Settimana N° 11 (20-26 luglio 2009) DIFFERENZIARE COME E PERCHÈ. LO STATO DELL'ARTE A BOLOGNA Scritto da Lou Del Bello Solo dieci anni fa era considerata uno scomodo cambiamento delle abitudini domestiche e molte famiglie storcevano il naso di fronte alla necessità di ingombrare la cucina con due o tre bidoni diversi. Oggi, la raccolta differenziata si pratica quasi ovunque, dalle case agli uffici pubblici alle aziende grandi e piccole. Il recupero dei rifiuti, però, resta per molti un processo misterioso, di cui si ignorano i passaggi una volta chiuso il coperchio del cassonetto. Dove vengono portati i rifiuti separati? Come si lavorano? E soprattutto, siamo sicuri che tutto il pattume che abbiamo accuratamente separato in casa venga effettivamente recuperato? Per rispondere a queste domande bisogna innanzitutto pensare che i rifiuti differenziati si valutano in base non solo alla quantità, ma anche alla qualità, cioè all'omogeneità dei materiali presenti che consente di ottimizzare il recupero. Inoltre, bisogna esaminare il problema da un punto di vista territoriale, perché il buon esito del lavoro che porta a nuova vita quanto gettiamo via dipende in buona parte da come viene organizzata la raccolta in una particolare zona. Per esempio, nei piccoli centri si possono raccogliere i sacchi della spazzatura a domicilio, ma questo sistema non è adeguato per città più grandi e trafficate, con un'alta densità abitativa. Le amministrazioni locali devono perciò organizzarsi in base alle esigenze specifiche di ogni zona, con criteri particolari anche per le aree industriali. La raccolta viene affidata ad aziende competenti, le quali poi distribuiscono i materiali a consorzi specializzati nel recupero. Anci (Associazione Nazionale Comuni Italiani) e Conai (Consorzio Nazionale Imballaggi) stipulano un accordo che prevede un corrispettivo economico per i materiali differenziati (calcolato in base alla quantità e alla qualità) che si traduce poi nella riduzione della tassa sui rifiuti per i cittadini. Quindi differenziare non fa solo bene all'ambiente, ma anche al portafoglio. A Bologna, l'azienda più grande che si occupa della raccolta differenziata è Hera, a cui ci siamo rivolti per ricostruire il percorso dei rifiuti dal secchio di casa nostra fino alla produzione di nuovi beni con materiali riciclati. “L'obiettivo della raccolta differenziata – spiega infatti l'ingegner Emidio Castelli, responsabile ambiente di Hera Bologna – è avviare a recupero i materiali e la prima condizione di successo è il comportamento dei cittadini. Differenziare, ancor prima che un servizio pubblico, è una questione che concerne la routine domestica di ogni famiglia, per questo è importante una corretta informazione in merito”. C'è sempre una percentuale “fisiologica” di scarto tra i rifiuti raccolti e quelli recuperati, che dipende in massima parte da come le persone dividono il pattume a casa. Per la carta, il vetro e l'organico questa percentuale è molto bassa, va dal 4% al 7%. Sorprendentemente, il ciclo della plastica presenta invece un divario molto maggiore, intorno al 20%. Come mai, visto che la plastica è uno dei materiali più semplici da differenziare? “Si tratta di un problema economico e normativo – spiega Castelli: le aziende che versano un contributo per il riciclaggio sono solo quelle che producono imballaggi in plastica, quindi Conai riconosce come rifiuto economicamente utile da recuperare solo la plastica usata come involucro”. Per intenderci, la bottiglia va bene, un piatto o un bicchiere no. Paradossale, soprattutto se si pensa che la plastica di un piatto, un bicchiere o di un giocattolo non presenta problemi di trattamento e si ricicla esattamente allo stesso modo. “Il problema in effetti è tutto burocratico e si potrebbe facilmente risolvere chiedendo contributi economici non basati sulla funzione di quanto si produce, in questo caso imballaggi, ma sulla materia prima, cioè la plastica, in qualsiasi modo venga impiegata”. Ma per ridurre gli sprechi e massimizzare il recupero è anche importante la modalità di raccolta. A Bologna, fino a un anno fa si praticava la raccolta multimateriale di plastica carta e lattine insieme, con uno spreco che si aggirava attorno al 45% di quanto veniva differenziato. “Innanzitutto le persone finivano per gettare materiali sbagliati perché facevano confusione – ricorda Castelli – e inoltre l'insieme era più soggetto a contaminazione, per esempio quando il liquido di un lattina impregnava la carta. Infine, un materiale misto era più difficile da lavorare e selezionare. Per questo Hera ha intrapreso l'esperimento della raccolta monomateriale, da cui ci aspettiamo non tanto un aumento dei rifiuti raccolti quanto della loro qualità. Per incentivare l'abitudine a gettare solo materiali di un certo tipo nel contenitore giusto, abbiamo sagomato le feritoie dei cassonetti per la carta e il vetro. La chiave che bisogna usare per aprire il bidone dell'umido ha la stessa funzione, anche se rende la procedura un po' più scomoda per i cittadini”. La filiera del riciclaggio è una risorsa sia ambientale ed economica che va gestita di pari passo con lo sviluppo dei centri abitati. Nel caso particolare dell'area urbana Bolognese, Hera procede con tre macro progetti: “Innanzitutto stiamo cominciando a ragionare per aree omogenee, gestendo insieme le zone che presentano le stesse caratteristiche urbanistiche. Per esempio, nell'area di Monte San Pietro, Crespellano, Sasso Marconi e Monteveglio abbiamo attivato un sistema di raccolta porta a porta integrale, adatto alla bassa densità di questi centri”. Gli altri due progetti riguardano il sistema di gestione dei rifiuti (SGR) rispettivamente per la cintura urbana bolognese e per la sola città di Bologna: “Per quanto riguarda la cintura bolognese, di cui copriamo sette comuni su nove, abbiamo previsto un sistema integrato, che potenzierà le stazioni ecologiche e la raccolta domiciliare mirata. Anche su Bologna città stiamo cambiando le cose: il passaggio dalla raccolta multimateriale alla monomateriale è oggi attivo a Borgo Panigale e nei quartieri Navile, San Donato e Savena. Stiamo studiando poi sistemi di raccolta domiciliare nelle zone industriali (come le Roveri) e di ritiro degli imballaggi in carta e cartone nel centro storico, dove ci sono molti negozi”. La qualità della raccolta differenziata va dunque migliorando, ma lo stesso non si può dire per la quantità. Mentre la Regione è riuscita in questi anni a stare al passo con l'obiettivo previsto dalla norma nazionali, il 40% di rifiuti raccolti in modo differenziato entro il 2007, a Bologna la meta sembra ancora distante: nel 2007, la percentuale è stata solo del 28,7. Come si arriverà al traguardo del 2012, quando per legge si dovrebbe raggiungere il 65% di differenziata? La raccolta cresce, ma ancora troppo lentamente. Probabilmente oltre all'organizzazione di servizi più efficienti, la chiave sarà una maggiore attenzione da parte dei cittadini. REGGIO EMILIA DIFFERENZIA: UN SEMPIO DA SEGUIRE Scritto da Alessandro Kostis Gli ottimi risultati in termini di gestione dei rifiuti riportati dalla provincia di Reggio Emilia sono stati evidenziati dal rapporto “comuni ricicloni” di Legambiente. Nel 2008 si sono distinti nella raccolta differenziata di carta i comuni di Cavriago e Campegine con circa 170 kg di carta recuperata per abitante. Ma sono molti i comuni del territorio reggiano a essersi messi in mostra per l'efficienza nella raccolta differenziata: la provincia nel suo insieme è, secondo l'Osservatorio provinciale dei rifiuti, al di sopra della soglia del 50% con punte di oltre il 60% come nei comuni di Gattatico e Cavriago. Il comune di Reggio Emilia ha differenziato il 48% dei suoi rifiuti, anche a seguito della sperimentazione in alcune circoscrizioni della raccolta porta a porta che ha invero suscitato anche alcune polemiche tra alcuni dei cittadini interessati che si sono riuniti in un comitato cittadino per protestare contro i disservizi che si sono venuti a creare. Ora la sperimentazione si è allargata e si attua su tre circoscrizioni cittadine con buoni risultati. La gestione dei rifiuti a livello provinciale è affidata ad Enía spa, una multiutility nata dalla fusione della vecchia AGAC con le ex aziende municipalizzate di Parma e Piacenza. “La gestione dei rifiuti in provincia è pensata nell'ottica della flessibilità: ciò vuol dire che a pratiche tradizionali di raccolta si sono affiancati altri sistemi come quello porta a porta e quello di prossimità (rivolto soprattutto alle aziende ndr)”, ci spiega Arturo Bertoldi dell'ufficio stampa “un altro progetto che mira a implementare la raccolta differenziata è quello della capillarizzazione del servizio a contenitori stradali che stiamo attuando nei comuni di Scandiano, Castelnovo ne' Monti e Carpineti: solo a Scandiano sono previsti circa 600 contenitori aggiuntivi per la raccolta della plastica e del vetro”. L'obiettivo è quello di venire incontro alle diverse necessità del territorio e la flessibilità sembra uno dei metodi migliori per farlo. Ma non basta: per farlo Enía punta molto anche sulla diretta partecipazione dei cittadini che non può essere attivata senza una corretta informazione, anche casa per casa, per far conoscere e promuovere servizi e comportamenti. Anche a livello di amministrazione locale si sta facendo molto per migliorare la gestione dei rifiuti. Le tre parole d'ordine sono “Riduzione, recupero, riciclo”. Si tenta quindi anche di attuare politiche nel campo della produzione dei rifiuti che resta effettivamente in costante aumento. A tale scopo sono state attivate numerose campagne di sensibilizzazione rivolte sia ai cittadini per modificarne gli stili di vita incrementando ancora la raccolta differenziata e diminuendo la produzione di rifiuti urbani sia alle imprese per l'adozione di sistemi di gestione ambientale. In questa ottica è attivo dal 1996 su iniziativa del Comune di Reggio Emilia il progetto Remida che ha come finalità il riutilizzo creativo dei rifiuti. Un progetto sicuramente innovativo che prova a conciliare il mondo della cultura con la creazione di risorse a partire proprio dai rifiuti. Si tratta, nella pratica, di un grande emporio-magazzino al cui interno ci sono materiali raccolti da aziende della zona che sono a disposizione per scopi didattici e ricreativi. La valorizzazione di prodotti imperfetti o materiali di scarto rivela nuovi orizzonti e libera la strada per un ripensamento del rapporto uomo-risorse nel rispetto dell'ambiente. L'iniziativa ha raccolto numerose adesioni, tant'è che è stata replicata perfino al di fuori dei confini nazionali. Ogni anno, inoltre, ha luogo il remida day, una giornata in cui arte e rifiuto si incontrano e gettano nuova luce su angoli della città. Una “fiera dell'usato domestico” in cui può trovare spazio ciò che di solito non ne ha mai abbastanza: il rifiuto. Reggio Emilia, in sostanza, si conferma come uno dei territori in cui si è potuto verificare dal vivo come una corretta informazione porti ad una partecipazione attiva dei cittadini e conseguentemente a dei buoni risultati in materia dei gestione dei rifiuti. INTERVISTA A FRANCO GABELLINI, RESPONSABILE AMBIENTE DI HERA FORLÌ-CESENA Scritto da Giulia Biguzzi L'esperimento del porta a porta e le stazioni ecologiche Dove si utilizza la raccolta porta a porta in questa provincia? Come sta andando? Parlando delle utenze domestiche, solo nel comune di Forlì, a Forlimpopoli. C'è stata una forte sensibilizzazione da parte del comune. C'è quindi un collegamento con la tariffa dei rifiuti? Ancora no. C'è stata una forte campagna di comunicazione da parte del Comune. È chiaro che ogni sistema ha i suoi pro e contro, a seconda del territorio in cui si opera e dei costi di gestione. Ci sono molti parametri di cui tenere conto: le caratteristiche del territorio, il tipo di rifiuto prodotto, la distanza dal centro di smaltimento, le abitudini dei cittadini...Occorre fare una valutazione a tutto campo. Personalmente credo che i sistemi di raccolta siano degli strumenti, il vero problema sta nella mentalità delle persone, nella percezione che i comportamenti individuali condizionano l'ambiente. Starà poi alle amministrazioni scegliere lo strumento che ritengono più adeguato. Riceviamo delle lamentele, ad esempio sul porta a porta, per il fatto che per la raccolta indifferenziata passiamo a raccogliere solo una volta a settimana (ad esempio per chi ha bambini piccoli e ne deve smaltire i pannolini). La comunicazione è importantissima. Abbiamo due quartieri pilota dove si sta effettuando il porta a porta qui in provincia,coinvolgendo nella comunicazione gli organismi di quartiere, di ritorno abbiamo agito sui cittadini, recependo le richieste che provenivano da loro,come il tipo di contenitore preferito, e cercando di far recepire il fatto che anche da parte nostra c'è stata più attenzione. E abbiamo avuto dei riscontri positivi in questo senso. Per quanto riguarda le utenze non domestiche? Da tempo abbiamo consolidato sul territorio di Forlì - Cesena dei servizi, per la ristorazione, per i Bar,(per il vetro e l'organico), o per gli uffici e le scuole (per la carta), di ritiro porta a porta. Per le zone artigianali abbiamo pensato invece a dei servizi dedicati. Vengono prodotte grandi quantità di rifiuto, c'è quindi bisogno di contenitori più grandi riservati a loro. Abbiamo sperimentato delle raccolte multimateriale, in accordo con gli artigiani. Si raccoglie in un unico contenitore la gamma di rifiuti da lui maggiormente prodotta, in modo da poterle smaltire noi in un secondo momento. Abbiamo fatto una campagna diretta rivolta direttamente alle singole aziende. Si tratta di una raccolta che favorisce chi ha poco tempo per smaltire il rifiuto. Non si tratta di un aumento di costi per voi? Sicuramente, ma ci permette comunque di smaltire questi materiali con un ritorno economico, non ci occupa spazio in discarica. È comunque una raccolta differenziata,potendo recuperare il 60-70% del materiale raccolto. Comunque per le utenze non domestiche il porta a porta è diffuso moltissimo, perché associamo all' utenza- bar ufficio o scuola che sia- un loro proprio contenitore. Rimangono comunque anche i contenitori stradali per l'indifferenziata nel caso li si trovino più comodi. Avendo associato all'utenza non domestica certi precisi contenitori, nel caso si riscontrino degli errori nella raccolta lo si comunica? Noi abbiamo un servizio ispettivo che non ha la possibilità di fare multe, però possono richiamare l'attenzione. Sono detti Controllori di Qualità, ed hanno il duplice scopo di controllare la qualità della differenziazione del rifiuto dell'utente, e la qualità della raccolta da parte nostra e dei servizi di organismi “terzi” che rendono però conto sempre ad Hera. Si controlla la gestione del nostro servizio e le abitudini del cittadino. L'ispettore si fa carico di ricercare chi ha adottato comportamenti scorretti, e andare a comunicare quali soluzioni sarebbero da adottare. Di quanti ispettori si tratta? Variano tra estate ed inverno, si va dai due ai quattro ispettori. Si cerca anche di mantenere anche le stesse persone sul territorio in modo da instaurare una familiarità con l'utenza. Va anche sottolineato che nei territori montani non si hanno grandi problemi. C'è più sensibilità nelle piccole comunità, i problemi più grossi sono nelle aree dei capoluoghi, dove c'è meno attaccamento al territorio. Come funzionano le stazioni ecologiche qui in provincia? Quando abbiamo avuto il compito di gestione delle stazioni ecologiche nel 2006, da parte di ATO (istituzione che detiene autorità regionale per i rifiuti), c'erano zone più coperte e zone meno coperte dalla distribuzione sul territorio delle stazioni. Abbiamo cercato di omogeneizzare la situazione. Abbiamo costruito stazioni nuove con un investimento di 20 mln di euro. Abbiamo adeguato e rimodernato le stazioni che ne avevano bisogno, ad esempio per la messa a norma degli scarichi idrici. Ne abbiamo inaugurata una di recente a S.Sofia, ne inaugureremo di nuove a Montiano e Longiano. Ogni stazione ci costa circa 300.000 €, per l'investimento in strutture adeguate di lavoro, di scarico ecc... abbiamo messo a punto un piano per costruire stazioni nei punti dove immaginiamo ci possa essere più affluenza. Nei punti dove non è giustificata la costruzione della stazione dalla bassa densità abitativa del territorio, ad es. Verghereto, abbiamo attrezzato una raccolta periodica da parte di un camion attrezzato che svolge le stesse funzioni della stazione. Ne abbiamo circa 22 fisse, più una mobile. Per il 2010 dovremmo completare il nostro piano. La raccolta differenziata per l'utenza privata in provincia Come funziona la raccolta differenziata in provincia di Forlì-Cesena? Per fare un quadro complessivo della situazione si può dire questo: nei comuni capoluogo di questa provincia, Cesena e Forlì, la raccolta è organizzata in maniera analoga, non ci sono grosse differenze tra un comune e l'altro. Si opera su due filoni: quello dell'utenza domestica (famiglie), e quello dell'utenza non domestica. Esistono due sistemi in questa provincia per il primo tipo di utenza: uno è quello utilizzato nelle zone residenziali, che noi abbiamo chiamato servizio di prossimità. Un servizio fatto con contenitori stradali pubblici, in cui il cittadino può comodamente portare i propri rifiuti. Comodamente perché per questo servizio c'è la possibilità di avere accanto ad ogni cassonetto “tradizionale” per la raccolta indifferenziata, una batteria di contenitori più piccoli per l'organico,per il vetro, e per la carta. Perché queste tre tipologie, perché compongono in maniera più considerevole la quantità recuperabile di rifiuto. Prevalentemente le quantità recuperabili su tutto il rifiuto prodotto sono date da carta e cartone ( circa 25%), dall'organico (30%),il vetro (8%) anche se il vetro è il tipo di rifiuto che la gente recupera meglio. Si tratta di un servizio capillare diffuso per il 70-80% per cento del territorio di Forlì e Cesena. Nelle zone urbanizzate infatti è possibile ritrovare questi bidoncini più piccoli accanto ai cassonetti tradizionali. Per il resto del territorio dove non c'è una concentrazione di persone, abbiamo un tipo di raccolta più adeguato alla zona. La raccolta viene fatta su contenitori grandi, più distanti, ma stiamo cercando di inserire anche in quelle zone delle batterie complete, in quelle zone non ci sono ancora tutti i contenitori. Vorremmo fare in modo che anche in quelle zone, quando si raggiunge un cassonetto, si possa trovare anche un contenitore per l'organico, la carta, il vetro, e la plastica. La plastica non c'è nei contenitori piccoli, ma anche nelle zone di prossimità stiamo cercando di inserire contenitori con questo tipo di raccolta, non con la frequenza degli altri tre. Questo perché dal punto di vista della raccolta la plastica è un materiale “maledetto”:pesa pochissimo, e per il suo trasporto si paga molto. Per il livello tariffario attuale verrebbe a costare troppo distribuire con la stessa capillarità anche la plastica. Perciò metteremo contenitori un po' più grandi, grandi circa il triplo degli altri bidoncini, in modo da costituire una mediazione tra la diffusione capillare del servizio di prossimità e quello delle altre zone. Ogni circa tre postazioni di prossimità si ritroverà il contenitore per la plastica. Quanti e quali sono gli errori più comuni che l'utenza domestica fa nella raccolta differenziata? Diciamo che la media sta migliorando. È difficile quantificare e poter dire in quanti si comportano male, ma ad esempio se all'inizio potevamo riscontrare che i contenitori rimanevano sempre sporchi,e spesso differenziati male, ora possiamo iniziare a notare un cambiamento. Nei centri di cernita vediamo che gli errori per la carta costituiscono circa un 5%. Per la plastica c'è forse un po' più di difficoltà per poterla differenziare bene, vediamo circa un 20-30% di scarto. Per il vetro non ci sono praticamente problemi, la parte più problematica è quella della plastica, che noi smistiamo assieme al metallo. Nella massa del rifiuto il metallo costituisce solo circa il 3%. Oltre a cercare di diffondere la raccolta della plastica, cerchiamo di diffondere altri modelli di raccolta. Nella zona marittima di Gatteo Mare e San Mauro Mare abbiamo fatto un esperimento: mettere le batterie complete di raccolta differenziata con la chiave. Chiave che viene distribuita alle famiglie che afferiscono quella zona di raccolta. Questo dà una forte responsabilizzazione, fa ricondurre quei contenitori solo a quelle famiglie, cercando di far capire che il risultato della raccolta differenziata è direttamente influenzato dai comportamenti del singolo. In quelle zone il risultato è stato più elevato rispetto alla media. Il metodo della chiave non rischia di essere un po' problematico, per chi, nelle zone di mare ad esempio, da non residente deve utilizzare quei contenitori? Abbiamo consegnato anche una serie di chiavi anche a chi affitta gli appartamenti, per cui anche le famiglie che arrivano solo per le vacanze trovano negli appartamenti le loro chiavi oltre ad un libretto di istruzioni. È chiaro che è più difficile catturare il turista mordi e fuggi,però abbiamo cercato di sensibilizzare molto anche gli operatori turistici, di modo da responsabilizzarli nel caso di problemi. Abbiamo un ufficio aperto presso il comune, pronto a dare informazioni nel caso di dubbi,c'è un rapporto molto diretto. Anche noi avevamo qualche dubbio sul fatto di mettere contenitori con la chiave in una zona di mare, non sapevamo come avrebbe reagito la gente, però facendo molta comunicazione, cercando di spiegare e facendo in modo che i cittadini si rendessero parte attiva nei confronti del turista, vediamo che le cose stanno andando bene. È un esperimento che abbiamo intenzione di esportare anche negli altri comuni, Gatteo e San Mauro sono stati i primi su richiesta delle amministrazioni locali che ne hanno fatto richiesta. L'utenza privata ad oggi riesce a differenziare bene l'organico? É uno dei materiali su cui si sta facendo ancora fatica. È un materiale che fa cattivo odore, può sgocciolare,ecc. Abbiamo fatto vari tentativi per questo tipo di raccolta:inizialmente abbiamo distribuito dei bidoncini piccoli da sette litri,sul tipo di quelli da vernice,da riempire senza nessun involucro, e da sciacquare una volta svuotati nel contenitore dell'organico. Questo dal punto di vista della raccolta sarebbe il sistema migliore, ma purtroppo ha avuto poco successo. Dobbiamo tenere conto delle esigenze che l'utente ha di trasporto dalla propria cucina al contenitore stradale. Successivamente abbiamo distribuito gratuitamente ai cittadini dei contenitori Mater Bi, in amido di mais biodegradabile, a livello promozionale perché questo materiale ha comunque dei costi. Vedendo che questo materiale non aveva molto successo una volta finita la distribuzione gratuita, a causa dei costi ancora piuttosto alti dei sacchetti, abbiamo cercato di portare i cittadini verso una raccolta dove il sacchetto di plastica usato fosse il più sottile possibile (ad esempio i quelli per la frutta e la verdura dei supermercati).. Ora cerchiamo di comunicare che i materiali migliori per la raccolta dell'organico sono o il Mater Bi o la carta, per la facile reperibilità di quest'ultima e perché i sacchetti di carta comunque sono soggetti a degradarsi insieme all'organico. Nei comuni dove ancora non c'è il contenitore dell'organico (circa una quindicina sui trenta della provincia) possiamo effettuare una distribuzione su richiesta degli utenti privati dei contenitori ad uso domestico, che una volta svuotati nei composter possono essere usati come fertilizzanti. É impressionante vedere quanto rapidamente il rifiuto organico si riduca di volume. Io personalmente lo uso da quindici anni. Ci sono dei materiali che possono compromettere la qualità del compost? Certo, il compost deve rispettare dei parametri. Faccio un esempio che può sembrare strano: gli inerti (sabbia o ghiaia) rendono non vendibile il compost. Anche se dal punto di vista ambientale non sono dannosi, la legge non ne consente l'omologazione come compost vendibile. Ho fatto l'esempio meno pericoloso, ma come si vede il compost è un materiale molto delicato. Ancora l'utenza ha bisogno di capirlo bene. Non ci sono ancora comportamenti consolidati. QUEL RAMO DI TROPPO. INSOSPETTABILI SEGRETI DELL'ORGANICO Scritto da Biljana Prijic Che bisogna farla e farne più possibile è chiaro. Ma per fare bene la raccolta differenziata si devono creare condizioni positive e sinergie tra cittadini, amministrazione pubblica, multiutility coinvolte. E però ci sono anche scelte strategiche che i responsabili della gestione devono prendere e poi spiegarle a chi materialmente deve selezionare i rifiuti a casa propria e metterli nei diversi contenitori. Di Geovest abbiamo già parlato qui descrivendone le attività e la peculiare composizione societaria (11 Comuni tra le provincie di Bologna e Modena). Torniamo a parlarne perché è da poco partita una campagna informativa per cambiare modalità e qualità della raccolta differenziata dell'organico. Questa categoria di rifiuti si compone degli scarti alimentari e di cucina, che costituiscono una parte molto rilevante di quanto buttiamo via nelle nostre case. Bucce, torsoli, gusci d'uovo e scorze varie sono non recuperabili, ovviamente, ma sono trasformabili: se ne ricava un fertilizzante naturale, il compost, ottimo per l'agricoltura. Ed è qui che vengono le scelte. In teoria tutto ciò che è vegetale può essere considerato scarto organico, compresi gli scarti di potatura. Quello che non si sa, e che ha stupito un po' anche noi, è che ramaglie e foglie in quantità abbassano il livello qualitativo del compost che si ricava. E siccome la raccolta dell'organico viene finanziata anche tramite la vendita del compost ottenuto, se è di cattiva qualità bisogna venderlo a un prezzo inferiore e la raccolta perde una preziosa fonte di finanziamento. Di qui la nuova campagna informativa "Le potature non stanno più qui", con cartelli informativi posizionati accanto ai cassonetti dell'organico. Il resto spetta ai cittadini, che devono fare un piccolo sforzo anche per ricordarsi che non tutto quel che è verde va bene per il compost. E gli scarti di potatura? Niente paura, non vanno certo nell'indifferenziata. Geovest li ritira a domicilio dopo una telefonata al numero verde. Questa è una piccola storia che però dice tanto sulla competenza tecnica che deve avere il soggetto che opera in questo settore (la potatura non vanno nell'organico, chi l'avrebbe detto?) e sulla necessità che le scelte gestionali relative siano prese in base ai dati tecnici e non agli umori del momento. Parallelamente diventa palese l'importanza di una chiara comunicazione ai cittadini, sia in termini di trasparenza della gestione che di convenienza economica e di sostenibilità del sistema di raccolta. Ci sono gap informativi inevitabili in una società complessa come la nostra, un rapporto limpido tra amministratori e cittadini-utenti è la conditio sine qua non per ridurre il gap e stare meglio tutti. PASSEGGIATE TRA VERDE E STORIA - IL PARCO DEL LOTO Scritto da Lorenza Pirazzoli Proseguendo l’esplorazione delle aree verdi della Bassa Romagna, incontriamo un luogo molto singolare: il Parco del Loto a Lugo di Romagna. La singolarità del sito è dettata sia dai suggestivi fiori di loto che danno appunto il nome al parco, sia dalla curiosa posizione nel quale è situato. 77.252 metri quadri di terreno e 16000 metri cubi di acqua a ridosso del centro storico di Lugo, un’isola verde fra le case e il traffico cittadino. Il parco inizialmente nacque come cava di argilla dell’ex fornace Croati ma, una volta scoperta la falda freatica, non fu più possibile utilizzarlo come cava. Il terreno venne così venduto alla famiglia Gallamini., la stessa famiglia delle buche di fiori di loto nei pressi di Fusignano, vicino al bosco e dove a breve verrà costruita una piccola centrale a biomasse. Una volta nelle mani dei Gallamini l’area fu destinata a scopi vivaistici e naturalistici con la coltivazione dei fiori di loto poi, una volta smessa l’attività, il terreno venne ceduto al comune di Lugo che ne è tutt’ora proprietario. Il Parco del Loto è situato a ridosso del Canale dei Mulini, canale costruito verso la fine del XIV secolo, per dare acqua ai mulini di Castel Blognese, punto dal quale si ramifica dal fiume Senio, arrivando fino ad Alfonsine. Fu successivamente prolungato verso Solarolo Bagnara e solo in seguito verso Lugo e Fusignano, creando un percorso suggestivo. È possibile percorrere i suoi argini in bicicletta, e in questo viaggio si possono vedere vecchi mulini, fiori di loto, insediamenti urbani e chiesette del settecento; un interessante itinerario che figura quasi come un viaggio nel tempo. Tappa suggestiva è il ponte delle lavandaie, luogo presso il quale durante i secoli scorsi le donne andavano a lavare i panni nelle apposite gradinate costruite alla base del ponte, un’altra “chicca” del paese di Lugo. Tornando all’interno del parco si nota che gli spazi lasciati incolti si sono spontaneamente e velocemente ricoperti di vegetazione. Da sottolineare è che, l’apparente incuria dettata dal mancato sfalcio, non deve essere vista negativamente ma come un ulteriore tentativo di lasciare la zona il più naturale possibile. Dopo la cessione dell’attività vivaistica della famiglia Gallamini, l’ambiente vegetale ha ricolonizzato l’area e con se ha riportato nella zona diverse specie di fauna che qui trovano il proprio habitat naturale. Si possono avvistare numerose testuggini, il riccio europeo, le più comuni specie di uccelli (dal pettirosso al merlo, alla cinciallegra) e non per ultimo l’airone cenerino. La presenza di questo uccello evidenzia le ottime caratteristiche del parco, sia per i caratteri climatici che per la vegetazione, inoltre nonostante la posizione nelle primissime vicinanze del centro cittadino, si nota il basso contenuto di inquinamento del parco. Per quanto riguarda la flora, la specie che caratterizza il sito è appunto il fiore di loto. Il periodo di massima fioritura è in estate, fra luglio e agosto. In questo periodo il paesaggio è decisamente suggestivo. Il fiore di loto è, soprattutto nelle culture orientali, simbolo della vita eterna, oltre ad essere una ricercata specie officinale. Nel periodo estivo ricopre la maggior parte della superficie dell’acqua con un doppio strato di foglie emergenti che rendono possibile, al disotto di queste, mantenere un microclima ideale per la fauna ittica. Oltre al fiore di loto sono state rilevate, ormai più di una decina di anni fa, duecentodue specie vegetali e si è creato un erbario ora consultabile da tutti in una delle serre dimesse, nella quale si è ricavato uno spazio espositivo. Altra caratteristica è un insediamento di bambù che è sorto nella sponda est del laghetto. Nel parco inoltre si trovano alberi autoctoni, come il pioppo e il platano, alcuni dei quali oggi hanno raggiunto dimensioni maestose. È possibile raggiungere e percorrere il parco sia a piedi che in bicicletta e per favorirne la fruizione sono state create aree apposite, munite di giochi, per i bambini. (Foto di Lorenza Pirazzoli) COLTURA E CULTURA BIOLOGICA: VERSO UNA MODERNIZZAZIONE A MISURA D'UOMO Scritto da Giulia Neri Il novecento nelle terre di Romagna passa attraverso la vita dei campi. Il secolo intero è stato terreno di mutamenti profondi e significativi, che hanno trasformato importanti figure sociali come quelle, dei braccianti e dei mezzadri. Queste trasformazioni hanno portato progressi e vittorie, ma anche sofferenze, e sacrifici. In particolare verso la metà del secolo in Romagna, la mezzadria subì un notevole aumento. I mezzadri erano famiglie, legate da un contratto di lavorazione a un podere, dotato di casa, stalla e servizi, sul quale avevano l’obbligo di risiedere. In cambio della terra i mezzadri dovevano vincolare tutta la famiglia al lavoro sul podere e corrispondere al proprietario denaro e alimenti, dividere a metà col padrone le spese di coltivazione e i raccolti. I braccianti invece erano coloro i quali erano proprietari soltanto della forza lavoro proveniente dalle loro braccia. Questi gruppi sociali, animati anche da altre importanti figure quali ad esempio garzoni agricoli, presero piena coscienza del proprio status e nel 1901 a Bologna, si costituirono come Federazione italiana lavoratori di terra. Il cambiamento più grande ci fu dopo la seconda guerra mondiale. Innovazioni tecnologiche che causarono diminuzione di manodopera, tramonto della mezzadria, cambiamenti nelle colture, portarono il numero della popolazione agricola da 8.6 milioni a 6.2 milioni tra il ’51 e il ’61 in Italia. Con il boom economico tutto un mondo di tradizioni si avviava al tramonto, e cambiava il rapporto tra agricoltura e cultura delle genti. Sono mutate le figure sociali, passando da contadini a produttori, è cambiato il senso della campagna, e il mito del produttivismo ha soppiantato il mondo poetico e stagionale delle terre del primo novecento. Nonostante questa feroce modernizzazione, o forse meglio, a causa di questa, negli ultimi decenni stiamo assistendo ad un processo inverso. La crisi dell’economia globale che ci ha investiti, ci sta spingendo a riscoprire il locale. Se solo alcuni decenni fa si abbandonavano le campagne per le grandi e industrializzate città, oggi ci troviamo di fronte ad una tendenza inversa. Dalle città si assiste a una ricolonizzazione della campagna. Le antiche case coloniche dove risiedevano famiglie di mezzadri vengono oggi ristrutturate e trasformate in aziende agrituristiche, dove si privilegia la coltivazione di quei frutti che tradizionalmente appartenevano alle nostre terre. Ai veleni si preferisce una lotta integrata, e le tradizione contadina diventa cultura contadina. Da riscoprire ed esplorare, soprattutto in un presente che ci chiede a gran voce di fare un passo indietro, se vogliamo poter proseguire il nostro cammino nel futuro. Una delle tradizioni che si tramanda nelle campagne e nelle colline della nostra regione, è quella che i vecchi chiamano “spigolatura”: dopo aver raccolto con le macchine i frutti della terra, i fattori lasciano che per qualche giorno vicini, amici e chiunque glielo chieda, si rechino nel campo a raccogliere i frutti dimenticati dopo il passaggio delle macchine. Non è insolito qui in campagna, vedere dalla strada, verso sera, famiglie che riempiono ceste di pomodori o patate, con i bambini che corrono allegramente attorno a loro. Soprattutto i più giovani apprezzano questi momenti, da passare con la propria famiglia; messo da parte lavoro, scuola o videogiochi, in maniera ludica si riavvicinano a quel mondo rurale nel quale noi abbiamo le nostre radici. Oltre a questo sono da segnalare le molte aziende agrituristiche sia in pianura che nelle splendide colline tra Brisighella e Marradi, solo per citarne un paio, che aprono stagionalmente le loro tenute, a chiunque voglia trascorrere una o più giornate immerso nel verde, dedicandosi a passeggiate nella natura, escursioni, e perché no, alla raccolta dei frutti. Ogni tenuta ha proposte interessanti a riguardo, alcune lasciano gratuitamente una percentuale di ciò che si è raccolto, altre ad esempio vendono ciò che si è raccolto con le proprie mani a un prezzo spesso inferiore al 60% del prezzo di mercato. Questa come tante altre attività in contatto con la natura, possono permettere alle persone di trascorrere insieme del tempo di qualità, riavvicinandosi alla terra, con le sue antiche tradizioni, e magari anche riavvicinandosi un po’ gli uni agli altri. LE TIGRI DI MONTE ADONE Scritto da Alessandro Kostis Se state facendo una passeggiata nei dintorni di Monte Adone, nell'appennino bolognese, potreste rimanere impietriti nel sentire un lungo ululato. Ma state tranquilli: di lupi allo stato brado, in questa zona, non ne sono stati avvistati ultimamente. L'ululato in questione proviene invece dal vicino Centro per la tutela e ricerca della fauna selvatica. Nel gennaio del corrente anno la provincia di Forlì ha dato in custodia un giovane lupo alla struttura. Ora sta bene, ma difficilmente verrà reinserito nel suo habitat in quanto ha familiarizzato un po' troppo con gli esseri umani. Ma non si tratta dell'unico ospite del centro. Potreste rimanere ancor più sorpresi, facendo capolino al suo interno, nello scorgere animali che tutt'al più solitamente si vedono nei documentari televisivi. Ė il caso della tigre Maya, o del magnifico leopardo africano Bonnie. Ospiti inconsueti dei nostri appennini, capitati nel centro in quanto sottratti ai maltrattamenti degli zoo itineranti o recuperati in seguito all'abbandono da parte di privati. Com'è noto molti “amanti” di animali esotici acquistano esemplari cuccioli dall'estero per lo più illegalmente, ma una volta che il piccoletto diventa grandino si accorgono che forse è il caso di sbarazzarsene. E qui interviene il centro. Centro che era nato (ormai 20 anni fa) inizialmente con lo scopo di tutelare la fauna selvatica autoctona, ma che ha saputo adattarsi anche al recupero di animali esotici e pericolosi. L'idea originaria si deve a Rudi Berti che avviò questa pionieristica attività nel 1989, dirigendola con l'aiuto della famiglia e di alcuni volontari. Da allora il centro si è continuamente evoluto e gli ospiti moltiplicati. Ci sono numerose specie di primati e scimpanzé, oltre che rettili come le iguane verdi e variopinti pappagalli (a testimonianza del tuttora fiorente traffico illegale di animali esotici). Una caratteristica comune degli animali accolti è la loro forte familiarità con l'uomo che spesse volte finisce per creare numerosi problemi al reinserimento degli animali all'interno di un gruppo. Uno degli obiettivi primari è quindi di ridurre gradatamente il rapporto esclusivo con l'uomo e di indirizzare la socialità dell'esemplare verso un altro individuo della stessa specie anche grazie all'aiuto di carattere psicologico fornito dai volontari. Ma anche al suo originario scopo di preservazione della fauna autoctona il centro non è mai venuto meno. Tra gli ospiti di “casa” ci sono molti ungulati (soprattutto caprioli, ma anche daini e cervi), rapaci ritrovati folgorati o feriti durante la caccia, e perfino una lince europea, Isidoro. Questo gattone selvatico era detenuto da un privato cittadino insieme ad alcuni cani, come un comune animale domestico e al suo ritrovamento era allo stremo delle forze. Ormai ospite del centro da 12 anni, Isidoro attualmente si gode il tempo libero all'ombra di Monte Adone. Il centro, per chi fosse interessato, offre da qualche anno la possibilità di svolgervi il servizio civile nazionale per il periodo di un anno, offrendo vitto e alloggio oltre che un'opportunità unica per vivere un po' di tempo a contatto con la natura e con volontari di diverse nazionalità. Inoltre numerose sono le iniziative indirizzate alle scuole con visite guidate e lezioni su fauna autoctona e non direttamente all'interno delle classi. In ogni caso, ora non avete più scuse: se investite o trovate un animale ferito sapete a chi rivolgervi. Anche nel caso si tratti di una tigre. (Le immagini che illustrano gli articoli sono prese da Flickr)