La storia
della fotografia
di
Mauro Mancini
Dall’argento al bit
Associazione culturale
Comunicare con la luce
La fotografia analogica fu la conseguenza di osservazioni scientifiche che
notarono come alcune sostanze cambiassero il loro stato fisico quando esposte
alla luce, gli esperimenti poi portarono ad accelerare tale processo
chimicamente. L'azione della luce su alcuni materiali era conosciuta da secoli
tanto che Plinio al fine di conservare i colori originali dei dipinti consigliava di
tenerli lontano dall'illuminazione diretta. Tre gli elementi indispensabili per
fotografare: una camera oscura, la luce e un fotoricettore.
Già nel IX secolo alcuni studiosi arabi, Al-Kindi prima e Al-Hazen poi,
avevano osservato che praticando un foro su di una parete all'interno di una
camera buia si poteva vedere confusamente un'immagine capovolta
dell'esterno proiettata sulla parete opposta.
Camera oscura secondo il gesuita
Athanasius Kircher
Comunicare con la luce
Nel 1600 il foro stenopeico fu
rimpiazzato da una lente in modo da
rendere più luminosa e distinta
l’immagine proiettata non più sulla
parete opposta, ma, tramite uno
specchio, su un vetro opacizzato dove
era possibile ricalcarla su un foglio,
tanto che alcuni pittori (Canaletto)
usarono la camera oscura per studiare
la prospettiva dei panorami.
Abelardo Morell
(Havana, Cuba, 1948)
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Per costruire una camera oscura occorre definire il diametro del foro; secondo
Josef Petzval (migliorata da Lord Rayleigh) la formula è:
d=1,9f λ
in cui d è il diametro, f è la lunghezza focale e λ è la lunghezza d'onda media
della luce (le lunghezze d’onda dello spettro elettromagnetico sono comprese
tra i 400 e i 700 nanometri, come media si considera 550nm corrispondente al
giallo-verde). Per una camera 35mm la dimensione varia tra 0,2mm e 0,3mm.
Per realizzare una camera oscura artigianale prendere un foglio di alluminio
(tipo quello delle lattine) di 3 cm di lato e renderlo sottile al centro con carta
abrasiva per diminuire la vignettatura causata dalle ombre prodotte dai bordi
del foro.
Praticare il foro nella zona lavorata con un ago e controllare con una lente di
ingrandimento che sia il più tondo possibile senza slabbrature. Dipingere di
nero il lato interno e applicare la lamina sul lato di una scatola di cartone; sul
lato opposto applicare un vetro opalescente. Meglio se il lato è mobile in
modo da variare la lunghezza focale.
Spostando il vetro vicino al foro aumenta l'angolo di campo e la luminosità,
allontanando il vetro diminuisce la luminosità e l'angolo di campo è più
stretto.
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Nel 1616 Athanasius Kircher descrive la Lanterna
magica, apparecchio ottico per la proiezione di
immagini fisse, apparecchio già presente in Europa
fin dal cinquecento.
La lanterna magica è l’antenato del proiettore per
diapositive ed infatti è costituita da una piccola
scatola con un obiettivo, uno specchio concavo, una
serie di lenti, una lastra di vetro dipinta con immagini
dai colori trasparenti ed una candela o una lampada
ad olio come fonte di illuminazione.
La luce è raccolta e riflessa dallo specchio,
concentrata dalle lenti e fatta passare attraverso la
lastra di vetro le cui immagini dipinte vengono
proiettate ed ingrandite dall’obiettivo su una parete
bianca di una stanza buia.
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All'inizio del 1800 Nicèphore Nièpce, ex
ufficiale dell’esercito francese, aveva
cominciato a sperimentare l'azione della
luce sul bitume di Giudea, un asfalto
usato nell’inchiostro della stampa, dalla
caratteristica di indurire se esposto alla
luce per tantissimo tempo.
Nel 1826 riesce a produrre delle eliografie
fra cui la famosa veduta dalla finestra
della sua casa di Le Gras che mostra i
tetti delle costruzioni circostanti (8 ore di
esposizione!).
L’effetto della luce sui sali d'argento che diventano più o meno neri a seconda
della quantità di luce che li colpisce fu documentato scientificamente già alla
fine del 1700 dal chimico svedese Carl Wilhelm Scheele.
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Nel 1829 Louis Jacques Mandé Daguerre, giovane pittore e
scenografo parigino, si associò a Nièpce con l'idea però di
usare come sostanza sensibile lo ioduro d'argento. La
collaborazione fra i due non approdò a nulla anche a causa
della morte nel 1833 di Niépce, ma Daguerre nel 1839 mise a
punto un nuovo procedimento, la dagherrotopia: una sottile
lastra di rame argentato veniva prima pulita e lucidata e poi al
buio veniva sensibilizzata attraverso l'esposizione ai vapori di
iodio che formavano sulla sua superficie un velo opaco di
ioduro d'argento fotosensibile.
L’atelier dell’artista 1837
Comunicare con la luce
Il 29 maggio 2010 a Vienna la casa
d'aste WestLicht Photographica
Auction aggiudica alla cifra record di
732mila euro uno dei 12 apparecchi
fotografici modello Daguerre-Giroux
del 1839 completo di libretto di
istruzioni in tedesco; è la prima
macchina fotografica prodotta per la
vendita al pubblico e ed ognuno porta
scritto : "Aucun n'appareil n'est
garanti s'il ne porte la signature de M.
Daguerre et le cachet de M. Giroux"
L’apparecchio rigorosamente in legno
pesa circa 50kg, misura 30 x 37 x 50 cm
e usa lastre da 16,5 x 21 cm
Comunicare con la luce
Per esporre la lastra si toglieva il coperchio all’obiettivo e in questo modo
cominciava l'esposizione che poteva durare svariati minuti anche in giornate di
pieno sole. Fu solo con la sensibilizzazione al cloro scoperto da Antoine
François Claudet e l'uso del bromo che l’esposizione si ridusse ad una
manciata di secondi.
Lo sviluppo della lastra impressionata avveniva
attraverso l’esposizione della stessa all'azione
dei vapori di mercurio che schiarivano i punti
colpiti dalla luce, mentre lo ioduro delle zone in
ombra veniva eliminato con un lavaggio in
acqua calda salata.
Il dagherrotipo era sempre un esemplare unico
non riproducibile.
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In Inghilterra il signorotto di campagna/scienziato William Fox Talbot
invece che una lastra di rame nel 1834 utilizza una carta al cloruro d'argento
ottenendo le prime negative: la carta è resa trasparente tramite ceratura e
può così essere utilizzata come negativo per la stampa di molte copie.
A Talbot si deve anche la sostituzione del fissaggio all’acqua salata con
quello all'iposolfito di sodio, soluzione molto efficace che fu
immediatamente adottata anche per la dagherrotipia.
La prima immagine di Talbot
ottenuta col suo metodo negativopositivo denominato Talbotype
(talbotipia).
Talbot mise la foto sulla copertina
della prima rivista fotografica da lui
stesso fondata The Pencil of the
Nature (La matita della Natura).
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Joseph Plateau nel 1829 enunciava la legge della
persistenza delle immagini luminose sulla retina (circa
un decimo di secondo). Se con sufficiente rapidità si
sostituisce la prima immagine con una seconda lo
stacco non viene percepito e tutto appare in sequenza.
Su questo principio si basano il fantascopio di
Robertson, il fenachistoscopio di Plateau, il
taumatropio di Paris, lo zootropio di Horner, lo
stroboscopio di Stampfer, lo stereofantoscopio di
Duboscq, il cinestiscopio di Uchatius, il fasmatropio di
Heyl e il cinematoscopio di Coleman Seller.
Thomas Linnet trasferì i principi di funzionamento di
queste prime macchine di animazione nel cineografo,
gioco per ragazzi in voga ancora oggi ed in cui per
ottenere il movimento si fanno scorrere fra le dita le
pagine di un blocchetto contenenti immagini in
successione.
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Solo nel 1851 lo scultore inglese Frederick
Scott Archer ebbe l’idea di miscelare il
bromuro e il cloruro d'argento con il
collodio ottenendo così un’emulsione che
poteva essere facilmente stesa su vetro,
materiale assai più adatto della carta cerata
a fungere da negativo trasparente per la
stampa di più copie.
Venti anni dopo il medico Richard Leach
Maddox sostituì al collodio la gelatina.
Nel 1878 Emile Reynaud produce i
primi cartoni animati con immagini e
suoni sincronizzati realizzando il
prassinoscopo; fra i documenti giunti
fino a noi: Il povero Pierrot e Intorno a
una cabina.
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Nel 1879 Muybridge installa all’ippodromo californiano di Palo Alto una
batteria di 24 macchine fotografiche che scattano foto in successione
dimostrando che un cavallo al galoppo in un certo momento ha tutte le
zampe sollevate da terra.
Nel 1882 Etienne Jules Marey costruisce un fucile fotografico che scatta 12
istantanee al secondo con cui fotografa un volo di uccelli e prova che un gatto
quando cade ricade sempre sulle quattro zampe.
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Alla fine degli anni ottanta la Kodak di
George Eastman brevetta la pellicola
fotografica su carta in rullo e mette in
commercio un apparecchio leggero e di
basso costo che viene acquistato da milioni
di persone: inizia l’epoca della fotografia di
massa.
Nel 1899 la Kodak perde la causa
legale intentatagli dal reverendo
Hannibal Goodwin che sosteneva
di essere il vero inventore della
pellicola in celluloide e riconosce
agli eredi del prelato ben 5 milioni
di dollari!
Comunicare con la luce
Ad ottobre del 1892 un prassinoscopio che
utilizza un pellicola di celluloide perforata della
Kodak comincia regolari proiezioni al museo
Grévin, è un successo.
Sempre nel 1892 Thomas A. Edison insieme al
suo assistente Dickson cominciare a condurre
delle sperimentazioni usando una pellicola
trasparente avvolta in bobine con emulsione
molto sensibile e con perforazione prima
centrale e poi laterale: era nato il cinetoscopio
con una cadenza di 48 immagini al secondo.
Il cinetoscopio però era una soluzione imperfetta, infatti il
film in proiezione presentava un insopportabile sfarfallio e
poteva essere osservato solo applicando l'occhio all'oculare
dell'apparecchio e girando ritmicamente una manovella
per far avanzare la pellicola.
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Nel 1895 Thomas Armat inventò il Vitascope-Edison
basato sul brevetto della croce di Malta che regolando
il passaggio della pellicola eliminava lo scatto fra
fotogramma e fotogramma.
A Parigi due fotografi lionesi, Louis e Auguste
Lumière, il 15 febbraio del 1895 avevano brevettato un
apparecchio chiamato cinematografo utile per
riprendere e vedere i film.
La macchina aveva una fonte di proiezione
luminosa posta dietro alla pellicola, un
sistema di trascinamento della pellicola
simile alla croce di Malta, 16 fotogrammi
al secondo in grado di rendere un
movimento fluido, un obiettivo munito di
otturatore che ingrandiva l'immagine su
uno schermo bianco.
Louis Lumière per il congegno antisfarfallio si era ispirato al meccanismo di
una macchina da cucire.
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Nel 1898 William F. Folmer inventa la Graflex prima
macchina fotografica reflex monobiettivo dotata di
otturatore in tela sul piano focale con velocità fino ad
1/1000 di secondo. Prodotta in vari modelli fino al 1963
usava pellicole piane dal 6x9 cm al 20x25 cm anche
stereoscopica con due obiettivi. I modelli della serie
RB (1923) erano dotati di dorso girevole per scattare
foto sia in verticale (portrait = ritratto) che in
orizzontale (landscape = panorama) e montavano
obiettivi barrel (a barile), cioè senza
otturatore.
La messa a fuoco avveniva spostando avanti ed
indietro la piastra su cui era montato
l'obiettivo.
I fratelli Lumiere nel 1907 mettono sul mercato
la lastra fotografica a colori Autochrome
(sintesi sottrattiva)
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Nel 1925 Leica con la Leica I porta al
successo il formato fotografico 135, il classico
35mm con fotogramma da 24 x 36 mm.
Nel 1935 viene
commercializzata la
pellicola Kodachrome a
colori da 35mm.
La produzione viene cessata
il 22 giugno 2009, l’ultimo
sviluppo avviene il 18
gennaio 2011
La prima reflex 35mm è la sovietica Cnopm
(sport) prodotta nel 1935 dalla Gomz (Officina
Statale Ottico-Meccanica) di Leningrado
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Hedwin Herbert Land (1909-1991), fisico e inventore dei filtri polarizzanti,
il 2 febbraio 1947 presenta al congresso della Optical Society of America la
macchinetta fotografica a sviluppo istantaneo:
quanto catturato dalle lenti della Polaroid
veniva subito trasferita su un foglio
fotosensibile che da negativo in meno di 60
secondi si trasformava in positivo.
Il 26 novembre del 1948 le prime Polaroid
vengono messe in vendita in un grande
magazzino di Boston, se ne vendono a 89.75
dollari 57 su 60, la Model 95 è un successo.
Nel 1963 arriva la prima Polaroid a colori.
Nel 2007 dopo aver conquistato generazioni
di fotoamatori arriva l’era della pensione per
questa macchina che aveva sedotto perfino
Andy Warhol.
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Vision Electronic Recording Apparatus (Vera) è il
primo videoregistratore a nastro sviluppato dal 1952 da
Peter Axon alla BBC, quando nel 1958 fu finalmente
pronto era però obsoleto perché nel 1956 era arrivato il
quadruplex Ampex VRX-1000 da 2 pollici con velocità
di 15” al secondo.
Molti gli standard che nel tempo si susseguirono: 1
pollice standard A (1965), 1/4 pollice Akai (1967), Umatic (1969), Betamax (1975), VHS (1976), VHS-C
(1982), Betacam (1982), S-VHS (1987), etc.
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Russel Kirsh nel 1957 produce mediante una scansione ottica il
primo file contenente una immagine: ha una risoluzione di 176
x 176 punti, misura 5,5cm e rappresenta il figlio di 3 mesi.
Nel 1959 la Voigtlander commercializza lo
Zoomar 36-82mm con luminosità f 2,8
Nello stesso anno la Nippon Kogaku
produce la Nikon F
Dicembre 1975 Steven Sasson ricercatore della Kodak scatta in
bianco e nero al suo assistente la prima foto digitale.
L’immagine venne memorizzata su un nastro digitale alla
risoluzione di 0,1 megapixel (10.000 pixel) utilizzando un CCD
della Fairchild Imaging.
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Nel 1977 Konika presenta la C35-Af prima
macchina fotografica totalmente automatica
24 agosto 1981 Sony presenta la
Mavica (Magnetic Video Camera) la prima
macchina fotografica che non usa la
pellicola, ma registra le immagini su un
floppy. Non è ancora una fotocamera digitale
poiché le immagini sono degli still frame
NTSC
Da un accordo Philips – Sony nel 1990 nasce
il Photo CD
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1991 Kodak presenta la DCS-100. È in realtà un Nikon F3
con un dorso con un sensore da 1,3 Megapixel
1999 La Nikon presenta la reflex D1 da 35mm
prima SLR interamente digitale
E poi? E poi lo sviluppo tecnologico è costante,
l’immagine entra prepotente sui cellulari e comincia
l’era degli MMS (multimedia messaging system);
fotografie anche a risoluzione media possono essere
scattate e spedite ad altri cellulari o per email. Questi
milioni di nuovi fotografi cosa rappresentano per la
fotografia? Chi farà la fotografia di attualità, il fotografo
o il casualmente presente?
La fotografia, intesa come espressione artistica, si sta
suicidando per diventare cultura di massa!
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Storia della Fotografia – vers 2012