Carissimo Nino… Carissimo Nino, siamo qui, tutti uniti, a salutarti, a ringraziarti e a ricordare il grande Maestro che sei stato per noi, impareggiabile e afascinante oratore, organizzatore di viaggi indimenticabili, dove riuscivi a farci vedere immagini di vita reale tra ruderi appena visibili, ma che tu ci illustravi con una tale passione da farli tornare a vivere. A ricordare la tua grande cultura che ci elargivi con una semplicità e facilità che ce ne sentivamo interamente partecipi. E siamo qui a ricordarti come un grande Amico, amico di tutti noi a cui donavi con naturalezza sentimenti e afettuosità indimenticabili. Sentiamo, tutti noi, un immenso vuoto per la tua mancanza, mancanza che sappiamo incolmabile, anche se i tanti magniici ricordi che ci hai donato ci consolano un poco di questo grande dolore. Grazie, Nino, con tutto il cuore! Mimmi Loiacono Roma, Basilica di San Pancrazio, 24 ottobre 2011 Festa per gli 80 anni (19 ottobre 2006): dicamus bona verba in casa Loiacono; a destra, Giovanni Pugliese Carratelli, a sinistra Baldo Conticello e Gaetano Messineo. Μνήμης χάριν 3 I ‘costituenti’ dell’Associazione degli Amici della Scuola Archeologica Italiana di Atene (Roma, maggio 1995). In viaggio con gli Amici in Giordania (Petra, 2007). 4 Μνήμης χάριν Prezioso, carissimo Amico… Caro Professore, prezioso, carissimo Amico, tu che sempre avevi una buona parola per tutti, oggi ci hai dato un grande dolore. Sei partito lasciando un enorme vuoto per noi e per la scienza umanistica. La comunità scientiica piange la tua perdita perché sa molto bene che è venuto a mancare un grande studioso, un saggio. Noi però, i tuoi amici, gli amici greci che hanno a lungo lavorato assieme a te in Grecia, noi che ci siamo scontrati per poi incontrarci, noi che abbiamo gioito insieme con te, noi che abbiamo fatto baldoria, noi che abbiamo condiviso i successi e le diicoltà, noi che ci siamo legati a te con un legame così forte che solo i legami di sangue giustiicano, noi oggi, la tua famiglia, siamo distrutti. Nino, unico e caro, amico fraterno perché sei andato via? Ti aspettano Gortina, Creta, la casa di Iraklion e la chiesa di San Tito. Ti aspetta Poliochni a Lemno perché ancora dobbiamo risolvere insieme i problemi della sua cronologia. Ti aspetta quella pagina, incompiuta, che avevi cominciato a scrivere nel giardino della mia casa di Mitilene. Carissimo, i tuoi meravigliosi igli e nipoti saranno orgogliosi di te e potranno trovare conforto insieme alla tua amata Maria Antonietta guardando al tuo straordinario operato. L’uomo muore quando viene dimenticato. Ti assicuro, nostro amato Professore, mio amico fraterno che i tuoi amici greci ti ricorderanno sempre per la tua alta moralità, per la tua straordinaria generosità, per la tua vitalità, per i sentimenti di amicizia che ci hai sempre mostrato, per la tua eccezionale opera scientiica. Noi e la tua Grecia ti auguriamo Buon Viaggio! Aglaia Archontidou Roma, Basilica di San Pancrazio, 24 ottobre 2011 Nino Di Vita mentre illustra al Ministro greco della Cultura Melina Mercouri e all’ambasciatore italiano Marco Pisa la mostra Creta antica. Cento anni di archeologia italiana (1884-1984), presentata nella Basilica di San Marco ad Iraklion nel luglio 1984, poi a Roma, nella Curia del Foro Romano, nel gennaio del 1985, ad Atene, nell’Odeion degli Scultori, nell’aprile del 1985, e a Catania, nell’ex Monastero dei Benedettini, nell’ottobre del 1985. Μνήμης χάριν 5 Sulla terrazza della sede ateniese di odos Parthenonos, nella primavera del 1985, con Stylianos Alexiou, Semni Karousou, Dina Peppas Delmousou e gli allievi. In visita a Vroulià (Rodi 1986) con Iannis Papachristodoulou. 6 Μνήμης χάριν Capodanno del 2000, festeggiato nella sede ateniese di odos Parthenonos, con Paola Pelagatti, e Gheorghios Dontas. Festa per l’inaugurazione della Mostra Creta antica nella casa di Iraklion nel luglio 1984, con Manolis Bourboudakis. Festa per l’inaugurazione della rinnovata sede di Festos nel 1999, con Alexandra Karetsou e Vincenzo La Rosa. Con Aglaia Archontidou nei magazzini del Museo di Chios nel 2004, durante un viaggio con gli Amici della Scuola. In secondo piano, Maria Antonietta Rizzo, Paola Rendini ed Elisabetta Mangani. Μνήμης χάριν 7 Con i suoi allievi e collaboratori allo scavo, nella vecchia sede dell’Episkopio di Haghii Deka (luglio 1978). Con il suo Maestro, e predecessore come Direttore della Scuola di Atene, Doro Levi, insieme agli allievi in Beozia (maggio 1980). 8 Μνήμης χάριν Per il nostro Direttore Nino Di Vita è stato per tutti noi, archeologi e architetti, un Maestro. Ci ha insegnato che si può, e si deve, discutere, dubitare, indagare, non dare mai niente per scontato. Siamo qui per testimoniare il nostro profondo afetto ad una persona che ci ha cambiato la vita. E il fatto che siamo oggi, qui, in tanti, dimostra non solo che ha saputo creare una Scuola, ma che in questa si è sempre respirata un’aria di cordiale amicizia, la stessa che era capace di accordare anche al più giovane ed inesperto degli allievi, magari sorridendo ironico nel vederlo arrancare dietro il suo passo svelto sotto il sole cocente di Creta. Quanto ci siamo dovuti allenare per potergli stare dietro, per riuscire a seguirlo nei suoi mille progetti di ricerca, nei suoi profondi ragionamenti, nelle sue rapide intuizioni. Una parola a Maria Antonietta: cara amica, sei sua moglie e gli sei stata sempre vicina dando un esempio di grande amore coniugale e di profonda abnegazione, ma sei anche una di noi. Sappi che, forti di questo profondo legame, ti saremo sempre vicini. Con afetto Gli allievi ateniesi Roma, Basilica di San Pancrazio, 24 ottobre 2011 Tra i suoi allievi (sono rappresentate le diverse generazioni dal 1977 al 2000) e collaboratori, nella casa di odos Halbherr ad Iraklion, alla ine del Congresso Creta romana e proto- bizantina, l’ultimo giorno del suo mandato di Direttore, il 30 settembre 2000 . Μνήμης χάριν 9 Sabratha (Libia). Il mausoleo punico-ellenistico B, alto più di 23 metri, uno dei più signiicativi esempi di architettura ellenistica barocca, da lui scavato e rialzato, dopo lunghi anni di studio e di complessi restauri ( foto M. Benassai 2005). Sabratha. Con Mabrouk Zenati, suo allievo ad Atene e poi Soprintendente alle antichità di Sabratha, davanti al teatro ( foto M. Benassai 2005). 10 Μνήμης χάριν Dalla Libia con afetto With great sorrow we have received the sad news about the death of Professor Antonino Di Vita. We are as Libyans in the Department of Antiquities when we narrate our unforgettable deeds to the Antiquities in Libya an his endless eforts since he was appointed as a technical Adviser of the Department in 1962 up to now putting this job in serve of carrying out numerous excavations, restorations and publishing studies about the Antiquities in Tripolitania. In fact it is a great loss to miss this distinguished character for the world in general and for the Libyans in particular. We are the Department of Antiquities as archaeologists, researches, employees and workers extend our warmest condolences to his colleagues whether outside our country or inside . Dr. Saleh R. Agab Chairman of Department of Antiquities Tripoli, 24 ottobre 2011 Sabratha, area sacro-funeraria di Sidret el-Balik: Nino Di Vita ed Ibrahim Kamuka, alla ine delle operazioni di restauro ( foto M. Benassai 2005). Μνήμης χάριν 11 Sabratha, Tomba del Defunto Eroizzato ( foto M. Benassai 2005). Al lavoro a Sabratha ( foto M. Benassai 2007). 12 Μνήμης χάριν Sabratha, Museo, sala della Basilica di Giustiniano ( foto M. Benassai 2005). Ricordo di un amico Non è facile per me, anche solo riandando a quanto ho letto ai Lincei venerdì sera (9 marzo 2012), non sarà facile, oggi, ripercorrere i nostri oltre 60 anni di amicizia inimitabile, ino all’oscuro 22 ottobre del 2011. Ad ogni modo, mi sforzerò di raccogliere fatti e ricordi, vincendo l’emozione che già mi sofoca. Malgrado l’incoraggiamento amichevole di Elisabetta Mangani, forse, non riuscirò a seguire un ilo logico e voi mi perdonerete. Ma una cosa è certa, ed è stata sempre chiara a me: il valore del sodalizio degli Amici della S.A.I.A. è stato sempre nella mente e nel cuore di Antonino Di Vita, come un punto di riferimento vitale e necessario. Del resto, il suo rilesso lo vedo oggi in questa sala stracolma, e così è stato per lungo tempo, ne sono certo, per ciascuno di voi. Perciò, sarei lieto di sapere che questa intrapresa coraggiosa di Nino continuasse a vivere dopo di lui e continuasse a lasciare tracce indelebili di amicizia e di cultura, come una sua presenza attiva e costante. Ecco, incomincio dalla ine, non in ordine di tempo, ma la folla di amici, di colleghi, di collaboratori, di allievi e di estimatori presenti oggi al Museo Pigorini mi consente di insistere su questo tema signiicativo “Amici della S.A.I.A.”. Ci siamo conosciuti a Palermo nel 1951, quando Antonino Di Vita arrivò nel nostro Ateneo come assistente incaricato e per giunta uscito fresco della Scuola Archeologica di Atene, sotto la direzione di Doro Levi. Io ero laureando di Achille Adriani con una diicile tesi su “Alessandria e il problema dell’arte alessandrina”. Ci siamo incontrati con Di Vita: lui convinto assertore dell’eminenza della scuola rodia, io che giuravo sulle parole di due alessandrinisti eminenti, Frederik Poulsen e Achille Adriani; lui tra gli ultimi seguaci di Paolo Orsi in Sicilia, io trascinato dalla foga irruente di Biagio Pace (il quale due anni dopo sarebbe stato uno dei miei professori alla Scuola Nazionale di Archeologia di Roma). Lo stesso percorso romano, prima dell’esperienza di Atene, di Nino Di Vita e mio, dopo l’Università di Catania per lui e l’Università di Palermo per me. In fondo, ci separava soltanto un pugno di anni (lui nato nel 1926, io nel 1931), e così la nostra amicizia, non immediata, ma col tempo densa di curiosità e di interessi reciproci, andò consolidandosi, Leptis Magna. Davanti all’Arco dei Severi alla ine del restauro ( foto G. Montali 2004). nel quinquennio che lui operò a Palermo, ino a trasformarsi subito dopo in un legame indissolubile e fraterno. Non posso fare a meno di ricordare, fra tanti, almeno due dei nostri viaggi: il primo, lunghissimo, per littorina da Palermo verso Catania (dove conobbi la sua famiglia e fui loro ospite) per giungere a Siracusa e visitare Sandro Stucchi, il quale scavava alla grandiosa Ara di Ierone: Stucchi era l’amico idato del periodo romano di studi di Antonino Di Vita, e anche per visitare il Soprintendente L. Bernabò Brea (il quale fu poi il Soprintendente di Di Vita), e io per incontrare Adriani che viaggiava per mare da Alessandria d’Egitto a Napoli, con sosta a Siracusa, per la sua approvazione della parte inale della mia tesi; e l’altro viaggio abbastanza avventuroso, per nave, era il 1953, verso il Pireo e Atene, dopo un terremoto all’istmo e la chiusura temporanea del Canale di Corinto e il periplo del Peloponneso con la solita tempesta a Capo Malea, viaggio della nostra Facoltà organizzato da Bruno Μνήμης χάριν 13 Al lavoro nell’area funeraria di Sidret el-Balik ( foto M. Benassai, 2005). Al lavoro nell’area funeraria di Sidret el-Balik ( foto M. Benassai, 2005). 14 Μνήμης χάριν Al lavoro nell’area funeraria di Sidret el-Balik ( foto M. Benassai, 2005). Lavagnini, allora Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura ad Atene, con l’appoggio dell’Università e dell’Accademia di Atene e di numerosi colleghi e amici della capitale ellenica e dell’Attica. Antonino Di Vita fu in quell’occasione il nostro mentore non solo per le antichità di Atene e dell’Acropoli e dei Musei della capitale, ma anche verso le numerose taverne all’ombra della Plaka ed i gruppi di suonatori di bouzoukia a Neo Faliro: così, una notte facemmo molto tardi, tra canti e balli, tanto che il giorno dopo non ci svegliammo (dividevamo la stessa stanza) e raggiungemmo con un taxi il gruppo palermitano già ad Eleusi con grande ritardo, accolti da un severo rimbrotto di Bruno Lavagnini. Quel viaggio importante e molte delle nostre imprese ateniesi furono documentate da un nostro caro amico e fotografo d’eccezione, Giovanni Scichilone, allievo nel 1960 della Scuola di Atene, poi trasferitosi da Palermo a Roma come Ispettore Archeologo e, quindi, docente di Museologia e Museograia, ino a diventare Soprintendente a Chieti ed a Roma, prima al Pigorini e poi a Villa Giulia. Io lasciai Palermo per Roma nell’autunno del 1954, alcuni mesi dopo la laurea, per presentarmi agli esami della Scuola Nazionale di Archeologia di Roma, la cui esigua borsa triennale vinsi a pari merito con Giuseppe Ghisellini, il quale poi rinunziò per l’insegnamento scolastico, borsa che la sapiente pazienza di Giulio Quirino Giglioli, avverso la burocrazia, riuscì a fare assegnare per intero a me, triennio 1954-55, 1955-56, 1956-57. Il periodo romano si concluse per buona parte del 1957, com’era previsto, con la frequenza della Scuola di Atene. Di Vita intanto aveva lasciato Palermo e la nostra Università nel 1955, per passare nei ruoli delle Soprintendenze alle Antichità e Belle Arti e la sua sede fu quella di Siracusa con piena responsabilità nell’area ragusana, cui l’aveva assegnato il Soprintendente Bernabò Brea. Così si avverava il suo sogno giovanissimo, quando seguiva il nonno per le campagne del ragusano raccogliendo cocci di ceramiche, dando vita al suo progetto di diventare archeologo. Ma Ragusa, per lui “siciliano” e chiaramontano di nascita, sarebbe stata il movente di tante sue ricerche, plasmando la sua igura di provinciale colto e orgoglioso, come sa essere colta e altera l’esclusiva provincia siciliana. Sarà suiciente sfogliare alcuni riusciti articoli pubblicati nella rivista Kokalos e godersi la lettura del bel volume di Antonino Di Vita Da Siracusa a Mozia. Scritti di Archeologia Siciliana (Padova 1998), che io ebbi la fortuna di presentare a Ragusa, aprendo una Μνήμης χάριν 15 Area funeraria di Sidret el-Balik, al momento del pagamento degli operai ( foto M. Benassai, 2005). Al lavoro nell’area funeraria di Sidret el-Balik ( foto M. Benassai, 2005). 16 Μνήμης χάριν Al lavoro nella tomba del Defunto Eroizzato a Sabratha ( foto M. Benassai, 2005). manifestazione scientiica che superava l’onore reso alla sua alta personalità di studioso, trasformandosi presto in un congresso di rilevante importanza (Un ponte ra l’Italia e la Grecia, Ragusa 1998, Padova 2000). Per questo, nella sua opera la Sicilia appare come metafora di un mondo vitale e mai perduto, solo qualche volta riiutato, e costantemente desiderato. Ed è al limite della confessione il rimpianto mai sopito degli scavi e della provincia ragusana, lasciati da Di Vita alla volta di Perugia e di Roma e poi della Libia, un rimpianto cocente che ha continuato ad attanagliare l’Autore per lunghi anni, come ha scritto nell’accattivante nota personale dedicata, nel 1995, a Camarina rivisitata, una sua legittima introduzione alla Guida del Museo Archeologico. Ma la sua condizione di testimone - e mi riferisco, in particolare, alle pagine struggenti, anch’esse del 1995, di Ricordando Ragusa - gli permetteva di elevare il tono del ricordo giovanile, percorso da virile malinconia, al rango di memoria collettiva. Così, il volume, ben altro che un elegante zibaldone di ricordi, era ed è un libro scientiicamente utile, attuale direi, denso com’è di idee personali e di problemi tuttora accesi. Durante il mio triennio romano ci incontravamo spesso con Nino Di Vita a Roma, durante i suoi periodi di studio nelle biblioteche romane e nei brevi intervalli della mia presenza a Palermo. Intanto, io ero stato colto dal “mal d’Africa”, negli anni 1955-1956-1957, male inguaribile come ho potuto scoprire. Accadde così. Durante il mio lavoro di “salariato giornaliero, novanta-giornista” al Museo di Villa Giulia (così ci chiamavano), il Soprintendente Renato Bartoccini non solo mi ospitò nella comoda ma fredda Foresteria, consentendomi di sopravvivere a Roma, ma alla ine della primavera del 1955 mi propose di partecipare, e fu per tre anni di seguito, alla Missione da lui diretta in Libia, al Porto di Leptis Magna, la prima missione italiana che operava nel dopoguerra in Libia. Ed in Libia, dopo la Scuola di Atene nel 1957 ed il mio rientro in Sicilia e la ripresa della mia attività di assistente di ruolo nell’Università di Palermo, e l’impegno quasi continuativo a Himera, in Libia, lo ripeto, sarei ritornato dapprima più volte saltuariamente e poi con sistematicità a partire dai primi anni ’70 ino ad oggi, soprattutto a Sabratha e poi a Cirene. Le scelte dei nostri maestri e la scomparsa improvvisa di E. Vergara Cafarelli fecero sì che pure Antonino di Vita scendesse in Libia negli anni 1962-1965, come Adviser del Governo Libico in Tripolitania. Io allora mi dividevo tra Iasos di Caria in Turchia, dove operai dal 1960 al 1962 con Doro Μνήμης χάριν 17 Con Giorgio Rocco e Mohammed Droughi al Circo di Leptis Magna (2009). Con Giorgio Rocco nell e terme della villa di Selin presso Leptis Magna (2009). 18 Μνήμης χάριν Levi, e il nascente scavo di Himera con Achille Adriani (1963), e mai abbiamo parlato con Nino di quella sua decisione improvvisa ma certo motivata, memore delle sue esperienze sulla punicità dell’Ovest siciliano - di Selinunte soprattutto - e con un preciso piano di lavoro; senza di che non troverebbero piena giustiicazione i suoi rapidi, concreti e fortunati interventi a Sabratha. Certo è che laggiù ha trovato nuove energie per dare il meglio di sé ed ha potuto guardare con soddisfazione alle fatiche della sua maturità piena. Così anche Nino prese il “mal d’Africa”, come me nel 1955, e per questo fu autore di alcuni superbi esiti scientiici. Nel 1963-64, insieme con Richard G. Goodchild, fu fondatore a Tripoli della nota rivista Libya Antiqua, di cui oggi circola il I volume della Nuova Serie (2010), responsabili lo stesso Di Vita e Saleh R. Agab. Ed ecco alcuni scavi a Sabratha, che sono notevoli: ricerche sul terreno condotte con estrema puntualità stratigraica nella Regio VI; scavo, studio e ricostruzione del Mausoleo Punico B, un esempio rarissimo di architettura del barocco punico-ellenistico; attente indagini e restauro accurato dell’estesa area sacro-funeraria a cielo aperto di Sidret el-Balik, al centro di Sabratha moderna, che conserva un importante complesso pittorico della metà del IV sec. d.C. A Leptis Magna, oltre allo studio impegnativo del Serapeo, arrivato quasi a compimento, ha organizzato un gruppo di lavoro e di studio che ha operato alla revisione degli esiti dei vecchi scavi italiani al Foro Vecchio, in particolare allo studio, alla documentazione e all’edizione dei tre templi del lato nord-orientale. Ma l’impegno più gravoso è stato senza dubbio il completamento del restauro dell’Arco di Settimio Severo: iniziato da Sandro Stucchi nel 1966 e continuato da Lidiano Bacchielli, l’Arco è stato inalmente ultimato da Di Vita. Dopo Siracusa, le destinazioni di Di Vita nelle Soprintendenze furono Roma (Etruria Meridionale) e Firenze, e una volta superato il concorso a professore universitario le sue sedi furono Perugia e poi, deinitivamente, Macerata, dove poté realizzare molto come Preside e come Rettore, ino ad essere nominato Professore Emerito nel 2004. Com’è naturale, per anni, il lavoro e la carriera ci portavano ad avvicinarci e spesso ad allontanarci l’uno dall’altro, ma l’incontro era sempre un forte abbraccio e il riprendere il ilo mai interrotto dell’ultimo discorso, dell’ultimo viaggio, dell’ultima ricerca. E, così, alla ine, sono stato io a raggiungerlo e restare al suo ianco per quasi un intero anno, per la creazione della Nuova Scuola Archeologica Italiana di Atene. E ad Atene, durante la sua direzione della Nel deserto libico (2001). Scuola, rimasi ad insegnare per cinque anni di seguito per decreto congiunto del Ministero dell’Università e di quello del Ministero dei Beni Culturali. Tutti e due avevamo raggiunto un approdo a noi noto, non inale, dal quale eravamo partiti da giovani. Merita chiudere il nostro discorso. Sofermiamoci brevemente sul Suo ventennio di attività in Grecia, in qualità di Direttore della Scuola Archeologica Italiana di Atene, ed in particolare sulla ripresa degli scavi italiani a Gortina di Creta. Di Vita era stato nel 1950 in Grecia, alla Scuola di Atene e laggiù allievo di Doro Levi. Con la sua nomina prestigiosa di Direttore della Scuola tutto doveva lasciare presagire un cambiamento di rotta e questa non poteva non portare verso Gortina, come punto storico-archeologico focale del Mediterraneo. Dopo la Sicilia, un’altra grande isola nella vita di Antonino Di Vita. La sera del 29 settembre 2000 salutavo Di Vita a Iraklion nella vecchia e bella casa turca, gloriosa sede cretese della Scuola Archeologica Italiana, a conclusione del riuscitissimo Congresso su Creta romana e protobizantina. Di Vita stava per lasciare la Direzione della Scuola (1977-2000) e quel congresso coronava la ine del suo mandato, dopo oltre un ventennio di attività scientiica, e Creta ne era protagonista. Poco più di dieci anni dopo, all’Accademia dei Lincei, la sera dell’11 Μνήμης χάριν 19 Un momento di relax nella casa della Missione a Sabratha ( foto M. Benassai 2006). Ospite della casa di Ibrahim Kamuka a Sabratha ( foto M. Benassai 2005). 20 Μνήμης χάριν L’ultima pagina del suo quaderno di scavo dell’Arica (novembre 2010). febbraio 2011 ebbi il privilegio di coordinare e presentare, insieme al mio, gli interventi dei colleghi Enzo Lippolis e Jean-Pierre Sodini sul volume di Antonino Di Vita Gortina di Creta. Quindici secoli di vita urbana ( Roma 2010). E allora, come per un appuntamento già stabilito, mi trovai a parlare di Gortina e di Nino Di Vita, dopo la pubblicazione da lui coordinata della serie magistrale degli scavi di Gortina e l’uscita di questo volume che ofre a noi uno spaccato memorabile della storia di questa cittàcapitale attraverso “Quindici secoli di vita urbana”, e che racchiude anche quasi un venticinquennio di attività scientiica e didattica di Antonino Di Vita in Grecia. Questa volta la protagonista non era la Sicilia, come nell’indimenticabile Convegno ateniese da lui organizzato nel 1979, ma in questa occasione la protagonista assoluta era Gortina di Creta. Davanti all’insistente richiamo cretese, devo confessare che si nasconde ancora in un angolo della mia memoria il ricordo mai sopito di un’esperienza che mi riempie ancora di orgoglio e di emozione: il mio scavo fortunato e ricco di problemi della stazione medio-minoica di Patrikiès, tra Haghìa Triada e Festòs, che a suo tempo ebbe un’eco notevole. Sono passati soltanto 55 anni da quell’estate infuocata trascorsa nella Messarà, ed a me sembra che si tratti di ieri. Avviamoci alla conclusione. Una delle caratteristiche che connotano questo ultimo volume di Nino Di Vita è senza dubbio quella della compartecipazione: non c’è pagina, in dalle prime battute, in cui l’Autore non assuma le vesti di protoagonistes, ma questo accade nel ilone di una difusa e sentita sympatheia. Tutto è vissuto in prima persona ma all’interno di una coralità scontata, perché tutto è parte di un presente comune non ancora trascorso, e tutto è disposto perché ne resti memoria nel futuro. Così, i molti interventi patrocinati nella stessa Gortina rappresentano anche l’immagine di una nuova e accorta politica di radicamento della Scuola Archeologica Italiana nelle località di scavo, secondo un progetto unitario che toccherà Poliochni, Festòs, Iraklion e ancora Haghioi Deka, con i nuovi ediici della S.A.I.A. inaugurati proprio nel 2000. E, nello stesso principio rientrano naturalmente i saldi dei numerosi vecchi debiti scientiici dell’archeologia italiana in Grecia - soprattutto quelli di Coo e di Poliochni - che con Di Vita hanno trovato la via per una svolta risolutiva. Con questo nostro ultimo ricordo, e con il ricordo di quest’ultima fatica scientiica di Antonino Di Vita, che ho potuto ricordare qui brevemente, si chiude il percorso di una lunga e inimitabile amicizia, la nostra, non il nostro continuo dialogo scientiico e umano che altri ci auguriamo vorranno riprendere e continuare. Nicola Bonacasa Roma, Museo Pigorini, 14 marzo 2012 Μνήμης χάριν 21 Il Convegno Grecia, Italia e Sicilia nell’VIII e VII sec. a.C., organizzato nel 1979 presso la Scuola Archeologica Italiana di Atene. In prima ila, da sinistra, M. Sakellariou, A. Di Vita, S. Lagona; in seconda ila, D. Levi, G. Pugliese Carratelli e M. Pallottino. Nella casa di Iraklion con i Ministri Melina Mercouri e Antonino Gullotti nel 1984. 22 Μνήμης χάριν I nostri “sogni” nell’Egeo, ra Atene e Creta Il nostro primo, casuale incontro fu nei secondi anni ’60, all’Istituto di Archeologia dell’Università di Catania, che frequentavo allora da assistente volontario. Lo vidi, entrando per salutare come al solito il Direttore e Maestro G. Rizza, appollaiato su una scala mentre cercava un libro nello scafale più alto. Appresi dalla presentazione che era il prof. Nino Di Vita, di passaggio dal capoluogo etneo, laureatosi proprio a Catania con Guido Libertini, “Il libico/ africano” - pensai dentro di me – “e quindi persona con la quale non avrò mai a che fare; peccato però, visto che è così estroverso, loquace e simpatico”. Dopo il periodo di alunnato ad Atene nel 1965 e 1966, continuai a collaborare con Doro Levi a Festòs, convinto tuttavia che con il suo collocamento a riposo (nel 1976), sarei tornato esclusivamente, seppure con rammarico, ad occuparmi di archeologia siciliana. A sorpresa, il lanciatissimo e brillante Rettore dell’Università di Macerata aveva deciso di rinunciare alla carica e di avanzare, con successo, la sua candidatura alla successione nella sede ateniese (avvenuta con nomina 1 gennaio 1977). Non avevo mai avuto rapporti con lui e mi ero limitato ad ammirarlo per i suoi scritti, per gli interventi ai Congressi, o per la sua cordialità verso grandi e piccini. Pensai quindi che l’unica condiscendenza del nuovo Direttore verso l’Ateneo catanese sarebbe stata la riconferma della Missione di Priniàs per G. Rizza. Grande e pari alla gioia fu dunque il mio stupore quando di lì a poco mi propose di riprendere i lavori ad Haghia Triada. Leggendomi nel pensiero e per fugare ogni mio dubbio, mi disse che era sua intenzione non far morire la tradizione minoica della Scuola e che lo stesso D. Levi gli aveva fatto il mio Con Doro Levi e Marisa Rossi nella casa di Iraklion nel 1984. Prospetto della casa di odos Halbherr ad Iraklion, restaurata con il contributo dell’Associazione Amici della Scuola Archeologica Italiana di Atene tra il 2005 e il 2008. Μνήμης χάριν 23 Nino Di Vita con V. La Rosa, M. Ricciardi, M.A. Rizzo e F. Ceschi, con i quali curò la Mostra Creta antica, nella casa di odos Halbherr, a Iraklion (luglio 1984). Con i suoi più antichi allievi degli anni 1977 e 1978 nel primo cortile della casa di odos Halbherr ,a Iraklion (settembre 2000). 24 Μνήμης χάριν nome come possibile continuatore. Mi diede subito del tu ed altrettanto pretese da me, abituato invece a ben altre gerarchie accademiche. Fu una sorta di patto di sangue. Dalla primavera del 1977 non ci saremmo più perduti di vista ed il mio riverenziale timore si sarebbe trasformato, per sua benevolenza, in devota e sincera amicizia. Nel primo anno di nomina, dovendo ancora onorare alcune scadenze all’Università di Macerata, ottenne dal Ministero di postergare di qualche mese la sua presa di servizio ateniese e non riuscì ad organizzare la programmata campagna di scavi con gli allievi. Aveva scelto di riprendere uno dei luoghi simbolo della presenza italiana a Creta, direttamente legato a F. Halbherr. Gortina, con le sue imponenti rovine di età romana, gli permetteva quasi di ricostituire la provincia imperiale di Creta e Cirene, e di mettere a frutto la grandissima esperienza da lui maturata in Libia a partire dal lontano 1962. Iniziai i miei saggi ad Haghia Triada, portando allo scavo, su sua indicazione, alcuni degli allievi della Scuola. Uno di questi si chiamava Maria Antonietta Rizzo, della quale cominciai ad apprezzare la diligenza, la curiosità per un ambiente a lei poco noto, l’aidabilità. Ed il Direttore mi concesse che, avendo lei ottenuto il rinnovo della borsa ateniese per il 1978, fosse di nuovo assegnata allo scavo di Haghia Triada. Con Enzo e Tina La Rosa al taglio della torta per i festeggiamenti per la sua nomina a socio corrispondente dell’Accademia Nazionale dei Lincei (Festos 1993). Con Enzo La Rosa e i componenti della Missione di Festos nel 1993, durante i festeggiamenti per la sua nomina a socio corrispondente dell’Accademia Nazionale dei Lincei. Μνήμης χάριν 25 Nel giardino dell’Episkopio di Haghii Deka con gli allievi e collaboratori Nunzio Allegro, Mario Iozzo, Paola Rendini, Alan Ortega (1982). Al Pretorio di Gortina con una testa marmorea appena scoperta (1992). 26 Μνήμης χάριν A Creta, durante una gita alla scoperta del Diktynnaion (1982). Nel giardino dell’Episkopio di Haghii Deka con Stratis Papadakis e Francesco La Torre (1984). Μνήμης χάριν 27 Nel 1978 iniziarono anche i lavori di Nino a Gortina, che da quel momento e ino al 2000 divenne un impareggiabile campo di scavo per gli allievi della Scuola. Il Direttore seppe creare dal nulla e sapientemente coordinare una Missione di alto proilo scientiico e di forte aiatamento umano, realizzando un’esemplare serie di monograie (l’ultima apparsa proprio lo scorso anno). Nei primi anni della sua attività cretese egli dormiva a Festòs, nella stanzetta che Doro Levi si era fatta costruire dietro il Museo stratigraico, a ridosso della cinta muraria di età protostorica, e viaggiava quindi ogni giorno per e da Gortina. Fu un piccolo ‘ciclone’ per la nostra minuscola e monacale missione, regolata, secondo gli insegnamenti di Levi, da orari ben precisi. Nino era un animale notturno, con suoi propri bioritmi. Quando si alzava a mattina inoltrata, noi eravamo già da un pezzo allo scavo e faceva quindi colazione in splendida solitudine, servito dalla perpetua di turno. Noi lo aspettavamo per la cena, pronti a godere delle sue colorite narrazioni relative non solo a fatti e persone della Missione sorella, ma anche Nel cortile dell’Episkopio di Haghii Deka (1997). Gortina, Pretorio. Durante lo scavo a Sud del tempio (2001). 28 Μνήμης χάριν ai tanti trascorsi della sua movimentata esistenza. Apprendevamo di giovani aspiranti archeologi poligrai che numeravano le lettere all’amato bene per evitare che ne andasse smarrita qualcuna (con il numero preceduto dalla sigla TAF, cioè “ti amo follemente”), sentivamo di gazzelle uccise nel deserto libico, di navi squassate dalle onde ed in procinto di calare a picco, di scatenate feste da ballo (soprattutto di spiroù, a me ignoto), di musulmani bevitori clandestini di alcolici pronti a disfarsi del corpo del reato nascondendolo sotto il suo letto. Era un afabulatore nato Nino, che sapeva aiutarsi con i gesti e l’espressione del volto. Ma era anche un onnivoro e un curioso, che ci teneva ad essere sempre informato di tutto: i giornali che gli capitavano per le mani (la Repubblica, in genere), venivano da lui letteralmente squinternati perché doveva leggerli (e commentarli se aveva qualcuno a tiro) dalla prima all’ultima pagina, necrologi inclusi. La dice lunga anche la sua confessione che era sempre capace di commuoversi davanti alle scene salienti di Via col Vento, ilm che rivedeva con partecipazione ogni qualvolta gli si presentasse l’occasione. Quelle piacevoli serate festie con lui a capotavola avevano un solo inconveniente: si consumavano parecchio dopo il nostro orario consueto, perché Nino si faceva attendere parecchio, con la conseguenza, però, che l’indomani noi avremmo dovuto alzarci per andare allo scavo assai prima di lui. Mi resi conto che avrei messo a dura prova la resistenza isica dei miei giovanotti e così rimasi il solo a fargli compagnia durante la sua cena (dopo che avevo, beninteso, mangiato con i Festii all’ora canonica). Il motivo dei suoi ritardi, bioritmi a parte, è presto detto. Dopo la conclusione meridiana dei lavori e il riposo pomeridiano, Nino usava ritornare allo scavo con gli allievi e discutere con loro, davanti a muri e strati, inché l’ultimo raggio di sole non fosse scomparso e poi magari continuare nel bel cortile alberato del vecchio Episkopio, dove era allora ospitata la missione gortinia. Fu lo stesso Direttore a rendersi conto, qualche anno dopo, che era meno stancante per lui e più gratiicante per i suoi, alloggiare all’Episkopio. Le mie cene, da quel momento, furono meno appetitose. Le estati cretesi diventarono ben presto un immancabile appuntamento. I quindici chilometri Haghii Deka, casa della Missione, estate 2005. Con Nunzio Allegro, Nicola Cucuzza, Marina Albertocchi, Giorgio Rocco, Monica Livadiotti, Maria Antonietta Rizzo, Stratis Papadakis e gli allievi delle Università di Roma, Bari e Palermo. Μνήμης χάριν 29 Inaugurazione della nuova sede della Missione ad Haghii Deka alla presenza dell’Ambasciatore italiano Agostino Mathis, del Sindaco di Gortina e dell’Eforo Alexandra Karetsou (2000). Veduta della nuova sede della Missione ad Haghii Deka, costruita tra il 1995 e il 1998 grazie ai fondi dell’8 per mille. 30 Μνήμης χάριν Nel giardino della nuova sede della Missione ad Haghii Deka (2000). Nell’Antiquarium della nuova sede della Missione ad Haghii Deka (2000). che separavano le due Missioni venivano da me o da lui superati la domenica, o in uno dei viaggi per pochi adepti nelle diverse aree archeologiche dell’isola. Lo spirito di gruppo, cui entrambi tenevamo molto, si manifestava specialmente nella serata comune delle due Missioni, a ine stagione. Era anche il momento in cui ci scoprivamo tutti un po’ bambini: preparavamo e intonavamo strofette per i diversi membri, ofrivamo al Direttore uno scettro dorato ricavato dal piede di un vecchio tavolo ormai roso dai tarli, componevamo epigrai in latino maccheronico, o un sonetto in perfetta metrica quando egli fu nominato Accademico dei Lincei. Un vero e proprio torneo di ballo (l’idea non poteva venire che da Nino!) si concluse con la vittoria di un gortinio, poi prestigioso cattedratico di Antropologia isica, il quale si aggiudicò un simbolico lampioncino. L’unico incontro di calcio (mai più ripetuto per evitare che divampasse un pericoloso tifo di parte), giocato sul campetto di Haghioi Deka, vide i Festii soccombenti, seppure integrati per l’occasione da Sergio (ribattezzato subito Serginho), membro monello e vivace, per diverse estati, della Missione festia, aspirante falegname, infaticabile riparatore di cassette lignee disastrate, creatore di quadri per appendere le chiavi o di pedine da gioco. Il padre era davvero felice di poterlo vedere almeno a cena e tentava di assegnarli, promettendo ricompense, compiti scritti di italiano, perché si fortiicasse nella lingua. Per altri membri aggiunti avevamo, a Festòs, coniato l’espressione “igli del Ministero”: erano le appendici parentelari di grossi burocrati ministeriali, in cerca di una vacanza intelligente, meglio realizzabile nel più rarefatto e monastico ambito festio piuttosto che in quello gortinio. La cosa aveva una nobile ragion d’essere: quei “igli del Ministero” diventavano delle preziose chiavi per aprire i cuori e le menti dei burocrati che potevano assicurare una vita più tranquilla alla Scuola, sveltendo pratiche, accelerando provvedimenti, procacciando fondi. L’aneddotica potrebbe prendermi la mano; farne cenno mi è parso tuttavia un doveroso tributo alla lungimiranza, alla grande umanità di Nino, alla simpatia che riusciva a suscitare, al suo senso dell’umorismo, al modo stesso di intendere la vita. Μνήμης χάριν 31 Il Sindaco di Haghii Deka gli conferisce la cittadinanza onoraria (luglio 1998). Al matrimonio di Stratis Papadakis, davanti alla chiesa di Haghii Deka (2002). 32 Μνήμης χάριν Ad Haghii Deka, nel giardino della casa della Missione, con Enzo Lippolis, Isabella Baldini e iglie, Marina Albertocchi con iglia, Gilberto Montali, Maria Antonietta Rizzo e Stratis Papadakis. L’episodio più esaltante dei nostri legami con l’isola di Minosse rimane la mostra del 1984, Creta antica. Cento anni di archeologia italiana. Gli lanciai l’idea alla ine dell’estate 1983, quasi per scherzo, alla partenza per una sfortunatissima escursione al Dyktinneion, durante la quale la macchina rimase impantanata nel fango e dovemmo raggiungere fortunosamente a piedi il villaggio più vicino nell’ombra della sera, scortati da un gregge di pecore. Raccolse immediatamente l’idea e le diede subito forma; coinvolse me e Maria Antonietta, per una fatica che doveva rivelarsi assai più impegnativa del previsto. Ci vollero parecchi mesi per allestirla, ed io feci il piccione viaggiatore fra diverse istituzioni romane (l’Accademia dei Lincei, l’Archivio Centrale dello Stato, l’Università La Sapienza, il Museo Pigorini), e poi l’Accademia Roveretana degli Agiati, l’Istituto di Scienze lettere e arti di Venezia, l’archivio del Museo Storico di Iraklion, l’Accademia Colombaria o il Museo Archeologico di Firenze, alla ricerca di documenti utili. Tina, per lunghi periodi sola a Catania con la piccola Elena, pretese che facessi mettere le inferriate a tutti i balconi di casa. Il materiale raccolto conluiva nella casa di via Guerrazzi, solo acquistata e non ancora abitata da Nino, dove cercavamo, con Maria Antonietta, di mettere ordine fra le carte. Agli inizi di luglio la Basilica di S. Marco ad Iraklion accolse i nostri pannelli; G. Pugliese Carratelli tenne il discorso di inaugurazione; Melina Mercuri e Nino Gullotti, i ministri per i Beni culturali dei due paesi, tagliarono la torta nella casa di via Halbherr, alla presenza di tanti illustri invitati. Con Nino e Maria Antonietta ci sorridevamo di tanto in tanto, cercandoci con gli occhi e senza bisogno di parole. La nostra amicizia e la stima reciproca uscirono, da quell’impresa, rinsaldate. Le successive tappe della stessa mostra furono altrettanto esaltanti: alla Curia nel Foro romano (nel dicembre dello stesso anno), alla presenza del Capo dello Stato Sandro Pertini, con l’aggiunta di alcuni materiali conservati nelle raccolte italiane e con il catalogo appena pubblicato. Fu poi la volta di Catania nel 1985 all’ex-Monastero dei Benedettini, e quindi di Atene, all’Odeion degli scultori, ancora una volta alla presenza di Melina Mercouri. Ho appena ricordato la casa di Iraklion, abitata dai nostri predecessori quasi in dall’inizio della presenza italiana a Creta, poi acquistata e restaurata da F. Halbherr nei suoi ultimi anni di vita. Nino ci Μνήμης χάριν 33 Con Vincenzo La Rosa, sulla veranda della casa di Festos (2004). Poliochni (Lemno), durante il viaggio degli Amici del 2004. Sullo sfondo la ricostruzione di una casa del villaggio preistorico. 34 Μνήμης χάριν teneva tantissimo a quella casa e la mostrava con orgoglio alle tante persone di riguardo con le quali intratteneva rapporti. La aveva fatta dichiarare dai Greci monumento di interesse nazionale e vi aveva profuso tempo, idee e tanti fondi per poterla mantenere agibile. Non mancava di trascorrervi qualche giorno ad ogni inizio estate: il cortile di ciottoli, la fontanina, il pozzo, l’ibisco, il gelsomino, l’arancio selvatico, i mobili del tempo passato lo rasserenavano e gli consentivano di sentirsi l’anello di una lunga catena, che aveva sempre avuto a cuore la serietà della ricerca, il buon nome dell’Italia, l’amore per l’isola ed i suoi abitanti. Il legame con la casa di Iraklion non si interruppe con il commiato dalla Direzione ateniese; si fece anzi più stretto, sublimato dalla nostalgia. Nino intervenne di tasca propria per alleviare i più gravi, sopravvenuti, guasti del tempo, trovò la kyria Amalìa che potesse custodirla tutto l’anno, riuscì ad ottenere una convenzione fra la Scuola di Atene e l’Associazione degli Amici perché qualcuno di noi potesse soggiornarvi, in modo da accantonare qualche fondo che servisse per assicurare almeno la manutenzione ordinaria. E chi lo ha fatto, ne ha riportato duraturi ricordi, nonostante la francescana modestia logistica. Il Direttore Di Vita non ebbe occhi, tuttavia, per la sola casa di Iraklion. L’ampliamento della sede ateniese, la ripresa integrale delle strutture di Poliochni a Lemno, la costruzione della nuova, bellissima casa di Gortina (con annessi magazzini e locali per l’Antiquarium), il restauro della casa di Festòs, rimasta ferma ai lavori del Levi del 1958, la risistemazione del complesso dei magazzini sempre a Festòs (con la realizzazione anche di uno nuovo) sono lì a testimoniare la sacrosanta prospettiva di Nino che per lavorare al meglio si dovesse disporre di strutture per quanto possibile adeguate. Non è il caso, in questa sede, di tentare un bilancio della sua operosissima direzione: lo aveva fatto egli stesso in maniera analitica nell’ultimo degli Annuari della Scuola che aveva potuto curare. Basterà richiamare le più signiicative fra le sue linee guida (in aggiunta a quella appena ricordata dell’adeguamento e potenziamento delle strutture edilizie), con qualche ulteriore riferimento alle esperienze che mi è capitato di condividere con lui, soprattutto durante i miei sei anni di vice-direzione. Metterei al primo posto la sua idea di una vera e propria rifondazione della Scuola, ino a quel momento semplice corso di perfezionamento di durata annuale, concluso dal formulario di un Gita ad Eleutherna con Enzo Lippolis, Monica Livadiotti e Giorgio Rocco (1997). attestato, non sempre tenuto nel debito conto o addirittura ignorato per le valutazioni concorsuali in patria. Nino cercò in da subito di raddoppiare, almeno per gli alunni più meritevoli, la durata della borsa e studiò un nuovo ordinamento con un corso di studi triennali, cinque diversi curricula, un consiglio scientiico di una diecina di membri, corsi di lezione, esami annuali, tesi di specializzazione inale, rilascio del diploma (per il quale coinvolse all’inizio il calligrafo dell’Università di Macerata). Mettendo a frutto anche la sua esperienza di Rettore, riuscì in un arco di tempo relativamente breve per le consuetudini della politica italiana, a fare approvare la nuova legge (nel marzo del 1987), che rendeva la Scuola di Atene, grazie anche al prestigio goduto dal Direttore, la più appetibile per i giovani laureati italiani in cerca di una specializzazione archeologica. Alla Scuola veniva adesso riconosciuta la personalità giuridica di ente di diritto pubblico, con un suo Consiglio di amministrazione. Ricordandosi delle diicoltà da lui incontrate nel conciliare doveri d’uicio e ricerca, il Direttore pensò inoltre che la Scuola dovesse rendersi disponibile anche per i funzionari già in servizio o comunque per studiosi che avevano da completare le Μνήμης χάριν 35 Il Sindaco di Gortina e il Vescovo Makarios gli consegnano una targa ricordo il giorno della presentazione del volume Gortina di Creta. Quindici secoli di vita urbana (Haghii Deka, 12 settembre 2010). loro ricerche in Grecia ed in un ambiente stimolante come quello ateniese. Nacquero così anche le ambite borse annuali di perfezionamento. L’abilità di Nino nel districarsi fra i labirinti della burocrazia avrebbe fatto il resto, anche per ovviare alla scarsità dei fondi disponibili. Grazie ad un’oculata politica di bilancio, la Scuola fu inalmente in grado di vivere, piuttosto che di sopravvivere, come le era costantemente capitato nel corso della sua lunga storia. Fui chiamato da Nino come docente alla Scuola in dal primo anno di funzionamento efettivo secondo il nuovo ordinamento (nel 1989) e a malincuore resistetti per qualche anno, solo per motivi di organizzazione familiare, alla sua proposta di avermi stabilmente in distacco ad Atene. Quando nel novembre del 1993 riuscii inalmente a trasferirmi, mi resi meglio conto di quanto la macchina-Scuola fosse oliata e di quanta considerazione godesse presso le Istituzioni sorelle. Tra i primi incarichi aidatimi, quello di pubblicare una sorta di annuario dei 257 allievi ino ad allora succedutisi, mi costò quasi un anno di faticoso ma esaltante lavoro. Ne venne fuori 36 Μνήμης χάριν quello che nel lessico familiare degli ex-ateniesi continuiamo a chiamare il Libretto rosso, dal colore della copertina del volumetto. Tra i ricordi spiacevoli non posso invece tacere la nostra indignazione per le diverse interpellanze parlamentari (particolarmente piccata quella dell’on. Mussolini nel 1996!) o proposte di inclusione della Scuola fra gli Enti inutili; discutevamo a lungo con Nino sul contenuto delle ‘arringhe difensive’ da far pervenire a qualche rappresentante del popolo di mente un po’ più aperta, compiacendoci poi ogni volta per lo scampato pericolo. E ricordo pure il sogno, accarezzato ormai verso la ine del suo ultimo mandato, di trasformare il corso di specializzazione in un dottorato di ricerca, sogno infrantosi contro gli scogli della burocrazia ministeriale. La terza linea guida della Direzione Di Vita fu senz’altro quella di pagare i debiti scientiici ereditati, non solo dalla Scuola, ma pure dalla Missione Cretese o dalla Soprintendenza ai Monumenti e agli scavi del Dodecaneso, grazie anche alla scelta mirata degli argomenti per le tesi di diploma degli allievi. E non doveva neanche trascurarsi l’episodio isolato di Pallanzio in Arcadia, che il Direttore del tempo G. Libertini, suo maestro degli anni universitari, aveva propiziato per cercare di dare un contenuto archeologico alla leggenda di Evandro e del suo arrivo in Italia, nel contesto della nobilitazione delle origini di Roma, che stava molto a cuore al Regime fascista. Di pari passo al pagamento dei debiti scientiici doveva andare anche il consolidamento della presenza italiana in tutti i campi di scavo tradizionali. Saggiamente Nino evitò, tuttavia, di concentrare le attività in un unico cantiere, come era accaduto nei decenni precedenti a causa della scarsità dei fondi. Ardua appariva, a prima vista, l’impresa di recuperare il diritto di pubblicazione per i tanti materiali scavati dagli Italiani durante l’occupazione coloniale del Dodecaneso: il buon ricordo lasciato dagli archeologi allora in servizio, la determinazione e il carisma di Nino e l’illuminata apertura dell’Eforo greco Ghiannis Papachristodoulou consentirono anche questa realizzazione. Il consolidamento del prestigio della Scuola doveva riguardare pure la sede ateniese o l’Istituzione in quanto tale: da qui, una serie di congressi o di mostre ‘mirati’ a valorizzare l’attività scientiica italiana in Grecia. Particolarmente signiicativa, dal punto di vista della politica culturale, fu la prima di queste iniziative, nell’ottobre del 1979, dedicata a Grecia, Italia e Sicilia nell’VIII e VII sec. a.C. Sottolineando la speciicità dei rapporti di collaborazione fra Italiani e Greci, nel nome del comune passato ‘classico’, il neo-Direttore Di Vita, appassionato indagatore di Camarina e Selinunte e originariamente Ispettore presso la Soprintendenza di Siracusa, celebrava anche una sorta di “ritorno alle origini”, senza far torto, ovviamente, alla valenza scientiica del tema proposto, come ampiamente dimostrato dai tre volumi degli Atti. Esattamente dieci anni dopo la citata mostra cretese del 1984, fu la volta di quella su La presenza italiana nel Dodecaneso tra il 1912 e il 1948. La ricerca archeologica. La conservazione. Le scelte progettuali, collocata, sempre con una prospettiva di rainata politica culturale, nel quadro delle celebrazioni per il 2.400.mo anniversario della fondazione di Rodi. Alla ripresa dello scavo di Poliochni sono legati il convegno su Poliochni e l’antica età del Bronzo nell’Egeo settentrionale dell’aprile 1996, organizzato in collaborazione con l’Eforìa di Mitilene e l’Università di Atene, e la Mostra documentaria Poliochni nella Lemno fumosa. Un centro dell’antica età del Bronzo nell’Egeo settentrionale, fortemente voluta dal Ministro per l’Egeo Elisabeth Papazoi, esposta nel settembre 1997 a Salonicco (allora capitale culturale d’Europa), e poi in diversi altri centri della Grecia, prima di essere deinitivamente sistemata nell’area archeologica cui si riferiva. La ripresa dei lavori a Poliochni fu per Nino anche l’occasione di dar vita ad una sincera amicizia, che si sarebbe raforzata nel tempo, quella con l’Eforo Aglaia Archontidou, con la quale egli non mancava almeno un appuntamento annuale a Mitilene, ad Atene o a Roma che fosse. Il canto del cigno fu fra le realizzazioni scientiiche più prestigiose di Nino e certamente quella cui mostrò di tenere maggiormente. Si tratta del Convegno internazionale sulla Creta romana e protobizantina, a Iraklion, nel settembre 2000, che continua a rimanere un esempio isolato per la valenza del tema, il numero e la provenienza dei relatori, la messe di nuovi risultati. Non andava inine trascurato, sempre nella prospettiva del ritrovato prestigio della Scuola in Grecia, il tema della ‘ricaduta’ in Italia, dove essa continua a rimanere, al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori, una illustre sconosciuta. Basterà richiamare, all’uopo, le citate edizioni romana e catanese della mostra su Creta Antica del 1984-85, il Simposio italiano di Studi Egei in onore dei due giganti G. Pugliese Carratelli e L. Bernabò Brea al S. Michele nel febbraio del 1998, il Convegno Linceo per i Cento anni della scavo di Festòs nel dicembre del 2000. Nella stessa prospettiva va anche letto, a mio parere, il simposio ragusano in suo onore, del febbraio 1998, signiicativamente intitolato Un ponte ra l’Italia e la Grecia. Dopo l’eccellente introduzione dell’amico e sodale Nicola Bonacasa, i responsabili dei diversi cantieri di scavo della Scuola, presentando un consuntivo delle loro ricerche, diedero in quella sede un’idea concreta della mole di attività propiziata dalla Direzione Di Vita. Consuntivo, del resto, che il Direttore proponeva annualmente nei ponderosi Atti della Scuola ospitati nell’Annuario. Ricordo ancora con tanta nostalgia quelle memorabili e faticose preparazioni: il lungo tavolo dell’auletta delle lezioni veniva completamente requisito da Nino, avvezzo a frequentarlo più di notte che di giorno. Nelle ore d’uicio, ognuno per la sua parte, approntava la documentazione da lui richiesta ed egli, in splendida solitudine, vergava poi pagine su pagine, itte di correzioni ed aggiunte, che solo l’abilità di Sandra ad Atene o di Ivana a Μνήμης χάριν 37 Roma riuscivano a trasformare in testi buoni per il tipografo. Uno dei vezzi civettuoli di Nino era, infatti, il confessare di non saper scrivere a macchina; una simile pigrizia era ovviamente giustiicata dalla fortunata circostanza di avere avuto sempre accanto qualcuno che potesse farlo in sua vece. Con simili premesse, il suo atteggiamento di fronte al computer non poteva che essere di reverenziale terrore. Fra i meriti del Direttore Di Vita non può inine tacersi quello che direttamente ci riguarda: la fondazione dell’Associazione degli Amici della Scuola di Atene, nel maggio 1995. Ci documentammo sulle iniziative simili da parte delle altre Scuole, studiammo gli statuti, costruendone poi uno tutto nostro. Raccolsi con pazienza tutti i dati anagraici e i codici iscali delle 28 persone, che andammo dal notaio di Roma come soci fondatori. Per quanto lo abbia cercato, non sono più riuscito a rintracciare nel mio computer, a causa del progresso dei sistemi di scrittura informatica, quel ile. Ed accarezzammo pure l’idea di fondare un’Associazione gemella in quel di Atene. In breve tempo il vulcanico Nino diede corpo e anima alla nuova creatura, cooptando le persone più adatte all’iniziativa; trovò la formula vincente del ciclo di conferenze preparatorie al viaggio sociale, a partire dal 1997: esperienza, se non ho fatto male i conti, ripetutasi per tredici volte. La prima meta non poteva che essere Creta, e poi in giro per il Mediterraneo ed il Vicino Oriente, non tralasciando ovviamente gli altri luoghi del cuore per Nino, la Libia e la Sicilia. Quei viaggi, mi raccontava la mia Elena che ebbe la ventura di parteciparvi più volte, erano per lui una sorta di inebriante elisir di lunga vita. Trascinatore nato, egli riusciva a fare trottare i partecipanti di ogni ordine e grado anagraico ed intellettuale, avvincendoli con le sue spiegazioni, spesso condite da qualche aneddoto. La ine del mandato ateniese, in concomitanza con il citato, trionfale congresso del settembre 2000 sulla Creta romana e protobizantina, non allentò l’attività di Nino a Gortina e rese anzi ancora più forti i suoi legami con Creta. Nel mese di soggiorno che gli veniva annualmente concesso nella casa da lui costruita, lavorava intensamente alla pubblicazione dei tanti saggi di scavo, circondato sempre da un gruppo di bravi e devoti collaboratori, fatto oggetto di ricambiato afetto da parte di ex-operai o semplici compaesani, i cui inviti non usava mai disdegnare. Nella tarda primavera del 2010 era apparso il volume al quale aveva dedicato tre interi anni della sua vita, a suggello della lunga e proicua attività cretese, 38 Μνήμης χάριν Gortina di Creta. Quindici secoli di vita urbana. Ed i quindici secoli c’erano davvero tutti, sostenuti da una institutio ilologica, da una sapienza ermeneutica, da una prospettiva storica al di fuori della norma, come risultò chiaro anche nell’afollata presentazione che ne fu fatta lo scorso febbraio all’Accademia dei Lincei, come molti di voi ricorderanno. Nel giugno del 2010 ci eravamo visti ad Atene; non era infatti voluto mancare all’apertura delle celebrazioni centenarie della Scuola da lui magistralmente diretta per quasi un quarto di secolo ed alla quale continuava a sentirsi legato. In estate, come di consueto, ci si incontrò a Creta. Nel frattempo Nino era diventato il beniamino di S. Ecc. Makarios, il Vescovo della Diocesi di Gortina e Arkadia, rimasto ammirato dai risultati scientiici degli scavi relativi alla storia cristiana del sito, come il luogo del martirio dei Santi Dieci o la prima basilica di S. Tito (il fondatore della chiesa di Creta). La presentazione, nel settembre del 2010, del citato volume su Gortina nella sede parrocchiale del piccolo centro cretese, alla presenza dello stesso Makarios, dei diversi colleghi archeologi greci e dei tanti compaesani, fu di quelle toccanti. Nino spiegò in maniera semplice e piana proprio a quei compaesani la lunghissima storia del loro paese e incassò commosso gli elogi e l’ammirazione del Vescovo e degli amici che vollero prendere la parola. La Rivista Creta Antica, del cui comitato scientiico era autorevole membro, gli dedicò, proprio prendendo lo spunto da quella presentazione e dal Centenario della Scuola di Atene, un articolo (Antonino Di Vita e Creta) nel quale venivano evidenziati non solo i suoi legami con l’isola, ma anche le realizzazioni più signiicative come Direttore di quella gloriosa Istituzione. Il Comune di Gortina, dal canto suo, lo aveva già fatto da alcuni anni cittadino onorario e gli aveva dedicato una strada, quella dove adesso sorge il Municipio. Il Vescovo Makarios, che non conoscendo l’italiano (spesso con Nino si intendevano in francese) aveva sfogliato più volte il volume su Gortina, ammirato davanti alle planimetrie e alle igure, decise che andava realizzata rapidamente una traduzione in greco e si diede da fare, con successo, presso il Comune di Iraklion e la locale biblioteca. Lo scorso dicembre, Maria Antonietta, passata qualche giorno da Atene, ha potuto rivedere, con la traduttrice ed amica Ilaria, la prima parte dell’opera. Il nostro auspicio è che, nonostante le note turbolenze inanziarie nella nazione sorella, l’edizione greca del volume possa essere presentata ad Iraklion in tempi brevi. Antonino Di Vita riceve da Makarios, vescovo di Gortina e Arcadia, l’onoriicenza della Croce di San Paolo e di San Tito, la più alta onoriicenza della Chiesa Ortodossa di Creta, Patriarcato di Costantinopoli (Tymbaki, 25 agosto 2011). Nino era venuto a Catania nel novembre del 2010, per presentare il nostro libro sulle recenti scoperte archeologiche della città e lì mi aveva confessato, con incredibile lievità, cosa si portava dentro, dandomi ad intendere che non si sarebbe certamente arreso. E così fece, per un intero anno. Tenne onore ai suoi debiti scientiici, lavorò alacremente con Maria Antonietta per la pubblicazione della necropoli ragusana di Rito, scavo dei suoi anni giovanili. Proprio per rivedere alcuni di quei materiali, organizzò per la Pasqua del 2011 una discesa in Sicilia, con tutta la famiglia, quasi presagisse che quella sarebbe stata l’ultima volta. Non mancò per l’occasione il solito pellegrinaggio delle origini: Chiaramonte Guli, la casa e gli ulivi di contrada Buzzolera, Licodia Eubea, la tomba di famiglia (che aveva nel frattempo fatto restaurare, perché lì aveva deciso che sarebbe tornato per sempre). In quel comune, già dal 2002, il Museo archeologico era stato intitolato ad un ancora vivacissimo Antonino Di Vita; per l’occasione noi inviammo agli amici una cartolinaricordo che elogiava l’apoteosi un Antoninus paene Pius. Quel viaggio dovette comunque prostrarne il isico ed a malincuore Nino fu costretto a rinunciare, poco dopo, a guidare alla sua maniera la gita di istruzione della nostra Associazione in Sicilia. Aveva predisposto tutto nei dettagli, secondo il solito, e Giancarlo, promosso sul campo capo-cordata, lo tenne costantemente informato, mentre io fungevo da chiamata di emergenza. Il corpo dava segni di stanchezza, ma la mente era vivissima, pronta a fare conferenze ino in Calabria, o a scrivere ancora interventi per incontri scientiici: l’ultimo, quello destinato al convegno selinuntino sui “Restauri monumentali nel Mediterraneo”, lo aidò a Monica, ormai dal letto d’ospedale, perché andasse a leggerlo in sua vece. Riguardava i restauri dell’arco dei Severi a Leptis e del Mausoleo di Sabratha, i due monumenti che tanto aveva amato e che decorano ora, in basso rilievo, la sua urna cineraria. Si era imbarcato con entusiasmo, agli inizi dell’ultima estate, in un allettante progetto, fattogli balenare da una giornalista amica, scrivere un’autobiograia. Aveva cominciato a riempire Μνήμης χάριν 39 le bobine di un registratore, partendo dalle sue esperienze libiche. Maria Antonietta trascriveva al computer e Nino limava la forma del parlato. A luglio era passato da Atene e poco prima della metà di agosto era sceso a Creta. Questa volta aveva scelto di riposarsi una settimana al fresco del Monte Ida, anziché alla casa di Iraklion, nella quale cominciava a sentirsi, e con grande dolore, un estraneo. Gli avevo prenotato, su sua indicazione, un albergo a Zaròs e lì andai a trovarlo il giorno dopo l’arrivo. Pranzammo tutti e quattro nel vicino ristorante in un’atmosfera davvero familiare e mi passò da leggere i primi capitoli libici della sua autobiograia. Sono certo che, grazie al grande impegno, oltre che al grande amore di Maria Antonietta, quell’opera vedrà rapidamente la luce: sarà davvero un piacere leggerla, ve lo assicuro. A Gortina, nei giorni successivi al suo soggiorno in montagna, non mancarono le occasioni di incontro, spesso propiziate dal Vescovo Makarios, nelle cui grazie, per luce rilessa, ero entrato anch’io. Il presule era molto interessato ai racconti sulla Libia, sull’Islam, sui rapporti fra cristiani e musulmani e Nino sapeva sempre appagare le sue curiosità, toccando le corde giuste: gli incontri conviviali si tramutavano allora in un loro serrato ed appassionato dialogo, del quale noi eravamo semplici ma interessati spettatori. Il 25 agosto, festa di S. Tito, fu per noi un giorno memorabile. Il Vescovo, coinvolgendo i sindaci dei Comuni di Gortina e di Festòs, aveva deciso di farci onore. Nella Chiesa cattedrale di Tymbaki gremita di autorità civili e religiose, ricevemmo la croce di S. Paolo e di S. Tito, massima onoriicenza della Chiesa ortodossa cretese, oltre ad un attestato dei due consigli comunali. Nino prese la parola davanti all’altare, iero e commosso. Fu il suo ultimo giorno ‘pubblico’ di grande gioia. Ci eravamo salutati ai primi di settembre, sulla veranda della casa di Gortina, dandoci appuntamento per la ine di novembre all’Accademia dei Lincei, entrambi relatori ad un convegno su G. Pugliese Carratelli, il nostro primo Presidente. Io ero rimasto a Creta e da lì mi informavo periodicamente sul suo 40 Μνήμης χάριν stato di salute e sulla sua reazione alla chemioterapia: niente faceva presagire l’improvvisa accelerazione del male. Poi, dalla metà di ottobre, le telefonate giornaliere all’ospedale, con le risposte sconsolate ora di M. Antonietta, ora di Sergio, ora di Gianmarco ed il nostro dolore accresciuto dalla lontananza, condiviso con pochi e sinceri amici ateniesi. La sera del 22, un solo cenno e l’apertura delle braccia, sulla strada, da parte di Maria a tutti noi della Missione di Festòs che cenavamo in un ristorante di Retimno durante il Congresso Internazionale di Studi Cretesi. Il gelo e il silenzio sulla nostra tavola; l’annuncio della morte, l’indomani, alle diverse sezioni del Congresso e il prolungato brusio nelle sale. Qualche giorno dopo, la semplice e toccante cerimonia presso l’Odeion di Gortina (dove Nino aveva efettuato i suoi ultimi saggi di scavo), con il prete cattolico davanti a quello ortodosso, con il sindaco, i custodi ed i tanti compaesani, con i iori ammassati sul piccolo tavolo davanti alla sua fotograia e con le note della Salve Regina da noi aidate alle fronde degli ulivi di Messarà. L’ultimo capitolo di questa mia vita con lui (ma so che di Nino e con Nino continuerò a parlare!), è stato quello dell’11 novembre, a Licodia Eubea, una delle sue due piccole patrie, con l’urna cineraria esposta nella gremita sala consiliare, davanti ai gonfaloni di tre Comuni (Licodia Eubea, Chiaramonte Guli, Ragusa). Le commosse parole di qualche amico, gli abbracci davanti alle sue ceneri, il lungo corteo sotto una debole pioggia ino alla tomba di famiglia, la sensazione di grande vuoto nel ritorno a casa. La stessa sensazione di oggi, condivisa con tutti voi. Per esaltare lo scienziato non mancheranno certo luoghi e scritti. Qui ho voluto solo ricordare l’uomo, la sua viva intelligenza, la sua afabilità, il suo sorriso, la sua capacità di fare, il suo carisma, la sua gioia di vivere, e ringraziarlo per avermi dato l’occasione di stargli accanto in tante circostanze. Lo ricorderemo tutti a lungo, ne sono certo. Grazie, Nino, anche a nome di tutti. Vincenzo La Rosa Roma, Museo Pigorini, 14 marzo 2012 Nino Di Vita posa davanti alla targa con l’intitolazione della strada a suo nome nel paese di Haghii Deka (2001). Μνήμης χάριν 41 Antonino Di Vita durante la prolusione all’apertura dell’anno accademico 1999-2000 presso l’Università di Macerata. Durante i festeggiamenti per i suoi 80 anni a Macerata (2006). Con i docenti (da sinistra, Sergio Aiosa, Salvatore Garrafo, Maria Antonietta Rizzo, Giovanna Fabrini, Mario Luni, Monica Livadiotti, Roberta Belli, Enzo Catani, Nicola Bonacasa e Silvia Marengo), e gli allievi del XXV ciclo di Dottorato in Archeologia romana nel Maghreb e in Cirenaica presso l’Università di Macerata (2010). 42 Μνήμης χάριν All’Università di Macerata Ricordare il periodo maceratese di Antonino Di Vita è compito che assolvo con sentimenti di gratitudine e di afetto verso il Maestro; ma anche con non poca emozione, e non solo perché di quel periodo sono stato partecipe dall’inizio ino alla ine, ma anche perché esso si è fortemente intrecciato, nella sua parte iniziale, con un momento importante della mia vita. Di Vita arrivò all’Università di Macerata nel 1968, neo vincitore della cattedra di Archeologia e storia dell’arte greca e romana, prendendo servizio – come allora si faceva – il 1° novembre presso l’allora Facoltà di Lettere e Filosoia, istituita nel 1965. Per me quello era il 3° anno di Università, quello in cui il curriculum degli studi (allora molto essenziale) prevedeva appunto, per gli iscritti all’indirizzo classico, l’esame di Archeologia. La formazione da cui provenivo era sì di stampo classico, ma di tipo pressoché esclusivamente ilologico-letterario, così che l’impatto con l’archeologia fu una autentica novità, che mirabilmente veniva ad integrare la conoscenza dell’antico. Il magistero di Di Vita. La Facoltà di Lettere di Macerata annoverava allora nel suo corpo docente, che era molto esiguo, alcuni professori di grande spessore, che hanno inciso nella formazione degli iscritti di quegli anni. Tra questi fu senz’altro Di Vita. Nel 1968 egli entrava in una Facoltà istituita appena qualche anno prima e che si trovava ad essere praticamente sprovvista di tutto: libri, spazi, strutture; lo stesso insegnamento al quale il Professore era stato chiamato era l’unico del settore. Ancora libero dagli impegni e dalle cariche accademiche che poi sarebbero sopraggiunti, Egli fu perfettamente cosciente del suo ruolo di fondatore di questo settore di studi e lo assolse in modo magistrale. L’insegnamento, l’apprestamento delle strutture e poi, presto, la cura e la formazione di un piccolo manipolo di allievi che lo attorniarono, occupavano in quei primi anni tutto il tempo che egli, pendolare come i più, trascorreva a Macerata. All’insegnamento si dedicò con impegno, entusiasmo e taglio particolare. Titolare di Archeologia, attivò subito l’insegnamento di Topograia antica, che tenne per incarico. Nell’insegnamento Di Vita si muoveva su orizzonti ampi, portando gli allievi a contatto con i grandi temi: il 1° anno il corso di Archeologia ebbe come argomento Lisippo; ma esso fu preceduto da una introduzione sulla storia degli studi (con approccio alle igure di Winckelmann, Riegel, Bianchi Bandinelli). Una gita alle città sepolte dall’eruzione del Vesuvio, ai Musei di Napoli e a Paestum costituirono un fattore integrativo (con approfondimento per es. della pittura pompeiana) di grande efetto. Il corso di Topograia era sull’urbanistica programmata, con un approfondimento su Selinunte. Di Vita partiva dai precedenti panellenici, egiziani e del Vicino Oriente, interfacciandosi con le posizioni di precedenti studiosi (Coppa), per sottolinearne positività e limiti. Toccava sempre temi importanti, riuscendo a farli sentire concreti, inoltre si percepiva in lui una conoscenza profonda delle cose, un sapere che non era solo libresco. Coinvolgeva. Era un Maestro. Nacque l’Istituto di Archeologia. All’improvviso decollò la biblioteca. Tutto il denaro della dotazione ordinaria (non c’erano ancora i fondi di ricerca) era per l’acquisto dei libri. Arrivarono riviste intere: Bulletin de Correspondence Hellénique, Hesperia, Annuals of the British School at Rome e at Athens, Römische Mitteilungen, ecc. Noi studenti più anziani si frequentava l’Istituto, due stanze in tutto; ma quando il Professore era in sede, in quelle stanze era un fermento, si respirava una tensione, presto si iniva attratti, colpiti, da quelle cose lontane che improvvisamente divenivano concrete, dal momento che il Professore sapeva farcene cogliere l’importanza. Il nostro sguardo si apriva sulla ricerca, in una dimensione inebriante, che abbracciava l’intero Mediterraneo: ma il fulcro era là, nella Grecia, con gli stimoli microasiatici che avevano contribuito a forgiarne la civiltà classica. Quando Di Vita arrivò a Macerata io avevo già scelto la mia tesi in epigraia greca. Non ho mai pensato di cambiare. Ma nei due anni di studi che mi restavano non ho mai perso una lezione di Di Vita, né ho mancati di partecipare ai viaggi memorabili da lui organizzati. Il 2° fu in Sardegna, il 3° nel 1970 in Grecia (quella del tempo dei Colonnelli): Olimpia, Deli, Micene, Corinto, Atene, Capo Sunio. Indimenticabile l’escursione per raggiungere il tempio Μνήμης χάριν 43 Con i componenti della missione di Macerata, Marisa Rossi, Gilberto Montali e Marzia Giuliodori, e gli amici tunisini ad Althiburos (Tunisia) durante i festeggiamenti per il suo 81° compleanno (2007). di Apollo a Figalia, dove arrivammo da est per strade di terra (nell’ultimo tratto incontrammo un gruppo di soldati intenti a migliorarne a tarda sera il percorso): lo scenario del tempio, in alto tra i monti, è rimasto indimenticabile. Rimanemmo tutti stregati, nacquero autentiche vocazioni all’archeologia. Il Professore parlava il greco moderno, ci raccontava della Scuola Archeologica di Atene (ancora nella vecchia sede presso la porta di Adriano), una sera fu a cena con noi il vecchio Doro Levi… Furono anni di passione per noi studenti, anni creativi per il Maestro. La ricerca sul terreno, che aprì agli studenti più interessati l’esperienza delle civiltà dell’Africa settentrionale, dove il Professore avviò un impegno di lavoro proprio dal 1968, si aiancò quasi subito nella formazione dei laureandi. Non mancarono neppure i primi approcci alle problematiche archeologiche del territorio marchigiano, perseguite poi con impegno dagli allievi. Presto cominciarono gli incarichi accademici. Prima Preside (1970), poi quasi subito Rettore (1974). Di Vita fu il primo Rettore di Lettere, in un Ateneo dove Lettere era una piccola Facoltà, a fronte di quella di Giurisprudenza, antica e consolidata. Fu sempre il nostro orgoglio e la nostra ammirazione. Il tempo dedicato all’Istituto di Archeologia diminuiva, ma la Biblioteca continuava a crescere mirabilmente, nuovi insegnamenti vennero via via attivati: Numismatica, 44 Μνήμης χάριν Archeologia Cristiana, Protostoria, Etruscologia. I concorsi permisero l’arruolamento di giovani allievi come ricercatori. Si cresceva, ci si arricchiva di potenzialità. Analoga crescita conosceva il vicino Istituto di Storia Antica, la cui sorte è stata sempre legata a quello di Archeologia. Da nulla si era arrivati in pochi anni ad un piccolo ma eiciente centro di studi del mondo antico. La nomina a Direttore della Scuola di Atene giunse come un fulmine a ciel sereno nel 1977. Io avevo appena vinto concorso da assistente di Storia romana e ricordo che ci si interrogava tra noi giovani se avesse accettato o fosse rimasto a fare il Rettore. È certo che all’Università di Macerata Di Vita rimase legato per sempre: anche quando, ormai stabilmente impegnato ad Atene, gli si presentò la possibilità di trasferire il suo posto di professore universitario da Macerata a Roma alla Sapienza: non ebbe tentennamenti nello scegliere di restare a Macerata. Ma allora nel 1977, guardando le cose alla luce del poi, non credo che ci sia stato dentro di Lui un dilemma tra Macerata ed Atene: rispetto alla pur prestigiosa carica di Rettore (allora rinnovabile per più mandati) prevalse l’amore per l’archeologia, al più alto livello, quale la sede ateniese, unica nel suo genere gli ofriva. Fu una scelta vocazionale. Per noi il distacco fu doloroso, anche se compensato dal sapere che il nostro Professore otteneva una così signiicativa promozione, e a Macerata continuava a Ad Althiburos (Tunisia), nel 2009 con il Direttore della Ricerca dell’Institut National du Patrimoine, Nabil Kallala, e i componenti della missione del Politecnico di Bari, Giorgio Rocco, Monica Livadiotti e i loro allievi. rimanere comunque legato. I contatti di fatto non si interruppero mai, rimanendo egli sempre al corrente di cosa si facesse (per es. la nascita del Dipartimento di Archeologia e Storia Antica, dalla fusione dei relativi Istituti), delle varie vicende accademiche. Tornava anche a Macerata, seppur di rado, in determinate occasioni. Quando arrivò la notizia della nomina a Direttore della Scuola di Atene, un giorno andai in Rettorato e gli dissi un po’ sfacciatamente che, se avesse voluto e ritenuto opportuno, io l’avrei volentieri seguito. Il Professore mi guardò, poi mi disse: va bene, fai la domanda di congedo. Presi una carta bollata e presentai domanda nelle mani del Direttore Amministrativo. Ma poi non se ne fece nulla, perché il mio Maestro intervenne, discretamente, e fece accantonare la pratica. Non ho mai avuto recriminazioni, ma qualche rimpianto sì: certo la mia vita sarebbe stata non meno vivace ed intensa, con la possibilità di crescere al seguito di una igura così ricca, sotto il proilo umano e del sapere. A Macerata, alla sua Università, il Professore è tornato con la ine dell’incarico di Direttore della Scuola di Atene, nel 2000. Benché fosse ormai fuori ruolo, la passione per il lavoro e la ricerca trovavano nel rinnovato aggancio universitario – grazie anche al titolo di emerito nel frattempo acquisito – la possibilità di portare avanti progetti iniziati e che avevano tuttora bisogno di lui: erano vari lavori in Tripolitania (culminati nel lavoro di anastilosi dell’Arco quadrifronte dei Severi), cui si aggiunse da ultimo lo studio del teatro romano di Althiburos (in Tunisia). Connessa a questa attività, di grosso impegno anche sotto l’aspetto inanziario, fu l’attivazione di un dottorato di ricerca sull’Africa romana. In questo quadro di rinnovati interessi per l’Africa Settentrionale si inserisce un fatto di grande rilievo, cioè la creazione a Macerata del “Centro di Documentazione e Ricerca sull’Archeologia dell’Africa settentrionale”, con un ricco fondo di documentazione proveniente dal CNR e, prima, da quello a suo tempo creato a Firenze e diretto per anni da Giacomo Caputo, fondo che il Professore arricchì con materiali di sua proprietà. Il Centro, che sarà presto dedicato al Prof. Di Vita, costituisce uno dei lasciti più vivi, destinato a perpetuare il ricordo di lui presso chi l’ha conosciuto e presso i giovani che approderanno alla nostra Università e che ameranno l’archeologia. Conosciuto ed amato anche da tanta gente fuori dell’Università, Di Vita resterà nel ricordo di tutti noi come uno dei Padri Fondatori dei nostri studi, come un Maestro straordinario e come un Uomo di altissime qualità. Gianfranco Paci Roma, Museo Pigorini, 14 marzo 2012 Μνήμης χάριν 45 Con i componenti della missione di Macerata a Gortina (2005), Silvia Forti, Roberto Perna, Giovanna Fabrini, Marisa Rossi, Maria Antonietta Rizzo e Gilberto Montali. In viaggio con gli Amici della Scuola a Mikonos, attendendo l’imbarco per Delos (2006). 46 Μνήμης χάριν Il professore dello Studium Universitatis Maceratensis Unisco la mia voce alle tante che mi hanno preceduto per ricordare insieme con voi la personalità di Maestro e studioso insigne che tanto ha dato lustro alla nostra Università di Macerata, che lo ha visto in veste di docente di Archeologia classica e Topograia antica a partire dalla ine degli anni Sessanta, precisamente dal 1968 ino al 1977, quando fu nominato alla Direzione della prestigiosa Scuola Archeologica Italiana di Atene, dove rimase per ben ventiquattro anni ino al 2000, continuando peraltro a mantenere la titolarità di docente a Macerata. Il mio ricordo da “allieva” corre in particolar modo allo stile del Suo insegnamento universitario, fatto non di lezioni pedisseque, ma animate da un vivo entusiasmo che sapeva trasmettere ai suoi studenti, suscitando partecipazione e interesse alla materia, ed instillando quella curiosità indotta dal racconto delle sue tante esperienze di archeologo militante, a contatto con la viva realtà archeologica e monumentale dei paesi del Mediterraneo, esperienze che trasformavano la Sua didattica in una continua rivelazione di nuovi orizzonti culturali. L’alto proilo del Suo magistero costituì la ragione prima per cui Egli riuscì rapidamente a riunire intorno a sé un folto gruppo di allievi, e a fondare in quegli anni una vera e propria scuola volta da un lato ad indagare il territorio marchigiano, ricchissimo di evidenze archeologiche inedite o poco note scientiicamente, e dall’altro a intraprendere un’intensa attività di studi e ricerche all’estero. Nell’ambito dell’indirizzo di documentazione sul terreno e di edizione di materiali antichi delle Marche, le ricerche condotte sotto la sua guida hanno consentito di impostare e chiarire non poche problematiche storiche. Si richiamano le collaborazioni con la Soprintendenza Archeologica delle Marche per gli scavi della necropoli orientalizzante di Pitino di San Severino Marche e delle necropoli picene di Numana-Sirolo e una prima indagine nell’aniteatro di Urbs Salvia. A tali attività sul terreno si aiancava poi una intensa opera di ricognizione di raccolte e collezioni archeologiche pubbliche e private della Regione, oggetto di numerose tesi di laurea (Collezione numismatica Guarnieri del Museo di Camerino, Collezione Gentiloni Silverj di Tolentino e l’importantissima Collezione Rilli di Numana). Quanto alle attività relative al corso di Topograia antica, tenuto dallo stesso Prof. Di Vita per incarico, si procedeva all’esplorazione dell’antica Trea, afrontando anche lo studio della centuriazione nell’alta valle del Potenza. Nell’opera instancabile del Prof. Di Vita, igura per noi eminente anche a livello istituzionale Preside di Facoltà dal 1970 e quindi Rettore della nostra Università dal 1974 al 1977 - si annovera, oltre al pluriennale impegno in campo regionale e nazionale, anche un’intensa attività sul terreno condotta in particolar modo sia in Africa (Tunisia e Libia) che in Grecia, nel corso della quale non è mai venuto meno il coinvolgimento dei membri del nostro Dipartimento di Archeologia. A Cartagine, come unica missione italiana, sotto la direzione di Antonino Di Vita ha operato dal 1973 al 1977 un’équipe maceratese insieme agli allora Istituti di Archeologia delle Università di Roma e di Siena, nell’ambito del progetto Unesco per la salvaguardia della città, con lo scavo della zona centrale della centuria A dell’impianto romano, al ine di ricostruire la storia della viabilità e dello sviluppo edilizio urbano. L’attività in Tunisia è stata poi ripresa in anni recenti (2007) su iniziativa del compianto Professore con un’équipe che opera ad Althiburos, in collaborazione con il Politecnico di Bari e l’ Institut National du Patrimoine di Tunisi, per lo studio e il rilievo del teatro romano della città. In Tripolitania il pluriennale impegno profuso dal Professore in dal 1968 continua ancora oggi con scavi, studi e restauri monumentali, e in questi lunghi decenni, allievi prima, e colleghi poi, si sono succeduti nella ricerca. A Sabratha numerosi componenti del Dipartimento di Archeologia sono stati attivi tanto negli scavi intorno ai mausolei punico-ellenistici A e B della Regio VI, quanto nello studio dei materiali da questi provenienti; e ancora nello scavo e nello studio delle tombe dipinte, specie quelle del “defunto eroizzato” e della grandiosa “area sacro funeraria” di Sidret el Balik interessate in anni recenti, per volontà del Professore, da restauri conservativi delle pitture, Μνήμης χάριν 47 In viaggio con gli Amici della Scuola, sopra, in Tunisia nel 2005, sotto, in Siria nel 2008. 48 Μνήμης χάριν che il Dipartimento di Macerata si è impegnato ad estendere anche alle tombe “della Gorgone” e di “Tanit”, per portare a compimento un impegno, anche ora che il Professore non c’è più, che sentiamo come irrinunciabile. A Leptis Magna, grazie ad importanti inanziamenti messi a disposizione dalla nostra Università, ha potuto completare tra il 1998 e il 2004 la diicile opera di anastilosi del grandioso Arco quadrifronte dei Severi che oggi, ricostruito, costituisce il simbolo monumentale della patria di Settimio Severo. Ed attualmente il nostro Dipartimento è presente con l’architetto Gilberto Montali, che cura a Leptis lo studio del Tempio della Magna Mater e a Sabratha quello dell’aniteatro, al ine di una loro edizione scientiica. Un altro Paese estero in cui l’impegno archeologico della nostra Università si è svolto con continuità, grazie alla politica illuminata del Prof. Di Vita, è la Grecia ove, in qualità di Direttore della Scuola Archeologica Italiana di Atene, dal 1978 dava inizio ad una serie di lunghe ed importanti campagne di scavo annuali a Gortina di Creta, aperte anche alla nostra Università, che hanno prodotto signiicativi risultati scientiici in specie per la storia monumentale, politica ed economica della città, che culminano in una delle sue ultime monograie dedicata proprio alla capitale di Creta e Cirenaica (Gortina di Creta. Quindici secoli di vita urbana, Roma 2010). La sua igura di eminente archeologo e la sua personalità di grande spicco nel mondo culturale hanno onorato il nostro Ateneo, al quale il Professore ha sempre manifestato un particolare attaccamento, fatto di una presenza costante, solerte e attiva anche nei lunghi anni della Direzione ateniese, quando non ha mai mancato di far sentire il Suo interessamento nei momenti più importanti e delicati della vita accademica, e al nostro Ateneo, con atto magnanimo, il Professore Emerito Antonino Di Vita ha voluto attribuire il Centro, già C.N.R., di Documentazione e Ricerca sull’Archeologia dell’Africa settentrionale, ricco di più di 25.000 fotograie e graici: tale Centro rappresenta una struttura d’eccellenza, dal momento che la documentazione che raccoglie, relativa all’attività di esplorazione archeologica italiana ino alla II guerra mondiale, costituisce oggi il più importante archivio per tutti gli studiosi che si occupano delle antichità dell’Africa romana (in particolare della Libia). Nell’anno 2003 tale Archivio ha ottenuto dalla competente Soprintendenza il riconoscimento di “Archivio Storico di notevole interesse” ed è attualmente il punto di riferimento dei partecipanti al Dottorato di ricerca sull’“Archeologia romana del Maghreb e della Cirenaica” istituito, ancora una volta per Sua volontà, presso l’Università di Macerata nei cicli XXI e XXV, dottorato che risulta essere inora l’unico in Italia sull’argomento. Tale istituzione nasceva dalla consapevolezza che le antichità africane potessero ofrire ancora molti spazi di studio e ricerca per le più giovani generazioni di studiosi alle quali – da impareggiabile Maestro quale è stato – il Professore in questi anni ha dispensato senza riserve le profonde conoscenze scientiiche e i frutti di un’esperienza pluridecennale maturati a stretto contatto con i monumenti e la cultura artistica dell’Africa settentrionale, in particolare la Tripolitania, alla quale era legato da speciali vincoli di lavoro e interesse scientiico. Nel raccogliere, per quanto possibile, l’eredità di studioso e ricercatore del Prof. Di Vita, ne ricordiamo anche la igura brillante in ogni campo di attività e di lavoro, sempre cordiale e generoso e con una personalità di grande spessore: ci manca e ci mancherà ancor più, per la Sua umanità, la Sua disponibilità, il Suo tratto amicale e il Suo sorriso. Con il nostro impegno ed i sensi della più viva gratitudine, cercheremo di onorarne la memoria di Uomo e Maestro. Giovanna Maria Fabrini Roma, Museo Pigorini, 14 marzo 2012 Μνήμης χάριν 49 Viaggi in Libia con gli Amici della Scuola. Sopra, a Ghadames nel 2001, sotto, a Sabratha nel 2009. 50 Μνήμης χάριν La magica atmosfera dei viaggi Questo breve interevento vuole essere solo un ricordo afettuoso di Nino Di Vita. Prima di me e meglio di me sono state ricordate, dagli amici e dagli allievi di una vita, tante cose. Pur non essendo stata sua allieva, in quanto il mio periodo di Scuola di Atene risale a Doro Levi, mi fa piacere ricordare il mio incontro, ad Atene, nel 2004, in occasione del viaggio da lui organizzato per gli ex-allievi della Scuola, a Lemno, Lesbos e Chios. Ricordo la sua accoglienza alla Scuola (ero con Roberto Spadea e Maria Letizia) sempre cordiale, allegro, l’ospitalità, la biblioteca, aperta, per sua volontà, anche di notte. All’epoca lo conoscevo solo per i suoi scritti principali, le sue ricerche in Sicilia, Grecia e Libia. Avevo letto, con interesse, il suo saggio sugli Eroi di Riace, che Nino identiicava come ‘oplitodromi’, ricco di dottrina e di stimolanti ipotesi. Nelle isole dell’Egeo settentrionale, a parte le visite sugli scavi e nei musei, accuratissime, ricordo gli incontri con gli studiosi, italiani e greci, suoi amici. Spesso ci presentava veri “personaggi” protagonisti delle ricerche, come nel caso del simpatico Eforo delle isole, Aglaia Archontidou, che avrei poi conosciuto meglio. Successivamente ho partecipato a quasi tutti gli altri viaggi annuali, indimenticabili quelli in Libia, Siria, Giordania, con un crescendo di interesse, in un clima di amicizia che non dimenticheremo. Grazie a questi viaggi, in cui Nino ha messo a nostra disposizione tutto, dalle sue esperienze alle sue amicizie, mi è stato possibile conoscerlo meglio, apprezzandone le doti preziose di umanità e generosità, oltre la sua vasta esperienza e l’apertura scientiica a tanti problemi e a tanti aspetti del mondo antico del Mediterraneo. Credo di poter afermare di aver conosciuto molti archeologi e professori universitari gentili con i loro allievi, ma non molti generosi come Nino. Penso a quanto Nino ha fatto per uno dei suoi tanti allievi, che ricordiamo tutti per il suo talento, come per il suo carattere non facile, Gaetano Messineo. E credo non sia il solo caso. Ripensando a quello che è stato, forse, se non l’ultimo viaggio, uno degli ultimi, sono lieta di averlo accompagnato, con la carissima Maria Antonietta, a Vibo Valentia, in seguito all’invito di una sua allieva calabrese della Scuola di Atene. In quel viaggio è nata l’idea di un prossimo viaggio dell’Associazione proprio in Calabria, di cui Nino volle organizzare, durante una cena a casa sua, condita da tante storie, tanti aneddoti e risate, a grandi linee, il programma, che spero realizzeremo, perché lo desiderava tanto. Elena Lattanzi Roma, Museo Pigorini, 14 marzo 2012 Viaggio in Siria con gli Amici della Scuola (2008); ad Ebla con l’assistente di Paolo Matthiae. Μνήμης χάριν 51 Viaggio con gli Amici della Scuola nelle isole del Dodecaneso (2010); sopra, a Rodi, sotto, a Kos. 52 Μνήμης χάριν Sull’Acropoli di Atene con gli allievi del 1985. L’indimenticabile magistero ad Atene La mia vera conoscenza di Nino Di Vita è avvenuta solo all’inizio degli anni novanta. Ero ben consapevole già da tempo dell’autorevolezza della persona, nota attraverso la sua poliedrica attività scientiica e le numerose iniziative riguardanti l’archeologia dell’Africa, della Sicilia, di Creta e di altri importanti siti greci, la sua autorevole conduzione della Scuola di Atene. Avvertivo, tuttavia, nei suoi riguardi una specie di timore reverenziale. Tutto ciò si è dileguato al momento in cui fui chiamata da lui a tenere un ciclo di lezioni agli allievi della Scuola in sostituzione di Luigi Moretti, allora titolare dell’insegnamento di Epigraia e antichità greche, che purtroppo stava attraversando un periodo diicile per seri problemi di salute. Mi sono trovata infatti di fronte ad una persona totalmente diversa da quella che avevo immaginato: una persona dotata in primo luogo di grande umanità, che univa una innata signorilità alla capacità di instaurare con le persone un rapporto sincero, diretto e immediato. Successivamente il mio rapporto con la Scuola si è uicializzato, in quanto ho tenuto io stessa per tre cicli triennali, dal 1993 al 2001, l’insegnamento di Epigraia e antichità greche ed ho avuto ampia occasione di trovare la conferma di quanto avevo colto inizialmente. I miei soggiorni ateniesi sono sempre stati estremamente piacevoli. Era bello percepire la capacità di Nino di gestire la Scuola come una grande famiglia, di cui si avvertiva una coesione nello stesso tempo afettiva e collaborativa. Era bello constatare come gli studenti ricevessero qualiicanti stimoli scientiici e fossero valorizzati al massimo delle loro possibilità e come di ciò essi stessi fossero consapevoli e grati. Erano piacevoli le conversazioni che avevamo modo di scambiare con Nino, da cui traspariva l’ampiezza e la profondità dei suoi interessi culturali e la sua instancabile capacità di progettare e realizzare ricerche e iniziative di ogni genere. Fra queste ho particolarmente apprezzato, nell’ambito del settore epigraico, l’essere riuscito a promuovere e a portare a compimento la pubblicazione dei testi delle iscrizioni di Kos elaborati da Mario Segre prima della sua cattura da parte dei nazisti e della sua morte nel lager di Auschwitz. E a questa intrapresa ho avuto l’onore di dare, dietro suo invito, la mia collaborazione. Conclusosi per Nino, ed anche per me, il periodo legato alla Scuola di Atene, i nostri legami di amicizia sono continuati, anzi si sono approfonditi, anche attraverso le interessanti iniziative dell’Associazione degli Amici della Scuola, da cui ho tratto la possibilità di arricchire le mie conoscenze, soprattutto attraverso gli splendidi viaggi organizzati da Nino a da lui guidati con il consueto entusiasmo e con il suo inesauribile bagaglio culturale. E proprio l’organizzazione di uno di questi viaggi, che egli voleva dedicare alla Calabria, ha costituito l’occasione del nostro ultimo incontro: una gradevolissima serata in cui, nel corso di una cena, la conversazione si era rivolta a ricordi del passato ma anche a progetti futuri, afrontati con il consueto impegno ed entusiasmo. La sconvolgente notizia della ine di Nino mi ha dato la triste certezza che uno dei pilastri su cui per oltre vent’anni si era appoggiata la mia vita era inesorabilmente crollato. Maria Letizia Lazzarini Roma, Museo Pigorini 14 marzo 2012 Μνήμης χάριν 53 In viaggio con gli Amici della Scuola. Sopra, ospiti di Aglaia Archontidou ad Emporiò di Chios nel 2004; sotto, a Zagabria nel 2010. 54 Μνήμης χάριν Dall’intervista ai racconti I suoi allievi, i colleghi, i compagni di lavoro, quanti lo hanno conosciuto e ne hanno amato la generosità, la cultura, l’arte del saper vivere, sono unanimi. Sanno che aver incontrato Antonino Di Vita è stato un privilegio. Lo riconoscono e lo afermano con commozione. I loro ricordi grondano nostalgia del tempo che hanno passato insieme. Io non c’entro niente con il mondo della ricerca e degli studi che hanno attraversato al suo ianco. Eppure io ho avuto un privilegio in più rispetto a loro. Sono stata vicina al Professore quando si è deciso a riattraversare gli anni della sua esistenza, a recuperare i momenti signiicativi del suo lungo girovagare per il mondo. Un’esperienza particolare, la nostra. Iniziata la mattina del 25 giugno 2011. C’era un caldo terribile in quei giorni a Roma. In città si sofocava. Dai vetri dell’appartamento di Monteverde i tetti delle case apparivano come coperti da una foschia densa. In terrazza erano rimasti - vuoti - i bicchieroni di orzata di mandorle che egli stesso aveva preparato e che avevamo bevuto fra chiacchiere, progetti, commenti sulla situazione incandescente in cui la Libia si stava dibattendo. Alle 11, nel suo studio, il Professore si è annodato al colletto della T-shirt un piccolo microfono e, premuto il pulsante del registratore, ha detto: “Incominciamo”. Erano anni che ne parlavamo. Ci eravamo conosciuti come giornalista io e Direttore della Scuola Archeologica Italiana di Atene lui. Poi ci eravamo ripetutamente incontrati. E inalmente ero entrata a far parte dell’Associazione Amici della Scuola. Che aveva signiicato viaggi meravigliosi, in luoghi come Siria, Tunisia, Giordania, Libia, di cui tutto il Professore sapeva e in cui tutte le porte ci venivano aperte in nome del prestigioso archeologo che arrivava con un proprio seguito e come un sovrano visitava i “suoi” territori, incontrando i colleghi di ogni nazionalità presenti in quel momento proprio lì. Viaggi che signiicavano anche serate memorabili, afollate di racconti, di storie vissute in prima persone nella Grecia degli Anni Cinquanta, nella Libia dei primi Anni Sessanta, realtà lontane anni luce per i cambiamenti provocati dal turismo di massa come dal vertiginoso giro di interessi legati alle risorse petrolifere. Pendevamo dalle labbra del Professore, che ci divertiva, ci insegnava, ci mostrava – al di là dell’episodio paradossale o semplicemente bufo – il sapore di una cultura in cui afondano le radici della nostra civiltà. “Queste tue esperienze sono pezzi di storia destinati a scomparire”, gli dicevo. “Non se ne saprà più niente se qualcuno non ne scrive, se tu non ne scrivi. Devi farlo”, insistevo. L’idea gli piaceva, ma sempre aveva qualcosa di importante e di impellente da fare. Anche l’idea che fossi io a scrivere gli piaceva, ma di continuo rimandava il nostro appuntamento con microfono e registratore. È stato nella sua ultima estate, in uno spiraglio di tempo concessogli dal rinvio delle vacanze in Grecia, che siamo riusciti a ritrovarci faccia a faccia, lontani da scadenze d’obbligo. Ed è iniziato il viaggio della sua vita. Dalla famiglia patriarcale, nel ragusano, alla direzione della Scuola di Atene; dalla fascinazione esercitata dai “cocci” rinvenuti in prossimità di casa quando era ancora bambino e frugava nel bosco, alla scelta degli studi per diventare archeologo; dalla ricerca del lavoro ai primi scavi; dall’emozione dei primi ritrovamenti ai successi, i premi, le onoriicenze. Un viaggio popolato di incontri. Con ambasciatori, ministri, autorità nel campo della ricerca e della scienza, uomini dei servizi segreti. Con igure marginali ma portatrici di un valore, della denuncia di una contraddizione. Persone di diversa caratura, a volte insopportabili, ma alle quali - tutte - sapeva prestare ascolto. Sempre senza salire in cattedra. Sempre senza sottolineare quanto il suo status lo separasse dal contadino cretese alla cui tavola andava a sedere, o dall’aspirante archeologo gonio di prosopopea e di ignoranza che gli faceva perdere tempo. Sempre attento a non lasciare in ombra uno dei collaboratori - una galassia, delle più varie nazionalità - che gli hanno permesso di fare il suo lavoro. Ogni giorno il mosaico si inittiva di colori, di dettagli, di aggiunte. In quella Roma assolata il nostro viaggio era molto divertente. Ci ha lasciato in controluce - il tracciato di una vita. E - ben deinito - il proilo del Professore che in tanti abbiamo amato. Liliana Madeo Roma, Museo Pigorini 14 marzo 2012 Μνήμης χάριν 55 La Sicilia nel cuore Inaugurazione del Museo Archeologico di Ragusa (30 ottobre 1960). Al centro il progettista prof. Vincenzo Cabianca, alla sua destra l’ing. Cesare Zipelli, Antonino Di Vita, il prof. Filippo Garofalo con il cordone in mano, l’autista dell’ing. Zipelli, l’operaio Giovanni Nicita, aiuto custode. Alla sinistra di Cabianca l’assistente Vincenzo Colletta, il restauratore Betta, il disegnatore Pasquale Grasso, un tecnico della Soprintendenza di Siracusa, il custode uiciale don Peppino Tomasi. Gita alle isole Eolie con Vincenzo Cabianca (2003). 56 Μνήμης χάριν Il giorno dell’inaugurazione del Museo a lui intitolato a Licodia Eubea, nel 2002. Alla consegna del Premio Internazionale “Ibla” (Ragusa Ibla, 4 giugno 2011). Μνήμης χάριν 57 In viaggio con gli Amici della Scuola in Sicilia nel 2003. Sopra, sulla collina dei Templi ad Agrigento, sotto, al Museo di Mozia. 58 Μνήμης χάριν Nella serenità famigliare Roma. Festa per il novantesimo compleanno della mamma, Maria Gafà, con la sorella Teresa, i igli Gianmarco e Sergio e il nipote Bruno (1991). Nella casa di campagna della Buzzolera (Chiaramonte Guli) nell’aprile 2011 con i igli Sergio e Gianmarco, le nuore Sandrine e Antonia e i nipotini Alessandro, Maria Laura, Axel ed Emma. Μνήμης χάριν 59 Roma, 14 ottobre 2000, nel giorno delle nozze con Maria Antonietta. Con Ginette Di Vita-Evrard nel 2007 a Bruxelles per la prima comunione della nipote Maria Laura. 60 Μνήμης χάριν Gita sul monte Ida, a Creta, nell’agosto del 2010, con Maria Antonietta, il iglio Sergio, la nuora Sandrine, i nipoti Axel ed Emma. A Bruxelles nel marzo del 2011 con il iglio Gianmarco, la nuora Antonia, i nipoti Alessandro e Maria Laura. Μνήμης χάριν 61 Con la sorella Teresa, a sinistra, e il cognato Paolo Piccione in Sicilia, a Selinunte, nel 2003. A Taormina nell’aprile del 2011 con Gianmarco e famiglia. 62 Μνήμης χάριν Nell’Antiquarium della casa della Missione ad Haghii Deka nel 2008 con Sergio e famiglia. Con i nipoti: sopra, con Axel nel 2008 nella casa di Iraklion; sotto, a Bruxelles nel 2011 con Alessandro, davanti alla sua scuola. Μνήμης χάριν 63