Carissimo Nino…
Carissimo Nino,
siamo qui, tutti uniti, a salutarti, a ringraziarti e a ricordare il grande Maestro che sei stato per noi,
impareggiabile e afascinante oratore, organizzatore di viaggi indimenticabili, dove riuscivi a farci vedere
immagini di vita reale tra ruderi appena visibili, ma che tu ci illustravi con una tale passione da farli tornare
a vivere. A ricordare la tua grande cultura che ci elargivi con una semplicità e facilità che ce ne sentivamo
interamente partecipi.
E siamo qui a ricordarti come un grande Amico, amico di tutti noi a cui donavi con naturalezza sentimenti
e afettuosità indimenticabili.
Sentiamo, tutti noi, un immenso vuoto per la tua mancanza, mancanza che sappiamo incolmabile, anche se
i tanti magniici ricordi che ci hai donato ci consolano un poco di questo grande dolore.
Grazie, Nino, con tutto il cuore!
Mimmi Loiacono
Roma, Basilica di San Pancrazio, 24 ottobre 2011
Festa per gli 80 anni (19 ottobre 2006): dicamus bona verba in casa Loiacono; a destra, Giovanni Pugliese Carratelli, a sinistra
Baldo Conticello e Gaetano Messineo.
Μνήμης χάριν 3
I ‘costituenti’ dell’Associazione degli Amici della Scuola Archeologica Italiana di Atene (Roma, maggio 1995).
In viaggio con gli Amici in Giordania (Petra, 2007).
4 Μνήμης χάριν
Prezioso, carissimo Amico…
Caro Professore,
prezioso, carissimo Amico, tu che sempre avevi una buona parola per tutti, oggi ci hai dato un grande
dolore. Sei partito lasciando un enorme vuoto per noi e per la scienza umanistica. La comunità scientiica
piange la tua perdita perché sa molto bene che è venuto a mancare un grande studioso, un saggio.
Noi però, i tuoi amici, gli amici greci che hanno a lungo lavorato assieme a te in Grecia, noi che ci siamo
scontrati per poi incontrarci, noi che abbiamo gioito insieme con te, noi che abbiamo fatto baldoria, noi che
abbiamo condiviso i successi e le diicoltà, noi che ci siamo legati a te con un legame così forte che solo i legami
di sangue giustiicano, noi oggi, la tua famiglia, siamo distrutti.
Nino, unico e caro, amico fraterno perché sei andato via? Ti aspettano Gortina, Creta, la casa di Iraklion
e la chiesa di San Tito. Ti aspetta Poliochni a Lemno perché ancora dobbiamo risolvere insieme i problemi
della sua cronologia. Ti aspetta quella pagina, incompiuta, che avevi cominciato a scrivere nel giardino della
mia casa di Mitilene.
Carissimo, i tuoi meravigliosi igli e nipoti saranno orgogliosi di te e potranno trovare conforto insieme alla
tua amata Maria Antonietta guardando al tuo straordinario operato.
L’uomo muore quando viene dimenticato. Ti assicuro, nostro amato Professore, mio amico fraterno che i
tuoi amici greci ti ricorderanno sempre per la tua alta moralità, per la tua straordinaria generosità, per la tua
vitalità, per i sentimenti di amicizia che ci hai sempre mostrato, per la tua eccezionale opera scientiica.
Noi e la tua Grecia ti auguriamo Buon Viaggio!
Aglaia Archontidou
Roma, Basilica di San Pancrazio, 24 ottobre 2011
Nino Di Vita mentre illustra al Ministro greco della Cultura Melina Mercouri e all’ambasciatore italiano Marco Pisa la mostra
Creta antica. Cento anni di archeologia italiana (1884-1984), presentata nella Basilica di San Marco ad Iraklion nel luglio 1984,
poi a Roma, nella Curia del Foro Romano, nel gennaio del 1985, ad Atene, nell’Odeion degli Scultori, nell’aprile del 1985, e a
Catania, nell’ex Monastero dei Benedettini, nell’ottobre del 1985.
Μνήμης χάριν 5
Sulla terrazza della sede ateniese di odos Parthenonos, nella primavera del 1985, con Stylianos Alexiou, Semni Karousou, Dina
Peppas Delmousou e gli allievi.
In visita a Vroulià (Rodi 1986) con Iannis Papachristodoulou.
6 Μνήμης χάριν
Capodanno del 2000, festeggiato nella sede ateniese di odos Parthenonos,
con Paola Pelagatti, e Gheorghios Dontas.
Festa per l’inaugurazione della Mostra Creta antica nella casa
di Iraklion nel luglio 1984, con Manolis Bourboudakis.
Festa per l’inaugurazione della rinnovata sede di Festos nel
1999, con Alexandra Karetsou e Vincenzo La Rosa.
Con Aglaia Archontidou nei magazzini del Museo di Chios nel 2004, durante un viaggio con gli Amici della Scuola. In secondo
piano, Maria Antonietta Rizzo, Paola Rendini ed Elisabetta Mangani.
Μνήμης χάριν 7
Con i suoi allievi e collaboratori allo scavo, nella vecchia sede dell’Episkopio di Haghii Deka (luglio 1978).
Con il suo Maestro, e predecessore come Direttore della Scuola di Atene, Doro Levi, insieme agli allievi in Beozia (maggio 1980).
8 Μνήμης χάριν
Per il nostro Direttore
Nino Di Vita è stato per tutti noi, archeologi e architetti, un Maestro. Ci ha insegnato che si può, e si deve,
discutere, dubitare, indagare, non dare mai niente per scontato.
Siamo qui per testimoniare il nostro profondo afetto ad una persona che ci ha cambiato la vita. E il fatto
che siamo oggi, qui, in tanti, dimostra non solo che ha saputo creare una Scuola, ma che in questa si è sempre
respirata un’aria di cordiale amicizia, la stessa che era capace di accordare anche al più giovane ed inesperto
degli allievi, magari sorridendo ironico nel vederlo arrancare dietro il suo passo svelto sotto il sole cocente di
Creta. Quanto ci siamo dovuti allenare per potergli stare dietro, per riuscire a seguirlo nei suoi mille progetti
di ricerca, nei suoi profondi ragionamenti, nelle sue rapide intuizioni.
Una parola a Maria Antonietta: cara amica, sei sua moglie e gli sei stata sempre vicina dando un esempio
di grande amore coniugale e di profonda abnegazione, ma sei anche una di noi. Sappi che, forti di questo
profondo legame, ti saremo sempre vicini.
Con afetto
Gli allievi ateniesi
Roma, Basilica di San Pancrazio, 24 ottobre 2011
Tra i suoi allievi (sono rappresentate le diverse generazioni dal 1977 al 2000) e collaboratori, nella casa di odos Halbherr ad Iraklion, alla ine del Congresso Creta romana e proto- bizantina, l’ultimo giorno del suo mandato di Direttore, il 30 settembre 2000 .
Μνήμης χάριν 9
Sabratha (Libia). Il mausoleo punico-ellenistico B, alto più di 23 metri, uno dei più signiicativi esempi di architettura ellenistica
barocca, da lui scavato e rialzato, dopo lunghi anni di studio e di complessi restauri ( foto M. Benassai 2005).
Sabratha. Con Mabrouk Zenati, suo allievo ad Atene e poi Soprintendente alle antichità di Sabratha, davanti al teatro ( foto M.
Benassai 2005).
10 Μνήμης χάριν
Dalla Libia con afetto
With great sorrow we have received the sad news about the death of Professor Antonino Di Vita.
We are as Libyans in the Department of Antiquities when we narrate our unforgettable deeds to the
Antiquities in Libya an his endless eforts since he was appointed as a technical Adviser of the Department in
1962 up to now putting this job in serve of carrying out numerous excavations, restorations and publishing
studies about the Antiquities in Tripolitania.
In fact it is a great loss to miss this distinguished character for the world in general and for the Libyans in
particular. We are the Department of Antiquities as archaeologists, researches, employees and workers extend
our warmest condolences to his colleagues whether outside our country or inside .
Dr. Saleh R. Agab
Chairman of Department of Antiquities
Tripoli, 24 ottobre 2011
Sabratha, area sacro-funeraria di Sidret el-Balik: Nino Di Vita ed Ibrahim Kamuka, alla ine delle operazioni di restauro ( foto
M. Benassai 2005).
Μνήμης χάριν 11
Sabratha, Tomba del Defunto Eroizzato ( foto M. Benassai
2005).
Al lavoro a Sabratha ( foto M. Benassai 2007).
12 Μνήμης χάριν
Sabratha, Museo, sala della Basilica di Giustiniano ( foto M.
Benassai 2005).
Ricordo di un amico
Non è facile per me, anche solo riandando a
quanto ho letto ai Lincei venerdì sera (9 marzo 2012),
non sarà facile, oggi, ripercorrere i nostri oltre 60 anni
di amicizia inimitabile, ino all’oscuro 22 ottobre del
2011. Ad ogni modo, mi sforzerò di raccogliere fatti e
ricordi, vincendo l’emozione che già mi sofoca.
Malgrado l’incoraggiamento amichevole di
Elisabetta Mangani, forse, non riuscirò a seguire un
ilo logico e voi mi perdonerete. Ma una cosa è certa,
ed è stata sempre chiara a me: il valore del sodalizio
degli Amici della S.A.I.A. è stato sempre nella mente
e nel cuore di Antonino Di Vita, come un punto
di riferimento vitale e necessario. Del resto, il suo
rilesso lo vedo oggi in questa sala stracolma, e così è
stato per lungo tempo, ne sono certo, per ciascuno di
voi. Perciò, sarei lieto di sapere che questa intrapresa
coraggiosa di Nino continuasse a vivere dopo di lui e
continuasse a lasciare tracce indelebili di amicizia e di
cultura, come una sua presenza attiva e costante.
Ecco, incomincio dalla ine, non in ordine di tempo,
ma la folla di amici, di colleghi, di collaboratori, di
allievi e di estimatori presenti oggi al Museo Pigorini
mi consente di insistere su questo tema signiicativo
“Amici della S.A.I.A.”.
Ci siamo conosciuti a Palermo nel 1951, quando
Antonino Di Vita arrivò nel nostro Ateneo come
assistente incaricato e per giunta uscito fresco della
Scuola Archeologica di Atene, sotto la direzione di
Doro Levi. Io ero laureando di Achille Adriani con
una diicile tesi su “Alessandria e il problema dell’arte
alessandrina”. Ci siamo incontrati con Di Vita: lui
convinto assertore dell’eminenza della scuola rodia,
io che giuravo sulle parole di due alessandrinisti
eminenti, Frederik Poulsen e Achille Adriani; lui tra
gli ultimi seguaci di Paolo Orsi in Sicilia, io trascinato
dalla foga irruente di Biagio Pace (il quale due anni
dopo sarebbe stato uno dei miei professori alla
Scuola Nazionale di Archeologia di Roma). Lo stesso
percorso romano, prima dell’esperienza di Atene, di
Nino Di Vita e mio, dopo l’Università di Catania per
lui e l’Università di Palermo per me.
In fondo, ci separava soltanto un pugno di anni
(lui nato nel 1926, io nel 1931), e così la nostra
amicizia, non immediata, ma col tempo densa di
curiosità e di interessi reciproci, andò consolidandosi,
Leptis Magna. Davanti all’Arco dei Severi alla ine del restauro
( foto G. Montali 2004).
nel quinquennio che lui operò a Palermo, ino a
trasformarsi subito dopo in un legame indissolubile e
fraterno. Non posso fare a meno di ricordare, fra tanti,
almeno due dei nostri viaggi: il primo, lunghissimo,
per littorina da Palermo verso Catania (dove conobbi
la sua famiglia e fui loro ospite) per giungere a Siracusa
e visitare Sandro Stucchi, il quale scavava alla grandiosa
Ara di Ierone: Stucchi era l’amico idato del periodo
romano di studi di Antonino Di Vita, e anche per
visitare il Soprintendente L. Bernabò Brea (il quale fu
poi il Soprintendente di Di Vita), e io per incontrare
Adriani che viaggiava per mare da Alessandria
d’Egitto a Napoli, con sosta a Siracusa, per la sua
approvazione della parte inale della mia tesi; e l’altro
viaggio abbastanza avventuroso, per nave, era il 1953,
verso il Pireo e Atene, dopo un terremoto all’istmo e la
chiusura temporanea del Canale di Corinto e il periplo
del Peloponneso con la solita tempesta a Capo Malea,
viaggio della nostra Facoltà organizzato da Bruno
Μνήμης χάριν 13
Al lavoro nell’area funeraria di Sidret el-Balik ( foto M. Benassai, 2005).
Al lavoro nell’area funeraria di Sidret el-Balik ( foto M. Benassai, 2005).
14 Μνήμης χάριν
Al lavoro nell’area funeraria di Sidret el-Balik ( foto M. Benassai, 2005).
Lavagnini, allora Direttore dell’Istituto Italiano di
Cultura ad Atene, con l’appoggio dell’Università
e dell’Accademia di Atene e di numerosi colleghi e
amici della capitale ellenica e dell’Attica.
Antonino Di Vita fu in quell’occasione il
nostro mentore non solo per le antichità di Atene
e dell’Acropoli e dei Musei della capitale, ma anche
verso le numerose taverne all’ombra della Plaka ed i
gruppi di suonatori di bouzoukia a Neo Faliro: così,
una notte facemmo molto tardi, tra canti e balli, tanto
che il giorno dopo non ci svegliammo (dividevamo la
stessa stanza) e raggiungemmo con un taxi il gruppo
palermitano già ad Eleusi con grande ritardo, accolti
da un severo rimbrotto di Bruno Lavagnini. Quel
viaggio importante e molte delle nostre imprese
ateniesi furono documentate da un nostro caro
amico e fotografo d’eccezione, Giovanni Scichilone,
allievo nel 1960 della Scuola di Atene, poi trasferitosi
da Palermo a Roma come Ispettore Archeologo e,
quindi, docente di Museologia e Museograia, ino a
diventare Soprintendente a Chieti ed a Roma, prima
al Pigorini e poi a Villa Giulia.
Io lasciai Palermo per Roma nell’autunno del
1954, alcuni mesi dopo la laurea, per presentarmi
agli esami della Scuola Nazionale di Archeologia
di Roma, la cui esigua borsa triennale vinsi a pari
merito con Giuseppe Ghisellini, il quale poi rinunziò
per l’insegnamento scolastico, borsa che la sapiente
pazienza di Giulio Quirino Giglioli, avverso la
burocrazia, riuscì a fare assegnare per intero a me,
triennio 1954-55, 1955-56, 1956-57. Il periodo
romano si concluse per buona parte del 1957, com’era
previsto, con la frequenza della Scuola di Atene.
Di Vita intanto aveva lasciato Palermo e
la nostra Università nel 1955, per passare nei
ruoli delle Soprintendenze alle Antichità e Belle
Arti e la sua sede fu quella di Siracusa con piena
responsabilità nell’area ragusana, cui l’aveva
assegnato il Soprintendente Bernabò Brea. Così si
avverava il suo sogno giovanissimo, quando seguiva
il nonno per le campagne del ragusano raccogliendo
cocci di ceramiche, dando vita al suo progetto di
diventare archeologo. Ma Ragusa, per lui “siciliano”
e chiaramontano di nascita, sarebbe stata il movente
di tante sue ricerche, plasmando la sua igura di
provinciale colto e orgoglioso, come sa essere colta e
altera l’esclusiva provincia siciliana.
Sarà suiciente sfogliare alcuni riusciti articoli
pubblicati nella rivista Kokalos e godersi la lettura del
bel volume di Antonino Di Vita Da Siracusa a Mozia.
Scritti di Archeologia Siciliana (Padova 1998), che io
ebbi la fortuna di presentare a Ragusa, aprendo una
Μνήμης χάριν 15
Area funeraria di Sidret el-Balik, al momento del pagamento degli operai ( foto M. Benassai, 2005).
Al lavoro nell’area funeraria di Sidret el-Balik ( foto M. Benassai, 2005).
16 Μνήμης χάριν
Al lavoro nella tomba del Defunto Eroizzato a Sabratha ( foto M. Benassai, 2005).
manifestazione scientiica che superava l’onore reso
alla sua alta personalità di studioso, trasformandosi
presto in un congresso di rilevante importanza (Un
ponte ra l’Italia e la Grecia, Ragusa 1998, Padova
2000). Per questo, nella sua opera la Sicilia appare
come metafora di un mondo vitale e mai perduto, solo
qualche volta riiutato, e costantemente desiderato.
Ed è al limite della confessione il rimpianto mai
sopito degli scavi e della provincia ragusana, lasciati
da Di Vita alla volta di Perugia e di Roma e poi
della Libia, un rimpianto cocente che ha continuato
ad attanagliare l’Autore per lunghi anni, come ha
scritto nell’accattivante nota personale dedicata,
nel 1995, a Camarina rivisitata, una sua legittima
introduzione alla Guida del Museo Archeologico.
Ma la sua condizione di testimone - e mi riferisco,
in particolare, alle pagine struggenti, anch’esse del
1995, di Ricordando Ragusa - gli permetteva di
elevare il tono del ricordo giovanile, percorso da
virile malinconia, al rango di memoria collettiva.
Così, il volume, ben altro che un elegante zibaldone
di ricordi, era ed è un libro scientiicamente utile,
attuale direi, denso com’è di idee personali e di
problemi tuttora accesi.
Durante il mio triennio romano ci incontravamo
spesso con Nino Di Vita a Roma, durante i suoi periodi
di studio nelle biblioteche romane e nei brevi intervalli
della mia presenza a Palermo. Intanto, io ero stato
colto dal “mal d’Africa”, negli anni 1955-1956-1957,
male inguaribile come ho potuto scoprire. Accadde
così. Durante il mio lavoro di “salariato giornaliero,
novanta-giornista” al Museo di Villa Giulia (così ci
chiamavano), il Soprintendente Renato Bartoccini
non solo mi ospitò nella comoda ma fredda Foresteria,
consentendomi di sopravvivere a Roma, ma alla ine
della primavera del 1955 mi propose di partecipare, e
fu per tre anni di seguito, alla Missione da lui diretta
in Libia, al Porto di Leptis Magna, la prima missione
italiana che operava nel dopoguerra in Libia. Ed in
Libia, dopo la Scuola di Atene nel 1957 ed il mio rientro
in Sicilia e la ripresa della mia attività di assistente
di ruolo nell’Università di Palermo, e l’impegno
quasi continuativo a Himera, in Libia, lo ripeto, sarei
ritornato dapprima più volte saltuariamente e poi con
sistematicità a partire dai primi anni ’70 ino ad oggi,
soprattutto a Sabratha e poi a Cirene.
Le scelte dei nostri maestri e la scomparsa
improvvisa di E. Vergara Cafarelli fecero sì che
pure Antonino di Vita scendesse in Libia negli anni
1962-1965, come Adviser del Governo Libico in
Tripolitania. Io allora mi dividevo tra Iasos di Caria
in Turchia, dove operai dal 1960 al 1962 con Doro
Μνήμης χάριν 17
Con Giorgio Rocco e Mohammed Droughi al Circo di Leptis Magna (2009).
Con Giorgio Rocco nell e terme della villa di Selin presso Leptis Magna (2009).
18 Μνήμης χάριν
Levi, e il nascente scavo di Himera con Achille
Adriani (1963), e mai abbiamo parlato con Nino di
quella sua decisione improvvisa ma certo motivata,
memore delle sue esperienze sulla punicità dell’Ovest
siciliano - di Selinunte soprattutto - e con un preciso
piano di lavoro; senza di che non troverebbero piena
giustiicazione i suoi rapidi, concreti e fortunati
interventi a Sabratha. Certo è che laggiù ha trovato
nuove energie per dare il meglio di sé ed ha potuto
guardare con soddisfazione alle fatiche della sua
maturità piena. Così anche Nino prese il “mal
d’Africa”, come me nel 1955, e per questo fu autore
di alcuni superbi esiti scientiici.
Nel 1963-64, insieme con Richard G. Goodchild,
fu fondatore a Tripoli della nota rivista Libya Antiqua,
di cui oggi circola il I volume della Nuova Serie (2010),
responsabili lo stesso Di Vita e Saleh R. Agab. Ed ecco
alcuni scavi a Sabratha, che sono notevoli: ricerche sul
terreno condotte con estrema puntualità stratigraica
nella Regio VI; scavo, studio e ricostruzione del Mausoleo Punico B, un esempio rarissimo di architettura del
barocco punico-ellenistico; attente indagini e restauro
accurato dell’estesa area sacro-funeraria a cielo aperto
di Sidret el-Balik, al centro di Sabratha moderna, che
conserva un importante complesso pittorico della
metà del IV sec. d.C. A Leptis Magna, oltre allo studio
impegnativo del Serapeo, arrivato quasi a compimento,
ha organizzato un gruppo di lavoro e di studio che
ha operato alla revisione degli esiti dei vecchi scavi
italiani al Foro Vecchio, in particolare allo studio,
alla documentazione e all’edizione dei tre templi del
lato nord-orientale. Ma l’impegno più gravoso è stato
senza dubbio il completamento del restauro dell’Arco
di Settimio Severo: iniziato da Sandro Stucchi nel
1966 e continuato da Lidiano Bacchielli, l’Arco è
stato inalmente ultimato da Di Vita.
Dopo Siracusa, le destinazioni di Di Vita nelle
Soprintendenze furono Roma (Etruria Meridionale)
e Firenze, e una volta superato il concorso a
professore universitario le sue sedi furono Perugia e
poi, deinitivamente, Macerata, dove poté realizzare
molto come Preside e come Rettore, ino ad essere
nominato Professore Emerito nel 2004.
Com’è naturale, per anni, il lavoro e la carriera
ci portavano ad avvicinarci e spesso ad allontanarci
l’uno dall’altro, ma l’incontro era sempre un forte
abbraccio e il riprendere il ilo mai interrotto
dell’ultimo discorso, dell’ultimo viaggio, dell’ultima
ricerca. E, così, alla ine, sono stato io a raggiungerlo
e restare al suo ianco per quasi un intero anno, per la
creazione della Nuova Scuola Archeologica Italiana
di Atene. E ad Atene, durante la sua direzione della
Nel deserto libico (2001).
Scuola, rimasi ad insegnare per cinque anni di seguito
per decreto congiunto del Ministero dell’Università
e di quello del Ministero dei Beni Culturali. Tutti e
due avevamo raggiunto un approdo a noi noto, non
inale, dal quale eravamo partiti da giovani.
Merita chiudere il nostro discorso. Sofermiamoci
brevemente sul Suo ventennio di attività in Grecia,
in qualità di Direttore della Scuola Archeologica
Italiana di Atene, ed in particolare sulla ripresa
degli scavi italiani a Gortina di Creta. Di Vita era
stato nel 1950 in Grecia, alla Scuola di Atene e
laggiù allievo di Doro Levi. Con la sua nomina
prestigiosa di Direttore della Scuola tutto doveva
lasciare presagire un cambiamento di rotta e questa
non poteva non portare verso Gortina, come punto
storico-archeologico focale del Mediterraneo.
Dopo la Sicilia, un’altra grande isola nella vita di
Antonino Di Vita. La sera del 29 settembre 2000
salutavo Di Vita a Iraklion nella vecchia e bella casa
turca, gloriosa sede cretese della Scuola Archeologica
Italiana, a conclusione del riuscitissimo Congresso
su Creta romana e protobizantina. Di Vita stava
per lasciare la Direzione della Scuola (1977-2000)
e quel congresso coronava la ine del suo mandato,
dopo oltre un ventennio di attività scientiica, e
Creta ne era protagonista. Poco più di dieci anni
dopo, all’Accademia dei Lincei, la sera dell’11
Μνήμης χάριν 19
Un momento di relax nella casa della Missione a Sabratha ( foto M. Benassai 2006).
Ospite della casa di Ibrahim Kamuka a Sabratha ( foto M. Benassai 2005).
20 Μνήμης χάριν
L’ultima pagina del suo
quaderno di scavo dell’Arica (novembre 2010).
febbraio 2011 ebbi il privilegio di coordinare e
presentare, insieme al mio, gli interventi dei colleghi
Enzo Lippolis e Jean-Pierre Sodini sul volume di
Antonino Di Vita Gortina di Creta. Quindici secoli
di vita urbana ( Roma 2010). E allora, come per un
appuntamento già stabilito, mi trovai a parlare di
Gortina e di Nino Di Vita, dopo la pubblicazione
da lui coordinata della serie magistrale degli scavi di
Gortina e l’uscita di questo volume che ofre a noi
uno spaccato memorabile della storia di questa cittàcapitale attraverso “Quindici secoli di vita urbana”,
e che racchiude anche quasi un venticinquennio di
attività scientiica e didattica di Antonino Di Vita in
Grecia. Questa volta la protagonista non era la Sicilia,
come nell’indimenticabile Convegno ateniese da
lui organizzato nel 1979, ma in questa occasione la
protagonista assoluta era Gortina di Creta.
Davanti all’insistente richiamo cretese, devo
confessare che si nasconde ancora in un angolo
della mia memoria il ricordo mai sopito di
un’esperienza che mi riempie ancora di orgoglio
e di emozione: il mio scavo fortunato e ricco di
problemi della stazione medio-minoica di Patrikiès,
tra Haghìa Triada e Festòs, che a suo tempo ebbe
un’eco notevole. Sono passati soltanto 55 anni da
quell’estate infuocata trascorsa nella Messarà, ed a
me sembra che si tratti di ieri.
Avviamoci alla conclusione. Una delle caratteristiche che connotano questo ultimo volume di Nino
Di Vita è senza dubbio quella della compartecipazione:
non c’è pagina, in dalle prime battute, in cui l’Autore
non assuma le vesti di protoagonistes, ma questo accade
nel ilone di una difusa e sentita sympatheia. Tutto è
vissuto in prima persona ma all’interno di una coralità
scontata, perché tutto è parte di un presente comune
non ancora trascorso, e tutto è disposto perché ne resti
memoria nel futuro. Così, i molti interventi patrocinati
nella stessa Gortina rappresentano anche l’immagine
di una nuova e accorta politica di radicamento della
Scuola Archeologica Italiana nelle località di scavo,
secondo un progetto unitario che toccherà Poliochni,
Festòs, Iraklion e ancora Haghioi Deka, con i nuovi
ediici della S.A.I.A. inaugurati proprio nel 2000. E,
nello stesso principio rientrano naturalmente i saldi
dei numerosi vecchi debiti scientiici dell’archeologia
italiana in Grecia - soprattutto quelli di Coo e di
Poliochni - che con Di Vita hanno trovato la via per
una svolta risolutiva.
Con questo nostro ultimo ricordo, e con il ricordo
di quest’ultima fatica scientiica di Antonino Di Vita,
che ho potuto ricordare qui brevemente, si chiude il
percorso di una lunga e inimitabile amicizia, la nostra,
non il nostro continuo dialogo scientiico e umano che
altri ci auguriamo vorranno riprendere e continuare.
Nicola Bonacasa
Roma, Museo Pigorini, 14 marzo 2012
Μνήμης χάριν 21
Il Convegno Grecia, Italia e Sicilia nell’VIII e VII sec. a.C., organizzato nel 1979 presso la Scuola Archeologica Italiana di Atene.
In prima ila, da sinistra, M. Sakellariou, A. Di Vita, S. Lagona; in seconda ila, D. Levi, G. Pugliese Carratelli e M. Pallottino.
Nella casa di Iraklion con i Ministri Melina Mercouri e Antonino Gullotti nel 1984.
22 Μνήμης χάριν
I nostri “sogni” nell’Egeo, ra Atene e Creta
Il nostro primo, casuale incontro fu nei secondi
anni ’60, all’Istituto di Archeologia dell’Università
di Catania, che frequentavo allora da assistente
volontario. Lo vidi, entrando per salutare come al
solito il Direttore e Maestro G. Rizza, appollaiato su
una scala mentre cercava un libro nello scafale più
alto. Appresi dalla presentazione che era il prof. Nino
Di Vita, di passaggio dal capoluogo etneo, laureatosi
proprio a Catania con Guido Libertini, “Il libico/
africano” - pensai dentro di me – “e quindi persona
con la quale non avrò mai a che fare; peccato però,
visto che è così estroverso, loquace e simpatico”.
Dopo il periodo di alunnato ad Atene nel 1965
e 1966, continuai a collaborare con Doro Levi a
Festòs, convinto tuttavia che con il suo collocamento
a riposo (nel 1976), sarei tornato esclusivamente,
seppure con rammarico, ad occuparmi di archeologia
siciliana. A sorpresa, il lanciatissimo e brillante
Rettore dell’Università di Macerata aveva deciso di
rinunciare alla carica e di avanzare, con successo, la
sua candidatura alla successione nella sede ateniese
(avvenuta con nomina 1 gennaio 1977). Non
avevo mai avuto rapporti con lui e mi ero limitato
ad ammirarlo per i suoi scritti, per gli interventi ai
Congressi, o per la sua cordialità verso grandi e
piccini. Pensai quindi che l’unica condiscendenza
del nuovo Direttore verso l’Ateneo catanese sarebbe
stata la riconferma della Missione di Priniàs per G.
Rizza. Grande e pari alla gioia fu dunque il mio
stupore quando di lì a poco mi propose di riprendere
i lavori ad Haghia Triada. Leggendomi nel pensiero
e per fugare ogni mio dubbio, mi disse che era sua
intenzione non far morire la tradizione minoica della
Scuola e che lo stesso D. Levi gli aveva fatto il mio
Con Doro Levi e Marisa Rossi nella casa di Iraklion nel 1984.
Prospetto della casa di odos Halbherr ad Iraklion, restaurata
con il contributo dell’Associazione Amici della Scuola Archeologica Italiana di Atene tra il 2005 e il 2008.
Μνήμης χάριν 23
Nino Di Vita con V. La Rosa, M. Ricciardi, M.A. Rizzo e F. Ceschi, con i quali curò la Mostra Creta antica, nella casa di odos
Halbherr, a Iraklion (luglio 1984).
Con i suoi più antichi allievi degli anni 1977 e 1978 nel primo cortile della casa di odos Halbherr ,a Iraklion (settembre 2000).
24 Μνήμης χάριν
nome come possibile continuatore. Mi diede subito
del tu ed altrettanto pretese da me, abituato invece
a ben altre gerarchie accademiche. Fu una sorta di
patto di sangue. Dalla primavera del 1977 non ci
saremmo più perduti di vista ed il mio riverenziale
timore si sarebbe trasformato, per sua benevolenza,
in devota e sincera amicizia.
Nel primo anno di nomina, dovendo ancora
onorare alcune scadenze all’Università di Macerata,
ottenne dal Ministero di postergare di qualche
mese la sua presa di servizio ateniese e non riuscì ad
organizzare la programmata campagna di scavi con
gli allievi. Aveva scelto di riprendere uno dei luoghi
simbolo della presenza italiana a Creta, direttamente
legato a F. Halbherr. Gortina, con le sue imponenti
rovine di età romana, gli permetteva quasi di
ricostituire la provincia imperiale di Creta e Cirene,
e di mettere a frutto la grandissima esperienza da lui
maturata in Libia a partire dal lontano 1962. Iniziai i
miei saggi ad Haghia Triada, portando allo scavo, su
sua indicazione, alcuni degli allievi della Scuola. Uno
di questi si chiamava Maria Antonietta Rizzo, della
quale cominciai ad apprezzare la diligenza, la curiosità
per un ambiente a lei poco noto, l’aidabilità. Ed
il Direttore mi concesse che, avendo lei ottenuto
il rinnovo della borsa ateniese per il 1978, fosse di
nuovo assegnata allo scavo di Haghia Triada.
Con Enzo e Tina La Rosa al taglio della torta per i festeggiamenti per la sua nomina a socio corrispondente dell’Accademia
Nazionale dei Lincei (Festos 1993).
Con Enzo La Rosa e i componenti della Missione di Festos nel 1993, durante i festeggiamenti per la sua nomina a socio corrispondente dell’Accademia Nazionale dei Lincei.
Μνήμης χάριν 25
Nel giardino dell’Episkopio di Haghii Deka con gli allievi e collaboratori Nunzio Allegro, Mario Iozzo, Paola Rendini, Alan Ortega
(1982).
Al Pretorio di Gortina con una testa marmorea appena scoperta (1992).
26 Μνήμης χάριν
A Creta, durante una gita alla scoperta del Diktynnaion (1982).
Nel giardino dell’Episkopio di Haghii Deka con Stratis Papadakis e Francesco La Torre (1984).
Μνήμης χάριν 27
Nel 1978 iniziarono anche i lavori di Nino
a Gortina, che da quel momento e ino al 2000
divenne un impareggiabile campo di scavo
per gli allievi della Scuola. Il Direttore seppe
creare dal nulla e sapientemente coordinare una
Missione di alto proilo scientiico e di forte
aiatamento umano, realizzando un’esemplare
serie di monograie (l’ultima apparsa proprio lo
scorso anno). Nei primi anni della sua attività
cretese egli dormiva a Festòs, nella stanzetta che
Doro Levi si era fatta costruire dietro il Museo
stratigraico, a ridosso della cinta muraria di età
protostorica, e viaggiava quindi ogni giorno per
e da Gortina. Fu un piccolo ‘ciclone’ per la nostra
minuscola e monacale missione, regolata, secondo
gli insegnamenti di Levi, da orari ben precisi. Nino
era un animale notturno, con suoi propri bioritmi.
Quando si alzava a mattina inoltrata, noi eravamo
già da un pezzo allo scavo e faceva quindi colazione
in splendida solitudine, servito dalla perpetua di
turno. Noi lo aspettavamo per la cena, pronti a
godere delle sue colorite narrazioni relative non solo
a fatti e persone della Missione sorella, ma anche
Nel cortile dell’Episkopio di Haghii Deka (1997).
Gortina, Pretorio. Durante lo scavo a Sud del tempio (2001).
28 Μνήμης χάριν
ai tanti trascorsi della sua movimentata esistenza.
Apprendevamo di giovani aspiranti archeologi
poligrai che numeravano le lettere all’amato bene
per evitare che ne andasse smarrita qualcuna (con
il numero preceduto dalla sigla TAF, cioè “ti amo
follemente”), sentivamo di gazzelle uccise nel
deserto libico, di navi squassate dalle onde ed in
procinto di calare a picco, di scatenate feste da ballo
(soprattutto di spiroù, a me ignoto), di musulmani
bevitori clandestini di alcolici pronti a disfarsi del
corpo del reato nascondendolo sotto il suo letto.
Era un afabulatore nato Nino, che sapeva aiutarsi
con i gesti e l’espressione del volto. Ma era anche un
onnivoro e un curioso, che ci teneva ad essere sempre
informato di tutto: i giornali che gli capitavano per
le mani (la Repubblica, in genere), venivano da lui
letteralmente squinternati perché doveva leggerli (e
commentarli se aveva qualcuno a tiro) dalla prima
all’ultima pagina, necrologi inclusi. La dice lunga
anche la sua confessione che era sempre capace di
commuoversi davanti alle scene salienti di Via col
Vento, ilm che rivedeva con partecipazione ogni
qualvolta gli si presentasse l’occasione.
Quelle piacevoli serate festie con lui a capotavola
avevano un solo inconveniente: si consumavano
parecchio dopo il nostro orario consueto, perché Nino
si faceva attendere parecchio, con la conseguenza,
però, che l’indomani noi avremmo dovuto alzarci per
andare allo scavo assai prima di lui. Mi resi conto che
avrei messo a dura prova la resistenza isica dei miei
giovanotti e così rimasi il solo a fargli compagnia
durante la sua cena (dopo che avevo, beninteso,
mangiato con i Festii all’ora canonica). Il motivo
dei suoi ritardi, bioritmi a parte, è presto detto.
Dopo la conclusione meridiana dei lavori e il riposo
pomeridiano, Nino usava ritornare allo scavo con gli
allievi e discutere con loro, davanti a muri e strati,
inché l’ultimo raggio di sole non fosse scomparso
e poi magari continuare nel bel cortile alberato del
vecchio Episkopio, dove era allora ospitata la missione
gortinia. Fu lo stesso Direttore a rendersi conto,
qualche anno dopo, che era meno stancante per lui e
più gratiicante per i suoi, alloggiare all’Episkopio. Le
mie cene, da quel momento, furono meno appetitose.
Le estati cretesi diventarono ben presto un
immancabile appuntamento. I quindici chilometri
Haghii Deka, casa della Missione, estate 2005. Con Nunzio Allegro, Nicola Cucuzza, Marina Albertocchi, Giorgio Rocco, Monica Livadiotti, Maria Antonietta Rizzo, Stratis Papadakis e gli allievi delle Università di Roma, Bari e Palermo.
Μνήμης χάριν 29
Inaugurazione della nuova sede della Missione ad Haghii Deka alla presenza dell’Ambasciatore italiano Agostino Mathis, del Sindaco di Gortina e dell’Eforo Alexandra Karetsou (2000).
Veduta della nuova sede della Missione ad Haghii Deka, costruita tra il 1995 e il 1998 grazie ai fondi dell’8 per mille.
30 Μνήμης χάριν
Nel giardino della nuova sede della Missione ad Haghii Deka
(2000).
Nell’Antiquarium della nuova sede della Missione ad Haghii
Deka (2000).
che separavano le due Missioni venivano da me o da
lui superati la domenica, o in uno dei viaggi per pochi
adepti nelle diverse aree archeologiche dell’isola. Lo
spirito di gruppo, cui entrambi tenevamo molto,
si manifestava specialmente nella serata comune
delle due Missioni, a ine stagione. Era anche il
momento in cui ci scoprivamo tutti un po’ bambini:
preparavamo e intonavamo strofette per i diversi
membri, ofrivamo al Direttore uno scettro dorato
ricavato dal piede di un vecchio tavolo ormai roso dai
tarli, componevamo epigrai in latino maccheronico,
o un sonetto in perfetta metrica quando egli fu
nominato Accademico dei Lincei. Un vero e proprio
torneo di ballo (l’idea non poteva venire che da
Nino!) si concluse con la vittoria di un gortinio,
poi prestigioso cattedratico di Antropologia isica,
il quale si aggiudicò un simbolico lampioncino.
L’unico incontro di calcio (mai più ripetuto per
evitare che divampasse un pericoloso tifo di parte),
giocato sul campetto di Haghioi Deka, vide i Festii
soccombenti, seppure integrati per l’occasione da
Sergio (ribattezzato subito Serginho), membro
monello e vivace, per diverse estati, della Missione
festia, aspirante falegname, infaticabile riparatore
di cassette lignee disastrate, creatore di quadri per
appendere le chiavi o di pedine da gioco. Il padre
era davvero felice di poterlo vedere almeno a cena
e tentava di assegnarli, promettendo ricompense,
compiti scritti di italiano, perché si fortiicasse nella
lingua.
Per altri membri aggiunti avevamo, a Festòs,
coniato l’espressione “igli del Ministero”: erano le
appendici parentelari di grossi burocrati ministeriali,
in cerca di una vacanza intelligente, meglio
realizzabile nel più rarefatto e monastico ambito
festio piuttosto che in quello gortinio. La cosa aveva
una nobile ragion d’essere: quei “igli del Ministero”
diventavano delle preziose chiavi per aprire i cuori e
le menti dei burocrati che potevano assicurare una
vita più tranquilla alla Scuola, sveltendo pratiche,
accelerando provvedimenti, procacciando fondi.
L’aneddotica potrebbe prendermi la mano; farne
cenno mi è parso tuttavia un doveroso tributo
alla lungimiranza, alla grande umanità di Nino,
alla simpatia che riusciva a suscitare, al suo senso
dell’umorismo, al modo stesso di intendere la vita.
Μνήμης χάριν 31
Il Sindaco di Haghii Deka gli conferisce la cittadinanza onoraria (luglio 1998).
Al matrimonio di Stratis Papadakis, davanti alla chiesa di Haghii Deka (2002).
32 Μνήμης χάριν
Ad Haghii Deka, nel giardino della casa della Missione, con Enzo Lippolis, Isabella Baldini e iglie, Marina Albertocchi con iglia,
Gilberto Montali, Maria Antonietta Rizzo e Stratis Papadakis.
L’episodio più esaltante dei nostri legami con
l’isola di Minosse rimane la mostra del 1984, Creta
antica. Cento anni di archeologia italiana. Gli lanciai
l’idea alla ine dell’estate 1983, quasi per scherzo,
alla partenza per una sfortunatissima escursione al
Dyktinneion, durante la quale la macchina rimase
impantanata nel fango e dovemmo raggiungere
fortunosamente a piedi il villaggio più vicino
nell’ombra della sera, scortati da un gregge di pecore.
Raccolse immediatamente l’idea e le diede subito
forma; coinvolse me e Maria Antonietta, per una
fatica che doveva rivelarsi assai più impegnativa del
previsto. Ci vollero parecchi mesi per allestirla, ed
io feci il piccione viaggiatore fra diverse istituzioni
romane (l’Accademia dei Lincei, l’Archivio
Centrale dello Stato, l’Università La Sapienza, il
Museo Pigorini), e poi l’Accademia Roveretana
degli Agiati, l’Istituto di Scienze lettere e arti di
Venezia, l’archivio del Museo Storico di Iraklion,
l’Accademia Colombaria o il Museo Archeologico
di Firenze, alla ricerca di documenti utili. Tina,
per lunghi periodi sola a Catania con la piccola
Elena, pretese che facessi mettere le inferriate a tutti
i balconi di casa. Il materiale raccolto conluiva
nella casa di via Guerrazzi, solo acquistata e non
ancora abitata da Nino, dove cercavamo, con Maria
Antonietta, di mettere ordine fra le carte. Agli inizi
di luglio la Basilica di S. Marco ad Iraklion accolse
i nostri pannelli; G. Pugliese Carratelli tenne il
discorso di inaugurazione; Melina Mercuri e Nino
Gullotti, i ministri per i Beni culturali dei due
paesi, tagliarono la torta nella casa di via Halbherr,
alla presenza di tanti illustri invitati. Con Nino e
Maria Antonietta ci sorridevamo di tanto in tanto,
cercandoci con gli occhi e senza bisogno di parole.
La nostra amicizia e la stima reciproca uscirono, da
quell’impresa, rinsaldate. Le successive tappe della
stessa mostra furono altrettanto esaltanti: alla Curia
nel Foro romano (nel dicembre dello stesso anno),
alla presenza del Capo dello Stato Sandro Pertini,
con l’aggiunta di alcuni materiali conservati nelle
raccolte italiane e con il catalogo appena pubblicato.
Fu poi la volta di Catania nel 1985 all’ex-Monastero
dei Benedettini, e quindi di Atene, all’Odeion degli
scultori, ancora una volta alla presenza di Melina
Mercouri.
Ho appena ricordato la casa di Iraklion, abitata
dai nostri predecessori quasi in dall’inizio della
presenza italiana a Creta, poi acquistata e restaurata
da F. Halbherr nei suoi ultimi anni di vita. Nino ci
Μνήμης χάριν 33
Con Vincenzo La Rosa, sulla veranda della casa di Festos (2004).
Poliochni (Lemno), durante il viaggio degli Amici del 2004. Sullo sfondo la ricostruzione di una casa del villaggio preistorico.
34 Μνήμης χάριν
teneva tantissimo a quella casa e la mostrava con
orgoglio alle tante persone di riguardo con le quali
intratteneva rapporti. La aveva fatta dichiarare
dai Greci monumento di interesse nazionale e vi
aveva profuso tempo, idee e tanti fondi per poterla
mantenere agibile. Non mancava di trascorrervi
qualche giorno ad ogni inizio estate: il cortile di
ciottoli, la fontanina, il pozzo, l’ibisco, il gelsomino,
l’arancio selvatico, i mobili del tempo passato lo
rasserenavano e gli consentivano di sentirsi l’anello di
una lunga catena, che aveva sempre avuto a cuore la
serietà della ricerca, il buon nome dell’Italia, l’amore
per l’isola ed i suoi abitanti. Il legame con la casa di
Iraklion non si interruppe con il commiato dalla
Direzione ateniese; si fece anzi più stretto, sublimato
dalla nostalgia. Nino intervenne di tasca propria per
alleviare i più gravi, sopravvenuti, guasti del tempo,
trovò la kyria Amalìa che potesse custodirla tutto
l’anno, riuscì ad ottenere una convenzione fra la
Scuola di Atene e l’Associazione degli Amici perché
qualcuno di noi potesse soggiornarvi, in modo da
accantonare qualche fondo che servisse per assicurare
almeno la manutenzione ordinaria. E chi lo ha fatto,
ne ha riportato duraturi ricordi, nonostante la
francescana modestia logistica.
Il Direttore Di Vita non ebbe occhi, tuttavia,
per la sola casa di Iraklion. L’ampliamento della
sede ateniese, la ripresa integrale delle strutture
di Poliochni a Lemno, la costruzione della nuova,
bellissima casa di Gortina (con annessi magazzini
e locali per l’Antiquarium), il restauro della casa di
Festòs, rimasta ferma ai lavori del Levi del 1958, la
risistemazione del complesso dei magazzini sempre
a Festòs (con la realizzazione anche di uno nuovo)
sono lì a testimoniare la sacrosanta prospettiva di
Nino che per lavorare al meglio si dovesse disporre di
strutture per quanto possibile adeguate.
Non è il caso, in questa sede, di tentare un bilancio
della sua operosissima direzione: lo aveva fatto egli
stesso in maniera analitica nell’ultimo degli Annuari
della Scuola che aveva potuto curare. Basterà
richiamare le più signiicative fra le sue linee guida (in
aggiunta a quella appena ricordata dell’adeguamento
e potenziamento delle strutture edilizie), con qualche
ulteriore riferimento alle esperienze che mi è capitato
di condividere con lui, soprattutto durante i miei sei
anni di vice-direzione.
Metterei al primo posto la sua idea di una vera
e propria rifondazione della Scuola, ino a quel
momento semplice corso di perfezionamento di
durata annuale, concluso dal formulario di un
Gita ad Eleutherna con Enzo Lippolis, Monica Livadiotti e
Giorgio Rocco (1997).
attestato, non sempre tenuto nel debito conto o
addirittura ignorato per le valutazioni concorsuali
in patria. Nino cercò in da subito di raddoppiare,
almeno per gli alunni più meritevoli, la durata della
borsa e studiò un nuovo ordinamento con un corso di
studi triennali, cinque diversi curricula, un consiglio
scientiico di una diecina di membri, corsi di lezione,
esami annuali, tesi di specializzazione inale, rilascio
del diploma (per il quale coinvolse all’inizio il
calligrafo dell’Università di Macerata). Mettendo a
frutto anche la sua esperienza di Rettore, riuscì in un
arco di tempo relativamente breve per le consuetudini
della politica italiana, a fare approvare la nuova legge
(nel marzo del 1987), che rendeva la Scuola di Atene,
grazie anche al prestigio goduto dal Direttore, la
più appetibile per i giovani laureati italiani in cerca
di una specializzazione archeologica. Alla Scuola
veniva adesso riconosciuta la personalità giuridica
di ente di diritto pubblico, con un suo Consiglio di
amministrazione. Ricordandosi delle diicoltà da lui
incontrate nel conciliare doveri d’uicio e ricerca, il
Direttore pensò inoltre che la Scuola dovesse rendersi
disponibile anche per i funzionari già in servizio o
comunque per studiosi che avevano da completare le
Μνήμης χάριν 35
Il Sindaco di Gortina e il Vescovo Makarios gli consegnano una targa ricordo il giorno della presentazione del volume Gortina di
Creta. Quindici secoli di vita urbana (Haghii Deka, 12 settembre 2010).
loro ricerche in Grecia ed in un ambiente stimolante
come quello ateniese. Nacquero così anche le ambite
borse annuali di perfezionamento. L’abilità di Nino
nel districarsi fra i labirinti della burocrazia avrebbe
fatto il resto, anche per ovviare alla scarsità dei fondi
disponibili. Grazie ad un’oculata politica di bilancio,
la Scuola fu inalmente in grado di vivere, piuttosto
che di sopravvivere, come le era costantemente
capitato nel corso della sua lunga storia.
Fui chiamato da Nino come docente alla Scuola in
dal primo anno di funzionamento efettivo secondo
il nuovo ordinamento (nel 1989) e a malincuore
resistetti per qualche anno, solo per motivi di
organizzazione familiare, alla sua proposta di avermi
stabilmente in distacco ad Atene. Quando nel
novembre del 1993 riuscii inalmente a trasferirmi,
mi resi meglio conto di quanto la macchina-Scuola
fosse oliata e di quanta considerazione godesse presso
le Istituzioni sorelle. Tra i primi incarichi aidatimi,
quello di pubblicare una sorta di annuario dei 257
allievi ino ad allora succedutisi, mi costò quasi un
anno di faticoso ma esaltante lavoro. Ne venne fuori
36 Μνήμης χάριν
quello che nel lessico familiare degli ex-ateniesi
continuiamo a chiamare il Libretto rosso, dal colore
della copertina del volumetto.
Tra i ricordi spiacevoli non posso invece tacere
la nostra indignazione per le diverse interpellanze
parlamentari (particolarmente piccata quella dell’on.
Mussolini nel 1996!) o proposte di inclusione della
Scuola fra gli Enti inutili; discutevamo a lungo con
Nino sul contenuto delle ‘arringhe difensive’ da far
pervenire a qualche rappresentante del popolo di
mente un po’ più aperta, compiacendoci poi ogni
volta per lo scampato pericolo. E ricordo pure il
sogno, accarezzato ormai verso la ine del suo ultimo
mandato, di trasformare il corso di specializzazione
in un dottorato di ricerca, sogno infrantosi contro gli
scogli della burocrazia ministeriale.
La terza linea guida della Direzione Di Vita fu
senz’altro quella di pagare i debiti scientiici ereditati,
non solo dalla Scuola, ma pure dalla Missione
Cretese o dalla Soprintendenza ai Monumenti e agli
scavi del Dodecaneso, grazie anche alla scelta mirata
degli argomenti per le tesi di diploma degli allievi.
E non doveva neanche trascurarsi l’episodio isolato
di Pallanzio in Arcadia, che il Direttore del tempo
G. Libertini, suo maestro degli anni universitari,
aveva propiziato per cercare di dare un contenuto
archeologico alla leggenda di Evandro e del suo arrivo
in Italia, nel contesto della nobilitazione delle origini
di Roma, che stava molto a cuore al Regime fascista.
Di pari passo al pagamento dei debiti scientiici
doveva andare anche il consolidamento della
presenza italiana in tutti i campi di scavo tradizionali.
Saggiamente Nino evitò, tuttavia, di concentrare le
attività in un unico cantiere, come era accaduto
nei decenni precedenti a causa della scarsità dei
fondi. Ardua appariva, a prima vista, l’impresa di
recuperare il diritto di pubblicazione per i tanti
materiali scavati dagli Italiani durante l’occupazione
coloniale del Dodecaneso: il buon ricordo lasciato
dagli archeologi allora in servizio, la determinazione
e il carisma di Nino e l’illuminata apertura dell’Eforo
greco Ghiannis Papachristodoulou consentirono
anche questa realizzazione.
Il consolidamento del prestigio della Scuola
doveva riguardare pure la sede ateniese o l’Istituzione
in quanto tale: da qui, una serie di congressi o di
mostre ‘mirati’ a valorizzare l’attività scientiica
italiana in Grecia. Particolarmente signiicativa,
dal punto di vista della politica culturale, fu la
prima di queste iniziative, nell’ottobre del 1979,
dedicata a Grecia, Italia e Sicilia nell’VIII e VII
sec. a.C. Sottolineando la speciicità dei rapporti
di collaborazione fra Italiani e Greci, nel nome del
comune passato ‘classico’, il neo-Direttore Di Vita,
appassionato indagatore di Camarina e Selinunte e
originariamente Ispettore presso la Soprintendenza
di Siracusa, celebrava anche una sorta di “ritorno
alle origini”, senza far torto, ovviamente, alla valenza
scientiica del tema proposto, come ampiamente
dimostrato dai tre volumi degli Atti.
Esattamente dieci anni dopo la citata mostra
cretese del 1984, fu la volta di quella su La presenza
italiana nel Dodecaneso tra il 1912 e il 1948. La ricerca
archeologica. La conservazione. Le scelte progettuali,
collocata, sempre con una prospettiva di rainata
politica culturale, nel quadro delle celebrazioni per il
2.400.mo anniversario della fondazione di Rodi.
Alla ripresa dello scavo di Poliochni sono legati
il convegno su Poliochni e l’antica età del Bronzo
nell’Egeo settentrionale dell’aprile 1996, organizzato
in collaborazione con l’Eforìa di Mitilene e
l’Università di Atene, e la Mostra documentaria
Poliochni nella Lemno fumosa. Un centro dell’antica
età del Bronzo nell’Egeo settentrionale, fortemente
voluta dal Ministro per l’Egeo Elisabeth Papazoi,
esposta nel settembre 1997 a Salonicco (allora
capitale culturale d’Europa), e poi in diversi altri
centri della Grecia, prima di essere deinitivamente
sistemata nell’area archeologica cui si riferiva. La
ripresa dei lavori a Poliochni fu per Nino anche
l’occasione di dar vita ad una sincera amicizia, che
si sarebbe raforzata nel tempo, quella con l’Eforo
Aglaia Archontidou, con la quale egli non mancava
almeno un appuntamento annuale a Mitilene, ad
Atene o a Roma che fosse.
Il canto del cigno fu fra le realizzazioni
scientiiche più prestigiose di Nino e certamente
quella cui mostrò di tenere maggiormente. Si tratta
del Convegno internazionale sulla Creta romana e
protobizantina, a Iraklion, nel settembre 2000, che
continua a rimanere un esempio isolato per la valenza
del tema, il numero e la provenienza dei relatori, la
messe di nuovi risultati.
Non andava inine trascurato, sempre nella
prospettiva del ritrovato prestigio della Scuola in
Grecia, il tema della ‘ricaduta’ in Italia, dove essa
continua a rimanere, al di fuori della cerchia degli
addetti ai lavori, una illustre sconosciuta. Basterà
richiamare, all’uopo, le citate edizioni romana e
catanese della mostra su Creta Antica del 1984-85,
il Simposio italiano di Studi Egei in onore dei due
giganti G. Pugliese Carratelli e L. Bernabò Brea al S.
Michele nel febbraio del 1998, il Convegno Linceo
per i Cento anni della scavo di Festòs nel dicembre
del 2000. Nella stessa prospettiva va anche letto, a
mio parere, il simposio ragusano in suo onore, del
febbraio 1998, signiicativamente intitolato Un ponte
ra l’Italia e la Grecia. Dopo l’eccellente introduzione
dell’amico e sodale Nicola Bonacasa, i responsabili
dei diversi cantieri di scavo della Scuola, presentando
un consuntivo delle loro ricerche, diedero in quella
sede un’idea concreta della mole di attività propiziata
dalla Direzione Di Vita.
Consuntivo, del resto, che il Direttore proponeva
annualmente nei ponderosi Atti della Scuola ospitati
nell’Annuario. Ricordo ancora con tanta nostalgia
quelle memorabili e faticose preparazioni: il lungo
tavolo dell’auletta delle lezioni veniva completamente
requisito da Nino, avvezzo a frequentarlo più di
notte che di giorno. Nelle ore d’uicio, ognuno per
la sua parte, approntava la documentazione da lui
richiesta ed egli, in splendida solitudine, vergava
poi pagine su pagine, itte di correzioni ed aggiunte,
che solo l’abilità di Sandra ad Atene o di Ivana a
Μνήμης χάριν 37
Roma riuscivano a trasformare in testi buoni per
il tipografo. Uno dei vezzi civettuoli di Nino era,
infatti, il confessare di non saper scrivere a macchina;
una simile pigrizia era ovviamente giustiicata dalla
fortunata circostanza di avere avuto sempre accanto
qualcuno che potesse farlo in sua vece. Con simili
premesse, il suo atteggiamento di fronte al computer
non poteva che essere di reverenziale terrore.
Fra i meriti del Direttore Di Vita non può
inine tacersi quello che direttamente ci riguarda:
la fondazione dell’Associazione degli Amici della
Scuola di Atene, nel maggio 1995. Ci documentammo
sulle iniziative simili da parte delle altre Scuole,
studiammo gli statuti, costruendone poi uno tutto
nostro. Raccolsi con pazienza tutti i dati anagraici
e i codici iscali delle 28 persone, che andammo dal
notaio di Roma come soci fondatori. Per quanto lo
abbia cercato, non sono più riuscito a rintracciare nel
mio computer, a causa del progresso dei sistemi di
scrittura informatica, quel ile. Ed accarezzammo pure
l’idea di fondare un’Associazione gemella in quel di
Atene. In breve tempo il vulcanico Nino diede corpo
e anima alla nuova creatura, cooptando le persone
più adatte all’iniziativa; trovò la formula vincente
del ciclo di conferenze preparatorie al viaggio sociale,
a partire dal 1997: esperienza, se non ho fatto male
i conti, ripetutasi per tredici volte. La prima meta
non poteva che essere Creta, e poi in giro per il
Mediterraneo ed il Vicino Oriente, non tralasciando
ovviamente gli altri luoghi del cuore per Nino, la
Libia e la Sicilia. Quei viaggi, mi raccontava la mia
Elena che ebbe la ventura di parteciparvi più volte,
erano per lui una sorta di inebriante elisir di lunga
vita. Trascinatore nato, egli riusciva a fare trottare
i partecipanti di ogni ordine e grado anagraico ed
intellettuale, avvincendoli con le sue spiegazioni,
spesso condite da qualche aneddoto.
La ine del mandato ateniese, in concomitanza
con il citato, trionfale congresso del settembre 2000
sulla Creta romana e protobizantina, non allentò
l’attività di Nino a Gortina e rese anzi ancora più
forti i suoi legami con Creta. Nel mese di soggiorno
che gli veniva annualmente concesso nella casa da lui
costruita, lavorava intensamente alla pubblicazione
dei tanti saggi di scavo, circondato sempre da un
gruppo di bravi e devoti collaboratori, fatto oggetto
di ricambiato afetto da parte di ex-operai o semplici
compaesani, i cui inviti non usava mai disdegnare.
Nella tarda primavera del 2010 era apparso il
volume al quale aveva dedicato tre interi anni della sua
vita, a suggello della lunga e proicua attività cretese,
38 Μνήμης χάριν
Gortina di Creta. Quindici secoli di vita urbana. Ed i
quindici secoli c’erano davvero tutti, sostenuti da una
institutio ilologica, da una sapienza ermeneutica, da
una prospettiva storica al di fuori della norma, come
risultò chiaro anche nell’afollata presentazione
che ne fu fatta lo scorso febbraio all’Accademia dei
Lincei, come molti di voi ricorderanno.
Nel giugno del 2010 ci eravamo visti ad Atene;
non era infatti voluto mancare all’apertura
delle celebrazioni centenarie della Scuola da lui
magistralmente diretta per quasi un quarto di
secolo ed alla quale continuava a sentirsi legato. In
estate, come di consueto, ci si incontrò a Creta. Nel
frattempo Nino era diventato il beniamino di S.
Ecc. Makarios, il Vescovo della Diocesi di Gortina
e Arkadia, rimasto ammirato dai risultati scientiici
degli scavi relativi alla storia cristiana del sito, come il
luogo del martirio dei Santi Dieci o la prima basilica
di S. Tito (il fondatore della chiesa di Creta). La
presentazione, nel settembre del 2010, del citato
volume su Gortina nella sede parrocchiale del piccolo
centro cretese, alla presenza dello stesso Makarios,
dei diversi colleghi archeologi greci e dei tanti
compaesani, fu di quelle toccanti. Nino spiegò in
maniera semplice e piana proprio a quei compaesani la
lunghissima storia del loro paese e incassò commosso
gli elogi e l’ammirazione del Vescovo e degli amici
che vollero prendere la parola. La Rivista Creta
Antica, del cui comitato scientiico era autorevole
membro, gli dedicò, proprio prendendo lo spunto da
quella presentazione e dal Centenario della Scuola
di Atene, un articolo (Antonino Di Vita e Creta) nel
quale venivano evidenziati non solo i suoi legami
con l’isola, ma anche le realizzazioni più signiicative
come Direttore di quella gloriosa Istituzione. Il
Comune di Gortina, dal canto suo, lo aveva già fatto
da alcuni anni cittadino onorario e gli aveva dedicato
una strada, quella dove adesso sorge il Municipio. Il
Vescovo Makarios, che non conoscendo l’italiano
(spesso con Nino si intendevano in francese) aveva
sfogliato più volte il volume su Gortina, ammirato
davanti alle planimetrie e alle igure, decise che andava
realizzata rapidamente una traduzione in greco e
si diede da fare, con successo, presso il Comune di
Iraklion e la locale biblioteca. Lo scorso dicembre,
Maria Antonietta, passata qualche giorno da Atene,
ha potuto rivedere, con la traduttrice ed amica
Ilaria, la prima parte dell’opera. Il nostro auspicio è
che, nonostante le note turbolenze inanziarie nella
nazione sorella, l’edizione greca del volume possa
essere presentata ad Iraklion in tempi brevi.
Antonino Di Vita riceve da Makarios, vescovo di Gortina e Arcadia, l’onoriicenza della Croce di San Paolo e di San Tito, la più alta
onoriicenza della Chiesa Ortodossa di Creta, Patriarcato di Costantinopoli (Tymbaki, 25 agosto 2011).
Nino era venuto a Catania nel novembre del 2010,
per presentare il nostro libro sulle recenti scoperte
archeologiche della città e lì mi aveva confessato, con
incredibile lievità, cosa si portava dentro, dandomi
ad intendere che non si sarebbe certamente arreso.
E così fece, per un intero anno. Tenne onore ai suoi
debiti scientiici, lavorò alacremente con Maria
Antonietta per la pubblicazione della necropoli
ragusana di Rito, scavo dei suoi anni giovanili. Proprio
per rivedere alcuni di quei materiali, organizzò per
la Pasqua del 2011 una discesa in Sicilia, con tutta
la famiglia, quasi presagisse che quella sarebbe
stata l’ultima volta. Non mancò per l’occasione il
solito pellegrinaggio delle origini: Chiaramonte
Guli, la casa e gli ulivi di contrada Buzzolera,
Licodia Eubea, la tomba di famiglia (che aveva nel
frattempo fatto restaurare, perché lì aveva deciso che
sarebbe tornato per sempre). In quel comune, già
dal 2002, il Museo archeologico era stato intitolato
ad un ancora vivacissimo Antonino Di Vita; per
l’occasione noi inviammo agli amici una cartolinaricordo che elogiava l’apoteosi un Antoninus paene
Pius. Quel viaggio dovette comunque prostrarne il
isico ed a malincuore Nino fu costretto a rinunciare,
poco dopo, a guidare alla sua maniera la gita di
istruzione della nostra Associazione in Sicilia. Aveva
predisposto tutto nei dettagli, secondo il solito, e
Giancarlo, promosso sul campo capo-cordata, lo
tenne costantemente informato, mentre io fungevo
da chiamata di emergenza.
Il corpo dava segni di stanchezza, ma la mente era
vivissima, pronta a fare conferenze ino in Calabria,
o a scrivere ancora interventi per incontri scientiici:
l’ultimo, quello destinato al convegno selinuntino sui
“Restauri monumentali nel Mediterraneo”, lo aidò a
Monica, ormai dal letto d’ospedale, perché andasse
a leggerlo in sua vece. Riguardava i restauri dell’arco
dei Severi a Leptis e del Mausoleo di Sabratha, i due
monumenti che tanto aveva amato e che decorano
ora, in basso rilievo, la sua urna cineraria.
Si era imbarcato con entusiasmo, agli inizi
dell’ultima estate, in un allettante progetto,
fattogli balenare da una giornalista amica, scrivere
un’autobiograia. Aveva cominciato a riempire
Μνήμης χάριν 39
le bobine di un registratore, partendo dalle sue
esperienze libiche. Maria Antonietta trascriveva al
computer e Nino limava la forma del parlato.
A luglio era passato da Atene e poco prima
della metà di agosto era sceso a Creta. Questa volta
aveva scelto di riposarsi una settimana al fresco del
Monte Ida, anziché alla casa di Iraklion, nella quale
cominciava a sentirsi, e con grande dolore, un estraneo.
Gli avevo prenotato, su sua indicazione, un albergo
a Zaròs e lì andai a trovarlo il giorno dopo l’arrivo.
Pranzammo tutti e quattro nel vicino ristorante in
un’atmosfera davvero familiare e mi passò da leggere
i primi capitoli libici della sua autobiograia. Sono
certo che, grazie al grande impegno, oltre che al
grande amore di Maria Antonietta, quell’opera vedrà
rapidamente la luce: sarà davvero un piacere leggerla,
ve lo assicuro.
A Gortina, nei giorni successivi al suo soggiorno in
montagna, non mancarono le occasioni di incontro,
spesso propiziate dal Vescovo Makarios, nelle cui
grazie, per luce rilessa, ero entrato anch’io. Il presule
era molto interessato ai racconti sulla Libia, sull’Islam,
sui rapporti fra cristiani e musulmani e Nino sapeva
sempre appagare le sue curiosità, toccando le corde
giuste: gli incontri conviviali si tramutavano allora in
un loro serrato ed appassionato dialogo, del quale noi
eravamo semplici ma interessati spettatori.
Il 25 agosto, festa di S. Tito, fu per noi un giorno
memorabile. Il Vescovo, coinvolgendo i sindaci dei
Comuni di Gortina e di Festòs, aveva deciso di farci
onore. Nella Chiesa cattedrale di Tymbaki gremita
di autorità civili e religiose, ricevemmo la croce di
S. Paolo e di S. Tito, massima onoriicenza della
Chiesa ortodossa cretese, oltre ad un attestato dei
due consigli comunali. Nino prese la parola davanti
all’altare, iero e commosso. Fu il suo ultimo giorno
‘pubblico’ di grande gioia.
Ci eravamo salutati ai primi di settembre, sulla
veranda della casa di Gortina, dandoci appuntamento
per la ine di novembre all’Accademia dei Lincei,
entrambi relatori ad un convegno su G. Pugliese
Carratelli, il nostro primo Presidente. Io ero rimasto
a Creta e da lì mi informavo periodicamente sul suo
40 Μνήμης χάριν
stato di salute e sulla sua reazione alla chemioterapia:
niente faceva presagire l’improvvisa accelerazione
del male. Poi, dalla metà di ottobre, le telefonate
giornaliere all’ospedale, con le risposte sconsolate ora
di M. Antonietta, ora di Sergio, ora di Gianmarco
ed il nostro dolore accresciuto dalla lontananza,
condiviso con pochi e sinceri amici ateniesi. La sera
del 22, un solo cenno e l’apertura delle braccia, sulla
strada, da parte di Maria a tutti noi della Missione
di Festòs che cenavamo in un ristorante di Retimno
durante il Congresso Internazionale di Studi Cretesi.
Il gelo e il silenzio sulla nostra tavola; l’annuncio
della morte, l’indomani, alle diverse sezioni del
Congresso e il prolungato brusio nelle sale. Qualche
giorno dopo, la semplice e toccante cerimonia presso
l’Odeion di Gortina (dove Nino aveva efettuato
i suoi ultimi saggi di scavo), con il prete cattolico
davanti a quello ortodosso, con il sindaco, i custodi ed
i tanti compaesani, con i iori ammassati sul piccolo
tavolo davanti alla sua fotograia e con le note della
Salve Regina da noi aidate alle fronde degli ulivi di
Messarà.
L’ultimo capitolo di questa mia vita con lui (ma so
che di Nino e con Nino continuerò a parlare!), è stato
quello dell’11 novembre, a Licodia Eubea, una delle
sue due piccole patrie, con l’urna cineraria esposta
nella gremita sala consiliare, davanti ai gonfaloni di tre
Comuni (Licodia Eubea, Chiaramonte Guli, Ragusa).
Le commosse parole di qualche amico, gli abbracci
davanti alle sue ceneri, il lungo corteo sotto una debole
pioggia ino alla tomba di famiglia, la sensazione di
grande vuoto nel ritorno a casa. La stessa sensazione di
oggi, condivisa con tutti voi. Per esaltare lo scienziato
non mancheranno certo luoghi e scritti. Qui ho voluto
solo ricordare l’uomo, la sua viva intelligenza, la sua
afabilità, il suo sorriso, la sua capacità di fare, il suo
carisma, la sua gioia di vivere, e ringraziarlo per avermi
dato l’occasione di stargli accanto in tante circostanze.
Lo ricorderemo tutti a lungo, ne sono certo. Grazie,
Nino, anche a nome di tutti.
Vincenzo La Rosa
Roma, Museo Pigorini, 14 marzo 2012
Nino Di Vita posa davanti alla targa con l’intitolazione della strada a suo nome nel paese di Haghii Deka (2001).
Μνήμης χάριν 41
Antonino Di Vita durante la prolusione all’apertura dell’anno
accademico 1999-2000 presso l’Università di Macerata.
Durante i festeggiamenti per i suoi 80 anni a Macerata (2006).
Con i docenti (da sinistra, Sergio Aiosa, Salvatore Garrafo, Maria Antonietta Rizzo, Giovanna Fabrini, Mario Luni, Monica
Livadiotti, Roberta Belli, Enzo Catani, Nicola Bonacasa e Silvia Marengo), e gli allievi del XXV ciclo di Dottorato in Archeologia
romana nel Maghreb e in Cirenaica presso l’Università di Macerata (2010).
42 Μνήμης χάριν
All’Università di Macerata
Ricordare il periodo maceratese di Antonino
Di Vita è compito che assolvo con sentimenti di
gratitudine e di afetto verso il Maestro; ma anche
con non poca emozione, e non solo perché di quel
periodo sono stato partecipe dall’inizio ino alla ine,
ma anche perché esso si è fortemente intrecciato, nella
sua parte iniziale, con un momento importante della
mia vita. Di Vita arrivò all’Università di Macerata nel
1968, neo vincitore della cattedra di Archeologia e
storia dell’arte greca e romana, prendendo servizio –
come allora si faceva – il 1° novembre presso l’allora
Facoltà di Lettere e Filosoia, istituita nel 1965. Per
me quello era il 3° anno di Università, quello in cui
il curriculum degli studi (allora molto essenziale)
prevedeva appunto, per gli iscritti all’indirizzo
classico, l’esame di Archeologia. La formazione da
cui provenivo era sì di stampo classico, ma di tipo
pressoché esclusivamente ilologico-letterario, così che
l’impatto con l’archeologia fu una autentica novità,
che mirabilmente veniva ad integrare la conoscenza
dell’antico.
Il magistero di Di Vita. La Facoltà di Lettere di
Macerata annoverava allora nel suo corpo docente,
che era molto esiguo, alcuni professori di grande
spessore, che hanno inciso nella formazione degli
iscritti di quegli anni. Tra questi fu senz’altro Di
Vita. Nel 1968 egli entrava in una Facoltà istituita
appena qualche anno prima e che si trovava ad essere
praticamente sprovvista di tutto: libri, spazi, strutture;
lo stesso insegnamento al quale il Professore era stato
chiamato era l’unico del settore. Ancora libero dagli
impegni e dalle cariche accademiche che poi sarebbero
sopraggiunti, Egli fu perfettamente cosciente del
suo ruolo di fondatore di questo settore di studi
e lo assolse in modo magistrale. L’insegnamento,
l’apprestamento delle strutture e poi, presto, la cura
e la formazione di un piccolo manipolo di allievi che
lo attorniarono, occupavano in quei primi anni tutto
il tempo che egli, pendolare come i più, trascorreva a
Macerata.
All’insegnamento si dedicò con impegno,
entusiasmo e taglio particolare. Titolare di Archeologia,
attivò subito l’insegnamento di Topograia antica,
che tenne per incarico. Nell’insegnamento Di Vita
si muoveva su orizzonti ampi, portando gli allievi
a contatto con i grandi temi: il 1° anno il corso di
Archeologia ebbe come argomento Lisippo; ma esso
fu preceduto da una introduzione sulla storia degli
studi (con approccio alle igure di Winckelmann,
Riegel, Bianchi Bandinelli). Una gita alle città
sepolte dall’eruzione del Vesuvio, ai Musei di Napoli
e a Paestum costituirono un fattore integrativo (con
approfondimento per es. della pittura pompeiana) di
grande efetto.
Il corso di Topograia era sull’urbanistica
programmata, con un approfondimento su Selinunte.
Di Vita partiva dai precedenti panellenici, egiziani e
del Vicino Oriente, interfacciandosi con le posizioni
di precedenti studiosi (Coppa), per sottolinearne
positività e limiti. Toccava sempre temi importanti,
riuscendo a farli sentire concreti, inoltre si percepiva in
lui una conoscenza profonda delle cose, un sapere che
non era solo libresco. Coinvolgeva. Era un Maestro.
Nacque l’Istituto di Archeologia. All’improvviso
decollò la biblioteca. Tutto il denaro della dotazione
ordinaria (non c’erano ancora i fondi di ricerca) era
per l’acquisto dei libri. Arrivarono riviste intere:
Bulletin de Correspondence Hellénique, Hesperia,
Annuals of the British School at Rome e at Athens,
Römische Mitteilungen, ecc. Noi studenti più anziani
si frequentava l’Istituto, due stanze in tutto; ma
quando il Professore era in sede, in quelle stanze
era un fermento, si respirava una tensione, presto
si iniva attratti, colpiti, da quelle cose lontane
che improvvisamente divenivano concrete, dal
momento che il Professore sapeva farcene cogliere
l’importanza. Il nostro sguardo si apriva sulla ricerca,
in una dimensione inebriante, che abbracciava l’intero
Mediterraneo: ma il fulcro era là, nella Grecia, con
gli stimoli microasiatici che avevano contribuito a
forgiarne la civiltà classica.
Quando Di Vita arrivò a Macerata io avevo
già scelto la mia tesi in epigraia greca. Non ho mai
pensato di cambiare. Ma nei due anni di studi che mi
restavano non ho mai perso una lezione di Di Vita,
né ho mancati di partecipare ai viaggi memorabili
da lui organizzati. Il 2° fu in Sardegna, il 3° nel
1970 in Grecia (quella del tempo dei Colonnelli):
Olimpia, Deli, Micene, Corinto, Atene, Capo Sunio.
Indimenticabile l’escursione per raggiungere il tempio
Μνήμης χάριν 43
Con i componenti della missione di Macerata, Marisa Rossi, Gilberto Montali e Marzia Giuliodori, e gli amici
tunisini ad Althiburos (Tunisia) durante i festeggiamenti per il suo 81° compleanno (2007).
di Apollo a Figalia, dove arrivammo da est per strade
di terra (nell’ultimo tratto incontrammo un gruppo di
soldati intenti a migliorarne a tarda sera il percorso):
lo scenario del tempio, in alto tra i monti, è rimasto
indimenticabile. Rimanemmo tutti stregati, nacquero
autentiche vocazioni all’archeologia. Il Professore
parlava il greco moderno, ci raccontava della Scuola
Archeologica di Atene (ancora nella vecchia sede
presso la porta di Adriano), una sera fu a cena con noi
il vecchio Doro Levi…
Furono anni di passione per noi studenti, anni
creativi per il Maestro. La ricerca sul terreno, che aprì
agli studenti più interessati l’esperienza delle civiltà
dell’Africa settentrionale, dove il Professore avviò un
impegno di lavoro proprio dal 1968, si aiancò quasi
subito nella formazione dei laureandi. Non mancarono
neppure i primi approcci alle problematiche
archeologiche del territorio marchigiano, perseguite
poi con impegno dagli allievi.
Presto cominciarono gli incarichi accademici.
Prima Preside (1970), poi quasi subito Rettore (1974).
Di Vita fu il primo Rettore di Lettere, in un Ateneo
dove Lettere era una piccola Facoltà, a fronte di quella
di Giurisprudenza, antica e consolidata. Fu sempre
il nostro orgoglio e la nostra ammirazione. Il tempo
dedicato all’Istituto di Archeologia diminuiva, ma la
Biblioteca continuava a crescere mirabilmente, nuovi
insegnamenti vennero via via attivati: Numismatica,
44 Μνήμης χάριν
Archeologia Cristiana, Protostoria, Etruscologia.
I concorsi permisero l’arruolamento di giovani
allievi come ricercatori. Si cresceva, ci si arricchiva
di potenzialità. Analoga crescita conosceva il vicino
Istituto di Storia Antica, la cui sorte è stata sempre
legata a quello di Archeologia. Da nulla si era arrivati
in pochi anni ad un piccolo ma eiciente centro di
studi del mondo antico.
La nomina a Direttore della Scuola di Atene giunse
come un fulmine a ciel sereno nel 1977. Io avevo
appena vinto concorso da assistente di Storia romana
e ricordo che ci si interrogava tra noi giovani se avesse
accettato o fosse rimasto a fare il Rettore. È certo che
all’Università di Macerata Di Vita rimase legato per
sempre: anche quando, ormai stabilmente impegnato
ad Atene, gli si presentò la possibilità di trasferire il suo
posto di professore universitario da Macerata a Roma
alla Sapienza: non ebbe tentennamenti nello scegliere
di restare a Macerata. Ma allora nel 1977, guardando le
cose alla luce del poi, non credo che ci sia stato dentro
di Lui un dilemma tra Macerata ed Atene: rispetto alla
pur prestigiosa carica di Rettore (allora rinnovabile
per più mandati) prevalse l’amore per l’archeologia,
al più alto livello, quale la sede ateniese, unica nel suo
genere gli ofriva. Fu una scelta vocazionale.
Per noi il distacco fu doloroso, anche se compensato
dal sapere che il nostro Professore otteneva una così
signiicativa promozione, e a Macerata continuava a
Ad Althiburos (Tunisia), nel 2009 con il Direttore della Ricerca dell’Institut National du Patrimoine, Nabil
Kallala, e i componenti della missione del Politecnico di Bari, Giorgio Rocco, Monica Livadiotti e i loro allievi.
rimanere comunque legato. I contatti di fatto non si
interruppero mai, rimanendo egli sempre al corrente
di cosa si facesse (per es. la nascita del Dipartimento di
Archeologia e Storia Antica, dalla fusione dei relativi
Istituti), delle varie vicende accademiche. Tornava anche
a Macerata, seppur di rado, in determinate occasioni.
Quando arrivò la notizia della nomina a Direttore
della Scuola di Atene, un giorno andai in Rettorato
e gli dissi un po’ sfacciatamente che, se avesse voluto
e ritenuto opportuno, io l’avrei volentieri seguito.
Il Professore mi guardò, poi mi disse: va bene, fai la
domanda di congedo. Presi una carta bollata e presentai
domanda nelle mani del Direttore Amministrativo.
Ma poi non se ne fece nulla, perché il mio Maestro
intervenne, discretamente, e fece accantonare la
pratica. Non ho mai avuto recriminazioni, ma qualche
rimpianto sì: certo la mia vita sarebbe stata non meno
vivace ed intensa, con la possibilità di crescere al
seguito di una igura così ricca, sotto il proilo umano
e del sapere.
A Macerata, alla sua Università, il Professore è
tornato con la ine dell’incarico di Direttore della
Scuola di Atene, nel 2000. Benché fosse ormai fuori
ruolo, la passione per il lavoro e la ricerca trovavano
nel rinnovato aggancio universitario – grazie anche
al titolo di emerito nel frattempo acquisito – la
possibilità di portare avanti progetti iniziati e che
avevano tuttora bisogno di lui: erano vari lavori
in Tripolitania (culminati nel lavoro di anastilosi
dell’Arco quadrifronte dei Severi), cui si aggiunse da
ultimo lo studio del teatro romano di Althiburos (in
Tunisia). Connessa a questa attività, di grosso impegno
anche sotto l’aspetto inanziario, fu l’attivazione di
un dottorato di ricerca sull’Africa romana. In questo
quadro di rinnovati interessi per l’Africa Settentrionale
si inserisce un fatto di grande rilievo, cioè la creazione
a Macerata del “Centro di Documentazione e Ricerca
sull’Archeologia dell’Africa settentrionale”, con un
ricco fondo di documentazione proveniente dal CNR
e, prima, da quello a suo tempo creato a Firenze e diretto
per anni da Giacomo Caputo, fondo che il Professore
arricchì con materiali di sua proprietà. Il Centro, che
sarà presto dedicato al Prof. Di Vita, costituisce uno
dei lasciti più vivi, destinato a perpetuare il ricordo di
lui presso chi l’ha conosciuto e presso i giovani che
approderanno alla nostra Università e che ameranno
l’archeologia.
Conosciuto ed amato anche da tanta gente fuori
dell’Università, Di Vita resterà nel ricordo di tutti
noi come uno dei Padri Fondatori dei nostri studi,
come un Maestro straordinario e come un Uomo di
altissime qualità.
Gianfranco Paci
Roma, Museo Pigorini, 14 marzo 2012
Μνήμης χάριν 45
Con i componenti della missione di Macerata a Gortina (2005), Silvia Forti, Roberto Perna, Giovanna Fabrini, Marisa Rossi,
Maria Antonietta Rizzo e Gilberto Montali.
In viaggio con gli Amici della Scuola a Mikonos, attendendo l’imbarco per Delos (2006).
46 Μνήμης χάριν
Il professore dello Studium Universitatis Maceratensis
Unisco la mia voce alle tante che mi hanno
preceduto per ricordare insieme con voi la personalità
di Maestro e studioso insigne che tanto ha dato lustro
alla nostra Università di Macerata, che lo ha visto in
veste di docente di Archeologia classica e Topograia
antica a partire dalla ine degli anni Sessanta,
precisamente dal 1968 ino al 1977, quando fu
nominato alla Direzione della prestigiosa Scuola
Archeologica Italiana di Atene, dove rimase per ben
ventiquattro anni ino al 2000, continuando peraltro
a mantenere la titolarità di docente a Macerata.
Il mio ricordo da “allieva” corre in particolar
modo allo stile del Suo insegnamento universitario,
fatto non di lezioni pedisseque, ma animate da
un vivo entusiasmo che sapeva trasmettere ai suoi
studenti, suscitando partecipazione e interesse alla
materia, ed instillando quella curiosità indotta dal
racconto delle sue tante esperienze di archeologo
militante, a contatto con la viva realtà archeologica e
monumentale dei paesi del Mediterraneo, esperienze
che trasformavano la Sua didattica in una continua
rivelazione di nuovi orizzonti culturali. L’alto proilo
del Suo magistero costituì la ragione prima per cui
Egli riuscì rapidamente a riunire intorno a sé un
folto gruppo di allievi, e a fondare in quegli anni una
vera e propria scuola volta da un lato ad indagare
il territorio marchigiano, ricchissimo di evidenze
archeologiche inedite o poco note scientiicamente, e
dall’altro a intraprendere un’intensa attività di studi
e ricerche all’estero.
Nell’ambito dell’indirizzo di documentazione
sul terreno e di edizione di materiali antichi delle
Marche, le ricerche condotte sotto la sua guida
hanno consentito di impostare e chiarire non
poche problematiche storiche. Si richiamano le
collaborazioni con la Soprintendenza Archeologica
delle Marche per gli scavi della necropoli
orientalizzante di Pitino di San Severino Marche
e delle necropoli picene di Numana-Sirolo e una
prima indagine nell’aniteatro di Urbs Salvia. A tali
attività sul terreno si aiancava poi una intensa opera
di ricognizione di raccolte e collezioni archeologiche
pubbliche e private della Regione, oggetto di numerose
tesi di laurea (Collezione numismatica Guarnieri del
Museo di Camerino, Collezione Gentiloni Silverj
di Tolentino e l’importantissima Collezione Rilli
di Numana). Quanto alle attività relative al corso di
Topograia antica, tenuto dallo stesso Prof. Di Vita
per incarico, si procedeva all’esplorazione dell’antica
Trea, afrontando anche lo studio della centuriazione
nell’alta valle del Potenza.
Nell’opera instancabile del Prof. Di Vita, igura
per noi eminente anche a livello istituzionale Preside di Facoltà dal 1970 e quindi Rettore della
nostra Università dal 1974 al 1977 - si annovera,
oltre al pluriennale impegno in campo regionale
e nazionale, anche un’intensa attività sul terreno
condotta in particolar modo sia in Africa (Tunisia
e Libia) che in Grecia, nel corso della quale non è
mai venuto meno il coinvolgimento dei membri del
nostro Dipartimento di Archeologia.
A Cartagine, come unica missione italiana,
sotto la direzione di Antonino Di Vita ha operato
dal 1973 al 1977 un’équipe maceratese insieme agli
allora Istituti di Archeologia delle Università di
Roma e di Siena, nell’ambito del progetto Unesco
per la salvaguardia della città, con lo scavo della zona
centrale della centuria A dell’impianto romano,
al ine di ricostruire la storia della viabilità e dello
sviluppo edilizio urbano.
L’attività in Tunisia è stata poi ripresa in
anni recenti (2007) su iniziativa del compianto
Professore con un’équipe che opera ad Althiburos, in
collaborazione con il Politecnico di Bari e l’ Institut
National du Patrimoine di Tunisi, per lo studio e il
rilievo del teatro romano della città.
In Tripolitania il pluriennale impegno profuso
dal Professore in dal 1968 continua ancora oggi
con scavi, studi e restauri monumentali, e in questi
lunghi decenni, allievi prima, e colleghi poi, si sono
succeduti nella ricerca.
A Sabratha numerosi componenti del
Dipartimento di Archeologia sono stati attivi tanto
negli scavi intorno ai mausolei punico-ellenistici A
e B della Regio VI, quanto nello studio dei materiali
da questi provenienti; e ancora nello scavo e nello
studio delle tombe dipinte, specie quelle del “defunto
eroizzato” e della grandiosa “area sacro funeraria” di
Sidret el Balik interessate in anni recenti, per volontà
del Professore, da restauri conservativi delle pitture,
Μνήμης χάριν 47
In viaggio con gli Amici della Scuola, sopra, in Tunisia nel 2005, sotto, in Siria nel 2008.
48 Μνήμης χάριν
che il Dipartimento di Macerata si è impegnato ad
estendere anche alle tombe “della Gorgone” e di
“Tanit”, per portare a compimento un impegno,
anche ora che il Professore non c’è più, che sentiamo
come irrinunciabile.
A Leptis Magna, grazie ad importanti
inanziamenti messi a disposizione dalla nostra
Università, ha potuto completare tra il 1998 e il
2004 la diicile opera di anastilosi del grandioso
Arco quadrifronte dei Severi che oggi, ricostruito,
costituisce il simbolo monumentale della patria di
Settimio Severo. Ed attualmente il nostro Dipartimento
è presente con l’architetto Gilberto Montali, che cura
a Leptis lo studio del Tempio della Magna Mater e a
Sabratha quello dell’aniteatro, al ine di una loro
edizione scientiica.
Un altro Paese estero in cui l’impegno archeologico
della nostra Università si è svolto con continuità, grazie
alla politica illuminata del Prof. Di Vita, è la Grecia
ove, in qualità di Direttore della Scuola Archeologica
Italiana di Atene, dal 1978 dava inizio ad una serie di
lunghe ed importanti campagne di scavo annuali a
Gortina di Creta, aperte anche alla nostra Università,
che hanno prodotto signiicativi risultati scientiici
in specie per la storia monumentale, politica ed
economica della città, che culminano in una delle sue
ultime monograie dedicata proprio alla capitale di
Creta e Cirenaica (Gortina di Creta. Quindici secoli di
vita urbana, Roma 2010).
La sua igura di eminente archeologo e la sua
personalità di grande spicco nel mondo culturale
hanno onorato il nostro Ateneo, al quale il Professore
ha sempre manifestato un particolare attaccamento,
fatto di una presenza costante, solerte e attiva anche
nei lunghi anni della Direzione ateniese, quando non
ha mai mancato di far sentire il Suo interessamento
nei momenti più importanti e delicati della vita
accademica, e al nostro Ateneo, con atto magnanimo,
il Professore Emerito Antonino Di Vita ha voluto
attribuire il Centro, già C.N.R., di Documentazione
e Ricerca sull’Archeologia dell’Africa settentrionale,
ricco di più di 25.000 fotograie e graici: tale Centro
rappresenta una struttura d’eccellenza, dal momento
che la documentazione che raccoglie, relativa all’attività
di esplorazione archeologica italiana ino alla II
guerra mondiale, costituisce oggi il più importante
archivio per tutti gli studiosi che si occupano delle
antichità dell’Africa romana (in particolare della
Libia). Nell’anno 2003 tale Archivio ha ottenuto
dalla competente Soprintendenza il riconoscimento di
“Archivio Storico di notevole interesse” ed è attualmente
il punto di riferimento dei partecipanti al Dottorato
di ricerca sull’“Archeologia romana del Maghreb e
della Cirenaica” istituito, ancora una volta per Sua
volontà, presso l’Università di Macerata nei cicli XXI
e XXV, dottorato che risulta essere inora l’unico in
Italia sull’argomento. Tale istituzione nasceva dalla
consapevolezza che le antichità africane potessero ofrire
ancora molti spazi di studio e ricerca per le più giovani
generazioni di studiosi alle quali – da impareggiabile
Maestro quale è stato – il Professore in questi anni
ha dispensato senza riserve le profonde conoscenze
scientiiche e i frutti di un’esperienza pluridecennale
maturati a stretto contatto con i monumenti e la cultura
artistica dell’Africa settentrionale, in particolare la
Tripolitania, alla quale era legato da speciali vincoli di
lavoro e interesse scientiico.
Nel raccogliere, per quanto possibile, l’eredità di
studioso e ricercatore del Prof. Di Vita, ne ricordiamo
anche la igura brillante in ogni campo di attività e di
lavoro, sempre cordiale e generoso e con una personalità
di grande spessore: ci manca e ci mancherà ancor più,
per la Sua umanità, la Sua disponibilità, il Suo tratto
amicale e il Suo sorriso.
Con il nostro impegno ed i sensi della più viva
gratitudine, cercheremo di onorarne la memoria di
Uomo e Maestro.
Giovanna Maria Fabrini
Roma, Museo Pigorini, 14 marzo 2012
Μνήμης χάριν 49
Viaggi in Libia con gli Amici della Scuola. Sopra, a Ghadames nel 2001, sotto, a Sabratha nel 2009.
50 Μνήμης χάριν
La magica atmosfera dei viaggi
Questo breve interevento vuole essere solo un
ricordo afettuoso di Nino Di Vita. Prima di me e
meglio di me sono state ricordate, dagli amici e dagli
allievi di una vita, tante cose. Pur non essendo stata
sua allieva, in quanto il mio periodo di Scuola di
Atene risale a Doro Levi, mi fa piacere ricordare il
mio incontro, ad Atene, nel 2004, in occasione del
viaggio da lui organizzato per gli ex-allievi della
Scuola, a Lemno, Lesbos e Chios.
Ricordo la sua accoglienza alla Scuola (ero con
Roberto Spadea e Maria Letizia) sempre cordiale,
allegro, l’ospitalità, la biblioteca, aperta, per sua
volontà, anche di notte. All’epoca lo conoscevo
solo per i suoi scritti principali, le sue ricerche in
Sicilia, Grecia e Libia. Avevo letto, con interesse, il
suo saggio sugli Eroi di Riace, che Nino identiicava
come ‘oplitodromi’, ricco di dottrina e di stimolanti
ipotesi.
Nelle isole dell’Egeo settentrionale, a parte le
visite sugli scavi e nei musei, accuratissime, ricordo gli
incontri con gli studiosi, italiani e greci, suoi amici.
Spesso ci presentava veri “personaggi” protagonisti
delle ricerche, come nel caso del simpatico Eforo delle
isole, Aglaia Archontidou, che avrei poi conosciuto
meglio.
Successivamente ho partecipato a quasi tutti gli
altri viaggi annuali, indimenticabili quelli in Libia,
Siria, Giordania, con un crescendo di interesse,
in un clima di amicizia che non dimenticheremo.
Grazie a questi viaggi, in cui Nino ha messo a
nostra disposizione tutto, dalle sue esperienze
alle sue amicizie, mi è stato possibile conoscerlo
meglio, apprezzandone le doti preziose di umanità e
generosità, oltre la sua vasta esperienza e l’apertura
scientiica a tanti problemi e a tanti aspetti del mondo
antico del Mediterraneo.
Credo di poter afermare di aver conosciuto molti
archeologi e professori universitari gentili con i loro
allievi, ma non molti generosi come Nino. Penso a
quanto Nino ha fatto per uno dei suoi tanti allievi,
che ricordiamo tutti per il suo talento, come per il
suo carattere non facile, Gaetano Messineo. E credo
non sia il solo caso.
Ripensando a quello che è stato, forse, se non
l’ultimo viaggio, uno degli ultimi, sono lieta di averlo
accompagnato, con la carissima Maria Antonietta, a
Vibo Valentia, in seguito all’invito di una sua allieva
calabrese della Scuola di Atene. In quel viaggio è
nata l’idea di un prossimo viaggio dell’Associazione
proprio in Calabria, di cui Nino volle organizzare,
durante una cena a casa sua, condita da tante storie,
tanti aneddoti e risate, a grandi linee, il programma,
che spero realizzeremo, perché lo desiderava tanto.
Elena Lattanzi
Roma, Museo Pigorini, 14 marzo 2012
Viaggio in Siria con gli Amici della
Scuola (2008); ad Ebla con l’assistente
di Paolo Matthiae.
Μνήμης χάριν 51
Viaggio con gli Amici della Scuola nelle isole del Dodecaneso (2010); sopra, a Rodi, sotto, a Kos.
52 Μνήμης χάριν
Sull’Acropoli di Atene con gli allievi del 1985.
L’indimenticabile magistero ad Atene
La mia vera conoscenza di Nino Di Vita è
avvenuta solo all’inizio degli anni novanta. Ero ben
consapevole già da tempo dell’autorevolezza della
persona, nota attraverso la sua poliedrica attività
scientiica e le numerose iniziative riguardanti
l’archeologia dell’Africa, della Sicilia, di Creta e di altri
importanti siti greci, la sua autorevole conduzione
della Scuola di Atene. Avvertivo, tuttavia, nei suoi
riguardi una specie di timore reverenziale.
Tutto ciò si è dileguato al momento in cui fui
chiamata da lui a tenere un ciclo di lezioni agli allievi
della Scuola in sostituzione di Luigi Moretti, allora
titolare dell’insegnamento di Epigraia e antichità
greche, che purtroppo stava attraversando un periodo
diicile per seri problemi di salute. Mi sono trovata
infatti di fronte ad una persona totalmente diversa da
quella che avevo immaginato: una persona dotata in
primo luogo di grande umanità, che univa una innata
signorilità alla capacità di instaurare con le persone
un rapporto sincero, diretto e immediato.
Successivamente il mio rapporto con la Scuola
si è uicializzato, in quanto ho tenuto io stessa per
tre cicli triennali, dal 1993 al 2001, l’insegnamento
di Epigraia e antichità greche ed ho avuto ampia
occasione di trovare la conferma di quanto avevo colto
inizialmente. I miei soggiorni ateniesi sono sempre
stati estremamente piacevoli. Era bello percepire la
capacità di Nino di gestire la Scuola come una grande
famiglia, di cui si avvertiva una coesione nello stesso
tempo afettiva e collaborativa. Era bello constatare
come gli studenti ricevessero qualiicanti stimoli
scientiici e fossero valorizzati al massimo delle loro
possibilità e come di ciò essi stessi fossero consapevoli
e grati. Erano piacevoli le conversazioni che avevamo
modo di scambiare con Nino, da cui traspariva
l’ampiezza e la profondità dei suoi interessi culturali
e la sua instancabile capacità di progettare e realizzare
ricerche e iniziative di ogni genere. Fra queste ho
particolarmente apprezzato, nell’ambito del settore
epigraico, l’essere riuscito a promuovere e a portare a
compimento la pubblicazione dei testi delle iscrizioni
di Kos elaborati da Mario Segre prima della sua
cattura da parte dei nazisti e della sua morte nel lager
di Auschwitz. E a questa intrapresa ho avuto l’onore di
dare, dietro suo invito, la mia collaborazione.
Conclusosi per Nino, ed anche per me, il periodo
legato alla Scuola di Atene, i nostri legami di amicizia
sono continuati, anzi si sono approfonditi, anche
attraverso le interessanti iniziative dell’Associazione
degli Amici della Scuola, da cui ho tratto la possibilità
di arricchire le mie conoscenze, soprattutto attraverso
gli splendidi viaggi organizzati da Nino a da lui guidati
con il consueto entusiasmo e con il suo inesauribile
bagaglio culturale. E proprio l’organizzazione di
uno di questi viaggi, che egli voleva dedicare alla
Calabria, ha costituito l’occasione del nostro ultimo
incontro: una gradevolissima serata in cui, nel corso
di una cena, la conversazione si era rivolta a ricordi
del passato ma anche a progetti futuri, afrontati con
il consueto impegno ed entusiasmo. La sconvolgente
notizia della ine di Nino mi ha dato la triste certezza
che uno dei pilastri su cui per oltre vent’anni si era
appoggiata la mia vita era inesorabilmente crollato.
Maria Letizia Lazzarini
Roma, Museo Pigorini 14 marzo 2012
Μνήμης χάριν 53
In viaggio con gli Amici della Scuola. Sopra, ospiti di Aglaia Archontidou ad Emporiò di Chios nel 2004; sotto, a Zagabria
nel 2010.
54 Μνήμης χάριν
Dall’intervista ai racconti
I suoi allievi, i colleghi, i compagni di lavoro,
quanti lo hanno conosciuto e ne hanno amato la
generosità, la cultura, l’arte del saper vivere, sono
unanimi. Sanno che aver incontrato Antonino
Di Vita è stato un privilegio. Lo riconoscono e lo
afermano con commozione. I loro ricordi grondano
nostalgia del tempo che hanno passato insieme. Io
non c’entro niente con il mondo della ricerca e degli
studi che hanno attraversato al suo ianco. Eppure
io ho avuto un privilegio in più rispetto a loro.
Sono stata vicina al Professore quando si è deciso a
riattraversare gli anni della sua esistenza, a recuperare
i momenti signiicativi del suo lungo girovagare per il
mondo. Un’esperienza particolare, la nostra. Iniziata
la mattina del 25 giugno 2011.
C’era un caldo terribile in quei giorni a Roma.
In città si sofocava. Dai vetri dell’appartamento di
Monteverde i tetti delle case apparivano come coperti
da una foschia densa. In terrazza erano rimasti - vuoti
- i bicchieroni di orzata di mandorle che egli stesso
aveva preparato e che avevamo bevuto fra chiacchiere,
progetti, commenti sulla situazione incandescente
in cui la Libia si stava dibattendo. Alle 11, nel suo
studio, il Professore si è annodato al colletto della
T-shirt un piccolo microfono e, premuto il pulsante
del registratore, ha detto: “Incominciamo”.
Erano anni che ne parlavamo. Ci eravamo
conosciuti come giornalista io e Direttore della
Scuola Archeologica Italiana di Atene lui. Poi ci
eravamo ripetutamente incontrati. E inalmente
ero entrata a far parte dell’Associazione Amici della
Scuola. Che aveva signiicato viaggi meravigliosi, in
luoghi come Siria, Tunisia, Giordania, Libia, di cui
tutto il Professore sapeva e in cui tutte le porte ci
venivano aperte in nome del prestigioso archeologo
che arrivava con un proprio seguito e come un sovrano
visitava i “suoi” territori, incontrando i colleghi di
ogni nazionalità presenti in quel momento proprio
lì. Viaggi che signiicavano anche serate memorabili,
afollate di racconti, di storie vissute in prima persone
nella Grecia degli Anni Cinquanta, nella Libia dei
primi Anni Sessanta, realtà lontane anni luce per i
cambiamenti provocati dal turismo di massa come
dal vertiginoso giro di interessi legati alle risorse
petrolifere. Pendevamo dalle labbra del Professore,
che ci divertiva, ci insegnava, ci mostrava – al di là
dell’episodio paradossale o semplicemente bufo – il
sapore di una cultura in cui afondano le radici della
nostra civiltà. “Queste tue esperienze sono pezzi di
storia destinati a scomparire”, gli dicevo. “Non se ne
saprà più niente se qualcuno non ne scrive, se tu non
ne scrivi. Devi farlo”, insistevo.
L’idea gli piaceva, ma sempre aveva qualcosa di
importante e di impellente da fare. Anche l’idea che
fossi io a scrivere gli piaceva, ma di continuo rimandava
il nostro appuntamento con microfono e registratore.
È stato nella sua ultima estate, in uno spiraglio di
tempo concessogli dal rinvio delle vacanze in Grecia,
che siamo riusciti a ritrovarci faccia a faccia, lontani da
scadenze d’obbligo. Ed è iniziato il viaggio della sua vita.
Dalla famiglia patriarcale, nel ragusano, alla direzione
della Scuola di Atene; dalla fascinazione esercitata
dai “cocci” rinvenuti in prossimità di casa quando era
ancora bambino e frugava nel bosco, alla scelta degli
studi per diventare archeologo; dalla ricerca del lavoro
ai primi scavi; dall’emozione dei primi ritrovamenti ai
successi, i premi, le onoriicenze. Un viaggio popolato
di incontri. Con ambasciatori, ministri, autorità nel
campo della ricerca e della scienza, uomini dei servizi
segreti. Con igure marginali ma portatrici di un
valore, della denuncia di una contraddizione. Persone
di diversa caratura, a volte insopportabili, ma alle quali
- tutte - sapeva prestare ascolto. Sempre senza salire
in cattedra. Sempre senza sottolineare quanto il suo
status lo separasse dal contadino cretese alla cui tavola
andava a sedere, o dall’aspirante archeologo gonio
di prosopopea e di ignoranza che gli faceva perdere
tempo. Sempre attento a non lasciare in ombra uno dei
collaboratori - una galassia, delle più varie nazionalità
- che gli hanno permesso di fare il suo lavoro.
Ogni giorno il mosaico si inittiva di colori,
di dettagli, di aggiunte. In quella Roma assolata il
nostro viaggio era molto divertente. Ci ha lasciato in controluce - il tracciato di una vita. E - ben deinito
- il proilo del Professore che in tanti abbiamo amato.
Liliana Madeo
Roma, Museo Pigorini 14 marzo 2012
Μνήμης χάριν 55
La Sicilia nel cuore
Inaugurazione del Museo Archeologico di Ragusa (30 ottobre 1960). Al centro il progettista prof. Vincenzo Cabianca, alla sua
destra l’ing. Cesare Zipelli, Antonino Di Vita, il prof. Filippo Garofalo con il cordone in mano, l’autista dell’ing. Zipelli, l’operaio
Giovanni Nicita, aiuto custode. Alla sinistra di Cabianca l’assistente Vincenzo Colletta, il restauratore Betta, il disegnatore
Pasquale Grasso, un tecnico della Soprintendenza di Siracusa, il custode uiciale don Peppino Tomasi.
Gita alle isole Eolie
con Vincenzo Cabianca (2003).
56 Μνήμης χάριν
Il giorno dell’inaugurazione del Museo a lui intitolato a Licodia Eubea, nel 2002.
Alla consegna del Premio Internazionale “Ibla” (Ragusa Ibla, 4 giugno 2011).
Μνήμης χάριν 57
In viaggio con gli Amici della Scuola in Sicilia nel 2003. Sopra, sulla collina dei Templi ad Agrigento, sotto, al Museo di Mozia.
58 Μνήμης χάριν
Nella serenità famigliare
Roma. Festa per il novantesimo compleanno della mamma, Maria Gafà, con la sorella Teresa, i igli Gianmarco e Sergio e il nipote
Bruno (1991).
Nella casa di campagna della Buzzolera (Chiaramonte Guli) nell’aprile 2011 con i igli Sergio e Gianmarco, le nuore Sandrine e
Antonia e i nipotini Alessandro, Maria Laura, Axel ed Emma.
Μνήμης χάριν 59
Roma, 14 ottobre 2000, nel giorno
delle nozze con Maria Antonietta.
Con Ginette Di Vita-Evrard nel
2007 a Bruxelles per la prima comunione della nipote Maria Laura.
60 Μνήμης χάριν
Gita sul monte Ida, a Creta, nell’agosto del 2010, con Maria Antonietta, il iglio Sergio, la nuora Sandrine, i nipoti Axel ed Emma.
A Bruxelles nel marzo del 2011 con il iglio Gianmarco, la nuora Antonia, i nipoti Alessandro e Maria Laura.
Μνήμης χάριν 61
Con la sorella Teresa, a sinistra, e il cognato Paolo Piccione in Sicilia, a Selinunte, nel 2003.
A Taormina nell’aprile del 2011 con Gianmarco e famiglia.
62 Μνήμης χάριν
Nell’Antiquarium della casa della Missione ad Haghii Deka
nel 2008 con Sergio e famiglia.
Con i nipoti: sopra, con Axel nel 2008 nella casa di Iraklion; sotto, a Bruxelles nel 2011 con Alessandro, davanti alla
sua scuola.
Μνήμης χάριν 63
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