stesso metro, viene subito in mente il Pianto Antico di Carducci: “L’albero a cui tendevi/ la pargoletta mano…” Anche gli ottonari (8 sillabe m.), più adatti alla declamazione ed alla narrazione, sono molto usati: “… Casta Diva, che inargenti/ Queste sacre antiche piante…” (Norma, Romani - Bellini) “… La calunnia è un venticello,/ un’auretta assai gentile…” (Il Barbiere di Siviglia, Sterbini - Rossini) “… Bella figlia dell’amore/ schiavo son de’ vezzi tuoi…” (Rigoletto, Piave - Verdi) A scuola, con lo stesso metro, abbiamo imparato dal Metastasio: “È la fede degli amanti/ come l’araba Fenice…” Gli endecasillabi (11 sillabe m.) sono molto elastici, si prestano a qualsiasi occasione: “… e che volete voi che mi conforte…” (Arianna, Rinuccini – Monteverdi) “… Deh, vieni alla finestra, o mio tesoro…” (Don Giovanni, Da Ponte – Mozart) “… Di voluttà nei vortici perire…” (La Traviata, Piave – Verdi) “… T’aveva il cielo per l’amor creata,/ ed io t’uccido per averti amata!...” (Aida, Ghislanzoni – Verdi) Con questo metro ne abbiamo imparate di tutte a scuola, per non dire della Commedia di Dante: tutta di endecasillabi. Ma di Lui non possiamo dimenticare: “Tanto gentile e tanto onesta pare/ la donna mia, quand’ella altrui saluta…” 13 I decasillabi (10 sillabe m.) nei Libretti sono molto impiegati per occasioni drammatiche o invettive stentoree: “Va pensiero sull’ali dorate;/ va, ti posa sui clivi, sui colli…” (Nabucco, Solera – Verdi) “Cortigiani, vil razza dannata,/ per qual prezzo vendeste il mio bene?...” (Rigoletto, Piave – Verdi) Ma anche per sillabazioni ironiche od elencazioni ossessive: “… Non più andrai farfallone amoroso,/ notte e giorno d’intorno girando…” (Le Nozze di Figaro, Da Ponte – Mozart) “… Madamina il catalogo è questo…/… in Italia seicentoquaranta…” (Don Giovanni, Da Ponte – Mozart) A scuola i decasillabi non sono stati incontrati troppo di frequente, ma Manzoni ci aiuta: “Soffermati sull’arida sponda,/ volti i guardi al passato Ticino…” Anche i dodecasillabi (12 sillabe m.) sono spesso presenti nei colloqui o nelle invettive: “Uccider quel gobbo!... che diavol dicesti!/ Un ladro son forse? Son forse un bandito?” (Rigoletto, Piave – Verdi) “Va, trema, o vegliardo, dell’ira sovrana…/ tu l’hai provocata, più speme non v’è.” (Rigoletto, Piave – Verdi) A guardar bene però questi versi sono doppi senari (6 sillabe m.), che uniti danno più forza alla declamazione. Del resto, le misure minori sono raramente da sole: “Ah, che bel vivere,/ che bel piacere/ per un barbiere/ di qualità.” (Il Barbiere di Siviglia, Sterbini - Rossini) Come si vede qui un senario è seguito da due quinari e da un quaternario, che per la brevità chiude bene. 14 Un altro capitolo della metrica riguarderebbe la posizione delle “sillabe” accentate (ictus), che cambiano il ritmo e l’effetto che i versi di stesso metro possono dare alla lettura del testo poetico, e più ancora all’aria cantata. Il tema è interessante, ma per sintetizzarlo e semplificarlo con chiarezza, come il livello di questo libro richiederebbe, si rischia di rimanere nella banalità, e nell’approssimazione. Si deve anche notare che i cantanti lirici, per esigenze tecniche o per esibizioni virtuosistiche, spesso mandano gli accenti del testo poetico a farsi friggere. Chiudo questa introduzione raccomandando ai neofiti di non scandalizzarsi se nel corso delle rappresentazioni a teatro i testi cantati non coincidono con quelli originali: succede talvolta che il direttore e concertatore imponga varianti e riduzioni per favorire i cantanti o per seguire prassi entrate nella tradizione. Nei Libretti qui trascritti, le parti più belle o più significative sono stampate in grassetto. 15 ARIANNA Lasciatemi morire/ E che volete voi che mi conforte/ In così dura sorte (Arianna abbandonata sull'isola di Nasso, Giovanni Carnovali detto Piccio, 1843-45) Monteverdi - Rinuccini Fig. 1 - Isole Cicladi, mare Egeo Figg. 2-3 - Arianna, J.B. Boudard, 1753; Minotauro, Pablo Picasso 18 Arianna ARIANNA Claudio Monteverdi – Ottavio Rinuccini Tragedia in forma rappresentativa in otto scene (1608) La trama è immaginata intorno al 1250 avanti Cristo. Tutto il melodramma si svolge a Nasso, la maggiore delle isole Cicladi, nel mare Egeo (Fig. 1). La scena è fissa presso la costa scogliosa dell’isola, forse a distanza si intravede il porto. PERSONAGGI PRINCIPALI I personaggi sono molti, da Apollo e Venere, fino a Giove. I principali sono: ARIANNA, TESEO, BACCO (Dioniso). ARIANNA. È la giovanissima e bellissima figlia del Re di Creta, Minosse, ed è sorellastra, purtroppo, del Minotauro, il mostro con la testa di toro ed il corpo di uomo (Figg. 2-3). (La madre di Arianna, Pasife, ebbe la disgraziata avventura di accoppiarsi con un magnifico toro bianco). La leggenda tramanda che il Minotauro, imprigionato nel “labirinto” di Cnosso a Creta (Fig. 4), per ordine di Minosse doveva essere saziato con il sacrificio di sette fanciulle e sette fanciulli (ogni anno?) forniti da Atene, per patti pregressi post-bellici imposti da Creta ad Atene (allora più debole e perdente). Teseo accompagna la terza consegna dei quattordici fanciulli a Creta, con il segreto proposito di uccidere il mostro. Sbarcato a Creta incontra Arianna, che si innamora del bell’eroe e, condividendo il suo proposito di fare giustizia, aiuta Teseo, contro le decisioni del Re padre. Il melodramma di Monteverdi inizia quando Teseo ed Arianna lasciano Creta, precipitosamente, dopo che Teseo ha ucciso il Minotauro ed è stato capace di uscire dal labirinto con l’aiuto del famoso “filo d’Arianna” (Figg. 5-6), con i fanciulli salvati. 19 Monteverdi - Rinuccini Figg. 4-5 - Una rappresentazione del Labirinto di Cnosso; Teseo e il Minotauro, Jones Burne Fig. 6 - Arianna e il labirinto, Andrea Mattiussi 20 Arianna Evidentemente i due innamorati, felici di avere interrotto per sempre questa atroce strage degli innocenti, avevano iniziato la rapida traversata che li doveva sbarcare ovviamente ad Atene. Il mare cattivo impone alle navi una sosta nel piccolo “porto” di Nasso, non si sa se per volontà o no degli Dei. Il programma era quello di passare una notte di riposo (specialmente per Arianna) e proseguire l’indomani per l’arrivo trionfale ad Atene di giorno. Arianna prima di ritirarsi in un rifugio d’emergenza, assistita da Dorilla, occupa un bel po’ della prima parte a farsi promesse e gesti amorosi con Teseo, scambiando giuramenti di eterni legami. La mattina dopo, all’alba, non trova più l’amato Teseo ma intravede le navi che lasciano il porto. Arianna resta sola, allibita, oltraggiata e piangente. A questo punto Monteverdi e Rinuccini sfoderano un’aria da soprano lirico, dolce e accorata, che resta una delle più belle che siano mai state scritte per un personaggio femminile in una occasione del genere: “… Lasciatemi morire,/ Lasciatemi morire;/ E che volete voi che mi conforte/ In così cruda sorte/ In così gran martire?/ Lasciatemi morire…” (Fig. 7). La povera Arianna non si dà pace finché Venere (Afrodite) e Amore (Eros) non determinano l’unica cura possibile, e cioè un altro amore, ancora più fascinoso (quello del Dio Bacco) che come vedremo riuscirà a consolare l’afflitta. TESEO. Figlio di Egeo, Re di Atene, felice d’aver liberato la sua patria dal terribile sacrificio imposto per le fauci del Minotauro, è realmente innamorato d’Arianna. Teseo è un eroe greco, a metà fra storia e leggenda; forse è vissuto veramente, ed è succeduto a Egeo sul trono di Atene, ma questa storia di Arianna è evidentemente leggendaria. La leggenda lo vede come un guerriero attraente ed attratto nei riguardi di giovanissime donne dei ceti superiori. Ma perché abbandona l’amata Arianna a Nasso? 21 Monteverdi - Rinuccini Fig. 7 - Arianna, Guido Reni 1638-40 22 Arianna Il libretto di Rinuccini dà la colpa alla “ragion di stato”, in pratica ai ragionamenti, diremmo noi, machiavellici che gli fa il suo “Consigliero” politico durante i preparativi per la partenza da Nasso. Per farla breve, lo fa riflettere sul fatto che il suo glorioso rientro in Atene, come giustiziere del terribile Minotauro e vero salvatore della patria, che lo rafforza come delfino ideale per il trono, sarebbe offuscato dalla presenza della figlia dell’odiato Minosse. Anche qui si dà il caso del contrastato innamoramento di giovani appartenenti a comunità decisamente avverse. Ma in questa storia la “ragion di stato” ha la meglio. Dopo varie incertezze, e molti rimpianti e vari scrupoli che rintuzza a fatica, Teseo decide di partire senza voltarsi indietro, appena le navi sono state preparate, nelle ultime ore notturne. Sembra anche convinto dalle rassicurazioni che gli vengono prospettate sulla facilità che Arianna avrebbe certamente avuto per rientrare a Creta da Nasso. Teseo sarà stato un grande eroe, ma non troppo, se è vero che non se l’è sentita di affrontare un addio penoso con Arianna, decidendo di salpare subito (vorremmo dire per scappare subito) verso Atene. BACCO (Dioniso). Il suo arrivo nel porto di Nasso è strepitoso: “… Il porto ingombro già di mille antenne…”. Questo bellissimo figlio di Giove (per i greci Zeus) si presenta ad Arianna premuroso e comprensivo, già influenzato da Venere (Afrodite) e da suo figlio Amore (Eros), le cui frecce toccano anche Arianna: “… Tacque modesta e chinò a terra il ciglio,/ E d’un vago vermiglio,/ Più bel che rosa, colorì le gote.” Lo sviluppo di questa conclusione si conosce non proprio dai personaggi che la vivono ma dai racconti di un “Nunzio”, che come cantastorie recita cantando tali vicende consolatorie dal palcoscenico, fino all’uscita sulla scena dei nuovi innamorati. Quindi Bacco canta ad Arianna, di fronte al pubblico, nove versi per descriverle un avvenire di amore e di gioia, fra lucide stelle e ghirlande d’oro, a completamento dell’annunzio del pa- 23 Monteverdi - Rinuccini dre Giove, che direttamente dall’alto preannunzia l’accoglienza divina: “… Sovra le stelle e ‘l sole/ Seggio v’attende, o mia diletta prole”. Bacco parla e canta poco, ma è personaggio determinante perché salva Arianna da una depressione nera per avvolgerla con amore in gioia e grande festa, con il favore degli Dei (Fig. 8). Fig. 8 - Trionfo di Bacco e Arianna, Annibale Carracci 1597-1600 24 Arianna PERCEZIONI MELODRAMMATICHE E CURIOSITÀ Diciamo subito che l’Arianna di Monteverdi (Fig. 9), del 1608, dopo la favola d’Orfeo dello stesso autore, del 1607, è una delle prime opere liriche che siano mai state scritte, e per me bella e importante. Sono confortato in questo giudizio dal fatto che fu destinata ad un grande evento, di valore storico e politico: le nozze del principe Francesco Gonzaga con Margherita di Savoia; che per i festeggiamenti di questa occasione, dove primeggiava la messa in scena dell’Arianna, risulta che fu costruito apposta un grandissimo teatro, forse di legno (poi distrutto); e che ebbe un successo tributato da un pubblico, per allora oceanico di spettatori, fra cui un “corteo” di principi, di aristocratici e di gentiluomini convenuti da tutt’Italia, e anche dall’estero (Figg. 11-13). Qualche noto commentatore ha scritto 4000, qualche altro 6000 persone; infatti risulta che il teatro avesse questa capacità, e che fosse esaurito. (È da sottolineare il fatto che il soprano, destinato e ben preparato al grande avvenimento, morì due mesi e mezzo prima della messa in scena, come diremo dopo, e che Monteverdi riuscì in così breve tempo a istruire con successo la sostituta, cantante-attrice V. Andreini, detta “La Florinda”, trovata appena in tempo dalla Duchessa Eleonora). Cosa unica per quel tempo, si dice che il tema del famoso Lamento di Arianna era poi canticchiato anche per la strada. Lo stesso Monteverdi ne era così entusiasta che lo trascrisse quasi tutto in forma polifonica (1614), come madrigale a cinque voci, per piccolo coro o complesso solistico da camera; successivamente in forma monodica (1623), con una strofa in più, per soprano solo e accompagnamento di basso continuo (solitamente: clavicembalo e viola da gamba) (Fig. 10); e infine nel 1641 pubblicò nella “Selva Morale” il Pianto della Madonna, splendido travestimento spirituale sopra il Lamento d’Arianna, con identica musica. 25 Monteverdi - Rinuccini Figg. 9-10 - Claudio Monteverdi; Frontespizio del Lamento D’Arianna, 1623 Questa è stata una fortuna, perché queste trascrizioni originali ed il “Libretto” del Rinuccini sono arrivate fino a noi, mentre la partitura della musica dell’intera Opera è andata dispersa. Pare che Monteverdi ne avesse fatte tre copie, introvabili. (Ma non si sa mai). Sull’origine del melodramma esiste una bibliografia enorme, io mi azzarderò a riprendere qualche notizia per una piccola sintesi che spero utile ma che non potrà essere esauriente. Tornando all’Arianna, qualche curiosità viene subito in mente: che fine fa Teseo, e perché gli Dei si sono occupati tanto di Arianna? Un’altra domanda può essere questa: perché Monteverdi e il suo committente, il Duca di Mantova Vincenzo Gonzaga, per festeggiare un matrimonio hanno scelto proprio di mettere in musica il mito d’Arianna? Di Teseo sappiamo poco, ma due notizie sono diversamente curiose: seguendo la sua forte inclinazione verso le fanciulle adolescenti, sembra che, dopo il suo rientro ad Atene, non si 26 Arianna può sapere quanto dopo, abbia rapito nientepopodimeno che la famosissima e sfolgorante di bellezza Elena, dodicenne, nata dall’uovo di Leda, sorella di Castore e Polluce, prima che andasse sposa a Menelao, a Sparta. La seconda notizia riguarda il coronamento delle ambizioni politiche di Teseo, cioè la sua salita al trono di Atene, dopo che il padre Egeo concluse tragicamente la sua vita terrena gettandosi nel mare, che prese appunto il nome di “Mar Egeo”. Questa appare come un’altra grave pecca di Teseo, che aveva pattuito col padre che le sue navi sarebbero tornate ad Atene con le vele spiegate bianche, in caso di piena vittoria sul Minotauro, o invece con le vele nere se fosse stato sconfitto e ucciso. Teseo si scordò di cambiare le vele nere, sicché il Re padre, disperato per l’insuccesso e la perdita del figlio, si uccise. Perché tanti Dei intorno ad Arianna? (Apollo, che intona il prologo dell’Opera; Venere ed Amore, che, prevedendo il suo abbandono a Nasso, operano per favorire una sua sovrumana salvezza, adeguata ad una fanciulla angelica benvoluta da Giove; Bacco, che la circonda di un fervido amore, in un tripudio di canti e di feste, e che la sposerà; Giove stesso che l’accoglierà come Dea, sposa di suo figlio Bacco). È evidente la convinzione del poeta Rinuccini di sfruttare il mito d’Arianna per esaltare la netta differenza che corre fra l’amore avventuroso e debole di Teseo e quello vero di Arianna, capace di desiderare la morte per la sua perdita, e destinata a meritare il favore degli Dei, ed uno sposo come Dioniso. Con ciò si risponde al terzo quesito: il Duca Vincenzo Gonzaga con l’opera di Monteverdi voleva simbolicamente avvicinare il principe Francesco al divino Bacco, e Margherita alla deliziosa e pura Arianna. Insomma, il Duca metteva in scena un’opera in musica che fosse augurale per un matrimonio nel quadro di feste propiziatorie, dove l’esaltazione dell’amore e del matrimonio come gioia dei sentimenti e prolifica per la discendenza, nel favore degli dei, valeva di più dei soliti auguri convenevoli. 27 Monteverdi - Rinuccini Figg. 11-12 - Francesco IV Gonzaga e Margherita di Savoia Fig. 13 - Il matrimonio di Margherita di Savoia con Francesco IV Gonzaga duca di Mantova, 1608 28 Arianna Bacco ed Arianna sono stati presi a simbolo di giovinezza e di amore gioioso anche prima di Monteverdi e Rinuccini; viene a mente la famosa Canzona di Bacco, del 1490, del fiorentino Lorenzo de’ Medici, il Magnifico: “Quanto è bella giovinezza/ … Questi è Bacco e questa è Arianna,/ Belli, e l’un dell’altro ardenti:/ Perché ‘l tempo fugge e’nganna,/ Sempre insieme stan contenti, …”. Tornando ai preparativi per la grande festa, e per l’evento teatrale, non si può trascurare cosa hanno voluto dire la morte e la sostituzione del soprano, destinata da tempo per la parte di Arianna. La preparazione dell’Arianna da parte di Monteverdi s’intreccia con quella di una sua allieva di canto, Caterina Martinelli, detta la “Romanina”, dotata di una voce di soprano eccezionale e di capacità musicali notevolissime. Caterinuccia era arrivata a tredici anni da Roma nel 1603, per intervento di un cantore della Cappella Sistina, “agente per cercar musici”, a servizio dei Gonzaga. Per cinque anni fu ospitata e istruita da Monteverdi, espressamente incaricato dal Duca Vincenzo. A diciott’anni la Romanina era stimatissima dal suo grande maestro appena quarantenne, ed amatissima dal Duca che ne aveva poco più di quarantacinque. Come cantante già pronta, Caterinuccia fu molto applaudita nella favola musicale Dafne di Marco da Galliano, nel Gennaio 1608, poco prima della messa in scena dell’Arianna, prevista per il maggio dello stesso anno, per la quale fu preparata con crescente entusiasmo dal maestro, e dal Duca, che la stimava e l’amava sempre di più. L’importanza di questa nuova partecipazione era accresciuta dal rilievo che veniva dato all’Opera di Monteverdi nel quadro dei festeggiamenti per il matrimonio imminente del principe Francesco che dovevano essere (e che furono) stupefacenti a livello europeo, per più ragioni. Le prove andavano benissimo, quando la bella Caterinuccia si ammalò gravemente di vaiolo. Fu tentato di tutto per salvarla, ma lei morì nel Marzo del 1608, lasciando nella disperazione Monteverdi, e nel più grande dolore il Duca che non se ne dava pace. Il valore della giovane cantante defunta e 29 Monteverdi - Rinuccini l’affetto da cui era circondata si capisce leggendo l’iscrizione (in latino) che fu posta sulla sua tomba: GUARDA. LEGGI. PIANGI. Caterina Martinelli romana, che per la modulazione e flessuosità della voce superava facilmente il canto delle Sirene e le melodie dei mondi celesti, per tale eccelsa virtù, per la soavità dei modi, per la forma, per la grazia e per la bellezza cara al Serenissimo Vincenzo Duca di Mantova sopra ogni altra, strappata da una morte prematura, giace in eterno in questa tomba, per volere del beneficentissimo Principe, ancora affranto dall’imprevedibile lutto. Morì nel diciottesimo anno, ancora adolescente, il 9 Marzo. IL SUO NOME VIVA NEL MONDO, LA SUA ANIMA IN DIO. 1608. PRIMA COMMEDIA IN MUSICA PER GRANDE TEATRO. COME NASCE IL MELODRAMMA L’Arianna inizia la rassegna di questo libro perché è uno, e forse il più bello, dei primi melodrammi che siano stati composti in Europa. Non è qui il caso di documentare la storia dell’origine dell’Opera Lirica, mi limiterò a poche notizie, tralasciando riferimenti a composizioni e ad autori, salvo per alcuni essenziali all’argomento. È inutile dire che, negli scopi del libro e nella descrizione dell’Arianna, queste poche righe non sono indispensabili, e possono essere sorvolate. Melodramma è una parola composta, che definisce bene la nuova arte musicale dell’ inizio del ’600. Il secolo precedente era dominato dalla polifonia, cioè una musica inizialmente solo vocale, realizzata con più voci di altezza diversa, che intonavano contemporaneamente motivi musicali diversi, tutti nella stessa tonalità, seguendo regole comunemente accettate da compositori ed esecutori. In linguaggio moderno si può dire che la prima polifonia vocale “classica” era sviluppata su quattro voci (parti): Soprano, Contralto, Tenore e Basso. Ognuna di queste parti poteva essere eseguita da un solo cantore (solisti 30 Arianna da camera) o da più cantori (coro). Ognuna delle parti eseguiva una melodia diversa, di pari validità, tutte cantabili anche da sole, ma se eseguite tutte insieme producevano armonie e ritmi bellissimi. Questa pratica era diffusa sia nella musica sacra, Mottetti e Messe, sia in quella profana in tante varianti, colte e popolari, dove dominava il Madrigale, cioè una poesia di contenuto generalmente amoroso, costituita di versi endecasillabi e settenari, cantata nella prima metà del ‘500 a quattro voci. Più tardi i Madrigali furono composti aumentando il numero delle parti, suddividendo le voci dei soprani (S primi e secondi) o dei Tenori, o dei Bassi, in vario modo; senz’altro i più riusciti furono quelli a cinque voci. In Italia le produzioni polifoniche più valide erano di cultura romana, toscana e veneta. A Roma prevaleva la polifonia sacra, per ovvie ragioni, con la proibizione dell’uso di inserimenti strumentali, considerati popolari, impuri, più vicini al Diavolo che a Dio. Era accettato l’Organo che si dimostrava prezioso per esigenze liturgiche. Nelle altre sedi divenne sempre più in uso sostituire una o più voci della polifonia vocale con uno o più strumenti musicali, essenzialmente a corda o a fiato. Da questa prassi sorse la polifonia strumentale. È giusto ricordare che in San Marco a Venezia esistevano anche allora due organi non vicini fra loro che favorirono lo sviluppo di composizioni complesse, a doppio coro, con splendidi riflessi sulla polifonia strumentale. (Gli esperti mi scuseranno se azzardo un’interpretazione, e forse non proprio originale, a favore della scuola musicale veneta della seconda metà del ‘500 e dei primi del ‘600, dicendo che da qui nasce l’Orchestra da Camera italiana con liuti, fiati, viole da gamba e clavicembalo, che poi, con il violino e derivati, doveva arrivare alla grande orchestra, sviluppata e perfezionata specialmente nell’Europa centro-settentrionale, con il concerto grosso e la sinfonia). Il Madrigale tra i due secoli si arricchì dell’accompagnamento musicale (il cosiddetto basso continuo, specialmente viola da gamba e clavicembalo), dando luogo al bellissimo ma- 31 Monteverdi - Rinuccini drigale concertato, di cui fu maestro Claudio Monteverdi, guarda caso di scuola essenzialmente veneta. Fra il 1610 e il 1612, nel periodo più maturo della polifonia profana, Monteverdi compose la famosa Sestina, a cinque voci, costituita di sei madrigali concatenati, su testo poetico di S. Agnelli: Pianto di Pastore che sia morta la sua Ninfa. Il testo gli fu consegnato dal Duca Vincenzo per celebrare la “Romanina”, morta qualche anno prima, come già detto. Questo indubbio capolavoro fu stampato nel sesto libro dei madrigali di Monteverdi con il titolo: Lagrime d’Amante al Sepolcro dell’Amata. Intanto, questo è il periodo in cui la musica colta si espandeva, oltre le sale dell’alta aristocrazia, per estendersi ad un pubblico sempre più ampio. Non tutti erano attrezzati e preparati a partecipare in forma attiva o passiva ai raffinati passatempi musicali da “camera”. Dall’inizio del ‘600 si va rapidamente verso lo sviluppo del teatro musicale. (Dopo i teatri privati delle sedi reali, si arriva al primo teatro aperto al pubblico, nel 1637, che è il San Cassiano di Venezia). Riflettiamo anche sul fatto che in questi anni a cavallo tra i due secoli, i teatri di corte in tutta Europa ospitavano drammi (commedie e tragedie) in prosa e in poesia di livello notevolissimo (l’Amleto di Shakespeare è del 1600). Non è strano che anche i polifonisti aspirassero a comporre e produrre commedie polifoniche. Orazio Vecchi, modenese, con la sua Comedia Harmonica, Amfiparnaso, del 1594, e Adriano Banchieri, bolognese, con la Pazzia Senile del 1598, ed altre commedie madrigalesche, tentarono la via di un teatro musicale polifonico, che si esaurì sul nascere per la difficoltà del pubblico a seguire facilmente le vicende e addirittura a capire le parole nelle combinazioni complesse di armonia e contrappunto. La vera nascita del nuovo melodramma da teatro si deve a Firenze, grazie alle geniali intuizioni di un gruppo di musicisti, filosofi e letterati raccolti presso le facoltose famiglie dei Bardi, e poi dei Corsi, alla fine del ’500. Si chiamò Camerata Fiorentina, che, ispirata alla classicità greca del teatro con musica, propose 32 Arianna l’idea di rilanciare la monodia musicale atta a combinarsi con il parlato della recitazione: era il famoso Recitar cantando (le musiche greche scritte non esistevano, ma si sapeva che dovevano essere monodiche da chiare citazioni della letteratura greca, in accordo con le lunghe poesie che storicamente risultavano musicate). Anche i momenti conclusivi dell’azione scenica, secondo la Camerata, dovevano essere risolti sempre con melodie cantate da voce sola. Tutto scritto su due soli righi musicali: la voce e l’accompagnamento del basso continuo strumentale (o basso cifrato, dove gli accordi armonici erano indicabili semplicemente con un numero). Per essere sintetici al massimo, si può dire che il “recitar cantando” ha dato luogo al Recitativo, e la melodia per voce sola sarà l’Aria chiusa, con tutte le sue varianti (romanza, cabaletta, cavatina, etc.). Questa era la reazione alla polifonia dominante. I cori saranno meno utilizzati, ma non eliminati. Tralasciamo i primi tentativi delle Nuove Musiche del Caccini, membro della Camerata, che suscitarono un grande interesse, ma che erano ancora una via di mezzo. La prima favola completa in musica fu l’Euridice di Jacopo Peri, sempre della Camerata Fiorentina, che esordì a Palazzo Pitti in Firenze, per le nozze di Maria dei Medici con Enrico IV, nell’ottobre del 1600. Questo primo tentativo ebbe notevole successo e fu seguito da molte altre “favole drammatiche”, più o meno valide. Ci voleva il grande Monteverdi, con la sua esperienza “orchestrale” a far decollare il grande melodramma. Venne a Firenze, ben accolto dai membri della Camerata che frequentò e con i quali collaborò fruttuosamente, finché realizzò composizioni sempre con voci sole e con cori prevalentemente all’unisono, ma con strumentazioni molto più ricche del solo basso continuo, anche intercalate alle parti vocali, scritte su più righi musicali (da due a sette), in forma di Ritornelli, Danze e “Sinfonie” polistrumentali (Cravicembani, Contrabassi di viola, Viole da brazzo, Arpe doppie, Violini alla francese, Chitarroni, Organi di legno, Bassi da gamba, Tromboni, Cornetti, Flautino, Clarino, etc.). I cori erano prevalentemente omofoni, con imitazioni e polifonie li- 33 Monteverdi - Rinuccini mitate. Con il libretto di A. Striggio, Monteverdi mise in scena una Favola in musica: l’Orfeo, a Mantova, nel Palazzo Ducale, nel 1607. Enorme successo, raddoppiato poi nell’anno successivo, con l’Arianna, Tragedia in forma rappresentativa, su testo poetico di O. Rinuccini, in un grande Teatro Ducale, come già detto, appositamente costruito. È nata l’Opera Lirica. 34 Arianna ARIANNA. Selezione dal libretto di O. Rinuccini Da “Drammi per musica”, a cura di A. Della Corte - UTET 1966; e da “L’Opera, repertorio della lirica dal 1597”, Mondadori 1977. (Varianti e note di G. Guazzone) TRAGEDIA IN FORMA RAPPRESENTATIVA IN OTTO SCENE Personaggi (interlocutori) Prima rappresentazione, 28 Maggio 1608, Mantova Nuovo Teatro Ducale 1 APOLLO (che fa il prologo) VENERE AMORE Soprano Soprano Soprano ARIANNA TESEO CONSIGLIERO di Teseo MESSAGGERO CORO di Soldati di Teseo CORO di pescatori DORILLA, ospite di Teseo e d’Arianna NUNZIO primo NUNZIO secondo (Tirsi) BACCO CORO di soldati di Bacco GIOVE Settimia Caccini (?) „ „ Virginia Ramponi Andreini “Florinda” Soprano „ „ Tenore Antonio Brandi “il Brandino” Tenore Francesco Campagnolo Tenore „ „ Soprano Sabina Rossi Tenore Tenore Sante Orlandi Francesco Rasi Tenore Bassano Casola L’opera si svolge in otto Scene, con scenografia fissa sulla costa dell’isola di Nasso (Cicladi nell’Egeo). 35 Monteverdi - Rinuccini PROLOGO “Apollo fu quegli che, rappresentando il prologo, diede l’introduzione a così bella favola. Sedeva egli sopra una nuvola molto bella, che allo sparir della gran cortina che copriva il palco si vide su l’aria, piena di lucidissimo splendore, la qual calando a poco a poco abbasso (mentre dalla parte di dentro della scena s’udiva un dolce concerto di varii stormenti) se ’n giunse in breve spazio a terra, e lasciando Apollo su quella parte dello scoglio che confinava col mare, in un momento disparve. Onde egli, trovatosi in piedi sopra quel sasso alpestre, movendo con maestà il passo, si sporse alquanto innanzi, e, fermatosi al fine in vista degli spettatori, cominciò a cantare con voce molto soave i versi che seguono, accompagnando tuttavia il suo bel canto gli stormenti già detti”: Apollo Io, che nell’alto a mio voler governo La luminosa face e ‘l carro d’oro, […]2 Di cetra armato, e non di strali o d’arco, Donna,3 c’hai su ‘l bel Mincio e scettro e regno, Per dilettarti il cor, bramoso vegno […] Odi, Sposa real, come sospiri Tradita amante4 in solitaria riva: Forse avverrà che della scena argiva5 L’antico onor ne’ novi canti ammiri. “Poiché Apollo ebbe dato fine al suo bel canto, partì di scena, e nell’istesso tempo si vide comparir Venere bellissima col figlio Amore (Eros), i quali diedero principio alla favola in questa maniera”: 36 Note a margine 1. vedi pag. precedente. (Testimonianza di un contemporaneo, storiografo di corte: Don Federico Follino “Compendio delle sontuose feste fatte l’anno MDCVIII nella città di Mantova…”) 2. (Apollo si dilunga nella presentazione di se stesso e dei suoi scopi pacifici) 3. donna: (si rivolge all’ospite più importante, a Margherita di Savoia, la sposa del Principe Francesco Gonzaga. Il Mincio è il fiume di Mantova) 4. Arianna 5. greca Arianna SCENA PRIMA Venere, Amore. Venere Non senz’alto consiglio6 Sovra quest’erma riva Dal ciel t’ho scorto, o mio diletto figlio. Amore Che brami, o madre, o Diva? Chiedi che l’arco io tenda Contro alcun Dio del cielo o pur de l’onde?7 O vuoi ch’alcun mortal per te s’accenda? 8 Venere Non chieggo, no, ch’alcun per me sospiri O celeste o mortale: Odi quel ch’io desirî, Bel pargoletto, odi il voler di Giove,9 E la face immortale E l’arco appresta a glorïose prove. Amore Soverchio è, bella madre, ogn’altro impero, Ove dolce lusinghi e dolce preghi; Ecco pronto al tuo dir l’arco e l’arciero. Venere Non chiuderà ne l’onde Febo il carro immortal de l’aurea luce,10 Figlio, ch’in queste sponde L’àncore fermerà l’inclito duce11 Che da l’orror del cieco laberinto Trasse l’invitte piante, Lasciato il mostro rio su l’erba estinto. 6. quello di Giove 7. del mare. 8. s’innamori di te 9. Giove: (fin dall’inizio si fa sapere che Giove prevede e segue tutto ciò che capiterà ad Arianna, sottintendendo una chiara benevolenza). 10. prima che il sole tramonti sul mare 11. Teseo, uscito vincitore dal Labirinto, lascia il Minotauro morto sull’erba. 37 Monteverdi - Rinuccini Amore Qual destin, qual vaghezza Teseo qui tragge, o qual di gloria spene?12 Venere Vago13 di riveder l’inclita Atene, Trionfator giocondo, Con cento legni14 e cento Solca l’umido suol del mar profondo. Seco è del Re dolente15 La fuggitiva figlia, Che di gran foco accesa (o d’amoroso cor gentil pietate!) Reselo vincitor ne l’alta impresa.16 Amore Tutto m’è noto, e tutto Opra è del mio valor quanto a dir prendi.17 Venere Or sappi figlio, e di pietà t’accendi, Che la real donzella Priva d’ogni speranza Qui lascerà dolente; Sì ne l’altera mente Desio di mortal fasto avrà possanza18 Quanti sospiri, oh quanti Quest’aere e questo cielo Udrà querele e pianti!19 Oh di che strid’amare Oggi risoneran gli scogli e ’l mare! 38 12. quale speranza di gloria. 13. voglioso, desideroso. 14. navi. 15 Minosse, dolente per la fuga della figlia Arianna e per l’uccisione del Minotauro. 16. Arianna, rese vincitore Teseo, anche col “filo”. 17. quello che ti prepari a dire è opera mia. 18. tale è il potere della “ragion di stato”. 19. la disperazione d’Arianna abbandonata. (Il colloquio di Venere ed Amore ha due scopi: anticipare agli spettatori il tema iniziale della tragedia, e far sapere che gli Dei hanno a cuore la povera Arianna). Arianna Amore Non fian senza ragion lagrim’ e strida Se in così fero inganno Traboccar deve alma innocente e fida. Venere Ma di’, speranza mia, dimmelo, Amore, Lascerai tu languire, Lascerai tu morire20 Anima sì gentil, sì fido core?21 Chiuderan questi scogli e queste arene Tenera verginella, De l’alto impero tuo devota ancella? Amore […]22 Venere Vedilo, Amor, che verso noi se’n viene D’ostro lucente e d’oro; Vedi la bella sposa,23 Che sul robusto braccio egli sostiene: Oh con quanto decoro Move il leggiadro piè, bella e pensosa! Amore O di che bel seren quel ciglio splende! Già già di sua sventura E disdegno e pietà nel cor mi scende. Venere Tu dunque di bearla, Amor, procura; Io nel mar tratterrommi, o qui d’intorno. 20. (questo verso anticipa il famoso “lamento d’Arianna”: “Lasciatemi morire…”). 21. un cuore così fedele 22. (si sorvola parte del lungo colloquio “recitativo” fra Venere ed Amore che deprecano il prossimo tradimento di Teseo, con il vile abbandono, e preannunziano l’arrivo salvifico di Bacco. Venere istruisce il figlio, Amore, affinché con le sue frecce induca Bacco e Arianna ad un nuovo innamoramento, che faccia dimenticare il precedente. Poi annunziano l’arrivo da Creta a Nasso, in tempo reale, delle navi di T. e A.). 23. Arianna. 39 Monteverdi - Rinuccini Amore Et io, per trarr’a a fin la bella impresa, Invisibil tra lor farò soggiorno. SCENA SECONDA Teseo, Arianna, Consigliero, e Coro di Soldati (e di Pescatori) Coro […]24 Teseo Assai sofferto abbiam turbi e procelle: Tempo è di ricovrar, guerrieri eletti, Sott’i paterni tetti, Tra feste e pompe gloriose e belle. Consigliero Langue mortal virtù se non ha posa25 Dopo i forti sudori, E, se non cinge il crin d’edre26 e d’allori, Le vittorie disprezza alma sdegnosa. Teseo Itene al porto, voi; de’ curvi abeti Sia vostro il pondo27 e de l’armate genti; Io, finché l’ombre algenti Fuggano al saettar de’ lampi d’oro,28 Con la diletta sposa In terra prenderò posa e ristoro. Coro di Soldati Sian lieti, sian felici I dolci sonni, e più tranquilli ancora Déstivi29 in su’l mattin la bell’Aurora; Andamne al porto omai, venite, amici. 40 24. (si alternano Coro, Teseo e Cori di Soldati che esaltano l’impresa di Teseo a Creta e le feste che li attendono ad Atene). 25. riposo. 26. avvolge i capelli d’edera. 27. peso. 28. finché il sole scacci il freddo buio della notte. 29. vi svegli.