Rassegna del 01/02/2013 INDICE RASSEGNA STAMPA Rassegna del 01/02/2013 MONDO UNIVERSITARIO Corriere Fiorentino 01/02/13 P. 15 Anche l'università ha il suo bollino doc Leonardo Testai 1 Nuovo Corriere Di Firenze 01/02/13 P. 4 Grande fuga dall'università Quasi 60mila iscritti in meno Rossana De Francesco 2 Qn 01/02/13 P. 18 Allarme atenei, matricole a picco «Scomparsa» un'intera università Beatrice Bertuccioli 3 Tirreno 01/02/13 P. 1 Università 58mila studenti persi in 10 anni Avvenire 01/02/13 P. 11 Allarme università: in dieci anni cinquantamila matricole in meno Avvenire 01/02/13 P. 11 «Troppi laureati non riescono a trovare lavoro» Corriere Della Sera 01/02/13 P. 2 I cinquantottomila studenti persi dagli atenei italiani Federica Cavadini 8 Corriere Della Sera 01/02/13 P. 2 Come aiutare i giovani di talento Andrea Ichino, Daniele Terlizzese 10 Corriere Della Sera 01/02/13 P. 2 «Tutta colpa di modelli negativi come Corona» Enrico Marro 11 Corriere Della Sera 01/02/13 P. 2 «Da noi aumentano Anche oggi i dottori sono più competitivi» Corriere Della Sera 01/02/13 P. 37 E gli atenei adesso incubano le giovani aziende Parte Speed Mi Up, ideato da Bocconi e Comune di Milano Irene Consigliere 13 Espresso 07/02/13 P. 90 La scimmia dal volto umano Giovanni Sabato 14 Giornale 01/02/13 P. 1 Atenei, scappano in 60mila Era ora: meglio pochi e buoni Giuseppe De Bellis 16 Giornale 01/02/13 P. 16 «Scomparsi» 60mila studenti è come cancellare un ateneo Giuliana De Vivo 18 Il Fatto Quotidiano 01/02/13 P. 1 Fuga dall'università fuga dalla speranza Marco Politi Il Fatto Quotidiano 01/02/13 P. 11 Il rettore di Bologna: "È una Caporetto Per anni ignorato il diritto allo studio" 21 Il Fatto Quotidiano 01/02/13 P. 11 2012, deserto università: persi 58 mila studenti 22 Italia Oggi 01/02/13 P. 30 Docenti al minimo storico 24 Libero 01/02/13 P. 1 Università devastata Davide Giacalone 25 Libero 01/02/13 P. 19 Fuga dall'Università: 60mila iscritti in meno Chiara Pellegrini 27 Libero 01/02/13 P. 19 Due concorsi in due mesi: aiutino del governo ai professori Enrico Paoli 28 Manifesto 01/02/13 P. 4 Requiem per l'università riformata Roberto Ciccarelli 29 Manifesto 01/02/13 P. 4 Il paese è sempre più povero 1 cervelli scappano all'estero Giorgio Salvetti 31 Manifesto 01/02/13 P. 10 Le relazioni pericolose degli organismi Benedetto Vecchi 32 Manifesto 01/02/13 P. 16 L'ape operai va in paradiso Luca Fazio 35 Mattino 01/02/13 P. 13 «Anche Salerno piace ai ragazzi iscrizioni in costante crescita» Ivana Infantino 37 Mattino 01/02/13 P. 13 «Orientale in controtendenza in aumento la platea delle triennali» Luisa Maradei 38 Mattino 01/02/13 P. 13 Il crollo dell'università: 58mila iscritti in meno Daniela Limoncelli 39 Messaggero 01/02/13 P. 13 Fuga dalle università 50mila iscritti in meno Messaggero 01/02/13 P. 13 Stretta sugli atenei, arriva l'esame di qualità Alessia Camplone 42 Mondo 08/02/13 P. 35 Un test per aggirare le trappole emotive Fabio Sottocornola 44 Mondo 08/02/13 P. 48 Che barba quell'ordine Franco Stefanoni 45 Mondo 08/02/13 P. 52 Cilea lombardo, addio con mancia 47 Mondo 08/02/13 P. 62 Meno teoria e più problem solving 48 Padania 01/02/13 P. 10 Si svuotano le aule, governo assente all'appello Massimiliano Capitanio 49 Repubblica 01/02/13 P. 1 Fuga dalle università 60 mila studenti in meno Tito Boeri 50 Repubblica 01/02/13 P. 22 "Mancano idee e investimenti siamo un Paese in decadenza" Gregorio Romeo 52 Repubblica 01/02/13 P. 22 "Tanti sacrifici e niente lavoro è una espulsione di massa" Repubblica 01/02/13 P. 22 Università addio, persi 60mila studenti in 10 anni Indice Rassegna Stampa 4 Enrico Lenzi 6 7 12 20 41 53 Corrado Zunino 54 Pagina I INDICE RASSEGNA STAMPA Rassegna del 01/02/2013 Sette 01/02/13 P. 8 Università, nepotismi e L'eco della tagliatella Le deroghe alle leggi sono un vizietto nazionale. L'ultimo esempio? La nota interpretativa dei "nuovi" concorsi Gian Antonio Stella 55 Sole 24 Ore 01/02/13 P. 8 Crollo di iscritti negli atenei Eugenio Bruno 56 Stampa 01/02/13 P. 1 Come si può fermare l'emorragia Walter Passerini 58 Stampa 01/02/13 P. 12 Fuga dagli atenei Persi in dieci anni 58 mila studenti Flavia Amabile 60 Tempo 01/02/13 P. 11 Le università perdono studenti Natalia Poggi 62 Tempo 01/02/13 P. 11 Lo Storto: «Più corsi di laurea legati al mondo del lavoro» Unita` 01/02/13 P. 11 A dare i voti ad atenei e corsi la strana agenzia di Gelmini Mario Castagna 65 Unita` 01/02/13 P. 11 Università, in dieci anni 58mila studenti in meno Luciana Cimino 66 Unita` 01/02/13 P. 1-11 Giovani derubati della fiducia Giuseppe Provenzano 68 Indice Rassegna Stampa 64 Pagina II i % / ii I vn m I /I / l/I//r,, ,1/,/ I GI// i; L/c,,,wnua Vdo Testai -T- T 1 ANCHE L' NIVERSIrI,A IL Su o BB OLLIN O io, che l'ho fatta studiare a Detroit...», si lamenta Johnny Stecchino quando capisce che la sua amata Maria lo ha tradito. Perché per le persone che si amano si vuole sempre il meglio, e gli studi non fanno eccezione. La mobilità territoriale delle matricole italiane è un fenomeno di dimensioni piuttosto contenute: secondo l'ultimo rapporto di AlmaLaurea, tre universitari su quattro scelgono l'ateneo della propria provincia o di una provincia limitrofa, mentre solo il 12% è migrato dal Sud verso le università del Centro-Nord. Del resto il Ministero oggi riconosce 95 atenei, cifra che sale a 280 considerando anche le sedi distaccate. Una proliferazione, quella verificatasi negli ultimi anni, che secondo molti osservatori non ha giovato alla qualità del sistema dell'istruzione universitaria in Italia. Anche per questo due giorni fa il ministro Francesco Profumo ha firmato un decreto ministeriale che introduce una sorta di «bollino di qualità» per gli atenei da rinnovare ogni cinque anni per le sedi universitarie e almeno ogni tre anni per i corsi di studio: nella va- Mondo Universitario C lutazione periodica saranno presi in considerazione i risultati conseguiti dalle singole università nell'ambito della didattica e della ricerca. Ê anche il presupposto per una maggiore selezione nell'assegnazione dei fondi statali, sempre più scarsi per le difficoltà della finanza pubblica, secondo un criterio meritocratico. Un futuro con meno atenei «sotto casa» potrebbe vedere una maggiore mobilità degli studenti in Italia. In realtà ci sono anche centinaia di studenti che, dopo il diploma, optano per andare a studiare all'estero. La classifica annuale 2012-13 delle università del mondo stilata dalla rivista Times Higher Education aiuta a spiegare il perché: la top ten è appannaggio di atenei anglosassoni, e fin qui tutto normale. Ma che non ci sia nessun ateneo italiano fra i primi 250 al mondo, questo può far riflettere: anche se laurearsi all'estero non è tutto rose e fiori, come vedremo. Dieci borse di studio alla Luiss Summer School per l'orientamento all'Università, informazioni su www. corriereflorentino.it U RIPRODUZIONE R1sERVarA Pagina 1 L'Italia fanalino di coda in Europa per immatricolazioni di studenti. Eliminati 1200 corsi di laurea Grande fuga dall ' università i rn meno Quasi 6Omla i di Rossana De Francesco La crisi miete "vittime" in tutti i campi e anche per ciò che riguarda l'istruzione l'Italia è un Paese in piena recessione. In dieci anni ci sono ben 58mila studenti universitari in meno. Praticamente è come se fosse scomparso un intero ateneo. Dal 2003 ad oggi, infatti, le immatricolazioni nelle università sono scese da 338.482 a 280.144. Per chi è amante della statistica diremo che la flessione è pari al 17%, ma per parlare in termini pratici e concreti è doveroso evidenziare come questa emorragia di iscrizioni rappresenti un vero e proprio dato allarmante per la nazione. La politica, che in questi giorni si sta affannando ad accaparrarsi la fiducia degli italiani promettendo di tutto e di più, non può e non deve far finta di non vedere questo malessere che imperversa tra i più giovani. Stato d'animo creato anche da una situazione economica difficile, che vede costrette molte famiglie a fare i salti mortali per arrivare a fine mese. Certo, i costi dell'istruzione non sono certo bassi ma anche il programma formativo, probabilmente, ha le sue colpe e deve essere necessariamente rivisto. Percorsi d'istruzione, talvolta troppo distanti dalle esigenze del mondo lavoro, hanno creato quell'enorme "esercito" di disoccupati con la laurea. Inevi- tabile, quindi, che molti ragazzi preferiscano trovare una sistemazione professionale invece che proseguire con gli studi. Questa reazione a catena ha portato anche al drastico calo del numero dei docenti che, negli ultimi sei anni, è diminuito del 22%. Anche l'offerta dei vari atenei è crollata. In sei anni, infatti, sono stati eliminati 1.195 corsi di laurea. Quest'anno sono scomparsi 84 corsi triennali e 28 corsi specialistici/magistrali. Quanto a laureati l'Italia è largamente al di sotto della media Ocse: 34esimo posto su 36 Paesi. Solo il 19% dei 30-34enni ha una laurea, contro una media europea del 30%.1133,6 % degli iscritti, infine, è fuori corso mentre il 17,3% non fa esami. Rispetto alla media Ue, in Italia abbiamo 6.000 dottorandi in meno che si iscrivono ai corsi di dottorato . Dal 2001 al 2009 il Fondo di finanziamento ordinario (Ffo), calcolato in termini reali aggiustati sull'inflazione, è rimasto quasi stabile, per poi scendere del 5 % ogni anno, con un calo complessivo che per il 2013 si annuncia prossimo al 20%. Su queste basi e in assenza di un qualsiasi piano pluriennale di finanziamento moltissime università, a rischio di dissesto osserva il Cun- non possono programmare né didattica né ricerca. Insomma, la situazione è pesante, mancano le risorse economiche, i percorsi di studi sono troppo spesso "antiquati" e distanti dalle qualifiche che il mondo del lavoro richiede. Fatto sta che oggi l'Italia rischia di diventare il fanalino di coda in Europa in termini di nuovi laureati. Grande fuga dai università Quasi 60mi1a isentii "n meno Mondo Universitario Pagina 2 11 atenei, matncole a pacco n vers t compsa>> ® << S u ï ï à ieci anní 58ai iscritti in meno: quanfl ne ha la Statale di Mano Beatrice ertuccioti ROMA S EMPR E meno giovani, in Italia, frequentano le università. Oggi mancano all'appello, rispetto a dieci anni fa, 58mila studenti. Come dire che è scomparsa la Statale di Milano, ovvero un intero ateneo di grandi dimensioni. Meno iscritti, dunque, ma anche meno laureati, meno corsi di laurea, meno docenti. Tutti dati con il segno negativo, a cominciare dai fondi. Per trovare il segno più, bisogna guardare alla voce `tasse universitarie': quelle sì, sono aumentate (di ben 283 milioni negli ultimi cinque anni). Più che un allarme è un grido di Dati sempre più preoccupanti Fuoricorso il 33,6 per cento e il 17,3 non sostiene es ami dolore quello lanciato ieri dal Cun, il Centro universitario nazionale, a fronte «della costante, progressiva e irrazionale riduzione delle risorse finanziarie e umane destinate al sistema universitario che ne ledono irrimediabilmente la capacità di svolgere le sue funzioni di base, formazione e ricerca». Dai 338.482 immatricolati dell'anno accademico 2003-2004, siamo scesi ai 280.144 del 2011-2012, pari al 17 per cento in meno. Un calo delle immatricolazioni registrato un po' in tutto il Paese e nella maggior parte degli atenei. Tra i pochi in controtendenza c'è Bologna, con un incremento delle matricole dell'1% nell'arco del triennio e del 6% negli ultimi cinque anni. L'Italia, per numero di laureati, è largamente al di sotto della media Ocse: siamo 34esimi su 36 paesi (nel 2012) e solo il 19 per cento dei 30-34enni ha una laurea, contro una media europea (rilevazione del 2009) del 30 per cento. Tra gli iscritti, il 33,6 per cento è fuori corso e il 17,3 per cento non fa esami. E nei prossimi anni il numero dei Mondo Universitario laureati è destinato a diminuire, anche perché, negli ultimi tre anni, il fondo nazionale per finanziare le borse di studio è stato ridotto. Nel 2009 i fondi erano sufficienti per l'84 per cento degli studenti aventi diritto, mentre nel 2011 si è scesi al 75 per cento. E l'Europa rimane lontana anche per il numero dei dottorati. DIMIN UITA drasticamente anche l'offerta formativa: in sei anni sono stati eliminati 1.195 corsi di laurea. «E se questa diminuzione è stata inizialmente dovuta ad azioni di razionalizzazione - sottolinea il documento del Cun ora dipende, invece, in larghissima misura dalla pesante riduzione del personale docente». In sei anni, dal 2006 al 2012, il numero dei docenti si è ridotto del 22 per cento. E nei prossimi anni, per effetto delle mancate assunzioni e delle limitazioni imposte agli atenei nello stipulare contratti, l'emorragia di professori proseguirà. Al punto che, nonostante il ca- LE CIFRE 17% IN MENO Gli immatricolati sono passati dai 338.482 dell'anno accademico 200312004 a 280.144 (anno 201112012) 22% IDOCENTI Tanto sono calati gli insegnanti degli atenei italiani rispetto al 2006 secondo i dati elaborati dal Cun In un quinquennio la contribuzione è salita di 283 m ilioni di euro lo degli iscritti, contro una media Ocse di 15,5 studenti per docente, in Italia la media è di 18,7. Tagliati i fondi per la ricerca libera di base e il Cnr (da una media di 50 milioni l'anno ai 13 milioni per il 2012) e ridotto anche il Ffo, il Fondo di finanziamento ordinario, dal 2009 sceso ogni anno del 5 per cento, con un calo complessivo che, per il 2013, si annuncia vicino al 20 per cento. «È una vera e propria emergenza nazionale. L'università italiana si sta sgretolando e con lei il futuro della nostra generazione», denuncia Michele Orezzi, coordinatore dell'Unione degli Universitari. «Studiare in Italia - gli fa eco il portavoce di Link Coordinamento Universitario, Luca Spadon sta diventando sempre più un privilegio per piccole élite». 19 % 30-34ENNI LAUREATI La media europea è del 30%. Siamo al 34° posto su 36 paesi europei per numero dei laureati (dati riferiti al 2012) 1.195 CORSI ELIMINATI In sei anni. Quest'anno, in particolare, sono scomparsi 84 corsi di laurea triennali e 28 biennali Pagina 3 LA GRANDE FUGA Uffiver sità a studenti p e rsi in anni Studenti universitari a lezione A lanciare l'allarme è il Consiglio universitario nazionale: gli atenei italiani si stanno svuotando, dai docenti ai dottorati. Ma il caso più eclatante sono gli studenti, 58mila in meno in dieci anni. CONTINUAAPAGINA9 II' I 1I 1 1 I 11 Mondo Universitario ' 1 1' 1 1 Pagina 4 Umversita, in dieci anni persi 58m11a studenti Una ricerca del Cun testimoniala "grande fuga": è un calo del 17%. II crollo riguarda tutto il territorio ® ROMA È grande fuga dall'università italiana, svuotata di ogni sua componente: studenti, docenti, dottorati, borse di studio (quindi fondi) e perfino corsi di studio. A lanciare l'allarme è il Consiglio universitario nazionale che ieri ha diffuso un documento sullo stato di salute delle nostre facoltà. Negli ultimi dieci anni le iscrizioni sono passate da 338.482 (anno accademico a 280.144 2003-2004) (2011-2012), con un calo di 58mila studenti (-17 per cento). Il Cun spiega che è come se in un decennio fosse scomparso un intero ateneo di grandi dimensioni, ad esempio la Statale di Milano. Questa volta non c'è la solita Italia a due velocità, perché il crollo delle immatricolazioni riguarda tutto il territorio. Il documento inoltre denuncia poi il calo del Fondo di finanziamento ordinario (Ffo) che per il 2013 si annuncia prossimo al 20 per cento. In sostanza molte uni- versità sono «a rischio di dissesto - denuncia il Cun - e non possono programmare la didattica, figuriamoci la ricerca». Ma a diminuire è anche il numero dei professori: -22 per cento negli ultimi sei anni e nei prossimi tre scenderanno ancora, perché i docenti non vengono assunti e perché le facoltà sono molto limitate nella possibilità di stipulare contratti di insegnamento. Fuori dall'Italia le cifre cambiano: la media Ocse è di 15,5 studenti per docente, contro i nostri 18,7. Siamo sotto la media europea anche per il numero di laureati, occupiamo il 34mo posto su Mondo Universitario 36 paesi. E solo il 19 per cento dei 30-34enni ha una laurea, contro il 30 per cento della media europea. 11 33,6 per cento degli iscritti è fuori corso e il 17,3 non fa esami. Segno negativo anche per borse di studio, corsi e dottorati. Nel 2009 i fondi nazionali per finanziare le borse di studio coprivano 1'84 per cento degli studenti aventi diritto, nel 2011 il 75. Dal 2006 al 2012 sono scomparsi 84 corsi triennali e 28 corsi specialistici/ magistrali, all'inizio per una razionalizzazione delle lezioni, poi per i tagli al personale docente. E ancora, nel confronto con la media Ue in Italia abbiamo 6mila dottorandi in meno che si iscrivono ai corsi. La riforma del dottorato di ricerca inserita dalla Gelmini non è mai partita e il 50 per cento dei laureati segue i corsi di dottorato senza borse di studio. A rischio anche il funzionamento dei laboratori: il taglio ai finanziamenti Prin (i fondi destinati alla ricerca libera di base per università e Cnr), passati dai 50 milioni l'anno ai 13 milioni per il 2012, compromette il ricambio delle attrezzature. Preoccupato per lo stato delle cose, Andrea Lenzi, presidente Cun, ha detto che proprio in questo rnornento di crisi bisognerebbe investire nella cultura. (a.d a.) Pagina 5 Allarme università: in dieci anni cinquantamila matricole in meno Il Consiglio universitario: tagli irrazionali. Manca il patrimonio umano e finanziario, diminuiscono fondi, iscrizioni e docenti. Crisi alle porte DA MILANO ENRICO LENII Università italiana è in piena crisi e lancia un grido d'aiuto alle autorità e al mondo della politica impegnato nella campagna elettorale. Negli ultimi dieci anni vi sono state 58mila immatricolati in meno (l'equivalente di un ateneo come l'Università agli Studi di Milano, sottolinea la denuncia). Ma anche il numero del personale docente e quello tecnico-amministrativo hanno subito una flessione consistente, rispettivamente del 27% e del 7,4%. E a completare questo drammatico scenario vi è la riduzione del 20% (pari a circa 400 milioni di euro) per il solo 2013 del Fondo di funzionamento ordinario (Ffo), che si aggiunge al progressivo abbassamento del fondo stesso a colpi del 5% negli ultimi tre anni. sistema universitario - denuncia il presidente del Cun Andrea Lenzi - ledono irrimediabilmente la capacità di svolgere le sue funzioni di base, di formazione e ricerca». Insomma il sistema universitario italiano «rischia - secondo il documento del Cun - la paralisi in tempi stretti». E in effetti i dati diffusi mostrano un sistema in affanno, soprattutto nel confronto con l'Europa: attualmente l'Italia investe nell'Università e ricerca l'l% del Pil, contro l'1,3% della Germania e della Gran Bretagna, l'1,4% della Spagna e l'1,5% della media Ue. «La riduzione del contributo pubblico - denuncia il do- A dare voce all'allarme è il Consiglio universitario nazionale (Cun), che ha elaborato una dichiarazione proprio sulle «emergenze del sistema». «La progressiva e irrazionale riduzione delle risorse finanziarie ed umane destinate al Università in affanno IMMATRICOLATI 2003-2004 INEEMEMENEEM 338 . 482 2011-2012 REEMEMEMEM 280.144 -58.000 (-17%) LAUREATI (su totale 30-34enni) 19% 30% cumento approvato dal Cun - è aggravata dalla difficoltà degli atenei di attingere a finanziamenti esterni in un periodo di crisi economica». Un problema che già negli scorsi mesi era stato sollevato dalla Conferenza dei rettori (Crui) Meno iscritti, ma anche meno laureati, anche se, dato positivo, con una percentuale crescente di percorsi di studio nei tempi regolari. Al contrario restano sostanzialmente stabili i corsi di studio attivati, che nell'anno accademico 2012/2013 sono complessivamente 4.324, di cui 2.062 triennali, 1.962 specialistica e 300 corsi di laurea magistrale a ciclo unico. Note dolenti anche per i dottorati di ricerca che, dal 2007, denuncia ancora il Cun, «è diminuito progressivamente nel numero delle borse di studio per il dottorato». Eppure, commenta il presidente del Cun, «la ricerca scientifica è l'unico motore universalmente riconosciuto per l'innovazione e lo sviluppo, tanto che il resto del mondo sta investendo in ricerca nonostante il periodo di profonda crisi». Preoccupazione per lo stato in cui versa l'Università è espresso anche dalle associazioni degli studenti universitari, di tutti gli schieramenti, parlando in alcuni casi di «scelta di esclusione per una parte della società che non può permettersi di pagare tasse universitarie sempre più alte». Denunce e proteste, quelle sollevate dalle associazioni universitarie che chiamano a un maggior impegno proprio al mondo della politica. © RIPRODUZIONE RISERVATA Italia Media Ue PROFESSORI -22% di docenti in sei anni (2006-2012) Numero studenti per docente Italia Media Ocse 18,7 15,5 t OFFERTA FORMATIVA -1.195 corsi di laurea in sei anni (2006-2012) -6.000 iscritti ai corsi di dottorato rispetto alla media Ue BORSE DI STUDIO (aventi diritto coperti dai fondi) 84% 2009 Fonte: Consiglio universitario nazionale Mondo Universitario 2011 ANSA-CENTIMETRI Pagina 6 «Troppi laureati non riescono a trovare lavoro» DA MILANO La cresciuta difficoltà dei laureati a inserirsi nel mondo del lavoro ha certamente contribuito alla fuga degli studenti dall'università. Secondo Giovanni Lo Storto, vice direttore generale della Luiss, alla base del calo delle immatricolazioni denunciato ieri dal Cun c'è un ventaglio di cause e il tema delle risorse «assolutamente importante» - non è però l'unico che andrebbe affrontato e risolto. «Le università purtroppo, e questo è un problema molto grave, hanno incrementato a dismisura negli anni passati, e senza alcun collegamento con il mondo del lavoro, l'offerta di corsi di laurea. Negli ultimi tempi si è proceduto a una loro razionalizzazione, ma resta il fatto - spiega Lo Storto che nel frattempo sono stati sfornati migliaia di laureati in scienza della comunicazione mentre resta, per esempio, un deficit di odontoiatri. Purtroppo sono tanti i ragazzi che una volta messa in tasca la laurea poi non riescono a trovare lavoro e dal 2008, con la crisi Mondo Universitario II vice direttore della Luiss : corsi scollegati dal mondo delle imprese . E ci vuole più attenzione all'orientamento economica, è aumentato il numero delle famiglie che hanno rinunciato a far proseguire gli studi ai propri figli vista la carenza di prospettive». Cosa fare? Oltre ovviamente a modellare i corsi di laurea sulle esigenze del mondo del lavoro e delle imprese, Lo Storto ritiene che un ruolo cruciale potrebbe svolgerlo l'orientamento. «Ma non quello che fanno tanti atenei andando nelle scuole superiori a promuovere i loro corsi come fossero un detersivo, con operazioni di mero marketing. Bisogna informare i ragazzi sugli sbocchi professionali, su cosa studieranno, consentendo loro di fare scelte davvero consapevoli. E questo andrebbe fatto non a ridosso della Maturità, ma magari al terzo, quarto anno delle superiori e non lasciando che siano soltanto i dirigenti scolastici a darsi da fare in questo senso. Si muovono in questa logica ha osservato Lo Storto - le nostre Summer school in cui facciamo frequentare ai liceali lezioni universitarie, anche di ingegneria e medicina». Sul banco degli imputati il vice direttore generale della Luiss mette anche una sorta di «tappo generazionale». «Non esistono soltanto i medici che fanno un lavoro diverso da quello per cui hanno studiato, in Italia è frequente, soprattutto in alcuni settori, che siano i diplomati, entrati nel mondo del lavoro tanti anni fa, a svolgere lavori da laureati bloccando così l'ingresso di giovani». Ma quel che servirebbe davvero al Belpaese, per Lo Storto, è «una rivoluzione culturale». «Uno tra i temi che manca di più in questa campagna elettorale è quello dei giovani. Ebbene bisognerebbe avere il coraggio di alzare lo sguardo oltre la siepe cominciando a mettere i bambini al centro del progetto formativo. Solo così si potrà consegnare alle nuove generazioni un futuro migliore». Pagina 7 s :'in1,e: 11 11 «Meno 17% in 10 anni, come tutta la Statale di Milano» Spiegato dagli studenti: «Un'espulsione di massa». Presentato dai professori del Consiglio universitario nazionale (Cun): «Come fosse scomparso un ateneo grande quanto la Statale di Milano». Il dato è che nelle nostre università mancano all'appello cïnquantottomila studenti rispetto a dieci anni fa. E molto altro: a partire dai finanziamenti. Poi è in calo il numero dei docenti, che non vengono più assunti. Sono pochi i laureati e i dottori di ricerca. Non soltanto matricole in fuga, l'intero sistema è al collasso. Il Cun ha raccolto i numeri della crisi voce per voce e ieri ha presentato i conti a governo, Parlamento e alle forze politiche in campagna elettorale. Si parte dagli iscritti, scesi in dieci anni da 338 mila a 280 mila, con situazioni diverse a seconda di corsi e atenei. Ma i diciannovenni che rinunciano alla laurea sono sempre di più visto che le iscrizioni sono calate del 4 per cento in tre anni. E siamo sotto la media europea per Mondo Universitario numero di laureati: nella fascia di età fra i 3o e i 34 anni da noi hanno il titolo il 19% dei giovani, in Europa il 3o. E continua a scendere il numero dei professori. Negli ultimi sei anni sono il 22% in meno. Così, nonostante il calo degli iscritti, il numero medio di studenti per docente in Italia resta alto: 18,7, mentre la media Ocse è 15,5. Il presidente del Cun, Andrea Lenzi, presentando il dossier ha parlato di «progressiva e irrazionale riduzione delle risorse finanziarie e umane», poi ha snocciolato i numeri, tutti con segno meno. Il Fondo di finanziamento ordinario (Ffo) è sceso del 20%: «Moltissimi atenei a rischio dissesto non possono programmare né didattica né ricerca, tanti hanno appena i soldi per pagare gli stipendi. E la crisi colpisce tutti, anche i grandi atenei. Anche se poi cambia la capacità di attrarre finanziamenti dall'esterno e dall'estero, ma su alta formazione e ricerca il Paese deve investire». Poi il dato sulle borse di studio, ancora tagliate. Se nel 2009 era l'84% degli aventi diritto a ricevere l'aiuto, nel 2011 la copertura c'è stata soltanto per il 75%. Il commento di Marco Lezzi, nel Consiglio nazionale studenti universitari: «Il sistema del diritto allo studio è inefficace, soltanto il 1o% degli studenti riceve il sostegno, è per pochi, sempre meno, ed è insufficiente. La borsa di studio arriva al massimo a cinquemila euro, e in una città come Milano non bastano. Ecco perché molti rinunciano». Per la Cgil «in Italia studiare è sempre più costoso e non paga. I laureati sono disoccupati quanto i diplomati». Ma c'è anche una valutazione meno negativa. Arriva dal coordinatore del rapporto Stella sull'occupazione dei laureati, Nello Scarabottolo. «Il calo generale degli iscritti è certo ma bisogna considerare che dieci anni fa erano appena state introdotte le lauree triennali e c'era stato un boom di immatricolazioni, ecco perché il calo appare più pesante». Federica Cavadini 0 RI PRODZI ONE RI SERVITE Pagina 8 Il confronto li numero degli stc 'enti immatricolati negli ultimi dieci anni COSÌ NELLE REGIONI 2003-2004 338:42 Sardegnr, Sicilia Ca'r:bn. Basilicata ;T€ 2007-2008 2011-2012 Puglia Campania Mo' se Abruzzc ic Marche Umbria Toscana Emilia Romagna Liguri 19 10 0 hanno un ,': ;doma di laurea. La media Ue è dei 30% Friuli Venezia ï;' lia Veneto Trentino Alto Adige Lombardia Valle d'Aosta Piemont+ 0 10.000 20.000 uni: a SL(,) s>Nr ìi Mondo Universitario 40.000 80 .144 Gli immatricolati persi in 10 anni: í# 2008 -2009 30.000 na, 2009 2U 10, Pagina 9 COME Ait''l:-vzE I Gi OVANI DI TALENTO di ANDREA ICIIINO e DANIELE TERLIZZESE Nonostante il Paese non cresca da vent'anni e da cinque sia entrato in una profonda recessione, laurearsi in Italia ancora conviene rispetto all'alternativa di fermarsi al diploma. Secondo l'Istat, i maschi tra i 3o e i 64 anni guadagnavano il 26% in più dei diplomati nel 2008 e addirittura il 2906 in più nel 2011. Per le donne la differenza è inferiore, ma comunque rilevante (21%). Il beneficio di una laurea si estende anche alla probabilità di trovare lavoro: il tasso di occupazione per i laureati è stato pari a circa il gr%o in questi anni, contro l'86% per i diplomati (le cifre corrispondenti per le donne sono 81% e 67%). Questi vantaggi non sono solo un ricordo del passato e valgono anche per le nuove generazioni: se confrontiamo i giovani laureati e diplomati che sono entrati da poco nel mondo del lavoro, il vantaggio relativo dei primi sui secondi è analogo a quello degli adulti, sia in termini di retribuzione sia di accesso a un lavoro. Al netto dei costi, le stime più attendibili (Cingano e Cipollone 20og, Banca d'Italia), mostrano che il rendimento del capitale per laurearsi è circa pari al 1o%, molto maggiore del rendimento di un portafoglio medio di azioni e obbligazioni (3,6%). L'Ocse ottiene stime di poco inferiori. Perché allora sono calati del 17% gli studenti immatricolati nelle università italiane? Forse perché conseguire una laurea è un investimento più rischioso che fermarsi al diploma: conviene in media, ma se si è avversi al rischio, l'incertezza frena l'investimento. Poiché tutti i dati mostrano che l'avversione al rischio aumenta nelle recessioni, soprattutto ai livelli più bassi di reddito, questo potrebbe spiegare, Mondo Universitario crediamo, il calo delle iscrizioni. È certamente un danno per il Paese, perché gli studi universitari oggi non intrapresi avrebbero prodotto un beneficio che invece va perso. Se potessimo ridurne il rischio, o almeno assicurare chi non vuole correrlo, aumenterebbe il benessere dei cittadini: grazie alla laurea, avrebbero un futuro migliore. Sarebbe però sbagliato concludere che la soluzione sia aumentare indiscriminatamente il numero dei laureati, con borse di studio a fondo perduto, per finanziare l'accesso di qualunque liceale agli atenei di cui oggi dispone il Paese. La nostra stessa Costituzione (art. 34) riserva il diritto di «raggiungere i gradi più alti degli studi» ai «capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi». E una qualificazione importante e spesso trascurata: non per tutti, solo per i capaci e meritevoli. Servono quindi strumenti che Servono «borse di studio restituibili» che i migliori studenti dovranno rendere una volta laureati assicurino i migliori studenti contro i rischi dell'investimento in una laurea: li possiamo chiamare «borse di studio restituibili» che i giovani di talento dovranno rendere, una volta laureati, solo se avranno raggiunto un reddito sufficientemente alto e in proporzione alla parte di reddito che ecceda una certa soglia. Senza quindi rischi di insolvenza, a differenza di quel che invece accade per un mutuo. Alcuni di loro non riusciranno a restituire tutto (e non sarà un problema), ma il successo della maggior parte degli altri basterà a rendere l'operazione finanziariamente sostenibile, proprio perché la laurea è, in media, un investimento redditizio. Se uno studente grazie alla laurea diventa un professionista ben pagato, perché non dovrebbe restituire ciò che la collettività gli ha dato per prepararsi a una brillante carriera? Mettere i migliori studenti nelle condizioni di scegliere l'università che preferiscono, con poco rischio, ha anche il vantaggio di affiancare un meccanismo di mercato alle procedure di valutazione centralizzata dell'Anvur. Può contribuire a indirizzare maggiori risorse verso le migliori università, quelle che possono davvero consentire i benefici maggiori. Per questo bisogna consentire agli atenei che vogliono accogliere questi giovani di aumentare le rette universitarie e concedere loro completa autonomia per costruire una proposta educativa davvero eccellente. Rischia invece di essere poco produttivo ammettere oggi, in atenei che spesso arrancano, molti studenti non adeguatamente addestrati da una scuola che ha difficoltà a preparare il terreno su cui l'insegnamento universitario deve seminare. Queste aree di parcheggio, in cui studenti svogliati attendono un'offerta di lavoro, producono, nella migliore delle ipotesi, il fenomeno della over-education: giovani che hanno conseguito titoli di puro valore legale, per svolgere compiti per i quali basterebbero qualifiche inferiori. Senza contare poi che aver aumentato il numero di studenti universitari, assimilando gli atenei ai licei, ha richiesto la proliferazione di master e dottorati, che svolgono oggi le funzioni di una laurea del passato, al costo di tenere forse troppo a lungo i giovani fuori dal sistema produttivo. Sembra invece più efficace concentrare le risorse dove meglio possono dare buoni frutti: e poi con la torta prodotta da quelle risorse potremo redistribuire e finanziare anche il resto. Pagina 10 Michel Martone: abbiamo solo il 21 per cento dei laureati, mentre l'obiettivo europeo è del 40 per cento «Tutta colpa di modelli negativi come Corona» ROMA - Non è sorpreso del calo delle immatricolazioni all'università (-17% in lo anni) il viceministro del Lavoro, Michel Martone, che spesso si è distinto per uscite controcorrente sui giovani. Perché se l'aspettava? «Perché da un lato c'è un calo demografico che colpisce in particolare i giovani, dovuto al fatto che da troppo tempo non si fanno abbastanza figli, e dunque ci sta che la diminuzione della fascia di popolazione giovanile abbia conseguenze sul numero di coloro che si iscrivono all'università. Ma questo non basta a spiegare il fenomeno. Dall'altro lato, infatti, esso è un'altra manifestazione del disagio e della scarsa attenzione che c'è nei confronti della condizione giovanile. É un peccato che non se ne parli in campagna elettorale». II governo che cosa ha fatto? «Partiamo da una situazione strutturale difficile, perché abbiamo il 21% dei giovaropei di Lisbona dovremmo arrivare al 4o%. Insomma, pochi si iscrivono all'università e troppi vi rimangono troppo a lungo». E allora perché avete anche alzato le tasse universitarie? «Lo abbiamo fatto in particolare sui fuori corso. Chi non ha motivi di lavoro, di salute o comunque validi per andare fuori corso, è giusto che paghi di più, perché con le risorse che si recuperano si possono - dal finanziare più borse di studio». Insomma il problema sono di nuovo quelli che lei definì gli «sfigati» che a 28 anni non sono ancora laureati? «Una parte del problema sono i fuori corso che considerano l'università un parcheggio perché possono permetterselo. Dobbiamo scoraggiarli, per aiutare coloro che vogliono iscriversi e magari hanno bisogno di una borsa di studio». Ma i fondi per le borse di studio sono nc ." SU diminuiti, denuncia il Consiglio universitario nazionale. «Per aumentarli bisogna reperire risorse, come ho detto. E comunque non c'è solo un problema economico, ma anche di modelli culturali sbagliati». A cosa sì riferisce? «Si è diffusa l'idea che la laurea sia inutile. Questo non è vero, se si tratta di una laurea presa nei tempi giusti e con competenze spendibili anche all'estero. Purtroppo si affermano modelli negativi di successo immediato quanto effimero. Mi riferisco anche alle tante copertine su personaggi come Corona». Molti pero non vanno all'università perché non possono permetterselo. «Sì. Ma ci sono anche più di due milioni di giovani che non lavorano e non studiano. E tra questi anche coloro che inseguono modelli sbagliati invece di prepararsi a competere sul mercato globale con 4o milioni di lavoratori cinesi, indiani, brasiliani che aspirano al nostro tenore di vita». Enrico M arro ( RI PRODIIZI ONE RISERVATA Viceministro Michel Martone è professore universitario e viceministro al Lavoro La polemica In un convegno nel 2012 disse che «dobbiamo dire ai giovani che se non sei ancora laureato a 28 anni, sei uno sfigato». La frase suscitò polemiche Professore Michel Martone, 39 anni, è al governo dal novembre 2011 (Ansa) Mondo Universitario Pagina 11 Il rettore Vago «Da noi aumentano Anche oggi i dottori sono più competltiMM» «Come fosse scomparsa la Statale di Milano», dicono i professori del Cun , che aprono il dossier sull'emergenza università con il dato sul calo degli iscritti. E il rettore dell 'ateneo milanese, per cominciare , chiarisce : «Da noi le immatricolazioni sono in aumento e non abbiamo conti in rosso ». Poi, sulla fuga dall'università, posizione netta: «La laurea conviene ancora, anche ai tempi della crisi». Così Gianluca Vago, da tre mesi alla guida dell'Università degli Studi, un ateneo che conta appunto 65 mila iscritti e duemila docenti. «Chi ha una preparazione universitaria anche oggi ha un vantaggio competitivo rispetto a un diplomato, la differenza si vede negli stipendi . Poi resta il fatto che il tessuto produttivo adesso assorbe poco e l'investimento può apparire più rischioso . Per questo si pu ò provare a modificare l'offerta formativa . Ma l'obiettivo resta sempre quello di aumentare il numero 4 di laureati e avvicinarsi alla media europea». La Statale quest'anno ha superato i tredicimila iscritti, nel 2002 erano ti poco più di dodicimila le matricole . La crisi non colpisce tutti nella stessa misura. Il dato cambia Gianluca Vago per facoltà, per corso. «E per area geografica, il territorio incide. Gli atenei del Centro-Sud risultano più in difficoltà». Mancano risorse a tutti gli atenei, ma alcuni riescono più di altri a ottenerne dall'estero e dalle imprese. «La compressione del Fondo di finanziamento ordinario mette tutte le università in difficoltà, anche noi, anche se non siamo in rosso, abbiamo un piccolo avanzo che andrà alla ricerca. Ed è vero che noi riusciamo ad accedere ai fondi di ricerca della Comunità europea e abbiamo maggiori opportunità di collaborare con partner privati, fondazioni e imprese. Gli atenei di Milano e Lombardia sono meno svantaggiate>. Resta il dato negativo delle borse di studio ancora in calo. «Per il diritto allo studio il taglio è stato drastico. Alcuni atenei dovranno alzare le tasse, noi quest'anno non lo abbiamo fatto. Per adesso rimoduliamo le fasce di reddito». f/ , ,, F. C. P RIPRODUZIONE RISERVATA Mondo Universitario Pagina 12 E gli atenei adesso incubano le giovani aziende Parte Speed Mi Up, ideato da Bocconi e Comune di Milano Le Università si danno da fare per `accelerare' la nascita di nuove imprese. Questa settimana ha visto la luce Speed Mi Up, ideato da Bocconi, Camera di Commercio e Comune di Milano, un incubatore per 20 start up e 4o professionisti. Fino al 29 marzo imprenditori under 35 potranno presentare la candidatura al bando per cinque imprese (w.speedmiup.it). Alla fine di febbraio partirà poi Enlabs dell'ateneo Mondo Universitario romano Luiss, che permetterà alle idee innovative di trasformarsi in iniziative economiche di successo (.luiss.it). Infine anche la Ca' Foscari di Venezia ha dato vita insieme a H-Farm a Contamination Lab, luogo fisico e piattaforma digitale, a metà tra il laboratorio universitario e l'incubatore. Irene Consigliere C RIPRODUZIONE RISERVATA Pagina 13 La scimmia da volto umano Una nuova specie. Che ci assomiglia più di ogni altra. L'ha scoperta una scienziata Usa nel cuore del Congo. Ecco il suo racconto DI GIOVANNI SABATO Q uando si dice una bella scoperta, da tutti i punti di vista. È bella Lesula, la nuova scimmia scoperta nel cuore geografico della Repubblica Democratica del Congo, in una delle ultime aree del pianeta che ancora oggi possono davvero dirsi inesplorate. La vedete qui a fianco: grandi occhi nocciola, nasino caucasico. A dimostrare esteticamente come tutti i primati siano la declinazione, con poche diferenze, dello stesso genoma. Non solo: un nuovo primate è una faccenda eccezionale. Solo in un'area così remota, in un fazzoletto grande come il Lazio (17 mila chilometri quadrati) perso tra le sterminate foreste senza strade trai fiumi Lomami eTshuapa, poteva nascondersi sconosciuto un cugino così vistoso, che con il suo sguardo e i suoi colori ha conquistato le cover scientifiche di tutto il mondo. Ma questa è una bella scoperta anche per il modo in cui è stata fatta. I primatologi statunitensi Terese e John Hart, che da decenni battono il Congo per esplorare fauna e flora, non l'hanno trovata nel corso di un'avventurosa spedizione nel folto della foresta, ma a casa del direttore di una scuola nella cittadina di Opala,che con 15 mila abitantièl'affollatocapoluogo della regione. Era proprio in giardino, a fare da animale da compagnia alla figlia del preside: l'aveva ricevuta in dono, ancora cucciola, da un familiare che ave- Mondo Universitario va ucciso la madre per venderla come carne alimentare. «Si era affezionata alla bimba e giocava con i cani e le capre», racconta Terese Hart. La nuova specie, insomma, è stata una scoperta per i] resto del mondo - e per gli scienziati della Lukuru Wildlife Research Foundation, un ente di ricerca naturalistica congolese che ha collaborato con i primatologi americani - ma era ben nota agli abitanti della zona. «Parlando con i cacciatori, ci siamo resi conto che la conoscevano benissimo», ci racconta Hart. Col senno di poi sembra difficile capire come un animale così vistoso possa finora essere sfuggito. «Gli abitanti sono pochi e viaggiano dirado », spiega ancorala scienziata: «Le scimmie che escono da quest'area sono quelle vendute dai cacciatori ai due grandi mercati di carne della regione, Kisangani and Kindu. Ma sono lontani, perciò le carcasse vengono affumicate e non sono facili da distinguere dagli altri cercopitechi». Lesula è infatti un cercopiteco, molto simile a un altro che vive nella regione, in un'area separata però da due grandi fiumi: Cercopithecus hamlyni. L'incontro casuale con la scimmia dal Pagina 14 acquistate nei villaggi, stando bene attenti a non mostrarci troppo interessati e non comprarle mai tutte per non incentivare la caccia. E infine abbiamo iniziato a osservarle dal vivo in natura, mentre ci sfrecciavano fugaci davanti ogni volta che cercavamo di avvicinarci. Sono molto timide e, cosa insolita, si muovono per lo più a terra», racconta Hart. Perle analisi il team ha chiamato a raccolta esperti di ogni genere: primatologi e genetisti della New York University, antropologi dalla Florida, morfologi da Yale, e un audiologo per confrontare le esplosioni di grida che i cercopitechi emettono in coro al sorgere del sole. La conclusione, presentata infine su "Plos One", non lascia dubbi: è una specie a sé stante, che dal fiume Lomami ha preso il nome Cercopithecus lomamiensis. Lo dice il Dna. Lo dicono i profili acustici delle grida, i dettagli del cranio come le orbite degli occhi e alcuni denti. E, a noi profani lo dice soprattutto l'aspetto. TERESE HART. SOPRA: LA NUOVA SCIMMIA TANZANA LOPHOCEBUS KIPUNJI. A SINISTRA: LESULA (CERCOPITHECUS LOMAMIENSIS) volto umano i coniugi Hart lo hanno avuto nel 2007, ma solo oggi annunciano la scoperta. Perché quella che giocava nel giardino del preside era una giovane femmina. «I giovani ingannano, possono avere un aspetto diverso dagli adulti», spiega Hart: «E una nuova scimmia non è cosa di tutti i giorni». Solo un'altra è stata scoperta in Africa negli ultimi 28 anni, la Kipunji della Tanzania. E un'altra ancora è stata trovata a Myanmar nel 2010, Rhinopithecus strykeri, anch'essa ben nota agli autoctoni perché è facilissimo vederla quando piove: ha le narici all'insù, e deve trascorrere le giornate piovose rannicchiata sotto qualche pianta con la testa fra le gambe, per evitare che l'acqua entri nel naso e la faccia starnutire. «Per questo prima di dare la notizia abbiamo aspettato di vederla crescere. E abbiamo battuto la foresta per cercarne altre e per capire diffusione e abitudini. Abbiamo raccolto le carcasse uccise da leopardi e aquile. Ne abbiamo Mondo Universitario Non è un caso che, mentre in Lesula ci piace vedere fattezze umane, la sua simile hamlyni, di uno spento grigio-nero, sia nota come "scimmia dalla faccia digufo". Decisamente più vivace, Lesula ha un mantello screziato biondo e bruno, con chiazze e righe che vanno dal rossastro al camoscio, dal crema al nero. I maschi di entrambe le specie hanno genitali e natiche di un brillante azzurro. Tutto ciò negli adulti, mentre i giovani sono molto meno vistosi, più chiari e uniformi. Curiosità a parte, il ritrovamento è importante su vari fronti. «La scoperta di un nuovo primate è rara e aiuta a capire le relazioni tra le specie e l'evoluzione di caratteri e comportamenti cruciali. Nel nostro caso, nessuno si aspettava di trovare una specie sorella di Hamlyni. E il fatto che sia terrestre farà quasi certamente riconsiderare l'origine dell'andatura a terra in queste scimmie», spiega Hart. Ma soprattutto Lesula è un ulteriore testimone, e un eccellente testimonial, della necessità di salvaguardare quest'area unica che sono le foreste equatoriali africane. Da anni si attende l'istituzione dì un parco protetto (vedi box). Qui le scimmie le mangiano e la loro carne costa meno di quella bovina, soprattutto per questo sono a rischio. Lesula è già stata classificata nella Lista rossa delle specie minacciate, stilata dall'Unione mondiale per la conservazione della natura: è "vulnerabile" al terzo dei sette gradini che vanno da "non minacciato" a "estinto". «Possiamo immaginare 10-11 mila esemplari di questa scimmia», spiega Hart: «La regione è remota e disabitata e per ora non è minacciata da miniere o disboscamento. Il pericolo sono i cacciatori: stringono Lesula in una morsa da nord, da sud, da est e da ovest, in un'area ristretta da barriere invalicabili, i due grandi fiumi e la savana». Le stesse barriere che probabilmente, isolandola, l'hanno fatta evolvere come specie a se stante, potrebbero ora decretarne la fine. ■ Un parco in attesa Quando gli Hart , dopo anni in altre zone del Congo , hanno iniziato a lavorare qui nel bacino detto TL2, dai fiumi Tshuapa , Lomami and Lualaba , questa era l'area più ignota del Paese. Una parte non era mai stata esplorata biologicamente . Dal 2007 a oggi sono state osservate molte specie rarissime , parecchie della quali endemiche : il bonobo (il cugino congolese dello scimpanzé ), la giraffa della foresta pluviale , l'okapi ( un parente della giraffa di aspetto simile a una zebra) e il raro pavone del Congo . Sono state scoperte nuove piante . E l'ipotesi è che ci siano diversi nuovi primati . Anche se gli scienziati chiariscono che, una volta avvistati , serve molto lavoro per chiarire se siano nuove specie , varietà di specie già note , o ibridi. Grazie agli sforzi dei coniugi Hart , della Lukuru Foundation congolese , e di altri team come la Canadian Ape Alliance , che hanno rivelato lo straordinario patrimonio di biodiversità nascosto tra queste foreste , sono partite le iniziative per dichiarare la zona parco nazionale . A fine 2011 i governatori delle due province interessate ne hanno approvato l'istituzione , e ora si attende la decisione finale del presidente . « Il mondo ha la rara occasione di salvaguardare e proteggere dallo sviluppo un habitat naturale che è ancora oggi pressoché intatto », ha dichiarato il fondatore della Canadian Ape Alliance , Kerry Bowman. Pagina 15 MENO ISCRITTI, PIO QUALI TA Atenei, scappano in 60 míla Era ora: meglio poch i ebuoni d i Giuseppe De Bellis Cala il numero degli iscritti all'università. Finalmente. Forse avete già sentito ipianti di un sacco di gente, dipolitici, professori, studenti che dicono no, questa è tutt'altro che una buona notizia. L'hanno chiamato (...) segue a pagina 16 ilv -Ticrna,lz ;v ' Mondo Universitario T R1ILAONTI E ScRSwNI lIT€ SUIBOTTINO Pagina 16 ® I l commento ERA ORA, VINCE LA L.CA. -,-- «POCHI MA B UO I» dalla prima pŒina (...) allarme, emergenza, paura, disastro. È lo strabismo dell'educazione, la depravazione dell'egualitarismo, è il pianto dei fanatici dell'università per tutti e l'università a tutti: quasi 60mila iscritti in meno negli ultimi anni possono voler dire un mucchio di cose. Una di queste è quella che tutti coloro i quali piangono non vogliono vedere: l'anomalia dell'università italiana era (ed è ancora) il sovrannumero degli studenti. Troppi giovani iscritti solo perché non sanno che fare. Gli atenei-parcheggio, abbiamo imparato a chiamarli. Posti nei quali passare quattro, cinque, a volte dieci anni senza magari arrivare neppure alla laurea. Lo dice un dato elementare: le iscrizioni calano, ma i ragazzi che arrivano alla fine in tempo aumentano. Nel 2001 erano il 10%, oggi sono il 39%. Niente niente che a rinunciare a iscriversi siano quelli che non sono motivati? sminuire il valore dell'intera università italiana. È esattamente quello che è successo. L'egualitarismo ha distrutto la qualità. Ora che hanno tagliato centinaia di corsi inutili, cala anche il numero degli studenti inutili. Prenderanno questi numeri per dire che è la sconfitta dell'Italia: è il contrario. Un Paese perde di più se ingolfa le proprie università di gente che non sa che cosa fare e quindi fa finta di studiare. Il resto viene dopo: chiedete a un laureato che finisce a lavorare in un call center se si ricorda delle centinaia di amici e conoscenti che vedeva di sfuggita in ateneo a far nulla. Poi chiedetegli se è felice o no che le università si svuotino di scansafatiche. Questi dati non sono preoccupanti, no. Sono confortanti. Ci spingono più vicini agli altri Paesi civili. Così come il fatto che alcune facoltà perdono più di altre. Per esempio: Lettere e Filosofia ha avuto un'emorragia di 25mila studenti. È il mercato: se offri meno sbocchi professionali sei meno appetibile. Finalmente. Invece no: anche qui un sacco di allarmi. I numeri che ci devono spaventare sono altri: le lauree che sono sempre troppo poche rispetto agli iscritti (nonostante il calo), la scarsa considerazione che la nostra istruzione universitaria ha nel mondo. Ecco, per migliorare ci sono molte strade e una è pregare che continui quello per cui tutti piangono: il calo degli iscritti. A non andare all'università saranno quelli meno motivati. Così chiuderanno altri corsi inutili, così andranno a casa molti professori inutili. E l'università sarà per chi la vuole davvero, chi la merita davvero, chi la sopporta davvero. L'evoluzione della specie, l'evoluzione dello studio, l'evoluzione della società, l'evoluzione di un Paese. Giuseppe De Bellis Il diritto allo studio è una cosa meravigliosa, ma è quanto di più demagogico ci sia. L'università per tutti è un ossimoro. Non esiste in alcun Paese civile. Perché dovrebbe esserci da noi? Soprattutto: perché c'è stata? Abbiamo moltiplicato gli atenei perché diventavano l'ennesimo luogo per alimentare le clientele pubbliche e private, abbiamo aumentato a dismisura i corsi cosicché si aumentassero anche i posti per i professori. Il risultato è stato l'impoverimento della preparazione di docenti e studenti. Ci sono eccellenze che faticano a imporsi, e sapete perché? Perché ci sono troppe università. Che senso ha avere un ateneo in ogni provincia? Serve solo a disincentivare i migliori a scegliere le università migliori e, quindi, alla lunga, a Mondo Universitario Pagina 17 _"_-t ..' In dieci anni crollo delle matricole «Scomparsi» 6Omila studenti è come cancellare un ateneo Il «pezzo di carta» perde attrattiva. 4 crollare soprattutto le facoltà umanistiche, più affollate da eterni fuori corso: Lettere e Filosofia e Legge l'inchiesta di Giuliana De Vivo n tempo la si attaccava alla parete a fare bella mostra di sé, magari dietro una promettente scrivania. Oggi è chiaro che di scrivanie ne sono rimaste poche, le promesse sembrano destinate arimanere tali, e alvalore della laurea non ci crede più nessuno. Passi per quelle conseguite al termine di uno deinumerosissimicorsi, magaritriennali, ideati negli ultimi anni e sulla cui dubbia spendibilitànelmondo del lavoro si è spesso discusso: ilpunto vero è che a perdere appeal sono anche e soprattutto quelle facoltà da sempre circon- Anche chi studia pensa che non sia sufficiente a trovare un impiego date daun' aura diprestigio. Lettere e filosofia, matematica, architettura, giurisprudenza, scienze politiche: nel calo generale degli iscritti alle università italiane sono proprio queste a registrare una vera e propria emorragia di studenti. Addio sogni di carriera nelle case editri- Mondo Universitario ci, scoperte da premio Nobel, progetti di grattacieli con le archistar. Niente grandi studi legali internazionali né vite consumate viaggiando da un'ambasciata all'altra: il «pezzo di carta», per nobile che sia, non serve comunque, non è più un ticket con accesso diretto a stipendio e pensione. La sfiducia la raccontano i numeri: guardando agli ultimi quattro anni accademici, dal 2008 ad oggi il totale degli studenti negli atenei italiani è passato da 1.812261 a 1.751192 (dati Miur): un calo di oltre 61mila persone, più dell'equivalente di un intero ateneo. Ci si iscrive epoco dopo simolla, nella consap evolezza chela laurea da sola non sia più sufficiente a trovare unimpiego (lo ritiene, secondo un'indagine del gruppo San Pellegrino, il 56 per cento degli intervistati) e che le università italiane siano poco incisive nel favorire l'incontro tra domanda e offerta (come dichiara il 19 per cento del campione di studenti). Oppure i chiostri accademici si evita proprio di varcarli: in dieci anni, ha denunciato ieri il Consiglio universitario nazionale, gli immatricolati sono scesi del 17 per cento, passando dagli oltre 338mila dell'anno 2003/2004 ai circa 280rnila del 2011/2012. Meno 58mila nuovi iscritti, come l'intero ateneo Statale di Milano. La tendenzaè consolidata, confermata da uno studio di Almalaurea dello scorso anno secondo cui meno di un 19enne su tre comincia un corso universitario, mentre aumenta, tra coloro che ancora ci provano, la percentuale dei «poco motivati», che passa dal 10 per cento del 2004 al 14 per cento di oggi. Il primato spetta a lettere e filosofia che registra oltre 25rnila studenti in meno in quattro anni: quasi la metà della perdita complessiva. Crolla pure il mito dell'avvocato: gli aspiranti principi del foro sono 7965 in meno del2008. Evanno male altre due facoltà fino a un decennio fa frequentatissime: scienze politiche perde oltre 8mila studenti, architetturap oco meno di 7mila. Resistono quelle che ancora assicurano guadagni, come medicina e ingegneria, ma tra le scientifiche persi- no a matematica e fisica, che certo nell'immaginario comune non è proprio il covo dei «bamboccioni», gli studenti di oggi sono 3812 in meno che quattro anni fa. Il tutto in un Paese, il nostro, già ben al di sotto della media Ocse dilaureati: siamo al34esimo posto su 36. Le percentuali si alzano invece su fuori corso e «parcheggiati» all'università: il 33,6 percento non arriva a discutere la tesi entro i tempi prefissati, mentre il 17,3 per cento pur pagando letasse ha sempre lo stesso numero di esami sostenuti sul libretto. Pur essendo calato il numero dei discenti, il rapporto tra questi e i docenti è sempre di 18,7 a uno, contro la media Ocse è di 15,5. Scendono anchei dottoratidiricerca, lametà dei quali sono senzaborsa di studio.Insomma, l'Università italiana fa acqua da tutte le parti, con buona pace del «bollino di qualità» del ministro Profumo per valutare atenei, sedi e corsi. Pagina 18 Lettere e Filosofia --------------------------------- Giurisprudenza Architettura - -•------------------ : -- -- r scienze politiche --------------- • • mm L i. rM E M I soli corsi a tenere sono Medicina e Ingegneria In crescita Chimica Mondo Universitario Pagina 19 FUGA DALL'UNIVERSITÀ FUGA DALLA SPERANZA di Marco Politi mplode l'università nella nazione che ha Iinventato gli atenei. Cinquantottomila stu- denti, quasi un quinto della popolazione universitaria italiana, sono "spariti" nell'ultimo decennio. In sei anni è scomparso anche il 22 per cento dei professori. E come se l'Italia scoprisse che non c'è più la Statale di Milano. Non ci facciamo nessuna illusione. La notizia non durerà più di ventiquattr'ore, sepolta dalle buffonerie di Berlusconi, gli oracoli sussiegosi di Monti, i borbottii di Bersani su chi deve apparire in Tv, le farneticazioni di Maroni sul bottino fiscale, le urla di Grillo, le sparate di Ingroia. È come se la classe dirigente - ma cosa dirige? - di questo Paese avesse deciso di chiudere gli occhi dinanzi alla desertificazione sistematica delle prospettive per le sue nuove generazioni. L'ascensore sociale si è rotto. Ne parla qualcuno in campagna elettorale? Il precariato spietato taglia le prospettive di un futuro lavorativo, che abbia respiro. E ora la fuga crescente dalle università rivela che decine di migliaia di giovani non credono nemmeno allo studio come strumento per procurarsi lavoro, promozione sociale, felicità individuale. Fuggono questi giovani e hanno ragione. Una volta laureati non trovano sbocco e se vogliono accettare qualsiasi mestiere, le aziende li rifiutano perché "al di sopra" dei requisiti richiesti. L'Italia dei giovani è in un tunnel e sulla scena politica affollata di discussioni vacue non c'è nessuno con il coraggio di indicare un New Deal, una nuova frontiera, un programma che rovesci le tavole del declino strutturale. È indubbio che l'università italiana - ingolfata da troppe sedi nate per ambizioni locali, troppi corsi di laurea fantasiosi e aspiranti docenti - avesse bisogno di una razionalizzazione. Ma qui è in corso un fenomeno diverso. L'impoverirsi culturale di un intero Paese e la perdita di energie intellettuali, che sono vitali anche per la produzione e l'innovazione. Un collasso catastrofico. Già oggi l'Italia è sotto la media dell'Ocse per numero di laureati (al 34esimo posto su 36 paesi!) e i dottorati sono sotto la media dell'Unione europea. Povertà materiale più povertà intellettuale: una recessione perfetta. i N,1 i 16rW, DA 68011I Ilü\rPDDiQ1na IIII II uI Mondo Universitario Pagina 20 IVANO D I O NI G I II rettore di Bologna : " É una Caporetto Per anni ignorato il diritto allo studio" a caporetto dell'università italiana. LA commentare le statistiche pubblicate ieri e che vogliono un calo di 58 mila iscritti in meno in dieci anni, per un calo complessivo del 17%, è Ivano Dionigi, rettore dell'antica Università di Bologna, il primo Ateneo del mondo Occidentale dice la storia. Il dato è allarmante e spaventa primo fra tutti le istituzioni. A calare sono i professori e gli immatricolati, ma anche il numero dei dottorandi insieme alle borse di studio che vengono erogate: "Il documento spiega Dionigi - non coinvolge l'Alma Mater, ma questo non attenua la preoccupazione e l'allarme per lo scenario nazionale. Il rilevante calo complessivo degli studenti ha una causa e un effetto". Ci sono responsabilità ricorda il rettore, e questo è il momento per dare un nome cognome ai problemi che hanno fatto sì che l'Italia degli studenti si riducesse in Mondo Universitario queste condizioni. "La causa è la mancata politica del diritto allo studio e l'effetto è il progressivo deperimento culturale e civile del Paese". Diminuiscono gli iscritti e i ragazzi che decidono di iscriversi all'università per avere una laurea, ma quella che sembra una vera e propria disfatta dell'università coinvolge non solo le matricole, ma anche i professori. "Quanto al calo altrettanto rilevante del numero dei docenti - ci tiene a sottolineare il rettore Dionigi, preoccupato nei toni e nelle considerazioni - o si toglie il vincolo del 20% del turnover imposto dalla spending review o sarà la Caporetto dell'università pubblica. Se qualcosa non cambia il problema continuerà ad aggravar- si, noi rappresentanti istituzionali dobbiamo essere allarmati per questa situazione. È l'unico modo per avere una soluzione". Ivano Dionigi , è fermo e deciso nelle sue dichiarazioni forte dei risultati del suo ateneo , dove il calo invece non è stato registrato : "L'Alma Mater registra con soddisfazione un incremento delle immatricolazioni dell'1% nell'arco dell'ultimo triennio e del 6 % nell'arco degli ultimi 5 anni e addirittura l'aumento, a carico dell' Ateneo , del 10 % dei fondi destinati al diritto allo studio". E lo stesso vale per gli insegnanti : "Il calo del corpo docente è stato contenuto rispetto al dato nazionale, ovvero 100 unità in meno in 3 anni pari ad una flessione del 3,4%". In termini assoluti si è passati da 2.942 docenti nel 2010 a 2.842 nel 2012". Buoni risultati che vengono direttamente dall'Università di Bologna, ma che sono una tiepida conquista se paragonati con la tendenza generale del paese . E di fronte alla disfatta , qualcuno deve prendere in roano la situazione perché noti la situazione non precipiti ancora. e.liu. Pagina 21 2012 , deserto u niversità: persi 58 m ila studenti CROLLANO GLI ISCRITTI NEGLI ATENEI ITALIANI: IN DIECI ANNI Ê COME SE FOSSE SCOMPARSA L'INTERA STATALE DI MILANO Q uasi il 77% degli italiani si rivolge ad un intermediario già conosciuto per tro- vare un lavoro: amici, parenti, sindacati. Le tasse aumentano e le borse di studio calano, così come le opportunità d'impiego. Perché allora scegliere l'università? In dieci anni se lo sono chiesto molti ragazzi che hanno rinunciato a salire su un'ascensore sociale basato sul merito (o alme- Nel 2009 le borse di studio nazionali coprivano 1'84% degli aventi diritto, nel 2011 appena il 75% no che dovrebbe esserlo) e l'Italia ha perso 58 mila studenti, pari all'intero numero di iscritti all'Università Statale di Milano. Il dato è stato diffuso dal Consiglio universitario nazionale e non è l'unico a far parlare di "emergenza nazionale" visto che il segno negativo compare anche accanto alle voci laureati, dottorati, docenti e, naturalmente, fondi. L'ateneo di Bologna, unico in controtendenza, Mondo Universitario ha registrato un incremento delle immatricolazioni dell'l% nell'arco dell'ultimo triennio, del 6% nell'arco degli ultimi cinque anni e addirittura l'aumento, a carico dell'Ateneo, del 10% dei fondi destinati al diritto allo studio. Ma non basta a dipingere un quadro rassicurante. Il calo delle immatricolazioni riguarda la gran parte degli atenei e la verità è che ai diciannovenni, il cui numero è rimasto stabile negli ultimi 5 anni, la laurea interessa sempre meno: le iscrizioni sono calate del 4% in tre anni, passando dal 51% nel 2007-2008 al 47% nel 2010-2011. Non va meglio sul fronte dei laureati: l'Italia è largamente al di sotto della media Ocse (34° posto su 36 Paesi) e soltanto il 19% dei trentenni possiede una laurea contro il 30% in Europa. Il 33,6 % degli iscritti è fuori corso e il 17,3% non fa esami. Al calo dei laureati contribuisce anche la diminuzione delle risorse per finanziare le borse di studio: nel 2009 i fondi nazionali coprivano l'84% degli studenti aventi diritto, nel 2011 il 75%. MA L'EMORRAGIA non è solo di studenti. In soli sei anni (2006-2012) il numero dei docenti si è ridotto del 22%. Nei prossimi tre si prevede un ulteriore calo degli insegnanti di ruolo. Contro una media Ocse di 15,5 studenti per docente, in Italia la media è di 18,7 (inclu- dendo sia gli strutturati che quelli a contratto). Per non parlare dei soldi: dal 2001 al 2009 il Fondo di finanziamento ordinario (Ffo) è rimasto stabile, per poi scendere del 5%o ogni anno, con un calo complessivo che per il 2013 si annuncia prossimo al 20%. La tagliola Gelmini-Tremonti ha colpito orizzontalmente l'università pubblica con la Finanziaria del 2008. E su queste basi, in assenza di un qualsiasi piano pluriennale di finanziamento, moltissimi atenei a rischio dissesto non possono programmare la didattica nè le capacità di ricerca. ALLARME lanciato anche dai rettori: "Il taglio di 400 milioni di euro al Fondo di finanziamento ordinario per l'anno 2013 provocherà - avevano avvertito a dicembre - una situazione di crisi gravissima e irreversibile per il sistema universitario italiano". La denuncia del Cun ha trovato una sponda nelle associazioni studentesche. "Vogliamo ricordare che le tasse universitarie sono raddoppiate in appena dieci anni e sia il sistema universitario sia il diritto allo studio pesano sempre più sulle spalle degli studenti" ha osservato l'Udu e Link ha denunciato la "totale assenza di soluzioni ai problemi dell'Università italiana all'interno del dibattito elettorale attualmente in corso". Il Partito democratico è l'unico ad aver promesso che il primo provvedimento al governo riguarderà il diritto allo studio, ma per ora resta il fatto, conce ha sottolineato il presidente del Cun, Andrea Lenzi, che "la costante, progressiva e irrazionale riduzione delle risorse finanziarie e umane destinate al sistema universitario ne lede irrimediabilmente la capacità di svolgere le funzioni di base, di formazione e ricerca". C.P. La statale di Milano . In basso, il rettore Ivano Dionigi Ansa Pagina 22 GLI IMMATRICOLATI in dieci anni sono scesi da 338.482 (2003-2004) a 280.144 (2011-2012), con un calo di 58.000 studenti (-17%). Ma a rischio non è solo l'università, anche la ricerca: a forte rischio obsolescenza le attrezzature dei laboratori perla decurtazione dei fondi: anche i finanziamenti Prin, cioè i fondi destinati alla ri- cerca libera di base perle università e il Cnr, subiscono tagli costanti: si è passati da una media di 50 milioni all'anno ai 13 milioni per il 2012. Dai 100 milioni assegnati nel 2008-2009 a progetti biennali si è passati a 170 milioni per il biennio 2010-2011 ma per progetti triennali, per giungere a meno di 40 milioni nel 2012. Il blocco del turn over ha causato il 22% di docenti in meno Mondo Universitario Pagina 23 RAPPORTO CUN Docenfl al minimo storico Docenti universitari verso il minimo storico. Tra i tagli dei finanziamenti che arrivano da Roma (Ffo), le assunzioni bloccate e i vincoli legislativi sul reclutamento, per il personale docente si parla di un vera emorragia. Negli ultimi sei anni, come rileva uno studio del Consiglio universitario nazionale (Cun) su quelle che definisce «le emergenze del sistema», il numero complessivo dei prof si è ridotto di oltre il 20%. E le cose non sono destinate a migliorare nell'immediato futuro, seppure attualmente in corso le prime selezioni per la nuova abilitazione nazionale stabilita dalla riforma universitaria. Terminate quest'ultime (non prima di luglio), spetterà infatti ai singoli atenei effettuare le selezioni sugli idonei non prima di avere calcolato i recenti vincoli normativi stabiliti dal decreto legislativo 49112 che ha fissato un tetto alla spesa per il personale e all'indebitamento in percentuale alle entrate, rispettivamente all'80 e al 10%. A subirne le dirette conseguenze sono stati anche i corsi di laurea, diminuiti di oltre 1.000 sempre negli ultimi sei Mondo Universitario anni. E se tale riduzione inizialmente è stata dovuta ad azioni di razionalizzazione adottate dagli atenei e indicate dal Cun, ora è invece imputata proprio alla pesante riduzione numerica del personale docente. Ancora di segno costantemente negativo dal 2001 al 2009, poi, il Fondo di finanziamento ordinario (Ffo) che il Cun ha calcolato in termini reali aggiustati sull'inflazione. L'Ffo infatti è rimasto quasi stabile dal 2001 sino al 2009, per poi scendere del 5% ogni anno, con un calo complessivo che per il 2013 si annuncia prossimo al 20%. Su queste basi e in assenza di un qualsiasi piano pluriennale di finanziamento moltissime università, a rischio di dissesto, non possono programmare la didattica né le capacità di ricerca. Insomma, denuncia Andrea Lenzi presidente del Cun, questa «costante, progressiva ed irrazionale riduzione delle risorse finanziarie ed umane destinate al sistema universitario ne ledono irrimediabilmente la capacità di svolgere le sue funzioni di base, di formazione e ricerca». Pagina 24 Università devastata di DAVIDE GIACALONE L'università italiana viaggia in retromarcia, registrando un continuo calo delle immatricolazioni (...) segue a pagina 19 I Mondo Universitario IL G!ALLO DELLA SANCA COMPRATA TRE VOLTE Pagina 25 Per ripartire serve più meritocrazia Atenei pessimi e del tutto inutili Solo la sinistra riesce a difenderli segue dalla prima DAVIDE GIACALONE (...) (-17%a in dieci anni, 50.000 studenti in meno). Colpa del calo demografico? Niente affatto: colpa della dequalificazione degli studi e della loro percepita inutilità. Da qui un apparente paradosso: abbiamo l'università meno selettiva, diamo la promozione anche a chi considera il congiuntivo una malattia oculare, ma abbiamo un numero bassissimo di laureati (19% fra i 30 e i 34 anni, contro il 30% della media europea, siamo al posto 34 su36 paesi Ocse). Capita perché se la laurea non consente l'accesso al mondo del lavoro e non promette di guadagnare assai più degli altri, finisce con l'essere un pezzo di carta, ed è ragionevole che i feticisti del titolo non siano numerosi. Le cattedre sono feudi i cui signorotti non producono cultura (ne abbiamo di bravissimi, ma sono osteggiata minoranza). La spesa è quasi tutta corrente. L'opacità totale. Molte università, nel mondo, pubblicano i risultati ottenuti da ciascun professore e i redditi poi raggiunti dai loro studenti. Noi: zero. Non solo il calo demografico non c'entra nulla, ma dovrebbe essere largamente compensato dall'afflusso di studenti dall'estero, se solo trovassero qualità. Invece ciò accade solo in pochi atenei. Semmai il flusso è opposto: i nostri giovani più premettenti prendono la valigia, cosi riproducendo una selezione per censo. Dato che l'istruzione costa, nel mondo. Da noi no, le tasse sono basse e per il resto si prendono i soldi dalla fiscali tà generale, sicché i poveri finanziano i ricchi. Così perdiamo terreno non solo sulla Mondo Universitario frontiera tecnologica, ma anche in arti dove dovremmo dominare. Per spezzare il maleficio ci vogliono iniezioni massicce di meritocrazia. Perché funzionino fra i banchi è necessario che partano dalle cattedre. Molti di quelli che le occupano dicono: abbiamo vinto un concorso. Risposte: a. non sempre è vero; b. chi se ne frega. Brutale? Può darsi, ma l'interesse da tutelare è quello degli studenti, non quello di chi pretende la sicurezza del posto in un mondo che può funzionare solo a condizione di non dare sicurezza a nessuno. Se sei bravo produci scientificamente e sai forviare chi frequentai tuoi corsi. Non devi dimostrarlo una volta nella vita, ma ogni giorno. Troppo faticoso? Avanti un altro. Stesso discorso per i finanziamenti: i soldi vadano dove rendono. Una cattedra, un ateneo, una sede distaccata che non producono cultura sono un doppio spreco, che non va finanziato. Basta dire queste cose e trovi una pletora di dipendenti universitari che salgono sul tetto e occupano le sedi. Ricordo ancora il ghigno soddisfatto di un Bersani che li raggiungeva, arrampicandosi su una scaletta e morsicando il sigaro. Sono scesi, hanno ottenuto quello che volevano, non è cambiato nulla ed ecco il risultato: gli studenti se ne vanno. La prima università italiana compare dopo il centesimo posto del ranking mondiale. Abbiamo reagito con orgoglio, chiamando i professori che le animano a governare l'Italia. Loro hanno aumentato le tasse per comprimere il debito pubblico, che è cresciuto. Gli studenti che possono si sono iscritti altrove. Pagina 26 Italia al 34esimo posto in Europa Fuga dall'Università: 6Omila iscritti in meno La laurea non offre più il pass per trovare lavoro e così interessa sempre meno ai giovani: in dieci anni calati del 17% ::: CHIARAPELLEGRINI ENE Gli iscritti alle università in dieci anni sono diminuiti del 17%, passando dal 338.482 immatricolati (anno accademico 2003-2004) a 280.144 (anno accademico 2011-2012), un calo di 58.000 studenti. In pratica, denuncia il Cun (Consiglio universitario nazionale) che ha diffuso i dati, «è come se in un decennio fosse scomparso un in Cero ateneo di grandi dimensioni come la Statale di Milano». La laurea in Italia interessa sempre meno. Le iscrizioni sono calate del4% in tre amni, passando dal 51% nel 2007-2008 al 47% nel 2010-2011. Come se non bastasse facciamo una pessima figura an che in Europa. Siamo al di sotto della media Ocse dei laureati: al 34° posto su 36 Paesi (anno 2012). Mondo Universitario Solo il 19% dei30-34enni possiede una laurea, contro una media europea del 30% (rilevazione al 2009).1133,6 % degli iscritti ai corsi di laurea, infine, è fuori corso mentre il 17,3% non fa esami. Non solo. Il numero dei laureati nel nostro Paese è destinato a calare ancora anche perchè, negli ultimi 3 anni, il fondo nazionale per finanziare le borse di studio è stato ridotto. Nel 2009 i fondi nazionali coprivano 1'84%n degli studenti aventi diritto, nel 2011 il 75%. Calano gli studenti e calano anche i docenti. In sei anni (2006/2012) il numero dei professori si è ridotto del22%o. Nei prossimi 3 anni si prevede un ulteriore calo dei docenti di ruolo. Contro una media Ocse di 15,5 studenti per docente, in Italia la media è di 18,7 (includendo sia i docenti strutturati che quelli a contratto). Pochi iscritti, laureati con il contagocce che inseguono dottorati senza borse di studio, morale: universi Là vuote.Tutta colpa della crisi? Solo in parte. I recenti dati Istat confermano che i giovani italiani preferiscono il diploma alla laurea, perché crea più rapidamente occupazione. Ma è purvero che i numeri del Cun si riferiscono agli ultimi dieci armi, quando la recessione era ancora lontana. E dunque perché tanta disaffezione? Maggiore attenzione forse andrebbe posta nelle annuali "hitparade" delle migliori università del mondo. Nella "Times High Education World Universi ty Rankings", classifica che mette in fila le migliori 400 università del pianeta, puntualmente gli atenei italiani non si piazzano mai prima del 200esimo posto. Nell'ultimo ranking (2011) bisogna scendere nella fascia tra 226° e 250° posto per trovare atenei come Università di Bologna, Statale di Milano, Università Bicocca Milano e Università di Padova. Un disastro. E pensare che le tasse italiane sono le terze più care d'Europa, conuna media che supera i 1100 euro. A pagare più di noi solo nel Regno Unito e i Paesi Bassi. Nell'anno 2011- stando ai numeri forniti dalla banca dati economica del Miur (Ministero dell'istruzione, università e ricerca) - un professore ordinario a tempo pieno è costato 90.970 euro. Dividendo la somma per 13 mensilità si ottiene la retribuzione mensile: 7 mila euro lordi, circa4.021 euro netti. Conlasinistra che sale anche sui tetti a difendere questa università. Pagina 27 Bando per creare ï docentì Due concorsi in ENRICO PAOLI 1010 10 E mentre le aule si svuotano, con gli studenti in fuga, le sale dei professori rischiano di riempirsi di altri docenti. Perché il governo dei tecnici, quello che ha creato gli esodati, non ha saputo rinunciare alla tentazione, tipica dei baroni, di confezionare un nuovo concorso per docenti universitari, per giunta a camere sciolte e a meno di un mese dal voto. Che c'è di male, si dirà, in fondo dopo anni in cui l'università italiana non apriva alla possibilità di new entrynei quadri docenti. E invece no. Perché questo nuovo concorso giunge appena due mesi dopo la chiusura dei termini di partecipazione alla identica procedura banditail 20 luglio 2012. Il concorso si chiama «procedura per il conseguimento dell'abilitazione nazionale per professori universitari di 1 e II fascia» (cioè ordinari e associati). Applicando la riforma Gelmini la procedura era stata banditaappunto J120 luglio 2012, potevano partecipare strutturati (ovvero ricercatori e associati) enonstrutturati (cioè chiunque in possesso dei requisiti richiesti) che presentassero titoli e pubblicazioni degli ultimi 10 anni, fino al 20 novembre. La legge dà alle commissioni nazionali cinque mesi, più due in caso di necessità, per completare i lavori di esame delle candidature e chi non ottiene l'abilitazione non Mondo Universitario mesi: aiutino governo ai professori può partecipare a concorsi per due anni, l'abilitazione duraper4 anni, se in questo lasso di tempo nessuno chiama l'abilitato, occorre rifare tutto. E allora che senso ha bandire il 28 gennaio una nuova procedura di abilitazione a soli sei mesi di distanza dallaprecedente concedendo ai candidati ben 8 mesi per presentarsi (si chiude il 31 ottobre 2013) contro i 4 concessi nel bando precedente? Non si sono liberate nuove cattedre e i candidati che avranno inseguito l'idoneità potranno essere chiamati su posti che si aprano fino all'ultimo giorno primadella validità della loro abilitazione. E allora? Facile. Per diventare ordinari occorrono fra le 20 e le 18 pubblicazioni (dipende dal settore concorsuale) e fra 14 e 12 per diventare associati, i partecipanti alla procedura del20luglio sono stati un numero spropositato, quindi le valutazioni saranno fatte fra coloro che hanno almeno il numero di pubblicazioni richieste. Il dubbio, legittimo, è che tutto ciò possa servire a sistemare chi era rimasto fuori alla data del 20 novembre. Magari perché non ave va il minimo richiesto per essere preso in considerazione nella folla strabocchevole di candidati. Altro dubbio legittimo. Così, nell'incertezza della data del prossimo concorso - il proposito sarebbe di farne uno all'anno, ma non è un obbligo - ecco subito una nuova opportunità per il "protetto" di turno che rischiava di non essere abilitato perché la sua pubbli cazione era in ritardo, magari di pochi mesi. Visto che ci siamo approfittiamone, devono essersi detti i tecnici-professori, ed ecco il nuovo inatteso e inutile concorso che moltiplicherà a dismisura la quantità di inutili abilitati. Altro dubbio legittimo. Ultimo dettaglio. Il nuovo bando è uscito immediatamente dopo la nomina delle commissioni giudicatrici, magari ci è finito dentro qualche amico che non trascurerebbe l'allievo di qualche "tecnico". Ovviamente nel rispetto dei requisiti minimi. Non siamai... Pagina 28 STUDENTI • Il Cun denuncia 50 mila studenti iscritti in meno negli ultimi 10 anni e il calo del 22% dei docenti dal 2006 Requiem perad@ l' unamob iversità riformata Roberto Ciccarelli I 1 Consiglio Universitario Nazionale (Cun) celebra il requiem delle riforme che hanno stravol- to l'università italiana negli ultimi vent'anni. II documento licenziato ieri dall'organo di consulenza del ministero dell'Istruzione composto da 58 membri ha denunciato il calo di 58 mila studenti tra il 2003 e il 2012, pari al 17%. In dieci anni i nuovi immatricolati sono scesi da 338.482 a 280.144. Per il Cun «è come se fosse scomparso un ateneo grande come la Statale di Milano». Un crollo che non è stato compensato dall'ingresso degli studenti stranieri che hanno registrato una crescita da 8.252 a 11.510. A cascata, diminuisce la percentuale dei diplomati che si iscrivono all'università. Dal 68% del 2007-8 al 61% del 2011-2. Per il Cun queste flessioni sono dovute «all'andamento negativo del ciclo economico» e alla «diminuizione delle opportunità occupazionali per i laureati». Il titolo di laurea non garantisce l'accesso ad un lavoro perché il «mercato del lavoro pubblico e privato non sempre riconoscono il valore di un'elevata qualificazione scientifica e professionale». Lo ha confermato un rapporto sulle economie regionali di Bankitalia che ha illustrato il «disallineamento» tra le competenze acquisite nel corso di studio e le mansioni svolte sul luogo del lavoro. Circa il 40% dei laureati tra i 24 e i 35 anni svolge un lavoro a bassa o nessuna qualifica. In compenso Coldiretti ha rivelato ieri che il 6,2% dei capi azienda nel settore agricolo ha frequentato facoltà diverse da agraria. I taglio dei fondi voluto da WID rl oni e Monti provocherà il default di 20 atenei nio, ce ne sono altri che seppelliscono l'ultima, quella Gelmini, che ha agito sulla riduzione dell'offerta formativa e sulla rimodulazione dei dipartimenti e dei corsi di laurea. La battaglia contro la proliferazione dei corsi di laurea e delle sedi decentrate degli atenei, per l'allora «meritocratico» ministro al governo fonti di «sprechi» e specchio del desiderio della classe accademica di moltiplicare i pani e le cattedre, ha conseguito dei risultati. In sei armi ne sono stati tagliati 1.195, sono scomparsi 84 corsi triennali e 28 corsi specialistici/magistrali. Il taglio di almeno 960 milioni al fondo degli atenei voluto da Tremonti e Gelmini tra il 2010 e il 2012, quello di 300 milioni della legge di stabilità di Monti e Profumo nel 2013 provocherà, con ogni probabilità, il default di 20 atenei. Quest'anno il totale del finanziamento statale erogato ogni anno sarà inferiore alla somma delle spese fisse a carico dei singoli atenei. Al deliberato progetto di ridimensionare l'università pubblica si è aggiunto il blocco del turn-over che ha ridotto il numero dei docenti del 22%. E nei prossimi 3 amni il Cun prevede un ulteriore calo. In questo modo aumenterà la media del rapporto tra docenti e studenti al 18,7% con- tro una media Ocse del 15,5. Come hanno più volte denunciato gli studenti, e i ricercatori, che sino che hanno manifestato il loro dissenso dal 2008 fino allo scorso autunno, quello in atto è un vero testacoda. Alla crisi del «mercato» del lavoro qualificato, lo Stato reagisce tagliando le risorse strategiche. In questo scenario di precarizzazione indiscriminata bisogna inserire anche le nonne contenute nel decreto sulla programmazione triennale dove il Miur annuncia che proseguirà con la fusione tra due o più università, eliminando i corsi di laurea «non sorretti da adeguati standard di sostenibilità». Il presidente del Cun Andrea Lenzi chiede alla «politica» di rifinanziare l'università. Stessa richiesta giunge da Domenico Pantaleo, segretario F1o-Cgil, secondo il quale i dati del Cun «danno la misura dell'impoverimento culturale del paese». Il Pd attribuisce il fallimento solo al governo Berlusconi e a quello Monti che ha sostenuto. Promette una legge a sostegno del diritto allo studio, annientato in questi anni. Lo chiamerà «Programma nazionale per il merito» con 500 milioni e vogliono riportare i «giovani in cattedra». A queste soluzioni non credono gli studenti del coordinamento Link che denunciano anche l'aumento delle tasse di 283 milioni in cinque anni: «Siamo indignati dalla totale assenza di soluzioni ai Di problemi dell'Università». «emergenza nazionale» parlano i ragazzi dell'Udu. In ventuno pagine il Cun illustra le conseguenze della frattura tra il mondo universitario e quello del lavoro. E traccia il profilo del fallimento delle riforme universitarie che, dal 2000 con la «Berlinguer-Zecchino» fino alla Gelmini, hanno cercato di tamponare un problema al quale nessuno fino ad oggi è riuscito a dare una risposta. A pochi anni dalla riforma del centro-sinistra l'Italia aveva già registrato una riduzione della quota di occupati tra i laureati, in controtendenza rispetto al complesso dei paesi dell'Unione Europea. In più, come oggi conferma il Cun, il numero dei laureati non è cresciuto a sufficienza per schiodare il paese dal 34° posto (su 36) della classifica dei paesi Ocse. Oggi tra chi ha trai 30 e i 34 anni solo il 19% possiede un diploma di laurea, contro una media europea del 30%. Se questi dati registrano il fallimento della riforma ad inizio decen- Mondo Universitario Pagina 29 M i/Z 1, iniry ró NNi U ba, k Wo/ ,o ` r, ml „v 8m/%r , 4 .. .. .. .. . ,,,,rmJ UNA LEZIONE AL POLITECNICO DI MILANO / FOTO EMBLEMA CONCORSON E • II Tar ammette 400 ricorrenti II ricorso al Tar dei Lazio dei sindacato della scuola Anief è andato a buon fine. Alla seconda prova scritta del «concorsone», in programma tra l'11 e il 21 febbraio, potranno partecipare altri 400 ricorrenti che alle prove preselettive del 17 e 18 dicembre scorsi hanno registrato un punteggio tra 30 e 34,5 punti. 1400 ricorrenti che hanno ottenuto il permesso, con riserva, di partecipare alla prossima prova non saranno gli unici. Non è infatti escluso che, oltre gli 88 mila candidati che hanno totalizzato almeno 35 punti su 50, saranno ammessi altre 100 mila persone. Questa è la cifra prospettata dagli esperti dell'Anief dopo la sentenza del Tar. II Miur ha fatto sapere negli ultimi giorni che è pronto a gestire un afflusso di 10 mila candidati in più rispetto a quanto stabilito. I candidati vincitori del concorso potranno presentarsi nelle scuole dove si effettuerà la prova esibendo il testo della sentenza del Tar. Mondo Universitario Pagina 30 Eurispes/IL IWPW2M FOT AF 4 I E A tIB[ L'iT 4L1 ;11 FI;EI RIS1, Il I paese è sempre piu povero cervelli scappano all'estero Giorgio Salvetti MILANO S empre più poveri e più vecchi. Costretti a indebitarsi e a risparmiare su tutto. E' questa la fotografia scattata dall'ultimo rapporto dell'Eurispes presentato ieri. Come sempre si tratta di uno spaccato che indaga la società italiana sotto molti punti di vista diversi, quello economico innanzi tutto, ma anche quello delle abitudini e degli orientamenti che cambiano in tempo di crisi. Una situazione esplosiva che, secondo il presidente di Eurispes, Gian Maria Fara, può comportare addirittura «un rischio di derive eversive» e «una stagione di conflitti la cui ampiezza, profondità e i possibili esiti non sono oggi valutabili». Fuga di cervelli Mentre la spesa per la ricerca rimane invariata all'1,26% del Pil, sono sempre di più i ricercatori che emigrano all'estero. Eurispes riprende i dati dell'Istat: tra coloro che hanno conseguito il dottorato di ricerca tra il 2004 e il 2006, il 7% nel 2010 ha lasciato l'Italia e il 13% ha intenzione di farlo entro un anno. Dal 2002 al 2011 i «cervelli in fuga» sono triplicati, soprattutto verso la Germania, il Regno Unito, la Francia, gli Stati uniti e il Brasile. Intanto il numero dei ricercatori che riesce a lavorare senza lasciare il paese continua a diminuire, in tutto sono 225.632 con un calo dello 0,4% rispetto al 2009. Eurispes, inoltre, cita anche uno studio del Boureau of ecouomic resarch che prende in considerazione il saldo nei vari paesi tra ricercatori in entrata e in uscita. I1 16,2% degli italiani cerca fortuna all'estero contro il 3% di stranieri che trovano lavoro nei nostri centri di ricerca. Totalmente opposta la situazione in Ger- Mondo Universitario Triplicati i ricercatori che vanno all'estero, mentre a casa un cittadino su due dichiara di non riuscire a sostenere la famiglia mania, Svizzera e Svezia, che registrano un saldo attivo, come anche la Francia (+4,1%) e la Gran Bretagna (+ 7,8%). Italiani low cost Chi rimane in patria, invece, è sempre più costretto a stringere la cinghia. I160,5% degli italiani per vivere deve intaccare i propri risparmi. L'80% dichiara che la situazione economica è peggiorata e per il 52,8% continuerà a peggiorare. Due terzi della popolazione pensa di non riuscire a mettere da parte nulla nel prossimo anno. 11 53,3% dice di non riuscire più a sostenere adeguatamente la propria famiglia. Il 35,7% della popolazione negli ultimi tre anni ha dovu- to chiedere un prestito (+9,5% rispetto allo scorso anno). Tra questi, il 62,3% è servito per pagare debiti precedenti. Nel 27,8% dei casi si ricorre a un prestito per la casa, ma nel 22,6% lo si fa per riuscire a pagare le spese mediche. Raddoppia e sale al 14,4% il numero di coloro che si indebitano con privati e che quindi rischiano di cadere vittima dell'usura. Inoltre si registra un boom dei «Compro oro», i negozi a cui si rivendono letteralmente i gioielli di famiglia, a loro si è rivolto il28,1% dei cittadini contro l'8,5% dell'anno passato. I163,4% degli italiani denuncia che il proprio potere d'acquisto è diminuito. Per questo si taglia su tutto, dai regali (90%) ai ristoranti (86,7%), alle uscite in generale (91,4% contro il 73,1 del 2012). Crescono coloro che devono ri corre a lavoretti saltuari (26,8%), mentre il 69,2% denuncia di soffrire la pressione fiscale e il 75% considera l'Imu una tassa ingiusta. I121% dei lavoratori per trovare occupazione ha chiesto una raccomandazione. E il 30%, anche se ha un impiego, deve continuare a chiedere aiuto alla famiglia. Famiglie a pezzi La crisi impatta sulle famiglie che sono sempre più in difficoltà. Da diversi anni i matrimoni diminuiscono e le separazioni aumentano al ritmo del 2-3% all'anno. La separazione comporta l'impoverimento di entrambi i partner e di conseguenza dei 100 mila figli che ogni anno vedono i genitori separarsi. Ma a pagare il prezzo più alto sono gli uomini. I padri separati sono circa 4 milioni e fra questi 800 mila rasentano la soglia di povertà. Temi etici Ma il rapporto Eurispes riserva anche una sorpresa. Sui temi etici gli italiani sembrano molto più liberali e progressisti della politica. Sono sempre di più i cittadini favorevoli al divorzio, alla tutela giuridica delle coppie di fatto e alla pillola abortiva. Ma anche al testamento biologico (77%), all'eutanasia (64,6%) e alla fecondazione assistita (79,4%). Pagina 31 Le relazioni Dericolose degli organismi Benedetto Vecchi L a modernità è una costruzione culturale che non coincide con il fatto che «noi non siamo stati niai moderni». E questa la ricezione del saggio che ha fatto conoscere Bruno Latour, storico della scienza, antropologo e attento etnografo della vita nei laboratori scientifici. Docente alla «Science Po Paris», Latour è una figura eccentrica nello statico panorama dei teorici della conoscenza francesi. Non nasconde di ispirar si a Gabriel Tarde, l'antagonista Emile Durkheim, il padre della sociologia francese che, negli ultimi anni, è stato riscoperto come l'anticipatore delle critiche al neoliherismo, in nome di una soggettività irriducibile alle forme di controllo sociale esercitate dallo stato o dalle imprese. E non fa mistero di essere uno dei fondatori della teoria sull'azione sociale che mette al centro il concetto di rete (Reasselnbling the social: an introduction to Actor-network theory, Oxford University Press). Autore di moltissimi saggi, alcuni dei quali tradotti in Italia - Non siamo mai stati moderni (Eleuthera), La scienza in azione (Comunità) - è ritenuto uno dei maggiori analisti della produzione scientifica in epoca moderna. II testo, scritto con Steve Woolgar, Laboratory Life: the Social Construction of Scientific Facts può considerarsi un vademecum per capire come l'industrializzazione della ricerca scientifica provochi una sorta di conformismo che inibisce la ricerca stessa. Recentemente, Latour non nasconde il suo interesse per il metodo olistico per «decrittare» la realtà, a partire dalla centralità della questione ecologica. Ospite dell'HangarBicocca, è stato relatore in un incontro sull'opera dell'artista Tomás Saraceno. Mondo Universitario In molti dei suoi libri , lei ha respinto con forza l'idea dello scienziato che, chiuso nel suo laboratorio , giunge a scoprire una qualche verità sul mondo. Ha spesso scritto che nell'era della produzione di massa , anche tra gli scienziati ci siano gerarchie e divisioni del lavoro . Da alcuni anni a questa parte , ci sono studiosi che sottolineano come la cooperazione , la condivisione delle informazioni , la flessibilità delle mansioni presenti , tipiche della ricerca scientifica siano le stesse del modo di produzione capitalistico contemporaneo. Cosa ne pensa di questa tesi? Non credo che ci sia un solo modo di lavorare nella ricerca scientifica e nelle imprese capitalistiche. Ce ne sono molti, e diversificati tra loro. È sempre stato così sia per l'attività scientifica che per la produzione di merci. Per quanto riguarda la scienza, segnalo che il lavoro dei ricercatori che studiano i movimenti degli iceberg che si staccano dall'Artico non ha nulla a che vedere con quanto può fare un vulcanologo in un'altra parte del mondo. E non c'è similitudine tra il vulcanologo e quanto fa un etnografo in Sicilia. Non mi convince in nulla invece la tesi che si possa comparare il funzionamento del Cem con quello di una fabbrica. La ricerca scientifica ha logiche diverse da quelle che presiedono la produzione di merci. Più interessante, invece, è quanto argomenta il movimento della «slow science». Da anni, molti studiosi affermano che la tendenza a standardizzare il lavoro dei ricercatori nuoce alla scienza. Far funzionare un laboratorio come una fabbrica è semplicemente assurdo. La proprietà intellettuale è un tema che ha occupato la scena nella discussione pubblica. Da una parte ci sono i suoi sostenitori, dall 'altra il movimento dell'open source ha come obiettivo la condivisione delle informazioni e della conoscenza . Cosa ne pensa del conflitto tra queste due visioni nella produzione e circolazione della conoscenza? Per quanto riguarda la proprietà intellettuale, non sono così convinto della sua centralità nella discussione pubblica. Certo, tra industrie discografiche, cinematografiche, del software e open source ci sono conflitti. Ma non così determinanti da condizionare quei settori. Ë invece scandalosa l'appropriazione da parte dell'industria editoriale della conoscenza prodotta grazie agli investimenti pubblici. Spesso accade che un articolo su una scoperta scientifica, finanziata con le tasse dei cittadini, venga pubblicato da una rivista e che per leggerlo si debba pagare. E accade spesso poi che quella rivista venga acquistata da una biblioteca pubbli ca. Il movimento della slow science, a cui partecipo come ricercatore sociale, studioso, docente di una università pagata con i soldi dei contribuenti, ha fatto proposte affinché sia impossibile questa appropriazione privata di conoscenza scientifica, prodotta con denaro pubblico. La scienza è una particolare forma di arte , sostengono alcuni studiosi . L'arte è una particolare forma di scienza , rispondono altri. Cosa ne pensa? In entrambi i casi ci troviamo di fronte a un errore. Chi alimenta la confusione tra arte e scienza ha la mente disturbata. Potrei dire che è un folle. Pagina 32 Eppure ci sono stati autori - ad esempio Pierre Bourdieu - che hanno sostenuto che il procedimento cognitivo per produrre un'opera d 'arte non sia molto diverso da quello manifestato da chi si occupa di ricerca scientifica. E Bourdieu non era certo un folle..... Questa è un'altra questione. Possiamo dire che sono due estetiche - nel significato originario del termine di «sensazione», di «percepire la realtà attraverso i sensi» - che hanno punti in comune. Solo questo però autorizza a stabilire confronti, omologie, similitudini tra scienza e arte. E solo questa accezione originaria del termine può dunque stabilire un rapporto. Ad esempio, gli scienziati discutono spesso dell'estetica degli strumenti usata; oppure di artisti che parlano della loro pratica come un lavoro di investigazione e scoperta del mondo. Sono convinto, però, che non ci siano altri punti di contatto tra queste due forme di attività. Sono invece convinto che tanto la scienza che l'arte possano contribuire a promuovere una sensibilità politica attorno al tema dell'ecologia. Per questo ritengo che le opere di Tomás Saraceno, oggetto dell'incontro in corso a Milano, nell'HangarBicocca, siano importanti proprio per stimolare questa attenzione. Detto questo, va respinta ogni confusione tra scienza e arte. La metropoli è la più importante forma di abitare nelle società contemporanee . Ma anche in questo caso ci troviamo di fronte a diffusi processi di enclosures degli spazi pubblici . Le «comunità recintate » per ricchi sono una presenza ormai costante tanto nel Nord che nel Sud del pianeta . Allo stesso tempo anche il corpo e il Dna conoscono processi di enclosures. Come nella scienza , la privatizzazione dello spazio ( o della conoscenza) è la manifestazione di una inedita e rinnovata accumulazio- Mondo Universitario ne originaria del capitale . Nel futuro, dunque, la privatizzazione di ogni aspetto della nostra vita, anche di quella biologica, sarà la regola dominante? Non prevedo il futuro. Sono però convinto anche io che il trend dominante sia l'appropriazione privata di ogni aspetto della vita sociale e biologica. Vedo però manifestarsi una reazione altrettanto forte che va in direzione contraria. Propongo, assieme ad altri, un differente approccio, che definisco ecologico. Per capire il funzionamento di un organismo non puoi isolarlo dall'ambiente in cui vive, né separarlo dalle connessioni che ha con altri organismi simili o diversi. Sono questi legami a svolgere un ruolo fondamentale nel suo sviluppo. Potremmo estendere questo concetto alla società, dove il singolo è immerso in una rete di relazioni sociali, affetti ve che costituiscono, appunto, un insieme unitario. E che per spiegare i comportamenti sociali devi comunque partire da questo approccio unitario. Il fatto che ci siano forze che puntano a «recintare», «privatizzare» la vita non può can- Recintare il sapere é una pratica scandalosa che può essere fermata dagli stessi scienziati dallo scranno la televisione. Ma la Rete , più che una forma di organizzazione «liquida» si caratterizza per essere una forma di organizzazione molto rigida, perché centralizza il coordinamento e decentralizza le operazioni. È forse la rete una più sofisticata forma di controllo sociale? Su questo sono d'accordo con lei, anche se io preferisco usare il termine in maniera più limitata di quello che lei fa quando allude al conflitto tra pratiche reticolari, il mercato e la gerarchia. E indubbio che il concetto di rete catturi l'attenzione. Per me, è un concetto che può spiegare cosa accade quando un singolo o una associazione si pongono un obiettivo da raggiungere, riuscendo ad aggregare un numero tendenzialmente illimitato di altri individui o associazioni, che aderiscono a quella campagna, condividendone le motivazioni e, tuttavia, mantenendo un'ampia autonomia operativa e di elaborazione. Sulla possibilità che il modello del network possa diventare una nuova forma di controllo sociale, concordo con quanto ha scritto Luc Boltanski, quando ha segnalato che la rete è una gradevole forma di organizzazione che può rivelare anche un suo lato distruttivo. Sono rischi che non possono essere ignorati. cellare un altro fatto, altrettanto importante: la crescita di un inedito «comunismo» che entra in scena attraverso la porta di servizio rappresentata dalla proliferazione delle istanze ecologiche. E. il conflitto tra la logica economica e la visione ecologica che occupa il centro della scena nella tarda modernità. La rete è una fascinosa forma di organizzazione - economica, politica. Tutti ne scrivono e ne parlano. I movimenti sociali indicano nella Rete le forme di organizzazione da sviluppare per le loro mobilitazioni ; le imprese parlano di organizzazione reticolare; il web, cioè una rete di computer, è ritenuto il nuovo medium universale dopo aver scalzato Pagina 33 VISUALIZZAZIONE VIRTUALE DI ALCUNE MOLECOLE MAS SARACENO Meglio le città volant di quelle asfaltate %Gi! ^ )fc ;Dio,,, 0/1i V La scienza è una attività irriducibile all'economia. Un'intervista al teorico francese, in Italia per un incontro con l'artista Tomás Saraceno Mondo Universitario i /G iiii9/ ,,,,,. í% ,/i INiiioi 'i// ,, 81 i oiirv%. i, / /°v' I Mz //r// ✓/;;di'' %//'/// Bruno Latour è stato invitato dawHangarßicocca ad un incontro/conversazione, aper to al pubblico, con Tomás Saraceno (insieme a Andrea Lissoni, curatore, Joseph Gri. ma-, direttore Domus, Molly Nesbit, storica dell'arte), pei un approfondimento sul tema proposto dalle installazio ni spettacolari dell'artista argentino: l'interazione fra individui e spazi comunitari, tra collettività e metropoli eccentriche. Declinato in for• me non soltanto urbanistich+ e architettoniche, l'argomento affrontato da Saraceno anche qui, all'HangarBicocca, con la stupefacente città volante di «On Space Time Foani» - trasforma l'arte in una visione utopica a tutto tondo e coinvolge diversi am biti culturali, dalle teorie dei la fisica agli esperimenti di psicologia sociale. Il mondo sospeso ed ecosostenibile, fuoriuscito dalla fervida fan• tasia di Saraceno sulla scia di architetti e intellettuali come Buckminster Füller, Yona Friedman, Frei Otto e Bruno Munari , è stato molte amato dal pubblico: fino a oggi, sono stati centomila i visitatori registrati all'HangarBicocca. Tanto da indurre a prorogare l'installazioni fino al 17 febbraio. Dopo, sarà la volta dei progetto espositivo dell'artista e regi sta thailandese Apichatponl Weerasethakul. La mostra «Primitive», a cura di Andrea Lissoni, si terrà dal 7 marzo al 28 aprile. Pagina 34 VA IN PARADISO La Commissione europea, dopo uno studio dell'Efsa, è costretta a vietare per due anni l'utilizzo dei pesticidi della Bayer che uccidono le api. Per gli ecologisti non è sufficiente: «Basta proroghe, vietiamoli definitivamente». Luca Fazio MILANO enza scomodare quel catastrofista di Albert Einstein, secondo il quale S se le api dovessero scomparire all'umanità resterebbero quattro anni di vita, c'è qualcosa di irrituale se la Commissione europea ieri ha convocato attomo a un tavolo i rappresentanti dei 27 stati membri per parlare di insetti impollinatori. C'era una decisione non facile da prendere: vietare i pesticidi neonicotinoidi che uccidono le api minacciando la catena alimentare e la biodiversità del pianeta terra. Secondo l'Unep (Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente), l'84% delle principali colture europee dipende dall'impollinazione degli insetti. Un colossale giro d'affari Non è una questione che interessa solo ecologisti sognatori o cultori del nettare divino, è un problema che tocca gli interessi colossali di alcune tra le più potenti multinazionali agrochimiche del mondo, Bayer, Syngenta e Basf su tutte. Appena due settimane fa, tanto per dare l'idea degli interessi in gioco, i colossi hanno licenziato un rapporto multidisciplinare per «avvisare» gli stati europei: l'economia del vecchio continente con l'utilizzo dei neonicotinoidi trarrebbe benefici per 4,5 miliardi di euro all'anno, e il loro abbandono costerebbe circa 50 mila posti di lavoro nel settore agricolo. Per contro, ma questo dato non era contenuto nel rapporto, altre stime dicono che i servizi resi dagli insetti impollinatori, se monetizzati, si aggirano attorno a 115 miliardi di euro, all'anno. E cosa ha deciso la Commissione europea? Di non decidere. C) meglio, ha proposto la sospensione per due anni Mondo Universitario degli insetticidi killer (Clothianidin, Thiametlroxam e Imidacloprid, il più utilizzato al mondo) sulle colture di mais, colza, girasole e cotone. Il regolamento con il relativo divieto verrà valutato nella prossima riunione fissata per il 25 febbraio. Se approvato, entrerà in vigore a luglio. Nel comitato Ue, le proposte della Commissione possono essere respinte solo a maggioranza qualificata degli stati membri. E' probabile che nelle prossime settimane i Cda delle multinazionali chimiche non rimarranno con le mani in mano. L'amarezza degli ecologisti Per Francesco Panella, presidente di Unaapi - l'unione degli apicoltori italiani che ha lanciato una petizione on line raccogliendo più di 250 mila firme in pochi giorni - si tratta di una non decisione molto pericolosa. «In mancanza di una scelta di campo comunitaria netta - spiega - l'Italia potrebbe trovarsi di fronte a uno scenario come quello degli Stati uniti in cui oltre la metà del terreno agricolo coltivato viene trattato con queste sostanze e in cui ogni anno muore il 30-40% degli alveari». Gli apicoltori a questo punto non accettano compromessi e chiedono l'immediato ritiro dell'autorizzazione d'uso di tutti i pesticidi. Anche Federica Ferrario, responsabile della Campagna Agricoltura di Greenpeace, critica la mezza proposta della Commissione europea. «E' un primo e positivo passo in avanti - dice - ma sicuramente non basta. Queste sostanze sono fonte di problemi per gli insetti impollinatori anche quando vengono utilizzati in colture diverse da quelle menzionate dalla proposta della Commissione». Secondo Greenpeace, «il declino delle api è solo uno dei sintomi di un sistema agricolo basato sull'uso intensivo di prodotti chimici al servizio di multinazionali come Bayer e Syngenta, un sistema che ha fallito l'obiettivo di garantire una produzione abbondante tutelando al tempo stesso l'ambiente». Alessandro Triantafyllidis, presidente dell'Aiab, chiede un intervento più coraggioso. «L'Italia colga lo spirito dell'iniziativa della Commissione europea e decreti il divieto definitivo dell'uso dei neonicotinoidi invece di continuare con ridicole proroghe come l'ultima di appena sei mesi. Queste sostanze, ormai in modo evidente, rappresentano un rischio per la salute delle api». Ermete Realacci, responsabile della Green economy del Pd, si rivolge al ministro dell'Ambiente Catania. «Il ministro - sostiene Realacci - aveva già annunciato lo scorso settembre la proroga del divieto dei neonicotinoidi fino al giugno 2013, ora ci sono tutte le condizioni perché l'Italia, in continuità con gli impegni presi a livello nazionale, si esprima anche in sede europea in favore della sospensione dei pesticidi». Un colpo durissimo per le industrie La pericolosità di questi insetticidi, commercializzati con i nomi Gaucho, Cruiser, Poncho, Nuprid e Argento, è stata confermata anche da tre rapporti scientifici pubblicati il 16 gennaio dall'Agenzia europea per la sicurezza alimentare (Efsa), con sede a Parma. Questa «scoperta» è un colpo durissimoper le multinazionali proprio perché l'Efsa è sempre stata piuttosto tenera - e per questo molto discussa - con i colossi dell'industria agroalimentare. La questione, negli anni, ha spaccato la comunità scientifica, che a più riprese ha prodotto studi controversi - o «polveroni mediatici», come li definisce il presidente di Unaapi - per evidenziare le diverse cause «multifattoriali» che provocherebbero la moria delle api (alcune ricerche però erano state finanziate dalla Bayer). Adesso però sarà complicato screditare, o ignorare, questo ultimo rapporto commissionato dalla Commissione europea. «Abbiamo identificato dei rischi per le api - ha spiegato a le Monde Domenica Auteri, ricercatrice dell'Efsa - in relazione a tre principali vie d'esposizione degli insetti. Sono le polveri prodotte dai granuli durante la semina, la contaminazione Pagina 35 dal polline e dal nettare e, nel caso del mais, dalla gocciatura delle piante impregnate di pesticida». Quanto alle sole polveri prodotte durante la semina e trasportate dal vento, la dose letale per le api è stata stimata attorno a qualche miliardesimo di grammo. Di fatto i ricercatori dell'Efsa hanno confutato i risultati dei test scientifici che nei primi anni Novanta avevano aperto la strada alla commercializzazione dei pesticidi. Non erano stati valutati gli effetti di sinergia con altri agenti patogeni presenti in altri prodotti fitosanitari, non erano stati valutati tutti gli altri effetti non mortali per gli insetti (come il disorientamento e la perdita della memoria delle api che non riescono più a fare ritorno agli alveari), e non erano stati commissionati test validi su vaste superfici agricole. Le conclusioni dell'Efsa del resto non sono del tutto sorprendenti per la comunità scientifica europea. Secondo Laura Maxim, una delle ricercatrici francesi più in vista al centro di controversie sull'utilizzo di queste sostanze tossiche in agricoltura, «già dieci anni fa il Comitato scientifico e tecnico dell'Cnrs era pervenuto alle stesse conclusioni a proposito dell'Imidacloprid». Grazie a quello studio, nel 2003 la Francia aveva vietato l'utilizzo del Gaucho, e due anni dopo un altro rapporto aveva certificato la dannosità di un altro pesticida, il Regent. Da buona ultima ieri è stata costretta ad ammetterlo anche la Commissione europea, limitandosi a suggerire due anni di moratoria, magari in attesa di altri studi più convincenti. Di scienziati che non stanno con le api è pieno il mondo. Mondo Universitario Pagina 36 «Anche Salerno piace ai ragazzi iscrizioni in costante crescita» Il rettore Pasquino: «Superata quota 40mila, i nostri corsi sono a misura di studente» Ivana Infantino In controtendenza rispetto alle università italiane, l'Università di Salerno continua ad attrarre studenti. Un numero, quello degli iscritti, in costante crescita che nell'anno accademico in corso ha superato quota 40 mila. Il segreto? Lo svela il rettore Raimondo Pasquino che, grazie ai corsi a numero chiuso, progetti Erasmus e formazione in azienda, ha fatto del Campus di Fisciano un'università a misura di studente. Rettore, sempre meno ragazzi scelgono l'università? «Ritengo che la responsabilità vada divisa fra i diversi attori: l'università, colpevole di far disinnamorare gli studenti, per una didattica non sempre mirata e tempi troppi lunghi; le famiglie, che non seguono i ragazzi perché consapevoli del fatto che non ci sarà dopo un inserimento professionale adeguato e la disattenzione totale nei confronti dell'università dei governi che si sono succeduti negli ultimi 10 anni». La sua università è, invece, in controtendenza. «Non abbiamo registrato nessun calo, anzi siamo in aumento. Non rincorriamo gli studenti, ma da tempo diamo molta attenzione alla formazione e con l'accesso programmato ai corsi di laurea riusciamo a seguire bene i nostri iscritti che ap- Mondo Universitario La denuncia Troppa disattenzione da parte dei governi che ci sono stati negli ultimi dieci anni» prezzano quanto l'università fa per loro. Naturalmente, anche noi scontiamo alcune disattenzioni. Come i fuori corso. Troppi, da noi come altrove». E l'emorragia di docenti? «Quella l'abbiamo registrata anche noi. Chi ha un mestiere diverso, ovviamente, preferisce fare altro. Con i tagli e il blocco del turn aver, anche noi siamo in difficoltà. Per fortuna nei passati 10 anni abbiamo fatto 500 concorsi per ricercatori che ci consentono oggi di avere giovani preparati, ma non siamo comunque in grado di sostituire tutti i prof andati in pensione. E poi non è solo un problema di quantità, ma anche di qualità. Ci sono dei docenti che non possono essere sostituiti». Un ateneo virtuoso. Quale il segreto del successo? «Le soluzioni non stanno mai da una parte. Cerchiamo di ascoltare i bisogni del territorio per proporre corsi di laurea rispondenti alle esigenze. Per favorire l'inserimento lavorativo cerchiamo di mettere insieme stage in azienda, esperienze all'estero, finanziando ulteriormente i progetti Erasmus, cerchiamo di mettere in contatto il mondo del lavoro con l'università, per offrire agli studenti la possibilità di un'esperienza durante la formazione. Ma c'è la crisi del mercato del lavoro e non solo...». In che senso? «Il vero problema è che questo Paese non investe in cultura, ricerca, scuola e università da tempo. Ci auguriamo che il nuovo Governo lo faccia. In questa campagna elettorale ci impegneremo affinché i candidati premier inseriscano nei loro programmi un piano decennale per l' università». © RIPRODUZIONE RISERVATA Pagina 37 «Orientale in controtendenza0 in aumento la platea delle tri ennali» ll rettore Viganoni: rispetto all'anno scorso siamo a più 17 per cento le lingue danno maggiori chance Luisa Maradei «Rispetto allo scorso anno abbiamo registrato un incremento del 17 per cento di immatricolazioni ai corsi di laurea triennali e, pur non avendo ancora un dato definitivo sui corsi di laurea magistrali, non ho motivo di credere in flessioni o cali di iscrizioni». Lida Viganoni, rettore della storica università «L'Orientale» di Napoli che conta undicimila iscritti, 6 corsi di laurea triennali e 11 magistrali, snocciola datiin controtendenza rispetto all'allarme lanciato dal Cun. Rettore Viganoni, quasi tutte le università italiane perdono iscritti, l'Orientale ne guadagna una quotarilevante solo nell'ultimo anno. Perché? «Gli studenti comprendono che avere un bagaglio di lingue e culture straniere offre maggiori chance lavorative in un mondo sempre più globale. E, forse, hanno la piena consapevolezza che in Italia difficilmente troveranno il lavoro che cercano». Quali sono icorsi di laureapiú appetibili? «Abbiamo registrato un trend positivo in tutti i corsi di lingua e cultura orientale, ma anche in quelli di cultura occidentale, negli studi comparatistici, nelle relazioni internazionali e nella mediazione linguistica e culturale. Ma quest'anno abbiamo avuto più iscritti al Mondo Universitario La crisi Per molte famiglie le rette sono tornate una spesa importante nel budget corso di lingua tedesca, segno che la Germania resta la locomotiva d'Europa. E abbiamo registrato un significativo incremento anche per il rosso». Per numeri di laureati siamo lontani dalla media Ue. Come spiega questo divario? «Un tempo la laurea era garanzia di ascesa sociale ed economica. Oggi l'assioma non è più automatico e molti giovani sono sempre più sfiduciati nel loro futuro: pensano che anche con una laurea in tasca la loro condizione non migliorerà. Per molte famiglie in crisi, poi, le rette universitarie sono tomate ad essere una spesa importante nel budget familiare». I dottorandi risultano in calo per carenza diborse di studio. L'Orientale come si pone rispetto a questi dati? «Purtroppo an che noi abbiamo subito i tagli come gli altri atenei e abbiamo dovuto ridimensionare il numero dei dottorati e delle relative borse di studio». Anche il suo ateneo ha subito un'emorragia di docenti? «Solo negli ultimi cinque anni abbiamo perso più di cento professori ordinari per pensionamenti e uscite anticipate, senza alcuna possibilità di sostituirli perii blocco del tum-over». Altra nota dolente: il taglio dei fondi ai finanziamenti ordinari (Ffo). «L'Orientale nel 2008 riceveva 36 mi- lioni di giuro dall'Ffo, oggi siamo a quota 31 milioni e, solo nell'ultimo anno, abbiamo perso due milioni di euro, che sono stati parzialmente compensati dalla premialità riconosciuta alle nostre attività di didattica e ricerca». © RIPRODUZIONE RISERVATA Pagina 38 «E come se fosse sparito un intero grande ateneo, in dieci anni anche meno docenti» dell'università 58nWa iscn*ttì in ineno : Lenzi (Cun): «L'Italia della Montalciní rischia di produrre solo manodopera per l'estero» Daniela Limoncelli Fuga dalle università. Siamo rovinati. Ci ritroveremo da qui al futuro, un Paese senza. Senza più nuove generazioni all'altezza delle sfide globali. «L'Italia della cultura, delle nanotecnologie, dei Premi Nobel, come laMontalcini o Dulbecco, rischia di diventare il maggiore produttore di manodopera all'estero. Mi piange il cuore» afferma, tono accorato, Andrea Lenzi, presidente del Cun. E lo fa incrociando quei dati che lanciano forte l'allarme e invita, qui e ora, tuttele forze politiche arimboccarsi le maniche in nome dei nostri ragazzi e all'ombra del nostro Paese. «La politica è miope: tutti devono subito mettere i giovani come priorità nei loro programmi i giovani». Oltre 27mila giovani italiani fuggono all'estero, ogni anno, a caccia di lavoro. Ma non è finita. Sono sempre meno, ogni anno, i diciottenni che decidono di seguire un percorso universitario. In dieci anni, mette nero su bianco il Cun in un documento , è come se fosse stata inghiottita nel nulla una grande Uni- L ' appello versità. Dimensio- ni? Statale di Milano. Ovvero, gli imattenzione matricolati, tral'anai giovani no accademico 2003/2004 e quello in tutti 2011/2012, sono i programmi scesi da 338.482 a delle forze 280.144. Un calo agpolitiche» ghiacciante: ben 58mila studenti in meno, pari al 17 per cento. Non solo i diplomati disertano le aule universitarie, ma perfino i ragazzi già iscritti abbandonano il campo: in tre anni, le iscrizioni sono infatti diminuite del4%, passando da151 %" del 2007/2008 al 47% del 2010-2011. Tranne qualche eccezione come Bologna che registra un aumento delle immatricolazioni dell' 1 % negli ultimi tre anni, e la Campania in controtendenza con l'Orientale di Napoli che conta il 17% di matricole in più alle triennali el'Università di Salerno che ha segnato quota 40mila. Vanno invece in picchiata, annuncia il Cun, tutte le università. «Massima Colpa dei bilanci sempre più in ros- Mondo Universitario Solo il 19% dei 30-34enni ha una laurea, contro una media europea che oscilla sul 30 percento. 1133, 6% degli iscritti èfuori corso mentre il 17,3% non fa esami. glvlft t «Ci chiediamo - afferma l ' Udu - cosa altro serva per accorgersi finalmente dell'emergenza nazionale che è diventata l'università italiana». ..-111 Per Mimmo Pantaleo, segretario generale della Flc-Cgil: «50mila matricole in meno, un dato da incubo: siamo all'impoverimento culturale. Bisogna cambiare rotta» so delle famiglie italiane, colpa, forse, anche del binomio entrato ormai a far parte dell'immaginario giovanile laureato-disoccupato che ha fatto perdere appeal ai nostri studi. Come afferma Giovanni Lo Storto, vice direttore della Luiss: «La cresciuta difficoltà dei laureati a inserirsi nel inondo del lavoro ha di certo contribuito alla fuga degli studenti dall'università». Anche perché, nonostante la crisi, negli ultimi 3 anni, le risorse perle borse di studio sono state drasticamente tagliate: nel2009 ifondi nazionali coprivano l'84%® degli aventi diritto, nel2011 a malapena il 75%. Ma il calo degli studenti non è colpa, tiene a sottolineare Lenzi a «Il Mattino», del calo demografico: «Ê evidente che l'Italiaviveun periodo di crisi demografica. Ma i nati in meno non c'entrano un bel niente con il calo delle immatricolazioni. La forbice tra diplomati e matricole si va allargando nonostante, da cinque anni, si sia stabilizzato il numero dei diplomati in Italia. La verità è che la crisi spinge le famiglie a cercare di mettere subito i figli a lavorare. Non si comprende che, invece, farli continuare a studiare non significa "uno spreco di tempo", ma significa formarli come "cittadini del mondo" e metterli in condizione di trovare un lavoro migliore, più remunerato. Forse proprio nell'università: sono diminuiti i professori, dovrebbero crearsi nuovi spazi peri giovani eccellenti che hanno voglia di dedicarsi a ricerca o attività universitaria». L'emorragia, infatti, non riguarda solo matricole e vecchi iscritti. In soli sei anni, tra il 2006 e il 2012, infatti, il numero dei docenti si è ridotto del22% ma si prevede un ulteriore contrazione nei prossimi tre anni. E l'Italia finisce sempre più lontana dall'Europa. con una media di 18,7 studenti per docente contro una media Ocse di 15,5 studenti per docente. Anche sul numero dei laureati siamo largamente sotto la media Ocse: appena al34esimo posto su 36 Paesi. Solo il 19% della generazione tra i 30 e i 34 anni possiede una laurea, contro una media europea del 30%, mentre il 33,6% degli iscritti ai corsi di laurea è fuori corso e il 17,3% non fa esami. Senza contare, poi, il taglio degli stanziamenti: dal2001 al 2009 il Ffo, Fondo di finanziamento ordinario, èrimasto quasi stabile, per poi andare giù del 5% ogni anno, e si prevede che per il 2013 il calo si avvicinerà addirittura al 20%. AEd alzano la voce gli studenti, con l'Udu e Link in prima fila: «Nessuno lo dice: le tasse universitarie sono raddoppiate in appena dieci anni e il diritto allo studio pesa sempre più sulle spalle degli studenti». L'ínvíto «Emorragia di risorse e docenti: laureati, troverete lavoro nei corsi» Pagina 39 Università i n affanno ININIATRI0C3LATl -58.000 (-17%) LAUREATI (s, ;031eoniì 338.482 280,144 19% '02 Italia 12 30% l'E ìe _üa 'Je PROFESSORI ®22% Numero studenti per docente di docenti in sei anni (2006-2012) Italia Media Ocse 18,7 15,5 OFFERTA FORMATIVA -1.195 corsi di laurea in sei anni (2006-2012) BORSE DI STUDIO averli dv;tto coperti dai ï,nn1i l 84% 2009 -6.000 iscritti ai corsi di dottorato rispetto alla media Ue 75% 2011 Fonte: Consiglio universitario nazionale Mondo Universitario ANSA-CENTIMETRI Università Statale di Milano Pagina 40 Fuga dalle università 50mila iscritti in meno IL RAPPORTO ROMA Cinquantottomila studenti universitari in meno negli ultimi dieci anni. Una perdita secca come mai si era verificata. Prova che ai diciannovenni la laurea interessa sempre meno. Prova che in quel diploma non si crede più. Prova che il lavoro si va a cercare dopo la scuola superiore. Un crollo di iscrizioni alle facoltà letterarie (prevedibile) e anche in quelle scientifiche (sorpresa). IL CALO A fare il bilancio è stato il Cun, Consiglio universitario nazionale, che ha steso un documento nel quale sono i numeri a disegnare la realtà. Dall'anno accademico 2003-2004 a quello 2011-2012 il numero degli iscritti è calato del 17%. Quei cinquantottomila, appunto, che mancano all'appello. Tanti quanti sono gli studenti che frequentano l'ateneo di Milano. C..LLO NEGLI ULTIMI 10 ANNI L'ALLARME DEL CUN «E COME SE FOSSE SPARITA TUTTA LA STATALE DI MILANO» Mondo Universitario Una fetta consistente si è dissolta nel nulla. Per colpa dei tagli accusano i ragazzi e i professori. Per colpa di una crisi, è il parere degli analisti economici, che non ti permette di rinviare la ricerca del lavoro. La discesa forte, infatti, si è avuta negli ultimi tre anni. LE RISORSE E il futuro prossimo venturo non sembra avere connotati diversi. «La costante, progressiva e irrazionale riduzione delle risorse finanziarie e umane destinate al sistema universitario ne lede irrimediabilmente la capacità di svolgere le sue funzioni di base, di formazione e ricerca» commenta Andrea Lenzi, presidente del Cun. Un taglio netto anche sulle possibilità di formazione: spariti 1.195 corsi di laurea. Una parte dei quali, con ogni probabilità, erano nati senza una necessità scientifica vera e propria. Scomparsi 84 corsi di laurea triennali e 28 corsi specialisti/magistrali biennali. Una riorganizzazione necessaria secondo gli stessi professori vista la riduzione numerica del personale docente. Questo vuol dire salutare l'Europa, non riuscire a stare al passo con gli altri. L'EUROPA Rispetto agli altri paesi della Ue in Italia, per esempio, ci sono seimila dottorandi in meno che si iscrivono ai corsi di dottorato. E ancora: da noi il 50% dei laureati segue i corsi di dottorato senza avere una borsa di studio. Sul fronte finanziamenti i nostri atenei fanno fatica a star dietro agli altri europei: dal 2001 al 2009 il Fondo di finanziamento ordinario è rimasto quasi stabile. Anzi, ogni anno è sceso di un 5%. C.Ma. OO R I PROOUZI ON E RISERVATA Pagina 41 Stretta sugli atenei, arriva l'esame di qualità Una commissione valuterà i requisiti per i finanziamenti IL L R 0 MA Un bollino blu per l'università. Fino ad ora le credenziali delle lauree italiane erano dipese soprattutto del mercato del lavoro, e un 110 e lode alla Bocconi da tempo apre le porte con facilità anche all'estero. Anche se "classifiche" sulla base dell'attività di ricerca esistono già. Ma la novità è nel decreto firmato due giorni fa dal ministro dell'Istruzione Francesco Profumo che introduce parametri oggettivi a tutto campo, dalla didattica all'organizzazione delle sedi e dei corsi di studio; unificando, per la prima volta, una normativa che fino ad ora era frammentata se non assente. A promuovere (ma anche bocciare) gli atenei ci penserà l'Anvur, Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (voluta dal ministro Fabio Mussi e istituita nel 2010 dal ministro Mariastella Gelmini) e che già valuta la ricerca e assegna le risorse. Il nuovo sistema nasce per aiutare le aspiranti matricole a scegliere il titolo di studio che si crede dia più possibilità di preparazione e, di conseguenza, anche di occupazione; ma anche e soprattutto per incentivare gli atenei a migliorarsi. Con il rischio di chiuderli se non si sta a passo con il merito. E di far piazza pulita di quei corsi che non vanno incontro a reali esigenze degli studenti e del mercato. In Italia c'è un'offerta formativa a livello universitario di circa cinquemila titoli di studio in 89 atenei. NUOVE REGOLE Dal prossimo anno cambiano le regole, da subito, per università e corsi di studio all'esordio. Per quelli già esistenti l'impatto sarà graduale. Regole nuove che valgono per gli atenei statali, privati e anche per le facoltà on line. Il "controllo di qualità", che sarà a più livelli (il principale, con una Commissione che visiterà periodicamente le facoltà) dovrà essere rinnovato ogni 5 anni per le sedi universitarie e ogni 3 peri corsi. Con l'effetto che, se non ci sarà rispondenza con i requisiti di qualità si chiude il corso, o addirittura l'università. Nella valutazione periodica saranno presi in considerazione oltre ai risultati di didattica e ricerca e all'organizzazione delle sedi e dei corsi, i requisiti dei servizi per gli studenti dalle aule alle biblioteche fino ai laboratori. Dovrà essere rispettato il numero massimo di esami per ogni singolo corso. «C'è in gioco una partita molto innovativa commenta Muzio Gola, docente al Politecnico di Torino ed ex rettore - che ci vede allineati al resto dell'Europa e che è rappresentata dall'introduzione dell'assicurazione della qualità con i processi educativi che debbono essere tutti sotto controllo». Con questo decreto - spiega il ministero - ci si allinea alla maggior parte dei Paesi europei che già a partire dagli anni '80, con l'Olanda a fare da apripista, hanno sviluppato sistemi simili. Avranno voce e ascolto anche gli studenti. E non sarà un via libera garantito neanche l'eventuale abbondanza di docenti, perché tra i requisiti richiesti ci sarà la sostenibilità finanziaria. «Adesso si comincia a fare sul serio - sostiene Marco Pacetti, rettore dell' Università politecnica delle Marche -. Il ministero deve consentire qualità uniforme rispetto a titoli simili». E prematuro dire quali delle 89 università italiane sono a rischio. Fatto è che non basterà conquistare la "patente". Bisognerà fare un tagliando periodico. Gli esami non finiscono mai. Una volta tanto, anche per le Università. Alessia Campione O R I PROOUZI ONE RISERVATA Mondo Universitario Pagina 42 STUDENTI Diminuisce sempre di più il numero degli iscritti all'Università Così in itaiia Lascheda La Sapienza di Roma la più premiata G;3 ,e 1,ùnù LP U; ivercith ci w i no ivu pii€ s r zi Puro La Sapienza Roma Bologna Federico il Napoli Padova Milano 518.806.937 390.985.654 344,383790 204,587,457 276,398.206 P t ur;Û Gti atenei cì s!12, il r i nni 2012 Puro Torino Firenze Palermo Milano Pisa 247.125856 242.428.042 215,724.067 205192.003 204.908.331 Fonte: Ministero dell'Istruzione Mondo Universitario Poco meno di 6.850 milioni di giuro. A tanto ammonta il Fondo di finanziamento ordinario (Ffo) stanziato dal ministero dell'Istruzione, dell'università e della ricerca per il 2012 per gli atenei statali. Le università ricevono lo stanziamento in base alla spesa ordinaria, ma anche in base ad una quota premiale che valutala didattica offerta, i risultati ottenuti in base a questa didattica e la ricerca. In altre parole le università con le migliori performance ricevono una sorta di bonus-premio. Così atenei come la Sapienza di Roma sono in testa ai finanziamenti anche per la quota premiale (poco meno di 67 milioni di giuro). Seguita dall'università di Bologna (63.750.000 curo). Fanalino di coda in Italia, l'università di Teramo con appena 2.851.000 euro di soldi in più sulla spesa ordinaria come premio Pagina 43 Neuro-finanza Iniziativa di Schroders con l'università San Raffaele Un test per aggirare le trappole emotive G li inganni della mente, le trappole delle emozioni. Tutti meccanismi che possono indurre le persone allo sbaglio. Anche nel momento di scegliere dove collocare i risparmi o come gestire il proprio portafoglio. Per questo motivo, prima di muoversi tra Borsa, obbligazioni o mercati valutari, può essere utile sottoporsi al test di Investimente. Si tratta di un'iniziativa di finanza comportamentale, lanciata in Italia da Schroders, società indipendente di asset management con sede a Londra, grazie alla collaborazione scientifica dell'università San Raffaele di Milano. «L'obiettivo è di aiutare i risparmiatori, ma anche i professionisti del settore, a smascherare quegli errori sistematici che tutti possiamo compiere», spiega Luca Tenani, numero uno della distribuzione di Schroders Italia. Passi falsi che, in genere, sono dettati da automatismi mentali, stati Investimente non ha nulla a che vedere con i questionari imposti dalla legge. Tenani sgombera il campo da possibili equivoci. «Le domande della Mifid cercano di capire qual è il profilo di rischio-rendimento del risparmiatore. Invece, il nostro progetto aiuterà i promotori finanziari a conoscere più da vicino i clienti. E questi ultimi a capire meglio se stessi». Completamente gratuito e con garanzia dell'anonimato, il test è accessibile per chiunque attraverso il sito dedicato (www.investimente.it). Nel giro di 15 minuti il candidato dovrà rispondere a una serie di domande molto semplici. Le ha elaborate Matteo Motterlini, avvio con alcuni quesiti per misurare il livello di stress del soggetto. Si passa poi all'area chiamata «Che carattere!» cioè una fotografia scattata alla personalità dei candidati. «Perché lo fai?» è lo spazio delle motivazioni Al via il sito www.investimente . it: quattro sezioni per misurare il livello di stress dei risparmiatori, la personalità, le motivazioni e i comportamenti errati Barack Obama o David Cameron nei dream team di consulenti chiamano esperti di questo campo». L'ambizione del professore è di «portare a terra» e dare un'applicazione pratica a Le perdite pesano 2,5 volte più dei guadagni. Ma occhio anche a overconfidence ed effetto gregge d'animo del momento, livello di aspettative sui guadagni. Mondo Universitario docente di filosofia della scienza al San Raffaele, dove dirige anche il centro di ricerca Cresa: «Con questa iniziativa nasce la finanza comportamentale 2.0, un tema trascurato in Italia, mentre in tutto il mondo grandi leader come Luca Tenani Responsabile distribuzione di Schroders Italia questo argomento. Come funziona Investimente? Diviso in quattro sezioni, prende sottostanti le decisioni finanziarie: dovrebbe servire ad allineare, in maniera razionale, le scelte di portafoglio con i bisogni e gli obiettivi. Ma il piatto forte arriva nel finale: dieci domande («Occhio alle trappole») che servono a svelare possibili inganni del comportamento. Motterlini fa alcuni esempi: «Il cervello umano è avverso alle perdite. A livello di percezione, queste pesano 2,5 volte più di un guadagno. C'è poi la tendenza a investire in titoli conosciuti perché considerati familiari e meno rischiosi. Non vanno dimenticati l'effetto gregge, l'overconfidence o la projection bias, attitudine a credere che il futuro sarà simile al presente». Con tanti saluti ai cigni neri. Una volta ottenute le risposte a tutte le domande, il portale elabora un report (che può essere ricevuto sulla propria mail) con suggerimenti pratici per il profilo di ciascun risparmiatore. Dal canto suo, Motterlini avrà l'occasione di raccogliere una grande mole di dati, utile agli studi di frontiera sul campo della neuro-finanza. Infatti, Tenani auspica che il portale sia visitato dai 22 mila promotori finanziari e allargato ai loro clienti. Un bel moltiplicatore di accessi. Fabio Sottocornola Pagina 44 Il declino delle professioni : sono sempre meno i nuovi iscritti agli albi Che b arba J Z` Negli ultimi cinque anni di Stato è stato del 18 ,5%. Si è fermata la corsa che dal 1993 ha portato gli aderenti a oltre 2,1 milioni S empre meno appeal per le professioni dotate di Ordine. Crisi economica, redditi scarsi, futuro incerto e diversa percezione sociale nei confronti dei professionisti sono elementi che devono aver influito sulle scelte di molti giovani. Un tempo correvano verso le categorie protette, ora non più. La spinta che negli ultimi 20 anni ha portato il totale degli iscritti a oltre 2,1 milioni sembra aver perso velocità. Non tanto per la selettività all'accesso, visto che la percentuale di promossi e bocciati in questi anni non è cambiata molto, quanto per il decrescente desiderio di svolgere una professione. Il Miur (ministero dell'Università e ricerca), ha confermato la tendenza: negli ultimi cinque anni il calo generale di candidati agli esami di Stato è stato del 18,5% e del 6,6% dal 2010 al 2011, mentre gli abilitati all'iscrizione agli albi (chi supera l'esame) sono diminuiti rispettivamente del 21,6% e del 7,5%. Alcune categorie sono andate peggio di altre. I commercialisti negli ultimi cinque anni hanno visto diminuire del 37.8% i candidati, mentre tra il 2010 e il 2011 la discesa è stata del 17,2%. Sul lato delle abilitazioni, la caduta è stata rispettivamente del 44,2% e del 19%. Gli psicologi, invece, nel quinquiennio sono crollati del 33% riguardo ai candidati, e del 47,3% quanto agli abilitati, mentre tra il 2010 e il 2011 la diminuizione è stata del 10,7% e del 27,8%. Non tutti gli Ordini sono uguali. Qualcuno, come quelli dei medici e dei farmacisti, registra cali contenuti, altri addirittura vanno controtendenza, come nel caso dei biologi: crescita quinquiennale dei candidati e abilitati rispettivamente del 29.9% e 20,4%. crescita annuale dell' 8.3% e 11.2%. Ma sono eccezioni. Come mai tante fughe? I commercialisti, per esempio, imputano alla Mondo Universitario crisi economica generale il tonfo del numero di giovani disposti a credere nella professione. Il business che langue ha anche convinto, qui come in altre professioni, alla cancellazione dall'albo di chi in passato ha esercitato. « È vero che 1'appeal è molto sceso e ci scordiamo lo status sociale di un tempo», argomenta Gerardo Longobardi , a capo dell'Ordine di Roma e candidato alla presidenza nazionale. «Ma è soprattutto il crollo del lavoro che incide sui giovani che sempre meno scelgono il nostro mestiere». Considerazioni analoghe servirebbero per spiegare come mai vanno via via più giù i numeri di veterinari, odontoiatri, ingegneri, architetti, chimici, psicologi. Questi ultimi sono da tempo tra le categorie che piùQ soffrono mancanza di , (( ñ redditi bassi. Su 85 mila iscritti, la metà non è attiva. Parte dei problemi arriva dalla concorrenza di professioni limitrofe, senz'albo ma in grado di sovrapporsi per talune mansioni, com'è il caso dei counselor o dei grafologi. Da anni ci sono battaglie per limitare gli spazi dei concorrenti (accusati di prendere la scorciatoia senza le competenze dovute), i quali rivendicano la propria dignità professionale (una recente legge ha accresciuto la loro forza, riconoscendo pubblicamente le associazioni che le rappresentano). Questo mentre per diventare psicologi servono cinque anni di università, uno di tirocinio e un altro per gestire l'esame di Stato. Giuseppe Luigi Palma, presidente dell'Ordine nazionale, dice: «Sui dati di calo bisognerebbe fare analisi più specifiche, ma è chiaro che c'è una riduzione degli studenti e di chi va verso la professione, per raggiungere la quale ci vuole troppo tempo. Di lavoro poi ce n'è poco, il tasso dì disoccupazione aumenta». Varie sono le spiegazioni per giustificare la linea di tendenza. Per gli agronomi il quadro appare in pesante calo: meno 36.3% e meno 35,8% i candidati e gli abilitati negli ultimi cinque anni, anche se più di recente la situazione sembra aver raggiunto una stabilità. Secondo Andrea Sisti , presidente del Conaf, il consiglio nazionale di categoria: «È l'effetto del crollo degli iscritti alle facoltà di agraria avvenuto dal 2005 al 2008, ma poi le cose sono cambiate». L'albo degli agronomi, ricorda il presidente, ora cresce in media tra il 2,5% e il 5,5% all'anno, ovvero di 750-800 soggetti. A partire dal 2009, in tanti hanno ripreso a credere nei mestieri legati all'agricoltura, con punte di crescita del 40% nelle facoltà di agraria di Milano, Pagina 45 Torino o Napoli. «Il 70% della questione dipende da questo», aggiunge Sisti, «mentre il restante 30% è legato alle difficoltà di mercato, anche se gli effetti maggiori dovremmo vederli su 2012 e 2013». Il punto riguarderà 22 mila iscritti, per il 60% liberi professionisti e per il resto dipendenti di strutture pubbliche e private. A nessuno piace la fotografia della propria categoria che perde attrattività. Edda Samory, a capo dell'Ordine nazionale degli assistenti sociali, minimizza il calo di candidati e iscritti che la riguardano: «Ci può stare, per carità, vari elementi possono aver contribuito, ma credo sia soprattutto un problema più di tipologia di esami di Stato e formazione». La questione ha a che fare con la possibilità di sostenere un primo esame già dopo tre anni di università, oppure a conclusione dei cinque complessivi. Secondo Samory, sarebbe nelle pieghe della doppia possibilità che si nasconderebbe il perché dei minori anche perché negli ultimi anni c'è stata una riforma che ha aumentato di colpo la quantità di iscritti». Il riferimento è alla normativa che anni fa ha reso obbligatoria la laurea per esercitare da consulente del lavoro, con inclusa sanatoria e corsa all'immatricolazione per chi aveva il solo diploma. Poche categorie si distinguono per segno opposto. Qualcuna, come quella degli avvocati, lotta invano da anni per contenere il numero di aspiranti legali e professionisti abilitati: crescono al ritmo di 15 mila all'anno, su una platea di 240 mila, con il lavoro che è sempre meno e redditi sempre più bassi. In base ai dati del Miur, è tuttavia la categoria dei biologi a farsi notare di più. La base conta circa 45 mila iscritti all'albo, di cui 31 mila liberi professionisti e il resto dipendenti pubblici. Nel 2011 hanno affrontato la prova d'esame 3.542 candidati, e di questi 3.123 ce l'hanno fatta, cioè 1'88%. Tanto se confrontati con l'anno prima, quanto con il Rassegnati A sinistra, Andrea Sisti. Al centro, Ermanno Calcatelli. quinquiennio precedente, gli iscritti all'albo dei biologi continuano a crescere. Come mai? «Il 30% è gente che ripiega dopo aver mancato l'ingresso a medicina», riconosce Ermanno Calcateffi, presidente dell'Ordine nazionale di categoria, «ma il resto sono persone che credono in una professione rinnovata». Esiste un ventaglio formativo che permette di scegliere tra biologia (ambiente e nutrizione gli ambiti più gettonati) e biotecnologia, con la speranza di sfruttare occasioni di lavoro all'estero. Secondo Calcatelli: «È vero che i concorsi pubblici sono bloccati, ma nella libera professione il lavoro si trova, soprattutto le donne, che costituiscono il 70% di tutti noi». Franco Stefanoni A destra, Edda Samory candidati e iscritti. «D'altra parte, a me risulta che il numero di nuovi colleghi sia aumentato, due anni fa eravamo 35 mila e ora 40 mila». Critico verso i dati forniti dal Miur è anche l'Ordine dei consulenti del lavoro. Il ministero ha verificato che tra il 2009 e il 2010 gli aspiranti professionisti sono diminuiti del 16% e gli iscritti del 29%. Rosario De Luca, consigliere nazionale e presidente della controllata Fondazione studi, contesta la versione governativa: «Il ministero non sembra ben informato, noi continuiamo a crescere, Mondo Universitario Pagina 46 Cilea lombardo, addio con mancia Anche se di poco, migliorano i conti del Cilea, consorzio tra le università lombarde e poche altre. Questa è la notizia buona. Quella ancora migliore è che presto l'ente chiuderà i battenti. Per fondersi con il Cineca di Bologna e forse il Caspur (Roma). Tre sigle che svolgono all'incirca le stesse attività: supporto agli atenei come centro di calcolo, elaborazione dati, gestione di biblioteche. Oggi piccoli, in futuro avranno una massa critica rilevante. Il Cilea, guidato da Marcello Fontanesi rettore di Milano Bicocca dal 1999, ha chiuso i bilanci del triennio 2009-2011 sempre in avanzo. Così ha certificato di recente la Corte dei conti promuovendo i budget, pur con qualche riserva. Fatturato in salita a 28,3 milioni nel 2011 (da 22,7 di due anni prima), crescono anche i costi a 27,7 milioni. I magistrati contabili si raccomandano però che Cilea «prosegua nella direzione di un mantenimento dell'equilibrio di bilancio almeno fino al definitivo accorpamento con il Cineca». Che scatterà in luglio. Calato il personale fisso che passa da 140 persone del 2009 a 118 per un costo di 6,5 milioni. Ma è salito il numero di consulenze e collaborazioni che costano 1,5 milioni. Sul punto, la Corte «ribadisce la necessità di attenersi al rigoroso rispetto di principi e criteri generali del legislatore». Tradotto, vuoi dire non esagerare con le consulenze, motivarle bene e farne uso solo se mancassero professionalità interne. Con la fusione si chiuderà una storia lunga. L'ente era nato nel 1974 grazie a Bocconi, Cattolica, Milano Politecnico e Statale. Solo in anni recenti ha aperto le finestre oltre il Po, accogliendo l'ateneo di Palermo, quello di Urbino e il Sincrotrone di Trieste. Però, non è mai apparsa chiara la strategia di fondo. Quindi, la fusione pare una buona via da percorrere. Tanto più che il governo Monti, per incentivare «l'accorpamento di questi consorzi» ha messo a disposizione 10,5 milioni di euro. Non male nell'epoca della spending review. Mondo Universitario Ca technologies con Fabio Fregi Fabio Fregi è country manager di Computer associates technologies Italia (hi-tech). Ex Oracle e Microsoft, Fregi in Ca technologies prende il posto di Mauro Solimene e riporterà a Pierpaolo Taliento, vice president e general manager nel Sud Europa. Pagina 47 Accademia e realtà Parla Vladimir Nanut , presidente di Asfor e direttore Mib Trieste Meno teoria e più problem solving Modelli di management e operatività delle pmi hanno sempre fatto un po' a pugni, ma oggi accademia e imprenditori cercano un terreno comune per dialogare. La stessa Asfor (Associazione italiana per la formazione manageriale), che ha appena raccolto in un libro la propria esperienza (40 anni di formazione manageriale, a cura di Salvatore Garbellano, Franco Angeli), inizia a occuparsi dei bisogni delle pmi in modo più sistematico. Con opportunità e ostacoli in un nuovo scenario, come spiega Vladimir Nanut, presidente Asfor e direttore scientifico dei Mib school of management di Trieste. «Le business school iniziano a guardare con maggiore disponibilità a questo enorme bacino di piccole imprese, dovendo trovare un equilibrio tra il proprio rigore metodologico e il loro estremo bisogno di concretezza». Domanda . Rispetto all'università? Risposta. Sono comunque avvantaggiate perché nascono già come risposta alle esigenze di business delle medie e grandi imprese. Ma con le piccole l'approccio cambia: queste chiedono strumenti per risolvere problemi e, nelle faculty, devono entrare anche consulenti e uomini d'impresa. D. D'altronde, le pmi sono chiamate a crescere se vogliono sopravvivere. R. Si, devono avere il coraggio di ripensare il modello di business per restare competitive sul mercato globale. Perciò hanno bisogno di nuovi strumenti di interpretazione e di azione. D. Dalla ricerca Asfor la domanda formativa si concentra soprattutto su amministrazione , controllo e finanza. È sufficiente? R. No, controllo dei costi e recupero di efficienza sono stati cruciali fin dai primi anni Duemila con l'aumento della concorrenza. La crisi, poi, ne ha accentuato l'urgenza. Ma non basta migliorare i processi interni per restare sul mercato. Bisogna ripensare la govemance e l'intera strategia, come altri business, scovando opportunità sui nuovi mercati. Ma molti imprenditori lo vivono come perdita di controllo. D. La formazione come leva per cambiare? R. Senz'altro, la formazione imprenditoriale e manageriale apre nuovi orizzonti, come le nuove dimensioni della competizione, e moltiplica le opportunità. Gli ostacoli si superano aumentando il tasso di competenze e professionalità, e non ripetendo ciò che si è sempre fatto. E chi ha deciso di frequentare corsi in business school sta già introducendo l'ottica del cambiamento. Con i figli migliori dei padri, a cercare di decifrare la complessità. D. Su cosa puntate con i giovani imprenditori? R. Sul concetto di leadership diffusa, rispetto a quella paternalistica legata al carisma del fondatore. Sull'importanza delle nuove tecnologie, che stanno cambiando profondamente i processi aziendali. E anche sull'internazionalizzazione e sul valore strategico delle alleanze. D. A proposito, cosa pensa delle reti di impresa? R. Credo siano il futuro delle pmi. G.F. Vladimir Nanut, presidente Asfor ............................ Mondo Universitario Pagina 48 Le immatricolazioni crollano di 58mila unità. Gli Studenti Padani: chiediamo incentivi Si svuotano le aule, governo asse nte all'appello di Massimiliano Capitanio onti si avvia al suo declino politico con un M altro record. Dopo aver totalizzato la percentuale di disoccupazione giovanile più alta del ventennio (37,1%), il Governo che ha bollato gli studenti come "sfigati" e "choosy ", attaccati alla sottana di mamma e troppo affezionati al posto fisso ( che non c'è), riesce in una drammatica magia: far sparire d'incanto la popolazione di un intero ateneo. Ieri, infatti , Consiglio universitario nazionale (Cun), ha diffuso un do- Mondo Universitario cumento che fotografa la grave depressione a cui il Governo delle tasse e delle banche ha condannato il Paese: negli ultimi dieci anni gli immatricolati sono scesi da 338.482 (anno accademico 2003/2004) a 2 8 0 . 1 4 4 (a n n o 2011/2012), con un calo di 58.000 studenti, pari al 17% in meno. Come se in un decennio fosse scomparso un intero ateneo di grandi dimensioni come la Statale di Milano. Il calo delle immatricolazioni riguarda tutto il territorio nazionale e la gran parte degli atenei. E non è riferito solo agli studenti, ma anche ai docenti, che oggi risultano il 22 per cento in meno rispetto al 2006. La situazione si è fatta più preoccupante negli ultimi anni, dal momento che l'economia non è più riuscita a stare al passo dei tempi (nonostante Monti dimostri che tro- vare 4 miliardi per una banca è un gioco da ragazzi): i finanziamenti per le borse di studio, ad esempio, è stato ridotto e se nel 2009 i fondi nazionali coprivano l'84% degli studenti aventi diritto, nel 2011 si è scesi al 75%. Quantità e qualità. Anche sul secondo fronte il Paese va male: l'Italia è sotto la media rispetto agli altri Paesi dell'Ocse con un misero 19% dei 3034enni laureati, contro una media europea del 30%.1133,6% degli iscritti, infine, è fuori corso mentre il 17,3% non fa esami. «1l dato è allarmante commenta Matteo Mognaschi , coordinatore federale dei Movimento studentesco padano-. La crisi economica e l'aumento spropositato delle tasse sono certamente due fattori che possono spiegare questo fenomeno, ma la politica non deve stare ferma. Le università creano le classi dirigenti del paese e soprattutto il Nord per rimanere all'avanguardia ha bisogno di tanti giovani laureati. Ad esempio una Regione Lombardia a guida leghista dovrà certamente incentivare le iscrizioni degli studenti lombardi agli atenei con maggiori e più efficaci strumenti per il diritto allo studio». Curiosa la presa di posizione del Pd che con Maria Chiara Carrozza e Marco Meloni scaricano le colpe su Monti... Qualcuno gli dica che il Governo tecnico era sostenuto da Bersani. E dopo lo scandalo Mps si è pure scoperto perché. Pagina 49 Fuga dalle università 60 mila studenti in meno TITO BOERI , UNIVERSITÀ italiana si sta svuotando. Proprio mentre la crisi dovrebbe stimolare, come nelresto dei Paesi Ocse , un incremento degli investimenti in istruzione, dato che costa meno studiare quando non c'è lavoro , dunque il tempo dedicato allo studio non viene sottratto ad attività che potrebbero generare un reddito. L SEGUEAPAGINA31 ROMEO EZUNINO A PAGINA22 Mondo Universitario Pagina 50 STUDENTI IN FUGA DALLE UNIVERSITÀ TITO BOERI (segue dalla prima pagina) alano studenti e docenti, nonostante il nostro Paese sia già il C fanalino di coda nell'area Ocse nella percentuale di trentenni con una laurea. I dati diffusi ieri dal Cun (Consiglio universitario nazionale) sulle iscrizioni alle universitàitaliane confermano che negli ultimi 10 anni l'università italiana ha perso circa 50.000 iscritti, un sesto di coloro che si iscrivevano al l'universitànel2003-4. È un fenomeno che avevamo da tempo denunciato su queste colonne e che non può essere attribuito alla demografia. Non c'è stata, infatti, una diminuzione delle coorti in uscita dalla scuola secondaria negli ultimi 5 anni. Al contrario, il calo è iniziato quando il numero di diplomati stava crescendo e non è solo il numero assoluto di immatricolazioni, ma anche il rapporto fra immatricolazioni e persone con 19 anni di età ad essersi fortemente ridotto negli ultimi anni, dopo essere cresciuto quasi ininterrottamente nel Dopoguerra ed essere raddoppiato dal 1980 al 2005. Nonè neanche colpadelletasse universitarie. Le entrate contributive per studente sarebbero addirittura diminuite in termini reali negli ultimi anni secondo i dati raccolti dal Comitato nazionale per la valutazione del sistemauniversitario. Epoic'èuntetto alla tasse di iscrizione che, almeno in linea di principio, non può essere superato neanche da atenei strangolati dai tagli dei trasferimenti statali. Sono calate, comunque, le borse di studio. Al Sud in molte regioni solo il lo per cento degli aventi diritto riesce ad ottenere ifondiperil diritto allo studio. Sono statele prime spese ad essere tagliate dopo il calo dei trasferimenti statali ariprova del fatto che ovunque nell'amministrazione pubblica, al centro come nellaperiferia, i giovani non contano nulla. P un calo annunciato, per cer- Mondo Universitario ti aspetti attivamente perseguito. Da anni i governi investono sempre meno nell'istruzione. Addirittura nel piano 2020 elaborato dal governo Berlusconi due anni fa si poneva l'obiettivo di tenere saldamente i livelli di istruzione terziaria del nostro Paese, daqui al2020, al di sotto di quelli della Romania, l'ultimo paese dell'Unione in quanto a percentuale di laureati sulla popolazione. È un disinvestimento in istruzione, dunque, attivamente ricercato, pianificato. Lo stesso governo Monti haignorato l'università italiana, abbiamo avuto un ministro ombra, che si è ben guardato dal decidere, rinunciando anche alle proprie prerogative. Ad esempio, nella gestione dei fondi perla ricerca nell'università, si è preferito dare ancora più potere alle baronie accademiche, abdicando al compito di fare graduatorie dei progetti di ricerca alivello nazionale, dove i condizionamenti di gruppi di potere locali sono meno forti. Il degrado dell'università italiananon è solo una questione di risorse. È soprattutto una questione di incentivi distorti. Si aspettano fondi ministeri ali che non arrivano mai in tempo e su cui comunque non si può certo pianificare, dato che le regole cambiano di continuo. Non si possono alzare le tasse e competere per attrarre studenti. Non si può neanche sperare di attrarre una quota sensibilmente più alta dei fondi di finanziamento ordinario, potenziando e migliorando la ricerca accademica. L'università italiana non ha così saputo rispondere alla sfida dei trienni, quei corsi brevi che avevano creato in molti giovani l'aspettativa di poter acquisire in un arco di tempo non troppo lungo un titolo di studio immediatamente spendibile sul mercato. Come documentato daDaniele Checchi, l'introduzione dei trienni ha creato come una bolla nelle iscrizioni, che è scoppiata non appena ci si è resi conto che i trienni erano solo una tappa interme dia in un percorso di studio più lungo, volto almeno ad acquisirelalaureamagistrale. Bisognerebbe allora partire soprattutto dal progetto dei trienni per frenare lo spopolamento dell'universitàitaliana. Si potrebbe riformarli, soprattutto nelle sedi periferiche, seguendo il modello delle scuole di specializzazione tedesche. Ciascuna università, anche sede periferica, in accordo con un certo numero di imprese locali, potrebbe introdurre un corso di laurea triennale caratterizzato da una presenza simultanea in impresa e in azienda. Metà dei creditiverrebbe acquisito in aula e metà in azienda. Il lavoratore sarebbe impiegato in azienda e seguito da un tutor. Con controlli reciproci fra università e azienda sulla qualità della formazione conferita al lavoratore. Benché retribuito, il lavoratore non avrebbe alcun diritto automatico a entrare in azienda. Inltaliavisono circa80 atenei, troppi. Molti di questi non sono in grado difare ricerca. Nonhanno la massa critica per farlo. Ma possono garantire unbuonlivello di didattica. Ciascuno di questi atenei potrebbe stringere degli accordi con le associazioni di categoria e i sindacati presenti sul territorio. Le imprese che aderiranno all'accordo dovranno soltanto impegnarsi a prendere nella loro forza lavoro un certo numero di iscritti per anno. Si potrebbe così instaurare una specie di federalismo universitario basato sul rapporto impresa locale e università locale, tenendo conto del profilo delladomanda dilavoro nelle diverse regioni. Ad esempio, nel Mezzogiorno ci potrebbe essere una specializzazione nell'industria turistica mentre in alcune regioni settentrionali vi sarebbero corsi di apprendistato universitario in meccanica e scienze biomedicali. È una riforma a costo zero, che nonrichiede risorse aggiuntive rispetto a quelle attualmente disponibili. 0 RIPRODUZIONE RISERVATA Pagina 51 Il filosofo Massimo Cacciaci: da 30 anni la formazione non è unapriorità. "Mancano idee e investimenti siamo un Paese in decadenza" GREGORIO ROMEO ' r ROMA - «Siamo un paese in decadenza, chiaro? Estrema decadenza» Lo ripete più volte il filosofo e professore universitario Massimo Cacciari, commentando i dati del Cun: l'Italia sta arretrando «dal punto di vista sociale, culturale e politico». Un fenomeno irreversibile, in assenza di scelte che, a questo punto, «dovranno essere rivoluzionarie». Professore , perché sempre meno giovani si iscrivono in università? «Perché da30 annila classe dirigente ha dimenticato del tutto il tema del- Nessuna ,agenda mette la formazione. La politica ha il compi- to di definire le priorità, e l'idea dell'istruzione come priorità è stata tradita. Oggi l'università italiana sconta una drammatica assenza di investimenti. si e avvi o tutt o Ma anche di scelte coraggiose sul tema intorno all Imu della didattica, della selezione di nuovi professori e sulla libertà di accesso agli studi: in barba al'68, gli atenei sonotornatiadessereluoghi"diclasse"». Si profilano le elezioni . Ha notato qualche proposta utile per invertire la tendenza? «Per niente. Nessuna agenda pone il tema dell'istruzione come priorità fra le priorità. Il dibattito si è avvitato sull'Imu. Capisce che, in quanto a rilevanza, tra i due temi non c'è gara». Nessun segnale di speranza dunque? «In questi casi emerge la retorica sulla bellezza del Paese e sul valore profondo degliitaliani. Malaverità è che l'Italia è unPaese in decadenza. La speranza, poca, è rimasta. Giusto perché è l'ultima a morire». in cima 1istruzione Non a caso il dibattito tat 0 RIPRODUZIONE RISERVATA IL DOCENTE Massimo Cacciari, filosofo e docente universitario 1jn1vercitàaddio.ixrsì(iUm11asm1enóe710armi Mondo Universitario Pagina 52 ElenaMonticelli, laureandaalla Sapienzae leader del movimento di protesta "Tanti sacrifici e niente lavoro è una espulsione di massa" ROMA - Elena Monticelli, 25 anni, fuorisede da Brindisi, attivista del coordinamento studentesco Link, è vicina alla laurea in Economia alla Sapienza di Roma. Dice: «Mi sono iscritta all'università per provare a cambiare il mondo, ridurre le sue disuguaglianze, e ho resistito per dovere nei confronti dei miei genitori. Mi hanno mantenuto agli studi, sei anni. Anche novemila euro l'anno. Ci ho messo un po' di più perché le manifestazioni, le piazze e le assemblee di queste stagioni, mihanno coinvolta. Ho tenuto duro, anche nei momenti di sconforto, e a lugliomilaureo.Unesame,poitesi sperimentale sul welfare. Si, ora ho gli strumenti per contribuire a cambiare unmodello di sviluppo. Insieme alla mia generazione». Ho visto troppi amici mollare ma ho tenuto duro. E sono scesa in piazza proprio per cercare il cambiamento Delusa dall'università, impaurita per il futuro? «L'università italiana resta fra le migliori, ma questa fase storica è durissima: i nostri laureati sono pochiri spetto a quelli europei eppure sono troppi per il mercato del lavoro esistente. Una bolla formativa. E già esplosa e portai ragazzi italiani a emigrare». Ha mai pensato di smettere? «Mai. L'economiami affascinae la gratitudineverso lafamiglia mi ha inchiodata ai libri. Gli amici più stretti hanno mollato, prima l'università, poi la politica. E quel lavoro in nero che gli serviva per studiare è diventato la loro vita. Ho coscienza da tempo della conseguenza dei provvedimenti della Gelmini, di Profumo: l'espulsione di massa della mia generazione dall'università». (c. z.) 0 RIPRODUZIONE RISERVATA LA STUDENTESSA Elena Monticelli, laureanda alla Sapienza di Roma Univercitàaddio.cersì(iUmilasmdenóe710armi Mondo Universitario Pagina 53 Università addio, persi 6Omila studenti in l0 anni Allarme del Cun: "Comese sparisse l'intera Statale diMilano, così si taglia lo sviluppo CORRADO ZUNINO ROMA - L'università Statale di Milano, in questi dieci anni, è metaforicamente sparita: 58 mila studenti iscritti possono stipare, infatti, il glorioso ateneo meneghino. Ecco, in dieci anni quei 58 mila universitari non ci sono più in tutto il sistema italiano: si sono arresi prima, hanno abbandonato al secondo, al terzo anno. Di là delle metafore, il problema - come ha denunciato il Consiglio universitario nazionale - è che in Italia rischiano di sparire sul serio alcuni dei48 ateneipubblici italiani. «Molti non sono più nelle condizioni, a causa dei tagli subiti, di portare avanti la programmazione didattica». Non lo si dice, ma le università di Siena e Sassari da tempo hanno bilanci in rosso strutturale. Il Cun, dopo ampie discussioni, ha deciso di rendere noto un dossier traumatico sullo stato dell'università italiana e di stilare l a sua no ta p iù dura da quando l' istituzione esiste (in questa composizione e con queste prerogative), dal 2006. Scrive il presidente Andrea Lenzi, e invia a tutte le sedi istituzionali e politiche: «Le emergenze stanno ponendo il sistema dell'istruzione e della ricerca universitaria in una condizione di crisi conclamata, che rischia di diventare irreversibile, in conseguenza della quale gli atenei e le comunità accademiche non saranno più in condizione di assolvere i propri compiti istituzionali, di procedere alla formazione delle giovani generazioni, di promuovere la ricerca scientifica e di contribuire allo sviluppo e alla diffusione della cultura». Ecco, le innovazioni legislative introdotte «hanno comportato l'adozione di modelli e di soluzioni che si sono volute, incautamente, d'immediata e generalizzata applicazione, senza alcuna preliminare sperimentazione». Le energie delle strutture tecniche e del personale accademico «sono state impegnate nell'assolvimento di pesanti oneri organizzativi e funzionali, spesso di natura fortemente burocratica». Il dossier racconta come nelle università italiane ci sono meno studenti (58 mila, appunto), ma anche meno professori e tutto questo perché ci sono meno finanziamenti: «La ricerca scientifica è l'unico motore universalmente riconosciuto perl'innovazione elo svilupp o, tanto cheilresto del mondo sta investendo in ricerca nonostante il periodo di profonda crisi». L'Italia spende solo l' i per cento del Pil nel sistema universitario (contro una media Ue dell'1,5 per cento) e il Fondo di finanziamento ordinario ha conosciuto una contrazione delle risorse tale da diventare, per il 2013, inferiore all'ammontare delle spese fisse a carico dei singoli atenei. È il crack contabile. «A fronte di tutto ciò appare consolidarsi il rischio di un incremento dell'emigrazione intellettuale delle giovani generazioni, rischiamo di diventare la manodopera d'Europa». La percentuale di chi s'iscrive all'università diminuisce costantemente: dal68percento del 2007-2008 si è arrivati al 61 per cento del 2011-2012. Ai diciannovenni la laurea interessa sempre meno: le iscrizioni sono calate del 4 per cento in tre anni, dal 51 per cento al 47 per cento. È di- minuita drasticamente anche l'offerta formativa degli atenei: in sei anni sono stati eliminati 1.195 corsi di laurea. Quest'anno sono scomparsi 84 corsi triennali e 28 specialistici biennali. Gli studenti fuoricorso corrispondono al 33,6 per cento e il 17,3 per cento degli iscritti sono totalmente inattivi (zero crediti formativi). I professori ordinari sono scesi da un massimo storico di quasi 20 mila a fine 2006 agli attuali 14.500 (-27percento), gliassociati dai 19 mila del 2006 ai 16 mila di oggi (16 per cento). Contro una media Ocse di 15,5 studenti per docente, in Italia la media è di 18,7. Il dossier racconta, infine, che sono stati espulsi dal sistema «la maggior parte degli assegnisti anziani». Pesante la situazione borse di studio agli "aventi diritto": nel 2009 i fondi nazionali coprivano 1'84 per cento degli studenti, nel 2011 il 75 per cento. Silenzio del ministro dell'Istruzione Francesco Profumo, mentre attacca il segretario Pd Pierluigi Bersani. «C'è il classismo che ritorna, non possiamo accettarlo». 0 RIPRODUZIONE RISERVATA I numeri 280.144 gli iscritti all'università nel 2012 338.4E gli iscritti nel 2003 OÖ mila (,-17 ¿ gli studenti persi dall università taliana in 10 anni 4%%o il calo delle matricole negli ultimi 3 anni Per illustrare il calo degli studenti il Cun ha usato come metafora la Statale di Milano (a sinistra): "E come se fosse sparita". L'ateneo lombardo ha infatti 58.738 iscritti 1.195 i corsi di laurea chiusi in sei anni 25% il taglio delle borse di studio in tre anni 22% la riduzione dei docenti in 6 anni 18,7 il numero medio di studenti per ogni docente (15,5 la media Ocse) Mondo Universitario Pagina 54 Gian Antonio Stella /Cavalli di razza . Un C Le derogne alle le j_ _U • • M -w . un vizietto ta . V 099 _L_a no-t-a i-nte_rpre_t_at_lva de_1. . . . . .nuovi- - - - - - c-o-ne_orsi a maggior parte degli atti di governo papali», scriveva Stendhal in Promenades dans Rome nel 1829, «sono una deroga a una regola, ottenuta grazie al credito d'una giovine donna o di una grossa somma». Insomma, quella dell'interpretazione "all'italiana" delle norme è una storia vecchia. Al punto che, spiega Michele Ainis in Prlvilegium, le deroghe nel sistema di leggi nazionali e regionali ammontavano, al momento in cui il libro andò in stampa quattro mesi fa, a 63.194E continuano a crescere. L'ultimo esempio lo fornisce il ministro della Pubblica istruzione e dell'Università Francesco Profumo, che ha firmato una nota interpretativa dei "nuovi" concorsi universitari. Dice la legge che, per uscire finalmente dal pantano di concorsi vinti da figli, nipoti, cugine, cognati, famigli, amanti e portaborse in possesso magari di curriculum scarsi se non ridicoli, per passare la selezione occorre avere un certo numero di pubblicazioni su riviste considerate più o meno scientifiche. E già questo, come i lettori sanno, aveva sollevato un mucchio di perplessità data l'inclusione tra queste riviste "scientifiche" di mensili o settimanali dedicati alla più varia umanità. RISME DI DIS` <w_?, Davanti al rischio che qualcuno andasse in cattedra ad Architettura grazie a un gran numero di articoli su Il Corriere del Comò o a veterinaria per i suoi pezzi su La Gazzetta della Vacca Maremmana, il ministro si è sentito in dovere di precisare che "la valutazione complessiva del candidato, come si è detto, deve fondarsi sull'analisi di merito della produzione scientifica dello stesso". Ma Mondo Universitario Ipotesi maliziosa Con quella nota interpretativa, il rettore nepotista dell'università continuerà a fare ciò che vuole. "il superamento degli indicatori numerici specifici non è fattore di per sé sufficiente ai fini del conseguimento dell'abilitazione. Di norma, infatti, l'abilitazione deve essere attribuita dalle commissioni esclusivamente ai candidati che abbiano soddisfatto entrambe le condizioni (giudizio di merito e superamento degli indicatori di impatto della produzione scientifica)". Tuttavia, prosegue la nota, "le commissioni possono discostarsi da tale regola generale. Ciò significa che le commissioni possono non attribuire l'abilitazione a candidati che superano le mediane prescritte per il settore di appartenenza, ma con un giudizio di merito negativo della commissione, ovvero possono attribuire l'abilitazione a candidati che, pur non avendo superato le mediane prescritte, siano valutati dalla commissione con un giudizio di merito estremamente positivo". Insomma: facciano come meglio credono. Purché, ovvio, "ogni decisione della commissione, relativamente a quanto precede, dovrà essere rigorosamente motivata (...) sia in sede di predeterminazione dei criteri che di giudizio finale". Saputa la cosa, tra i docenti più critici verso l'andazzo del nostro sistema si sono levate risate di disperazione: non cambierà mai! Spiega tuttavia Roberto Perotti, che a quel sistema malato ha dedicato articoli, saggi, libri, che la nota di Profumo può essere letta in realtà in due modi. La lettura benigna è che, appunto, la scelta dei criteri numerici e "oggettivi" fatta per arginare il nepotismo che dilaga in vari atenei italiani si presta a un sacco di critiche perché vale più un solo saggio su Science che cento su Il giornale del Cabernet o L Pco della Tagliatella. Per capirci, spiega Perotti, "il numero di pubblicazioni in sé non vuol dire niente. Per quel che ne so due premi Nobel come Maurice Allais o John Nash ne avevano pochissime. E l'università di Chicago ha appena dato una cattedra a un giovane studioso che aveva una sola pubblicazione, ma ritenuta geniale. In realtà siamo dentro il solito circolo vizioso: finché gli atenei continueranno a essere finanziati a pioggia e non in base ai risultati così da esser costretti a prendere solo i professori migliori per non fallire, non ne usciamo". Sullo sfondo, resta la seconda interpretazione, maliziosa: il rettore nepotista, con quella nota, brinderà: regole o no, può continuare a fare quel che gli pare. Pagina 55 Crollo di iscritti ne atenei Matricole in calo del 17% rispetto a dieci anni fa - Pesa il taglio ai fondi Eugenio Bruno ROMA náy. Gli atenei italiani lanciano un urlo alla Edvard Munch. A diminuire non sono solo i fondi, ma anche gli iscritti, i laureati, i corsi di laurea e i dottorandi Come sottolinea un documento del Consiglio universitario nazionale (Cun) indirizzato al Governo che verrà. Il valore del dossier non sta tanto nella sua originalità, poiché contiene dati in gran parte già noti, quanto nella sua organicità. Così da fotografare lo stato di salute ditutte le componenti della galassia universitaria. Si parte dall'emorragia di matricole, che nell'ultimo decennio sono diminuite di oltre 58mila, unità (-17%). Dai 338.842 dell'anno accademico 2003/2004 Si è passati a 280.144 del 2011/2012. E come se fosse scomparso, sottolinea il Cun, un intero ateneo delle dimensioni della Statale di Milano. Il calo non riguarda solo i flussi in ingresso, ma anche quelli in uscita. Per numero di laureati continuiamo infatti a essere sotto la media Ocse: nel 2012 eravamo ancora al 34esimo posto su 36. Senza contare che nell'anno accademico 201o/2ou risultava fuori corso il 33,6% degli studenti, LA FOTOGRAFIA I laureati restano al di sotto della media Ocse e i docenti sono diminuiti del 22% Ne12013ilfondo di finanziamento perde il20% ........................................................................... mentre un altro 17,3% risultava iscritto senza avere sostenuto alcun esame. Passando dalla domanda all'offerta formativa, il risultatononmuta. E continua aimperare il segno meno. In diminuzione risultano siaicorsidilaurea che i docenti. Gli insegna- Mondo Universitario menti attivati sono passati dai 5.519 del 2007/2008 ai 4.324 del 2012/2013. Solo quest'anno sono scomparsi 84 corsi triennali e 28 di tipo specialistico/magistrale. E ciò sia perla doverosa opera di razionalizzazione avviata dagli atenei sia per la pesante riduzione numerica del personale docente. Che in sei anni si è ridotto del 22%: gli ordinari sono passati dai quasi 2omila del 2006 ai 14.500 del 2012; gli associati da 19mila a 16mila. E il trend discendente proseguirà nei prossimi anni. Sempre in quest'ottica degni di nota sono, da un lato, i 6.ooo iscritti in meno (nella fascia di età 25-27 anni) ai corsi di dottorato rispetto alla media europea e, dall'altro, il 50% di dottorandi che non hanno una borsa di studio. Almeno su questo punto un segnale di speranzapotrebbe arrivare dal regolamento che sta per giungere in porto (su cui si veda il Sole 24 ore di ieri) e che istituisce la figura del dottorato industriale così da consentire uno sbocco in azienda acoloro che nonpossono (o vogliono) proseguire la carriera accademica. Il Consiglio universitario risale poi dagli effetti alle cause. Focalizzandosi soprattutto sull'andamento decrescente del Fondo di finanziamento ordinario (Ffo). Che è tuttora il principale mezzo di sostentamento degli atenei e che nel 2013 subirà una sforbiciata del 20%, arrivando a quota 6,6 miliardi. Come forse si ricorderà tutti i tentativi del ministro Francesco Profumo di reperire altri 400 milioni durante l'esame al Senato della legge di stabilità si sono rivelati vani fant'è che alla fine è riuscito a strapparne solo loo. Proprio sulla carenza di fondi si concentrano gran parte delle reazioni. Apartire dairettori sparsi lungo la Penisola e dal presidente del Cun, Andrea Lenzi, che definisce gli atenei «vittime di un'irrazionale riduzione di risorse». A sua volta il responsabile università del Pd, Marco Meloni, assicura: «Come primo atto di governo cambieremo il diritto allo studio». Voce fuori dafcoro Carlo Finocchietti, direttore del Centro informazioni mobilità equivalenze accademiche (Cimea). Che invita a distinguere il calo dell'offerta formativa, «che era stato ampiamente previsto e anche programmato», da quello della domanda, che è il vero fatto nuovo. Ed è dovuto sia auna «contrazione tecnica dopo ilboom diiscrizioni seguito alla riforma del processo di Bologna del '99» sia a un «maggiore realismo delle famiglie e dei giovani». Che, a suo giudizio, ci pensano su due volte prima dibuttare tempo e soldi in una scelta che di-per sé non spalancale porte del mondo del lavoro. Pagina 56 L'allarme degli atenei MENO MATRICOLE Numero di studenti immatricolati* 2003 2012: LA STRETTA ALLE RISORSE Evoluzione del fondo di finanziamento ordinario. Dati in miliardi di« - Ffo -, Ffo corretto per l'inflazione (base 1996) 350. 96 97 98 99 00 01 02 03 04 05 06 07 08 09 10 11 12 13 8,0 7,5 ì: 325 70 65; 6,0 300 .. -ào 5, 275 . , , 4,5 IL TREND DEI CORSI DI LAUREA Riduzione della numerosità dei corsi di studio attivati Corsi di laurea Triennali Specialistica/magistrale (biennali) Specialistica/magistrale (a ciclo unico ) (*) Valori in migliaia Mondo Universitario 2007-'08 2008-'09 2009 -'10' .2010-'11 2011-'12 2012 '13' 2.830 2.598 2.373 2.239 2.100 2.062 2.416 2.353 2.205 2.089 1.990 1.962 273 275 278 293 291 300 Fonte: Miur- Anagrafe nazionale degli studenti Pagina 57 COME SI PUO FLRN RE L'ENIOR.RAGIA WALTER PASSERINI Giovani sull'orlo di una crisi di fiducia nello studio; università incapaci di attrarre le energie migliori, i talenti. CONTI NUA A PAG. 13 LA STAMPA N Mondo Universitario Pagina 58 Come possiamo fermare l'emorragia WALTER PAssrnINI SEGUE DALLA PRIMA PAGINA E una morsa soffocante, che rischia di delegittimare il valore del sapere, nel momento in cui la competizione globale richiede nuove e più ricche competenze. Non ci si può consolare con il calo demografico. È vero, come ricordano Almalaurea e Almadiploma, che in 25 anni (1984-2009) in Italia i diciannovenni sono calati del 38%. Sono quasi raddoppiati i diplomati (i diciannovenni che lo hanno conseguito sono passati dal 40% del 1984 al 73% del 2009). Ma a partire dal 2003 il circolo virtuoso del rapporto tra diplomati e immatricolati si è inceppato, riducendosi di quasi 10 punti (dal 72,6% al 63,3%). Oggi i diciannovenni immatricolati rappresentano il 29% dei loro coetanei. Tra i motivi del disamore, al di là delle ragioni demografiche, vi è la sfiducia nell'ascensore sociale della formazione; l'impatto negativo con un mercato del lavoro che non premia, anzi precarizza anche i più titolati; una visione provinciale e localistica della competizione che nel mondo si basa sulla preparazione delle risorse umane, sulle competenze, sulla conoscenza. È il senso dello studio che demoralizza, mentre per le generazioni precedenti era il motore della promozione sociale. gira a favore dello studio e del sapere, o meglio, di tutti i saperi: saperi, saperi pratici e saperi critici, recuperando il valore dell'imparare, come succedeva dentro le rinascimentali botteghe artigiane; questa campagna dovrà sfociare nella scrematura dei troppi corsi di laurea (oltre cinquemila), molti dei quali inutili. La seconda è quella dell'orientamento, che ha bisogno di orientatori professionali e non di predicatori scalzi, anche se volonterosi; le bussole vanno introdotte sia nelle medie inferiori sia negli ultimi anni delle superiori. La terza si chiama valutazione: non si possono valutare solo i giovani, ma anche le scuole, i professori, le università; un Paese che non premia né punisce in modo equo e responsabile uccide la cultura dei merito. Infine, un richiamo alle imprese, che non possono sempre e solo lamentarsi. Abbiamo bisogno di più laureati. Se le imprese facessero monitoraggio e censimento dei fabbisogni occupazionali e formativi, mentre combattono e cambiano il motore in corsa, darebbero un essenziale contributo a un Paese che deve ancora diventare sistema. Ma c'è anche un'altra sfida all'orizzonte, quella dei luoghi in cui si produce la formazione del futuro. Siamo così sicuri che il sapere necessario per stare dentro la competizione possa venire prodotto solo dalle università? Nell'era digitale, quali sono i nuovi santuari della conoscenza nel mondo? È anche questo il sottotesto dei dilemma che lacera molti giovani: resto o divento un cervello in fuga? Tre sono le principali azioni che possono invertire l'emorragia dall'apprendimento. La prima è il lancio di una campa- Mondo Universitario Pagina 59 lega dagli atenei Persi in dieci anni 58 mila studenti Calano anche finanziamenti, corsi e docenti Luniversita non garantisce più il futuro? O rmai è una certezza: l'Università non è più né uno status sociale né un sogno da realizzare a tutti i costi o un parcheggio in attesa di idee migliori. E una scelta effettuata sempre più da chi pensa che valga la pena investirci tempo e denaro perché di lì passerà il suo futuro. L'ennesima conferma è nel documento del Cun (Consiglio universitario nazionale) indirizzato all'attuale Governo e Parlamento, alle forze politiche impegnate nella competizione elettorale, «ma soprattutto a tutto il Paese». Dal 2009 il Fondo di finanziamento ordinario (Ffo) è sceso del 5% ogni anno, è scritto nel documento. In dieci anni gli immatricolati sono scesi da 338.482 (2003-2004) a 280.144 (2011-2012), con un calo di 58 mila studenti, vale a dire del 17%. Come se in un decennio fosse scomparso un ateneo come la Statale di Milano, precisa il Cun. La crisi è diffusa in tutt'Italia ed estesa a quasi tutti gli atenei anche se esistono eccezioni come l'ateneo di Bologna dove negli ultimi tre anni le iscrizioni sono aumentate dell'1%. IMMATRICOLATI In un decennio sono calati dal 17 per cento I 19enni sono più o meno gli stessi - in cifre - negli ultimi 5 anni, ma le loro iscrizioni sono calate del 4% in tre anni: dal 51% nel 2007-2008 al 47% nel 2010-2011. Né i risultati sono migliori se si guarda al numero dei laureati. L'Italia è molto al di Mondo Universitario sotto della media Ocse con il suo 34° posto su 36 Paesi. Solo il 19% dei 30-34enni ha una laurea, in Europa la media è del 30%. Il 33,6% degli iscritti è fuori corso mentre il 17,3% non fa esami. Tutto lascia pensare che il calo non si fermerà presto. Il fondo nazionale per finanziare le borse di studio è stato molto ridotto a partire dai primi anni del governo Berlusconi. Nel 2009 i fondi nazionali coprivano l'84% degli studenti aventi diritto, nel 2011 il 75%. In sei anni sono stati eliminati 1.195 corsi di laurea. Quest'anno sono scomparsi 84 corsi triennali e 28 corsi specialistici-magistrali. All'inizio si trattava di una necessità di razionalizzare, ora invece soprattutto di fare economia sul personale docente. Rispetto alla media Ue, in Italia 6.000 giovani in meno si iscrivono ai corsi di dottorato. L'attuazione della riforma del dottorato di ricerca prevista dalla riforma Gelmini è ancora ferma e il 50% dei laureati segue i corsi di dottorato come una forma di volontariato personale, senza borsa di studio. In sei anni (2006-2012) il numero dei docenti si è ridotto del 22%. Nei prossimi tre si prevede un ulteriore calo. Contro una media Ocse di 15,5 studenti per docente, in Italia la media è di 18,7. Pur considerando il calo di immatricolazioni, il rapporto docenti-studenti è destinato ad aumentare ancora: i docenti sono in calo e lo saranno ancora nei prossimi anni e gli atenei hanno subito forti limitazioni sui contratti di insegnamento. Dal 2001 al 2009 il Fondo di finanziamento ordinario (Ffo), calcolato in termini reali aggiustati sull'inflazione, è rimasto quasi stabile, per poi scendere del 5% ogni anno, con un calo complessivo che per il 2013 si annuncia prossimo al 20%. Impossibile, quindi, programmare la didattica o la ricerca. Università in affanno OFFERTA FORMATIVA -1.195 corsi di laurea in sei anni (2006-2012) -6.000 iscritti ai corsi di dottorato rispetto alla media Ue BORSE DI STUDIO (aventi dirittn (n¡berti dai fondi) 54'4, 2009 75% 2011 Fonte: Consiglio universitario nazionale Centimetri - LA STAMPA FtAAVIAAMABILE IMMATRICOLATI 2003-2004 LAUREATI (s i tntaHP 3n-34ennit 19 °% Italia 30% Media Ue PROFESSORI -22% di docenti in sei anni (2006-2012) Numero studenti per docente Italia 18,7 LAU REATI Siamo al terz'ultimo posto nell'0cse Solo 19% dei trentenni Pagina 60 "È un gioco di squadra che fa vincere i singoli" STEFANO RIZZATO università? È come una squadra di calcio. Spesso, i singoli fanno la differenza». Pietro Gravino, 28 anni, ha studiato fisica all'Università La Sapienza di Roma. Dopo i cinque anni di studi, è rimasto in ateneo come dottorando. Ora si occupa di progetti multidisciplinari e ricerche sociali. «L'ultima è "LaPENSOcosì - racconta - un modo di sondare le preferenze degli elettori con un giochino per Facebook». Nell'università Pietro ha trovato il modo di assecondare, insieme agli studi scientifici, anche la passione per ambiti diversi. «Lavoro a contat- to con antropologi, linguisti e sociologi. In questo gli atenei sono difficili da sostituire: consentono quella collaborazione tra esperti di discipline diverse che è il modo migliore per ottenere risultati». Certo, la ricerca e la mancanza di fondi sono diventate tasti dolenti nel panorama universitario. Ma esistono anche isole felici, spiega Pietro: «Sulla mia strada ho trovato docenti intraprendenti, che fanno progetti interessanti e riescono a finanziarli con bandi europei. Al "dopo" per adesso non penso. Però mi sono accorto di una cosa: all'estero un laureato in fisica alla Sapienza può trovare lavoro persino facilmente. Qualcosa vorrà pur dire». "Ma gli stimoli veri sono fuori dalle aule" er chi va a caccia di stimoli, le università non sono certo il posto giusto». A dirlo è Massimo Ciociola, 35 anni e imprenditore da quasi 15. Da fondatore di MusiXmatch - azienda di Bologna che dà lavoro a 20 persone ed è diventata il punto di riferimento nella Rete per i testi delle canzoni - è l'esempio di come si possa diventare startupper di successo senza mai laurearsi. Un po' come Steve Jobs. «A 21 anni studiavo ingegneria elettronica a Bologna racconta - ma non avevo stimoli. Quando pensai a uno dei primi servizi per il wireless, qualcuno dei miei docenti mi disse: "Stia zitto e continui a Mondo Universitario studiare". Beh, quell'idea è diventata la mia prima startup». Quasi 15 anni e diversi viaggi dopo, Massimo resta convinto che sia stata la scelta giusta. «Per fortuna ho avuto una famiglia che mi ha capito e sostenuto. La verità è che esistono altre strade da quelle solite. E che bisogna imparare anche a rischiare». Nelle università Massimo vede solo un ambiente poco fertile. Specie per un giovane di talento. «Spesso sono i docenti i primi ad essere demotivati. Ecco perché credo che un ragazzo dovrebbe iniziare a mettersi in gioco prima possibile. E che i talenti, oggi, andrebbero cercati già nei licei, invece che soltanto nelle università». IS. RIZ.] Pagina 61 Le università perdono studenti In dieci anni il 17% di immatricolati in meno. In calo i laureati Boom di fuori corso. Allarme dagli atenei: basta tagliare i fondi Natalia Poggi [email protected] NE L'allarme arriva da una ricerca nazionale del Cun (Consiglio Universitario Nazionale) ed è un'emergenzanazionale. In dieci anni gli iminatricolati all'Università sono scesi da 338.482 (anno accademico 2003/2004) a 280.144 (anno 2011/2012). Si tratta di 58.000 studenti, pari al 17% in meno. In pratica, riferisceilCun, è come se un grande ateneo come la Statale di Milano fosse all'improvviso scomparso. Il calo delle immatricolazioni interessa la gran parte degli atenei. E se i diciannovenni snobbano sempre più gli studi accademici, sempre di meno sono gli studenti che si laureano. Per numero di laureati, infatti, siamo largamente al di sotto dellamediaOCSE: al34° posto su 36 Paesi (anno 2012). Solo il 19% dei 30-34enni italiani possiede una laurea, contro una media europea de130% (rilevazione al 2009). Il 33,6% degli iscritti ai corsi di laurea, infine, è fuori corso mentre il 17,3% non fa esami. In pratica ci si iscrive all'università senza convinzione, forse per ripiego, senza un pianificazione precisa. Inoltre le prospettive non sono rosee. Il numero dei laureati nel nostro Paese è destinato a calare anche perché, secondo il Cun, negli ultimi 3 anni il fondo nazionale per finanziare le borse di studio è stato ridotto. Nel 2009 i fondi nazionali coprivano 1'84% degli studenti aventi diritto, nel 2011 il 75%.1125% dei ragazzi quindi è rimasto fuori. E così le iscrizioni sono calate del4%in tre anni, passando dal 51% nel 2007-2008 al 47% nel «Più attenzione ai giovani. La società non deve più escluderli» Mondo Universitario 2010-2011. Tra le cause anche l'impoverimento dell'offerta formativa. In sei anni sono stati eliminati 1.195 corsi di laurea. Quest'anno sono scomparsi 84 corsi di laureatriennali e 28 corsi specialistici/ magistrali (biennali). Molti professori sono andati in pensione e non sono stati sostituiti. In soli sei anni (2006/2012) il numero dei docenti si è ridotto del 22%. Nei prossimi 3 anni si prevede un ulteriore calo dei docenti di ruolo. Il calo è dovuto alla limitazione imposta al numero dei contratti di insegnamento. ControunaunediaOCSE di 15,5 studenti per docente, in Italia la media è di 18, 7. Rispetto alla media europea in Italia abbiamo 6.000 dottorandi in meno che si iscrivono ai corsi di dottorato (fascia età 25-27 anni) che rappresentano il più alto grado di istruzione universitaria. L'attuazione della riforma del dottorato di ricerca prevista dalla legge (30 dicembre 2010, n.240) è ancora al palo. Inoltre in Italia il 50% dei laureati segue i corsi di dottorato senza alcuna borsa di studio. L'allarme lanciato dal Cun è diretto al Governo, al Parlamento e alle forze politiche impegnate nella campagna elettorale. È un tentativo di stoppare, come sottolinea il presidenteAndreaLenzi «lacostante, progressiva ed irrazionale riduzione delle risorse finanziarie ed umane destinate al sistema universitario». Perché «l'università crea conoscenza diffusa e capacità di sapere critico per i giovani, è l'unica istituzione che crea le competenze per la classe dirigente di un Paese democratico, moderno ed evoluto, l'unica palestra che mette in evidenza le vocazioni e le eccellenze indispensabili alla competizione scientifica globale». Emorragia Le iscrizioni sono calate del 4% in tre anni passando dal 51% nel 2007-2008 al 47% nel 2010-2011 In sei anni sono stati eliminati 1 .195 corsi di laurea. Quest'anno scomparsi 84 corsi di laurea triennali e 28 corsi specialistici (Nella foto aula di Medicina alla Sapienza) tura, durante la presentazione dell'assemblea plenaria annuale del dicastero vaticano (6-9febbraio) sultema«Culture giovanili emergenti». «Se c'è un campo di interessi che in questa fase storica considero fondamentale è la cultura giovanile. L'esigenza di dare più attenzione ai giovani anche nellaChiesa, dove dovrebbero poter accedere anche aincarichi di responsabilità». Il tema riguarda la società intera: per Ravasi «dovrebbe affiorare un esame di coscienza nei genitori, nei maestri, nei preti, nella classe dirigente. I giovanili abbiamo esclusi con la nostra corruzione e incoerenza, col precariato, la disoccupazione, lamarginalità. Invece la loro diversità non è negativa ma contiene semi sorprendenti di fecondità e autenticità». i L !i i- á w «Solo le istituzioni accademiche creano il sapere critico» I giovani e la cultura giovanile devono essere centrali. Lo ha ribadito il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio consiglio per la cul- Pagina 62 ME Mondo Universitario Pagina 63 i direttore i Lo Storto: «Più corsi di laurea legati al mondo del lavoro» Il calo fisiologico e inarrestabile di iscritti all' università è preoccupante soprattutto seinserito nel contesto attuale di crisi economica. A sottolineare l'allarme lanciato dal Cun è il vice direttore della Luiss Giovanni Lo Storto. «Altro dato preoccupante è il 20% dei fuori corso che rileva una scelta non consapevole che fa perdere tempo e ci allontana dalle medie europee. E poi il numero elevato di abbandoni, uno su cinque. Sono tutti problemi che non si possono più rimandare». Quali potrebbero essere gli interventi? «Bisognarendere più efficaci le offerte formative, cioè razionalizzare l'offerta e fare in modo che i corsi di laurea rispecchino le esigenze del mondo del lavoro. Per questo è necessario che il mondo accademico incontri e si relazioni con le aziende». In caso contrario le università continueranno ad essere fabbriche di disoccupazione. Le scelte consapevoli e che possono portare a sbocchi occupazionali devono costruirsi molto prima del momento fatidico dell'iscrizione. «Prima di tutto va ripensato l'orientamento - prosegue Lo Storto - peri chéorasiètrasformatoinunamanierache assomiglia più al marketing dell'offerta formativa dell'ateneo in questione. Il vero orientamento non è un'attività pubblicitaria ma di informazione sui percorsi di laurea possibili e più si anticipa, meglio è». Non basta dunque andare nelle scuole e mettersi in vetrina parlando di cosa si fa all'università e di quanto sono belli e interessanti i corsi di laurea ecc. ecc? «Direi proprio di no. Ad esempio noi alla Luiss abbiamo sperimentato con successo la formula delle settimane summer school. A fine luglio e in agosto i ragazzi delle superiori che vi si iscrivono possono sperimentare per sette giorni la vita universitaria. Frequentano mini lezioni, si esercitano nellalettura efficace, a parlare in pubblico, a fare solving problem». Un approccio teorico ma soprattutto pratico? «Sì anche a spettro più ampio. Facciamo provare mini lezioni di discipline come medicina e ingegneria che nonvengono impartite alla Luiss».Altre strategie? «L'orientamento va fatto alle elementari e alle medie. Bisogna divulgare presso le nuove generazioni il concetto del fare impresa». Nat. Pog. Mondo Universitario Pagina 64 A dare i voti ad atenei e corsi la strana agenzia di Gelmini stema di regole e regolette che uccidono l'autonomia universitaria». MARIO CASTAGNA Profurno ha varato le Nnee l dell'Ava, ll sistema dì l It l i ° t _ __ _. ì uuv+_ hía •• C ._N111 _r F ^ , ìyu r n'uiiiversità più piccola, più povera e sempre più stressata. U I dati del Cun dimostrano che il calo di studenti e di finanziamenti ha ormai portato il nostro sistema universitario al collasso. Su un terreno sempre più inaridito si sta abbattendo però un diluvio burocratico che rischia di mettere ancora più in difficoltà i professori e i ricercatori delle università italiane. Il ministro Profumo ha varato da poco le linee guida per l'Ava, il sistema di Autovalutazione, Valutazione ed Accreditamento delle università italiane. E tutti incominciano già a tremare, non tanto per la paura di essere valutati, ma per lo stress burocratico che il processo di valutazione rischia di generare. Già oggi ogni corso di laurea viene monitorato da un nucleo di valutatori interni che raccolgono migliaia di questionari che registrano la soddisfazione degli studenti. Il nuovo sistema varato dal Miur complica enormemente questo sistema. Il ministro lo ha chiamato il bollino di qualità, ma non sono pochi coloro che si troveranno tra le mani solo qualche ramo secco invece che frutti rigogliosi. In effetti il punto più preoccupante è l'ultima fase dell'Ava, che è quella dell'accreditamento. Tutto il processo sarà guidato dall'Anvur, l'agenzia creata dalla Gelmini che dovrebbe valutare l'intero sistema dell'università e della ricerca in Italia. Peccato che, quella che doveva essere un'agenzia indipendente, si è rilevata una tecnostruttura ministeriale sempre più potente. Il comitato direttivo è di nomina politica, essendo stato proposto dalla ex ministro Gelmini nel gennaio del 2011. I membri del consiglio direttivo rivendicano da tempo la loro indipendenza dal ministero. Ma basta controllare la loro sede per capire quanto forti siano i legami tra l'ex numero del dicastero e l'agenzia: hanno sede nello steso ufficio, a poche rampe di scale di distanza. L'agenzia è talmente poco dipendente dal potere politico che non è ancora stata accreditata come ente autonomo di valutazione dalla rete europea di agenzia per la qualità della ricerca. Un ministero nel ministero che decide la vita e la morte di dipartimenti, facoltà e corsi di studio universitari. Un potere enorme che rischia di limitare fortemente l'autonomia cultura dell'accademia italiana. CURIOSE VICINANZE Anche la conferenza dei rettori, per bocca del suo presidente Marco Mancini, ha chiesto all'Anvur di «ripensare parzialmente le modalità di implementazione del sistema di accreditamento. Le università sono infatti ancora alle prese con l'applicazione della legge Gelmini e sono impossibilitate, non per loro volontà, a mettere in piedi il nuovo sistema di accreditamento». Sempre Alberto Baccini ci ricorda che l'agenzia francese, nel funzionamento molto simile all'Anvur italiana, è stata chiusa: «non garantiva indipendenza e imparzialità. Era un delirio burocratico. Il modello italiano sembra purtroppo molto simile al modello francese». E tutti sperano che insieme all'acqua sporca di un'agenzia poco funzionale non venga gettato il bambino di un sistema di valutazione dell'università italiana finalmente efficiente. L'agenzia è stata molto criticata negli ultimi mesi per aver gestito tutto il processo per il reclutamento dei nuovi professori. Dopo aver dato dignità scientifica a riviste come Yatch Capital e a Suinocultura, scatenando le risate di buona parte del mondo culturale italiano, oggi l'agenzia si ritrova con il potere di accreditare i corsi di studio universitari. Alberto Baccini, uno dei redattori di Roars, rivista telematica che si occupa della valutazione universitaria ormai da più di un anno, fa parte del nucleo di valutatori dell'Università di Siena. Ci riporta una delle preoccupazioni più frequenti nelle aule universitarie: «La valutazione diventerà un processo molto complicato. Solo gli studenti dovranno compilare per ogni corso 6 questionari. Più che una valutazione siamo di fronte ad un si- Mondo Universitario Pagina 65 Università, in dieci anni 58mila studenti in meno e 11 C onsiglio universitario nazionale: calano finanziamenti e docenti. «Così si taglia lo sviluppo del Paese» LUCIANA CIMINO ROMA Non sono una sorpresa per nessuno i nuovi dati che descrivono la lenta moria dell'Università italiana. Non per gli studenti, che negli ultimi anni hanno manifestato contro la loro inesorabile espulsione dall'istruzione. Non per i ricercatori, precari a vita, e neanche per i rettori che da mesi denunciavano l'impossibilità di gestire i propri atenei con le esigue risorse a disposizione. Ora è il Cun (Consiglio universitario nazionale) a mettere nero su bianco che una gran parte di italiani comincia a percepire l'istruzione superiore come un lusso non consentito. Tanto che le immatricolazioni sono crollate. In dieci anni sono scese da 338.482 (anno accademico 2003-2004) a 280.144 (2011-2012). 58mila studenti in meno e cioè il 17%, come se scomparisse un ateneo grande quanto la Statale di Milano. Il fenomeno riguarda tutti gli atenei, dal nord al sud (tranne Bologna). Nel rapporto che il Cun ha rivolto all'attuale governo e Parlamento, ai partiti impegnati nelle elezioni, «ma soprattutto a tutto il Paese», non c'è una sola voce con il segno positivo. Non il numero dei laureati: l'Italia è sotto la media Ocse, 34esimo posto su 36 paesi. Solo il 19% dei 30-34enni ha una laurea, contro una media europea del 30%. Neanche il numero di chi sceglie una carriera universitaria: rispetto alla media Ue, in Italia ci sono 6mila dottorandi in meno mentre l'attuazione della riforma del dottorato di ricerca prevista dal- Mondo Universitario la Gelmini è ancora al palo. Questo si traduce nel fatto che il 50% dei laureati segue il dottorato senza borsa di studio. Borse di studio che del resto sono impossibili da ottenere anche per gli studenti a basso reddito (come prevede la Costituzione). Spiega il Cun: «il numero dei laureati nel nostro Paese calerà ancora anche perché, negli ultimi 3 anni, il fondo nazionale per le borse di studio è stato ridotto. Nel 2009 copriva l'84% degli studenti aventi diritto, nel 2011 il 75%». Ma risulta diminuito del 22% anche il numero professori, non vengono più assunti. Un ulteriore calo è previsto nei prossimi 3 anni e già, secondo l'Ocse, 1; t 110 superiamo la media europea di studenti per docente che è «destinata a divaricarsi ancora per una continua emorragia di professori per la forte limitazione imposta ai contratti di insegnamento che ciascun ateneo può stipulare». Un calo, quello dei docenti, che incide anche sull'offerta formativa. In sei anni sono stati eliminati 1.195 corsi di laurea, solo questo anno sono scomparsi 84 corsi triennali e 28 corsi specialistici/magistrali. «Se questa riduzione è stata inizialmente dovuta alla razionalizzazione, ora dipende - si fa notare dalla pesante riduzione del personale docente». I laboratori poi sono obsoleti e quindi difficilmente concorrenziali con quelli esteri o di ricerca privata: i finanziamenti Prin (destinati alla ricerca libera di base per le università e il Cnr), subiscono tagli costanti, da una media di 50 milioni all'anno ai 13 milioni per il 2012. Infatti dai 100 milioni assegnati nel 2008-2009 a progetti biennali si è passati a 170 milioni ma per progetti triennali, per giungere a meno di 40 milioni nel 2012. Del resto dal 2001 al 2009 il Fto (Fondo di finanziamento ordinario) prima è rimasto quasi stabile, ignorando l'inflazione, poi ha cominciato a scendere del 5% ogni anno, con un calo complessivo che per il 2013 si annuncia prossimo al 20%. «Su queste basi e in assenza di un qualsiasi piano pluriennale di finanziamento moltissime università, a rischio di dissesto - osserva il Cun- non possono programmare né didattica né ricerca». Andrea Lenzi, presidente del Cun, parla di «costante, progressiva e irrazionale» riduzione delle risorse finanziarie e umane destinate al sistema universitario che «ne lede irrimediabilmente la capacità di svolgere le sue funzioni di base, di formazione e ricerca». Non è sorpresa di questi dati Emanuela Ghizzoni, presidente Pd della Commissione Istruzione della Camera, «registrano una crisi che si è venuta a creare a causa delle politiche di Gelmini-Tremonti-Berlusconi e che denunciamo dall'inizio. Monti non ha invertito la tendenza». Marco Meloni, responsabile Università del Pd, e l'ex rettore Maria Chiara Carrozza parlano di «questione sociale gigantesca» e annunciano che il primo provvedimento del prossimo governo sarà sul diritto allo studio. E anche per Mimmo Pantaleo, segretario generale Flc-Cgi, il rapporto del Cun «fa paura» perché «racconta di opportunità negate ai giovani e dà la misura dell'impoverimento culturale del nostro Paese. In Italia studiare è sempre più costoso, difficilmente accessibile e non paga». Pagina 66 Sempre meno studenti nelle Università italiane Mondo Universitario Pagina 67 Giovani derubati della fiducia L'ANALISI GIUSEPPE PROVENZANO È l'Italia che si impoverisce, e nella crisi perde pezzi di futuro. E così intacca il suo giacimento più prezioso , quel capitale umano che non valorizzato. SEGUE A PAG. 11 Mondo Universitario Pagina 68 Giovani derubati della fiducia IL COMMENTO GIUSEPPE PROVENZANO È ciò che non solo interrompe ma rischia di minare ogni prospettiva di sviluppo del nostro Paese. E di tutto questo che ci parla il dato del crollo delle immatricolazioni all'Università. Non è il primo anno che viene denunciata questa inversione di tendenza, che inchioda l'Italia agli ultimi posti per numero di laureati tra i paesi Ocse. E proprio i numeri del decennio tracciano la sua parabola declinante, il precipitato di occasioni sprecate. Sprecato è il forte investimento che dalla metà degli anni Novanta aprì l'accesso all'istruzione avanzata a una massa di giovani, specialmente donne e meridionali, con la promessa di buona occupazione, verso una società della conoscenza e un'economia fortemente competitiva. Si iscrivevano all'Università sempre più diplomati, fino a oltre il 70% nel 2004, soprattutto nel Sud che colmava i divari formativi con il resto del Paese. Da allora, è iniziato un lento declino che la crisi ha accelerato, e quella percentuale è tornata ai livelli di quindici anni fa. Crollano le immatricolazioni non solo per un calo demografico o per la diminuzione degli immatricolati adulti (fenomeno importante in seguito alla riforma universitaria di fine anni Novanta). Oggi pesa la crisi, la difficoltà delle famiglie a farsi carico del costo di mandare i figli all'università. Tuttavia, la ragione principale va ricercata proprio nella promessa mancata sul lavoro, nel tradimento alle nuove generazioni. Anche ai laureati, a cui l'Italia ha dato Mondo Universitario soltanto un'alternativa tragica tra la precarizzazione e la marginalizzazione, lo «spreco» (si pensi ai Neet, alle centinaia di migliaia di laureati inoccupati) o peggio la «fuga» (con l'esercito dei nuovi fuorusciti). Al di là dei limiti interni al sistema formativo e universitario, della notoria mancanza di una politica per la ricerca, del diritto allo studio spesso vergognosamente negato, i fattori economici e sociali, attuali e di prospettiva, assumono un peso decisivo nelle scelte formative. È la forma più grave di «scoraggiamento» sociale: matura l'idea che investire nel sapere, e dunque in se stessi, alla fine non serva, altri sono i modelli di affermazione sociale. A che serve andare all'Università a per un giovane che si troverebbe a venticinque anni senza un lavoro all'altezza delle sue competenze e ambizioni? A che serve se a trent'anni, senza un sistema di protezione familiare o clientelare alle spalle, non avrà un reddito che garantisca una vita dignitosa? Chissà che qualcuno oggi non si accorga, pure in una campagna elettorale dove fanno capolino vecchi uomini e vecchie idee, che questo dato sul crollo delle immatricolazioni è un frammento di specchio che restituisce, con un'immagine abbastanza inquietante, la più nitida visione della posta in gioco: il ruolo dell'Italia, della sua società, della sua economia, nell'Europa e nel mondo di domani. Un domani per cui si sta facendo ormai troppo tardi, e non si può perdere altro tempo. Non si può perdere ancora. Pagina 69