A cura della Commissione Biblioteca di Gordona
CHIÈRA
LA MI GURDUNA
L’emigrazione gordonese in Australia
Comune di Gordona
A cura della Commissione Biblioteca di Gordona
CHIÈRA
LA MI GURDUNA
L’emigrazione gordonese in Australia
Comune di Gordona
Coordinamento editoriale e redazione
Commissione Biblioteca di Gordona
Progetto grafico e impaginazione
Playdesign
Finito di stampare nell’anno 2014
da Tipolitografia Polaris, Sondrio
© 2014 Comune di Gordona
Piazza San Martino, 1 - 23020 Gordona (SO)
ISBN 978-88-940107-0-1
In copertina: Agostino Bini (il secondo da sinistra), Elvio Gianoli (il quarto) e Guido
Ciabarri (il quinto).
presentazione
I
II
Nella prima riunione di emigrati gordonesi in Australia del 4 e 5 marzo 1995 ad
Albany e nella seconda del 3 e 4 aprile del 1999 a Fremantle, attorniati da figli e
nipoti, in un clima di profonda nostalgia, abbiamo vissuto momenti indimenticabili, tra bandiere italiane, cibi, formaggi, salumi nostrani e l’immancabile
vino.
Abbiamo anche cantato le canzoni “di una volta”: sembrava di essere ai crotti.
La lingua “ufficiale” è stata rigorosamente il dialetto di Gordona e i nostri discorsi hanno setacciato tutti gli angoli della memoria riguardanti la nostra giovinezza in Italia e la vita di duro lavoro, diluita in mezzo secolo, ormai, e troppo
sfilacciata da quella attuale più rilassata.
Impegnati a lavorare, quasi improvvisamente, ci siamo resi conto di aver vissuto
troppo in fretta e di non aver curato abbastanza le relazioni tra noi, le nostre
famiglie e quelle lasciate in Italia.
Notando, poi, l’assenza di alcuni compaesani, la voce si faceva più mesta e qui
è maturata la determinazione di racimolare ricordi e pezzi di vita da trascrivere
in un testo unitario, prima che vengano cancellati dal tempo, insieme alle tracce
delle nostre esistenze.
I nostri frequenti soggiorni in Italia hanno evidenziato il naturale, progressivo
affievolirsi dei legami con Gordona e la convinzione di non aver sufficientemente raccontato di questa immensa nostra seconda nazione; di non essere stati
sufficientemente capiti, forse.
Segnati, quindi, nel corpo e nell’anima dalle incredibili difficoltà superate, lontani da quella che per noi sarà sempre la nostra Patria, lontani dagli affetti familiari, dagli amici, dagli odori e dai sapori della nostra Gordona, abbiamo tutti
accolto con entusiasmo la disponibilità di Gemma ed Enrico ad ascoltarci e a
offrire carta e penna alle nostre parole e ai nostri sentimenti nella certezza di
colmare, in parte, i vuoti creatisi dalle distanze e dalla prolungata lontananza
dopo la nostra gioventù, lontana, ormai.
Ricordare è nostro dovere imprescindibile, anche se tardivo, innanzitutto verso
coloro che non ci sono più, ma che hanno indissolubilmente intrecciato le loro
vicissitudini con le nostre.
Lo dobbiamo ai nostri amici che, ritornati in Italia, dopo aver con noi percorso
un tratto breve o lungo di strada, in un certo modo, là ci rappresentano ancora.
Lo dobbiamo ai nostri figli, perché innaffino le radici del loro futuro con i principi di moralità, di religiosità anche, di onestà e di iniziativa e di tutti i valori
che, purtroppo, vediamo scolorire in ogni parte del mondo.
E lo dobbiamo a voi, gordonesi, voi tutti che avete la fortuna di camminare sul
suolo dei nostri comuni antenati, di salire e scendere le stesse montagne che da
giovani hanno allenato i muscoli e la forza d’animo per i nostri percorsi di vita
III
al limite dell’impossibile, molto spesso; voi che potete ancora cantare in Val
Bodengo, pregare.
Immaginiamo questo libro a portata di mano, sopra il camino o sopra il comodino, in mezzo ai mille ricordi che tappezzano le nostre e le vostre case.
Solo così avrà senso e acquisirà quel valore affettivo che in qualche modo ricucirà lo strappo della nave quando si è staccata dal molo di Genova, una vita fa,
ormai.
Siamo certi che, entrando virtualmente nelle vostre case e nei vostri cuori e mescolando pensieri ed emozioni, ci illuderemo di abitare ancora la nostra Gordona, dove i nostri figli continueranno a ritornare e cercare le loro radici, le stesse
radici dei vostri figli.
A nome di tutti gli emigrati australiani
Cleto Guerini*
Bernardo Capelli*
* Cleto Guerini e Bernardo Capelli hanno fortemente voluto queste memorie e hanno particolarmente contribuito alla realizzazione di questo libro accompagnando Gemma ed Enrico
presso tutti gli emigranti gordonesi, preoccupandosi che nessuno venisse dimenticato, inclusi
quelli deceduti in terra australiana.
IV
introduzione
V
VI
Questa pubblicazione costituisce l’atto conclusivo di un progetto che ha impegnato la Commissione Biblioteca in questi ultimi tre anni di attività.
Il lavoro nasce inizialmente dalla proposta che Gemma ed Enrico Tavasci hanno
rivolto all’amministrazione comunale affinché si provvedesse a editare la loro
raccolta di testimonianze rese dagli emigrati gordonesi in Australia. In presenza
degli autori la Commissione Biblioteca riceve incarico dall’amministrazione di
curarne la pubblicazione.
Inizialmente affrontiamo il compito affidatoci prevedendo un impegno limitato, poiché il lavoro ci viene presentato come sostanzialmente già concluso.
Al fine di poter creare maggior informazione e condivisione, abbiamo deciso
di sviluppare attorno al tema dell’emigrazione verso il continente australiano
nuove idee che ci hanno permesso di raggiungere, oltre alla stampa del libro,
altri importanti risultati.
Più ci addentravamo nel dettaglio della storia più ne restavamo coinvolti, tuttavia scorrendo le pagine con le testimonianze nascevano spontanee domande
e curiosità a cui nessuno dei racconti dava risposta. È per questo che abbiamo
deciso di focalizzare su alcuni quesiti le interviste che, nella fase iniziale, sono
state condotte con il supporto dei ragazzi della scuola media: ci premeva il
loro coinvolgimento, perché speravamo accadesse loro ciò che era stato per
noi e cioè si appassionassero a questo pezzo della nostra storia. Le domande
erano strutturate secondo un ordine temporale: dal contesto socioeconomico
del paese nel dopoguerra, alle motivazioni che indussero i giovani a partire, al
viaggio, alla vita in Australia.
È stato così possibile sondare i ricordi di molti, tra essi gli emigrati stessi ogni
qualvolta siamo riusciti a intercettarli in questi tre anni durante i loro brevi soggiorni gordonesi.
A distanza di mesi, con una serie di nuove informazioni alla mano, con una
programmazione in continua evoluzione ci siamo resi conto che quello che volevamo dare ai gordonesi emigrati e a noi che oggi siamo qui, era qualcosa di
diverso rispetto all’idea iniziale, con tutti i dubbi e le perplessità che ci hanno
accompagnato da quel momento per tutta una serie di incontri. Se lo scopo di
Gemma ed Enrico era quello di tributare agli emigrati e alle loro identità sospese un riconoscimento, da parte nostra l’intento è stato quello di condurre
un’indagine che ci permettesse di svelare un pezzo di storia di Gordona: la storia del fenomeno migratorio dei gordonesi verso l’Australia a partire dagli anni
‘50 del Novecento. Entrambi gli obiettivi sono stati raggiunti.
VII
Siamo ripartiti dalla raccolta di testimonianze, abbiamo estrapolato i contenuti
e li abbiamo raggruppati per specifici argomenti in modo da abbandonare il
dato soggettivo e, andando a integrare tutto il nuovo materiale acquisito, abbiamo inteso restituire un dato oggettivo, senza tralasciare di evidenziare la specificità di ogni personale esperienza.
Una volta suddiviso il libro in capitoli, siamo tornati a chiedere nuovamente
la collaborazione diretta di emigranti e/o parenti e seconde generazioni, con
interviste e raccolta di materiale fotografico. Abbiamo potuto contare anche su
nuove collaborazioni per l’approfondimento di specifici argomenti ed effettuato ricerche negli archivi comunali, sondato i dati già presenti in letteratura, sia
sulla tematica dell’emigrazione (verso l’Australia, valtellinese, valchiavennasca,
locale...) che su altre questioni legate a nuove argomentazioni (politiche sociali
australiane nel secondo dopoguerra, storia di Gordona, piroscafi...).
Vogliamo ringraziare: in primo luogo Gemma ed Enrico che con le testimonianze raccolte hanno avviato il processo che ha portato a questa pubblicazione; Cristian Copes che, con il suo meticoloso lavoro di ricerca, ha fornito i dati
e le notizie sull’emigrazione gordonese nel mondo a partire dal ‘500 fino alla
metà del ‘900; Oscar Dell’Anna che dall’Australia ci ha inviato dati e pubblicazioni sul tema dell’immigrazione italiana in Australia e sui luoghi di insediamento dei nostri compaesani. Tutti coloro che hanno accolto il nostro invito
fornendoci preziose informazioni e materiale fotografico, infine grazie a chi ci
ha supportato offrendo di volta in volta preziosi spunti critici.
Ci scusiamo per gli eventuali errori, alla nostra fallibilità va aggiunto che spesso
non siamo stati in grado di verificare l’attendibilità dei fatti. Sono trascorsi più
di sessant’anni da che è iniziata l’avventura che ha portato dei giovani di Gordona a emigrare in Australia, la memoria scandisce in maniera netta alcuni eventi,
altri restano avvolti nelle mobili nebbie che offuscano e mescolano i ricordi, per
questo motivo molto di quanto detto, nel dubbio, non è stato riportato.
Commissione Biblioteca di Gordona
VIII
CĤIÈRA
LA MI GURDUNA
indice
capitolo I
3
capitolo II
11
capitolo III
21
capitolo IV
39
capitolo V
49
emigrare
come eravamo
valigie di cartone
ventimila leghe… al di là dal mare
una vita nuova
parol cĥie camina
appendici
101
Pensieri in scioltezza
Testimonianze
Città
L’emigrazione gordonese tra l’Ottocento e la Seconda guerra mondiale
Glossario dei termini dialettali
107
109
131
139
163
Fonti d’archivio e bibliografia
165
2
capitolo I
emigrare
3
4
Emigrare è partire, lasciare il luogo di origine per stabilirsi in un altro Paese
per un certo periodo o in maniera definitiva. Il significato letterale e scarno del
verbo, tuttavia, sfiora solo minimamente il dramma esistenziale dell’emigrante
e dei suoi familiari.
Emigrare è staccarsi fisicamente dal proprio mondo e ritrovarsi d’improvviso
in un mondo diverso, disorientati, smarriti nel seguitare come in apnea a vivere
una specie di dicotomia del corpo e dell’anima: il corpo e le valigie partono, ma
il cuore e la mente restano.
È recidere la propria esistenza per innestarla su radici estranee, annaffiandola di
ricordi, di dubbi e di speranze: sale, certe volte, sulle ferite dell’anima.
In omaggio alla migrazione mondiale, tuttora in corso, scegliamo di usare preferibilmente il presente storico come tempo verbale, pur se con delle forzature
di stile, nel raccontare dell’Australia, nel benevolo tentativo di ricongiungere i
lembi sui vuoti lasciati dalle loro partenze, di compattare gli anni e farli sentire
presenti e a proprio agio nella loro Gordona.
Come tutta la provincia e gran parte delle zone alpine, Gordona ha un’antica
tradizione di migrazione, temporanea o permanente, che prima di essere transoceanica o europea, vede i nostri antenati trasferirsi nel Sud dell’Italia. Come
scrive nel XVIII secolo l’arciprete della parrocchia di San Martino don Andrea
Pedocchi, già dal Cinquecento i gordonesi emigrano per lavoro, soprattutto
verso Palermo. Ancora prima, tra la metà del XVI secolo e l’inizio dell’Ottocento, la principale destinazione è invece Napoli, dove nel 1540 viene fondata
la Società dei Fratelli Benefattori Napoletani, le cui rimesse confluiscono nella
Cassetta di Santa Caterina, dal nome della chiesa trecentesca fatta costruire dal
vescovo di Como Bonifacio da Modena sulla collina a est di Gordona, e successivamente anche in quelle di San Bernardo di Bodengo e dell’Immacolata
Concezione nella frazione di Cimavilla fondate, rispettivamente, nel 1658 e
1718. Si raccoglie denaro per i compaesani rimasti a Gordona e per la realizzazione di paramenti sacri, suppellettili in argento e dipinti per le chiese del paese.
Dagli atti di una visita pastorale a Gordona del vescovo Ambrogio Torriani, nel
1674 non risultano residenti in paese 97 persone, di cui ben 64 si sono trasferite, per lavoro, nel Regno di Napoli, 12 in Francia, 11 a Roma, 9 a Palermo e
1 a Reggio Emilia. Ancora nel 1737 vivono a Napoli una settantina di persone
originarie di Gordona: commercianti di vino a barile, portatori di olio, scaricatori di porto e servitori in case di nobili. Tra queste ultime Domenico Tavasci
raggiunge Napoli nel 1812 per prestare servizio nella casa del marchese di Strevi
Luigi Serra, analogamente al cugino Giovanni Gatti, che subentra a Domenico
nel 1833. Nello stesso periodo Andrea Mazzina lavora presso l’abitazione del
console d’Inghilterra a Napoli, città dov’erano impegnati anche Giovanni Pe5
dretti, Giovan Antonio Scartaccini, Antonio e Pietro Capelli. Per lavorare in
una locanda a Napoli, vent’anni dopo Giovanni De Agostini fa richiesta di un
passaporto e, ancora nel 1865, Pietro Pedretti e Giacomo Tavasci chiedono il
salvacondotto per raggiungere quella destinazione.
In quegli anni però molti loro compaesani cominciano a cercare lavoro nella
vicina Svizzera, nel canton Grigioni in particolare. Tra costoro figurano Giovan Donato Battistessa, Pietro Capelli, figlio del defunto Domenico, Giovanni
Capelli e suo figlio Pietro, il carbonaio Carlo Chiodi, Pietro Dell’Anna, Giovan
Battista Ferrari, Francesco Foppoli, Giovan Antonio Mazzina, che si stabilisce
a Borgonovo in Val Bregaglia, Giovan Battista Pedocchi, Guglielmo Pelanconi, il garzone Antonio Pelizzoni, Domenico Tabacchi, che fu anche in Francia,
Francesco, Gaudenzio e Martino Tavasci, Giovan Antonio Mazzina, Bernardo
e Giovanni Battistessa. Questi tre ultimi trovano lavoro a Mesocco, i primi due
come servitori presso la casa di Samuele Toscani e il terzo al servizio di Giacomo
Ruzzalini, originario di Menarola.
In una lettera indirizzata al sindaco di Gordona il 29 novembre del 1863, il
primo prefetto di Sondrio Federico Papa lamenta che l’emigrazione dalla provincia in America e Australia è in continuo aumento, a danno dell’economia
locale, legata essenzialmente all’agricoltura. Il sindaco giustifica il fenomeno,
rispondendo che il comune è soggetto alle inondazioni del fiume Mera e dei
torrenti, che trasformano la parte più importante “del territorio coltivo a nude
ghiaie”, e che le vigne e i gelsi, piantati a Gordona per nutrire i bachi da seta,
sono spesso danneggiati dalla crittogama.
È iniziata la grande emigrazione transoceanica: in un solo anno, tra il 1865 e il
1866, lasciano Gordona per costruire una nuova vita nel continente americano
ben quarantaquattro persone. Curiosa la destinazione, documentata nel 1865,
di Giovanni De Agostini figlio di Agostino, emigrato in Cina. Quello stesso
anno Andrea De Agostini raggiunge la Francia. Nell’agosto del 1869 sono invece Giuseppe Bonetti, Gaetano Esposito, Giuseppe Geneletti, Angelo Locatelli
e Giovanni Salvi, originari di Averara in Val Moresca e di altri paesi della Bergamasca, a stabilirsi a Gordona per svolgere la professione di carbonai.
Negli anni settanta del XIX secolo emigra in Svizzera Giacomo Biavaschi e raggiungono l’America Eutichio e Giovanna De Agostini, Maria Locatelli, Giovan
Battista Tabacchi, Antonio, Mariangela e Bernardino Biavaschi, che sbarcò in
Sudamerica.
Nel decennio successivo s’imbarcano per il continente americano Bernardo e
Pietro Camillo Battistessa, Giovanni Biavaschi, Bernardo, Giovan Battista e
Guglielmo De Agostini, Guglielmo Dell’Anna, Giacomo Garzelli, Benedetto
Giampedraglia, Marcello Guglielmana, Caterina Pedocchi, Bernardo Pedretti,
6
Antonio, Giacomo e Giovan Battista Tavasci, Sofia Bulla e Silvestro Pedretti.
Questi due ultimi raggiungono l’Argentina, così come Battista Tavasci e la figlia
Mariangela, e anche Giovan Battista Guglielmana con la moglie, la figlia e la
domestica, i quali si stabiliscono a Buenos Aires. Là sbarca anche Maria Orsola
Baretta, maritata Tavasci, che con i figli raggiunge il marito, e Maria Baretta, sua
parente, mentre nel 1891 viene rilasciato un passaporto per l’America a Giovanni De Agostini e a Francesco Tavasci, che si stabilisce a Buenos Aires.
All’inizio del Novecento, prima di emigrare in Australia, molti gordonesi si
trasferiscono per lavoro in Belgio, Francia, Spagna e nella vicina Svizzera, come
già detto, ma anche in Africa, in Egitto, dove nel 1905 troviamo il benefattore
Giovan Battista Mazzina. Molti altri scelgono l’America e in particolare l’Argentina (soprattutto a Buenos Aires), l’Uruguay e gli Stati Uniti: New York,
Montana, Arizona, New Mexico e California (nelle città di Los Angeles e di
San Francisco, specialmente).
Pur non risultando dal registro delle domande di nulla osta per l’ottenimento di un passaporto, conservato nell’archivio comunale di Gordona, nel 1904
il filosofo Giovan Battista Costante Biavaschi emigra a New York, dove viene
accolto dallo zio paterno Giacomo e frequenta il terzo anno di Giurisprudenza
all’Università. Figlio di Lino e Maria Tabacchi, con il fratello gemello Giulio
Martino, era nato il 23 febbraio 1878 in una casa – tutt’ora esistente – nella
contrada gordonese di Piazzoli, avente in facciata un affresco del 1760 raffigurante la Madonna con il Bambino e san Giovanni Battista.
Tra il 1901 e il 1914, sono ben 248 le richieste di passaporto per l’estero, un
terzo delle quali nei primi dieci anni e le rimanenti tra il 1911 e il 1914, quando
la popolazione totale residente a Gordona raggiunge le 1500 persone, di cui un
decimo non abita nel comune: un vero esodo.
Durante la Prima guerra mondiale sono invece documentate solamente nove
richieste, sfuggite probabilmente all’arruolamento coatto nell’esercito, tra cui
quella dell’imbianchino Luca Balatti, che emigrò in Francia.
Tra la fine della Grande guerra e la crisi economica, scoppiata il 24 ottobre 1929
con il crollo delle quotazioni azionarie di Wall Street, le richieste del nulla osta
per recarsi all’estero sono 179: cento per la Svizzera, tra cui tre da parte del
falegname Giovan Antonio Grattirola; 33 per la Francia, tra le quali quella del
boscaiolo Natale Tavasci presentata nel 1925 e, due anni dopo, quelle di Giovannina Dell’Anna e Letizia Tavasci per recarsi in pellegrinaggio a Lourdes; 31
per l’Argentina, molte delle quali per lavorare alle dipendenze dell’albergatore
Giovan Battista Mazzina; 12 per gli Stati Uniti d’America, tra cui quella della
maestra Lucrezia Tabacchi, figlia del geometra Agostino; due per il Belgio e una
per l’Australia. Quest’ultima è presentata il 4 giugno 1928 da Giacomo Batti7
stessa, figlio di Giacomo, nato il 24 marzo 1896 nella contrada di Pendoglia a
Gordona, che risulta quindi il primo gordonese emigrato in Australia.
Passaporto di Giacomo Battistessa, il primo emigrante.
Tra lo scoppio della crisi del ‘29 e l’entrata in guerra dell’Italia le richieste di passaporto sono 208: 167 per la Svizzera, alcune delle quali volte a trovare un posto
da muratore, oppure quelle inoltrate nel 1930 dai casari Clemente Dell’Anna
e Francesco Tavasci, o quella formulata nel 1937 dal ferroviere Nando Balatti
e, l’anno successivo, dal cuoco Andrea Evelino Dell’Anna; 17 per la Germania,
di cui 15 per lavorare nelle miniere; 11 per la Francia; sei per gli Stati Uniti
d’America; quattro per l’Argentina, tra cui quella fatta nel 1930 dal cameriere
Gaudenzio Carmelo Tavasci, e tre per la Spagna, una delle quali fu presentata nel febbraio del 1940 dal teleferista Giovanni Dino Capelli. Dall’entrata in
guerra dell’Italia nel secondo conflitto mondiale sono solamente sei le richieste
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di passaporto: quattro per la Svizzera, due delle quali compilate dall’arciprete di
Gordona don Michele Trussoni, e due per la Germania1.
Mentre l’emigrazione dei gordonesi verso l’Australia si sviluppa negli anni ‘50,
in alta Valtellina (zona di Tirano e Val Poschiavo, principalmente) già dalla fine
dell’Ottocento si registra un flusso costante e crescente, rappresentante la prima emigrazione strutturata verso il Quinto Continente, di provenienza non
solo lombarda, ma probabilmente da tutta Italia2.
Le motivazioni che hanno portato i giovani gordonesi ad avventurarsi in un Paese così lontano e sconosciuto vengono riportate dalla Rassegna Economica del
1954: “Proveniente dai mandamenti di Tirano e Sondrio, e in misura minore da
alcuni comuni della Valchiavenna e della Bassa Valle, la gran parte degli espatri
si è diretta verso l’Australia, continente dalle enormi risorse potenziali, aperto
all’emigrazione da una intelligente politica di rinvigorimento demografico ed
economico”3. “Non avevamo visto né foto, né riviste sull’Australia; - raccontano Medardo Ciabarri (Ninino) e Agostino Bini - nessuno degli emigranti era
documentato: si sapeva soltanto che il viaggio in nave era lungo. Chi mai aveva
già visto l’oceano? Come erano gli australiani? Chi erano gli aborigeni? Era
difficile imparare l’inglese? Il lavoro era garantito?”.
Di tutte queste incognite, quella che meno preoccupa è il lavoro; si parte per
poter lavorare, non importa dove e quanto; i gordonesi sono allenati ai lavori
pesanti in campagna e sugli alpeggi. “Lascio Gordona, guadagno un po’ di soldi,
ma poi ritorno e compro quel prato, costruisco la mia casa, aiuto i miei genitori
e poi, forse, mi sposo…”.
Dopo gli anni fallimentari della guerra e del dopoguerra, scanditi da ineluttabile rassegnazione, diffusi segnali di ripresa economica animano un po’ tutti: è
tornata la speranza, la voglia di riscattarsi, di ricostruire, di migliorare, di sperimentare nuove opportunità. La maggior parte dei giovani sviluppa individualmente attività sul territorio, mentre altri colgono l’opportunità per un cambiamento più radicale: decidono di emigrare con il pretesto di assaporare una
ritrovata libertà, ma in verità per lavorare e mantenere la famiglia, soprattutto.
I tempi stanno cambiando, l’Eco delle Valli del febbraio 1953 scrive: “Il nostro
contadino, proprietario di un vigneto o di un campicello non vede più in esso
la possibilità di vivere, nuove esigenze si sono aggiunte a quelle di un tempo,
anche nella pur semplice vita di un agricoltore”.
L’elenco completo dei gordonesi che, tra il 1901 e il 1945, chiesero un passaporto per l’estero
è riportato in appendice.
2 Flavio Lucchesi, Italiani d’Australia. L’emigrazione valtellinese nel Nuovissimo Continente dalle origini ai giorni nostri, Pàtron Editore, Bologna 2011, pag. 16.
3 Ibidem, pag. 146.
1
9
Nel secondo dopoguerra l’economia a Gordona continua però a basarsi prevalentemente sull’agricoltura a conduzione familiare: si coltivano appezzamenti
vicini e lontani dalle abitazioni, in larga parte di piccole dimensioni per i ripetuti frazionamenti. Si utilizzano attrezzi agricoli artigianali, ci si sposta a piedi
o con carri trainati da asini. I capi di bestiame per ciascuna famiglia sono in
numero insufficiente; il ricavato della lavorazione del latte e i prodotti del lavoro agricolo sono quasi interamente consumati all’interno della famiglia stessa
e, alla fin fine, rimane ben poco da vendere al mercato. Gordona non è ancora
pronta a uno sviluppo industriale: mancano infrastrutture e manodopera specializzata. Eppure qualcosa comincia a muoversi: pian piano si sviluppa l’edilizia residenziale e, grazie a finanziamenti statali, vengono forate gallerie per
condurre l’acqua alle centrali idroelettriche. Sono per lo più lavori a termine
che offrono delle opportunità immediate, ma che non ne garantiscono la continuità. La gente e l’economia sono comunque in fermento e il clima euforico e
ottimista che si respira porterà a prendere decisioni coraggiose, radicali.
10
capitolo II
come eravamo
11
12
Scatto panoramico
Alla fine del 1948 il sindaco Enrico Guglielmana invia una relazione al Ministro delle Finanze Ezio Vanoni sullo stato di fatto circa la precaria situazione in
rapporto allo sfruttamento del bacino imbrifero e delle acque pubbliche del suo
territorio tracciando un ritratto fedele della Gordona di quegli anni.
“Giova premettere che le statistiche a fine 1947 han dato circa 345 famiglie - (i
dati del censimento della popolazione del 4 novembre 1951 confermeranno
1539 abitanti e 356 famiglie) - che in conduzione diretta, curano piccole aziende
rurali sparse in monte e in piano, frazionate in modesti appezzamenti. Il comune è
composto dalle frazioni di Cimavilla, Gasparoni, Ponte, Pendoglia e Piazzoli poste
sulla sponda destra del torrente Crezza, e dalle frazioni di Coloredo e Mondadizza, site invece sulla sponda sinistra dello stesso. Ogni frazione è formata da un
agglomerato di rudimentali case coloniche, quasi tutte corredate di stalle e rustici,
e, si può dire, letteralmente addossate le une alle altre, in obbedienza alla necessità
di spazio, di livello, e proprio pel richiamo delle disponibilità di acque. Infatti, la
maggior parte, per antica data, si sono formate lungo il corso del canale ‘Molinanca’ alimentato dal Crezza. Principale per non dire unica attività è l’allevamento
del bestiame bovino, equino, caprino, ovino e suino dal quale allevamento traggono il maggior cespite d’entrata”4.
Il ponte sul torrente Crezza a Gordona in una fotografia scattata il 22 maggio del 1946.
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Archivio comunale di Gordona
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1955. Coloredo, osteria vecchia.
La scuola di Gordona.
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Dal censimento dell’Industria e Commercio datato 4 novembre 1951, si contano tre osterie, due panetterie, una drogheria, due negozi di frutta e verdura, due
tabaccherie, un mobilificio, una segheria, una ditta idraulica e due botteghe di
calzolai. Nell’elenco dei lavoratori autonomi figurano anche due geometri che
esercitano la libera professione.
Ai primi di giugno quasi l’intera popolazione si trasferisce in montagna e la
chiusura dell’anno scolastico viene conseguentemente fissata al 31 maggio; tradizionalmente il giovedì è vacanza da scuola per i bambini, impiegati in realtà
nei lavori dei campi. Per recuperare il tempo sottratto alle lezioni, si prolunga
l’orario pomeridiano di mezzora. È anche istituita la triennale scuola post-elementare di taglio e cucito, di economia domestica e di nozioni di agraria e di
lingua tedesca.
Centro nevralgico della vita in paese è la latteria sociale dove puntualmente,
mattina e sera di tutti i giorni feriali e festivi, a eccezione del periodo estivo,
ci si reca a portare il latte appena munto. In quel diuturno, frenetico andirivieni lungo i sentieri e le strade di lente figure curvate dal peso dei secchi e dei
brentai si va intessendo, da generazioni, una fitta rete di relazioni: una specie di
bollettino comunale quotidiano; sarebbe impossibile per un forestiero aggirarsi
inosservato.
Da un elenco stilato nel 1953, risultano 244 proprietari di capi bovini. Il numero di capi pro capite varia da un minimo di uno a un massimo di dieci per un
totale di 873 a cui si aggiungono una trentina di cavalli, circa sessanta tra asini e
muli, un centinaio di maiali e poco più di trecento tra pecore e capre. In primavera e in autunno è attesissimo l’appuntamento con i mercati del bestiame: la
Fera de Mèèrz e la Fera de San Martign. Molte altre rassegne e mostre di cavalli
da tiro e di bovini a Chiavenna sono occasioni imperdibili per concludere qualche buon affare.
La tradizione agricola si lega indissolubilmente a quella silvo-pastorale: la pratica estiva dell’alpeggio è parte di un sistema che integra l’allevamento invernale
e, soprattutto, assicura il presidio e la gestione del territorio montano nel suo
complesso. È sulle mulattiere e sui sentieri della Val Bodengo che in modo particolare si possono osservare i risultati dell’opera collettiva di tutela del territorio
da parte della comunità gordonese: terrazzamenti del terreno, pavimentazioni
in pietra, costruzione di muri di contenimento in sasso, edificazione di fontane,
di punti di ricovero e di edicole votive. Sentieri, piste, mulattiere rappresentano
quindi elementi fondamentali per comprendere e ricostruire un regime di vita
consolidatosi nei secoli dove l’attività contadina è il centro attorno cui ruota
tutta l’economia e la famiglia ne è il perno. Dentro la famiglia, allargata e definita dalle parentele, si tramandano le regole della convivenza legate alle identità
15
Anni ‘50. Vista panoramica di Gordona.
1949. La Banda all’inaugurazione delle nuove campane della chiesa di San Bernardo a
Bodengo.
16
storiche caratterizzanti la nostra comunità: quella agro-montana, quella mercantile e quella cattolica.
La prima è ritmata dalle stagioni e dai raccolti, con momenti di intensa collaborazione popolare, come per esempio la transumanza sugli alpeggi, la fienagione,
la vendemmia (la cui data d’inizio era tassativamente fissata dal Comune), la
torchiatura delle vinacce e lo sfogliare delle pannocchie o, più formale, come la
gestione del patrimonio comunale, alpeggi e boschi comunitari con l’Amministrazione, la Latteria Sociale, il Mulino, i primi Consorzi; il tutto intercalato da
momenti di allegra convivialità passati preferibilmente ai crott.
L’identità cattolica è caratterizzata dalla messa quotidiana alle 6:00 di mattina
(dopo il lavoro nelle stalle e prima dei lavori nei campi), preceduta da una frettolosa e incomprensibile recita delle lodi in latino e dai momenti forti che coinvolgono la quasi totalità della popolazione come la festa patronale di S. Martino, la novena di Natale, i riti della Settimana santa, la rappresentazione della
Via Crucis fino al Monte Calvario, la Pasqua e le Quaranta ore, le Rogazioni per
implorare benedizioni sui prodotti della terra, le processioni, le feste di S. Anna
a Coloredo, dell’Immacolata a Cimavilla, quella di S. Bernardo a Bodengo e la
funzioŋ de Bedulina che chiude le attività sugli alpeggi. Particolarmente attesa
è la predica del 1° gennaio di ogni anno durante la quale l’arciprete nomina (o
meglio, decide) le cariche di messo per le chiese della parrocchia e quella del cercatuur di moort di ciascuna frazione, per le questue mensili a favore della chiesa.
La chiesa locale è impegnata nei servizi rivolti alle diverse fasce d’età della popolazione come la Banda, la Società Fratelli Benefattori Napoletani per le situazioni di bisogno, la pesca di beneficenza, la pulizia e la manutenzione delle
strutture comunitarie religiose.
Straordinaria e coinvolgente è la costruzione dell’oratorio per ‘Educare, Istruire
e Divertire’ la gioventù secondo i precetti della morale dettati dalla religione.
Mancanza di prospettive
In risposta ad alcuni quesiti posti dall’Eco Delle Valli su ‘Inchiesta sui problemi
della Valchiavenna’, il Comune di Gordona invia una lettera alla Prefettura precisando che: “La situazione degli abitanti di Gordona è povera. Tale situazione è
determinata principalmente dalla mancanza di occupazione stabile di parte della
popolazione e dalla forte diminuzione del reddito dei terreni dopo la captazione
delle acque del Mera e dei suoi affluenti da parte della Società Elettrica (Edison),
terreni che per la loro natura ghiaiosa non produrranno più senza costante e continua irrigazione […] pertanto non sarà possibile avere una produzione come per il
17
passato […]”. Viene inoltre richiesta la creazione in zona di complessi industriali
che “possano assorbire in modo permanente una forte aliquota di manodopera per
sopperire al flagello della disoccupazione causata in gran parte da quanto esposto
precedentemente. […] Localmente e con le riserve attuali non è possibile sanare il
grave disagio esistente. Tuttavia questo si potrebbe provvisoriamente alleviare dando attuazione a tutte quelle opere già deliberate dall’amministrazione e in attesa
di finanziamento”. Tali opere riguardano la sistemazione della rete stradale e la
costruzione dell’asilo infantile.
Grazie a queste prospettive, molti giovani riescono a uscire dal mondo agricolo
in maniera irreversibile, mentre il contrabbando costituisce ancora un forte elemento di integrazione del reddito: una pratica ormai consolidata da quasi due
secoli che non è mai considerata nella zona di Valtellina e Valchiavenna come
atto di delinquenza, ma come uno strumento col quale difendersi dalla miseria
e dalle sventure della vita.
Quando, nel novembre del 1951, un’alluvione colpisce il Polesine causando
vittime e migliaia di sfollati, la comunità di Gordona, senza indugio, dimostra
la sua solidarietà con aiuti concreti alle popolazioni duramente colpite. Presieduto dall’arciprete Michele Trussoni viene istituito il comitato comunale per
la raccolta degli ‘Aiuti agli Alluvionati della Valle Padana’. L’elenco dei beni
raccolti in denaro, generi alimentari e vestiario precisa che “la popolazione di
Gordona, nonostante le sue precarie condizioni economiche, è particolarmente generosa verso i fratelli del Polesine colpiti dalla recente alluvione”. In aggiunta alle
offerte in denaro, ammontanti a 100 mila lire, frutto della somma di moltissime
quote individuali, sono donati 51 kg di burro fresco e un discreto quantitativo
di indumenti “tutti in buonissimo stato”5.
Il 18 e 19 luglio 1953 si verifica in Valchiavenna un’alluvione che arreca ingenti
danni alle coltivazioni: nel comune di Gordona vengono danneggiati 370 mila
m2 di prato, 6950 m2 di campi di granoturco e 600 m2 di campi di patate.
L’esondazione del torrente Schiesone provoca l’interruzione della Strada Statale 36 tra Prata e S. Cassiano; tra Gordona e Mese il transito è interrotto per
impraticabilità del ponte in legno sul Crezza. L’inverno successivo vengono
erogati sussidi in foraggio e mangimi e distribuite balle di fieno (maggengo e
agostano) ai proprietari dei terreni alluvionati.
Dopo il periodo bellico di stagnazione economica, l’edilizia pubblica si riprende con il progetto di importanti opere: nel 1949 la ditta Zecca Arturo avvia la
costruzione della strada per consentire l’accesso all’abitato di Menarola passando attraverso Coloredo, su esplicita richiesta del Comune di Gordona. L’anno
5
Archivio comunale di Gordona.
18
dopo viene presentata la sottoscrizione dei frazionisti della contrada Bodengo, in frazione Pendoglia, affinché si proceda “alla costruzione di una strada
praticabile che acconsenta l’avvicinamento con un carico discreto alle proprie
abitazioni”. Un’altra sottoscrizione è presentata per ottenere l’accesso carraio
alla frazione Cimavilla e, a marzo dello stesso anno, iniziano i lavori per l’allargamento della strada degli Scogli per l’accesso alla via Piazzoli.
Due anni dopo, in località Cesura si procede ai lavori di arginatura del Mera e,
con l’impiego di 35 lavoratori per 127 giornate lavorative, vengono allargate
e asfaltate la strada comunale tra Gordona e Prata Camportaccio e quella tra
Gordona e Mese.
Dal 1948 al 1951 si registra un calo della disoccupazione, grazie ai lavori per la
costruzione della centrale elettrica di Gordona ju al Puz di proprietà della società Edison, appaltati all’impresa Mottura Zaccheo (in dialetto la Mutura), la
realizzazione del canale tra Mese e Gordona, la costruzione del ponte sul Mera
e l’utilizzo dei boschi comunali per finanziare in parte le opere pubbliche.
Terminate queste opere, il mercato locale del lavoro non offre altre opportunità,
per cui già nel dicembre 1953 si evidenzia lo stazionario dato sconfortante di
140 disoccupati e nel primo trimestre dello stesso anno nessun operaio risulta
occupato in opere pubbliche.
Costruzione del ponte sul fiume Mera.
19
Alcuni giovani alternano i lavori in campagna con i genitori con altri lavori
saltuari, come il taglio dei boschi e l’attività di canneggiatori per tracciare la
mappa catastale della Val Bodengo lungo il confine con la provincia di Como o
l’occupazione presso panifici e la latteria sociale.
Le mete del lavoro all’estero sono la Svizzera, dove qualcuno lavora come boscaiolo nelle fattorie o presso strutture alberghiere, la Francia, che offre lavoro nei
boschi dei Paesi Baschi, e il Belgio, dove è richiesta manodopera nelle miniere.
Pure le ragazze contribuiscono al sostentamento della famiglia, soprattutto rendendosi disponibili al servizio nelle case dei “signori”6 a Milano, Como e dintorni o come inservienti nella Val Mesolcina, soprattutto, dove non è richiesta
la conoscenza della lingua tedesca.
Un bel giorno una soluzione a questi problemi sembra arrivare dal mare e, come
il canto ammaliante di una sirena, comincia a riecheggiare di casa in casa: nella
lontana Australia il governo offre lavoro e guadagni sicuri.
6 Modo in cui vengono definite le famiglie benestanti che prendono a servizio giovani gordonesi.
20
capitolo III
valigie
di cartone
21
22
Niente carie né cicatrici né comunisti o fascisti
Alla fine degli anni quaranta il governo australiano comincia a programmare
il reclutamento degli italiani delle regioni settentrionali. Nel marzo del 1951
entra in vigore un contratto bilaterale tra Italia e Australia che prevede l’accoglienza di ventimila immigrati all’anno per la durata di cinque anni.
Il primo contingente richiede uomini giovani e i controlli medici devono certificare che i selezionati siano sani; non sono ammessi criminali, comunisti e
fascisti.
Il governo australiano interviene attivamente nel reclutamento di manodopera.
In diversi Paesi europei sono aperti uffici per l’immigrazione e viene creato un
sistema di classificazione della manodopera. Gli immigrati inglesi e dei Paesi
nordeuropei sono assistiti durante il viaggio e godono, al loro arrivo, di tutti i
diritti civili e professionali, mentre agli immigrati dell’Europa orientale e meridionale non sono garantiti gli stessi benefici: a loro vengono assegnate mansioni
rifiutate dagli inglesi e sono, generalmente, trattati come inferiori7.
Per Agostino Bini tutto comincia una domenica mattina: “I Vitali, due anziani
fratelli di Sondrio, arrivano nella piazza della chiesa e invitano a sottoscrivere
una richiesta di espatrio. In convenzione con la Flotta Lauro e con l’agenzia
Merizzi e Marchesi in Australia sono a conoscenza delle richieste che giungono
dalle ditte australiane e propongono contratti di lavoro. Dell’Australia si sapeva
soltanto che era un Paese molto lontano”.
L’agenzia Vitali predispone i documenti necessari per il viaggio, accompagna
gli emigranti alle visite mediche e al porto di Genova per l’imbarco.
Siro Dell’Anna descrive Merizzi e Marchesi, “due tiranesi: il Marchesi era
geometra, anch’egli emigrante. Suo padre era già emigrato in Australia tempo
prima, mentre lui era rimasto a Tirano con la madre per completare gli studi.
Dopo che il padre aveva interrotto i contatti con la famiglia, aveva deciso di
andare a sua volta in Australia per rintracciarlo, scoprendo che era deceduto.
Continuò comunque a dedicarsi alle attività dell’agenzia di accoglienza degli
emigranti fino alla morte, avvenuta pochi anni fa. L’altro socio, il Merizzi, era
invece emigrato in Australia prima della guerra per fare il cercatore d’oro. Ebbe
fortuna e seppe far fruttare i guadagni, comprandosi una propria casa e un negozio”.
Anche per l’emigrazione dalla Valtellina il ruolo del tiranese Gianfranco Merizzi è centrale: l’importanza e il ruolo di Merizzi vengono più volte ribaditi dai
7 AA. VV., Italo-australiani. La popolazione di origine italiana in Australia, Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli, Torino 1992.
23
giornali locali dell’epoca, in quanto punto di riferimento fondamentale per tutti gli emigranti valtellinesi che giungono in Australia (Corriere della Valtellina
30/10/1965, p.2, ed Eco delle Valli, 9/11/1965, p.5); grazie alle sue indicazioni
molti riescono a ottenere un aiuto “nelle loro prime necessità, sia per il posto di
lavoro che per le molte difficoltà ad ambientarsi”8.
Le visite mediche sono inizialmente effettuate a Sondrio, a Milano o a Genova,
mentre in seguito ci si dovrà recare a Roma e Trieste. Si tratta di accertamenti
sanitari piuttosto scrupolosi che non riterranno idonei alcuni aspiranti emigranti, i quali devono godere di ottima salute per essere in grado di svolgere i
lavori più svariati e pesanti.
Siro deve farsi impiantare un dente (gliene mancavano due) e Ninino Ciabarri,
che per la visita medica si era dovuto recare a Roma, è rinviato a Milano per effettuare delle radiografie a una cicatrice. È proprio in quell’occasione che nella
capitale ha l’occasione di partecipare a una puntata del noto programma televisivo “Lascia o raddoppia” condotto da Mike Bongiorno.
Bernardo Battistessa si reca a Roma con Giovanni Capelli che “indossava scarpe
chiodate e portava una valigia piena zeppa di salami e di vino”. Viene trattenuto
diversi giorni in osservazione a causa della pressione troppo alta, ma riesce comunque a ottenere il visto per l’espatrio, pur se la situazione non si era modificata, nemmeno dopo gli intensi esercizi ginnici cui era stato sottoposto.
Oltre alla verifica dello stato di salute fisico vengono effettuate indagini anche
in merito alle frequentazioni e alle appartenenze politiche degli interessati e
delle loro famiglie.
Siro ricorda che “due valtellinesi, non essendo riusciti a ottenere in tempi brevi i
documenti tramite una prima agenzia, si erano rivolti al Vitali che, in poco tempo, li fece partire. Per ripicca, forse, l’agenzia ricusata li denunciò alle autorità
come comunisti. Quando giunsero a Fremantle, fu loro impedito di sbarcare
e, raggiunta Sidney, trascorsero un mese rinchiusi nel consolato italiano dove
furono fatti tutti gli accertamenti dai quali risultò che i due non erano politicamente perseguibili”. La proposta di dichiarare illegale il partito comunista in
Australia sarà respinta per pochi voti da un referendum del 1951.
In quel periodo occorrevano circa quattro mesi per ottenere il nullaosta per
emigrare: il tempo per le pratiche necessarie e per le visite mediche. Bisognava
comunque attendere “la chiamata individuale da parte dell’Ufficio Provinciale
del Lavoro, tenendo ben presente l’inutilità di sollecitare in qualsiasi modo la
chiamata stessa, in quanto il programma di convocazione dei candidati […] è
8
Flavio Lucchesi, Op. Cit., pag. 149.
24
stato predisposto esclusivamente sulla base delle esigenze e delle possibilità di
collocamento in Australia per ciascuna categoria professionale”9.
“Gli emigranti dovevano avere più di 16 anni, dovevano registrarsi presso il funzionario che si trovava a bordo delle navi e inoltre dovevano essere in possesso del
passaporto e di due fotografie formato tessera. Una volta compiute tali pratiche,
veniva consegnata la ‘carta di registrazione’ che doveva rimanere in loro possesso
fino all’atto dell’eventuale naturalizzazione australiana”10.
Elvio Gianoli nel 1951 inoltra contemporaneamente domanda per l’espatrio
verso Canada, Stati Uniti, Gran Bretagna e Australia, affidando la scelta alla
sorte: la prima a essere accettata sarà quella per l’Australia.
Con il passare degli anni, le richieste di forza lavoro diminuiscono e piano piano viene meno anche il ruolo di intermediazione delle agenzie. L’iter burocratico si fa più complicato e chi decide di emigrare cerca l’appoggio di qualche
conoscente già presente sul territorio australiano che procuri loro contratti di
lavoro e possa fornire personalmente le garanzie necessarie: è così che Bernardo
Capelli, grazie all’intermediazione di Cleto Guerini, emigra con la certezza di
un lavoro che lo attende. In quel periodo, Bernardo è in attesa della chiamata
per la leva, ma, grazie a un fortunato inghippo burocratico, gli viene rilasciato
il visto e può finalmente imbarcarsi. Verrà in seguito ricercato per diserzione.
Il “Paese fortunato”
La Seconda guerra mondiale ha evidenziato che una popolazione di sette milioni di persone è insufficiente per la difesa del vasto continente australiano e
per uno sviluppo commerciale e industriale moderno e indipendente. Nel 1945
il novanta per cento della popolazione era nato in Australia; “nel periodo prebellico si susseguirono i tentativi di definire il ‘tipo australiano’: il vigoroso abbronzato bianco dei boschi […] che con la fiducia in se stesso e il nerbo fisico avrebbe
rinvigorito la razza Britannica. […] Ma il tipo australiano aveva un’altra peculiarità: […] proveniva della classe operaia, era un combattente che non nutriva
simpatia per l’autorità. Si trattava di un’immagine populista che ben si confaceva
all’Australia come ‘paradiso della classe operaia’ in cui non esistevano aristocratici
né privilegi radicati, in cui chiunque aveva una possibilità di successo”11. È il momento dell’emigrante scelto, dell’impresario edile (mancano le case in maniera
Eco delle Valli, 23 dicembre 1955.
Flavio Lucchesi, Op. Cit., pag. 148.
11 AA. VV., Op. Cit., pag. 93.
9
10
25
sufficiente, i ponti, le strade), anche dell’emigrante coraggioso che vuol comprarsi un pezzo di terra, disboscarlo e farne una piantagione. Condizioni base
per ogni immigrato sono specializzazione e sapere un po’ d’inglese12.
Le materie prime erano molto richieste dall’Europa, dal Nordamerica e poi dal
Giappone. La lana costituiva il 41 per cento delle esportazioni alla fine degli anni
‘50, seguita da altri prodotti quali carne, pollame, latticini e cereali. Importante
era anche l’industria estrattiva di metalli, quali oro, argento, piombo, zinco.
Il rapporto tra prezzi delle esportazioni e prezzi delle importazioni cambia
nettamente a favore dell’Australia tra il 1945 e il 1950, richiamando notevoli
investimenti inglesi e statunitensi. La domanda di prodotti primari australiani
insieme ai massicci investimenti stranieri costituisce un importante prerequisito dello sviluppo; è però necessario un altro fattore: la manodopera.
Il reclutamento continuo di lavoratori oltremare costituisce l’unica soluzione
e induce il governo a seguire la strada della crescita economica e demografica,
rinunciando alla tradizionale ostilità nei confronti della forza-lavoro straniera.
Nel 1945 viene istituito il Department of Immigration che doveva varare un
programma di immigrazione su larga scala. ‘Popolare o perire’ era il motto di
allora; ciò significava far affluire immigrati selezionati, lavoratori disposti a
svolgere mansioni pesanti in fabbrica, nelle miniere e nell’edilizia. Dal dopoguerra fino ai primi anni ‘70 molti vedono nell’Australia il ‘Paese fortunato’,
un luogo privilegiato dalla natura, dal clima e dagli spazi illimitati, tollerante
con i nuovi arrivati, una società egualitaria e senza classi, ricca di opportunità.
Chiunque poteva farcela in quella società e ottenere il premio dello stile di vita
australiano: casa con giardino, automobile, vita all’aperto, buone prospettive
per i figli. Quella del ‘Paese fortunato’ era in realtà un’ideologia: si ignoravano
la povertà, le diseguaglianze e il razzismo, che non scomparvero neppure negli
anni di sviluppo13.
Dalla fine degli anni quaranta fino ai primi anni cinquanta l’immigrazione risulta molto sostenuta per poi leggermente rallentare fino alla fine degli anni
sessanta; in quel periodo vi è la massiccia emigrazione italiana che dà vita alla
comunità italo-australiana.
Un biglietto di sola andata piuttosto oneroso
Fino al 1965, gli Stati Uniti, meta tradizionale dell’emigrazione d’oltreoceano,
sono resi irraggiungibili dalle quote di limitazione all’ingresso introdotte nel
12
13
26
Eco delle Valli, 12 febbraio 1953.
AA. VV., Op. Cit., pag. 79.
1924. Per questo motivo Australia e Canada diventano le principali destinazioni oltreoceano.
Giacomo Battistessa, che dopo il 1925 avrebbe voluto trasferirsi negli Stati
Uniti, è costretto a cambiare meta ed emigra in Australia nel 1928 da cui ritorna due anni dopo, a causa di un incidente sul lavoro. Racconta in seguito ai figli
che, due anni prima, uno zio rientrato in Italia dall’America gli aveva suggerito
di trascorrere cinque anni in Australia per ottenere la cittadinanza britannica e
avere così la possibilità di emigrare negli Stati Uniti.
Giunto a Port Said, Giacomo invia una lettera ai genitori:
“Port Sais 29 - 6 ‘28
Carissimi genitori, colla presente vi donotizia della mia ottima salute così spero il
simile di voi tutti.
Cari genitori con questo piccolo foglio vi risconto di quanto passato finora. Parto
da Chiavenna come già sapete alle ore due de mezzogiorno e rivai ha Genova alla
meza notte subito subito fui rivolto di persona adetto per i amigranti e però condoto
in casa della compagnia e per quella notte ho dormito in un letto abbastanza bello
e pulito.
Alla mattina abbiamo fatto l’aversamento dei soldi per laghi per l’inizione al
braccio destro e la visita.
Alle quattro cianno portati al porto e cianno in barcati.
Alle dieci di sera siamo partiti da principio mi sembrava straneo e poi subito mi
abituai.
Riguardo al mare finora non mi ha fatto male anzi mi favenire molto apetitto
riguardo poi al mangiare ne danno abbastanza.
Mentre vi scrivo questo il vapore camina verso il porto Sais de Jaegitto che arrivava
verso le due.
Dunque come vio detto finora la passai bene e quello che vi raccomando di non
pensare male di mè.
Vi scrivero ancora quando arrivo al porto di Suez se mie possibile dopo per qualche
giorno non potro perche abbiamo una traversata di dieci ho dodici giorni prima di
vederterra.
Dunque quello che vi raccomando sempre coraggio.
Termino questo mio mal scritto nel salutarvi tutti caramente sorelle e nipoti e cognati.
Tanti saluti al padrino bareta con sua famiglia saluti a parenti e tutti quelli che
dimandano di me.
Di nuovo saluto e sono il vostro figlio Giacomo
Ciau”.
27
Il secondo gordonese in Australia è Domenico Guglielmana, emigrante atipico,
spinto là dalla guerra coloniale in Africa Occidentale.
Solo a partire dal secondo dopoguerra inizierà l’emigrazione di massa dei gordonesi in Australia. Nel 1950 molti giovani, disposti a partire per la mancanza
di lavoro, sono costretti a rinunciarvi per l’insostenibile costo del biglietto della
nave, da 200 fino a 300 mila lire, a fronte di una retribuzione media mensile che
si aggirava, a quei tempi, intorno alle 28 mila lire.
Pietro Giovanni Battistessa parte nel 1952 con un contratto di lavoro del valore equivalente al costo del biglietto che si impegna a rimborsare ratealmente
durante la permanenza in Australia; lo stesso sarà per Gasparino Dell’Anna tre
anni dopo.
Per far fronte alla spesa troppo elevata del viaggio, vengono in soccorso genitori, zii e nonni. Martino Dolzadelli riceve in prestito il denaro dall’enda Maria,
Pio Capelli dal barba Tugnin, Giuseppe Abbondio (Bundi) Dolzadelli dal nonno e da Bernardo dal Munecĥ.
A Cleto Guerini i soldi del biglietto saranno anticipati dall’arciprete Michele
Trussoni, come ringraziamento al padre Cesare che aveva contribuito alla costruzione dell’oratorio.
Bernardo Capelli può lasciare l’Italia grazie all’intraprendenza della madre
Meneghina che impegna il prèè de l’albar ottenendo dalla Banca 300 mila lire;
i primi risparmi australiani saranno destinati al riscatto del prèè: “un prato in
meno voleva dire una mucca in meno, meno latte, meno forme di formaggio”.
Bernardo spenderà per il viaggio 237400 lire e, all’arrivo in Australia, ne avrà
in tasca solo 500.
Bernardo Dolzadelli ottiene il prestito dallo zio Giuseppe Mazzina, nonostante
le reticenze dei genitori che non avrebbero mai voluto emigrasse.
Lino Gianoli e Ninino Ciabarri partono grazie al denaro ricevuto dai fratelli
Elvio e Guido, stabilitisi precedentemente nel Western Australia.
A soli 19 anni, dopo dubbi e tentennamenti e grazie a un contributo da parte
dei genitori, che vendono una mucca per sostenere in parte il costo del viaggio,
Franco Tavasci decide di partire con altri due compaesani senza l’appoggio di
agenzie.
I costi della traversata restano ancora elevati, ma iniziano a nascere vari piani
di contribuzione alle spese di viaggio per lavoratori e familiari, promossi dalla
Giunta Cattolica Italiana e dal Comitato Intergovernativo per le Migrazioni
Europee (C.I.M.E.)14. Cecilia Tabacchi inoltra la domanda di espatrio e procura il biglietto per sua sorella Silvia, costretta però a rimandare la partenza di
14
28
Flavio Lucchesi, Op. Cit., pag. 148.
qualche mese: è l’anno 1960 e le navi riservano i posti prioritariamente ad atleti,
accompagnatori e turisti che avevano partecipato alle Olimpiadi di Roma. Albino Scartaccini, fidanzato di Silvia, la raggiungerà nel 1962.
Biglietto di passaggio di Romana Gatti.
Deus te benedicat
Determinante nella scelta di emigrare è la figura dell’arciprete don Michele
Trussoni, nato in America nel 1900, da due emigranti originari di Campodolcino. Nel 1930 veniva trasferito dalla parrocchia di S. Maria dell’Assunta in
Aprica all’arcipretura di Gordona con la seguente nota informativa: “Se non
siete contenti rimandatelo all’Aprica che qui la gente non aspetta altro”. I parrocchiani di Gordona ricorderanno per molto tempo il suo passo di montanaro
che lo portava in zone pericolose per ricordare ai partigiani la prudenza e la
non provocazione, e il suo intervento presso i comandi tedeschi per salvare dal29
Romana Gatti col fidanzato Martino Dolzadelli,
prima della partenza.
30
la Germania prigionieri sul punto di partire. Quelle che da parte di alcuni, in
determinati momenti, vennero considerate come prese di posizione aspre e rigide, erano in lui solo una chiara coscienza del suo dovere di pastore. Il carattere
insomma risentiva dell’asprezza delle rocce, ma ne aveva anche la solidità e la
fermezza. “Su, impegno” era il motto proverbiale mai smentito fino all’ultimo.
Don Michele vede nell’emigrazione una buona opportunità di vita e incita i
giovani a solcare i mari in cerca di miglior fortuna; li esorta e li sostiene talvolta
anche economicamente, anticipando loro parte dei costi del viaggio. Il suo incoraggiamento e il suo assenso sono certamente elementi di consolazione per le
famiglie che soffrono il dramma del distacco. Chiede con sollecitudine notizie
dei suoi ragazzi lontani e, quando incontra un familiare diretto all’ufficio postale per inviare una lettera, approfitta per scrivere poche righe direttamente sulla
busta: “ti saluta e ti benedice il tuo arciprete”. Più avanti, i giovani gordonesi
australiani pensano di organizzare per lui un viaggio “poi a ben pensarci, considerato lo stile di vita australiano così libero ed emancipato, decidemmo che era
meglio di no: ne sarebbe rimasto scandalizzato, lui che non tollerava nemmeno
le calze di nylon sulle gambe delle ragazze…”.
Lino e Tiziano De Agostini ricevono in dono prima di partire il libretto del
catechismo. Il giorno prima della partenza si celebra la messa per invocare la
benedizione del Signore su chi parte e su chi rimane.
Solenni promesse
Lo sviluppo dell’economia di mercato (ancora troppo debole per grossi investimenti industriali) implica la presenza dei lavoratori, ma soprattutto dei consumatori di beni e torna d’attualità lo schema dell’immigrazione permanente, che
non può essere che familiare. Le leggi di liberalizzazione per le ricongiunzioni
delle famiglie favoriranno la cosiddetta immigrazione a catena, per ripopolare
l’Australia.
“Non si insisterà mai abbastanza sulla necessità di ordine morale, sociale e pratico
che gli emigrati partano insieme assieme alla famiglia o si facciano sollecitamente
raggiungere da essa. Una delle principali ragioni che si opponevano in passato alla
realizzazione di quanto sopra era la difficoltà per l’emigrante di disporre di tutte
le somme necessarie per il trasferimento della famiglia. Ora tale ostacolo può dirsi
rimosso attraverso i piani di ricongiungimento famiglie governativi o intergovernativi o delle organizzazioni cattoliche”15.
15
Corriere della Valtellina, 07 aprile 1956, pag. 5.
31
Maria Tavasci col fidanzato Cleto Guerini, prima della partenza.
32
Storicamente l’emigrazione è quasi tutta al maschile e per le donne esistono
difficoltà ulteriori di carattere economico e culturale. Chi manda a chiamare la
futura sposa è tenuto a sostenere il costo del biglietto e a pagare un deposito di
100 sterline per coprire i costi dell’eventuale viaggio di ritorno, nel caso in cui il
matrimonio non venga contratto.
Gli avventurosi gordonesi, salpati con l’intenzione di ritornare il più presto
possibile, con il passare degli anni cominciano a richiamare le fidanzate.
Inizia l’emigrazione al femminile. Man mano si avvicina il giorno della partenza, sentimenti contrastanti turbano gli animi delle giovani: il timore di trovarsi
di fronte una persona diversa da quella conosciuta o di deludere le aspettative
dei futuri compagni, il lungo viaggio sulla nave, il venir meno della cerchia di
aiuto e di protezione al femminile, di relazioni, di confidenza, di complicità con
mamme, sorelle e amiche, rapporti affettivi familiari e sentimentali da troncare,
la chiara consapevolezza di una metamorfosi obbligata che avrebbe radicalmente modificato per sempre la loro esistenza.
Don Michele è meno accondiscendente nei confronti delle ragazze che si apprestano al lungo viaggio per raggiungere i promessi sposi e convince Anelia
Dell’Anna e Romana Gatti a contrarre matrimonio, per procura, prima della
partenza.
La cerimonia viene celebrata nella chiesa di S. Martino: il cognato Pietro, fratello dello sposo Gino Dell’Anna, accompagna Anelia all’altare e il suocero Giovanni rappresenta il figlio Martino Dolzadelli al fianco di Romana. Entrambe
le spose, dopo la cerimonia, si recano in pellegrinaggio presso il santuario della
Madonna di Tirano.
Maria Tavasci in procinto di raggiungere e sposare Cleto rifiuta però fermamente di sposarsi per procura, nonostante le pressioni di don Michele sulla mamma
Lucrezia, sostenendo che vuole prima guardare negli occhi il suo fidanzato per
riscontrare, di persona, le sue intenzioni. Anelia e Maria avrebbero affrontato
il viaggio insieme e al parroco non resta altro che far solennemente promettere
alla neosposa Anelia, davanti all’altare della Madonna, di vigilare costantemente su Maria fino alla celebrazione del suo matrimonio.
Sogni, fotografie e calze di lana
I giorni che precedono la partenza sono densi di accorate raccomandazioni e
benedizioni, di addii talvolta resi ancor più angoscianti dallo spesso strato di
neve che ricopre i prati nei lunghi inverni.
33
Per ben tre volte, a gruppi di sette, partono ragazzi poco più che ventenni: al
tempo stesso figli, fratelli, nipoti, amici, che stipano bagagli, mente e cuore di
affetti e legami indelebili. Si tratta di un ennesimo spopolamento, quasi, per un
paese di 1500 anime, che per vincoli di parentela o di amicizia ha interessato
buona parte delle famiglie.
Scritta incisa da Domenico Gatti prima di partire per l’Australia.
Si avventurano verso un mondo nuovo e sconosciuto; del tutto ignari di ciò che
il futuro avrebbe loro riservato, sciolgono il nodo che li legava alla terra natia, a
una vita scandita dal ritmo delle stagioni, alla tradizione contadina, all’educazione religiosa e alla saggezza degli anziani.
Le valigie di cartone piene di fotografie umide di lacrime restano aperte fino
all’ultimo minuto per infilarvi qualche immagine ancora sopra le speranze e i
sogni di avventura, di libertà, di amore; la voglia di fare fortuna per ritornare
poi e ricostruire per sé e per le proprie famiglie un’esistenza più serena.
Nella valigia Antonio Battistessa mette le calze confezionate dalla moglie, insieme alle foto dei tre figli piccoli, Battista Biavaschi ci mette pure un ombrello,
Silvia e Cecilia Tabacchi riescono a infilarvi la šcĥiaia per la focaccia, Romana
Gatti vi ripiega con cura gli abiti nuovi confezionati per l’occasione dalla madre
sarta, gli ultimi capi del corredo di spose e fidanzate. Nella valigetta, usata come
cartella di scuola, Siro ripone con cura le calze di lana e due pantaloni.
Tre volte sette
Il primo gruppo di sette parte in un giorno di primavera.
Siro Dell’Anna, Martino Dolzadelli, Clito Battistessa, Alfredo Ferrari, Egidio
34
Gugliemana, Ido Tabacchi e Felicino Tavasci, seguiti da un corteo commosso e
allo stesso tempo festoso quasi a esorcizzare la tristezza per l’addio, si avviano
alla volta della stazione di Chiavenna. È il 25 aprile 1951.
25.04.1951. I primi sette partiti. In piedi da sinistra: Siro Dell’Anna, Clito Battistessa,
Martino Dolzadelli, Felicino Tavasci. In basso: Egidio Guglielmana, Alfredo Ferrari, Ido
Tabacchi.
Angela, che accompagna il fratello Martino, non dimenticherà mai l’immagine
di Ido che, affacciato al finestrino del treno, chiede: “Perché piangete? Ci vediamo a S. Bernardo!” (20 agosto, patrono di Bodengo).
Anche Elsa, sorella minore di Alfredo, serba vivo il ricordo di Siro che, stringendole le mani per frenarle le lacrime, la consola: “Non piangere matèla, cĥie
an riva prešt!”.
A distanza di soli cinque mesi, il 3 novembre 1951 parte il secondo gruppo
composto da Battista Biavaschi, Agostino Bini, Pio Capelli, Gino Dell’Anna,
Giuseppe Abbondio Dolzadelli, Renzo Morelli e Pietro Pedretti (detto Plancia).
Quella stessa mattina Agostino, dopo un giro per il paese per gli ultimi saluti
alle persone più care, di ritorno sulla strada di casa incontra il Toni dal Lèll,
fratello di Egidio Guglielmana, già partito con i primi sette, che si offre di ac35
Dietro, da sinistra: Bernardo Capelli, Marco Gatti, Ettore Tabacchi, Luigi (Samolaco).
Davanti: Luca Gatti.
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compagnarlo alla stazione. Entrando in casa, la trova affollata di parenti e amici
in lacrime che ripetono: “Non lo vedremo più!”. Il ricordo della guerra è ancora
presente e fresco, si rivive la medesima angoscia di una partenza senza più ritorno. Toni cerca di risollevare il morale: “Non affliggetevi così, non è come
quando siamo partiti noi per la guerra”.
Tre mesi più tardi, il 3 febbraio 1952, Elvio Gianoli si avvia alla volta della
stazione di Chiavenna sul carro tirato dal mulo. Sarà il terzo gruppo di sette:
lui, Antonio Giglio Battistessa, Bernardo Battistessa, Giovanni Capelli, Guido Ciabarri, Giuseppe Mazzina, Lorenzo Tavasci. Tra gli accompagnatori c’è
il Commissario prefettizio Andrea Maraffio (nominato in seguito al mancato
raggiungimento del 50 per cento più uno dell’unica lista presentata alle amministrative del 1951). Ermanno Gianoli ricorda presente alla stazione il futuro
sindaco Giovanni Pedretti che si complimenta con il fratello Elvio, l’unico dei
sette a trattenere le lacrime e rincuorare gli altri, assicurandogli che avrebbero
fatto fortuna.
Cleto Guerini lascia Gordona con Domenico Gatti il mese di maggio dello stesso anno. Alla stazione lo accompagna il padre Cesare che, abbracciandolo sulla
predella del treno già in movimento, con voce strozzata dal dolore gli sussurra:
“Io e te non ci vedremo più!”. Cesare morirà il 12 luglio 1955.
Il giorno della partenza, Maria Tavasci va a salutare il nonno che nei giorni precedenti sembrava avesse voluto evitarla. Non trovandolo in casa, si leva le scarpe
nuove e si dirige alla volta dei campi. Il nonno Leunìgn è già in campagna, ai
piedi della collina di S. Caterina. Lo trova chino sopra gli attrezzi di lavoro che
piange come un bambino. Tra le lacrime le confida: “Volevo salutarti… ma non
avevo niente da darti… Ti auguro buona fortuna e che il Signore ti benedica!”.
Ognuno nutre nel cuore l’intima speranza che quel viaggio verso l’ignoto rappresenti solo una parentesi nella loro vita.
Gli ultimi commossi saluti fanno da cornice agli sguardi gettati dal finestrino
del treno che ineluttabile si allontana, diretto al porto di Genova.
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capitolo IV
ventimila leghe…
al di là dal mare
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Emigrante, tu che lasci la tua terra
Come abbiamo visto, i primi emigranti si affidano alle agenzie di viaggio. Con il
pagamento di 10 mila lire, in aggiunta al costo del biglietto, l’agenzia dei fratelli
Vitali, in accordo con l’agenzia Merizzi-Marchesi in Australia, offre un contratto di lavoro e anche l’alloggio per la prima notte una volta giunti in Australia.
Nonostante sia tutto abbastanza organizzato, gli emigranti e le loro famiglie,
abituati a recarsi a Chiavenna soltanto in via eccezionale e alle trasferte sui carri
fino ai campi di granturco verso Novate Mezzola (al piee da bass) immaginano
l’Australia null’altro che un paese esotico, misterioso, “al di là del mare”.
“Dell’Australia sapevamo soltanto che era lontana e c’erano i canguri” ricorda
Edoardo Dolzadelli, fratello degli emigranti Bernardo e Domenico. Mondi diversi da quello esistente tra le montagne erano difficilmente concepibili, al pari
del probabile avventuroso viaggio zeppo di incognite. Luciano De Giambattista annota che quasi tutti gli emigranti gordonesi vedono la prima volta il mare
soltanto alla loro partenza, al porto di Genova.
Nell’immaginario, il porto di Genova rappresenta il filo per le rondini prima
della migrazione, un confine invalicabile, un sipario cieco, impenetrabile, una
ineluttabile, impietosa ghigliottina tranciante i contatti fisici che sfilaccia affetti
e sentimenti lasciando dietro la nave scie di dolori a fronte solo di labili speranze.
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L’arrivo a Genova coincide spesso con il giorno stesso dell’imbarco, anche se
non è raro passarvi la notte, come accade ad Anelia Dell’Anna e Maria Tavasci.
Parenti e amici accompagnano gli emigranti all’imbarco: Anelia è accompagnata dai genitori e Maria dal papà Lorenzo e dalla sorella Natalina, Pio Capelli ha i
genitori al suo seguito, Michele Battistessa il fratello Elio, che anni prima aveva
già salutato il fratello Clito in partenza per l’Australia. Luciano De Giambattista è accompagnato dalla madre e da Bernardo Dolzadelli in vacanza a Gordona
dopo quattordici anni già trascorsi in Australia: tutto più facile per il novello
emigrante con i consigli e l’esperienza del veterano.
L’attesa prolungata e scandita dai minuti al porto non potrà impedire il distacco improvviso, troppo brusco. Agostino Bini, accompagnato dal fratello
Francesco e da un amico, ha un ricordo amaro della sua partenza: “Ci siamo
rimasti male: all’improvviso ci hanno fatto entrare, è stato tutto troppo veloce e
anche se i nostri accompagnatori riuscivano a vederci, ormai non potevamo più
abbracciarci. Abbiamo potuto solo salutarci con la mano dal ponte della nave,
come nei film…”.
Ninino Ciabarri e Antonio Tavasci, che partono nel 1956, vengono accompagnati fino a Genova dalle madri. Ninino ricorda che, appena salito a bordo della
nave, sente una canzone, di cui ancora cita le parole: “Emigrante tu che lasci
la tua terra, mentre guardi quella scia piange il cuor di nostalgia” e aggiunge:
“C’era mia mamma che mi salutava agitando le braccia, mentre sulla nave io
piangevo…”.
Genova. Ninino Ciabarri (a sinistra) e Antonio Tavasci (a destra).
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Quasi la totalità dei nostri emigranti raggiunge Genova in treno: in quegli anni
sono davvero poche le automobili che circolano in valle, e pochissimi negli anni
‘50 e ‘60 quelli che ne possiedono una per uso privato. Tecla fa eccezione e,
nell’aprile del 1967, è portata a Genova da Agostino Bini, non sopra una comoda auto, ma sul furgone per il trasporto delle merci del suo negozio, aperto
dieci anni prima a Gordona, dopo il suo ritorno dall’Australia. Tecla ricorda di
aver caricato le valigie sul furgone e di essere partita la sera prima dell’imbarco
coi genitori, di aver pernottato con loro a Genova e di essersi recata al porto la
mattina successiva. È la sola gordonese su quella nave, ma lì conosce un ragazzo
di Samolaco e uno di Tirano, con cui ancora oggi intrattiene rapporti.
Mal di mare
La durata del viaggio è di circa 40 giorni nel 1928, ma grazie al progresso tecnologico, già agli inizi degli anni ‘50 scende sotto i 30 giorni.
Tecla ripercorre la navigazione: “Normalmente la partenza avviene da Genova.
Dopo un breve scalo a Napoli, si naviga fino a Port Said, città all’imbocco del
Canale di Suez, oltrepassato il quale, la nave giunge nel Mar Rosso e si ferma
sullo sbocco a sud del canale, ad Aden, città dello Yemen, che è porto franco e
dove il combustibile è più a buon mercato. Fatto rifornimento, la nave riparte
alla volta dell’Oceano Indiano e alla fine di dieci giorni di soli cielo e acqua,
la nave tocca le coste di Colombo, nello Sri Lanka. Dopo alcune ore di sosta,
la navigazione continua per altri dieci giorni fino a Fremantle, il primo porto
dell’Australia. Spesso le navi proseguono poi per altri venti giorni, fino a Melbourne e a Brisbane”.
La maggior parte dei nostri emigranti sbarca a Fremantle, porto sulla costa occidentale australiana, molto vicino alla più grande città di Perth, capitale dello
stato del Western Australia.
Nel novembre 1956 Lino Pedretti e Tiziano De Agostini sono costretti a circumnavigare l’Africa facendo scalo a Tenerife nelle Canarie e poi a Città del
Capo, impossibilitati ad attraversare il canale di Suez, chiuso per ragioni politiche internazionali.
Il viaggio sulla nave è molto faticoso, se non altro per la durata interminabile,
per la sconfinatezza dell’oceano, ma soprattutto per le incognite e le incertezze
che attendono all’altro capo del mondo. Moltissimi riferiscono di aver sofferto
il mal di mare e di aver passato il viaggio in coperta.
Sulle navi non vengono organizzate attività particolari, né vi sono passatempi,
eccezion fatta per le celebrazioni religiose e, tenuti dagli stessi sacerdoti, dei
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corsi di lingua inglese, di cui beneficiano Anelia Dell’Anna e Maria Tavasci nel
loro viaggio nel 1955. Tutti i nostri emigranti raccontano però di divertimenti
e svaghi improvvisati con gli altri viaggiatori: partite di calcio, tornei di carte e
balli nelle sale comuni.
La Nina, la Pinta e... la Napoli
I viaggi degli emigranti si differenziano molto in relazione ai diversi periodi storici e stagionali e alle diverse condizioni climatiche. Pure le caratteristiche tecniche delle navi presentano negli anni differenze notevoli. I pionieri gordonesi
componenti i tre gruppi di sette, viaggiano tutti sulla Napoli: una vecchia nave
della Flotta Lauro, adibita per metà a mercantile, come ricorda Agostino Bini,
e per metà al trasporto persone per una capienza di circa 900 passeggeri. La
Napoli era nata come mercantile, ma successivamente modificata e ristrutturata
per il trasporto persone durante la Seconda guerra mondiale: lo testimoniano Abbondio Dolzadelli, che ricorda come alcuni spazi fossero ancora sporchi
dello sterco dei muli trasportati durante la guerra, mentre Siro descrive bene i
buchi per le gamelle di inservienti e militari sui tavoloni della mensa. Ricorda
ancora meglio la pessima qualità della cucina e le rimostranze concertate con
francesi e tedeschi, grazie alle quali i viaggiatori riescono a ottenere dal Comandante il menù settimanale di tre giorni all’italiana, di due giorni alla francese e
di due giorni alla tedesca. I dormitori sono ricavati in spazi angusti vicino alla
stiva, secondo Martino Dolzadelli, e i letti a castello sono protetti da una recinzione dentro camerate che ospitano fino a quaranta persone.
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Non vi sono solo ricordi negativi: Siro racconta anche di una grande festa al
passaggio dell’equatore, tipo la Bagĥiüta. A differenza della maggior parte dei
suoi compagni, Battista Biavaschi (Bacioch), non soffre il mal di mare, non sopporta di stare “con le mani in mano” e scende nella stiva collaborando al trasporto delle casse di cibo. Ogni volta ne approfitta per risalire con qualche fiasco di
vino e applica poi ingegnosamente il manico a una latta vuota che, collegata a
un gancio e una corda, usa per i suoi rifornimenti, una volta risalito in coperta…
Anche Agostino Bini si rende disponibile a qualche servizio in cambusa e si
guadagna così due pranzi con gli ufficiali della Napoli.
Gli aneddoti che coloriscono il racconto non sminuiscono le precarie condizioni del viaggio e delle navi sulla tratta verso l’Australia, nonostante la guerra
fosse ormai alle spalle e nonostante da oltre un secolo grandi transatlantici ed
eleganti piroscafi (usciti anche da cantieri navali italiani) salpassero gli oceani
con regolarità, garantendo maggiore velocità e comfort. Sono ovviamente privilegiate le tratte verso le Americhe, sebbene l’Australia non rappresenti più una
meta pionieristica e sia già abitata da molti connazionali. Dopo lo stop imposto
dalla guerra, soltanto nell’ottobre del 1948 sarà la Toscana la prima nave a salpare per l’Australia da un porto italiano; prima di allora – come ricordano alcune
testimonianze di emigranti di Samolaco16 – ci si doveva recare fino a Marsiglia
per l’imbarco.
I ventuno gordonesi che partono tra il 1951 e l’inizio del 1952, capitano in
quella che potrebbe essere considerata la sfortunata coda delle ultime rotte di
alcune navi sulla tratta Italia-Australia; lo prova la testimonianza di Elvio Gianoli che imbarcato sulla Napoli, ottiene un rimborso di ben 35 mila lire avendo
prenotato il viaggio su una nave diversa più confortevole, viaggio rimandato per
unirsi agli altri sei gordonesi. Soltanto pochi mesi più tardi, il 5 maggio 1952,
Cleto Guerini viaggia sulla tratta di collaudo della nave Sidney, dormendo in
una cuccetta già dotata di aria condizionata.
I transatlantici degli anni ‘50
Le motonavi Oceania e Neptunia, su cui salgono molti emigranti gordonesi
tra il 1954 e il 1961, sono navi gemelle costruite agli inizi degli anni ‘30 dalla
Italia Flotte Riunite, la compagnia di bandiera nazionale nata dalla fusione di
diverse società navali italiane, per volere del Duce. Sono gli ultimi transatlantici
varati prima della guerra e subito dopo rimessi in efficienza dal Lloyd Triesti16 Maria Domenica De Boni, Samolachesi in Western Australia, Associazione Culturale Biblioteca di Samolaco, Samolaco 2011.
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no: riprenderanno il servizio ma, a dispetto del loro nome, sulle tratte per il
Sudamerica. Nonostante siano tra le più vecchie in navigazione negli anni ‘50,
queste navi possono raggiungere una velocità superiore ai ventidue nodi, guadagnandosi il primato di transatlantici più veloci del mondo al momento del varo.
Caratteristica della Neptunia sono le ‘cabine intercambiabili’, che permettono
di variare il numero di posti a seconda del numero delle prenotazioni.
Queste navi hanno una capienza di circa mille passeggeri, suddivisi in prima
classe, seconda classe e la cosiddetta classe turistica, nella quale viaggiano la
maggior parte degli emigranti. Nella tratta di ritorno verso l’Italia, questi spazi
della nave vengono utilizzati per il trasporto di merci e materie prime, di lana
grezza in prevalenza che, a quel tempo, rappresenta il principale prodotto di
esportazione dell’Australia.
Il transatlantico Australia, appartenente alla flotta del Lloyd Triestino, viene
costruito nel 1951. Lungo 161,1 metri, largo 21,1 metri, ha una stazza di 13140
tonnellate, una capienza di 672 passeggeri e può sviluppare una velocità di 18
nodi marittimi. Sono tre i gordonesi che vi salgono: Michele Battistessa e Lorenzo Fumagalli nel 1954 e Mora Barilani Pelanconi nel 1955.
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Michele ricorda le sue preoccupazioni quando, dopo un’ora di navigazione lungo il Canale di Suez, vede una processione di persone risalire dall’acqua camminando in fila indiana verso il deserto con un secchio in spalla. Trattasi, gli
viene spiegato, di operai occupati a dragare il canale. Essendo l’Australia, come
l’Egitto, una colonia inglese, si chiede: “Dio mio, dove mai sto andando?”. Con
questi dubbi continua il viaggio durato 21 giorni, di cui 20 passati con il mal di
mare.
Più sfortunati sono invece i fratelli Luca e Marco Gatti, che con Ettore Tabacchi
e Bernardo Capelli nel 1955 partono con la nave mercantile Surriento, al suo
ultimo viaggio. Nelle cabine decisamente scomode, invece dell’aria condizionata, esce spesso della fuliggine e Bernardo ogni sera sale con il materasso per
dormire in coperta. Sono previsti tre turni per il pasto: prima mangiano donne
e bambini, poi gli uomini sposati e alla fine gli scapoli.
Le città galleggianti degli anni ‘60
1966. La nave Guglielmo Marconi.
La Guglielmo Marconi, su cui viaggia Domenico Dolzadelli nel 1966, è costruita agli inizi di quel decennio e, con la nave gemella Galileo Galilei, è la
più moderna, la più grande e la più capiente nave passeggeri mai posseduta
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dal Lloyd Triestino sulle rotte fra il Mediterraneo e l’Australia. Costruite con
tecniche all’avanguardia, sono lunghe più di 200 metri e possono trasportare
1700 passeggeri. Eppure il viaggio di Domenico è tutt’altro che regolare: la prima sosta non prevista è una lunga tappa a Napoli, dove la Guglielmo Marconi
imbarca molti terremotati siciliani. Un secondo fuori programma è la circumnavigazione dell’Africa dovuta alla chiusura del Canale di Suez, che allunga il
viaggio di Domenico fino a 32 giorni, di cui quindici con il mare in burrasca,
dopo il Capo di Buona Speranza.
Molti gordonesi, sul finire degli anni ‘60 viaggiano verso l’Australia sull’Achille
Lauro, transatlantico della Flotta Lauro, intitolata al suo fondatore. Fra loro
anche Giusy Biavaschi e Ottavio De Agostini, che partono nel 1966 assieme ai
due figli. Ha ricordi molto nitidi del suo viaggio sull’Achille Lauro Tecla Tavasci, che parte nell’aprile del 1967 e supera il Canale di Suez appena prima della
sua chiusura a causa della Guerra dei sei giorni tra Israele e l’Egitto. Ricorda
le molte simulazioni di abbandono nave in caso di emergenza. La nave viene
fermata in mezzo all’oceano dove vengono attivati gli allarmi, come sirene e
lampeggianti: l’ordine è di infilarsi il giubbetto, estrarre il fischietto a esso agganciato e raggiungere particolari punti per il raggruppamento dei passeggeri,
mentre il personale di bordo si posiziona sui ponti esterni per la predisposizione
delle scialuppe di salvataggio. Tecla ammette di non aver mai avuto veramente
paura, tranne all’arrivo al porto di Napoli, quando il mare era talmente agitato
che viene proibito a tutti i passeggeri di lasciare la propria cabina.
Danilo Dell’Anna arriva in Australia in aereo nel 1984 con un visto turistico per
raggiungere Diana Dolzadelli, figlia degli emigranti Martino e Romana Gatti,
conosciuta l’anno precedente durante un suo soggiorno a Gordona. I tempi
sono cambiati, non si lascia più il paese per cercare lavoro o per far fortuna, ma
per amore ci si sposta in continuazione: il legame tra Gordona e l’Australia si
consolida, si rinnova.
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capitolo V
una vita nuova
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Terra!
La storia ci insegna che le migrazioni dei popoli esistono dall’inizio dell’umanità. Gli italiani sono un popolo migrante: non fa eccezione Gordona. Lo testimoniano, come già visto, le datate emigrazioni a Napoli, Palermo e Venezia
e quelle successive in America e in Argentina, dove esistevano delle Confraternite e delle organizzazioni che si occupavano di prendere in consegna i nuovi
emigranti, offrendo loro assistenza e cura.
Nella metà del ‘900 sono le agenzie di viaggio che in Australia si occupano della
primissima accoglienza, dopodiché il futuro di ciascun emigrante è pressoché
esclusivamente nelle sue mani. Come evidenziato dalle testimonianze, si tratta
di un vero e proprio salto nel buio, un’esplorazione di un immenso continente
sconosciuto, dove l’unica garanzia è la promessa di un lavoro.
Sebbene non vi siano delle zone di esclusivo insediamento italiano, si rileva una
massiccia presenza dei nostri connazionali nel centro e a nord del vastissimo
agglomerato urbano di Perth, capitale dello Stato del Western Australia e una
numerosa comunità nel porto e nei territori di pesca di Fremantle.
Il primo contatto di molti gordonesi emigranti subito dopo lo sbarco è con
il già citato Merizzi che, spiega Clito Battistessa arrivato nella primavera del
1951, “ci riceveva al porto di Fremantle, ci accompagnava a Perth e ci smistava
nei vari luoghi in cui avremmo cominciato a lavorare”.
Di Merizzi serba un vivo ricordo Siro Dell’Anna che lo descrive come una persona affabile e molto disponibile: “Quando fu il momento per me e per altri
emigranti di trasferirci da Perth a Spearwood, ci aveva rifornito di tutto il necessario: brande, coperte e attrezzature da cucina. Inoltre prorogava a Natale il
pagamento delle spese di prima accoglienza perché avessimo il tempo di trovarci un lavoro e sistemarci”.
Siro alloggia a Perth il sabato e la domenica dopo lo sbarco, sperando di iniziare
subito il lavoro. Il viaggio, il cui costo costituiva un onere assai gravoso, lasciava
agli emigranti ben poco margine di risparmio: “In tasca mi restava ben poco ma
mi rincuorava sapere che il venerdì di ogni settimana si riceveva paga!”.
A eccezione dei primi emigranti, quelli successivi sono di sovente accolti da
compaesani già in Australia da alcuni anni o da parenti con cui si sarebbero
ricongiunti. Così Lino Pedretti troverà Daniele Gatti ad attenderlo, e Ninino
Ciabarri il fratello Guido. Agostino Bini ricorda: “Da Fremantle veniamo accompagnati a Perth, dove dormiamo e passiamo la domenica; poi ci forniscono indicazioni su dove ci saremmo recati a lavorare. Il lunedì abbiamo preso
il treno; su un biglietto ci era stato annotato il luogo di destinazione verso il
51
29.10.1955. Matrimonio di Maria e Cleto.
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quale proseguiamo poi in autobus. Scendo a Jaradel, una donna ci faceva delle
domande, ma noi non capivamo nulla, verso sera chiama la polizia perché venisse in nostro soccorso: avevamo atteso invano la corriera, dalle 9:00 alle 17:00.
Dopo vari tentativi per intenderci, finalmente il poliziotto ci porta a destinazione affidandoci al guardiano. Siamo rimasti in contatto con quel poliziotto
perché era cattolico e lo vedevamo a messa, anche se la difficoltà creata dalla
lingua non consentiva un grande dialogo”.
Il momento dello sbarco nel nuovo continente suscita sensazioni particolari,
molto diversificate in base alle aspettative personali, al morale e all’elaborazione dell’avventura che, dopo il lungo viaggio, prende forma soltanto quando si
mette piede sulla terra australiana. “Quando scendi dalla nave, ci metti mezza
giornata per abituarti alla terraferma, ti sembra che le strade vadano su e giù
anche se sono piatte... Era un mondo nuovo, ma ha aiutato molto il fatto che
ci fossero persone conosciute ad accoglierci”, così Bernardo Capelli commenta
le sue prime impressioni dopo lo sbarco. Anche il desiderio di ritornare subito
indietro è tra le prime sensazioni che avvertono in molti. Ottavio De Agostini
l’avrebbe subito realizzato se solo avesse avuto i soldi per farlo. Con la moglie
Giusy, raggiunge invece Silvio Biavaschi e Rita Dolzadelli a Rocky Gully, a 250
km da Perth, dove trova lavoro in segheria.
Nando Gatti raggiunge il cugino Daniele a Kojonup, assieme ad Abbondio
Dolzadelli e a Giuseppe Mazzina, che erano in relazione con un toscano, responsabile della gestione di una farma17 di 3500 acri.
A poco dopo lo sbarco risale un particolare episodio dal “sapore di casa” per
Siro. Alla stazione di Fremantle, è colpito dall’incontro con un samolachese
“dai capelli rossicci, i pantaloni arrotolati fino al ginocchio e la fascia rossa alla
vita che mi riferisce di essere in Australia da 20 anni e di essersi sposato, per
corrispondenza, con una calabrese. Era un Del Fante, che alle mie domande su
come fosse la situazione in Australia mi rispose che se l’acqua dell’oceano fosse
arrivata solo fino alle ginocchia sarebbe già tornato indietro a piedi!”
Il 13 ottobre 1955 Maria Tavasci, in vista del porto, sente aumentare i dubbi e
i timori nutriti nei confronti del viaggio: “Al momento dell’attracco, ero con
Anelia sul ponte e subito vidi Gino sulla banchina e altri compaesani, ma non
Cleto. Ebbi un momento di sconforto e a gesti chiedevo notizie di Cleto a Martino Dolzadelli che, sempre a gesti, mi fece intendere che il mio fidanzato era
al bar”. Cleto invece era ricoverato con la gamba ingessata. Maria passa così la
sua prima giornata in terra australiana nella veranda dell’ospedale dove Cleto,
dopo aver visto dalla finestra la nave entrare in porto, la accoglie con un “come
sei bella!” che cancella dubbi e paure e le restituisce speranza nel futuro.
17
Italianizzazione della parola inglese farm, ovvero fattoria.
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Quando Cecilia Tabacchi arriva a Fremantle, vedendo il traffico circolare sulla
sinistra, si convince di avere delle allucinazioni.
È il 1° settembre 1957; Silvio Biavaschi ha appena lasciato la nave e un pensiero
lo attraversa: “Sono in una terra straniera, solo!”. La vita in alpe era caratterizzata da rare frequentazioni e il viaggio in nave, un luogo chiuso e ristretto condiviso con 1200 persone, era stato di per sé una vera impresa. “Il giorno successivo al
mio arrivo, io e Marco Gatti andiamo a Kojonup, percorrendo 450 miglia (oltre
600 km) in pullman su strade non asfaltate. Se appena sbarcati pensavamo di
essere arrivati, abbiamo subito dovuto ricrederci: c’era ancora tanta strada da
fare, come da Gordona a Roma! Dai finestrini vedevo solo farms e boschi e poi
ancora farms con mucche e pecore. Giunti a destinazione, siamo accolti da Giuseppe Mazzina che ci fa quasi da padre e per il primo anno ci aiuta, perché noi
da soli non saremmo stati capaci neanche di comprarci il materasso!”. Giuseppe
Mazzina mette a loro disposizione due piccoli locali in cui vivere: una cucinetta
e una camera minuscola dove rimangono alcuni giorni in attesa di lavoro, perché nella segheria dove sarebbero dovuti andare non c’era posto per loro. “Poveri noi, pensavo preoccupato, siamo partiti dall’Italia perché non c’era lavoro
e, dopo un mese di viaggio, scopriamo che non ce n’è nemmeno qui”.
Insieme ai suoi compagni di viaggio, Pio Capelli trascorre la prima notte australiana al porto. Il mattino successivo, dopo aver ricevuto a credito branda,
coperte e stoviglie, sotto una pioggia battente, insieme agli altri emigranti viene
trasferito su un camion fino alla stazione ferroviaria, con destinazione Bunbury.
Giunti a sera inoltrata, incontrano un italiano arrivato in Australia anni prima,
il quale li aiuta a riconoscere le poche monete nella nuova valuta che avevano
in tasca. La destinazione finale è Nannup, raggiungibile con una corriera che
sarebbe però partita solo alcuni giorni dopo, costringendoli a trovare sistemazione in albergo. Quell’italiano, per far risparmiare loro tempo e denaro, gli
suggerisce di raggiungere immediatamente Nannup con un taxi. Vi arrivano a
notte inoltrata, preoccupati di non essere in grado di comunicare, ma lì incontrano molti italiani. Chiedono così di poter iniziare a lavorare già dal mattino
successivo.
Elvio Gianoli pernotta a Perth e la mattina successiva, in treno, assieme a Giovanni De Giambattista di Menarola, raggiunge una woodline, a 150 km da Kalgoorlie per il taglio della legna destinata al funzionamento di una centrale elettrica.
La legge australiana era molto rigida circa le merci che gli emigranti potevano
importare e non consentivano l’ingresso di cibo o sementi temendo si potessero
diffondere delle contaminazioni e delle malattie, come già avvenuto nel passato.
“Quando nostra sorella Silvia è sbarcata, ricordano Giovanni e Zita Tabacchi,
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aveva con sé una šcĥiaia per fare la focaccia e i doganieri gliela volevano rompere
per vedere cosa ci fosse dentro”.
L’ostilità dimostrata in modo particolare nei confronti degli italiani è stata
sicuramente un altro elemento di difficoltà col quale in molti si sono dovuti
confrontare. “Giunti a Fremantle – racconta Daniele Gatti – prima ancora di
salutare i compaesani accorsi a darci il benvenuto, siamo stati caricati su un pullman, trasportati per 15 km e sistemati in capanne di lamiera in cui ci hanno
lavato e disinfettato con acqua di colore giallo che riempiva una ventina di vasche da bagno e ci hanno asciugati con coperte sporchissime. Anche i nostri
abiti sono stati sequestrati e disinfettati per evitare un’eventuale diffusione di
malattie. Era giugno e faceva freddo. Ci hanno infine riaccompagnati al porto
di Fremantle, per riprendere le valigie e partire verso le rispettive destinazioni.
Al primo impatto, ho pensato che quella non fosse proprio la terra dei sogni...”
“Arrivato in una notte di pioggia battente – ricorda Battista Biavaschi – con i
miei compagni ci hanno accompagnato in un locale dove abbiamo dormito in
due nella stessa branda, perché non c’era posto per tutti. Alla mattina c’era molta acqua sul pavimento; siamo stati caricati sul treno dal quale avremmo dovuto
scendere solo all’ultima fermata, da dove abbiamo proseguito in pullman e poi
in taxi. Eravamo in una terra sconosciuta, non sapevamo dove stavamo andando e a fare cosa, ci sentivamo smarriti”.
Lo smarrimento interiore veniva rafforzato anche da un aspetto esteriore: la
completa mancanza di rilievi montuosi e il clima soffocante. Del suo sbarco
a Fremantle il 4 dicembre 1955, Mora Pelanconi ricorda il sole cocente e i 40
gradi di temperatura. Nemmeno Pietro Pedretti dimentica il caldo impossibile
al suo arrivo, il 30 gennaio, e la passeggiata al King Park di Perth, con la giacca
pesante indossata alla partenza.
L’afa insopportabile appesantisce anche le già dure condizioni di lavoro e i
momenti di vita quotidiani che intervallano gli interminabili turni. Dentro le
tende era troppo caldo ed Ettore Tabacchi cercava di passare la notte su grossi
alberi dai quali ridiscendeva ben presto, perché su l’aria era ancora più calda:
“Andavamo in giro sempre con i calzoni corti, il torso nudo e le scarpe aperte,
stando attenti a non far entrare sabbia. Anche per lavorare la divisa era quella,
non protetti da indumenti particolari contro gli infortuni, accadeva sovente
che qualcuno si facesse male”. Anche dai ricordi di Battista Biavaschi emergono
alcuni espedienti usati dagli operai per far fronte al clima tropicale: “Il mattino, quella specie di materasso su cui dormivamo, completamente nudi, era
inzuppato di sudore. Allora ci alzavamo e, per trovare un poco di refrigerio,
ci immergevamo nei depositi di acqua destinata alle pecore, dentro cui a volte
mangiavamo perfino restando in piedi”.
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Quando sbarca a Fremantle nel ‘61, attesa dalla sorella Cecilia, Silvia Tabacchi
trova un caldo soffocante che le crea inizialmente qualche problema, oltre a un
“cortocircuito percettivo”: aveva lasciato Gordona innevata. Ottavio e Giusy
De Agostini proprio a causa dell’eccessivo caldo estivo, nel 1978 decidono di
lasciare Perth per ristabilirsi ad Albany. Per Daniele Gatti il caldo è “il nemico
australiano, con cui dopo 60 anni non ho ancora fatto pace”. D’altro canto c’è
anche chi, come Ninino Ciabarri, giudica il clima australiano “ideale, ottimo”,
osservando con ironia le grosse sorprese che può riservare la latitudine tropicale: “Il Natale era molto particolare: si andava al mare anziché a sciare”.
Di fronte a un cambiamento di vita così radicale che costringe ad affrontare difficoltà inedite, il passaggio dal disagio fisico agli attimi di scoramento emotivo
era breve: il caldo umido, insopportabile e tropicale, unito alla fatica del lavoro,
la nostalgia di Gordona e della famiglia di origine prendeva spesso il sopravvento. “Una innata capacità di riprendere con coraggio e senso di sacrificio ha fatto
la differenza in quei momenti – sostiene Lino Pedretti – con la forza di volontà
e lo spirito di adattamento di cui i gordonesi vanni fieri, ci si è adeguati!”.
Quando Tecla Tavasci giunge al porto di Fremantle, contrariamente alle aspettative scopre un luogo ricco di vegetazione: “Tutto così vasto, così libero, la luce
del giorno appare e scompare all’improvviso, mancano aurora e crepuscolo,
quei lassi di tempo comunque luminosi che intervallano giorno e notte, tipici
delle nostre zone. Il sole sorge dalla terra e tramonta nel mare senza essere mai
nascosto da rilievi, dunque la luce è piena e continua. Era una sensazione nuova
e affascinante. In linea generale era molto più caldo rispetto all’Italia, ma nella
zona in cui mi trovavo era ventilato e asciutto”.
L’esperienza di ambientamento nel nuovo continente dei primi emigranti si
differenzia molto da quella di coloro che sono partiti qualche lustro più tardi,
i quali potevano contare sull’accoglienza premurosa e attenta di qualche caro
che nel frattempo aveva conquistato lavoro sicuro e casa di proprietà. Tecla
parte con l’intenzione di raggiungere Maria, la sorella maggiore che di fatto
non ha ancora conosciuto in modo approfondito quando vivevano a Gordona,
dati i molti anni che intercorrono tra loro, accentuati dalla precoce separazione.
“Sono stata più fortunata di molti altri compaesani emigrati. Per quelli che sono
partiti prima di me senza nessuno ad accoglierli deve essere stata molto dura”.
Tra le varie difficoltà oggettive di ambientamento per qualcuno la sorte riserva
prove ulteriori. Quando Alfredo Ferrari, scendendo dalla nave a Fremantle, nel
chiudere un portellone si ferisce una mano è costretto a farsi prestare dei soldi
per le cure. In ospedale non è in grado di capire né di farsi intendere, non conoscendo per nulla la lingua inglese. Un drammatico incidente d’auto nel quale si
trovarono coinvolti nove gordonesi sembra aver lasciato un’impronta indele56
bile poiché ognuno di essi, puntualmente, lo riporta con dovizia di particolari.
Bernardo Capelli, appena sbarcato a Fremantle, con Marco Gatti, Luca Gatti ed
Ettore Tabacchi, si reca a Spearwood da Romana Gatti e Martino Dolzadelli;
in serata si dirigono su un furgoncino guidato da Martino verso la stazione di
Perth, dove Bernardo e Cleto Guerini avrebbero preso il treno per la città di
Williams, per un contratto di lavoro nel bosco. Non ci arriveranno mai perché,
per una mancata precedenza, subiscono un incidente. Tutti i nove viaggiatori
(quattro in cabina e cinque sul cassone) restano più o meno seriamente feriti e
molti di loro finiscono in ospedale. Bernardo riprende conoscenza in ospedale
e con la vista ancora offuscata chiama “mamma” Romana Gatti, improvvisatasi
infermiera per assistere gli infortunati. “Mi applicano una robusta dose di tintura di iodio, tanto da sembrare un indiano e, guardandomi allo specchio, mi
spavento. Anche gli altri si sono feriti, salvo un paio che hanno avuto solo poche escoriazioni. Il più grande disagio era non capire cosa le altre persone stessero dicendo; alle infermiere, tanto gentili, io non ero capace neanche di dire
«yes!»”. Dopo una settimana di ospedale, è dimesso e resta per un periodo a
Spearwood, ospite nel garage di Luigi Mastaglia, originario della Valcamonica.
Ricorda con gratitudine la solidarietà di Pio Capelli, che aveva lasciato a Cleto
5 sterline per lui e per gli altri compagni di viaggio appena arrivati e feriti, allo
scopo di far fronte alle prime necessità. Dopo due mesi trascorsi tra ospedale
e convalescenza, Marco Gatti, con le spalle rotte e senza alcuna assistenza di
tipo previdenziale, deve lavorare sodo per pagare, a rate, le spese ospedaliere.
Dopo essersi ripreso dall’incidente, insieme a Bernardo Capelli prende il treno
per Kojonup dove li aspetta Daniele Gatti. Si sentono spaesati e guardano con
meraviglia e sospetto i primi aborigeni. Con Daniele passano la notte in un
campeggio. La domenica mattina un certo Manolini li scarica nella segheria dicendo: “E adesso questi, chi li prende?”. Da una tenda sbuca Elvio Gianoli che
presta loro i soldi per l’acquisto della branda e delle coperte.
Il lavoro
Il programma di immigrazione postbellico australiano favorisce un mercato del
lavoro segmentato per etnia e per genere sessuale. Il governo ingaggia prevalentemente l’immigrazione di manovalanza, la forza-lavoro disoccupata che in Italia è oggetto della politica di promozione dell’emigrazione da parte del governo
De Gasperi, con il motto “Imparate la lingua e andate all’estero”. Gli immigrati
italiani e, più ampiamente, sudeuropei sono spesso cinicamente definiti “carne
da fabbrica”.
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Come il contrabbando, che occupa allo stesso tempo guardie di finanza e contrabbandieri, l’emigrazione rimane una delle poche soluzioni politiche contro
la disoccupazione prodotta dalla guerra, specie nella nostra Valchiavenna. Da
noi, lontano da Roma, si maschera un certo pragmatismo troppo crudo, spesso
ci si rassegna e si finisce col pensare “una bocca in meno da sfamare”.
L’emigrazione verso l’Australia è subordinata alle direttive del Department of
Immigration che, in base alle testimonianze, autorizza l’emigrazione a condizione che sia offerta da una ditta australiana la garanzia di un lavoro per la durata di
almeno due anni e che sia certificata la buona condotta dell’aspirante migrante,
parimenti a una sana e robusta costituzione.
Si deve accettare di svolgere lavori per lo più faticosi, spesso in zone decentrate,
senza opportunità di istruzione linguistica, culturale e professionale: condizioni offerte al “ghetto del lavoro sudeuropeo”, come viene definito. Si tratta di
condizioni dure e difficili che, per contro, offrono salari superiori a quelli disponibili nelle città; il gran numero di “ore di straordinario” contribuisce poi a
incrementare i guadagni. “Per un certo periodo si prendeva qualsiasi lavoro, soprattutto i più duri, perché si guadagnava di più e si sperava di raggiungere presto un certo benessere”, e ancora: “Si lavorava 12 ore… perfino 15 ore al giorno!
Quando arrivava il vento del nord che aumentava di 4 o 5 gradi la temperatura
e non si riusciva a dormire, di notte si preparavano gli attrezzi per il taglio degli
alberi il giorno successivo”.
Quando Domenico Gatti dopo vari impieghi torna a Spearwood, lavora in una
cava di sassi resistendo “...fino a quando non avevo più la pelle sulle mani”.
Ospitato dal fratello Bernardo, Domenico Dolzadelli (Meco) lavora in segheria
a Mount Barker, anche con Lorenzo Fumagalli, Ottavio De Agostini e, a volte,
Gino Dell’Anna. Si sposta poi per brevi periodi anche a Rocky Gully, lavorando insieme a Marco Gatti e Battistino Balatti. In segheria prepara soprattutto traversine per i binari e palizzate per recinzioni. Quando lavora nei boschi,
preferisce rientrare la sera a Mount Barker, per non abitare nelle baracche: per
undici mesi continuativi dovrà alzarsi alle 4:30 e rientrare a casa alle ore 20:00,
sopportando tutti i giorni tre ore di viaggio. Ninino Ciabarri disbosca e brucia
sterpaglie con un Palmi, valtellinese, che dopo una settimana abbandona il lavoro per andare a Fremantle a ricevere la morosa, lasciandolo solo per sei mesi
sotto una tenda, raggiunto solo due volte la settimana dal padrone Meryotz
che lo rifornisce di viveri: “Per combattere la solitudine, parlo da solo, inseguo
disperatamente la mia voce parlando in italiano, in dialetto e in inglese!”.
Un incentivo ad assumere mansioni ad alto rischio è la “monetizzazione” delle
condizioni di lavoro che offre possibilità di compensi più alti a fronte di impieghi disagiati, pesanti e pericolosi, eludendo così spese di investimento sulla
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sanità e sulla sicurezza. I lavoratori immigrati di origine non anglosassone sono
concentrati in settori e mansioni dove le probabilità di infortuni e i rischi per la
salute sono superiori alla norma.
Troviamo nelle testimonianze la disponibilità di tutti a svolgere un “lavoro qualunque”, purché dia guadagni da subito. I nostri compaesani, vissuti squattrinati
in Italia, ora sono anche indebitati per i costosi viaggi in nave. I primi lavori
saranno di breve durata, solitamente di mesi, se non di settimane, quasi tutte le
segherie erano vicino ai boschi e di dimensioni ridotte per agevolarne lo smontaggio e il rimontaggio in altre zone, evidenziando una situazione economica
ancora fluida, lasciata alle singole contrattazioni di domanda e offerta, in cui i
datori di lavoro sono indotti a pagare salari più alti per concludere contratti di
breve termine e i lavoratori, in capo a pochi giorni, riescono a interpretare le dinamiche salariali e, fatti i debiti raffronti, spuntare, di volta in volta, paghe migliori, nonostante i disagi di frequenti spostamenti propri dei lavori occasionali.
La manodopera quasi esclusivamente maschile alloggia nei pressi dei luoghi di
lavoro: i disagi per la lontananza dalle città permettono il massimo risparmio
e si tramutano in opportunità importanti nell’economia dei lavoratori italiani,
giunti in Australia da soli, dopo aver lasciato mogli o figli o famiglie nei paesi
nativi. Ci si butta in pesanti lavori che, pur non offrendo un’occupazione fissa,
costituiscono il punto di partenza per tentare poi di accedere a impieghi più stabili, solitamente nei grandi centri urbani o per avviare piccole imprese private.
Gli italiani arrivati in Australia negli anni ‘50 sono per la maggior parte braccianti, agricoltori o lavoratori a giornata senza alcuna esperienza di grandi opere
pianificate nelle miniere o di grossi progetti nelle costruzioni. Sono artigiani
delle nostre economie rurali montane e continueranno a fare gli artigiani.
Una costante ricorrente nel lavoro iniziale dei nostri emigranti è il disboscamento di vaste aree destinate all’insediamento di tenute agricole (farms) che,
per la fatica, la solitudine, i pericoli e, non da ultimo, per le vessazioni dei padroni, rappresenterà il limite invalicabile della sopravvivenza. Sovente quelle fatiche sono ripagate quando gli anglo-australiani, incapaci di condurre le tenute,
sono costretti a rivenderle agli italiani a prezzi molto convenienti. Attualmente
razionalizzato da politiche più attente all’ambiente, il disboscamento aveva comunque preparato l’area per gli attuali insediamenti urbani, creato spazi per
l’industria, reso reperibili immense ricchezze di legname e alimentato la fiorente industria del legno. Da luglio a febbraio del 1953, Pio Capelli si trasferisce a
Manypeaks, 30 km da Albany, per sistemare, per conto del governo, le farms da
riconsegnare, pulite e coltivate a prato, agli inglesi reduci della guerra di Corea
(1950-1953). Grazie ai proventi di questa attività, comincia a disboscare e seminare per pascolo il lotto di terreno di 750 acri che, con il fratello Giovanni,
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aveva ritirato dal governo. Inizialmente si lavora con sega e accetta e in seguito
con l’aiuto del bulldozer. Durante lo scavo del pozzo per l’approvvigionamento
dell’acqua, giunti a una profondità di ben 135 metri e riscontrando delle grosse
difficoltà per la presenza di rocce, decide di cedere tutta la farma al fratello e
torna a lavorare in segheria.
Siro la primavera successiva al suo arrivo si trasferisce a Kojonup a bruciare sterpaglie (5-6 ettari al giorno) per la preparazione di farms e realizza recinzioni
con Abbondio Dolzadelli (Bundi), Rino Battistessa e un certo Rizzi di Teglio.
Anche Agostino Bini a due giorni dallo sbarco inizia il lavoro in una segheria
a Jarradel con Albino Pedeferri di Menarola, ben accolti e alloggiati in due locali ricavati in una baracca. Viene affiancato a un australiano nel trasporto di
tronchi d’alberi dal bosco alla segheria. Si sente ben accolto e vive assieme a
tre famiglie di italiani, tra cui una originaria di Montagna in Valtellina. Dopo
quattro mesi, lascia la segheria per andare nel bosco a tagliare alberi di Jarrah.
Quando il legname scarseggia, assieme a Guido Ciabarri si trasferisce nelle
woodlines a Kalgoorlie, dove lavora per otto mesi con un toscano, un bergamasco e un veneziano, che però smerciano il legname tagliato da questi e, solo
successivamente, quello tagliato da lui e dal Ciabarri. Dopo aver accatastato
ben quarantatré vagoni di legna, lui e Guido decidono di lavorare per conto
proprio. Durante un periodo di riposo, si reca ad Albany a trovare dei connazionali e, capitato casualmente in una segheria, viene assunto subito dopo grazie
alla sua esperienza come benchman. Soltanto un mese dopo ritorna però a Perth
dove, cambiato completamente tipo di lavoro, trova occupazione come carpentiere per 10 sterline la settimana.
Subito il mattino successivo all’arrivo a Nannup, il suono della campana trova
Pio Capelli e i suoi compagni di avventura pronti sul posto di lavoro. Lavorano
per quattro settimane per una paga settimanale di 10 sterline, trasferendosi poi
nel bosco per altre quattro settimane a tagliare alberi per legname. Lui e il Bacioch impiegano tre giorni per tagliare il primo albero con scure e troncone a
mano di 12 piedi, per una paga di 11 lire sterline al taglio.
Dopo la Pasqua del 1952, comincia a lavorare per conto di un valtellinese
a Moora (nord-est di Perth): il lavoro consisteva nel bruciare i ceppi e le radici
della vegetazione e preparare il terreno per le farms di allevamento di pecore,
lavoro molto richiesto in quel periodo, essendo il commercio di lana merinos
molto fiorente e redditizio.
Il legname ricavato dal disboscamento viene utilizzato per la costruzione delle
grandi infrastrutture in supporto, o di collegamento, alle città nascenti: gli alberi tagliati, grazie al lavoro di altri emigranti diventano traversine del treno, pali e
condotte di legno dell’acquedotto o vengono arsi nelle centrali termoelettriche.
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Quasi tutti i nostri emigrati sperimentano il lavoro nei boschi per la costruzione
e la manutenzione delle woodlines, una ragnatela di linee ferroviarie – spiega
Bernardo Capelli – costruita all’inizio del ‘900 soprattutto per il trasporto di
legname. Le woodlines vanno da Perth a Kalgoorlie (dove ci sono le grandi miniere di oro), una zona priva di acqua che bisogna dunque condurre attraverso
percorsi lunghi anche 350 km. Le condutture in legno (wood) sono necessariamente di enormi dimensioni, non potendo sopportare pressioni elevate e lungo
il percorso vengono realizzate delle stazioni di pompaggio, anch’esse in legno.
Non essendo ancora in uso il carbone, le pompe funzionano a legna. I trasporti avvengono su ferrovia, per cui necessitano quantità enormi di traversine. Ci
vorranno anni per completare la rete, che era tutta aerea.
Dopo un impiego statale mal retribuito presso un deposito della ferrovia ad
Albany, Silvio Biavaschi lavora il sabato e la domenica a legare balle di fieno. La
paga era “so much a week” (un tot alla settimana) ma pagavano ogni 15 giorni.
Bernardo Battistessa, già richiestissimo tosatore di pecore, gli propone di lavorare con lui avendo sottoscritto un contratto per tagliare con la scure alberi
per 400 pali telefonici: in sole due settimane terminano il lavoro di un mese,
guadagnando la paga corrispondente a due mensilità in ferrovia: lavorando a
contratto si fanno ottimi affari! Ricorda ancora Silvio: “Cerchiamo in seguito
lavoro in una segheria e vi restiamo per 2 o 3 anni, raggiunti anche da Nando
Gatti. Si lavorava nove giorni e il decimo si andava dalla forestale per consegnare il legname. I precedenti conduttori della segheria erano sei e, lavorando otto
ore al giorno, riuscivano a tagliare 60 m3 di legname, mentre noi tre, lavorando
a contratto 10 ore al giorno, riuscivamo a tagliarne e preparane 112 m3. Facevamo traversine per i binari, minuziosamente controllate da funzionari della
forestale; in due settimane avevamo incassato 150 sterline ciascuno, il triplo
di quanto guadagnato in ferrovia! Con queste soddisfazioni prendi coraggio;
ma più vedi soldi e più ‘you get hungry’, ovvero ti viene fame. Abbiamo vissuto
in questo modo tre anni guadagnando molto, ma con grandi fatiche”. Anche
Alfredo Ferrari lavora per brevi periodi nel bosco (ma abbastanza per ricordare
la voglia dell’acqua fresca di Coloredo, ogni volta che arrivano i bidoni di acqua calda e stagnante), ma deciderà poi di trasferirsi ad Adelaide con Felicino
Tavasci e con Egidio Guglielmana, acquistando un camion per il trasporto e la
consegna delle merci.
Allo stesso modo Cleto Guerini si dedicherà per molti anni al trasporto, oltre
che alla lavorazione, dei tronchi d’albero nelle sue segherie, dove offrirà impiego anche ad altri immigrati gordonesi: la sua ditta Timber Trade Cockburn,
fondata nel 1964, produce pannelli laminati e impiallacciati e legname prefabbricato su misura per costruzioni.
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In questa pagina e nella pagina successiva: il lavoro nei boschi.
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Ninino Ciabarri.
Ninino Ciabarri (a sinistra) con Elvio Gianoli (a destra).
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La segheria di Bernardo Dolzadelli e Bernardo Capelli.
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L’edilizia è particolarmente valorizzata dall’esperienza e dalla capacità dei nostri compaesani, tra i primi a realizzare costruzioni e abitazioni interamente di
mattoni, di sassi e di cemento armato. I datori di lavoro (boss) tutti anglo-australiani certo non amano gli italiani trattati spesso con ostilità, con disprezzo e
con invidia: “I ricchi italiani hanno tutti la casa fatta di mattoni”.
Dopo anni di lavori nel settore edilizio e costruita la sua casa, Ermanno Gianoli
richiede la licenza di costruttore che però, nonostante abbia superato l’esame
già sostenuto a Roma prima della partenza, non gli viene concessa subito, in
attesa di migliorare la sua conoscenza della lingua inglese. Il suo primo lavoro
importante svolto in proprio sarà la costruzione di una grande casa ad Attadale.
Nel 1970 Lino Gianoli sperimenta a Perth una nuova attività, allora favorita e
sostenuta dal governo: apre una lavanderia-lavasecco e, ben presto, si trova con
due dipendenti e 11 mila dollari di guadagno netti, dopo aver restituito l’anticipo avuto dal governo. Già in precedenza si era interessato al funzionamento
di queste “nuove macchine per il lavaggio dei panni”. A North Beach inaugura
un nuovo negozio lavasecco nell’edificio costruito dal siciliano Frank Conti,
nella zona in cui vi erano circa 300 casette di pescatori, abitate solo il fine settimana o durante le vacanze. Ben presto sorgono nuove abitazioni e la forte
urbanizzazione porterà in breve tempo l’incasso giornaliero del suo esercizio da
200 a 1000 dollari. A Perth erano sue le prime macchine lavasecco, provenienti
da Bologna o da Città di Castello (Perugia), tanto che ancora oggi a Gordona viene ricordato come Jefferson, il nome del protagonista di un noto telefilm
degli anni ‘70-‘80, che era proprietario di una catena di lavanderie. Ben presto si
rende conto che in una città cosmopolita le opportunità di trovare un settore di
occupazione sono infinitamente maggiori: “...basta seguire l’onda del progresso!”. In una di queste lavanderie resterà occupata per ventidue anni anche sua
cognata, Lina Scartaccini.
La maggior parte delle donne italiane lavora inizialmente nelle fabbriche, come
Romana Gatti che per alcuni anni a Watsonia è addetta al confezionamento di
carne in scatola, oppure nel settore manifatturiero come Cecilia Tabacchi che,
per sedici anni, lavorerà in uno stabilimento di confezioni di abbigliamento;
solo successivamente alcune riusciranno a passare ad altri impieghi negli ospedali, nei negozi e negli uffici, oppure diventeranno proprietarie o collaboratrici
di imprese familiari. Nell’ospedale di Woorloo, località a 30 km a nord-est da
Perth, Silvia Tabacchi lavorerà per un anno presso una struttura ospedaliera,
inizialmente destinata a malati di TBC, che a quel tempo ospitava anziani ammalati. Ricorda le ampie verande coperte che, tra gli alberi del bosco, collegano i
diversi reparti. Alterna tre settimane di lavoro continuato a una settimana di riposo. Si trasferisce poi nel reparto maternità nell’ospedale dello Swan Distrect,
dove lavora per molti anni.
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Prima di affiancare il marito nella conduzione della sua farma, Livia Sabina Battistessa lavora come domestica a Mareeba nel Sud-Ovest e, appena trasferitasi
nel Queensland, come cuoca.
Le gravidanze, la cura dei figli e il ruolo professionale subordinato costringono
però molte donne a dover rinunciare al lavoro fuori casa o ad accettare soltanto
lavori a domicilio. Con l’aiuto del console italiano, Mora Pelanconi Barilani
lavora a Perth per due anni in una sartoria, attività che dovrà interrompere per
dedicarsi alle quattro figlie nate a distanza ravvicinata l’una dall’altra.
Le mamme sono costrette a cavarsela senza quella rete di sostegno più o meno
informale che nella loro patria sarebbe stata loro offerta dalla famiglia allargata
e dalle strutture comunitarie del paese. Le organizzazioni pubbliche e private
per l’infanzia sono relativamente poco sviluppate in Australia se confrontate con quelle esistenti nei paesi europei; le donne di origine diversa da quella
anglosassone sono ulteriormente svantaggiate per le scarse conoscenze delle
strutture esistenti e per l’inadeguatezza di mediazioni culturali e linguistiche.
In molti casi i genitori si riferiranno ai figli nella lettura e nelle interpretazioni
di documenti scritti; per contro, i figli impareranno l’italiano e il dialetto gordonese, normalmente parlati in famiglia.
Dalle stalle alle farme
La maggior parte degli emigranti sudeuropei proviene da paesi e città relativamente piccole dove una parte importante dell’attività di ognuno è rappresentata dalla coltivazione della terra. Gli italiani che sbarcano in Australia nutrono il
vivo desiderio di diventare autonomi come proprietari terrieri. Un fattore che
contribuisce all’aggregazione degli italiani in certe località e in taluni settori
dell’agricoltura è il processo della catena migratoria per il quale gli immigrati
già presenti in Australia si fanno raggiungere da amici e parenti garantendo in
tal modo un afflusso costante di concittadini nella zona. Un sistema di mutuo
soccorso grazie a cui si dividono il lavoro e gli attrezzi, agevolando il processo
di inserimento. Tali fattori, oltre alla determinazione a lavorare per ore e ore e
a mantenere a volte un doppio lavoro, hanno avvantaggiato gli italiani rispetto
agli australiani.
Molti dei gordonesi che trovano occupazione nel settore agricolo, anche sporadicamente, si localizzano nel Queensland e in particolare si dedicano alla raccolta della canna da zucchero. Bernardo Capelli spiega che proprio per svolgere
quell'attività in quella zona era stato stipulato un accordo tra i governi italiano e
australiano: quest'ultimo pagava il viaggio agli emigranti che avessero garantito
il loro lavoro per almeno una stagione intera, della durata di quattro/cinque
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mesi, nella raccolta della canna da zucchero. Al termine di tale periodo potevano poi dedicarsi alla raccolta di altri frutti, legumi e verdure, in particolare
fagioli, ananas e banane, che in quella zona maturano tutto l'anno. Bernardo
ricorda che in inverno si coltivavano soprattutto pomodori e fagioli, da cui si
ricavavano buoni profitti nonostante la fatica, dovuta al fatto che tutta la lavorazione veniva svolta a mano.
Fra i gordonesi che si dedicano principalmente all’attività della coltivazione c’è
Giacomo Dolzadelli che, per diverse stagioni, alterna sei mesi di lavoro proprio
nel Queensland, nelle piantagioni di canna da zucchero, insieme ad altri compaesani, e sei mesi nel New South Wales, per la raccolta del tabacco.
Quella della coltivazione costituisce però, nella maggioranza dei casi, una seconda fonte di guadagno per gli emigranti e le loro famiglie, come ricorda
Agostino Bini che, nei suoi primi tempi in Australia, arrotonda lo stipendio
lavorando il sabato a mezzadria in una farma dove si coltivano cavolfiori e rape:
il proprietario, italiano di Treviso, procurava le sementi e garantiva il lavoro,
mentre il ricavato veniva diviso a metà. Anche Antonio Giglio Battistessa, che
come principale attività lavora in miniera, Pietro Pedretti (Plancia) e Clito Capelli si occupano per un certo periodo della raccolta della canna da zucchero nel
Queensland, mentre Battista Biavaschi lavora qualche tempo al Nord, a Carnarvon, nelle piantagioni di banane e ortaggi.
Lorenzo Tavasci spera invece di riuscire gradatamente a vivere con il ricavato
dei raccolti: nel tempo libero pulisce ben 4 ettari di terreno, dove coltiva 800
piante di passion fruit, ma il suo progetto fallisce perché i conigli distruggono
la piantagione durante le sue prolungate assenze a causa del lavoro in segheria.
Lo stesso obiettivo era condiviso anche da Gianni Balatti che, dopo aver lavorato dal marzo ‘53 al maggio ‘54 in una fabbrica di mattoni e poi nel disboscamento nel Sud-Ovest Australia, si occupa per diversi anni del taglio della canna
da zucchero. Nel 1958 acquista infine una farma per praticare tale coltivazione
e ci lavora con la moglie Livia fino alla pensione, nel 1992.
A occuparsi della cura della terra, da cui ricavare prodotti per la famiglia, sono
però soprattutto le donne. Quest’attività rappresenta una vera e propria occupazione a tempo pieno per Romana Gatti, che dopo l’esperienza in fabbrica,
grazie a carote, cipolle e fagiolini, prodotti del suo orto dalle dimensioni considerevoli (ben un acro e mezzo!), riesce ad avviare una fiorente attività. I campi
producono fino a 20 quintali di cipolle all’anno e 15 sacchi di fagiolini, dal peso
di 15-20 kg ciascuno, che vengono venduti al mercato.
Il lavoro è duro, in particolar modo lo è la raccolta delle cipolle, che prevede di
doverne recidere il fusto, una a una. Il marito Martino Dolzadelli, dopo qualche anno, predispone un’apparecchiatura per eseguire meccanicamente quel
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lavoro, “ma l’aggeggio gli costò anche l’amputazione del mignolo della mano
destra”, ricordano le figlie Diana ed Ebe. La memoria della mamma nell’orto
lascia loro un risvolto dolceamaro: oltre alla stanchezza fisica, ricordano anche
l’attenzione di Romana dedicata alle comunicazioni radiofoniche riguardanti i
prezzi dei prodotti agricoli, per poterli meglio piazzare nei mercati, e la sua preoccupazione e insoddisfazione quando i prezzi delle verdure erano troppo bassi,
rapportati alla fatica impiegata per produrle. Ricordano il lavoro nei campi con
un po’ di disappunto anche perché, durante le vacanze scolastiche, anche loro si
dedicavano alla raccolta degli ortaggi e avevano poco tempo per divertirsi con
gli amici, anche se per ogni cesto di verdure riempito ricevevano come ricompensa 10 centesimi.
1959. Martino e Romana con le figlie Ebe e Diana.
Anche Bice Balatti, che si innamora e sposa un giovane di origini venete proprietario a Babinda di una farma dove coltiva la canna da zucchero, collabora
col marito nel lavoro e ricorda come questo fosse reso ancor più pesante dagli
scarsi e rudimentali macchinari.
Anche l’allevamento ricopre una certa importanza nel commercio australiano,
tanto di carne quanto dei suoi derivati, e nella vita degli emigranti: nella zona
di Kojonup per circa sei mesi Ido Tabacchi e Abbondio Dolzadelli lavorano
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in un grande macello di carne di pecora, dove si abbattono ogni giorno 27-28
mila pecore. La carne, confezionata e congelata, viene caricata sui bastimenti
per l’esportazione, mentre quella delle pecore con evidenti difetti sulla pelle è
destinata al consumo interno.
Dopo alcuni anni dal loro arrivo, Gino e Anelia ritirano dal governo un lotto di
bosco da ripulire, su cui allevano trecento pecore per la produzione di lana merinos. In capo a un anno, riscontrato che il lavoro è troppo aleatorio, decidono
di allevare bestiame per carne da macello.
Gino Dell’Anna ed Ermanno Gianoli.
Anche Cleto, insieme al socio Marchesi e all’olandese Moonen, al Nord del Western Australia nei pressi di Port Hedland, al confine con il deserto, acquista un
ranch di 1,4 milioni di acri di superficie (circa 5600 km2!), in cui alleva pecore
e altro bestiame per carne da macello e dove convivono capre, cammelli ed emù
allo stato brado. Il ranch sarà poi venduto perché troppo impegnativo e troppo
lontano dalla famiglia.
Anche Michele Battistessa inizia lavorando a Bassendean, con il fratello Clito, nella vigna e poi, per un anno, è occupato nella mungitura delle mucche in
una farma a Dardanup, vicino a Bunbury. Con apparecchiature all’epoca all’a-
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vanguardia, in un’ora e dieci minuti era in grado di mungere circa centoventi
mucche, condotte dentro un recinto e allineate in doppie batterie di otto capi
ciascuna.
Dopo il ritorno ad Albany, Giusy Biavaschi trova lavoro prima in un grosso
macello di pecore per l’esportazione, che allora impiegava circa quattrocento
operai e successivamente, per 25 anni, nell’Albany Woollen Mills, una fabbrica
per la lavorazione della lana per tappeti.
“Solo casa, lavoro e bankbook”
L’obiettivo comune degli emigranti e le loro motivazioni sono legate ai soldi
da inviare alla famiglia rimasta in Italia in situazioni economiche disagiate. La
maggior parte dei gordonesi era assillata innanzitutto dall’idea di dover rifondere in fretta i costi del viaggio a chi aveva prestato loro i soldi; per molti il pensiero del prestito è stato l’elemento propulsore a lavorare sodo. Con immensa
soddisfazione Luciano De Giambattista riesce a far pervenire alla madre, a poca
distanza dalla sua partenza nell’ottobre del 1969 e per mano di Giovanni Capelli, 25 delle 70 mila lire affidategli alla partenza.
Alcuni, come Silvio Biavaschi, partito nell’agosto del 1957, si dedicano addirittura a un faticoso regime di doppio lavoro: ha troppa voglia di rimandare in
Italia le 276 mila lire del costo del viaggio che il padre aveva procurato vendendo un paio di mucche (in Italia si guadagnavano allora 500 lire al giorno!). A
Natale Silvio restituisce in Italia 300 sterline (circa 400 mila lire), guadagnate
in 3 mesi.
A questo proposito Daniele Gatti riferisce: “Appena arrivati, notando le possibilità di guadagno, si veniva pervasi dalla voglia di possedere qualcosa, di
costruire una casa e così via”. La laboriosità e, certo, la sete di guadagno che
contraddistingue non solo i gordonesi, ma tutti gli immigrati italiani, attira su
di loro lo sguardo ostile degli autoctoni. Sempre Daniele Gatti ricorda ancora:
“Gli australiani sostenevano, non senza una punta di disprezzo, che gli italiani
si occupavano solo di ‘casa, lavoro e bankbook’ (libretto di risparmio). Noi stessi usavamo questo termine inglese correntemente, senza sapere la traduzione
equivalente in italiano, dato che a Gordona non era ancora diffuso”.
Il lavoro in generale è ben retribuito e per alcuni è possibile accumulare discreti patrimoni, prestando comunque grande attenzione al risparmio, spesso fino
all’ultimo centesimo. Nel breve giro di un solo anno Ninino Ciabarri guadagna
i soldi per pagare il biglietto di andata, comprare quello di ritorno, rifondere il
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prestito avuto dal fratello e acquistare una macchina, ricordando che a Gordona, nei suoi primi 23 anni, è sempre rimasto al verde!
Nonostante ciò non mancavano i momenti di svago, come riferisce ancora Ninino: “Con i guadagni ci potevamo permettere anche l’acquisto di auto, così si
girava un po’ di più la domenica: ci si recava al motel, a bere la birra”.
Guido e Medardo (Ninino) Ciabarri.
Negli anni ‘50 del secolo scorso, la moneta in uso è la sterlina australiana (sostituita nel ‘66 dal dollaro), che non ha corso fuori dall’Australia. La maggior parte dei datori di lavoro paga con assegno, mentre il denaro in contanti si riceve
soltanto per qualche lavoro extra, normalmente svolto di sabato.
Risparmiato l’importo di denaro desiderato, ricorda Bernardo Capelli, “...si andava alla banca, che forniva un assegno da inserire in una busta e non ricordo
ci siano mai stati problemi per farli arrivare al destinatario! Il denaro veniva
inviato sempre per il tramite di assegni, anche quando qualcuno tornava fisicamente in Italia, poiché la banca erogava soltanto una piccola parte di denaro in
contanti”.
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Molti riportano che “quando ci si recava in banca per spedire i soldi, gli impiegati erano molto attenti: chiedevano informazioni sulla provenienza del denaro
e controllavano minuziosamente i movimenti. Era praticamente impossibile
qualsiasi forma di raggiramento delle norme fiscali: per il ritorno in Italia era
necessario un ‘bollo’ che attestasse la regolarità nei confronti del fisco. Ogni
cinque anni veniva eseguito un controllo accurato sui singoli contribuenti, si
analizzavano tutti i movimenti valutari e le irregolarità venivano sanzionate
molto severamente”. Un anno Elvio Gianoli non paga le tasse ritenendole troppo elevate: quando ritornerà in banca la volta successiva, scoprirà che l’agenzia
per le tasse - la Taxation Department - aveva prelevato una grossa somma dal
suo conto per regolarizzare la sua posizione.
Le rimesse in denaro dall’Australia all’Italia registrano talvolta una diminuzione, specialmente nel momento in cui le famiglie emigranti si stabilizzano sul
territorio, dovendo sostenere piccole e grandi spese in loco: le famiglie aumentano, il benessere e le aspettative di vita migliore comportano impegni maggiori. Grazie al duro lavoro, la situazione economica migliora: Bice Balatti ad
esempio può garantire l’opportunità di una buona istruzione ai quattro figli. In
parallelo è possibile acquistare gradatamente moderne macchine per la lavorazione della canna da zucchero, mentre la casa viene ampliata, abbellita e dotata
di ogni comodità.
A tal proposito, va rimarcato come gli usi e i costumi di una nazione si identifichino molto nel modo di abitare dei suoi cittadini. L’Australia è terra vergine per infrastrutture e abitazione, eccezion fatta per gli aborigeni, e ciascun
emigrante importa stili e modi propri nella costruzione di case. Gli australiani
sono abituati a percorrere in lungo e in largo per lavoro l’immenso continente:
sono poco stanziali e, contrariamente alle abitudini degli italiani, non investono granché nella casa, pensata come opportunità di vita e non come un risultato
quasi obbligato di rinunce e sacrifici, né una forma di eredità da tramandare di
padre in figlio. Molti emigranti riferiscono in merito a questa differenza culturale: “Non era certo quello della casa l’obiettivo degli inglesi che preferivano
vivere in affitto pensando a vivere meglio, mangiare al ristorante o comprarsi
automobili sempre nuove; per questo motivo gli australiani erano molto invidiosi del fatto che, dopo un paio d’anni, un immigrato avesse già la propria
casa. Anche oggi la maggioranza degli italiani ha la propria casa, mentre molti
australiani vivono in affitto”.
Fra gli australiani sono ancora di moda case prefabbricate con strutture leggere,
da abitare, da acquistare con facilità e da vendere senza troppi patemi.
Alcune testimonianze ritraggono con efficacia la realtà in questione: “Arrivavano aziende americane che in 6 mesi costruivano un paese: 500 case mobiliate,
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Famiglia e casa di Tiziano De Agostini.
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il centro commerciale, la chiesa e la scuola, creando un paese su un’area fino a
poco prima deserta”, “... passando dallo stesso luogo a breve distanza di tempo ti
ritrovavi in un posto completamente nuovo: strade asfaltate, siepi davanti alle
case, un paese intero corredato di tutti i suoi elementi essenziali. Ti convincevi
che l’Australia era un luogo dalle infinite possibilità che consentiva di creare
qualsiasi cosa, sentivi di poter coltivare il desiderio di libertà e di grandezza che
ci aveva spinti così lontano”.
Nati e vissuti in case semplici, disadorne, funzionali ai bisogni essenziali, ma
di proprietà della famiglia di origine, i gordonesi in Australia investono molto
nella costruzione della casa, spesso edificata da essi stessi in pietra o mattoni con
le tecniche costruttive a loro congeniali. Tuttavia le prime sistemazioni sono
spesso di fortuna, precarie sotto molti aspetti, molto distanti dalla desiderata
solida abitazione definitiva. Ne sanno qualcosa Giovanni e Livia Balatti, che dal
novembre del 1955 al gennaio del 1956 abitano nel Queensland in una baracca di lamiera ondulata, in un bosco vicino a Mackay, in compagnia… di molti
serpenti!
I primi tempi Romana Gatti e Martino Dolzadelli vivono in una modestissima
casa di legno, rialzata e piena di formiche, acquistano successivamente un lotto
di tre acri a Russell Road, troppo distante, però, dal lavoro. In seguito acquistano un nuovo terreno nelle vicinanze che li obbliga a estenuanti lavori per
scavare un pozzo per l’acqua potabile.
Sarà una certa Rienzani di Teglio a ospitare invece Siro Dell’Anna: “Alcune
donne valtellinesi, emigrate in Australia prima della guerra, causa la silicosi che
colpiva i coniugi per il lavoro nelle miniere d’oro, rimasero vedove. Con i soldi
percepiti dall’assicurazione, acquistarono una casa e fornendo alloggio ad altri
emigranti riuscivano a mantenersi. Io abitavo in una baracca all’esterno della
casa”. Il primo alloggio di Ninino è un vecchio bus, senza porte né finestre: “La
doccia era una latta di olio da 20 litri bucherellata appesa a un albero; salivo
una scala di legno, versavo l’acqua nella latta e poi mi precipitavo sotto: quando
l’acqua finiva, ero pulito! Alla mattina passavano degli stormi di corvi, che facevano versi strani e tanto forti che mi mettevano paura. Alle 8:00 però si andava
a lavorare e passava tutto, tranne la malinconia!”.
Non progetterà mai di costruirsi una casa Ettore Tabacchi, che inizialmente viene ospitato nella casa del padrone della segheria la cui moglie cucina per tutti.
In altre occasioni si troverà spesso a dormire per terra, si procurerà in seguito
una brandina che si porterà dietro ovunque si sposti per lavorare.
Un altro aspetto che caratterizza lo stile di vita degli italiani in Australia è lo spirito di aggregazione fra connazionali: cercano di vivere raggruppati negli stessi
luoghi in una sorta di società di mutuo soccorso dove ci si aiuta anche a edifi75
care le abitazioni. Ad esempio, Bernardo Battistessa, acquistato un lotto di terreno, costruisce la casa accanto a quella di Gino Dell’Anna e di Renzo Tavasci.
A distanza di alcuni anni, superato il periodo di ambientamento e consolidati gli impieghi lavorativi, vengono realizzate le abitazioni definitive: nel 1962
Maria e Cleto si trasferiscono nella casa costruita a Birchley Road, dove Maria
è sempre molto occupata con i figli, che accompagna a scuola, assieme ad altri
bambini abitanti nella stessa via e che segue nelle varie attività extrascolastiche.
1960. La famiglia di Maria e Cleto.
Nel 1975 Nando Gatti costruisce la casa ad Albany che abita attualmente con
la famiglia. Ad Albany, Luciano De Giambattista acquista nel 1985 la prima
farm, di 740 acri, vicino a quella di Gino Dell’Anna, che gestisce fino a quando
questi si ammala. Luciano affida in gestione ad alcuni vicini la farma, ripulita e
ristrutturata con tanto sacrificio. In seguito acquista altre farms, fino a un totale di sette: le chiama nostalgicamente Cima Farm, ricordando l’Alpe Cima di
Menarola.
Ha richiesto un duro lavoro la costruzione della casa della famiglia di Albino
Scartaccini a Chidlow. Si trova in collina circondata da un terreno di sette acri
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in mezzo al bosco, dove la famiglia può coltivare piante da frutta e ortaggi e allevare galline, capre e una mucca per latte, burro e formaggio. La famiglia ritrova
così, in questo vivere tranquillo e libero, parte della vita abbandonata a Gordona e parte delle opportunità offerte dall’Australia. La moglie Silvia ricorda
con orgoglio di aver collaborato a fare da manovale durante la costruzione della
grande casa per i loro sei figli, concretizzando il loro sogno.
Famiglia e proprietà della casa resteranno le priorità assolute per gli immigrati
italiani. A metà degli anni ‘80 non meno del 70 per cento delle famiglie era
proprietario esclusivo dell’abitazione e un altro 19 per cento aveva in corso un
mutuo sulla casa: si tratta della più alta percentuale di proprietà della casa fra
tutti i gruppi etnici in Australia.
You live you learn
Per tutti i nostri emigranti l’apprendimento della lingua inglese rappresenta da
un lato una grossa difficoltà e dall’altra un importante obiettivo a cui tendere
per raggiungere l’integrazione sociale.
Nessuno di loro parte con una conoscenza, seppur di base, della lingua: il primo
impatto sarà per tutti duro e la lingua inglese sarà inizialmente solo subìta, perché funzionale alla ricerca e al mantenimento del lavoro.
Parecchi perfezioneranno poi l’inglese solo quando frequenteranno la scuola i
loro figli, la seconda generazione, padrona della lingua. Quasi la totalità, però,
esprime l’intelligenza, la determinazione e la forza di volontà per apprenderla,
ciascuno con modalità e tempi propri, fin dai primi tempi in Australia, molto
spesso addirittura iniziando corsi sulle navi.
Per quanto non sia obbligatoria la frequenza a corsi di inglese la maggior parte
dei nostri emigranti segue lezioni gratuite, organizzate in varie forme per sopperire all’impossibilità logistica per tutti coloro che lavorano nei boschi o comunque lontano da città e paesi.
È ricorrente la prassi di studiare la lingua per corrispondenza, pure se “questo
non bastava per farsi intendere completamente, ma ci si divertiva molto con gli
spropositi che ne uscivano!”. Sonia De Agostini ricorda che i genitori si avvicinarono alla lingua inglese proprio così: “Ogni immigrato veniva informato dal
Dipartimento dell’Educazione riguardo ai corsi: praticamente c’era un testo da
leggere e poi c’erano i fascicoli degli esercizi. Il foglio degli esercizi eseguiti veniva spedito gratuitamente al Dipartimento dove un insegnante lo correggeva
e lo rimandava indietro insieme al fascicolo successivo. Non essendo abituata
a studiare le lingue straniere e avendo già un’età in cui è più difficile imparare,
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mia madre ha incontrato non poche difficoltà. I corsi erano molto utili e si imparavano le nozioni teoriche, ma poi quando bisognava parlare e comprendere
un discorso era tutta un’altra storia. La pronuncia era difficile, perché non era
abituata a una lingua che non si legge come si scrive”.
Bernardo Capelli ricorda bene le difficoltà del corso per corrispondenza: “Il governo inviava i fascicoli via posta, assicurandoci di insegnarci a parlare l’inglese
in 12 mesi; le prime 4 o 5 lezioni erano facili e si riusciva a tenere il passo, ma poi
diventavano molto complesse”. Sempre Bernardo prosegue: “Il tempo necessario per padroneggiare la lingua cambiava molto da persona a persona: sono stati
avvantaggiati quelli che sono andati subito a vivere in mezzo ad australiani, che
pur avendo molte più difficoltà all’inizio, hanno beneficiato dell’apprendimento della lingua in breve tempo”.
Lo conferma Agostino Bini che dopo una settimana dal suo arrivo ha cominciato le lezioni di inglese per corrispondenza, ma si ritiene fortunato perché la
lingua l’ha imparata lavorando con un australiano e passando il tempo libero
con una famiglia in cui i genitori, entrambi insegnanti, e i loro 5 figli parlavano solo in inglese. Pio Capelli, proprio allo scopo di imparare più velocemente
l’inglese, sceglie di andare a lavorare per un certo periodo in una farma abitata
da soli inglesi, dove è costretto a imparare la lingua. Ricorda ancora l’insistenza
con cui la signora, prima di servirgli il pranzo, pretendeva che ripetesse in inglese il nome delle stoviglie.
Questo è ovviamente valido soprattutto per coloro che hanno vissuto in paesi
e città dove era anche possibile seguire dei corsi di lingua, diurni o serali, organizzati da molti enti. A Spearwood la scuola non era altro che la chiesetta in
cui si celebrava la messa: all’occorrenza si nascondeva l’altare con una porta
scorrevole ottenendo un’aula per le lezioni e il sacerdote diventava insegnante.
Ninino Ciabarri impara l’inglese frequentando la scuola serale (“Ricordo ancora la maestra di inglese Miss Michelle che veniva a prendermi tutte le sere per
accompagnarmi a scuola”) e migliorando le sue conoscenze conversando con
un giovane australiano che viveva vicino alla segheria.
Il corso serale frequentato due sere alla settimana da Mora Barilani Pelanconi
era invece gestito e offerto gratuitamente da un Club di Italiani. Anche il governo stesso organizzava corsi di lingua e Daniele Gatti ricorda che c’era una scuola
per gli emigranti in cui si distribuivano anche giornaletti per cercare di far accostare gli emigranti alle loro attività lavorative: “Il Ministro dell’Emigrazione di
allora era una brava persona, con l’obiettivo della perfetta integrazione e dava
proprio l’impressione che ci volessero accogliere nel miglior modo possibile”.
Per molti le necessità di parlare la lingua inglese sul lavoro coincidono con
l’apprendimento della stessa: la frequenza del corso serale per elettricisti, per
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esempio, permette a Domenico Gatti di perfezionare la conoscenza della lingua inglese già imparata, per corrispondenza, durante il precedente lavoro nel
bosco. Allo stesso modo il primo lavoro come addetta alle pulizie in un collegio
permette a Cecilia Tabacchi un buon apprendimento della lingua inglese, trovandosi fianco a fianco con persone che non parlano per nulla l’italiano. Oggi
si rammarica, però, di non aver parlato in italiano con i suoi figli, perché troppo
desiderosa e impegnata ad ascoltare e imparare l’inglese da loro quando facevano ritorno da scuola.
Durante la sua prima occupazione in ospedale, Silvia Tabacchi apprende la lingua inglese, incoraggiata da un’infermiera che, di fronte ai suoi timori di non
farsi capire, le ripete: “Tu sei migliore di me perché parli italiano e un po’ di
inglese, mentre io conosco solo l’inglese!”. Frequenta anche per due ore settimanali, con quattordici partecipanti di dodici nazionalità diverse, un corso di
lingua inglese che prevede anche l’apprendimento di informazioni di educazione civica e di ordine pratico.
Anche riviste e radio sono grandi alleati dei nostri emigranti: Rino Battistessa
legge moltissimo giornali e testi vari e deve alla sua passione per la lettura la sua
buona padronanza della lingua, sia scritta che parlata. Maria Tavasci, che nei
primi tempi in Australia segue anche delle lezioni private, si affida soprattutto alla piccola radio che le regalano Toni e Bernardo. Anelia Dell’Anna segue
un corso di inglese per corrispondenza e ricorda l’aiuto ricevuto dalla signora
Plowman, un’anziana ebrea che abita nelle vicinanze con marito e figlio, che la
informa sui corsi di inglese trasmessi da una piccola radio a batteria, sua unica
compagnia durante le lunghe giornate nel bosco. “Comincio a comprendere il
significato di alcune parole inglesi ascoltando tutti i giorni Blue Hills, una serie
radiofonica australiana incentrata sulla vita di alcune famiglie, ambientata in
una tipica città australiana chiamata Tanimbla. Blue Hills, il cui nome deriva
dalla residenza del medico della città, sarà trasmesso per 27 anni (dal ‘49 al
‘76) per un totale di 5795 episodi, della durata di 15 minuti divenendo così la
più lunga serie radiofonica al mondo”. Come ricorda Bernardo Capelli, la vera
svolta fu però quando arrivò la televisione: si poteva seguire meglio il discorso,
aiutati dalle immagini, e si leggeva anche il labiale.
L’importanza della conoscenza della lingua locale nella vita quotidiana è confermata dai moltissimi aneddoti raccontati dai nostri emigranti riferiti alla spesa, a volte divertenti, più raramente tristi: Giovanni e Zita Tabacchi, durante
un viaggio in visita ai fratelli in Australia, ricordano che a volte le commesse
fingevano di non capire le loro parole e i loro gesti per costringerli a parlare e
poterli deridere. Allora avevano adottato l’accorgimento di farsi scrivere da chi
conosceva la lingua un biglietto da consegnare alla commessa. In generale però i
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racconti sono di altro tenore. Bernardo Capelli ricorda: “Non c’era il supermercato come oggi (sarebbe stato più facile!), esisteva solo il banco dove bisognava
chiedere ciò di cui si necessitava. Per prepararsi si chiedeva a qualcuno il nome
in precedenza: a volte il nome era facile da ricordare e da pronunciare, altre volte di meno e non ci si intendeva. Ci rivolgevamo tutti allo stesso commesso, un
ragazzo giovane, sensibile, che sapeva più o meno cosa volevamo comprare. Lui
elencava i prodotti e noi, se ci serviva qualcosa, rispondevamo «yes»”.
Silvio Biavaschi indicava la merce che gli serviva con il dito e ne chiedeva la
quantità avendo imparato a contare fino a 10: “Il pagamento alla cassa era più
complicato perché non si aveva idea di quanto fosse l’importo totale da pagare,
per cui, per non fare brutte figure, mettevo sul tavolo sempre il biglietto del
valore più alto di cui disponevo!”. Clito Balatti, emigrante di Menarola, ricorda
di essere stato un’intera settimana senza sale per cucinare perché, “non conoscendo la lingua, non sapevo come richiederlo alle persone che facevano la spesa
per mio conto”.
Happy hours
La grande dedizione al lavoro e lo spirito di sacrificio accomuna le vite di tutti
gli emigranti. Le giornate sono lunghe e faticose e lasciano poco tempo alle divagazioni, anch’esse tuttavia necessarie. Silvio Biavaschi non ricorda molti giorni liberi: “In 16 anni avremo fatto 5 o 6 giorni all’anno di ferie al massimo!”. Gli
fa eco Ettore Tabacchi: “Soltanto una volta ho preso 21 giorni di vacanza per
andare a Perth, una città grande, bella e piena di divertimenti”. Anche per Diana
Dolzadelli “il tempo libero era limitato. Non credo di aver mai fatto vacanze da
bambina perché per i miei genitori contava soltanto il lavoro!”. Anche in caso
di visita ai parenti ci si assentava sempre piuttosto brevemente: Silvia Tabacchi
racconta che “dopo 3 o 4 giorni si tornava a casa, perché c’era sempre qualche
lavoretto da portare a termine”.
Nonostante ciò, i nostri emigranti organizzano le settimane in modo da ritrovare a mano a mano anche la loro dimensione privata, scandita da abitudini non
così distanti dalla vita a Gordona. I fine settimana vengono spesso dedicati alle
faccende domestiche per necessità tralasciate nei giorni lavorativi, a cominciare
dalla spesa settimanale, fatta in genere al sabato. Anche i lavoratori del bosco,
racconta Bernando Capelli, ricevevano la visita del datore di lavoro il sabato: “Il
boss della segheria ogni sabato ci accompagnava in paese per fare la spesa”.
Il bucato è un’incombenza di cui molti si occupano la domenica pomeriggio, in
quanto la mattina è riservata alla messa festiva. Mentre Agostino Bini si recava
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al fiume, Bernardo Capelli ricorda con un sorriso il procedimento che adottavano nei pressi del loro alloggio nel bosco: “Ci davano i bidoni del cherosene e
ci si metteva l’acqua per lavare: a volte i vestiti ne uscivano più sporchi di prima,
ma avevamo l’idea che fossero puliti!”.
Quando le contingenze lo consentono, si dedica del tempo libero ad attività
di svago piacevoli che permettono di socializzare a volte, oltre che con i connazionali, anche con la gente del luogo. “Erano pochi i momenti in cui non si
lavorava” racconta Battista Biavaschi, “così, non appena si aveva del tempo a
disposizione, si andava in giro per il paese, ad ammirare le ragazze: non ce ne
erano molte, ma abbastanza per tutti!”.
Battista Biavaschi.
La passione per il gioco delle carte si protrae oltreoceano: Daniele Gatti racconta di come ogni tanto si incontrava con i gordonesi o altri emigrati in una piccola baracchetta di legno fuori Perth per interminabili partite. “Talvolta invece
si andava all’hotel. Bisognava però avere 21 anni per poter bere e la polizia era
molto severa nel controllare l’età. Nonostante non fossimo grandi bevitori, io e
i miei colleghi andavamo comunque all’hotel per fare un po’ di casino... ma se
non si consumava nulla, dopo un po’ ci cacciavano fuori!”.
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Club italiano: da sinistra Silvio Biavaschi, Nando Gatti, Marco Gatti, Lino Pedretti,
Battista Balatti, Lorenzo Fumagalli. Alle spalle tre amici abruzzesi.
Natale 1965. Pietro Pedretti, la moglie Hedda, Battista Biavaschi, Battista Balatti e
Lino Pedretti.
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I sabati sera australiani sono ricordi vivi nella mente di Ettore Tabacchi, che
rammenta: “Si andava quasi sempre al mare e si trascorreva il tempo in spiaggia,
dove c’erano sempre molte ragazze”. A volte si rinunciava ad andare a ballare,
a malincuore, come ricorda Bernardo Capelli: “Ci sarebbe stata l’opportunità,
ma nessuno ci andava perché non si era capaci, e soprattutto non si riusciva a
comunicare con le ballerine…”.
Il momento più propizio per i lavoratori dei boschi per svagarsi un poco coincide coi mesi più freddi dell’anno, in cui chiudono le segherie, e con le vacanze
natalizie, di cui si approfitta per visitare parenti e conoscenti stabilitisi in luoghi
più o meno limitrofi. Sono molti gli aneddoti riportati da Bernardo Capelli
in merito a una sua lunga permanenza di un mese a Perth. Era innanzitutto il
luogo in cui era possibile reperire libri o riviste, che mancavano nei paesi. Era
entrato in contatto con un italiano di nome Aluisini il quale, emigrato prima
della guerra, aveva avviato un’attività di vendita di vestiti e appunto qualche settimanale in lingua italiana, come Oggi. Continua inoltre Bernardo: “Possedere
un’auto comportava un enorme vantaggio: si cominciava a spostarsi di più e
qualche volta andavo al cinema, ma, non conoscendo la lingua, ci si accontentava di guardare le immagini, per cui preferivo i film d’azione con i cow-boy”.
Le estati con i coetanei trascorse ascoltando la radio insieme sotto gli alberi,
oppure al cinema e le giornate intere passate sulla spiaggia sono fra i ricordi più
piacevoli di Diana Dolzadelli, la cui famiglia era solita festeggiare i compleanni
insieme ai Guerini, loro vicini di casa.
Giacomo Dolzadelli con le nipoti Diana ed Ebe.
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Kalgoorlie. Agostino Bini (il primo in piedi da sinistra), Guido Ciabarri (il primo in piedi
da destra) e Giuseppe Mazzina (seduto).
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Diversi gordonesi scelgono di dedicarsi a uno o vari sport. Elvio Gianoli, ad
esempio, ama tantissimo il gioco delle bocce, tanto da avere un campo illuminato dietro la propria casa e ottenere risultati lusinghieri partecipando ai campionati disputati a Perth. Il gioco delle bocce appassiona pure Martino Dolzadelli,
che a Spearwood frequenta il Club Dalmatinac, scambiando quattro chiacchiere con gli amici davanti a un bicchiere di vino e fumando una sigaretta. Rino
Battistessa predilige invece il golf, che pratica indossando un completo bianco
professionale. Michele Battistessa si svaga giocando a freccette e, grazie alla sua
buona mira di cacciatore, diventa campione continentale vincendo l’incontro
con la Nuova Zelanda, dopo aver vinto per ben tre volte la gara a coppie e due
volte quella singola per il Western Australia. La passione di Meco Dolzadelli è
invece la pesca nella laguna di Albany, dove trova dell’ottimo pesce, il cobbler
fish, e nei fiumi nei pressi di Rocky Gully.
Tra i gordonesi si possono contare anche appassionati calciatori, come Lino
Pedretti arruolato in una squadra del Western Australia, e Agostino Bini, che
milita invece come terzino in tre diverse squadre. È orgoglioso quando mostra
la coppa vinta a Kataning come giocatore più corretto dell’anno 1955-56 (The
Fairest Player of the Year 1955-56). Questo premio non è l’unico cimelio sportivo conquistato da Agostino, come testimonia un fermacravatta ricevuto in onore del suo impegno come tennista, donatogli dai compagni durante una festa di
addio organizzata prima della sua partenza per l’Italia. Curiosamente reca il suo
cognome inciso con un errore (Binni).
Calcio “Tricolours”. Il primo a destra è Lino Pedretti.
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Nando Gatti, Ninino Ciabarri, Lino Pedretti. In basso a destra Giuseppe Mazzina.
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Gli emigranti gordonesi ricordano come fosse difficile, in generale, stringere
amicizia tra stranieri, specialmente nelle città popolose. Sicuramente l’inserimento in un ambiente di lavoro multiculturale poteva aiutare non poco, come
nel caso di Tecla Tavasci: “Quando sono arrivata, incontravo dei compaesani
con cui condividere tradizioni gordonesi. Successivamente, quando ho cominciato a studiare e a lavorare, ho conosciuto altri italiani e degli australiani”. Il
minor livello di integrazione, come confermato da tutti, si verifica con gli aborigeni nativi australiani, essendo confinati nelle riserve.
Il tempo libero è una preziosa risorsa per rinnovare il senso di vicinanza e solidarietà tra emigranti. Le grandi distanze australiane però non rendono semplicissime le frequentazioni tra gordonesi che dunque allargano volentieri la cerchia
dei propri conoscenti. Diventano così compaesani anche i valtellinesi e, in generale, tutti gli italiani. Agostini Bini, ad esempio, la sera frequenta una famiglia
di valtellinesi di Tresivio che considera come parenti a tutti gli effetti e con cui
condivide ricordi, esperienze, notizie comuni, idee e sentimenti. Anche Silvia
Tabacchi stringe amicizia con la famiglia Leusciatti originaria di Montagna in
Valtellina, che abita a 25-30 miglia di distanza. È curioso il fatto che molti gordonesi rimarchino che si andava a trovare i parenti senza troppe formalità né
tantomeno appuntamenti, come spesso invece accade ai giorni nostri.
I riti religiosi, come a Gordona, rappresentano degli appuntamenti fissi per parenti e amici, come ad esempio la messa domenicale, frequentata regolarmente
da molti. Diana Dolzadelli conferma come la messa sia sempre stata considerata
importante perché per frequentarla “ci si metteva il vestito più bello”.
In coincidenza delle festività importanti si chiamavano spesso a raccolta parenti
e altri conoscenti italiani. Le sorelle Cecilia e Silvia Tabacchi rammentano questi ritrovi come occasioni per raccontarsi le rispettive esperienze e tenersi informati sui nuovi arrivati dall’Italia. Ci si organizzava specialmente per accoglierli
al porto e dar loro il benvenuto e ragguagli sulle offerte di lavoro, nella speranza
anche di ricevere notizie dei parenti e una ventata di aria di casa. Daniele Gatti
descrive questi momenti come delle vere e proprie feste tra compaesani, meglio
se allietate da una bottiglia di grappa di recentissima importazione.
Indimenticabile per Diana Dolzadelli rimane il giorno di Santo Stefano: “Ci si
ritrovava in spiaggia, per un pic-nic con gli altri gordonesi”.
Notizie dal paese lontano
La corrispondenza rappresenta un cordone ombelicale attraverso cui far scorrere sentimenti, affetti e ragione di vita, talvolta. Il momento della consegna della
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1964. Rino Battistessa con il figlio.
Rita e Domenico Gatti con i figli Viviane e Marco.
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posta è un evento eccezionale che sospende per brevi istanti le interminabili
attese, portando gioia e commozione e torna a schiarire le immagini di volti e
luoghi che il tempo, come nebbia sottile, tende a sbiadire. “Di tanto in tanto
giungevano notizie su quello che succedeva in Italia anche se ogni lettera, prima di essere completamente letta, diventava bagnata e pesante per le lacrime”.
In questi primi anni di lontananza la comunicazione viaggia alla velocità delle
navi, il telefono rappresenta ancora una novità, un lusso che ancora non ci si può
permettere, e la consegna delle lettere avviene con tempistiche infinitamente dilatate: come minimo trascorre un mese dal momento della spedizione all’arrivo
della missiva e questo comporta alle volte amare sorprese, come nel caso in cui
giunge notizia della morte di una persona cara. “Quando un compaesano scrive,
racconta qualcosa anche degli altri emigranti, ma le informazioni sono scarse
abitando abbastanza lontani l’uno dall’altro”. Anche le famiglie rimaste a Gordona confermano: “Ci scrivevano due o tre lettere all’anno, non di più, perché
c’era poco tempo e poca dimestichezza nello scrivere. La lettura delle lettere
appena recapitate era la prima cosa che si faceva quando ci si sedeva al tavolo
a mezzogiorno e rispondere diventava prioritario a qualunque altra questione.
Tutto il paese era coinvolto e comunque interessato alle novità che arrivavano
dall’Australia, perché molti avevano là un parente ed era questo un modo per
condividere la nostalgia e superare, insieme, le preoccupazioni per i propri cari”.
Antonio Battistessa sente forte la nostalgia per moglie e figli, ai quali scrive sul
retro delle foto che invia a casa: “Pensatemi sempre come io vi penso”. I figli
ricordano la commozione nel sentire poche parole di saluto dal padre durante
le feste di Natale, quando tutti i parenti degli emigrati si radunano presso il
Municipio dove viene attivato il collegamento radiofonico a un programma al
servizio degli emigranti.
Alfredo scrive spesso alla mamma confidandole la sua malinconia: “Chi mai ha
inventato l’Australia?”.
Col passare del tempo giungono insieme alle lettere le fotografie: le immagini
rivelano che il tempo trascorso in Australia ha permesso di realizzare il ‘sogno
australiano’: famiglie sorridenti e ben vestite in posa nei loro giardini davanti
alle loro case e alle automobili.
I filmati realizzati da Cleto Guerini, attrezzato con una delle prime cineprese
con pellicola da 8 mm, consentono ai gordonesi di assistere, la sera su uno schermo casereccio costituito dal fondo di un garage, alla proiezione delle scene di
momenti di vita in Australia e, viceversa, di riportare in Australia volti e luoghi
ripresi durante il soggiorno a Gordona. Grandi sono la sorpresa e la commozione tra la folla convenuta all’appuntamento nel garage, nel vedere e nel sentire i
propri parenti… quasi dal vivo.
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Miss Italia in Western Australia
Riguardo il concorso “Miss Italia in Western Australia” a cui ha partecipato, con
successo, nel 1971 Tecla spiega: “Non si
è trattato di un concorso come quelli a cui
siamo abituati attualmente. Certo, la bella presenza era un requisito importante,
ma c’era tanto altro in gioco e, soprattutto, bisognava darsi parecchio da fare”.
Oltre a richiedere alle ragazze in gara la
cittadinanza italiana da parte di almeno
un genitore, il regolamento fornisce le licenze necessarie per organizzare, nei tre
mesi antecedenti la finale, eventi finalizzati alla raccolta di fondi da destinare alla
comunità italiana in Australia: barbecue,
serate danzanti o lotterie. Chi poi possiede un’attività commerciale, può devolvere
parte del proprio incasso per l’organizzazione del concorso. Tecla organizza una
lotteria e diversi barbecue, rallegrati da
un’orchestrina di ragazzi italiani. Un’apposita commissione controlla tutti i movimenti in denaro documentati da ricevute
e fatture.
La collaborazione fra le concorrenti è
stretta e leale: il calendario delle manifestazioni viene compilato di comune
accordo evitando sovrapposizioni degli
eventi e concorrenza fra i partecipanti. Le
ragazze partecipano a rotazione anche
alle feste delle colleghe, con l’intento di
massimizzare gli incassi. I fondi raccolti in
quell’anno vengono destinati alla costruzione di una casa di riposo per gli italiani nel Western Australia (inaugurata nel
1973) e al finanziamento del recupero e
restauro dei tesori di Venezia, alluvionata
proprio durante quel periodo. Il concorso
mette anche alla prova la creatività di Tecla, che si confeziona da sé gli abiti sfog-
giati durante le serate.
“Essendo molto timida, riconosco che
mi ha aiutata parecchio l’esperienza del
concorso nell’integrarmi nella società australiana. Dovendo comunicare e stare
a contatto con molta gente, ho migliorato innanzitutto la mia padronanza della
lingua inglese, ma soprattutto ho avuto
l’occasione di conoscere tante persone
interessanti. Premi a parte, questa è stata
forse la ricompensa più bella. Il concorso
di Miss Italia ha deciso il mio ritorno in Italia: il primo premio in palio era un viaggio
di andata e ritorno in Italia, per due persone in prima classe sulla Galileo Galilei,
una delle migliori navi turistiche: in pratica
un viaggio intorno al mondo della durata
di un mese e mezzo, dal 30 settembre al
12 novembre 1973”.
Essendo ancora chiuso il canale di
Suez, la nave fa rotta verso l’America
costeggiando verso est l’Australia fino al
Queensland, attraversa gli arcipelaghi del
Pacifico e raggiunge il canale di Panama,
il cui passaggio occupa un’intera giornata.
All’ingresso nel canale la nave è “balzata
su” di 27 metri in tre tempi successivi,
grazie a un sistema di chiuse che separa tre bacini posti a livelli diversi, infestati
dai coccodrilli che costringono la nave a
ridurre la velocità. “All’uscita si vede l’Oceano Atlantico a un livello più basso, da
raggiungere attraverso una ridiscesa progressiva in tre bacini successivi”.
Tecla condivide il viaggio con il fratello
Antonio che si trattiene definitivamente
a Gordona. I biglietti di ritorno verranno
barattati con un biglietto per un viaggio di
andata e ritorno che, successivamente,
compirà da sola.
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Vivere “a testa in giù”
“Se l’Australia fosse stata più vicina non sarebbe rimasto nessuno” e ancora “se
l’acqua del mare arrivasse solo fino al ginocchio, avresti visto una fila indiana di
emigranti tornare in Italia con il mantign annodato sul bastone in spalla”.
Tanti, tra i primi emigranti degli anni ‘50, lo ripetono. “Non c’era mutua, né
cassa malattia: dovevi pagare il posto letto in ospedale e le cure, poi con il tempo
è arrivato anche il welfare”.
Fu infatti solo negli anni ‘70, dopo un lungo periodo di sviluppo economico e di
governo conservatore, che si diffuse l’esigenza di riforme politiche, di maggiori
spese previdenziali, di salari sociali più elevati e di maggior equità economica.
Nel 1972 vennero avviate riforme che hanno previsto l’introduzione dell’assistenza sanitaria sociale e fu approvata la legislazione sulle pari opportunità per
le donne.
Fino ad allora, soprattutto per chi lavorava nel bosco, molto lontano dai centri
cittadini e a maggior ragione se straniero, era difficile ottenere un aiuto statale:
“Probabilmente esistevano servizi di assistenza verso gli immigrati, ma non li
conoscevamo o non sapevamo a chi rivolgerci, così badavamo soltanto a trovare
lavoro. Non c’era alcun obbligo di eseguire visite mediche periodiche, proprio
come di frequentare corsi di lingua inglese, sebbene ce ne fosse la possibilità”.
Al tempo stesso Siro Dell’Anna ricorda bene alcune ostilità tra “i cinquantini”
(gli emigrati dopo il ‘50) e coloro che erano emigrati prima della guerra, che
avevano goduto di ancora minore libertà di scelta.
Gli emigranti gordonesi riportano anche alcuni rari episodi di razzismo da parte di australiani e di immigrati anglosassoni: si tratta principalmente di offese e
prese in giro per la scarsa conoscenza della lingua e per le differenze di cultura,
gli italiani venivano spesso chiamati dingos (cani). Cleto Guerini pensa che gli
italiani erano visti molto male anche a causa delle ostilità belliche tra Italia e
Inghilterra, che ancora lasciavano strascichi nei rapporti internazionali a inizio
anni ‘50.
Daniele Gatti ricorda anche che non si poteva stare in più di tre persone su un
marciapiede o in un luogo pubblico a parlare, senza essere notati dalla polizia
che interveniva per disperdere l’assembramento: alcune leggi risalivano all’Ottocento, quando in Australia venivano deportati i prigionieri inglesi, tanto che
era nota come “il paese dei convict” (galeotti). Ettore Tabacchi ricorda che non
c’erano in giro molti poliziotti “...ma se facevi qualcosa che non andava, lo sapevano subito e ti venivano a prendere”.
Nonostante questi pregiudizi e le difficoltà, tutti ricordano di essere sempre stati trattati in modo equo sul lavoro: il sistema meritocratico era molto semplice
e chi lavorava di più guadagnava anche di più.
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Daniele Gatti ricorda: “Alcuni posti di responsabilità o alcuni lavori meno pesanti erano comunque riservati alle persone di madrelingua inglese, però all’interno dell’azienda potevi crescere e ottenere ruoli di responsabilità. Per l’esercizio di altri diritti, non vi era differenza ed era netta la percezione di una forte
giustizia sociale. Dopo aver dimostrato di essere un lavoratore, la banca non negava prestiti e penso che i datori di lavoro, pur non dichiarandolo apertamente,
preferissero gli operai italiani. Gli australiani avevano bisogno del nostro lavoro
e il loro obiettivo era di integrare gli emigranti nella loro società nel rispetto
degli usi e costumi australiani”.
Ninino ricorda che un sondriese, conosciuto in Australia, si era raccomandato: “Per stare bene qui e non avere problemi, devi lavorare e pagare le tasse”
e lui non ha mai avuto problemi con nessuno. Tutti sottolineano la grande
semplicità del funzionamento della macchina burocratica australiana, il senso
di responsabilità condiviso, l’onestà e la volontà di pagare le tasse nella misura
prevista. E più di tutto, ricordano con piacere la grande apertura mentale, ottenuta anche al crogiuolo di culture che era andato formando l’Australia moderna. Siro Dell’Anna sorride ancora quando racconta che a Kojonup, all’incrocio
di quattro strade dove sorgevano quattro chiese, la domenica vedeva scendere
dall’auto i componenti della stessa famiglia che entravano, separatamente e con
la massima naturalezza, in chiese appartenenti a religioni diverse.
La maggior parte dei gordonesi trasferitisi definitivamente in Australia presenta
la richiesta per ottenere la cittadinanza australiana dopo cinque anni di residenza e buona condotta: in quel periodo non era possibile mantenere la doppia
cittadinanza e si doveva quindi rinunciare a quella italiana. Bernardo Capelli
ricorda stupito che “…quando ho preso la cittadinanza, dopo 5 anni, hanno fatto un piccolo ricevimento, un discorso, in cui ti spiegano che diventi un “British subject”, non un cittadino australiano... dava l’idea del controllo che voleva
mantenere l’Inghilterra”.
Mora Barilani Pelanconi ritiene comunque “importante la cittadinanza australiana per i figli perché si ottenevano più diritti. Per esempio si poteva votare,
lavorare per lo stato e ricevere la pensione. Molte persone, per senso patriottico,
hanno mantenuto comunque la cittadinanza italiana”.
Diana ed Ebe Dolzadelli, figlie di Romana Gatti e Martino, ripensano con immenso piacere ai giochi spensierati e alle ore felici che hanno vissuto, quando
il papà le accompagnava a trascorrere il pomeriggio sulle spiagge dell’oceano.
È stato per loro difficoltoso crescere come figli di immigrati, dovendo essere
più diligenti degli altri e sentendo la responsabilità di aiutare i genitori, che
conoscevano poco o per niente l’inglese, nei rapporti con il mondo esterno alla
famiglia. “Frequentavo una scuola cattolica con insegnanti suore, in classi miste, dove sedevamo insieme, australiani e immigrati: il trattamento era assolu-
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tamente paritario, non facevano differenze tra noi e i bambini australiani... ”
sottolinea Diana Dolzadelli.
Diana ricorda anche che a tavola si mangiavano piatti gordonesi, così come i
discorsi vertevano su Gordona e i parenti rimasti lì. Quando andava a scuola, i
suoi genitori le davano come merenda delle fette di pane imbottite di formaggio o salumi, mentre gli australiani mangiavano pane spalmato con una cosa dal
gusto molto salato “...una cosa che sa di dado”, ovvero la Vagemite, vera e propria
istituzione culinaria australiana che per lungo tempo le è rimasta sconosciuta.
Cĥièra la mi Gurduna
Trascorsi alcuni anni dallo sbarco in Australia, consolidati alcuni fattori essenziali quali abitazione, lavoro e famiglia per alcuni, per altri invece dopo aver accumulato discreti risparmi, è possibile programmare una vacanza o addirittura
il rientro definitivo a Gordona.
Nel frattempo l’economia italiana distrutta dalla guerra, aiutata dal piano
Marshall americano, in due decenni progredisce e si sviluppa un certo benessere: il progresso e lo sviluppo economico consentono la costruzione di nuove
infrastrutture e, insieme alle strade, sorgono nuove abitazioni. È evidente per
chi rivede Gordona a distanza di pochi anni il mutamento in atto e le trasformazioni nello stile di vita, che si contrappone in maniera netta al ricordo del
paese com’era solo pochi anni prima, quando partire non costituiva una scelta,
ma quasi una costrizione. Il raffronto con la nuova situazione in parte lascia disorientati gli emigranti, quasi a minare quelle certezze che hanno nel frattempo
dato giustificazione alla scelta tanto sofferta di emigrare.
Qualcuno torna per una vacanza e non troverà più la forza e il coraggio di ripartire; il desiderio di restare accanto ai genitori anziani, che con fatica si occupano
ancora della campagna, e la sensazione di essere veramente a casa dopo tanto
tempo, trasformano la vacanza in un definitivo rientro al paese. A volte saranno
gravi motivi di salute a determinare il rientro in patria, altre sarà la ragione ad
avere la meglio sui sentimenti e il ritorno in Australia non è che il ritorno alla
normalità: il lavoro, la scuola, la casa, un futuro garantito per i propri figli.
“La prima volta che siamo tornati in Italia abbiamo rivisto con gioia la neve e
constatato che è più difficile partire la seconda volta, dovendosi staccare dai
genitori divenuti più vecchi e più bisognosi. In Italia abbiamo trovato più fabbricati dove prima ricordavamo sentieri, maggior vivacità e disponibilità a relazionarsi”, ricorda Daniele Gatti.
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Gordona diventa una meta abituale dove poter trascorrere di tanto in tanto
periodi di vacanza, a volte di poche settimane, altre lunghi alcuni mesi. Dopo
aver compiuto 50 anni Giovanni Capelli lascia il lavoro nella farma e da quel
momento fino alla sua morte alternerà ai viaggi in nave lunghi soggiorni tra
Cermine e l’Australia, spesso accompagnato dalle inseparabili amiche Linda e
Doris. I racconti al limite del credibile e il suo carattere gioviale resteranno impressi nella memoria dei molti che l’hanno conosciuto e che ancora oggi continuano a tramandare le sue avventure.
1965. Battista Balatti rientra in Italia.
Il legame tra Gordona e l’Australia si rinsalda anche attraverso i figli degli emigranti, cittadini australiani per nascita, che nel corso dei soggiorni gordonesi
possono conoscere luoghi e persone sempre riportati nei racconti dei loro genitori.
I figli di Michele e Cecilia Battistessa non dimenticheranno facilmente il ricordo di quelle notti a Corte Terza sul paiòn, protetti da un ombrello aperto
durante un temporale e le difficoltà della toilette dietro il grande masso vicino
ai crotti. Cecilia ancora oggi ripensa all’attraversamento difficoltoso dei sentieri
invasi dal fogliame del bosco nella salita verso il Muntèl, dove Michele l’accompagna per rivivere i luoghi della sua infanzia.
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Cosa significa Gordona per il figlio di un emigrante ce lo scrive in una lettera
Danny Dolzadelli, figlio di Martino e Romana:
“Gordona means to me my Mother and Father. Fond memories traveling with my
parents to Gordona as early as the 1970s after they had been in Australia for over
20 years. The long trip by plane landing in Rome and then transfering to Milan
where we catch the train to Colico and be picked up by relatives. That great train
ride going into the mountains to a lost secret kingdom. Such a special place located
secretly in the middle of mountains in the middle of Europe. Everyone seems to
know everyone in Gordona and I remember one of my first trips with my mother
when I was 12. I would walk down the streets of Gordona and everyone would
say hello. Never knew most of the people but they seem to know me. To see the close
connection my parents had with the people of Gordona showed me I was part of it.
Gordona for me is family, all my grand parents, aunties, uncles and cousins. It is
my history as for many others. It is where I come from. The language and culture
is special and something I easily identify everytime I visit even though it is seldom.
Memories come back of the smells of the stables, gas from my grand mother’s oven
along with the smell of her burning mandarin peels on the top of the wooden fired
stove. Playing with my cousins, walking up the mountains, making sleds from old
skis and odd pieces of wood, going to the cinemas and seeing snow for my first time.
Many small things that one can take for granted but as a visitor they are much
treasured. The food is quite particular for the region with foccaccia, polenta, pistocchorri, cheese, sausages, panini and the wine. Basic staple food but with so much
flavour. I enjoy very much to sit and listen to the stories of the older people of the
times they grew up in Gordona, particularly during the World War II. But I would
assume less and less of them are still with us. Gordona is a story of survival. A story
of a strong people that had seen hardships as most of Europe did. They kept their
values, customs, culture and cusine. Sometimes I wonder if these memories will
dispapper as these treasured ancestors of ours slowly pass away, marking the turn
for the next generations. What will Gordona be like in 20 years from now? There
have already been so many changes from the memories of my first visit in 1979.
The connection will always be there with relatives and memories of the ones that
have past away. I look forward to the next time I visit to once again bring my wife
and my children and show them more of where our family orginally came from. So
they too can keep this connection”.
“Gordona per me rappresenta mamma e papà. Conservo con affetto i ricordi di un
viaggio fatto a Gordona negli anni ‘70, dopo che avevano vissuto per più di 20 anni
in Australia. Abbiamo fatto un lungo viaggio aereo fino a Roma e poi a Milano,
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dove abbiamo preso il treno fino a Colico e lì siamo stati accolti da parenti. La
corsa del treno tra le montagne verso un regno segreto e nascosto è stata grandiosa.
Un posto così speciale custodito segretamente nel cuore delle montagne e nel cuore
dell’Europa. Tutti sembrano conoscere tutti a Gordona e ricordo che in uno dei
primi viaggi con mia madre, quando avevo 12 anni, camminavamo per le strade
e tutti ci salutavano. Non avevo mai visto la maggior parte di quelle persone, ma
loro sembravano conoscermi. Vedere quanto era stretto il rapporto tra i miei genitori e i gordonesi mi ha fatto sentire di esserne parte.
Gordona per me è famiglia, nonni, zie, zii e cugini. È la mia storia, e quella di
molti altri. È il posto da dove vengo. La lingua e la cultura sono speciali, sono qualcosa in cui mi riesco a identificare ogni volta che vengo, anche se succede raramente.
I ricordi corrono all’odore delle stalle, del forno a gas di mia nonna e al profumo
delle bucce di mandarino che metteva sopra la stufa a legna. Ai giochi con i miei
cugini, alle passeggiate in montagna, a quando costruivamo slittini con pezzi di
legno recuperati e vecchi sci, a quando andavamo al cinema e a quando ho visto per
la prima volta la neve. Tante piccole cose che si possono dare per scontate, ma che
sono preziosissime per chi non vive a Gordona. Anche il cibo tipico è speciale con focaccia, polenta, pizzoccheri, formaggi, salsicce, panini imbottiti e vino. Ingredienti
semplici, ma gustosi.
Mi piaceva molto sedermi e ascoltare gli adulti raccontare della loro infanzia a
Gordona, in particolare durante la Seconda guerra mondiale. Purtroppo immagino che molti di loro non siano più fra noi.
Gordona è la storia di una sopravvivenza, la storia di persone forti che hanno attraversato disagi, come nella maggior parte d’Europa, ma che hanno mantenuto
vivi i propri valori, costumi, cultura e cucina. Ogni tanto mi chiedo se questi ricordi
svaniranno, come i nostri antenati che poco a poco se ne vanno, lasciando il posto
alle prossime generazioni. Come sarà Gordona fra vent’anni? Sono già cambiate
così tante cose rispetto al mio primo viaggio nel 1979.
Il mio attaccamento sarà sempre legato ai miei parenti e al ricordo di chi non c’è
più. Non vedo l’ora di tornare un’altra volta, portando a Gordona mia moglie e i
miei figli per mostrargli qual è l’origine della nostra famiglia, così che anche loro
possano mantenere questo legame.”
Per coloro che hanno lasciato il paese in cerca di un futuro e si sono stabiliti
altrove, venire a Gordona equivale a tornare a casa. Sarà questo l’ultimo desiderio di Giacomo Dolzadelli, le cui ceneri saranno riportate a casa dalla moglie e
deposte nel cimitero di Gordona.
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Identità sospese
I ricordi del distacco e della partenza riaffiorano ora in età avanzata,
sono velati di nostalgia e di qualche rimpianto, sopito solo dalla consapevolezza di aver garantito ai propri figli un avvenire migliore e sicuro.
I nostri emigrati tappezzano le loro case australiane di ricordi e di foto di Gordona e restano fedeli alle loro Madonne, generose di benedizioni e di grazie a
cominciare dalla Vergine del Buon Consiglio di Bedolina, raffigurata in molte
delle loro case.
Dentro le soddisfazioni, i successi, la conquista del benessere, i sogni realizzati si annida un sentimento velato di amarezza, un dubbio che non dà tregua:
“E se fossimo rimasti invece di partire?”. Nell’intervista a Daniele Gatti questa
sensazione diventa una dichiarazione: “Gli italiani che oggi vivono in Australia
fanno fatica ad accettare che negli anni la qualità di vita a Gordona è molto
migliorata, solo pochi anni dopo la loro partenza si sarebbero create le condizioni per potere vivere bene anche in Italia. Raggiunto il benessere economico,
ciò che manca ora è il senso di appartenenza a una comunità basata su rapporti
familiari e amicali creati e maturati nel tempo”. In Australia Daniele dice d’aver
goduto di una libertà non vincolata dalle restrizioni e dagli obblighi propri di
un paese piccolo come il nostro, dove tutti ci si conosce, ma ha sperimentato la
solitudine, la mancanza di relazioni importanti e durature, perché il lavoro ha
assorbito la maggior parte del suo tempo: “I primi anni soprattutto si cercava di
guadagnare più denaro possibile da inviare alla famiglia rimasta in Italia”. Quando Bernardo Capelli arriva in Australia è un ragazzo animato dall’entusiasmo
e dal sogno di una vita nuova e libera, i primi anni non pensa molto a Gordona, la nostalgia è un sentimento soffocato da nuove emozioni: “Tutti abbiamo
pianto per la nostalgia, anche se si fatica ad ammetterlo, ma quando sei giovane
trovi molti motivi per andare avanti, per pensare al futuro; ci consolava la presenza di altri compaesani o italiani, ci dava l’idea di essere ancora tra di noi”.
Da cinquant’anni Mora Pelanconi abita la stessa casa a Hamilton Hill, dove ha
stabilito buoni rapporti con il vicinato. Le piace l’Australia, che offre una vita
serena agli anziani e ottime opportunità di lavoro per figli e nipoti, soddisfazioni che l’hanno lungamente ripagata dei sacrifici iniziali, ma il ricordo torna
sempre vivo alla sua Coloredo.
“Oggi la nostalgia, in parte accantonata lungo gli anni, complici gli impegni e i successi in campo economico, riaffiora”, racconta Luciano De
Giambattista, “vedendo mancare Giovanni Capelli e Bernardo Battistessa
e altri, per noi è come vedere la nostra Gordona che si disfa; si stacca di tanto in tanto un pezzetto che non torna più. Pur se non ci si frequenta spes-
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so, ciascuno sa che l’altro c’è e questo non solo basta, ma è tutto. Al telefono mi capita di sentire le campane di Gordona e ogni volta mi commuovo”.
“Fino a quando hai il papà e la mamma, hai anche la casa paterna; quando però
i genitori non ci sono più, la tua casa diventa quella che hai costruito tu”. Così
gli emigranti tornano a visitare gli amici e i parenti a Gordona e, dopo il piacere
di aver camminato di nuovo sul suolo dei propri antenati, torna la voglia di
rimettersi in viaggio per un nuovo ritorno a casa, laddove ad attenderli ci sono
i figli e i nipoti.
“La vita dell’emigrante non troverà mai pace: non si sentirà mai a suo agio né da
una parte, né dall’altra del mondo”, Livia Battistessa.
Raduno di Gordonesi in Australia: Luciano De Giambattista (Giamba), Martino Dolzadelli, Michele Battistessa, Pio Capelli, Bernardo Capelli, Luca Gatti, Daniele Gatti,
Nando Gatti, Cleto Guerini, Bernardo Dolzadelli, Giacomo Dolzadelli.
Sono trascorsi più di sessant’anni dall’inizio di questo viaggio.
All’età di vent’anni, venuti a conoscenza dell’opportunità di lavorare in Australia, racimolato il denaro necessario per il viaggio, approdati nel continente australiano per costruirsi un futuro, gli emigranti proseguono il loro viaggio nella
vita da pensionati attorniati da figli e nipoti. Qualcuno è tornato a Gordona,
molti sono rimasti in Australia, altri ci hanno lasciato definitivamente.
Tra i tanti ricordi resteranno vivi come immagini quelle bellissime giornate che
Bernardo Capelli ha trascorso pescando sulle scogliere in compagnia dei suoi
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cani Laddie e Miffy, assaporando la libertà e il vento fresco che giunge dall’Antartico, i viaggi attraverso l’Australia di Pio Capelli a bordo di un camper, e la vita
nella farma di Bernardo Dolzadelli, che ha chiamato Scèrman, in mezzo a vigna,
frutteto e bestiame.
Alcuni fotogrammi di questo racconto ci restituiscono in maniera tangibile il
sapore dell’avventura, il senso di libertà, le vite dei nostri emigranti che si intrecciano, i momenti goliardici e il piacere di ritrovarsi semplicemente insieme:
chissà, magari anche per ricordare la nostra Gordona…
E ci ritroviamo anche noi a sorridere vedendoli lì: in gruppo, rilassati di fronte
a un obiettivo, per immortalare un momento di spensieratezza che nessuno di
loro avrebbe mai immaginato diventasse la copertina del racconto della loro
storia. Alle loro spalle immense distese di spazi aperti e davanti a loro la voglia
di godersi ogni istante di questa avventura.
100
parol cĥie camina
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Parol cĥie camina i da trué
quii cĥie partii a scercĥié lauré,
tanci egn fé ié laèè al paiis
senza tö dre tanti valiis.
Adiu a tüt quel cĥie i evan a cĥièèr
par andé daloinsc, delé dal mèèr
cut ent in la tešta i regoort zupèè
cume i fil di piz dal su valèè.
Pocĥia l’eva la vöia d’andé
cul desideri un dumee da turné.
Parol cĥie camina, fem un piasé,
truee quela jent e disicĥ cuma le.
De l’Italia ign jemò infurmèè
disicĥ dumà cĥian se curivèè.
A Gurduna; al virtü di nös vecc urmai lin šparii
lööcĥ e muntagn ign pü cuštüdii,
se pensa dumà al prugress e a šté bee
e pena se po’ lavasan al mee.
Tegnii i regoort cĥii töcc andé via
cĥie quii negĥiügn i vi purtaré via.
Regurdee emò l’uduu de štala e casìna?
el prufüm di mangié de na povra cüsina?,
de cèèrt la vöia la ve emò raštèda
de riis o pašta cun la šferzèda.
Adèss in tal paiis al gĥié pü de štal,
pü negĥiügn porta al brental
el pont de la Bögia le fenii jù in la val.
Parol cĥie camina i da fé n’opera buna:
fermass se sentii a parlé da Gurduna.
fanada
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L’autore sembra voler affidare alle parole il compito di portare un messaggio a
tutti coloro che molti anni fa hanno lasciato il paese per cercare lavoro e fortuna
altrove, lontano, molto lontano... addirittura “delé dal mèèr”, cioè aldilà dell’oceano, principalmente in Australia, ma non solo. Nel suo cuore, infatti, l’autore
pensa in prima battuta ai suoi familiari, partiti per l’Argentina quando lui era
ancora un ragazzino.
A tutte quelle persone, che lasciarono Gordona con un bagaglio povero di beni
ma ricco di virtù, ricordi, sentimenti e malcelata voglia di fare presto ritorno,
vorrebbe recapitare un’immagine del paese di oggi. Non si riferisce, però, solamente al panorama attuale italiano, di cui è facile avere cognizione grazie ai
mezzi di comunicazione; si riferisce anche e soprattutto a ciò che è cambiato in
Gordona e, in modo particolare, nei gordonesi.
Con parole intrise di nostalgia, vorrebbe semplicemente dire loro “cĥian se curivèè”, “che siamo dispiaciuti”... poiché l’Italia non è più quella di un tempo e
anche Gordona, quella Gordona che gli emigranti conservano intatta nel cuore
oggi come allora, non esiste più. I valori di una volta, le virtù delle generazioni
passate, quel senso di orgoglio e di rispetto che portava a prendersi cura di ciò
che il paese, nella sua semplicità, sapeva offrire...
Oggi quella vita sembra perduta per sempre, sopravvive solo nel desiderio malinconico di coloro che amano tuttora ricordare e ritrovare frammenti di quel
tempo e di quel mondo. “Regurdee emò l’uduu de štala e casìna? El prufüm de
mangiè de na povra cüsina?” Suggestioni olfattive fanno da cornice a questo
quadro di ricordi... l’odore di stalla e di baita... e ancora i profumi di una cucina
povera, come un piatto di riso o di pasta “cun la šferzèda”, cioè conditi con un
soffritto di burro e cipolla.
Un modo di vivere semplice e autentico che è andato sgretolandosi nel tempo...
Oggi in paese non ci sono più stalle, perché non c’è più nessuno che fa il contadino e che ogni giorno si reca alla latteria col “brental” sulle spalle, colmo di
latte appena munto e di fatica.
Il timore più grande è che realmente tutto ciò possa andare perduto per sempre,
come il vecchio ponte sul Boggia...
Il vero messaggio, dunque, che l’autore affida alle sue parole non è tanto quello
di far sapere a chi è partito da quella Gordona tutto ciò che è andato perduto,
ma è un accorato appello a conservare, custodire e raccontare a chi quella Gordona non l’ha vissuta, una storia che è ancora possibile mantenere in vita. Una
storia vissuta in dialetto e che solo in dialetto può essere restituita appieno.
Per ascoltare la poesia declamata dall’autore:
http://youtu.be/Q9buaFf W2M4
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appendici
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Pensieri in scioltezza
di Gemma ed Enrico Tavasci
Sono inquietanti i numeri degli emigranti lungo i secoli riesumati dall’archivio
comunale: identità senza volto, come volatilizzatesi, che rivendicano a Gordona
il diritto di esistere, un angolo dentro il suo cuore sempre grande, a chi piace
l’etimologia Cor-dona. Cominciamo dall’Australia, auspicando si passi agli altri continenti, Europa inclusa, per testimoniare cultura e valori di Gordona,
sull’esempio dei nostri emeriti cittadini che hanno seminato in tutto il mondo
pezzetti del nostro piccolo paese.
Questo lavoro intende rivitalizzare vicende personali senza pretese di divenire
storia, ma che a Gordona possono e debbono colmare una lacuna generazionale
fra le tante obbligate da secolari difficoltà economiche endemiche nella Valchiavenna, isolata dal resto dell’Italia, intrappolata fra le Alpi, di traverso anche
fisicamente tra il Nord Europa e la ricca Pianura Padana, razziata lungo i secoli
delle sue bellezze e della sua gente.
Il troppo tempo lasciato trascorrere ha sopito i ricordi, scolorito la freschezza di
emozioni e sentimenti e noi temiamo di non possedere la sensibilità e il pathos
necessari per interpretare esistenze trascorse sul filo della sopravvivenza, a volte,
da nostri compaesani, sfuggiti da miserie certe per essere travolti da paradossali
incertezze.
Quel pathos (lo chiamano i filosofi), quel magone soffocato dentro l’anima di
tanti genitori che hanno consumato la vita nell’inutile attesa dei figli dispersi in
Russia dopo la Seconda guerra mondiale, rancidito e quasi omertoso all’appello
di 60 milioni di emigrati italiani nel mondo che hanno lasciato terre fertili di
loro fatiche e di loro sentimenti in questa Italia ricca di monumenti celebrativi,
ancorché smemorata, fatalista se non opportunista in questo mondo globalizzato, questo confuso mercato planetario senz’anima.
Quel pathos (meravigliosa sorpresa!) sopravvissuto, integro, ritrovato fra le
mani nodose e consumate dei nostri emigrati gordonesi in Australia che ci hanno pregato di riporlo, in qualche modo, fra i tesori del reliquiario collettivo di
Gordona.
Siamo entrati nelle loro case e un po’ nella loro vita in punta di piedi, rispettando pensieri, opinioni e giudizi; temendo di violare la loro discrezione e il
loro pudore, a volte, nello sfogliare il loro diario di vita: “Non vi diciamo tutto!”, era l’usuale introduzione al racconto. Non abbiamo preteso forzature né
confidenze che, seppure utili per raffronti, collegamenti interpersonali per una
eventuale sintesi di storia collettiva, striderebbero con il buon senso misurato e
un po’ schivo di noi paesani, nonostante pochi emigrati abbiano rinunciato alla
proverbiale veracità, a volte graffiante, che caratterizza i gordonesi.
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Pur rischiando inesattezze od omissioni, ricordare è una nostra promessa e un
nostro dovere che pagano, in parte, il debito di riconoscenza della nostra comune Patria nei loro confronti, quando non ha saputo garantire loro nessun
futuro, nonostante le vittime sacrificate da due terribili e assurde guerre.
E ci piace offrire lo spunto per approfondimenti e scambi culturali tra Gordona
e l’Australia, favoriti, obbligati, quasi, da un andirivieni dei figli di seconda e
terza generazione che continuano un processo osmotico di scambio di valori e
affetti comuni tra la vecchia Europa e il Nuovo Continente .
Siamo solo spiaciuti, e ce ne scusiamo, di non aver incontrato di persona tutti i
nostri emigranti sparsi nell’immenso continente australiano, ma onorati di aver
pregato sulla tomba di alcuni, anche a nome e per conto di tutti i gordonesi.
Il moderno e preziosissimo Museo dell’Immigrazione a Fremantle, elenca su
fredde targhe metalliche migliaia di immigrati: i nomi dei nostri li vorremmo
anche a casa loro, a Gordona. Vogliamo ascoltare le loro storie curiosi e ansiosi
come si faceva sui monti, uniti attorno allo stesso focolare.
Chiediamo ai lettori di racimolare i resti dei ricordi di tutti gli emigrati gordonesi nel mondo per avvolgerli, come in una sindone, dentro il cuore della nostra
cultura civica.
Gemma ed Enrico Tavasci
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Testimonianze
raccolte da Gemma ed Enrico Tavasci
Riportiamo, in ordine cronologico rispetto alla data di emigrazione, le interviste chiedendo anticipatamente venia per le inevitabili ripetizioni dovute a esperienze comuni o similari, avendo scelto di trascrivere i racconti il più fedelmente
possibile.
Usiamo, poi, il tempo verbale presente nell’illusione di comprimere gli anni
passati, di annullare le distanze e di rendere quasi palpabile la presenza degli
emigrati nel mezzo della Gordona di adesso e trasmettere, per conduzione, sentimenti e affetti ancora caldi che ci fanno tutti orgogliosamente gordonesi.
GIACOMO BATTISTESSA (1896 - 1978)
Siamo rammaricati di non essere riusciti a recuperare testimonianze di questo concittadino che sarebbe il primo gordonese a mettere piede in Australia. La sua emigrazione coincise con la grande crisi economica mondiale del 1929 e ci viene facile,
perciò, supporre non gli sia stato possibile rimanere là più a lungo.
Grazie ai timbri presenti sul passaporto, possiamo ricostruire il suo viaggio: il
visto alla partenza del Commissariato di P. S. del porto di Genova è datato 15
giugno 1928. L’arrivo a Fremantle porta la data del 15 luglio 1928. Il visto del
ritorno, sempre al porto di Genova, è datato 26 luglio 1930. C’è il timbro di
Harbour police - Porto di Colombo in data 1 luglio 1930.
DOMENICO GUGLIELMANA (1913 - 1986)
Ha fatto ben tredici anni di servizio militare e ha vissuto in Australia, come
prigioniero di guerra, dal 1945 al 1947. Dopo aver partecipato nel 1935 e 1936
alle operazioni belliche della Campagna in Africa Orientale, viene di nuovo
chiamato alle armi in Africa orientale nel giugno del 1940. Fatto però prigioniero dagli inglesi, viene trasferito in India. Rimane prigioniero in India per
quattro anni, fino a quando riesce a fuggire e, con alcuni compagni, raggiunge
l’Australia. Trovano lavori saltuari come scaricatori e trasportatori di merci, ma
vivono costantemente nella paura di essere ancora fatti prigionieri. Solo dopo
due anni dall’arrivo in Australia, vengono a sapere della fine della guerra; si consegnano, quindi, immediatamente alle autorità locali e sono subito rimpatriati.
Torna così in Italia nel 1947 e solo il 21 aprile dell’anno successivo riceverà il
sospirato foglio di congedo che attesta, in data 12 febbraio 1947, la cessazione
dello stato di prigionia.
109
CLITO BATTISTESSA (1928 - 2011)
Al suo arrivo in Australia nella primavera del 1951, sulla nave mercantile Napoli con il primo gruppo di gordonesi, è accolto da Merizzi che gli procura il
lavoro a Perth, in una ditta per la fabbricazione di tegole.
Successivamente, per un periodo di 4-5 anni, trova occupazione nei lavori di disboscamento per le woodlines: è una vita di lavoro molto duro, ma riesce ad annegare nostalgie e ricordi nella soddisfazione per i buoni risultati ottenuti con
tanto sudore. Acquista un appezzamento di terra a Bassendean nel Midland,
dove inizia a coltivare una vigna e a costruire la sua casa, trovando un lavoro più
vicino che lascerà a sessant’anni. È venuto una sola volta in Italia, nel 1966, e
non è più tornato: si sentiva troppo spaesato nel constatare il progresso fatto a
Gordona rispetto alla vita di stenti e fatica che l’aveva costretto a emigrare, ma
la nostalgia gli fa ricordare con dovizia di particolari e con rimpianto la vita sul
Muntèl e le visite dei suoi parenti a casa sua in Australia.
SIRO DELL’ANNA (1924)
A causa della scarsità di lavoro matura la decisione di emigrare in Australia, anche
se economicamente rappresentava allora una pazzia, perché, a fronte di una paga
di 28 mila lire mensili, ci si doveva indebitare per 250 mila lire, solo per pagare il
viaggio. Parte il 25 aprile 1951 con la Napoli, con l’idea di rimanere in Australia
per sempre. Il lavoro non manca, ma i primi problemi sono causati dalla completa
ignoranza della lingua inglese: dopo solo una settimana di lavoro a Perth, trova
occupazione in una cava di sassi in compagnia di altri valchiavennaschi. Lavora in
seguito in segherie e come molatore di circolari, ma anche nei boschi bonificando
il terreno per costruire farms. Nel 1956 decide di rientrare in Italia per assistere i
genitori, rinunciando definitivamente al suo sogno australiano.
MARTINO DOLZADELLI (1925 - 2009) E ROMANA GATTI (1932 2000)
Martino aveva lavorato per una stagione alla latteria di Gordona, come aiuto
casaro e, successivamente, in Svizzera come boscaiolo. Desiderava fare il muratore, ma il lavoro scarseggiava, decide quindi di partire per l’Australia con i soldi
del viaggio ricevuti in prestito dall’enda Maria: si imbarca nell’aprile 1951 sulla
nave mercantile Napoli con altri sei gordonesi. Come primo impiego lavora in
una segheria a Perth, poi si trasferisce a Spearwood e ancora a Fremantle, dove
resterà più di dieci anni. Inizia poi a lavorare come saldatore meccanico, in una
fabbrica del Queensland dove resterà fino alla pensione.
Nel 1953 aveva sposato Romana Gatti per procura, per facilitarne l’espatrio.
Con Romana inizia subito a costruire la casa, lavorando duramente nei fine
110
settimana. Iniziano anche a coltivare un orto di 1,5 acri per produrre carote,
cipolle e fagiolini da vendere al mercato.
Rientrati per la prima volta in Italia nel 1972, trovano ovviamente molti cambiamenti che, se fossero avvenuti prima, li avrebbero certamente trattenuti in
Italia.
ALFREDO FERRARI (1927 - 1985)
Testimonianze rese dalla moglie Ida Tavasci e dalla sorella Elsa.
Parte il 25 aprile 1951, durante il viaggio sta molto male e sente via via più
forte la nostalgia per il paese che ha appena lasciato. Scendendo dalla nave a
Fremantle, nel chiudere un portellone si ferisce a una mano ed è costretto a
farsi prestare dei soldi per curarsi. Dopo un breve periodo di lavoro nel bosco,
si trasferisce ad Adelaide, dove acquista un camion con cui lavora per trasportare e consegnare le merci. Rientra a Gordona nell’aprile 1960 e, pur coltivando
inizialmente un vago desiderio di ritornare in Australia, decide poi di restare.
EGIDIO GUGLIELMANA (1917 - 1995)
Da una chiacchierata con la moglie Egidia Tavasci.
Anche lui fa parte del primo gruppo di pionieri: in Australia lavora con Clito
Battistessa prima nel bosco, dove aveva paura di perdersi perché c’erano pochi
punti di riferimento, poi anche in fonderia. Lavora per un certo periodo anche
ad Adelaide. Pochi suoi compaesani, in quel periodo, hanno girato l’Australia
come lui. La moglie in Italia aveva preparato i documenti per raggiungerlo e
aveva già la carta di imbarco, quando lui, senza alcun preavviso, rientra in Italia
nel 1953. Non manifesta particolare entusiasmo per la sua breve esperienza in
terra australiana e, pensando anche alle difficoltà a lasciare solo l’anziano padre
Carmelo che gestiva l’antico mulino di Coloredo, decide di restare in Italia.
IDO TABACCHI (1927 - 1975)
Da alcuni sofferti ricordi della moglie Giuliana Gianolini.
Parte con il primo scaglione del 1951: lavora inizialmente a Spearwood per la
costruzione di una strada con Battista Biavaschi, poi si trasferisce al Nord a Carnarvon, nelle piantagioni di banane e fagioli.
Soffre molto per il clima e ricorda di aver trascorso due anni costretto a far la
minestra con l’acqua del mare, a causa di una prolungata siccità. Nel 1959, con
i suoi amici e compagni di lavoro di Samolaco, rientra in Italia completamente
calvo, avendo lasciato i suoi capelli al caldo australiano, ma è purtroppo costretto ad abbandonare il progetto di ritornare in Australia per assistere i genitori
anziani.
111
FELICE TAVASCI (1924 - 2010)
Parte il 25 aprile 1951 con il primo gruppo di sette, con un contratto di lavoro
della durata di due anni stipulato con l’Agenzia Merizzi e Marchesi. Per i primi
mesi lavora a disboscare e produrre legname per le armature delle gallerie nelle
miniere di Kalgoorlie insieme ad Alfredo Ferrari ed Egidio Guglielmana. A Natale del 1951 con l’amico Amerigo Gianoli di Prata Camportaccio si trasferisce
ad Adelaide, dove cambia diversi lavori prima di trovare stabile occupazione
in una trafileria e fabbrica per l’utensileria da ferramenta, dove lavorerà per 38
anni e mezzo, fino alla pensione. Rientra una sola volta in Italia, nel novembre
del 1976, con la moglie e i figli, riscontrando molti cambiamenti rispetto alla
partenza. Anche l’Australia è cambiata in cinquant’anni: se agli inizi esistevano
molte opportunità di trovare lavoro, attualmente è molto più difficile.
BATTISTA BIAVASCHI (BACIOCH) (1925)
Parte da Genova nel novembre 1951 e, sbarcato a Fremantle, viene indirizzato
a Nannup dove, con Renzo Morelli e Pio Capelli, lavora a tagliare alberi nel bosco, ma sono pagati molto poco, per cui rimpiange la paga che percepiva quando lavorava in Svizzera. Si trasferisce nei pressi di Fremantle dove lavorerà in
una cava per un paio d’anni. In seguito, si sposta in zona di Kojonup lavorando
in un macello di pecore e poi a Carnarvon dove per circa sette anni lavora nelle
piantagioni di banane e ortaggi. Successivamente, insieme a Tino Vener di Samolaco, acquista un camion con il quale si spostano per lavorare a scavare pozzi
per l’acqua e a realizzare palizzate. Si spostano in continuazione e dormono
sul cassone del camion. Rientra in Italia nel maggio del 1969 con il biglietto di
ritorno, perché intenzionato a tornare in Australia, restando poi invece definitivamente a Gordona.
AGOSTINO BINI (1930)
Parte da Genova con il secondo scaglione di sette sulla nave Napoli, nel 1952.
Come primo lavoro è in una segheria a Jarradel con Albino Pedeferri di Menarola, dove si trova molto bene. Dopo poco inizia a lavorare anche di sabato a
mezzadria in una farma. Dopo quattro mesi però lascia la segheria e va nel bosco a tagliare alberi. Cambia molte professioni e luoghi, vivendo e lavorando a
Kalgoorlie, Perth, Marbellup, Mount Barker, Kojonup e Katanning, costruendo case. Ad Albany esegue anche altri lavori come costruzioni di recinzioni e
attività di disboscamento. A Katanning acquista un terreno per costruire la casa
e gioca anche a calcio nella prima squadra. Dopo poco incorre però in un incidente stradale: intenzionato a rientrare in Italia per sei mesi per le cure, tornato
in Italia è però costretto a prestare il servizio militare, che allora aveva la durata
112
di 18 mesi. Coltiva sempre l’idea di ritornare in Australia, ma alla fine resterà
in Italia.
PIO CAPELLI (1930)
Dietro pressione dell’Agenzia Vitali di Sondrio che cerca lavoratori per il Western Australia, dove l’Agenzia Merizzi e Marchesi garantisce lavoro immediato e
volendo evitare il servizio militare, si imbarca il 3 novembre del 1951 sulla nave
mercantile Napoli a Genova.
Arrivato a Fremantle passa la notte al porto e il mattino successivo si sposta
prima fino a Bunbury e poi fino a Nannup dove inizia il lavoro nei boschi per
tagliare alberi. Dopo altri lavori come dipendente, ma intenzionato ad aprire
un’attività autonoma, decide di imparare la lingua inglese e va a lavorare in una
farma abitata da soli inglesi. Con il guadagno da queste prime attività, inizia
a ripulire il lotto di 750 acri di terreno che con il fratello Giovanni ha ritirato
dal governo. Dopo poco decide di cedere tutta la farma al fratello e di lavorare
ancora in una segheria. Successivamente acquista un camion e si dedica al trasporto di merci. Compera poi un terreno di 20 acri in Albany dove alleva polli
da macellare, attività che svolgerà fino alla pensione.
GINO DELL’ANNA (1927 - 1994) E ANELIA DELL’ANNA (1923)
Anelia decide di andare in Australia per raggiungere il fidanzato Gino Dell’Anna, arrivato in Australia il 2 dicembre 1951, su invito del futuro cognato Siro
Dell’Anna.
Gino aveva inizialmente lavorato nel bosco lungo le woodlines, a tagliare legna da
ardere per far funzionare le pompe dell’acquedotto tra Perth e Kalgoorlie.
È un grosso problema per Anelia decidere di partire, perché le spiace lasciare
soli la mamma e il papà.
Si convince comunque a partire dopo essersi sposata per procura e con il biglietto pagatole dal fidanzato.
Sulla nave Oceania salpa il 23 settembre 1955 dal porto di Genova e approda
nel porto di Fremantle il 16 ottobre. Appena arrivata segue il neo marito in una
baracca nel bosco a Napier, a 30 km da Albany, dove Gino lavorava a bruciare
le sterpaglie per preparare farms. Abitano in una semplice baracca di legno con
il tetto di lamiera, sprovvista di corrente elettrica, costretti a usare lampade a
petrolio e candele; una cisterna raccoglieva l’acqua piovana. I primi tempi la
vita non è per nulla più facile di quella che avevano vissuto a Gordona. Ritirano
poi dal governo un lotto di bosco da ripulire, dove allevano per circa un anno
trecento pecore per la lana merinos e poi bestiame per carne da macello. La preparazione del terreno per il pascolo si è protratta per lungo tempo e nel 1967,
113
al loro primo rientro in Italia, erano riusciti a ripulire soltanto metà della loro
farma. Rientrano successivamente in Italia nel 1972 con il figlio Tony e Gino,
da solo, nel 1982. Nell 1983 e nel 1994 tocca a lei, da sola, il viaggio a Gordona.
GIUSEPPE ABBONDIO DOLZADELLI (Bundi) (1932 - 2011) E MARGHERITA BIAVASCHI (Marghe) (1932)
Abbondio in Italia lavora per la Mutura e per Giacomo Guglielmana, come inserviente. Informato da Domenico Gatti che aveva letto sul giornale di un’offerta di lavoro per l’Australia, decide di partire con lui, già con l’idea di rimanervi
definitivamente. Parte da Genova sulla nave Napoli con il secondo gruppo dei
sette, sbarcando dopo ventotto giorni di ininterrotto mal di mare a Fremantle.
All’arrivo è anche lui accolto dagli agenti Merizzi e Marchesi, cui aveva già pagato 10 mila lire per la cena e per il pernottamento.
Nel 1954 è raggiunto in Australia dalla mamma Maria Dolzadelli (che abiterà
con lui fino alla morte avvenuta a Fremantle nel 1986) e dalla sorella Rita, che
rientrerà invece definitivamente in Italia nel 1972.
I primi tredici anni in Australia li passa nel distretto di Kojonup, cambiando
molti lavori.
Marghe raggiunge dopo ben dieci anni il fidanzato Abbondio che fa richiesta
per l’espatrio e le paga il biglietto, partendo il 6 gennaio 1961 sulla nave Oceania assieme a Silvia Tabacchi e Pietro Pedretti.
Acquistano poi un terreno di quattro acri e vi coltivano ortaggi (fagiolini e patate, principalmente) da destinare al mercato.
Nel 1970 rientrano per la prima volta a Gordona quando, ricordano, erano appena iniziati i lavori per la strada carrabile per Bodengo. Marghe ritornerà in
Italia anche nel 1999.
RENZO MORELLI (1920 - 1978)
È trascorso troppo tempo e i suoi cari non ricordano molto. È giustificabile, visto il
breve periodo di vita passato in Australia.
Parte con il secondo gruppo dei sette. Lavora per i primi tempi a Nannup, al taglio dei Kerri insieme a Pio Capelli e Battista Biavaschi, e si trasferisce in seguito
nella zona di Kojonup. Rientra in Italia dopo quattro o cinque anni.
PIETRO PEDRETTI (PLANCIA) (1931)
Ricordi della sorella Anna.
Parte con il secondo gruppo dei pionieri per lavorare nei boschi e, successivamente, nel Queensland, nella coltivazione della canna da zucchero. Non è mai
rientrato a Gordona anche perché, quando è partito, durante il viaggio ha sof114
ferto tantissimo il mal di mare. Ha scritto regolarmente alla mamma, ripetendo
un ‘arrivederci’ che non si è mai concretizzato.
ANTONIO (GIGLIO) BATTISTESSA (1927 - 2004)
Parte nel febbraio 1952, con il terzo gruppo di sette, lasciando in Italia la moglie e i tre figli.
Lavora per un certo periodo nella raccolta della canna da zucchero nel Queensland dove già lavoravano Livia e Gianni Balatti, ma la sua principale attività
si svolgeva in miniera. Sente forte la nostalgia per moglie e figli ai quali scrive
‘pensatemi sempre come io vi penso’ sul retro delle foto, recanti anche le località
dove lavora: Isa, Norseman e Bute.
Rientra nell’agosto 1957. Vorrebbe ritornare in Australia, ma non riesce a convincere la moglie a seguirlo; le migliorate condizioni economiche in Italia lo
inducono poi a rimanere.
BERNARDO BATTISTESSA (1931 - 1978)
Quella che segue è una testimonianza resa dalla sorella Gina Battistessa.
Ha lavorato per dieci anni in Svizzera, ma posto di fronte alla scelta di diventare
cittadino svizzero oppure lasciare definitivamente la Confederazione Elvetica,
preferisce tornare a Gordona. Sull’onda dell’emigrazione in Australia, anche lui
prepara i documenti per l’espatrio. Arrivato in Australia, inizialmente, come del
resto quasi tutti, trova lavoro nei boschi e poi si trasferisce in città per imparare
la lingua inglese. Diventerà campione dell’Australia nella tosatura delle pecore,
arrivando a tosarne fino a duecento al giorno. Acquista a prezzo agevolato un
blocco di terreno per costruirvi la casa, accanto a quella di Gino Dell’Anna e di
Renzo Tavasci.
GIOVANNI CAPELLI (1926 - 1990)
Non siamo riusciti, purtroppo, ad avere molte notizie di lui e della sua Australia.
Parte per l’Australia con il terzo gruppo di sette e lavora al taglio dei boschi e al
trasporto del legname.
Con il fratello Pio acquista una farma, lavorando per un certo periodo insieme.
Quando le loro attività si separeranno, Giovanni riprenderà il lavoro di disboscamento per la preparazione della farm. Trova successivamente occupazione al
Nord, facendo il cuoco nei cantieri per la costruzione delle strade.
GUIDO CIABARRI (1932 - 2003)
Brevi affettuose note del fratello Medardo (Ninino).
Il più giovane del gruppo, parte per l’Australia nel 1952, a soli 19 anni, imbar115
candosi a Genova sopra l’ormai famigerato mercantile Napoli. Arriva in Australia dopo ventotto giorni. Inizia a lavorare a Spearwood prima in una cava
di sassi, poi nei boschi assieme ad Agostino Bini e successivamente in segheria
a Kojonup.
Era sua intenzione richiamare dall’Italia il fratello Ninino, muratore, per costruire insieme la casa e poter così invitare i genitori a vivere con loro. All’inizio
degli anni ’60, però, durante il taglio di un albero, con la motosega si infortuna
gravemente e viene curato per un anno nell’ospedale di Perth. Torna in Italia,
nel 1961, pensando di poter essere curato meglio, e non torna più in Australia.
ELVIO GIANOLI (1931 - 2010)
Presenta contemporaneamente domande per emigrare in Canada, Stati Uniti,
Gran Bretagna e Australia, affidando la scelta alla sorte. Parte nel febbraio del
1952, con il terzo gruppo di sette gordonesi e viene accompagnato con il mulo
a Chiavenna a prendere il treno. Giunto a Fremantle, è preso dallo sconforto
vedendo le lamiere arrugginite delle costruzioni del porto: sarebbe tornato immediatamente indietro se avesse avuto in tasca i soldi per il biglietto di ritorno!
Dopo un periodo di duro lavoro in molte zone diverse, principalmente impegnato nel taglio della legna, nel 1957 acquista una segheria con il fratello Lino.
Dopo essersi sposato acquista casa a Morley Park, nei pressi di Perth e cambia
poi lavoro definitivamente: lavorerà per la posa del calcestruzzo, il primo anno
alle dipendenze di un’impresa e per altri trent’anni in proprio. Nel 1975 e nel
1985 rientra a Gordona dove rimane per lunghi periodi e preferisce ascoltare le
notizie del suo paese, piuttosto che raccontare le avventure dell’Australia.
GIUSEPPE MAZZINA (1917 - 1968)
Trascorre in Australia un breve periodo di cui resta il ricordo in poche fotografie.
Lavora a Kojonup in segheria con un certo Guidi di Prata Camportaccio, detto
Marangon, e con Rino Battistessa. Rientra dopo circa 4-5 anni.
LORENZO TAVASCI (1931 - 2014)
Parte con altri sei gordonesi da Genova nel febbraio del 1952 ed è a lungo impegnato in lavori nei boschi, anche in solitudine, dove soffre molto anche per
il clima. Successivamente acquista una fattoria abbandonata di 300 acri a 12
miglia da Denmark e alterna il lavoro nelle segherie a quello di pulizia della
fattoria. Dopo aver ripulito quattro acri di terreno, vi pianta 800 passion fruit
con la speranza di poter campare bene con i raccolti futuri, ma il suo progetto
fallisce perché i conigli gli distruggono la piantagione durante le assenze per il
lavoro in segheria. Rientra definitivamente in Italia nel settembre del 1955.
116
PIETRO CLEMENTE BATTISTESSA (1931 - 2000)
Testimonianza della moglie Melinda.
Parte per l’Australia nel 1952 con un contratto che assicurava l’anticipo del costo del viaggio, da rimborsare a rate durante il lavoro.
Lavora nei boschi vicino ad Albany; appena comprato la motosega nuova e gli
attrezzi necessari, però, si fa male a una gamba ed è ricoverato per parecchio
tempo in ospedale. Al suo rientro… non trova più i suoi attrezzi di lavoro. Riprende a lavorare nella farma che aveva preparato, dove alleva alcune mucche, e
si costruisce anche una casetta.
RINO BATTISTESSA (1924 - 2004)
Testimonianza resa dalle nipoti Cecilia e Miriam Battistessa.
Emigra in Australia nel 1952; due anni dopo il suo arrivo è raggiunto dalla moglie e dal loro primogenito. Vive e lavora a Mount Barker, in società con Giovanni Capelli e Bernardo Dolzadelli.
Ha difficoltà a trovare casa e, inizialmente, trova sistemazione nella casa di due
anziani accuditi dalla moglie Alma, dove ha a disposizione un piccolo locale
con pavimento in terra battuta e una branda, così corta che i piedi fuoriuscivano dal letto. Cerca di dare una mano alla famiglia che lo ospita.
Alla morte degli anziani, la casa rimane di loro proprietà e la moglie Alma cerca
di dare il suo contributo al mantenimento della famiglia facendo lavori di pulizia nei clubs. Nel 1967 rientra in Italia per sei mesi: in quell’occasione vende
tutti i suoi beni trasferendosi definitivamente in Australia.
DOMENICO GATTI (1932) E RITA PEZZINI (1935)
Domenico, primo di quattro fratelli a emigrare in Australia, si imbarca sulla
nave Sidney nel maggio 1952. Nei primi mesi lavora con Cleto Guerini presso i De Boni. Cambia poi diversi lavori, trovando occupazioni spesso con altri
gordonesi, e nel 1955 inizia a lavorare nel settore elettrico frequentando anche
dei corsi serali per elettricisti. Lavorerà poi come responsabile della manutenzione delle macchine in un’industria tessile di Adelaide, rimanendovi fino alla
pensione.
A Gordona, dove la sua famiglia si è trasferita dalla Val Gerola, Rita ha occasione di conoscere Domenico Gatti grazie ai contatti con sua mamma Giovannina. Sarà proprio mamma Giovannina “galeotta” a convincere Domenico a scrivere a Rita e invitarla a raggiungerlo in Australia. Decide quindi di partire, con
l’incoscienza della gioventù, nel 1958, sola con un tale della val Gerola che si
ferma a Sidney e di cui perde le tracce. Anche ora, trascorsi oltre cinquant’anni,
non ha ancora fatto pace con l’Australia!
117
Arriva ad Adelaide l’8 marzo e incomincia subito a predisporre le pratiche per
il matrimonio celebrato il 12 aprile. Nel 1977, Domenico ritorna per la prima
volta a Gordona, quasi costretto dalla moglie, già rientrata una prima volta da
sola.
CLETO GUERINI (1931) E MARIA TAVASCI (1932)
Cleto decide di partire per l’Australia anche per evitare il servizio militare e, per
questo, sarà considerato disertore per i successivi dodici anni. Partito nel 1952
con il terzo gruppo, una volta sbarcato a Fremantle trova il primo impiego nella
segheria di un De Boni di Samolaco, poi lavora in una fabbrica di concime, nel
disboscamento e nella costruzione di recinzioni di farms.
Il 16 settembre 1955 Maria si imbarca sulla nave Oceania con il biglietto che
Cleto aveva pagato per lei. Quando la mattina del 13 ottobre la nave attracca al
porto di Fremantle, Maria riconosce sulla banchina altri compaesani, ma non
scorge Cleto, che si trova in ospedale con la gamba ingessata, essendo stato investito da un’auto mentre lei era in viaggio. Cleto e Maria si sposano il 29 ottobre
e la convalescenza di Cleto si protrarrà fino al mese di agosto del 1956. In seguito inizia a lavorare come autista di camion per il trasporto della legna nel territorio di Bunbury, per un’azienda di cui diventerà anche socio. Nel 1962 Cleto e
Maria si trasferiscono nella casa che avevano costruito a Birchley Rd. Nel 1969
Cleto incorre in un altro serio incidente sul lavoro e in seguito, con due soci,
ritira al Nord nei pressi di Port Hedland, al confine con il deserto, un ranch di
1,4 milioni di acri (circa 5600 km quadrati), dove allevano pecore, bestiame per
carne da macello e dove vivono capre, cammelli ed emù allo stato brado.
Nel 1965 ritornano in Italia per la prima volta, con i primi tre figli. Trovano
tutto cambiato in meglio e un poco rimpiangono che quel progresso non sia
avvenuto prima, risparmiando loro la partenza e il distacco dai propri cari…
Rientrano ancora in Australia, consapevoli che la loro famiglia e i loro progetti
sono là dove sono emigrati. Successivamente tornano a Gordona tante volte, da
soli e con i figli.
FRANCO TAVASCI (1931 - 1979)
Testimonianza resa dalla moglie.
Emigra in Australia nel 1952. Dapprima lavora a Kalgoorlie e poi, per un certo
periodo, per conto di Cleto Guerini in una segheria, a Kojonup. Successivamente subentra a un socio ritirando la sua quota del 25 per cento di una segheria: ama molto il suo lavoro che svolge con competenza e professionalità e ha
molti amici con i quali si trattiene cordialmente. Ritorna in Italia la prima volta
nel 1970 con i figli Roberto e Mario. Durante il lavoro in segheria si occupa dei
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lavori di preparazione di una farma che apparteneva a un medico e poi ne acquista una propria dove costruisce una casetta, lasciando inizialmente la segheria
per stare più vicino alla famiglia. Invitato per la sua competenza a ritornare nella
segheria, vi rimarrà fino all’incidente in cui perderà la vita, proprio il giorno in
cui si era recato a pagare l’ultima rata del contratto d’acquisto della sua farma.
GIOVANNI (GIANNI) BALATTI (1931) e LIVIA SABINA BATTISTESSA (1930)
Giovanni lascia Gordona nel febbraio del 1953 a causa della scarsità di lavoro e
fino al maggio del 1954 lavora in una fabbrica nel Sud-Ovest dell’Australia. Per
qualche anno lavora poi come dipendente nel taglio della canna da zucchero e
nel 1958 acquista una farma in cui la coltiva.
Livia raggiunge Giovanni nel 1955, sbarcando a Brisbane il 21 novembre.
Gianni e Livia si sposano lo stesso giorno, due ore dopo l’arrivo di Livia. Dopo
alcuni impieghi come cuoca e domestica, dal 1958 Livia lavora col marito nella
coltivazione della canna da zucchero nella loro farma.
Nel 1964 (da gennaio ad aprile) Gianni e Livia rientrano per la prima volta a
Gordona, trovando le condizioni economiche del paese notevolmente migliorate. Sono poi tornati in Italia diverse altre volte.
MICHELE BATTISTESSA (1932) e CECILIA TABACCHI (1936)
Michele si imbarca il primo di agosto del 1954: parte non conoscendo nulla
dell’Australia e di quanto avrebbe trovato.
Una volta arrivato lavora con il fratello Clito e poi, per un anno, è occupato nella mungitura delle mucche in una farma a Dardanup, vicino a Bunbury. Lavora
anche in una fabbrica di concime per un anno e per dieci anni per il Comune di
Swan Valley nella manutenzione delle strade. Da ultimo lavora nel magazzino
di deposito e di controllo dei pneumatici per la West Farm, una ditta di trasporti verso il nord.
Ricorda la malinconia condivisa durante i ritrovi la sera con gordonesi e samolachesi a Perth, quando ripeteva: “Se l’acqua del mare arrivasse solo fino al
ginocchio, vedresti una fila indiana di emigranti tornare in Italia con il mantign
annodato sul bastone in spalla”.
Superate però le prime difficoltà e sostenuto anche dalle lettere della fidanzata
Cecilia, abbandona piano piano il desiderio di rimpatriare e si compra una casa.
Cecilia parte dall’Italia nel luglio del 1957 sulla nave Neptunia. La mamma,
contrastando molto la sua decisione di partire e temendo per il viaggio tanto lungo per sua figlia giovane e sola, si rifiuta di controfirmare la domanda di
espatriare; solo il padre vi apporrà la firma. Arriva a Fremantle il 12 agosto e si
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sposa dopo soli cinque giorni dall’arrivo, il 17 agosto. Lavora come domestica
e come sarta.
Nel 1970 rientrano con i figli la prima volta, trovando pure loro “il Piano ristretto e le montagne più rialzate”.
DANIELE GATTI (1935)
Parte per l’Australia, richiamato dal fratello Domenico, nel 1954, imbarcandosi
sull’Oceania.
Al suo arrivo lavorerà i primi mesi nella segheria dei De Boni insieme a Cleto Guerini, poi nei boschi, condividendo con i compagni il caldo e la vita dura per circa
cinque anni. Nel 1959 rientra per la prima volta in Italia. Ritornato in Australia, nel gennaio del 1961 si trasferisce verso sud, ad Adelaide, lavorando per circa
vent’anni nel deserto interno a posare tubazioni per gasdotti e oleodotti.
Quando ogni inverno va a fare le ferie nel Queensland è affascinato dal verde e dalla vegetazione rigogliosa delle coltivazioni della canna da zucchero e delle banane.
GIACOMO DOLZADELLI (1931 - 2003)
Dalla testimonianza resa dalla moglie Nerida.
Giacomo Dolzadelli sbarca in Australia nel 1954 con la nave Neptunia. Alterna
sei mesi di lavoro al nord nel Queensland nelle piantagioni di canna da zucchero
con Antonio Tavasci e Luca Gatti e sei mesi nel New South Wales per la raccolta del tabacco. Nel 1964 Giacomo decide di raggiungere il fratello Martino nel
Western Australia, nei pressi di Perth, dove costruisce la sua casa. Nell’ottobre del
1965 Giacomo e Nerida si sposano, attorniati da soli gordonesi: solo la giovane
sposa è australiana. Giacomo lavora per trent’anni a Cockburn in una ditta per la
posa di calcestruzzo, come assistente meccanico.
Nel 1969 torna in Italia per la prima volta e trova tutto cambiato; lui e Nerida
ritorneranno a Gordona nel 1976, nel 1978 e nel 1997 trattenendovisi per sette
mesi. Nerida ritornerà a Gordona anche nel 2004 per deporre al cimitero l’urna
delle ceneri di Giacomo, morto nel 2003.
MARIA DOLZADELLI (1906 - 1986)
Nel 1954, chiamata in Australia dal figlio Abbondio, parte da Gordona portando
con sé anche la figlia più piccola Rita. Vivrà con lui fino alla morte, avvenuta nel
1986.
CLITO CAPELLI (1933 - 2006)
Brevi pensieri della moglie Nina Capelli.
Parte da Trieste nel giugno 1955 con Gasparino Dell’Anna e Mario De Agostini.
120
Lavora nel Queensland nei campi di tabacco e di canna da zucchero. Impara l’inglese frequentando corsi serali ed esercitandosi a conversare con i bambini di una
famiglia di australiani che gli aveva offerto ospitalità. Rientra in Italia nel 1964 per
aiutare la mamma nei lavori della campagna.
MARIO DE AGOSTINI (1929 - 2010)
Parte nel 1955 insieme a Clito Capelli e Gasparino Dell’Anna.
Nessuno è riuscito a darci altre notizie.
GASPARINO DELL’ANNA (1929 - 1987)
Testimonianza della sorella Rosa Caterina Dell’Anna.
Parte nel 1955 con un contratto di lavoro che prevedeva l’anticipo del costo del
viaggio. Sbarca a Sidney.
Ritorna nel 1973, con il primo figlio di appena un mese, per trovare i genitori.
Torna ancora nel 1983, quattro anni prima della sua morte.
BERNARDO CAPELLI (1935)
Si imbarca con Marco e Luca Gatti e con Ettore Tabacchi a Genova sulla nave
Surriento, che parte il 13 maggio 1955 e arriverà a Fremantle il 6 giugno. Subiranno un incidente stradale la sera stessa dell’arrivo e passa i primi giorni in
ospedale. Dopo la convalescenza, con Marco, si dirige verso Kojonup dove lavorano per un po’ con altri gordonesi. Negli anni successivi cambia molti lavori
e zone, nel 1962 compra casa a Mount Barker e con Lino Pedretti e Bernardo
Dolzadelli lavora a Denbarker a contratto nella segheria di Peter Rizzi, che poi
acquisterà. Nel 1971 rientra in Italia per la prima volta per un periodo di otto
mesi, molto incerto se fermarsi definitivamente. Tornato in Australia, conosce
però la moglie e decide di restare, continuando a lavorare nel taglio del bosco e
nella segheria.
LORENZO FUMAGALLI (1937)
In Italia lavora nel settore edile ma, richiamato dallo zio Rino Battistessa, si imbarca a Genova sulla nave Australia del Lloyd Triestino e sbarca a Fremantle nel
maggio 1955. Con Bernardo Capelli trova subito lavoro a Kojonup e poi in una
segheria per i Tomaini a Rocky Gully fino alla fine del 1956, per passare, sempre nelle segherie, con Lino Gianoli a Mount Barker fino al 1958. Lavora poi
nel taglio dei boschi per circa sette anni, nella zona tra Kojonup e Manjimup,
spostandosi. Lavora quasi sempre nelle segherie con italiani e iugoslavi. Si sposa
con Maxine e ha tre figli. Vive in una farm di 150 acri e, ci dice, “in compagnia”
di cinquanta mucche, quaranta vitelli, due buoi e duecento galline.
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LUCA GATTI (1937)
Parte il 13 maggio 1955 con la nave Surriento insieme al fratello Marco, Bernardo Capelli ed Ettore Tabacchi e arriva il 6 giugno 1955. La sera dell’arrivo
è coinvolto nell’incidente fatale anche per altri gordonesi, per cui si ritrova in
ospedale. Non è certo questo un buon avvio dell’avventura australiana. Lavora
nel bosco con altri connazionali. Nel 1961 si sposa con Faye, di origini croate,
e hanno tre figli.
MARCO GATTI (1936)
Parte nel 1955 e sbarcato a Perth è coinvolto, con i compagni di viaggio e i
paesani, nell’incidente d’auto, più volte rievocato, che li costringe quasi tutti in
ospedale. Lui ci rimarrà per due mesi con le spalle rotte, senza alcuna assistenza,
per cui, dopo le dimissioni dall’ospedale, deve mettersi al lavoro per pagare, a
rate, le spese ospedaliere. Il lavoro a contratto in quel periodo era nel bosco,
nella zona di Kojonup e Rocky Gully, alternato a periodi passati nelle segherie.
Nel 1962 si sposa con Piera, italiana conosciuta in Australia, e hanno due figli.
Rientra a Gordona nell’aprile 1969, con la famiglia.
ETTORE TABACCHI (1929)
Parte il 13 maggio 1955 e, insieme a Marco, riporta le maggiori ferite nell’incidente della prima sera in terra australiana. Dopo la dimissione dall’ospedale,
per sette mesi lavora a Spearwood con Pio De Boni e suo fratello, trasferendosi
poi al nord a Carnarvon dove lavora nelle piantagioni di banane e fagioli, dove
soffre molto il caldo. Successivamente lavora a Holtkrik con un contratto governativo per la costruzione di un ponte.
Con Battista Biavaschi decide poi, quasi improvvisamente, forse spinto dalla
nostalgia, di rientrare definitivamente in Italia per il Natale del 1959.
LINO GIANOLI (1937)
A Gordona aveva lavorato per tre anni nella panetteria di Martino Dell’Anna,
ma essendo già partito per l’Australia il fratello Elvio, decide di raggiungerlo. Si
imbarca a Genova nel luglio del 1955 sulla nave Surriento, pagando il biglietto
poco più di 200 mila lire. Uscito dal Mar Rosso e imboccato l’Oceano Indiano
è assalito da rimpianti, dallo sconforto e dal senso di smarrimento, davanti a
un’estensione enorme di acqua che non aveva mai visto. Svolge molti lavori e
nel 1961, pensando al lavoro che faceva in Italia prima di partire, acquista una
panetteria in Mount Barker dove passerà 9 anni.
Nel 1970 apre una lavanderia-lavasecco a Perth e ben presto raggiunge il successo, aprendo altri negozi fino agli attuali otto. A lui resta però il sogno nel
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cassetto, per cui era partito da Gordona: avere una farma dove poter allevare
mucche e produrre formaggio e latticini. Nel 1994 acquista due farms di 1600
acri in aggiunta a una già precedentemente preparata, e arriva ad allevare oltre
seicento mucche che è in grado di mungere in un’ora e 45 minuti.
BERNARDO DOLZADELLI (1936)
Lo zio Giuseppe Mazzina in Australia gli anticipa i soldi per il viaggio e parte
da Genova con la nave Surriento il 17 ottobre 1955 assieme a Livia Battistessa.
Sbarca a Fremantle l’11 novembre, rimane una notte a Perth con lo zio e poi
raggiunge Kojonup, dove per sei settimane lavora in una fabbrica di mattoni.
Successivamente lavora con diversi gordonesi, per periodi più o meno brevi, ripulendo farms e in segherie. Si trasferisce poi a Mount Barker, dove acquista una
segheria in comproprietà con Bernardo Capelli e un Rizzi di Teglio. Nel 1995
si trasferisce con la famiglia in una farma di 75 acri dove costruisce la propria
casa: nella sua ‘hobby farm’, chiamata Scèrman, alleva un centinaio di mucche e
di vitelli, oltre ad avere una vigna, il frutteto e il pollaio.
MORA BARILANI PELANCONI (1932)
Nasce a La Plata in Argentina, dove il padre Guglielmo, detto Nino, e la mamma Romilda erano emigrati all’inizio del ‘900. Parte da Genova sulla nave
Australia l’11 novembre 1955, lasciando Gordona innevata e sbarca, dopo un
viaggio tranquillo in cui è sempre stata bene, a Fremantle il 4 dicembre sotto un
sole cocente, a 40 gradi di temperatura. Per un mese rimane con suoi parenti a
Spearwood e poi si trasferisce a Perth, dove lavora per due anni in una sartoria.
Nel 1958 si sposa con Renato Barilani, originario della provincia di Como, conosciuto in Australia. Ritorna in Italia per la prima volta nel 1979 con la figlia
minore. Ritornerà altre volte in Italia, l’ultima delle quali nel 1996. Da quarantacinque anni abita nella stessa casa ad Hamilton Hill.
FERDINANDO PIERINO (NANDO) GATTI (1935)
La sorella Romana insieme al marito Martino Dolzadelli, già in Australia, gli
approntano i documenti per la partenza. Imbarcato sulla nave Roma parte nel
dicembre 1955 e sbarca a Fremantle il 21 gennaio 1956.
Appena arrivato trova impiego in una farma con compaesani, dove rimane circa
due anni. In seguito cambia molti lavori, soprattutto in segherie nel distretto di
Kojonup e poi a Jungalap, a Ieremina e a Mount Barker e Franklan. Nel 1968
rientra per la prima volta in Italia con due figli e vi resta per sei mesi. Anche per
lui la prima impressione tornando a Gordona è stata quella di trovare tutto rimpicciolito. Dopo alcuni mesi di lavoro in una ditta impegnata nella posa delle
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tubazioni per il gas, nel 1971 riprende il lavoro in segheria, dove starà per venti
anni. Nel 1975 acquista dal governo un lotto di 700 acri da ripulire per trasformarlo in farma e nello stesso anno costruisce la casa dove abita attualmente ad
Albany, con la famiglia.
MEDARDO (NININO) CIABARRI (1933)
Parte per l’Australia come tutti, in cerca di lavoro, con il biglietto di viaggio
pagatogli dal fratello Guido, precedentemente emigrato. Salpa da Genova nel
maggio del 1956 sulla nave Sidney della Flotta Lauro; giunto a Fremantle, lavora per qualche mese con suo fratello Guido nell’edilizia. Lavora anche una stagione a disboscare e bruciare sterpaglie: è un lavoro duro, in solitaria nei boschi.
Passa poi a lavorare in una segheria a Kojonup, assieme a Marco Gatti, Franco
Tavasci e Silvio Biavaschi. Acquista in seguito una segheria a Busselton, assieme
al fratello e a due toscani. Continua questo lavoro per circa tre anni, poi vende
la segheria e torna in Italia nel 1962. Prova nostalgia per l’Australia, ma decide
infine di rimanere definitivamente a Gordona.
ANTONIO TAVASCI (1929)
Testimonianza resa dalla sorella Tecla Tavasci.
Parte per l’Australia nel maggio 1956, imbarcandosi sulla Sidney con Ninino
Ciabarri e raggiunge a Spearwood la sorella Maria e il cognato Cleto Guerini
con cui lavorerà nei boschi, nelle segherie e, stagionalmente, anche nel Queensland per la raccolta della canna da zucchero. La sua attività principale è quella
di autista, addetto al trasporto del legname, ma lavora anche in segheria con
il cugino Bernardo Capelli. Rientra in Italia per la prima volta per la Pasqua
del 1967; dopo l’estate ritorna in Australia per poi far rientro definitivamente
in Italia nel 1971, a bordo della Galileo Galilei con la sorella Tecla, in viaggio
premio per la sua elezione di Miss Italia per il Western Australia. Tornerà per un
breve periodo in Australia nel settembre 1981.
TIZIANO DE AGOSTINI (1935 - 2003)
Ricordi del fratello Arturo.
Parte da Gordona il 19 dicembre del 1956 insieme a Lino Pedretti. Lavora per
bonificare terreni, poi nel Queensland per la raccolta della canna da zucchero e
successivamente in un cantiere per la costruzione di una diga, prima di mettersi a
lavorare in proprio. Sposa una donna di origine italiana e hanno due figli.
Rientra in Italia due volte. La moglie è venuta in Italia anche con la figlia e il genero
nel 2007. Si è recentemente trasferita a vivere in città, lasciando la farma, alquanto
scomoda e che, durante le frequenti alluvioni, doveva raggiungere in barca.
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LINO PEDRETTI (1934 - 2013)
Parte da Genova il 19 dicembre del 1956, assieme a Tiziano De Agostini. In
seguito alla crisi del canale di Suez, devono passare da Gibilterra e circumnavigare l’Africa: dopo 31 giorni di navigazione difficoltosa sulla motonave Sidney, sbarcano a Fremantle. Al porto lo attende Daniele Gatti che gli procura il
lavoro già il giorno successivo. I primi mesi sono molto difficili per il caldo, per
il lavoro durissimo nei boschi e per la mancata conoscenza della lingua inglese.
Lavora poi nella zona di Kojonup con Giovanni Capelli e poi nella zona di
Mount Barker, dove abita insieme a Bernardo Capelli. Nel 1961 lo raggiunge il
fratello Pietro. Nel 1964 rientra a Gordona dove trova tutto cambiato e si pone
il dilemma se rimanere in Italia o ritornare in Australia. Decide comunque di
ripartire, ma nel 1966 un serio problema di salute, difficilmente curabile in
Australia, lo costringe a rientrare in Italia per le cure necessarie e decide infine
di fermarsi a Gordona.
BATTISTINO BALATTI (1934 - 2007)
Rievocazione della sorella Nina Balatti.
Emigra in Australia nel 1957 e trova lavoro nei boschi nei pressi di Perth.
Successivamente acquista una segheria nella zona di Rocky Gully che gestisce, avendo alle sue dipendenze una dozzina di persone. Quando un incendio,
appiccato durante la ripulitura dei boschi adiacenti, gli distrugge la segheria,
incassa il risarcimento dell’assicurazione e si ritira dal lavoro. Rientra una sola
volta in Italia, nel 1964.
SILVIO BIAVASCHI (1933) e RITA DOLZADELLI (1943)
Constatato che in Italia non esistevano altre occupazioni se non nella campagna, che per tutti era divenuta insufficiente, e allettato dalla prospettiva di progettare il futuro diversamente, Silvio abbandona Gordona e raggiunge Genova
dove si imbarca per l’Australia il 6 agosto 1957. Trova subito lavoro presso le
ferrovie nel montaggio e nella manutenzione dei binari a Kojonup. Ha poi
l’opportunità di incontrare Bernardo Dolzadelli e Nando Gatti che lo convincono a fare il boscaiolo, a 50 miglia da Kojonup. Per sei anni, dal 1967 al 1973,
dirige una segheria a Dale River Mell, a 70 miglia da Perth.
Rita Dolzadelli arriva in Australia nel gennaio del 1954, a soli 11 anni, insieme
alla mamma Maria e al fratello Giuseppe Abbondio. In Australia frequenta le
scuole primarie e secondarie. Si sposa con Silvio nel 1962 e hanno quattro figli.
Rientrano in Italia il 29 maggio 1973 e riscontrano un cambiamento radicale
e un evidente sviluppo economico, per cui decidono di rimanere definitivamente.
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BICE BALATTI (1935 - 1997)
Dagli appunti della sorella Lia.
Parte da Gordona nel 1959 per raggiungere nel Queensland il fratello Gianni: è
fiduciosa di trovare presto un lavoro mettendo a frutto le sue capacità di cuoca e
di sarta. Cambia però attività quando si innamora e sposa un giovane di origini
venete, proprietario a Babinda di una farma dove coltiva canna da zucchero.
Nel 1964, con la famiglia, rientra per la prima volta a Gordona dopo un lungo
viaggio in nave.
Tornerà ancora, comodamente in aereo, nel 1979.
PIETRO PEDRETTI (1939)
Con in mano la cartolina per il militare (destinato all’aviazione) decide di partire per guadagnare un po’ di soldi e ritornare in Italia nel giro di due anni al massimo. Parte il 6 gennaio del 1961 sulla nave Oceania con Margherita Biavaschi
e Silvia Tabacchi per raggiungere in Australia suo fratello Lino.
Lavora per Cleto Guerini per undici mesi a Bollinger, nel taglio di alberi da
legname. Purtroppo incorre in un grave infortunio e, durante la sua convalescenza a casa della cugina Cecilia Tabacchi, conosce la futura moglie Hedda.
A quel punto lascia cadere i suoi progetti di ritornare in Italia e si sposa nel
1963. Alla guarigione, riprende il lavoro in vari settori finché si trasferisce a
Port Edland, lavorando nella posa di calcestruzzo, prima da dipendente e poi in
proprio. Rientra a Gordona per la prima volta nel 1970 con i figli e la moglie, e
ancora torna a scadenza biennale.
SILVIA TABACCHI (1934) e ALBINO SCARTACCINI (1934)
Silvia decide di chiedere alla sorella Cecilia, già emigrata in Australia, di inoltrare la sua domanda di espatrio, che viene accettata. Il costo del viaggio le sarà anticipato dalla sorella. Parte nel 1961 sulla nave Oceania e, arrivata in Australia,
vive a casa della sorella e trova subito lavoro a Woorloo, a 30 km a nord-est da
Perth, in un ospedale situato all’interno di un bosco. Dopo un anno si trasferisce nel reparto maternità dell’ospedale dello Swan Distrect, dove rimarrà a lungo impiegata. Nel frattempo rimane in corrispondenza con Albino Scartaccini,
suo compagno di scuola e amico d’infanzia, trascorsa con lui al Doss, e lo invita
a venire in Australia. Il 2 maggio 1962 Albino si imbarca a Genova sulla nave
Roma e raggiunge Fremantle il 29 maggio. Inizia a lavorare nell’edilizia e sposa
Silvia nel settembre del 1962. Nel 1976 pensano di rientrare in Italia con tutta
la famiglia, ma decidono poi di rimanere in Australia perché offre maggiori possibilità ai figli. Albino e Silvia vivono ora da soli in una casa a Serpentine, dove
si sono trasferiti per essere più vicini ai figli e ai 13 nipotini.
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GIUSY BIAVASCHI (1943 - 2014) E OTTAVIO DE AGOSTINI (1936)
Giusy e Ottavio arrivano a Fremantle il 24 settembre 1966 sull’Achille Lauro,
con già due figli e un terzo in arrivo. Sono stati chiamati in Australia da Silvio,
fratello di Giusy, che garantisce per i nuovi arrivati vitto, alloggio e lavoro per
due anni. Il primo lavoro di Ottavio è in una segheria a Rocky Gully, nel 1967 si
spostano a Mount Barker, continuando a lavorare in segheria e avendo sempre
contatti con altri gordonesi. Nel 1970 si trasferiscono ad Albany e nel 1976 a
Bolgart, a nord-est di Perth. L’eccessivo caldo fa loro prendere la decisione, nel
1978, di ritornare ad Albany dove Ottavio, per ottenere la licenza per vendere
vino e alcoolici, è obbligato a prendere la cittadinanza australiana per sé e per
la sua famiglia. La nostalgia per Gordona ha però il sopravvento e nel febbraio 1984, dopo aver venduto casa, partono per l’Italia. È però difficile trovare
un’occupazione: la cittadinanza australiana costituisce un ulteriore ostacolo.
Nel 1985 maturano la decisione sofferta di rientrare definitivamente in Australia, con i quattro figli. Ricomprano casa ad Albany e Ottavio riprende il lavoro
nell’edilizia. La figlia Sonia si trasferirà poi in Italia, e vive a Chiavenna con la
famiglia.
DOMENICO DOLZADELLI (1942 - 2010)
Parte nel dicembre 1966, assieme a un emigrante di Samolaco, grazie alle indicazioni fornitegli da Gino Dell’Anna, in visita in Italia in quel periodo, che
lo indirizza per le pratiche relative all’espatrio e lo accompagna al consolato a
Roma dove rilascia una dichiarazione in cui si rende garante per lui a Fremantle.
Sbarcato a Fremantle, si trasferisce prima ad Albany e poi a Mount Barker da
suo fratello Bernardo, dove rimane abbastanza stabilmente lavorando in segheria, anche con Lorenzo Fumagalli e Ottavio De Agostini, quest’ultimo a volte
sostituito da Gino Dell’Anna. Si sposta per brevi periodi anche a Rocky Gully,
dove lavoravano Marco Gatti e Battistino Balatti.
Rientra nel maggio 1971, con l’intenzione però di ripartire per il Canada, ma
l’inizio di una nuova attività lo trattiene definitivamente a Gordona.
TECLA TAVASCI (1948)
Matura l’idea di partire quando, nel 1965, la sorella Maria in visita dai genitori
a Gordona, con il marito Cleto e i primi tre figli, prima di tornare in Australia
la saluta con un “Perché non vieni là?!”. Anche il fratello Toni era in Australia. Parte il 10 aprile 1967, imbarcandosi a Genova sull’Achille Lauro, giunge
a Fremantle il 28 aprile e va ad abitare a casa della sorella Maria dedicandosi
all’apprendimento della lingua inglese. Nel 1971 si iscrive al concorso di Miss
Italia per il Western Australia, vincendo il titolo e ricevendo molti premi tra cui
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un viaggio di andata e ritorno in Italia che condivide, dal 30 settembre al 12
novembre 1973, con il fratello Antonio.
Ritornerà in Australia per poi rientrare definitivamente a Gordona nel febbraio
1974, trovando lavoro come segretaria interprete.
SANDRO DINO TABACCHI (1944)
Prima di partire lavora in Svizzera e poi a Gordona come pasticcere. Parte per
l’Australia nel 1968. Ad Adelaide frequenta un corso di sei mesi per imparare la
lingua inglese e trova lavoro in una pasticceria. Si sposa e ha due figli. Ora è in
pensione e si gode l’Australia che sente come casa sua, il mare vicino e il clima
caldo cui si è ormai abituato.
Non è più tornato in Italia, ma non è detto che, dopo quarant’anni, si lasci vincere dalla curiosità di rivedere Gordona!
LUCIANO DE GIAMBATTISTA (1949)
Partito il 1° ottobre del 1969 con l’Achille Lauro da Genova dichiara che, come
quasi tutti i gordonesi, il mare lo vide allora, la prima volta. All’arrivo a Fremantle, grazie all’aiuto di Gino Dell’Anna trova lavoro in un’officina ad Albany
come carpentiere meccanico, lavoro che svolgerà per una grande ditta italiana
fino al 1975, anno in cui rientra in Italia.
Dopo essersi sposato, nel 1977, decide di tornare in Australia con la moglie.
Riprende il lavoro a Kununurra, non distante da Darwin, dove si ferma per nove
mesi impegnato nella posa di tubature. Si trasferisce poi nella zona di Albany,
dove lavora sia alle dipendenze che da autonomo, impegnandosi sia in lavori
civili che industriali. Nel 1985 acquista una prima farma, in totale oggi ne ha
sette, e milleduecento mucche da macello.
Durante i primi anni vissuti in Australia ha sempre cullato l’idea di tornare e,
quando torna a visitare l’Italia, si ferma sempre a Gordona: “Il più bel posto del
mondo”.
LINA SCARTACCINI (1945) ed ERMANNO GIANOLI (1942)
Ermanno nel 1975 fa visita ai fratelli Elvio e Lino, già emigrati in Australia.
Rientrato in Italia, dopo l’insistenza di Lino perché lo raggiungesse, richiede i
documenti per l’espatrio e il 29 maggio 1979 parte per l’Australia con la moglie
Lina Scartaccini e i figli.
Ermanno lavora per tre mesi con il fratello Elvio nella posa di calcestruzzo,
mentre i figli frequentano la scuola e usufruiscono di un’ora settimanale con
un insegnante, per l’apprendimento della lingua inglese. Lavora poi ancora nel
campo dell’edilizia, per un paio d’anni. Si trasferisce poi al nord lavorando per
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un’azienda di distribuzione del gas. Essendo questa località molto distante da
casa, rientra in famiglia solo ogni quattro settimane, affrontando un viaggio
aereo. Richiede poi la licenza di costruttore e si dedica all’edilizia. Lina, dopo
aver preso la patente di guida, superati i timori per la guida sulla corsia di sinistra, trova lavoro presso la lavanderia del cognato Lino, dove resterà occupata
per ventidue anni.
Entrambi ora si godono la pensione nella loro casa a Sorrento, ridente località
balneare poco a nord di Perth. Nel 1981 sono rientrati in Italia per la prima
volta, da allora ogni anno Ermanno rientra a Gordona.
DANILO DELL’ANNA (1958)
Prima di partire per l’Australia, lavora per conto della ditta SAE di Milano per
costruzioni metalliche, lontano da Gordona per sette anni, di cui tre passati in
Arabia Saudita. Nel 1983, durante una serata fra amici, conosce Diana Dolzadelli (figlia di Martino e di Romana Gatti), in vacanza in Italia. Torna a lavorare
in Arabia Saudita, rimanendo in corrispondenza con Diana, di cui si è innamorato e che raggiunge in Australia con un visto turistico il 9 gennaio 1984.
Vanno ad abitare nella vecchia casa dei genitori di Diana e, dopo sei mesi di
soggiorno, ottiene il nulla osta. Lavora prima per quattro mesi a Darkan, nella
segheria di Nando Gatti, e poi per un anno nell’officina di carpenteria metallica
Bellotti. Diana insegna lingue in una scuola secondaria.
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Città
FREMANTLE
Era il primo porto di arrivo per tutte le navi che trasportavano immigrati
dall’Europa in Australia, e oggi occupa un posto sentimentale nelle memorie di
centinaia, di migliaia d’immigrati.
Si può tracciare l’importanza di Fremantle per gli immigrati italiani sino all’inizio del ‘900. Dopo l’apertura dei moli al Victoria Quay nel 1897, Fremantle diventò il porto principale del Western Australia, ruolo che prima era di Albany.
I primi immigrati italiani erano pescatori provenienti da Capo d’Orlando e
Molfetta, negli anni ‘80 dell’Ottocento. Nei decenni seguenti, la comunità
italiana si stabilizzò e i flussi migratori aumentarono grazie all’arrivo di mogli
e figli che raggiungevano i mariti e padri. Ne seguì la nascita e lo sviluppo di
aziende gestite da italiani (bar, ristoranti, negozi) e di attività come la pesca,
dominate da italiani e greci.
La presenza degli italiani non era sempre ben accettata: i pescatori di origine
britannica reclamavano che gli italiani vendevano il loro pesce a prezzi inferiori.
Durante la Seconda guerra mondiale numerose barche da pesca furono confiscate e i loro proprietari furono internati come “nemici stranieri”.
Nel secondo dopoguerra la popolazione italiana di Fremantle subì una crescita
vorticosa: negli anni ‘50 passavano per il porto circa 200 mila persone all’anno,
e Fremantle continuava a essere una tappa importante per gli immigrati che andavano in altre parti dello Stato.
La crescita e diversificazione dell’industria a Fremantle e nei dintorni incoraggiò più italiani a rimanere e a stabilire la propria casa lì. Molti italiani trovavano
lavoro al State Engineering Works, la catena di montaggio della Ford Motor
Company a North Fremantle, nell’azienda di salumi di D’Orsogna, all’impianto di Mills & Ware (produttore di biscotti) o nelle industrie primarie nella
zona di Kwinana.
All’aumento degli italiani a Fremantle corrispose la nascita di una serie di istituzioni e servizi – di tipo sociale, commerciale e culturale – che servivano prevalentemente una clientela composta di italiani.
L’Italian Club of Fremantle aprì alla fine degli anni ’60 e ancora è un importante
centro di attività cuturali e sociali per la comunità italiana.
Alla Basilica di San Patrizio la messa era condotta in italiano da preti giunti
dall’Italia o da preti che parlavano italiano…
La Benedizione della Flotta (Blessing of the Fleet) fu celebrata per la prima volta
nel 1948 da pescatori provenienti da Molfetta per venerare la loro patrona, la
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Madonna dei Martiri. Negli anni seguenti parteciparono i loro colleghi Capo
d’Orlandesi e anche pescatori portoghesi e croati.
(Susanna Iuliano, Vite Italiane, pp. 11-21).
GOLDFIELDS – KALGOORLIE
Fino all’inizio della Prima guerra mondiale, la maggior parte degli italiani in
Western Australia, quasi tutti uomini, abitava e lavorava nelle cittadine e nelle miniere e segherie dei Goldfields – un’ampia zona nel Sud-Est del Western
Australia.
È una zona di pianura e poco fertile, fondata verso la fine dell’‘800 (dopo la
scoperta di giacimenti d’oro da parte dell’irlandese Patrick Hannan nel 1892),
a 595 km da Perth. La città è tuttora nota per l’estrazione d’oro e altri metalli
come il nichel.
È collegata a Perth attraverso una linea ferroviaria che si estende fino a Sydney.
Nel primo dopoguerra gli immigrati nei Goldfields, compresi gli Italiani, subirono razzismo e violenza. Diversi episodi infiammarono l’opinione pubblica,
che rispose con violenza contro gli italiani (in particolare nel 1916, 1919 e nel
1934).
Il 27 gennaio 1934, un barista/albergatore italiano di nome Claudio Mattaboni
rifiutò di far credito a un minatore del luogo, Edward Jordan, dandogli lo sfratto. Jordan, indignato, tornò la sera dopo con alcuni amici, ma fu buttato fuori
a causa della sua ubriachezza e per essersi rifiutato di pagare il conto. Durante
uno scontro tra i due, Mattaboni picchiò Jordan che cadde colpendo la testa
contro il pavimento. Jordan morì due giorni dopo a causa di una frattura al cranio, insolitamente fragile. Iniziarono a girare voci secondo cui Jordan fosse anche stato pugnalato. Questo infiammò pregiudizi razziali, sociali ed economici
contro gli italiani. Una banda vandalizzò, diede fiamme e saccheggiò aziende
e proprietà italiane. Il giorno dopo, un comitato rappresentante delle miniere
principali dichiarò uno sciopero affinché tutti gli stranieri fossero licenziati. La
violenza scoppiò ancora una volta. Dopo alcuni giorni la pace tornò: tre morti,
86 persone arrestate, e 100 mila sterline di danni contro la proprietà.
(Susanna Iuliano, Vite Italiane, pp. 33-37).
PERTH
Capitale dello stato del Western Australia, è descritta come la capitale più isolata del mondo.
Separata a est dal Nullabor Plain, una regione arida/semi-arida priva di alberi.
Più vicina a Singapore (3901 km) che a Sydney (4057 km), si trova a 4-5 ore di
volo dalla costa orientale.
132
La zona metropolitana occupa più di 5000 km2.
Situata accanto una laguna a metà lunghezza del Swan River su una pianura
costale fra il Darling Range e l’Oceano Indiano.
Il porto di Fremantle è collocato a 25 km lungo la corrente del fiume.
Prende il suo nome dalla città natale in Scozia di Sir George Murray, Segretario
dello Stato Britannico per la Guerra e le Colonie. Venne fondata il 12 Agosto
1829 da James Stirling.
Nel 1946, Perth era la capitale dello stato con meno abitanti di tutta l’Australia,
con una popolazione di circa 268 mila persone. Tra il 1947 e il 1961, la popolazione raddoppiò arrivando a 475576 a causa dell’immigrazione postbellica
dall’estero.
Molti immigrati abitavano nei sobborghi e nei dintorni della zona industriale
di Kwinana, costruita nel secondo dopoguerra.
KOJONUP
Cittadina situata 256 km a sud-est di Perth e 160 km a nord di Albany, si trova
sull’autostrada principale di Albany Highway: un incrocio importante nel centro del Sud-Ovest del Western Australia.
Il nome Kojonup deriva dalla parola aborigena koja che significa ‘ascia di pietra’.
Il primo europeo a metterci piede fu Alfred Hillman nel 1837, che era alla ricerca di un nuovo passaggio da Albany fino all’insediamento inglese lungo il
Swan River.
Vi fu stabilito un avamposto per proteggere i viaggiatori e un servizio postale.
L’avamposto divenne una caserma intorno al 1845 ed è visibile ancora oggi,
trasformato in un museo dedicato ai pionieri della zona.
Fortemente legata al commercio della lana, dopo un boom a metà dell’‘800, per
celebrare l’importanza di questa industria, è stato costruito un monumento che
rappresenta un vagone per il trasporto della lana, che è stato inaugurato ufficialmente durante il giorno della Festa Nazionale del 2001.
SPEARWOOD
Sobborgo a sud di Perth, collocato nella città di Cockbur e situato nel territorio
aborigeno di Beeliar.
L’insediamento della zona (da parte di europei) cominciò dopo il 1850. La
zona fu suddivisa nel 1897 e venne nominata Spearwood Gardens Estate.
Zona di forte tradizione agricola: nonostante la terra non fosse molto fertile, la
facilità di accesso all’acqua freatica e la vicinanza ai mercati di Perth e Fremantle
incoraggiò quest’attività.
133
Nel secondo dopoguerra Spearwood si trasformò da una zona rurale a sobborgo residenziale.
Con l’introduzione di trattori e altre macchine per coltivare la terra, si iniziò
a lavorare campi più grandi e con una maggiore remunerazione. Alcuni ortofrutticoltori cercarono nuova terra più a sud per i loro orti (spesso mancava lo
spazio a Spearwood per gli orti e la nuova terra era meno costosa), facilitando
lo sviluppo di Spearwood come una zona residenziale.
Lo sviluppo negli anni ‘50 della zona industriale di Kwinana creò nuovi posti
di lavoro per i residenti di Spearwood, nelle industrie prima e poi nei lavori di
costruzione di nuove case.
Negli anni ‘60 il Comune promosse un piano per la trasformazione ordinata
della zona in un sobborgo residenziale, prevedendo la suddivisione dei vecchi
appezzamenti e la costruzione di nuove strade.
Il primo ministro australiano, John Curtin, occupò la posizione di membro del
parlamento federale di Fremantle, compreso Spearwood, dal 1922 al 1928.
ALBANY
Fu dichiarato territorio del Regno Unito nel 1791 da una spedizione britannica
guidata da George Vancouver.
Il porto naturale venne nominato King George III Sound, per rendere onore al
re dell’impero britannico.
Dopo l’arrivo di Vancouver, diverse spedizioni francesi passarono per la zona.
A causa della presenza francese, i britannici occuparono la zona nel 1826 con
una pattuglia di truppe e un gruppo di carcerati (ai lavori forzati), guidati dal
maggiore Edmund Lockyer. Lockyer nomina l’avamposto Frederick’s Town (la
città di Frederick) in onore del Principe Frederick, duca di York.
Rimase ufficialmente un territorio di New South Wales fino alla fondazione
della colonia del Western Australia nel 1829, e venne rinominata Albany nel
1832.
Le principali attività furono fino agli anni ‘70 la caccia alla balena e alla foca,
quando anche l’ultima fabbrica nell’Australasia ad Albany venne chiusa per
motivi finanziari (secondo la compagnia). L’Australia vietò poi la caccia alla
balena nel 1979.
È stato il porto principale del Western Australia fino all’apertura del nuovo
porto a Fremantle nel 1897.
Il nuovo secolo portò anche nuove produzioni e industrie, come l’esportazione
di scorza per uso nella conciatura che durò fino agli anni ‘60. La produzione e
l’esportazione di carne, frutta e lana raggiunse il suo apice dopo gli anni ‘50,
quando queste industrie si trasferirono a Fremantle.
134
Altre attività industriali che ancora sono importanti, sono rappresentate dalla
produzione di superfosfato (perfosfato) e dall’esportazione di grano, ma anche
in minor misura dall’esportazione di trucioli di legna e di sabbia silice.
MOUNT BARKER
La cittadina è situata nel Sud-Ovest dello stato del Western Australia lungo la
Albany Highway, a 360 km a sud di Perth e a 50 km a nord di Albany. Mount
Barker Hill, a 5 km dal centro della cittadina, arriva a 404 m di quota sul livello
del mare.
Fa parte del Great Southern Region e fu fondata nel 1892. La coltivazione dei
meleti rappresentò un’industria importante fino a metà degli anni ‘60. Oggi
la viticultura, la coltivazione di grano e rape, la cura di piantagioni di alberi da
legname e l’allevamento di pecore e bestiame sono le attività agricole principali
della zona.
Fa parte delle cinque zone che costituiscono il Great Southern, regione di viticultura del Western Australia, la più grande dell’Australia.
135
18
AUSTRALIA
6
4
12
1
136
3
17
10
20
5
13
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11
14
9
7
19
8
15
2
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
Adelaide
Albany
Bassendean
Brisbane
Bunbury
Carnarvon
Cranbrook
Denbarker
Frankland River
Fremantle
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
Jingalup
Kalgoorlie
Kojonup
Manjimup
Mount Barker
Nannup
Perth
Port Hedland
Rocky Gully
Spearwood
137
138
L’emigrazione gordonese tra l’Ottocento e la Seconda guerra
mondiale
di Cristian Copes
Elenco completo dei gordonesi che, tra il 1901 e il 1945, chiesero un passaporto
per l’estero:
BALATTI
Agostino, nato nel 1891, figlio di Bernardo, contadino, per la Svizzera al principio del 1914.
Angelo, nato nel 1871 a Menarola, figlio di Giovan Battista, contadino, per la
Svizzera il 25 maggio 1913, il 29 aprile 1920 e il 19 giugno 1921.
Antonio, nato nel 1869 a Menarola, figlio di Giovan Battista, contadino, per la
Svizzera il 29 aprile 1920.
Battista, nato nel 1895 a Samolaco, figlio di Battista, per la Svizzera nel 1911.
Caterina, figlia di Martino, domestica, per la Svizzera il 18 novembre 1932.
Cecilia, nata nel 1915, figlia di Antonio, contadina e domestica, per la Svizzera
l’8 luglio 1930, il 18 gennaio 1931 e il 14 gennaio 1932.
Cristoforo, nato nel 1896 a San Giacomo Filippo, figlio di Cristoforo, muratore,
per la Svizzera il 13 febbraio 1931.
Giovanni, nato nel 1900 a Menarola, figlio di Giovanni, minatore, per la Germania il 6 novembre 1939.
Giovanni, nato nel 1905 a Samolaco, figlio di Antonio, contadino, per la Svizzera il 2 maggio 1930, il 18 novembre 1932, il 23 aprile 1934 e il 10 luglio 1937.
Giovanni, nato nel 1906, figlio di Antonio, contadino, per la Svizzera il 29 aprile 1920.
Giovan Battista Albino, nato nel 1891 a Menarola, figlio di Guglielmo, contadino, per la Svizzera il 16 giugno 1912.
Guglielmo, nato nel 1858 a Menarola, figlio di Giovan Battista, contadino, per
la Svizzera il 16 giugno 1912 e il 31 luglio 1913.
Lorenzo, nato nel 1891, figlio di Battista, per la Svizzera nel 1911.
Luca, nato nel 1866, figlio di Lorenzo, imbianchino, per la Francia il 28 ottobre
1915.
Luigi, nato nel 1924, figlio di Luigi, scolaro, per la Svizzera il 22 giugno 1937.
Maddalena, nata nel 1908, figlia di Martino, domestica, per la Svizzera il 20
giugno 1932.
Nando, nato nel 1908, figlio di Antonio, ferroviere, per la Svizzera il 6 luglio 1937.
Riccardo, nato nel 1896 a Mese, figlio di Antonio, minatore, per la Svizzera il
24 ottobre 1930.
139
BARA
Antonio, nato nel 1864, figlio di Domenico, bracciante e contadino, per l’Uruguay l’8 dicembre 1901, per l’Argentina il 5 gennaio 1913 e per l’America del
Sud il 31 agosto 1915.
Mauro, nato nel 1908, figlio di Antonio, possidente, per l’Argentina il 28 ottobre 1937.
BATTISTESSA
Aurelio, nato nel 1887, figlio di Pietro, contadino, per la Svizzera il 6 giugno
1909 e il 16 giugno 1912.
Battista, nato nel 1876, figlio di Giovan Pietro, contadino, per la Svizzera il 2
luglio 1921.
Battista, nato nel 1879, figlio di Domenico, contadino, per la Svizzera il 24 giugno 1912.
Bernardo, nato nel 1908, figlio di Antonio, carrettiere, per la Svizzera il 18 settembre 1933.
Caterina, nata nel 1892, figlia di Giacomo, contadina, per la Svizzera il 17 marzo 1912, per l’America del Sud il 4 ottobre 1912 e nuovamente per la Svizzera il
13 luglio 1914 e il 6 luglio 1920.
Caterina, nata nel 1913, figlia di Dionigi, domestica, per la Svizzera il 18 novembre 1932.
Celestino, nato nel 1878, figlio di Domenico, contadino, per la Svizzera il 22
giugno 1913.
Claudino, nato nel 1886, figlio di Giovan Battista, contadino, per la Svizzera il
23 aprile 1911 e il 14 maggio 1914.
Crescenzio, nato nel 1899, figlio di Giovanni, contadino, per l’Argentina il 22
ottobre 1926.
Dionigi, nato nel 1885, figlio di Giovanni, contadino, per gli Stati Uniti d’America il 7 novembre 1906, per la Svizzera il 27 luglio 1913 e per l’Argentina il
26 agosto 1927.
Domenica, nata nel 1892, figlia di Angela, contadina, per gli Stati Uniti d’America il 18 novembre 1913.
Domenico, nato nel 1869, figlio di Martino, contadino, per Buenos Aires l’1
agosto 1912.
Duilio, nato nel 1886, figlio di Battista, contadino, per la Svizzera il 7 luglio
1905 e per gli Stati Uniti d’America il 7 novembre 1906.
Elena Maria, nata nel 1895, figlia di Pietro, contadina, per la Svizzera il 29 luglio 1912 e per l’Argentina il 19 novembre 1925.
Erminio, nato nel 1890, figlio di Giovan Battista, contadino, per la Svizzera il
140
19 giugno 1910 e il 19 febbraio 1913, per gli Stati Uniti d’America il 4 maggio
1913.
Ernesto, nato nel 1882, figlio di Giovan Battista, contadino, per il Nordamerica
il 9 ottobre 1907, per la Svizzera il 16 novembre 1913 e il 26 maggio 1927.
Eugenio, nato nel 1892, figlio di Giovan Battista, contadino e muratore, per la
Svizzera il 28 maggio 1912, il 19 giugno 1928 e il 24 settembre 1930.
Fedele, nato l’8 aprile 1893, figlio di Domenico, contadino, per gli Stati Uniti
d’America il 27 settembre 1913.
Gaudenzio, nato nel 1875, figlio di Giovan Donato, contadino, per la Svizzera
il 4 luglio 1905 e per l’Argentina il 18 marzo 1908.
Giacomo, nato nel 1896, figlio di Giacomo, contadino, per l’Australia il 4 giugno 1928.
Giovanni Giacinto, nato nel 1915, figlio di Dionigi, minatore, per la Germania
il 16 ottobre 1939.
Josaphat, nato nel 1883, figlio di Domenico, contadino, per la Svizzera l’11
maggio 1910.
Luigia, nata nel 1885, figlia di Antonio, contadina, per la Svizzera il 6 luglio
1913.
Maria, nata nel 1860, figlia di Martino, pastorella e contadina, per la Svizzera il
2 giugno 1912, il 22 giugno 1913, l’8 agosto 1915 e il 26 agosto 1927.
Pietro, nato nel 1860, figlio di Giovan Donato, contadino, per la Svizzera l’1
agosto 1912.
Pietro, nato nel 1882, figlio di Domenico, contadino, per il Nordamerica il 20
maggio 1906 e per gli Stati Uniti d’America il 26 settembre 1913.
Serafino, nato nel 1879, figlio di Martino, contadino, per la California il 7 aprile
1909, per l’Argentina il 26 agosto 1927 e il 22 marzo 1928.
Silvio, nato nel 1888, figlio di Giovan Battista, contadino, per la Svizzera il 6
giugno 1909.
Umberto, nato nel 1883, figlio di Pietro, contadino, per una destinazione non
specificata il 25 marzo 1905 e per la Svizzera il 14 luglio 1912.
Biavaschi
Adele, nata nel 1888, figlia di Giovanni, contadina, per New York il 22 agosto 1915.
Agostino, nato nel 1912, figlio di Giovan Battista, contadino, per la Svizzera il
6 luglio 1937.
Albino, nato nel 1908, figlio di Giovan Battista, contadino e impiegato, per la
Svizzera l’11 aprile 1932, il 12 aprile 1933 e il 20 dicembre 1935.
Amalia, nata nel 1909, figlia di Fecondo, contadina, per la Svizzera il 15 maggio
1928.
141
Ambrogio Salvatore, figlio di Agostino, nato nel 1909, contadino, per gli Stati
Uniti d’America il 14 giugno 1937.
Battista, nato nel 1896, figlio di Giovanni, contadino, per la Svizzera il 25 luglio
1912.
Bernardo, nato nel 1895, figlio di Giovanni, per la Svizzera il 25 giugno 1911.
Cipriano, nato nel 1899, figlio di Giovanni, contadino, per la Svizzera il 24 giugno 1913.
Clelia, nata nel 1914, figlia di Fecondo, contadina, per la Svizzera il 13 giugno
1930.
Dosolina Bambina, nata nel 1902, contadino, per la Svizzera il 17 ottobre 1940.
Elvira, nata nel 1894, figlia di Giovan Battista, contadina, per la Svizzera il 22
ottobre 1919.
Emilia, nata nel 1898, figlia di Battista, contadina, per la Svizzera il 12 luglio
1927 e il 31 marzo 1931.
Emma, nata nel 1906, figlia di Giovan Battista, contadina, per la Svizzera il 15
maggio 1928 e il 14 marzo 1932.
Ersilia, figlia di Battista, contadina, per la Svizzera il 31 ottobre 1930.
Fecondo, figlio di Giovan Pietro, per il Nordamerica il 24 aprile 1904.
Giovanni, nato nel 1891, figlio di Agostino, contadino, per gli Stati Uniti d’America il 13 giugno 1920.
Giovanni, nato nel 1897, figlio di Domenico, contadino, per la Svizzera l’11
aprile 1920.
Giovanni, nato nel 1897, figlio di Ambrogio, contadino, per la Svizzera nella
seconda metà del 1920.
Giovanni, nato nel 1904, figlio di Pietro, contadino e minatore, per la Francia
l’11 aprile 1929 e per la Germania il 16 ottobre 1939.
Giovanni Attilio, nato nel 1892, figlio di Agostino, per il Montana il 15 maggio
1912.
Giovan Donato, nato nel 1887, figlio di Giovanni, contadino, per la California
il 7 aprile 1909 e per l’Argentina il 22 ottobre 1926.
Giovanni Ermagora, nato nel 1903, figlio di Giovan Pietro, per il Nordamerica
il 15 novembre 1903.
Giovanni Natale, nato nel 1867, figlio di Bernardo, falegname, per la Svizzera il
12 giugno 1912.
Giovanni Quirino, nato nel 1897, figlio di Natale, per la Svizzera il 23 maggio
1909.
Giovannina, nata nel 1897, figlia di Domenica, contadina, per la Svizzera il 26
febbraio 1914.
142
Innocenzo, nato nel 1873, figlio di Giovan Pietro, per la Svizzera il 15 ottobre
1911.
Lino, nato nel 1854, figlio di Martino, per New York il 28 settembre 1910.
Luca Giovanni, nato nel 1897, figlio di Ambrogio, contadino, per la Svizzera
l’11 maggio 1913.
Margherita, nata nel 1881, figlia di Giovan Battista, contadina, per New York il
21 agosto 1912 e il 22 agosto 1915.
Maria, nata nel 1891, figlia di Giovan Battista, contadina, per la Svizzera il 19
aprile 1911 e il 22 ottobre 1919.
Maria, nata nel 1900, figlia di Giovanni, contadina, per la Svizzera il 30 maggio
1920.
Maria, nata nel 1901, figlia di Ambrogio, possidente, per la Svizzera il 22 agosto
1920.
Martino, nato nel 1903, figlio di Giacomo, contadino, per la Svizzera nella seconda metà del 1920 e per l’Argentina l’1 aprile 1926.
Ottilia, nata nel 1908, figlia di Battista, contadina, per la Svizzera il 31 ottobre
1930.
Pasquale, nato nel 1903, figlio di Giovanni, pastore, per la Svizzera il 30 maggio
1912.
Bini
Eutichio, nato nel 1907, figlio di Agostino, minatore, per la Svizzera il 15 settembre 1930.
Francesco, nato nel 1906, figlio di Agostino, contadino, per la Francia l’11 aprile
1929.
Pietro, nato nel 1900, figlio di Francesco, muratore, per la Svizzera il 9 settembre 1930.
Braga
Giacomo, nato nel 1894, figlio di Giacomo, per la Svizzera il 14 febbraio 1912.
Brocchi
Anna Maria, nata nel 1911, figlia di Giovan Battista, contadina, per la Svizzera
il 7 giugno 1935.
Felicina, nata nel 1909, figlia di Giovan Battista, domestica, per la Svizzera il 25
ottobre 1931.
Maria, nata nel 1867, figlia di Caio, contadina, per la Svizzera il 7 agosto 1913.
Maria, nata nel 1889, figlia di Cristoforo, contadina, per la Svizzera il 10 giugno 1913.
143
Romilda, nata nel 1896, figlia di Cristoforo, contadina, per la Svizzera il 20 giugno 1913, per una destinazione non specificata il 26 agosto 1927 e per l’Argentina il 15 maggio 1928.
Buffoni
Pietro, nato nel 1840 a Corenno Plinio nel comune di Dervio, figlio di Pietro,
contadino, per la Svizzera il 22 marzo 1905.
Capelli
Antonio, nato nel 1852, figlio di Giacomo, pastore, per la Svizzera il 2 giugno
1912.
Barbara, nata nel 1902, figlia di Antonio, contadina, per la Svizzera il 21 giugno
1927.
Bernardo, nato nel 1905, figlio di Bernardo, per la Svizzera il 6 maggio 1931.
Camillo, nato nel 1883, figlio di Domenico, contadino, per la Svizzera il 5 giugno 1910.
Caterina, nata nel 1891, figlia di Giacomo, contadina, per la Svizzera il 19 maggio 1913.
Cornelio, nato nel 1883, figlio di Giacomo, per il Nordamerica il 20 maggio
1906.
Costanza, nata nel 1883, figlia di Giacomo, contadina, per la Svizzera il 13 luglio 1913.
Domenica Claudina, nata nel 1911, figlia di Pietro, casalinga, per gli Stati Uniti
d’America il 6 settembre 1939.
Edoardo, nato nel 1889 a Buenos Aires, figlio di Antonio, contadino, per la
Svizzera il 30 luglio 1905, il 30 aprile 1914, il 29 aprile 1920 e il 25 maggio
1930.
Elviro, nato nel 1902, figlio di Gaudenzio, contadino, per l’Argentina nel dicembre 1926.
Francesca, nata nel 1898, figlia di Antonio, contadina, per la Svizzera il 28 maggio 1912.
Francesco Vittorio, nato nel 1893, figlio di Antonio, per la Svizzera il 30 luglio
1911.
Gaspare Vittorio, nato nel 1904, figlio di Bernardo, contadino, per la Francia
l’11 aprile 1929 e il 25 aprile 1932.
Giacomo, nato nel 1892, figlio di Pietro, contadino, per la Svizzera il 28 maggio
1912 e per gli Stati Uniti d’America il 4 maggio 1913.
Giovanni, nato nel 1880, figlio di Pietro, bracciante, per il Nordamerica l’1
maggio 1907.
144
Giovanni Dino, nato nel 1909, figlio di Bernardo Leone, teleferista, per la Spagna il 13 febbraio 1940.
Giuseppe, nato nel 1898, figlio di Antonio, contadino, per la Svizzera il 30 settembre 1920.
Maddalena, nata nel 1890, figlia di Pietro, per la Svizzera il 23 settembre 1906
e l’1 ottobre 1911.
Maria, nata nel 1858, figlia di Giovanni, contadina, per la Svizzera il 28 agosto
1913.
Maria, nata nel 1895, figlia di Gaudenzio, contadina, per la Svizzera il 20 giugno 1913.
Pietro, nato nel 1892, figlio di Giovan Pietro, contadino e muratore, per la Svizzera il 6 febbraio 1914, per la Francia il 9 novembre 1926 e nuovamente per la
Svizzera il 23 ottobre 1930.
Spirito, nato nel 1900, figlio di Martino, contadino, per la Svizzera il 21 giugno
1928.
Teresa, nata nel 1908, figlia di Martino, casalinga, per gli Stati Uniti d’America
il 19 maggio 1931.
Caprile
Maria, nata nel 1873 a Prata Camportaccio, figlia di Luigi, pastorella, per la
Svizzera il 12 giugno 1912.
Cerfoglia
Maria, nata nel 1884 a Bugiallo (comune aggregato a quello di Sorico nel 1928),
figlia di Domenico, contadina, per la Svizzera il 7 luglio 1912.
Colombi
Ernesto, nato nel 1901 a Bema, carpentiere, per la Svizzera l’1 ottobre 1930.
De Agostini
Angiolina, nata nel 1878, figlia di Pietro, contadina, per la Svizzera il 20 giugno
1913.
Antonio, nato nel 1880, figlio di Pietro, contadino, per il Sudamerica il 16 ottobre 1904.
Carolina, nata nel 1881, figlia di Giovan Battista, contadina, per la Svizzera il
21 maggio 1905 e per Buenos Aires il 12 agosto 1912.
Domenica, nata nel 1906, figlia di Giovanni, contadina, per la Svizzera il 15
luglio 1929.
Fedele, nato nel 1903, figlio di Giovan Battista, contadino, per la Svizzera il 15
maggio 1928.
145
Giovanni, nato nel 1890, figlio di Giovanni, contadino, per l’Argentina l’1 luglio 1927.
Giovan Pietro, nato nel 1903, figlio di Giovanni, contadino, per la Svizzera il 14
marzo 1931.
Guglielmo, figlio di Giovanni, per il Nordamerica il 24 aprile 1904.
Guglielmo, nato nel 1873, figlio di Giovan Pietro, contadino, per la Svizzera il
25 giugno 1925 e il 9 agosto 1927.
Lorenzo, nato nel 1914, figlio di Giulio, contadino, per la Svizzera il 28 marzo
1929.
Maria Santina, nata nel 1904, figlia di Agostino, contadina, per la Svizzera l’11
aprile 1932.
Martino, nato nel 1892, figlio di Guglielmo, contadino, per la Svizzera l’11
maggio 1913.
Pietro, nato nel 1911, figlio di Roberto, contadino, per l’Argentina il 26 agosto
1927.
Silvio, nato nel 1906, figlio di Giovan Battista, minatore, per la Svizzera il 28
febbraio 1931.
De Giambattista
Antonio, nato nel 1907 a Menarola, figlio di Battista, contadino, per la Svizzera
il 19 settembre 1933, l’8 ottobre 1934, il 2 novembre 1935 e il 16 gennaio 1937.
Attilio, nato nel 1912 a Menarola, figlio di Battista, contadino, per la Svizzera
il 6 luglio 1937.
Battista, nato nel 1901, figlio di Giovan Battista, contadino, per la Francia il 9
novembre 1926 e per la Svizzera il 18 settembre 1928.
Caterina, nata nel 1903, figlia di Antonio, contadina, per la Svizzera il 25 marzo
1931.
Giovanni, nato nel 1897, figlio di Antonio, contadino, per la Svizzera e la Francia il 26 agosto 1927, per la Svizzera il 24 giugno 1930 e il 9 luglio 1935.
Giovan Battista, nato nel 1875 a Menarola, figlio di Battista, contadino, per la
Svizzera il 22 luglio 1927, il 31 luglio 1928, il 13 agosto 1929 e il 26 agosto 1930.
Giovan Battista, nato nel 1915, figlio di Roberto, contadino, per la Svizzera il
14 giugno 1932.
Del Re
Giuseppe, nato nel 1904 a Piuro, figlio di Giuseppe, impiegato e geometra, per
la Svizzera il 26 giugno 1931 e il 27 giugno 1934.
Pasquale, nato nel 1905 a Piuro, figlio di Giuseppe, contadino, per la Svizzera il
31 luglio 1928.
146
Dell’Acqua
Marina Anna, nata nel 1911 a Mese, figlia di Giuseppe, casalinga, per gli Stati
Uniti d’America il 23 maggio 1935.
Dell’Anna
Albino, nato nel 1901, figlio di Pietro, contadino e minatore, per l’Argentina
nel settembre del 1924, per la Svizzera il 2 settembre 1930 e per la Germania il
16 ottobre 1939.
Antonio Colombano, nato nel 1892, figlio di Guglielmo, contadino, per gli Stati
Uniti d’America al principio del 1914.
Clemente, nato nel 1896, figlio di Antonio, contadino e casaro, per la Svizzera il
24 giugno 1912, per gli Stati Uniti d’America il 28 ottobre 1913 e nuovamente
per la Svizzera il 10 giugno 1927 e l’11 settembre 1930.
Domenica, nata nel 1895, figlia di Andrea, contadina, per la Svizzera il 28 giugno 1925.
Donato, nato nel 1900, figlio di Domenico, pastorello, per la Svizzera il 30 maggio 1912.
Donato, nato nel 1904, figlio di Bernardino, carrettiere, per la Svizzera il 18
settembre 1933.
Evelino, nato nel 1913, figlio di Antonio, manovale, per la Svizzera il 24 settembre 1930.
Giovanni, nato nel 1899, figlio di Pietro, contadino e minatore, per la Francia
il 9 novembre 1926, per la Svizzera il 6 settembre 1930, il 27 giugno 1934 e il
17 luglio 1935.
Giovannina, nata nel 1894, figlia di Antonio, contadina, per Lourdes il 5 maggio 1927.
Giovan Battista, nato nel 1880, figlio di Caterina, contadino, per la Svizzera il
21 luglio 1912.
Giuseppe, nato nel 1898, figlio di Andrea, contadino e chauffeur, per l’Argentina il 26 agosto 1927, per la Svizzera il 22 marzo 1922, il 29 novembre 1929 e il
21 gennaio 1931.
Luigi, nato nel 1901, figlio di Domenico, pastorello, per la Svizzera il 30 maggio 1912.
Maria, nata nel 1892, figlia di Andrea, contadina, per la Svizzera il 27 giugno
1914.
Maria, nata nel 1904, contadina, per gli Stati Uniti d’America il 28 agosto 1928.
Martino, nato nel 1895, figlio di Pietro, contadino, per la Svizzera l’1 luglio
1912.
Pietro, contadino, per il Nordamerica il 7 marzo 1907.
147
Pietro, nato nel 1890, figlio di Andrea, contadino, per il Nordamerica il 9 ottobre 1907.
Pietro, nato nel 1893, figlio di Pietro, contadino, per la California il 14 aprile
1909 e per gli Stati Uniti d’America il 26 agosto 1927.
Samuele, nato nel 1884, figlio di Andrea, contadino, per gli Stati Uniti d’America il 26 settembre 1913.
Verginello, nato nel 1901, figlio di Gaspare, contadino, per la Francia l’8 febbraio 1927.
Dolzadelli
Bernardo, nato nel 1870, figlio di Giovanni, per la Svizzera il 12 luglio 1927.
Costante, nato nel 1890, figlio di Giovanni, contadino, per il Nordamerica il 9
ottobre 1907.
Giacomo, nato nel 1870, figlio di Giovanni, per il New Mexico il 20 dicembre
1911.
Giovanni, nato nel 1901, figlio di Pietro, contadino, per la Francia il 9 novembre 1926 e il 10 aprile 1930.
Epinetti
Luigia, nata nel 1894 a Fusine, figlia di Epifanio, domestica, per gli Stati Uniti
d’America il 15 giugno 1920.
Fenaroli
Teresa, nata nel 1889, figlia di Antonio, contadina, per la Svizzera il 31 luglio
1913.
Ferrari
Agostina, nata nel 1883, figlia di Battista, contadina, per gli Stati Uniti d’America il 3 ottobre 1915.
Battista, nato nel 1869, figlio di Battista, bracciante, per gli Stati Uniti d’America il 3 ottobre 1915.
Francesco, nato nel 1896, figlio di Pietro, contadino e minatore, per la Svizzera
il 29 aprile 1920 e per la Germania il 16 ottobre 1939.
Fogliada
Albino, nato nel 1906, figlio di Costante, minatore, per la Svizzera il 9 settembre 1930.
Cesare, nato nel 1898, figlio di Giovan Pietro, muratore, per la Svizzera il 9 settembre 1930.
148
Domenico, nato nel 1885, figlio di Domenico, contadino, per il Nordamerica il
7 marzo 1907.
Francesco, nato nel 1885, figlio di Giovan Pietro, contadino, per la Svizzera il 17
agosto 1909 e il 21 ottobre 1912.
Giovanni, nato nel 1891, figlio di Pietro, per la California il 14 aprile 1909.
Giovan Pietro, nato nel 1901, figlio di Pietro, contadino, per l’Argentina l’1
aprile 1926.
Margherita, nata nel 1847, figlia di Giovan Pietro, contadina, per il Belgio il 19
maggio 1913.
Galliani
Battista, nato nel 1905, figlio di Antonio, contadino, per la Svizzera il 15 maggio 1928 e l’1 aprile 1929.
Clemente, nato nel 1912, figlio di Antonio, contadino, per la Svizzera il 2 maggio 1930.
Garzelli
Angela, figlia di Giovanni, contadina, per Buenos Aires il 12 agosto 1912.
Francesco, nato nel 1902, figlio di Giovanni, contadino, per la Svizzera il 18
aprile e il 20 agosto 1920, per l’Argentina il 26 agosto 1927.
Gatti
Luca, nato nel 1901, figlio di Domenico, contadino, per la Francia il 9 novembre 1926.
Giampedraglia
Bambina, nata nel 1893, figlia di Giovanni, contadina, per la Svizzera il 26 maggio 1914.
Domenica, nata nel 1860, figlia di Lorenzo, contadina, per la Svizzera il 25 luglio 1905.
Giovanni, nato nel 1883, figlio di Lorenzo, contadino, per gli Stati Uniti d’America il 7 novembre 1906.
Giovan Battista, nato nel 1890, figlio di Giovanni, contadino, per la Svizzera il
20 marzo 1913.
Giovanni Fedele, nato nel 1885, figlio di Giovan Battista, contadino, per gli Stati Uniti d’America il 7 novembre 1906 e il 17 dicembre 1912.
Maria, nata nel 1889, figlia di Giovanni, contadina, per la Svizzera il 24 maggio
1914.
149
Gianoli
Romolo, nato nel 1911 a Prata Camportaccio, figlio di Paolo, manovale, per la
Svizzera il 13 marzo 1931.
Grattirola
Ada, nata nel 1922, figlia di Giovan Antonio, per la Svizzera l’8 aprile 1927.
Giovan Antonio, nato nel 1893, figlio di Severo, falegname, per la Svizzera il 6
marzo 1912 e il 10 febbraio 1920, per il Belgio il 25 aprile 1920 e nuovamente
per la Svizzera il 13 giugno 1920 e l’1 aprile 1927.
Margherita, nata nel 1895 a Chiavenna, figlia di Severo, domestica, per la Svizzera il 18 giugno 1916.
Severo, nato nel 1857 a Chiavenna, figlio di Vincenzo, falegname, per la Svizzera il 26 aprile 1914.
Vincenzo, nato nel 1888, figlio di Severo, imbianchino, per il Belgio il 25 aprile
1920 e per la Francia il 14 dicembre 1924.
Guerini
Cesare, nato nel 1897, figlio di Leone, contadino, per la Svizzera il 16 giugno
1912.
Giovan Battista Camillo, nato nel 1887, figlio di Leone, contadino, per la Svizzera il 5 luglio 1905 e per il Nordamerica l’1 maggio 1907.
Leone, nato nel 1859 a Casnigo, figlio di Gottardo, lavorante, per la Svizzera
nel 1902.
Guglielmana
Alfonso, nato nel 1890, figlio di Marcello, per la Svizzera il 14 giugno 1911.
Bartolomeo, nato nel 1874, figlio di Domenico, lavorante, per il Nordamerica
nel 1902.
Bartolomeo, nato nel 1884, figlio di Antonio, per il Nordamerica l’11 aprile
1906.
Dino, nato nel 1901, figlio di Fedele, minatore, per la Germania il 16 ottobre
1939.
Domenico, nato nel 1889, figlio di Fedele, contadino, per la Svizzera il 6 giugno
1909 e per Los Angeles il 18 ottobre 1911.
Domenico, nato nel 1895, figlio di Antonio, contadino, per l’Argentina il 22
ottobre 1926.
Domenico, nato nel 1900, figlio di Giovanni, contadino, per l’Argentina il 22
ottobre 1926.
150
Egidio, nato nel 1891, figlio di Fedele, contadino, per la Svizzera al principio
del 1914.
Francesco, figlio di Giovanni, contadino, per la Svizzera il 31 gennaio 1913.
Giacomo, nato nel 1851, figlio di Giacomo, per Buenos Aires il 2 ottobre 1910.
Giacomo, nato nel 1866, figlio di Martino, per Buenos Aires il 2 ottobre 1910.
Giovanni, nato nel 1884, figlio di Fedele, contadino, per la Svizzera il 13 giugno
1929.
Giovanni, nato nel 1887, figlio di Giovanni, contadino, per la Svizzera il 23
maggio 1909 e il 5 agosto 1927.
Giovanni, nato nel 1912, figlio di Giovanni, contadino, per la Svizzera il 10
luglio 1937.
Giovanni, nato nel 1914, figlio di Giacomo, nato nel 1914, contadino, per la
Svizzera il 10 luglio 1937.
Giovan Battista, nato nel 1886, figlio di Antonio, contadino, per gli Stati Uniti
d’America il 24 febbraio 1886.
Lino, nato nel 1896, figlio di Fedele, contadino, per la Svizzera il 19 maggio
1937.
Lucia, nata nel 1876, figlia di Domenico, per San Francisco nel 1911.
Ludovico Fedele, nato nel 1893, figlio di Giovanni, contadino, per la Svizzera il
7 aprile 1914.
Marcello, nato nel 1883, figlio di Bartolomeo, contadino, per la Svizzera il 14
luglio 1912.
Martino, nato nel 1908, figlio di Giovan Battista, impiegato, per la Svizzera il
20 dicembre 1935.
Mederico, nato nel 1880, figlio di Martino, contadino, per il Nordamerica il 9
ottobre 1907.
Santino, nato nel 1894, figlio di Fedele, contadino e guardia cantiere, per la
Svizzera l’8 luglio 1930, il 26 giugno 1931 e il 17 luglio 1935.
Sirio, nato nel 1896, figlio di Fedele, minatore, per la Germania il 6 novembre
1939.
Lombardini
Celestino, nato nel 1891, figlio di Domenico, contadino, per gli Stati Uniti d’America il 14 novembre 1913.
Domenico, nato nel 1861, figlio di Giovanni, muratore, per la Francia il 20 marzo 1904.
151
Martinucci
Ugo, nato nel 1900 a Piuro, figlio di Serafino, contadino, per la Svizzera il 26
agosto 1930.
Mazzina
Agostino Clemente, nato nel 1893, figlio di Martino, contadino, per la Svizzera
il 4 ottobre 1911 e il 24 giugno 1924.
Angelina, nata nel 1904, figlia di Martino, contadina, per la Svizzera l’8 luglio
1920.
Anna Maria, nata nel 1881, figlia di Bernardo, contadina, per l’Argentina il 9
febbraio 1913.
Antonio, nato nel 1868, figlio di Antonio, contadino, per la Svizzera il 21 luglio
1912.
Antonio, nato nel 1886, figlio di Martino, contadino, per la Svizzera il 9 luglio
1906 e per il Sudamerica il 31 ottobre 1907.
Antonio, nato nel 1887, figlio di Giacomo, contadino, per la Svizzera il 23 maggio 1909 e il 29 luglio 1912.
Bernardo, nato nel 1844, figlio di Giovan Battista, contadino, per l’Argentina
il 9 febbraio 1913.
Giacomo, figlio di Giacomo, per una destinazione non specificata il 25 marzo
1906.
Giacomo, nato nel 1902 a Mese, figlio di Martino, aiuto minatore, per la Germania il 6 novembre 1939.
Gian Antonio, nato nel 1863, figlio di Guglielmo, contadino, per la Svizzera il
21 maggio 1905.
Giovanni, nato nel 1897, figlio di Giovan Pietro, contadino, per l’Argentina il
7 febbraio 1912, per Buenos Aires il 5 agosto 1912 e per la Svizzera il 2 luglio
1920.
Giovan Battista, nato nel 1884, figlio di Giovan Battista, portiere d’albergo, per
l’Egitto il 29 luglio 1905.
Giovan Battista, nato nel 1879, figlio di Bernardo, lavorante, per la Svizzera nel
1902.
Giovan Pietro, nato nel 1890, figlio di Antonio, contadino, per la Svizzera il 15
marzo 1913.
Giuseppe, nato nel 1881, figlio di Guglielmo, per la Svizzera l’11 giugno 1911.
Luigi, nato nel 1887, figlio di Guglielmo, per la California il 7 aprile 1909.
Martino, nato nel 1862, figlio di Giacomo, contadino, per la Svizzera il 23 maggio 1913 e il 3 agosto 1915.
152
Merlo
Vittorina, nata nel 1900, casalinga, per la Svizzera l’8 aprile 1927.
Molinari
Antonio, nato nel 1912, figlio di Annibale, manovale, per la Svizzera il 18 settembre 1928.
Montini
Cirillo, nato nel 1901 a Campo Mezzola, figlio di Bonifacio, geometra, per la
Svizzera il 27 gennaio 1928, il 20 febbraio 1929 e il 6 giugno 1930, per la Francia e la Germania il 6 giugno 1930.
Morani
Luigi, nato nel 1892 a Miradolo, figlio di Antonio, contadino e aiuto minatore,
per la Germania il 6 novembre 1939 e il 26 maggio 1941.
Morelli
Antonio, nato nel 1909, figlio di Omobono, minatore, per la Svizzera il 18 settembre 1930.
Omobono, nato nel 1886 a Berbenno di Valtellina, figlio di Andrea, contadino,
per la Svizzera il 15 giugno 1913.
Paggi
Casimiro, nato nel 1902 a Isolato (attuale Isola nel comune di Madesimo), figlio
di Battista, minatore, per la Svizzera il 2 settembre 1930.
Pedeferri
Francesco Cosimo, nato nel 1902, figlio di Giovan Antonio, contadino, per la
Svizzera l’8 luglio 1937.
Pedocchi
Maria, nata nel 1879, figlia di Eutichio, contadina, per l’Argentina il 22 dicembre 1912.
Pedretti
Antonio, nato nel 1877, figlio di Giovanni, contadino, per la Svizzera il 7 aprile
1914.
Antonio, nato nel 1883, figlio di Lorenzo, contadino, per la Svizzera il 21 dicembre 1904 e per la California il 7 aprile 1909.
153
Bernardo, nato nel 1891, figlio di Enzo, contadino, per gli Stati Uniti d’America il 23 aprile 1914.
Caterina, nata nel 1890, figlia di Lorenzo, pastorella e contadina, per la Svizzera
il 2 giugno 1912 e per gli Stati Uniti d’America il 13 giugno 1920.
Giovanni, figlio di Lorenzo, per una destinazione non specificata il 22 marzo
1906.
Giovanni, nato nel 1910, figlio di Antonio, contadino, per la Svizzera il 9 luglio
1934, il 17 luglio 1935 e il 25 luglio 1937.
Giovan Pietro, nato nel 1897, figlio di Bernardo, contadino, per la Svizzera l’8
agosto 1911 e l’11 maggio 1913.
Lorenzo, nato nel 1877, figlio di Pietro, contadino, per l’Argentina il 28 aprile
1928.
Martino, nato nel 1890, figlio di Maria, contadino, per la Svizzera il 3 marzo
1913 e per gli Stati Uniti d’America il 18 febbraio 1914.
Martino, nato nel 1907, figlio di Anna, minatore, per la Svizzera il 17 settembre
1930.
Pietro, nato nel 1838, figlio di Giovanni, per una destinazione non specificata
il 23 luglio 1905.
Pietro, nato nel 1839, figlio di Lorenzo, per una destinazione non specificata il
23 luglio 1905.
Pietro, nato nel 1895, figlio di Bernardo, contadino, per la Svizzera il 6 aprile
1920, per gli Stati Uniti d’America tra la fine del 1920 e l’inizio del 1921.
Pelanconi
Abramo, nato nel 1912, figlio di Costante, contadino e minatore, per la Svizzera
il 28 marzo 1931, il 29 luglio 1933 e il 17 giugno 1936.
Alfonso, nato nel 1894 a Isolato (attuale Isola nel comune di Madesimo), figlio
di Guglielmo, per la Svizzera il 28 maggio 1911.
Anna, nata nel 1882, figlia di Guglielmo, contadina, per la Svizzera il 17 febbraio 1907 e per San Francisco il 21 dicembre 1910.
Attilio, nato nel 1904, figlio di Costante, contadino, per la Svizzera l’8 luglio
1930.
Domenico, nato nel 1878, figlio di Guglielmo, lavorante, per il Nordamerica nel
1902.
Galdino, nato nel 1894 a Isolato (attuale Isola nel comune di Madesimo), figlio
di Lorenzo, contadino e muratore, per la Svizzera il 10 febbraio e il 28 marzo
1920, per l’Argentina il 17 ottobre 1930.
Giuseppe, nato nel 1877, figlio di Giovanni, contadino, per gli Stati Uniti d’America il 6 febbraio 1914.
154
Guglielmo, nato nel 1871 a Isolato (attuale Isola nel comune di Madesimo),
figlio di Guglielmo, lavorante, per il Nordamerica nel 1902.
Guglielmo, nato nel 1883, figlio di Lorenzo, contadino, per la Svizzera il 22
febbraio 1905.
Liretta, nata nel 1913, figlia di Costante, per la Svizzera il 31 ottobre 1930.
Martino, nato nel 1908, figlio di Costante, muratore, per l’Argentina il 5 settembre 1930.
Primo, nato nel 1892 a Isolato (attuale Isola nel comune di Madesimo), figlio di
Guglielmo, contadino, per la Svizzera il 12 luglio 1914.
Valentino, nato nel 1912, figlio di Costante, contadino, per la Svizzera il 2 novembre 1934.
Premini
Giovanni, nato nel 1884 a Caiolo, contadino, per la Svizzera il 30 luglio 1920.
Rabbiosi
Rosa, per la Svizzera, la Francia e la Germania il 6 giugno 1930.
Rivaldi
Maria, nata nel 1908 a Cosio Valtellino, figlia di Antonio, contadina, per la
Svizzera il 28 giugno 1934 e il 17 luglio 1935.
Rogantini
Fiorentina, nata nel 1901 a Villa di Chiavenna, figlia di Pietro, contadina e domestica, per la Svizzera l’8 maggio 1928 e il 13 marzo 1931.
Ruffatti
Benedetto, nato nel 1895, figlio di Ercole, contadino, per la Svizzera il 13 luglio
1913.
Francesco, nato nel 1893 a Montevideo, figlio di Ercole, contadino, per la Svizzera il 19 aprile 1911 e il 26 aprile 1914.
Scartaccini
Bernardo, nato nel 1883, figlio di Bernardo, contadino, per il Nordamerica il 9
ottobre 1907 e per gli Stati Uniti d’America il 26 aprile 1914.
Bernardo, nato nel 1894, figlio di Giovan Battista, contadino, per la Svizzera l’8
luglio 1913 e per gli Stati Uniti d’America il 31 ottobre 1920.
Domenica, nata nel 1894, figlia di Agostino, contadina, per la Svizzera il 26
febbraio 1914.
155
Eutichio, nato nel 1892, figlio di Battista, contadino, per la Svizzera l’8 luglio
1913.
Giovanni, nato nel 1902, figlio di Roberto, muratore, per la Svizzera il 5 settembre 1930.
Margherita, nata nel 1892, figlia di Agostino, contadina, per la Svizzera il 9
luglio 1928.
Pietro, nato nel 1886, figlio di Agostino, contadino, per la Svizzera il 20 giugno
1931.
Pietro, nato nel 1889, figlio di Agostino, contadino, per la Svizzera il 25 giugno
1914, il 21 giugno 1927 e il 15 maggio 1928.
Speziali
Tomaso Santo, nato nel 1913 a Morbegno, figlio di Antonio, impiegato, per la
Svizzera il 16 gennaio 1940.
Sposetti
Martino, nato nel 1878, figlio di Bernardino, muratore, per la Svizzera il 12
settembre 1930.
Tabacchi
Albino, nato nel 1886, figlio di Agostino, contadino e geometra, per la Svizzera
il 26 maggio 1927, il 31 luglio 1928 e il 29 giugno 1934.
Battista Tranquillino, nato nel 1882, figlio di Giacomo, contadino, per gli Stati
Uniti d’America il 28 dicembre 1912.
Carlo, nato nel 1863, figlio di Battista, contadino, per Buenos Aires il 23 agosto
1920.
Domenica, nata nel 1908, figlia di Costante, contadina, per gli Stati Uniti d’America l’11 aprile 1932.
Domenico Costante, nato nel 1868, figlio di Domenico, contadino, per la Svizzera il 27 aprile 1913.
Euticchio, nato nel 1886, figlio di Giovan Battista, per New York il 14 maggio
1911.
Eutichio, nato nel 1898, figlio di Innocente, contadino, per gli Stati Uniti d’America nella seconda metà del 1920 e il 15 luglio 1927.
Giovan Battista Albino, nato nel 1886, figlio di Agostino, per la Svizzera il 3
febbraio 1909.
Giuseppe, nato nel 1869, figlio di Giacomo, contadino, per gli Stati Uniti d’America il 21 ottobre 1912.
Giuseppe, nato nel 1882, figlio di Lucia, contadino, per Buenos Aires il 3 settembre 1909 e per la Svizzera il 19 febbraio 1913.
156
Lucrezia, nata nel 1899, figlia di Agostino, maestra, per gli Stati Uniti d’America 18 settembre 1928.
Maria, nata nel 1879, figlia di Lino, per New York il 14 maggio 1911.
Marta, nata nel 1900, figlia di Maria, casalinga, per la Francia il 22 marzo 1928.
Severino, nato nel 1884, figlio di Domenico, contadino e aiuto minatore, per gli
Stati Uniti d’America il 23 gennaio 1907 e per la Germania il 6 novembre 1939.
Siro, nato nel 1916, figlio di Albino, chierico, per la Svizzera il 29 giugno 1934.
Tabacchini
Domenico, nato nel 1877, figlio di Guglielmo, contadino, per la Svizzera nel
1902, il 15 maggio 1928 e il 24 giugno 1930.
Tavasci
Andrea, nato nel 1885, figlio di Giovanni, contadino e muratore, per la Svizzera
il 18 marzo 1908, per l’Arizona nel 1911 e nuovamente per la Svizzera il 21
aprile 1912, il 16 aprile 1914 e il 7 marzo 1931.
Andrea Celestino, nato nel 1899, figlio di Carlo, pastorello, contadino e fruttivendolo, per la Svizzera il 28 maggio 1912, il 10 febbraio 1920 e il 27 aprile
1927.
Andrea Evelino, nato nel 1898, figlio di Antonio, contadino e commerciante,
per la Svizzera l’1 maggio 1914, nella seconda metà del 1920 e il 25 aprile 1932.
Angiolina, nata nel 1887, figlia di Giacomo, contadina, per la Svizzera il 29 luglio 1912.
Angiolina, nata nel 1902, figlia di Martino, contadina, per la Svizzera il 22 agosto 1920.
Antonio, nato nel 1892, figlio di Giacomo, contadino, per la Svizzera il 4 giugno
1911 e il 15 marzo 1914.
Antonio, nato nel 1895, figlio di Francesco, per la Svizzera il 25 aprile 1912.
Antonio, nato nel 1897, figlio di Martino, contadino, per gli Stati Uniti d’America il 31 ottobre 1920.
Antonio, nato nel 1898, figlio di Giovanni, contadino, per la Francia l’11 aprile
1929.
Antonio, nato nel 1899, figlio di Felice, minatore e contadino, per la Svizzera il
10 dicembre 1930 e il 15 aprile 1932.
Antonio, nato nel 1905, figlio di Serafino, contadino, per la Svizzera il 30 marzo
1930.
Antonio Pasquale, nato nel 1896, figlio di Antonio, per la Svizzera il 26 aprile
1911 e il 13 aprile 1912.
Antonio Prospero, nato nel 1872, figlio di Giacomo, per la Svizzera il 4 giugno
1911.
157
Assunta, nata nel 1883, figlia di Giacomo, contadina, per la Svizzera l’11 dicembre 1904.
Battista, nato nel 1903, figlio di Serafino, contadino, per la Svizzera il 15 maggio 1928 e il 20 febbraio 1929.
Benedetto, nato nel 1887, figlio di Benedetto, contadino, per la Svizzera il 21
luglio 1912.
Bernardino, nato nel 1891, figlio di Giacomo, contadino, per la Svizzera il 27
giugno 1930.
Bernardino, nato nel 1904, figlio di Serafino, minatore, per la Germania il 6
novembre 1939.
Bernardo, nato nel 1904, figlio di Serafino, contadino, per la Svizzera l’1 aprile
1929.
Carmela, nata nel 1891, figlia di Innocente, contadina, per la Svizzera il 24 giugno 1930.
Carmelo, nato nel 1891, figlio di Gaudenzio, negoziante, per la Francia e la Svizzera nel marzo del 1927.
Caterina, nata nel 1875, per la Spagna il 28 giugno 1914.
Celestina, nata nel 1889, figlia di Giacomo, contadina, per la Svizzera il 26 febbraio 1905.
Celestino, nato nel 1886, figlio di Angelo, contadino, per la Svizzera il 28 aprile
1921.
Clelia, nata nel 1911, figlia di Antonio, domestica, per la Svizzera il 18 aprile
1932.
Elvirio, nato nel 1905, figlio di Martino, aiuto minatore, per la Germania il 6
novembre 1939.
Ernesto, nato nel 1895, figlio di Giacomo, contadino, per la Svizzera il 4 gennaio 1920.
Fausto, nato nel 1907, figlio di Martino, per la Svizzera il 2 ottobre 1925 e il 15
maggio 1928.
Felice, nato nel 1901, figlio di Felice, contadino, per la Svizzera il 24 giugno
1930.
Francesco, nato nel 1885, figlio di Benedetto, contadino e minatore, per la Svizzera il 4 giugno 1911, per l’Argentina il 9 novembre 1926, nuovamente per la
Svizzera il 13 giugno 1929 e il 24 giugno 1930 e per la Germania il 16 ottobre
1939.
Francesco, nato nel 1904, figlio di Martino, casaro, per la Svizzera il 24 settembre 1930.
Francesco, nato nel 1907, figlio di Francesco Romero, contadino e muratore, per
la Spagna il 28 giugno 1914, per la Svizzera il 30 settembre 1930 e per la Francia
il 5 aprile 1935.
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Francesco Cosimo, nato nel 1902, figlio di Giovan Antonio, contadino, per la
Svizzera il 7 agosto 1939.
Francesco Romero, nato nel 1867, figlio di Francesco, per la Spagna il 28 giugno
1914.
Gaudenzio, nato nel 1877, figlio di Giacomo, contadino, per il Nordamerica il
12 novembre 1903 e per la Svizzera il 5 settembre 1913.
Gaudenzio, nato nel 1884, figlio di Fedele, contadino, per la Svizzera il 30 luglio
1905.
Gaudenzio, nato nel 1889, figlio di Giovan Pietro, per l’Arizona nel 1911.
Gaudenzio Carmelo, nato nel 1891, figlio di Innocente, contadino e cameriere,
per la Svizzera il 16 giugno 1912 e il 29 novembre 1925, per l’Argentina il 23
settembre 1930.
Gaudenzio Celestino, nato nel 1886, figlio di Angelo, per la Svizzera l’8 maggio
1912.
Genesio, nato nel 1900, figlio di Antonio, contadino e minatore, per la l’Argentina il 22 ottobre 1926 e per la Francia il 28 febbraio 1931.
Giacoma, nata nel 1894, figlia di Martino, contadina, per la Svizzera il 21 luglio
1912.
Giacomo, nato nel 1897, figlio di Giovan Pietro, contadino e manovale, per la
Svizzera il 15 gennaio 1920 e il 23 dicembre 1930.
Gioachino, nato nel 1913, figlio di Serafino, contadino, per la Svizzera il 3 giugno 1930.
Giovanni, nato nel 1889, figlio di Giovan Donato, per la Svizzera il 28 febbraio
1912.
Giovanni, nato nel 1892, figlio di Giovanni, pastore e contadino, per la Svizzera
il 2 giugno 1912 e per gli Stati Uniti d’America il 4 maggio 1913.
Giovanni, nato nel 1896, figlio di Domenico, contadino, per la Svizzera il 15
gennaio 1920.
Giovanni, nato nel 1903, figlio di Giovanni, falegname, per la Germania l’11
febbraio 1941.
Giovanni Aurelio, nato nel 1892, per la Svizzera il 10 maggio 1911.
Giovan Battista, nato nel 1894, figlio di Martino, pastorello, per la Svizzera il
19 maggio 1907.
Giovan Battista, nato nel 1913, figlio di Pietro, sacerdote coadiutore dell’arciprete di Gordona, per la Svizzera il 6 luglio 1935 e il 29 aprile 1937.
Giovan Battista Benedetto, nato nel 1877, figlio di Giovan Battista, contadino,
per la Svizzera il 25 settembre 1904.
Innocente, nato nel 1895, figlio di Giovanni, contadino e minatore, per la Svizzera il 4 gennaio 1920 e per la Germania il 6 novembre 1939.
Innocente, nato nel 1896, figlio di Innocente, contadino, per la Svizzera il 15
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gennaio 1920, il 24 giugno 1927, il 23 luglio 1929, il 31 gennaio e l’1 luglio
1930.
Innocente, nato nel 1906, figlio di Bernardo, minatore, per la Svizzera il 30 settembre 1930.
Letizia, nata nel 1894, figlia di Giacomo, contadina, per Lourdes il 5 maggio
1927.
Lorenzo, nato nel 1900, figlio di Martino, operaio, per la Francia il 26 aprile
1927.
Maddalena, nato nel 1888, figlio di Martino, contadino, per la Svizzera il 15
aprile 1907.
Margherita, nata nel 1909, figlia di Francesco Romero, per la Spagna il 28 giugno 1914.
Maria, nata nel 1859, figlia di Giovan Antonio, contadina, per la Svizzera il 19
maggio 1913 e il 7 settembre 1931.
Maria, nata nel 1864, figlia di Antonio, contadina, per la Svizzera l’8 giugno
1914.
Mariangela, nata nel 1859, figlia di Francesco, contadina, per la Svizzera il 10
giugno 1913.
Marianna, nata nel 1890, figlia di Battista, contadina, per la Svizzera il 23 settembre 1912.
Mario, nato nel 1916, figlio di Francesco, contadino e pastore, per la Svizzera il
28 gennaio 1930 e il 3 febbraio 1931.
Martino, nato nel 1891, figlio di Martino, contadino, per la Svizzera il 6 febbraio 1914.
Martino, nato nel 1896, figlio di Martino, contadino, per la Svizzera il 23 luglio
e il 20 ottobre 1920 e per la Francia il 9 novembre 1926.
Martino, nato nel 1896, figlio di Francesco, contadino, per la Svizzera il 15 gennaio 1920 e per gli Stati Uniti d’America il 14 aprile 1921.
Martino, figlio di Serafino, contadino, per la Svizzera il 31 ottobre 1930.
Martino Tranquillo, nato nel 1881, figlio di Francesco, contadino e muratore,
per la Svizzera il 14 luglio 1912 e l’1 ottobre 1930
Massimino, nato nel 1886, figlio di Giovan Pietro, per la Svizzera il 15 maggio
1912.
Natale, nato nel 1888, figlio di Antonio, contadino, per la Svizzera il 6 giugno
1909 e per Buenos Aires nel 1911.
Natale, nato nel 1891, figlio di Battista, per la Svizzera nel 1911.
Natale, nato nel 1896, figlio di Martino, contadino, operaio, boscaiolo e teleferista, per la Svizzera l’11 maggio 1913 e il 26 aprile 1927, per la Francia il
12 maggio 1925, l’11 aprile 1929 e il 25 aprile 1932, per la Spagna il 21 marzo
1935 e il 13 febbraio 1940.
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Natale Bambino, nato nel 1894, figlio di Giacomo, contadino, per la Svizzera il
29 luglio 1912.
Natale Efistofanio, nato nel 1889, figlio di Antonio, contadino, per la Svizzera
il 23 luglio 1907.
Pietro, nato nel 1892, figlio di Battista, contadino, per gli Stati Uniti d’America
il 12 maggio 1914.
Santino, nato nel 1913, figlio di Francesco, contadino, per la Francia il 9 novembre 1926 e per la Svizzera il 24 giugno 1930.
Serafino, nato nel 1878, figlio di Giovan Battista, contadino, per la Svizzera il 10
luglio 1911 e il 27 luglio 1914.
Serafino Lino, nato nel 1901, figlio di Francesco, contadino, commesso, fruttivendolo e commerciante, per la Svizzera il 27 aprile 1927, il 2 luglio 1928, il
20 febbraio 1929, l’8 luglio 1930, il 27 gennaio 1931, il 22 marzo 1932, il 23
maggio 1935, il 16 dicembre 1937, il 5 dicembre 1939 e il 19 maggio 1941.
Teresa, nata nel 1897, figlia di Carlo, contadina e domestica, per la Svizzera il 22
luglio 1920 e il 2 marzo 1928.
Tranquillo, nato nel 1902, figlio di Martino, contadino e minatore, per la Svizzera il 21 giugno 1927, il 15 maggio 1928 e il 12 settembre 1930.
Tranquillino, nato nel 1909, figlio di Martino Tranquillo, minatore, per la Germania il 6 novembre 1939.
Trussoni
Michele, nato nel 1900 a Stillwater nel Montana, figlio di Tomaso, arciprete di
Gordona, per la Svizzera l’11 luglio 1933, il 9 luglio 1934, il 6 luglio 1935, il 26
agosto 1940 e l’11 giugno 1941.
Un ringraziamento per l’aiuto a Guido Scaramellini e don Enea Svanella.
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Glossario dei termini dialettali
Bagĥiüta
Festa simile al Carnevale, tipica del limitrofo comune di Menarola, oltre che
tradizione gordonese.
Barba
Uno zio non sposato.
Brental (pl. BRENTAI)
Tipico contenitore di rame stagnato o, in epoca più recente, di alluminio con
bretelle di pelle indossato a mo’ di zaino, viene utilizzato dai piccoli allevatori
per portare il latte alla latteria del paese.
Crott
I crotti sono cavità naturali nelle rocce, tipiche della zona valchiavennasca. Da
queste intercapedini spira costantemente aria fredda che mantiene la temperatura a circa 8 gradi, particolarmente adatta per la conservazione dei prodotti
tipici, in particolare vino e salumi. Attorno ai crotti sono state costruite piccole
sale dedicate alla convivialità. Tradizionalmente quasi ogni famiglia a Gordona
ha il “suo” crotto.
Enda
Una zia non sposata.
Fera de Mèèrz e Fera de San Martign
La “Fiera di Marzo” e la “Fiera di San Martino” si svolgono ancora oggi il primo
mercoledì di marzo e il 12 di novembre, giorno successivo al Santo Patrono di
Gordona (l’11 novembre era dedicato alle funzioni religiose). Come altre festività e avvenimenti, scandivano l’anno del paese.
FunzioŊ de Bedulina
La messa dedicata alla Madonna del Buon Consiglio nella chiesa di Bedolina
(alpeggio posto sulla sponda orografica destra della Val Bodengo) si svolgeva la
domenica successiva a San Bernardo, il 20 agosto, e segnava la fine della stagione
estiva.
Mantign
Tovaglietta quadrata di tessuto, usata per il trasporto del cibo. Veniva annodata
163
incrociando i quattro angoli e portata a mano oppure in spalla, infilata all’estremità di un bastone.
Matèla
Bambina.
Paiòn
Una sorta di materasso, costituito da paglia.
Piee da bass
Il Comune di Gordona era possessore di appezzamenti di terreno nella piana
della Valchiavenna, al di fuori dei propri confini naturali.
šcĥiaia
Lastra di sasso su cui viene stesa la locale füghiascia (focaccia), che viene cotta
nel fuoco vivo del camino.
164
Fonti d’archivio
Archivio comunale di Gordona, Esteri e passaporti, 1833-1897, 1901-1949 e
1955.
Archivio parrocchiale di Gordona, Registri dei battesimi, 1823-1915.
Bibliografia
AA. VV., Italo-australiani. La popolazione di origine italiana in Australia, Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli, Torino 1992.
Cristian Copes, Il benefattore Giovan Battista Mazzina (1884-1931), Comune e Biblioteca di Gordona, Gordona 2009.
Bruno De Agostini, Gordona. La collegiata di San Martino, Parrocchia di
San Martino di Gordona, Gordona 1994.
Bruno De Agostini, Val Bodengo, un po’ di storia, Parrocchia di San Martino
di Gordona, Gordona 2001.
Bruno De Agostini, Gordona. Due secoli di storia (1584-1799), Parrocchia
di San Martino di Gordona, Gordona 2007.
Maria Domenica De Boni, Samolachesi in Western Australia, Associazione
Culturale Biblioteca di Samolaco, Samolaco 2011.
Teresa Freschi Biavaschi, Sotto il segno di una spiga, Arti grafiche friulane,
Udine 1987.
Flavio Lucchesi, Italiani d’Australia. L’emigrazione valtellinese nel Nuovissimo Continente dalle origini ai giorni nostri, Pàtron Editore, Bologna 2011.
Guido Scaramellini, I tesori degli emigranti, in Autori Vari, I tesori degli
emigranti. I doni degli emigranti della provincia di Sondrio alle chiese di origine
nei secoli XVI-XIX, catalogo della mostra allestita nella sala Ligari della Provincia di Sondrio dal 15 marzo al 28 aprile 2002, a cura di Guido Scaramel-
165
lini, Provincia di Sondrio – Silvana editoriale, Sondrio – Cinisello Balsamo
2002, pp. 13-29.
Guido Scaramellini, I doni alle chiese del contado di Chiavenna, in Autori
Vari, I tesori degli emigranti. I doni degli emigranti della provincia di Sondrio
alle chiese di origine nei secoli XVI-XIX, catalogo della mostra allestita nella sala
Ligari della Provincia di Sondrio dal 15 marzo al 28 aprile 2002, a cura di Guido Scaramellini, Provincia di Sondrio – Silvana editoriale, Sondrio – Cinisello
Balsamo 2002, pp. 41-51.
Guido Scaramellini, Terra di Gordona, Comune di Gordona, Gordona
2008.
Siro Tabacchi, “Quanto era bella la mia Gordona”. Cento anni della nostra
storia. Fatti, memorie, ricordi, Parrocchia di San Martino di Gordona – Zona
pastorale della Valchiavenna “Beato Luigi Guanella”, Gordona 2004.
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Si ringraziano:
Banca Popolare di Sondrio . BBG .
Farmacia Comunale di Gordona .
Sartoria Ferrè . Tecnofar .
Trafilerie Alluminio Alexia
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