pag. 13 Ricordando monsignor Bernardo Citterio “Vi ho chiamato amici...” di † Libero Tresoldi A un mese dal passaggio all’eternità beata del carissimo mons. Bernardo Citterio mi è caro ricordarlo con la semplice espressione di “amico”. Il richiamo d’obbligo va alla Parola di Dio, quando Gesù, la sera del Giovedì Santo, si rivolge così ai suoi Apostoli: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti, perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che pag. 14 chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri.” (Giov. 15,12-17). Dell’amicizia, che è forma alta di carità, caratteristica fondamentale è la fedeltà. Da mons. Citterio io ho imparato, attraverso l’esperienza di quattro decenni, l’uno e l’altro valore. L’ho incontrato, nel Seminario di Venegono, all’inizio del primo anno di teologia nel 1939. I ricordi nella mia mente sono pallidi, ma non al punto da dimenticare la preparazione culturale dell’insegnante e il suo amore per la Parola di Dio, che voleva far gustare, anche nella lingua dei Settanta, la preziosità dei messaggi di Dio al suo popolo. Comincia poi un lungo periodo di lontananza. Scoppia la seconda grande guerra mondiale, mons. Citterio insegna nel Seminario di Seveso e, nel 1941, diventa Rettore del Seminario di Masnago in Varese. Il 29/5/1943, con una settantina di miei compagni, vengo ordinato sacerdote dal Beato cardinale Schuster e destinato, come coadiutore, a Santa Maria alla Fontana in Milano. Vivo gli anni difficili della guerra e dei bombardamenti in una zona vicina allo scalo Farini, dove i tedeschi si servivano di numerosi carri merci, per trasportare in Germania materiali di ogni genere, e, purtroppo, facile obbiettivo di bombardieri inglesi. In questa parrocchia incontrai monsignor Antonio Corti, insegnante di latino e greco nel Seminario liceale di Venegono, apprezzato sacerdote e confessore festivo. Con tale impegno, negli anni precedenti la guerra, era presente in parrocchia anche il Rettore del Semi- nario di Masnago, mons. Citterio. Lo sfollamento di molte persone dalla città aveva reso superflua la presenza di tale sacerdote, ma non aveva cancellato il ricordo della sua preziosa collaborazione e propiziato la sua partecipazione nelle solennità più significative. Passano anni nei quali gli incontri sono saltuari, impegnati come eravamo nei rispettivi compiti affidatici dal Cardinale Arcivescovo. Mons. Citterio nel 1954 diventa Rettore del Seminario liceale a Venegono, io sono coadiutore a S. Francesca Romana in Milano. Per entrambi stanno maturando notevoli cambiamenti nel servizio alla Chiesa ambrosiana. Nel 1957 il card. Montini chiama mons. Citterio alla guida pastorale della Parrocchia di S. Giuseppe in Seregno. Probabilmente era una precisa aspirazione di un sacerdote, che per tanti anni aveva servito la diocesi nell’insegnamento e nella responsabilità più significativa nei Seminari, ma che coltivava in cuore il sogno della cura d’anime in una parrocchia tra le più importanti della Chiesa ambrosiana. La realizzazione del sogno gli offriva anche la possibilità di riunirsi, in comunione di affetti alla sua amatissima mamma e alle sorelle. E a Seregno monsignor Citterio si trovò benissimo, apprezzato per la sua dedizione pastorale e per il rapporto comunionale stabilito con le famiglie e con le singole persone, giovani, adulti e anziani. A Seregno ritornò sempre con gioia, pur nel rispetto delle prerogative dei suoi successori. Sono questi particolari che, a mio avviso, porranno in luce la grande sua virtù nell’obbedienza al Papa e nell’amore Piazza San Pietro: papa Giovanni Paolo II, il card. Carlo Maria Martini e mons. Bernardo Citterio pag. 15 alla Chiesa ambrosiana. Quando il suo servizio pastorale sembrava ormai consolidato nella guida paterna di una parrocchia molto significativa, si trovò al centro del misterioso progetto di Dio, che anima la Chiesa. Nel 1963, dopo la prima sessione del Concilio Vaticano II, papa Giovanni XXIII termina la sua vita terrena nel compianto di molti. A suo successore, come Vicario di Cristo in terra, viene eletto il card. Giovanni Battista Montini, arcivescovo di Milano, il quale nel mese di agosto chiamerà a succedergli, sulla cattedra di S. Ambrogio e Carlo, Sua Eccellenza mons. Giovanni Colombo, Vescovo Ausiliare, ma anche Rettore Maggiore dei Seminari milanesi. Rimaneva scoperto uno dei punti nodali della vita diocesana, e a ricoprirlo venne chiamato mons. Citterio, che godeva di una lunga e provata esperienza nel mondo della formazione dei novelli sacerdoti, ma che nel contempo avrebbe dovuto abbandonare la guida della parrocchia di Seregno. Fatto certo della volontà del Papa e del nuovo Arcivescovo di Milano, egli obbedì, non senza aver fatto presente la delicata situazione della mamma e delle sorelle, che ancora una volta si sarebbero dovute separare da lui. Nella sua squisita sensibilità pastorale, il Papa, quella sera, telefonò personalmente alla mamma per confortarla e ringraziarla della sua disponibilità. Furono per il Seminario anni di grande importanza per il numero delle vocazioni, per la formazione dei futuri sacerdoti alla luce dell’insegnamento conciliare, per la vita di una diocesi che, in quel tempo, conobbe un incremento di un milione e mezzo di fedeli, con la necessità di nuove parrocchie e di adeguate strutture pastorali. Di quegli anni di vita del Seminario, cui non mancarono le prove dei grandi cambiamenti postconciliari e della contestazione, che non si arrestava certamente alle soglie del più importante e decisivo centro di formazione dei futuri pastori e della guida di esso, in stretta collaborazione con l’Arcivescovo, è significativa la testimonianza di S. E. mons. Attilio Nicora, che scrive: “Mons. Citterio... è stato per me una guida paterna, saggia, sicura nell’esercizio del rettorato del seminario teologico, e un amico e consigliere discreto e affettuoso in tutto l’arco del mio episcopato”. Accennavo al numero delle vocazioni al sacerdozio, che ora sono certamente una delle grandi preoccupazioni per la vita della diocesi e per il suo futuro. Mi piace ricordare un episodio, che per qualche aspetto ha contribuito a far maturare l’amicizia con il Rettore Maggiore del Seminario. Dal 1961 il card. Montini mi aveva nominato assistente diocesano delle Donne di Azione Cattolica. Era un “esercito” di ben 45.000 socie, sparse in Solda (Bolzano): mons. Bernardo Citterio con la sorella e un gruppo di amici in una fotografia di mons. Libero Tresoldi pag. 16 tutta la diocesi. Alla loro responsabilità era confidato, come educatrici, un altro gioioso “esercito” di ben 27.000 Fanciulli Cattolici. Un giorno, la Presidenza diocesana ideò una iniziativa molto semplice: propose a ciascuna Associazione, secondo un preciso calendario, di dedicare in ogni parrocchia alcuni momenti forti di preghiera attorno a Gesù Eucaristia, invocando il dono di nuove vocazioni. Il collegamento, tra parrocchia e parrocchia era affidato a tre lampade eucaristiche, benedette nella chiesa di via S. Antonio. Parecchi sorrisero di tale iniziativa: non sorrisero le Donne di A.C., che la vissero con generosa intensità. Il fatto sorprendente fu che, in Seminario, l’anno scolastico 1965/66 iniziò con circa 1500 seminaristi e con una nuova sede a Merate! L’amicizia con mons. Citterio prese maggior consistenza, favorita anche dal comune amore per la montagna. Egli, nato e cresciuto a Valmadrera, a- veva respirato profondamente l’aria del Resegone e praticato spesso i sentieri, che lo portavano alla vetta, e non solo di tale amata montagna. Mi confidò, un giorno, di fronte alla splendida vetta dell’Ortles, che su tale cima era salito da seminarista ventiduenne, partendo da Trafoi in veste talare! Ci sono ben 2700 metri di dislivello per arrivare ai 3900 della vetta! Verso la fine degli anni sessanta cominciammo a trascorrere insieme giornate di vacanza a Selva di Val Gardena, godendoci insieme il sublime spettacolo delle Dolomiti e la pace che promana da quei luoghi incantevoli. Ebbi modo di crescere nella conoscenza diretta del sacerdote, accompagnato dalla carissima sorella Maria, fedele e discreta accompagnatrice delle nostre camminate. Ammirai giorno dopo giorno il suo spirito di fede, la sua intensa preghiera, la sua facilità di relazione con le persone, il suo profondo senso di responsabilità verso la missione, che gli “Colui che è stato più a lungo tra noi” [...] Eravamo abituati a vederlo vivo e sorridente in mezzo a noi. Non mancava mai alle celebrazioni diocesane, dovunque fossero, e ai tanti funerali. Era anzi diventata proverbiale la sua capacità e voglia di partecipare alle esequie, quasi avesse il dono della bilocazione o trilocazione; lo si vedeva presente all'inizio di una celebrazione, ma poi si ritirava in silenzio, segretamente, per andare a un’altra, nel desiderio di assicurare sempre la presenza del Vescovo. Lo ricordiamo come colui che è stato più a lungo tra noi; era il Vescovo, il prete più conosciuto e che conosceva tutti i preti, aveva incontrato moltissime persone e, col passare degli anni, diventava, per così dire, il “nonno” della diocesi. Del nonno assumeva sempre più le caratteristiche: la saggezza, la sapienza, la bonarietà, l’affabilità, l’affettuosità, la discrezione, la sincerità, la lealtà. Così lo abbiamo ammirato e così lo ricordiamo. Sono tante le memorie che di lui affiorano nei nostro cuore. Egli pag. 17 stesso di memorie ne ha raccontate e ne ha scritte. Anch’io, quando dovevo preparare un’omelia esequiale, ricorrevo alla sua Memoria, dal momento che sapeva tutto di tutti fin dall’inizio e tutto rammentava con fatti precisi. Qualche giorno prima della morte chiese che gli fosse dato un computer per stendere appunto le sue memorie; guardava quindi al futuro con slancio, con serenità. Tanti, tra l'altro, ricorderanno il suo famoso libretto “I miei sette Cardinali”, ricco di aneddoti, di eventi rimasti impressi nel suo cuore, libro che rivela la sua profonda umanità. Volendo parlare di lui più a lungo, occorrerebbe richiamare anche la sua profonda cultura patristica e teologica. Lo ricordo sempre pronto a intavolare un discorso sull’ultimo articolo della Nouvelle Revue Théologique, sull’ultimo tema di esegesi, di teologia dogmatica e morale. Era sinceramente interessato agli studi. Richiamo inoltre il suo senso di Chiesa, l'amore per il seminario, per le vocazioni; la prudenza nel trattare i casi più delicati, il riserbo e, so- prattutto, il suo senso della vita come dono, che lo portava a vivere tutto con gratitudine. Ha espresso molto bene la sua gratitudine in un discorso tenuto qui in Duomo il 10 giugno 1998, in occasione del 90° compleanno: “Di che cosa rendo grazie al Signore? Del dono bello, affascinante, incomprensibile della vita, di una vita che sento donatami due volte, dopo il terribile incidente del 1976, della vita che si estende quasi come questo intero secolo, della vita quale partecipazione all'infinita perfezione di Dio, della vita in cui sono radicati innumerevoli doni spirituali e soprannaturali: il Battesimo, l’educazione cristiana, il seminario, il presbiterato, l'episcopato. E, mi sia consentito, il dono della fedeltà, di aver potuto lavorare nella Chiesa, in questa Chiesa ambrosiana”. E nel suo testamento spirituale si esprimeva fin dall'inizio con parole che riassumevano questi sentimenti: “Gloria a Dio in ogni cosa”. [dall’omelia funebre del card. Carlo Maria Martini del 15 novembre in Duomo] era affidata, e che negli anni del post-Concilio cominciava a creare più di una preoccupazione nel cuore del Rettore di Seminario. Eppure nei momenti più delicati non uscì mai dalla sua bocca un lamento, un giudizio, tanto meno l’affermazione di stanchezza per tanta responsabilità. Capii in quei giorni che l’amicizia non è un dovere, ma una volta contratta, genera doveri reciproci, dei quali la sintesi è la fedeltà. E per lui fedeltà era anche una grande discrezione, che seppe mantenere sempre nei diversi incarichi ricoperti. Successivamente, per i non molti giorni di vacanza estiva, scelsi la località di Solda in Alto Adige. Mons. Citterio, senza trascurare Selva dove aveva raccolto stima e amicizie, mi raggiunse almeno per alcuni giorni, sempre in compagnia delle fedelissima sorella. Anche a Solda trascorremmo, insieme ad amici carissimi, giorni intensi e sereni, gratificati da splendide passeggiate, prolungati momenti di preghiera e anche da combattute partite serali a scopa scientifica. Fu a Solda, nel 1976, che avvenne il grave incidente di macchina, che segnò – come lui stesso affermò nella S. Messa celebrata in Duomo in occasione del suo novantesimo compleanno – l’inizio della sua seconda vita. In tale occasione mi fu dato di ammirare virtù e doti di questo grande amico. Come Vicario episcopale della zona pastorale di Varese, fu richiesto di scendere dalla montagna per celebrare l’Eucaristia in tre comunità, rimaste improvvisamente prive del loro Parroco. Tentai di dissuaderlo da simile viaggio in giorni di tempo molto incerto. Alla richiesta dell’Arcivescovo egli ubbidì, non badando a fatica e a rischi. A missione compiuta (era verso il mezzogiorno di domenica 25 luglio) egli desiderò rientrare a Solda, percorrendo la strada che porta al passo dello Stelvio, e, in discesa, a Trafoi e Solda. Con la macchina, guidata dal fedelissimo don Carlo della Rossa, giunge al passo (altezza 2700 m.) mentre sta nevicando, e la strada si era resa pericolosa. Viene sconsigliato di proseguire, ma egli vuole raggiungere Solda, dove era atteso. Dallo Stelvio a Trafoi e Gomagoi ci sono una cinquantina di tornanti molto esposti sulla valle. A pochi tornanti dal passo la macchina si trova di fronte un altro veicolo fermo; nel tentativo di evitarlo esce di strada e precipita sul tornante sottostante, si capovolge e ricade sull’altro tornante. Nel primo impatto don Carlo viene proiettato fuori dalla macchina, e mons. Citterio subisce l’altro drammatico salto. Ai primi soccorritori don Seminario di Venegono Inferiore: il card. Giovanni Colombo e mons. Bernardo Citterio, rettore del Seminario pag. 18 Carlo sembra il più compromesso, mentre mons. Citterio, che non presenta preoccupanti segni esteriori, viene estratto da una macchina completamente sfasciata, caricato su una automobile di turisti di passaggio e trasportato al piccolo ospedale di Malles, dove i medici si dichiarano inadeguati ai soccorsi, e con un’autoambulanza dirigono i due feriti all’ospedale di Silandro in Val Venosta. Avvertito da una telefonata raggiungo i feriti; non mi è possibile vedere don Carlo in camera operatoria, mentre incontro Monsignore in una camera, dove veniva curato per assideramento. Mi chiede il conforto dei Sacramenti, non si lamenta, domanda notizie di don Carlo. In realtà questo grande amico, nel rovinoso incidente, aveva riportato la frattura del bacino e di ben sette costole, e aveva perso scarpe e calze. Il medico austriaco, che sostituiva il primario in vacanza e che non aveva potuto completare la diagnosi, mi manifesta la preoccupazione per possibili complicazioni e si decide per un ulteriore trasferimento all’ospedale di Merano. Erano le ore ventuno. Solamente a tarda sera si conobbe la realtà delle condizioni del ferito. Subito informato l’arcivescovo card. Giovanni Colombo richiese l’ultimo trasferimento a Milano, alla Casa di cura Capitanio. Mi sono soffermato su questo episodio, inizio di una seconda vita per mons. Citterio, per testimoniare con il suo spirito di fede, la sua estrema padronanza del dolore e della situazione. Volle, ogni anno, ricordare con la sorella e gli amici, tale data, per ringraziare il Signore. Mantenne l’abitudine anche quando, per precauzione, il medico gli proibì la vacanza a Solda. È mancato all’appuntamento solo nell’estate del 2002, l’anno della sua partenza per l’eternità! Vincoli più determinanti diedero consistenza alla nostra amicizia. Innanzitutto il comune amore alla Chiesa ambrosiana, servita con gioia e dedizione. Il misterioso progetto di Dio volle mons. Citterio Vescovo Ausiliare di Milano nel 1969, rimanendo Rettore Maggiore dei Seminari. Nel 1971 divenne Vicario episcopale per la Zona di Varese. Io mi trovai, accanto a lui, come Vescovo Ausiliare e Vicario per la città di Milano, nel novembre del 1970. Ebbi quindi la possibilità di imparare da lui ad amare i sacerdoti, a considerare nel loro grande valore l’opera delle persone consacrate, a sostenere l’azione pastorale delle parrocchie, dei decanati e della stessa Zona pastorale, con il crescente contributo di comunione e di collaborazione dei laici, soprattutto con la costituzione dei primi Consigli pastorali e per gli affari economici. Con gli altri Vicari episcopali, dovevo confrontarmi con mons. Citterio soprattutto per le nomine dei sacerdoti novelli alle parrocchie. Nel comune amore e servizio alla Chiesa c’era la preoccupazione che una Zona si trovasse privilegiata nei confronti di altre: le esigenze erano molte, anche se, alla fine, l’esperienza e la saggezza del più anziano tra noi finivano per prevalere. Già allora gli si riconosceva volentieri una forma di “onnipresenza”, che gli dava la possibilità di seguire, molto da vicino, problemi pastorali delle parrocchie e dei singoli sacerdoti. La sua attenzione pastorale, da me sentitamente condivisa, andava anche oltre i confini d’Italia. Avvertivamo che il futuro della Chiesa avrebbe incontrato grosse difficoltà per il suo cammino di salvezza, oltre che nelle forti contrapposizioni ideologiche, allora presenti e condivise dallo stesso clima di contestazione ecclesiale, nello stesso benessere che pure era largamente desiderato. Nacque il proposito di spendere qualche giorno delle non molte vacanze in nazioni, dove la Chiesa stava vivendo problemi che, nel cammino del tempo, si sarebbero presentati anche da noi. Ricordo una visita a Parigi per incontrarvi l’allora Vescovo Ausiliare, mons. Pezeril, e conoscere meglio l’iniziativa della preparazione degli adulti al Battesimo. Così, in una visita ad Milano, Duomo, 15 novembre 2002: il card. Carlo Maria Martini legge l’omelia funebre pag. 19 alcune diocesi e soprattutto a Berlino, desideravamo conoscere eventuali proposte per la catechesi agli adulti, che già due decenni fa registrava anche da noi una scarsa partecipazione. Ci portammo, un anno, nelle tre nazioni del Nord Europa per tentare di capire come vivessero, in popoli a maggioranza non cattolica, comunità cattoliche con una notevole percentuale di immigrati, anche italiani. Non ci riuscì di realizzare risultati discreti e di vincere una certa diffidenza del cardinale Colombo. I tempi non erano maturi, ma in noi si radicò la convinzione che la sfida con il consumismo avrebbe presentato problemi non minori di quelli presenti nel tempo del post-concilio. Nel febbraio del 1982 lasciai Milano, per assumere come Vescovo titolare la responsabilità pastorale della diocesi di Crema. Non venne meno il vincolo di amicizia con mons. Citterio. Al di là delle vacanze estive, trascorse insieme almeno in parte, si aggiunse un altro motivo di condivisione, offerto dal fatto che, per tanti anni, egli era il Segretario della Conferenza episcopale lombarda, presieduta prima dal card. Giovanni Colombo, e poi dal suo successore, il card. Carlo Maria Martini. Anche in tale ruolo egli seppe rivelarsi generoso e attento ai problemi ecclesiali, che si presentavano all’attenzione dei Vescovi, mantenendo la massima discrezione e insieme instaurando con tutti un clima di sincera amicizia, cordialmente ricambiata, così che il suo impegno durò ben oltre l’età stabilita dalle norme ecclesiastiche. In tutti i passaggi di ruolo e di responsabilità, che la sua lunga vita e le successive missioni, a lui affidate, gli fecero incontrare, una sua nota caratteristica emerse: la profonda devozione al Sommo Pontefice, che per qualche aspetto si tradusse in gesti di stima e di amicizia. Era facilmente comprensibile con papa Paolo VI. Si erano ben conosciuti durante il periodo vissuto dall’allora card. Montini come arcivescovo di Milano. Gli avvenimenti vissuti da entrambi in settori di grande rilevanza lo testimoniano con grande chiarezza. Forse meno conosciuto è il motivo di uno stretto legame con Giovanni Paolo II. Per quanto mi ri- sulta risale agli anni nei quali mons. Citterio era Prevosto a Seregno, e l’attuale nostro Sommo Pontefice era cardinale arcivescovo di Cracovia. In quel tempo la parrocchia di S. Giuseppe in Seregno donò alla parrocchia di S. Floriano di Cracovia un concerto di campane. La conoscenza e la riconoscenza crearono un legame di amicizia, che si rassodò sempre più col passare del tempo. In realtà, al di là dei singoli episodi, una profonda visione di fede univa al S. Padre un sacerdote innamorato di Cristo e della Chiesa. A parecchi di noi mons. Citterio sembrava intramontabile sull’orizzonte terreno. La sua capacità di lavoro, l’amore alla missione ricevuta dal suo Signore a bene della Chiesa, la stima di cui si sentiva circondato, la lucidità di giudizio che mai gli è venuta meno, il desiderio di rendersi utile all’ottavo Arcivescovo milanese che la Provvidenza di Dio gli aveva fatto incontrare, qualche impegno preso anche per il futuro, sembravano far pensare che i notevoli problemi di salute sarebbero stati superati. In questi ultimi mesi ha avuto la possibilità di costatare quanto grande fosse la premurosa attenzione per lui a ogni livello. Colui che la sera del Giovedì santo l’aveva annoverato tra i suoi amici e l’aveva chiamato a condividere la sua missione di salvezza, lo invitava a sciogliere le vele e a prendere il largo per raggiungere il porto dell’eternità beata. Di S. Teresa di Avila si legge che al momento della morte, incontrando il suo Signore, abbia esclamato: “era tempo di vederci, Signore”. Mi piace pensarlo vero anche per un grande amico, mons. Bernardo Citterio! Milano, Duomo, 15 novembre 2002: il card. Dionigi Tettamanzi benedice le spoglie di mons. Bernardo Citterio