WANDA CAVALLI CALCAGNI
LE MIE MEMORIE
Le mie memorie
Rev 26
2
Le mie memorie
WANDA CAVALLI CALCAGNI
LE MIE MEMORIE
Rev 26
3
Le mie memorie
Editori: Carla ed Oriano Bellotti
Impaginazione: Carla Bellotti
Grafica e ricerca: Oriano Bellotti
Dal manoscritto di Wanda Cavalli Calcagni
Luglio 2008
Stampato il 14 giugno 2009
Rev 26
4
Le mie memorie
Carissimi Mario e Grazia Rita,
Io e papà abbiamo posato la base del vostro futuro con tutta la nostra vita,
con il nostro amore e con tanta passione.
Ora resta a voi di continuare a costruire per il resto della vostra vita e della
vostra famiglia, finche la vostra vita venga tramandata ai vostri figli ed ai figli
loro in futuro.
Il nostro ricordo resterà imperituro con tutto l’amore che vi abbiamo dato per
tutta la durata della nostra vita.
Fate tesoro della nostra vita e della vita che vi abbiamo dato.
We always love you !
Papà Giovanni e Mamma Wanda
Rev 26
5
Le mie memorie
Rev 26
6
Le mie memorie
Oggi 23 luglio 2008
Con le qualità e i difetti si nasce. Le memorie vanno custodite come il tesoro
più grande della nostra vita dal momento della nostra nascita.I ricordi belli, la
felicità, i dispiaceri e le sofferenze, fanno una gran parte della nostra
crescita. Basta riuscire a superare tutto con un briciolo di filosofia.
Mio padre, Pietro Maria Cavalli, nacque a Salvaterra (comune di
Casalgrande), in provincia di Reggio Emilia), il 25 maggio del 1880.
Mia madre, Irene Prampolini, nacque il 10 gennaio del 1884. Si sposarono a
Salvaterra ed ebbero10 figli: Maria (1904), Armando (1908), Mara (1909),
Tina (1911), Valentina (1913), Nello, (1918), Umberta (1922), Wanda (1924),
Ermanno (1926) e Danilo (1930).
La mia crescita è stata abbastanza bella, tenendo conto che sono stata la
più piccola delle sorelle. Da loro ho imparato molto. Certo dalla mamma le
cose più importanti, poi pian piano, mentre gli anni passavano, capivo
sempre di più, cos’era la vita, nel bene e nel male.
Sono nata il 21 marzo, il primo giorno di primavera, era martedì alle 12 di
mattina. Mi hanno sempre ricordato, mia mamma e le mie sorelle, che era
una bellissima giornata di sole, con tutte le piante fiorite del pesco, dei meli,
dei ciliegi, i fiori di mandorlo, le viole nei prati così profumate, insomma
proprio come vuole il segno dell'ariete. L’ariete è un segno forte e
coraggioso, sempre pronto al rischio, ma anche al positivo. Non mi sono mai
pentita in tutto ciò che ho sempre deciso di fare, tutto quello che ho fatto l'ho
sempre portato a termine, nel positivo e riuscivo come prevedevo.
Rev 26
7
Le mie memorie
La mia vita è stata sempre di continuare ad arricchire la mia cultura ed
acquistare sempre di più il meglio possibile. Amo me stessa e soprattutto
amo il prossimo, amo ogni cosa che c'è sulla terra. Amo leggere molto e
stare in compagnia di persone colte, non importa quale sia la loro
professione. Non si finisce mai d'imparare. La musica, il commercio, la moda
di cui sono molto amante, sono tutte cose che ho proprio di eredità
sanguigna. Non importa, quello che intraprendo di fare perché so che lo
porterò a termine e lo faccio con cuore e volontà, nulla è difficile per me. Una
delle doti che mi è stata concessa dalla nascita è la memoria che mi ha
accompagnato e mi accompagna ancora oggi come allora.
Ricordo che la mamma diceva sempre che non si può mandare via una
persona che chiede l’elemosina, perchè ha fame. A qualsiasi ora che fosse
passato un poveretto, lei sarebbe restata senza pane, senza bere o senza il
suo piatto di minestra per donarlo a questa persona. Questa è umanità,
tendere la mano ed aprire il cuore. Il dare non costa niente, è come il sorriso
che ci rende radiosi nel farlo.
Nel dare c’è una grande gioia dello spirito, molto maggiore del ricevere, certo
quando questo viene fatto col cuore. Non basta aspettare le ricorrenze, gli
avvenimenti speciali. Quando le persone vogliono generosamente dare o
fare qualcosa per chi ha bisogno, tutti i giorni vanno bene e tutto è gradito
nel ricevere.
Tutte le volte che ritornavo a Reggio Emilia e incontravo degli amici o
persone diverse, mi ricordavano cosa avevo fatto loro per aiutarli in un modo
o nell'altro, essendo stata impiegata prima nel municipio della città poi al
consorzio di agricoltura e foreste.
Rev 26
8
Le mie memorie
Ho passato 29 anni a Reggio Emilia e partii per il Canada nel 1953, Oggi
sono canadese da 55 anni. Sono molto contenta di me stessa, di avere
scoperto quante cose ho nel mio io ancora da fare. Ma il ricordo, o memoria
visiva, è rimasto sempre nel mio pensiero.
Quando avevo tre anni, la mamma ci portò a vedere una corsa di biciclette
nel paesino, quando ad un tratto passò la corsa, io attraversai la strada, fui
investita, da mio cugino e di conseguenza, il mio naso quasi rotto. Ho
imparato presto le mie responsabilità.
Mio padre commerciava il vino e ricordo oggi, così com'era allora, una fila di
grosse botti di legno tra le quali noi giocavamo a nasconderci, era per noi un
gran divertimento. Mio fratello Ermanno era piccolo ancora, mentre passava
vicino al torchio del vino in movimento, cadde e finì con una manina sotto al
torchio e si schiacciò il dito mignolo. Ancora visibile oggi.
Un altro episodio mi turbò molto. C'era un funerale d’una persona amica di
famiglia, entrammo in chiesa ed io guardavo a destra e sinistra, c'era una
grande balconata rialzata ai lati, era un po' buio, le candele erano accese, e
si sentiva un odore (dell'incenso) che io non conoscevo. Tra il morto, la
chiesa buia, l'incenso, dicevo alla mamma "Andiamo fuori". Avevo davvero
un senso di paura, ma non so come finì. Questo episodio di essere presente
a queste funzioni di mistero, non lo consiglierei a nessun bambino piccolo.
Un giorno, mia madre, mentre cambiava mio fratellino, lo fasciava come una
mummia, tutto stretto con una grande benda di cotone fatta in casa con il
Rev 26
9
Le mie memorie
telaio, anche rosa o celeste. Restavano fuori solo le braccia. Il bimbo
piangeva e la mamma non capiva il perché, lo coccolava e gli faceva le
carezze sulla testina. Ma tutto a un tratto, sentì qualcosa e trovò un ago
piantato a fior di pelle, (questo me lo ricordò mia madre) nella testa del
bambino. Mi diceva che io saltavo intorno mentre allattava il piccolo e forse
io trovai questo ago in qualche posto e lo piantai nella testa al mio fratellino.
Forse era a fior di pelle perché era duro di spingerlo più profondo. La
mamma diceva che ero proprio birichina.
Sono stata precoce nell'apprendere tutto quello che mi è stato insegnato, e,
infatti, la mia vita è proprio basata sul mio carattere. Se ripenso qualche
volta alla mia tenera età, riesco a ricordare certi particolari che mi sono
rimasti impressi l'uno più dell'altro.
Un altro ricordo che non ho mai dimenticato: mio fratello Armando aveva un
calessino con un bel cavallo bianco. Un giorno disse alla mamma "Stai a
vedere come è buono questo cavallino" e mise Ermanno, che aveva forse
cinque o sei mesi, dentro la cesta grande del fieno per dar da mangiare al
cavallo. La mamma strillava "Non fare questo, è pericoloso", ma mio fratello
rideva e diceva "State attenti". Ad un tratto, il cavallo morsicò il fratellino e il
cavallo provò a scappare, ma mio fratello lo frustava. La mamma diceva "Il
cavallo non ha colpa, sei tu che hai messo il bimbo nella cesta e lui ha
morsicato un'orecchia al bimbo". Di corsa dal dottore del paese e ritornò a
casa con l'orecchio bendato. È rimasto il segno ancora visibile ora.
Ricordo anche che, sarà stato primavera, il frumento era già come un palmo
di mano alto, e col vento si muoveva a destra e a sinistra come un'onda del
Rev 26
10
Le mie memorie
mare e sembrava una grande coperta verde che si muovesse, ma solo il
vento lo poteva fare. Forse avevo due o tre anni, per ricordarmi tutto questo.
Per me era una cosa straordinaria da guardare.
Andavo all'asilo con mia sorella, però lei faceva già la scuola e mi
accompagnava. Ogni due passi, lei faceva un saltino che io non riuscivo.
Ho imparato a fare, con i ferri, le solette che si attaccavano in fondo alle
calze quando erano rotte. La mamma diceva sempre "Non state lì ferme
senza far niente, prendete le vostre lenzuola e mettetevi a fare l'orlo a
giorno”. Era un bel daffare che non finiva mai, perché, finito uno, lei ce ne
dava un altro. Erano lenzuola del nostro corredo, per quando ci fossimo
sposate. Tutto quello che imparavamo, la mamma diceva che, un giorno, lo
avremmo anche noi insegnato alle nostre figlie. Anche questo fu verissimo,
perché anch'io l’ho insegnato a mia figlia, Grazia Rita.
Mia sorella Umberta era timida e io le facevo molto coraggio, quando c'era
da prendere una sculacciata, andavo avanti io, così lei passava senza
essere toccata. Questo era papà, perché la mamma non ci ha mai toccato.
Volevo molto bene a tutti, ma a mia sorella Umberta di più, perché eravamo
vicine di età e giocavamo bene assieme.
Dalla mia memoria, voglio invece ricordarmi le belle serate che le mie sorelle
preparavano per le festività Natalizie. La casa era grande, c'era un grande
salone al piano di sopra e, uscendo fuori, un grande terrazzo dove si
metteva ad asciugare le croste del vino su una coperta. La decorazione era
bellissima, ricordo i quattro alberi di Natale: uno per ogni angolo, pieni di
gianduia, caramelle, mandarini e piccoli torroncini. Nella casa c'era sempre
Rev 26
11
Le mie memorie
un profumo di mandarini, perché la mamma metteva sulla stufa la pelle dei
mandarini dopo mangiato e questo dava una sensazione davvero di Natale.
L'atmosfera era allegra e mi rimase così tanto impressa che, se chiudo gli
occhi, mi vedo correre su e giù per casa per quanto ero felice. Le mie sorelle
vestivano sempre con bei vestiti eleganti, allora erano di moda corti fino al
ginocchio. La casa era sempre piena di vita, di festa e di musica. Non solo
per Natale ma anche in altri momenti.
Mio padre, oltre che a commerciare il vino, aveva anche la passione di
suonare. Lui suonava il violoncello, con quella punta in fondo appoggiata a
terra e ogni tanto lo faceva girare. C'era sempre allegria in casa perché papà
faceva venire l'orchestra al completo per praticare. Molto spesso, venivano a
fare le serenate alle mie sorelle. Accendevamo le luci e poi le spegnevamo
per far sapere che eravamo sveglie e così l'orchestra suonava della bella
musica. A me, anche se ero piccola, piaceva “Laggiù nell'Arizona”, “Parlami
d'amore Mariù”, “Balocchi e Profumi”; poi, dopo aver suonate cinque o sei
canzoni, dicevano buona notte. Questo era negli anni 1928, 1929, 1930.
Quando c'erano le serate da ballo, invitavano tanti amici e amiche. Io
andavo di sopra per vedere e sentire suonare e loro mi dicevano: “Vai via”.
Io andavo un po' e poi ritornavo; insomma. non mi volevano fra i piedi.
Crescendo, capivo sempre di più il perché. Questa era l'allegria in casa
nostra, che poi si tramandò tutta la nostra vita, da figlio a figlio o da figlia a
figlia.
Papà, nel 1930, fece fallimento, causato dal grande gelo nel 1929, perdendo
casa, proprietà e tutto quanto, perché egli si fidava di tutti gli amici. Così un
bel giorno, chiesero di garantire delle cambiali ed erano parecchie e non
Rev 26
12
Le mie memorie
poté sopportare tutti i pagamenti e fece fallimento. Ci trasferimmo dalla
periferia alla città, sempre di Reggio Emilia. Affittarono un appartamento nel
1930, ma così in fretta che appena ci si muoveva.
Io, mia sorella Umberta e mio fratello Ermanno, andammo alla scuola di San
Pellegrino a Porta Castello per due anni. Umberta frequentava la terza, io la
prima e Ermanno l'asilo.
Le mie sorelle trovarono subito lavoro presso la fabbrica degli aeroplani, mio
fratello Armando fece l'autista per trasportare le grandi cisterne di melassa o
benzina o acidi e mamma stava tutta notte in pensiero. Quando arrivava a
casa dai suoi viaggi, la mamma ci svegliava tutte noi sorelle per preparare la
cena e il cambio della biancheria in tanto che lui potesse dormire qualche
ora. Poi ripartiva per tutti i suoi viaggi in Italia. Tina e Valentina lavoravano e
studiavano per analiste chimiche. Mara fece un corso di tagliatrice di modelli
a Milano (in definitiva, però, non riuscì a realizzare niente nella sua vita
anche se si laureò in legge a tarda età), perciò non voleva fare nessun
lavoro manuale per non rovinarsi le mani perché insegnava il taglio dei
modelli. Nello aiutava papà.
Ci trasferimmo in una casa completa con cinque camere, cucina, sala da
pranzo e bagno. Era l'anno 1934. La casa era in via Brigata Reggio, al
numero 8, proprio vicino al consorzio del parmigiano reggiano, con un
grande terreno. Mio padre fece un grande orto e un frutteto, perché lui si
trastullava a fare gli innesti di diverse qualità di frutti nella stessa pianta.
Insomma aveva trovato il suo mondo. Noi, quasi tutti i giorni, andavamo
vicino al recinto del consorzio ad aspettare che gli operai portassero fuori i
ritagli del formaggio fresco che si chiamava "Tusoun", prima che lo
Rev 26
13
Le mie memorie
mettessero sotto sale. Noi, tutti contenti, ce lo divoravamo: era così buono!
Ricordo molto bene che ogni sera si vedeva una fila di contadini che
portavano il latte nei piccoli o grandi contenitori che pesavano ed avevano
un libretto dove annotare il peso. La stessa cosa ogni mattina. Perciò questi
particolari fanno parte della nostra crescita. La mattina mettevano il latte in
queste enormi vasche rettangolari, quello della sera restava tutta la notte in
riposo, così tutta la crema veniva in superficie e al mattino toglievano la
crema per fare il burro, poi bollivano il latte della sera e del mattino per fare il
formaggio parmigiano reggiano. Noi piccoli eravamo meravigliati da come
usciva il formaggio.
Cambiai scuola e feci presto ad abituarmi. La scuola della nostra zona si
chiamava Scuola di via Guasco, perciò per un anno sono andata lì. Era
molto vicino a casa, poi l'anno dopo, una legge nuova ci trasferì alla scuola
della Concessione, vicino al teatro municipale. Senza problemi, portavo il
mio fratellino Danilo alla materna (che poi era l'asilo), poi andavo a scuola e
mamma o mio fratello Ermanno andavano a riprenderlo. Prima le scuole
erano con maschi e femmine separati.
Ermanno e Danilo andavano a scuola di musica all’Achille Peri. La mamma li
accompagnava e, quando se n'andava, loro uscivano a giocare nei giardini.
"Erano birboni", diceva mamma. Poi li hanno iscritti alla scuola Cantorum del
teatro municipale. Cantavano nel coro del teatro quando c'era la stagione
lirica e tutte le opere le conoscevano e quando loro cantavano, le loro voci si
sentivano bene perché cantavano su chiave alta. Poi cantavano nelle chiese
e non li pagavano. Non solo, quando la Messa era finita, raccontavano che i
preti andavano a pranzo con ogni ben di Dio a tavola, ma ai bambini davano
un panino asciutto col salame,sotto ad un albero. Allora hanno capito chi
Rev 26
14
Le mie memorie
erano i preti e non sono andati più. Però hanno sempre continuato a cantare
con il teatro municipale alla stagione lirica. Avevano una bella voce ed hanno
continuato a cantare per molto tempo.
Quando io sposai Giovanni nel 1958 in Canada, mio fratello Ermanno incise
un disco per me a Milano e me lo mandò come suo regalo: da una parte
parlava a me e a mio marito e dall'altra parte cantò la canzone "Sposi". Per
me, ciò che ho provato non lo posso descrivere (come ho già scritto nella
storia che è stata pubblicata nel 1997 a Reggio Emilia "La mia vita in
Canada").
Mio fratello Nello andava a scuola di musica, per suonare il violino. Ma un
bel giorno mio padre si arrabbiò con lui perché suonava senza lo spartito
musicale. Lo ascoltava con tanta pazienza, ma poi scattò di nervi, prese il
violino dalle sue mani e glielo ruppe in terra. Così non ha voluto ascoltarlo
più e Nello ha perduto il violino. Ma Nello si presentò ad un'orchestra che
conosceva bene e gli fecero subito suonare la batteria, e le persone nella
sala da ballo impazzivano, tanto che questa sala faceva sempre il pieno tutte
le serate. Lo pagavano bene e lui era contento. Suonava tutti gli strumenti,
era proprio nato per la musica. Era diventato così popolare che le ragazze gli
facevano la corte. Tutti ne parlavano a mio padre e gli dicevano che Nello
suonava benissimo, tanto che, una sera, andò per ascoltarlo senza farsi
vedere e poi ritornò a casa, tutto contento. (Forse ha capito e si è pentito di
avergli rotto il violino). Qualcuno disse a Nello: "Fuori c'è tuo padre", ma lui
era già partito quando mio fratello uscì a cercarlo. Nello portava sempre con
sé le sorelle perché loro entravano senza pagare, aveva già stipulato ciò con
il padrone della sala.
Rev 26
15
Le mie memorie
Tante volte veniva a fare le serenate a noi sorelle con tutta l'orchestra. Le
persone delle villette vicino stavano alla finestra a sentire: andava di moda
così a quei tempi. Quando corteggiavano una ragazza, pagavano i suonatori
per fare la serenata.
Mio fratello era molto bello, ma era il suo carattere che lo completava in
tutto. Un giorno ci disse che usciva con una ragazza e che le piaceva molto.
Era l'anno 1938. È diventata una cosa seria, tanto che, un giorno, ci disse
che la ragazza aspettava un bambino. Figuriamoci la mamma come gli
strillava: "Proprio adesso che devi andare a fare il soldato" così lei diceva
"Ma ormai non ti resta che sposarti subito, prima di partire". Infatti, in un
mese si sposarono e poi mio fratello partì per militare di leva e fu mandato a
Pordenone nel Friuli nel 1938. Veniva qualche volta in licenza e ripartiva. La
moglie Oriele viveva con noi. In aprile 1939 nacque la bambina e la
chiamarono Luciana. Mio fratello venne in licenza di due giorni. Era già
estate, poi ritornò in licenza un'altra volta per tre giorni, così è potuto stare
vicino alla moglie e alla piccolina così bella. Poi fu spedito subito in Russia.
Luciana è stata la nostra prima nipotina. Cresceva molto bene e un bel
giorno,verso la fine del 1939, mia cognata ci disse che voleva portare la
piccola dai suoi genitori, perché avrebbe cercato un lavoro. Però, la ragione
vera, era quella di allontanarsi da noi familiari ed essere libera, nel modo che
voleva. A noi dispiacque molto, avendo portato via dalla nostra casa la
piccolina che, guardandola, ci dava tanto conforto. Ben presto lei partì per la
Svizzera. Fece un corso da infermiera e si stabilì per sempre là. Luciana,
crescendo, veniva sempre a trovarci perché sapeva quanto bene le
Rev 26
16
Le mie memorie
volevamo, Noi eravamo una grande famiglia e lei era sola con i nonni, una
zia e uno zio. Ancora oggi il nostro affetto per lei non è mutato, anzi le
vogliamo più bene di prima, perché lei continua la vita che le ha dato il
padre. Questa bambina ha sofferto tanto per la mancanza della mamma così
lontana da lei. Possiamo anche dire che l'hanno cresciuta i nonni.
La mamma sua si sposò in Svizzera ed ha avuto un altro figlio e un'altra
figlia. Ma, alla figlia ormai lontana, le ha fatto mancare l'amore di mamma. La
piccola cresceva bene ed era esattamente il padre in persona. Noi le
abbiamo sempre raccontato cosa faceva il padre da piccolo, delle birichinate
che faceva e anche delle belle cose: che gli piaceva tanto la musica e il bene
che le voleva, e lei ascoltava sempre volentieri quando parlavamo di lui.
Purtroppo il destino ha voluto così. Luciana sposò nel 1963 in aprile ed io dal
Canada con mio figlio Mario, che aveva due anni, eravamo presenti al suo
matrimonio. Ha un bravo marito di nome Franco Romani (il primo amore
della sua vita) e hanno un figlio di nome Federico. Certi giorni è un po' triste
ripensando alla sua vita lontano dalla mamma, ma è comprensibile che lei
cerchi una ragione di come una mamma possa allontanarsi da una figlia così
piccola e perché se ne sia andata via!... questa è una risposta che non la
saprà mai ma la tormenta tanto. Io posso trovare questa ragione: non è stato
altro che la colpa della guerra... questa tremenda guerra che ha causato
dentro ad ognuno di noi tanto dolore e tanto malessere. Siamo dei
sopravvissuti della guerra. Il padre fu tra i dispersi di guerra, quindi non si
può neanche andare al cimitero a portargli dei fiori. Questo è anche la parte
più triste. Ci sono dei cimiteri militari con i nomi dei caduti di guerra, ma non
è la stessa cosa.
Rev 26
17
Le mie memorie
È stato costruito a Cargnacco nel Friuli un grande mausoleo per i caduti in
Russia della guerra 1940-45. Questi giovani soldati, partiti senza essere
preparati ad una guerra, contro i soldati russi e contro il grande freddo,
senza avere indumenti necessari per affrontare 40° sotto zero. Cosa
potevano sapere loro della guerra, quando non avevano ancora imparato ad
usare un fucile! Cosa ne sapevano della Russia, del grande freddo che
avrebbero affrontato senza pietà? Ma i grandi capi, senza coscienza,
firmarono i patti, credendo di essere superiori ai russi. Ed i giovani hanno
pagato con la loro vita per questo patto infame. Ancora oggi i grandi capi non
hanno capito che le guerre portano solo la perdita di tante vite giovani, nel
fiore degli anni, e per che cosa? Per essere l’uno superiore all'altro. Imbecilli,
dovevano andare loro a provare cos'è la guerra, i bombardamenti e le
distruzioni di vite umane, di case, di economie, portando solo il lutto a
migliaia di famiglie che ancora piangono i loro cari, dispersi così lontani. Gli
americani ci hanno liberati, è vero, ma a qual prezzo! Dopo cinque anni di
guerra sotto ai bombardamenti ed essere ancora col cervello a posto!
Figuriamoci i nostri soldati, abbandonati dalla difesa del governo, che si sono
trovati a dire "Si salvi chi può"! La loro fine non la sapremo mai.
Nello non lo abbiamo visto più. Lui scriveva tutti i giorni alla moglie. Era
sempre pieno di vita, prima di partire per il militare, era così frenetico che
chiunque stava vicino a lui, gli trasmetteva proprio la voglia di vivere. Era
molto umano e ci voleva tanto bene, ci ha sempre incluso nella sua vita. A
volte, quando non aveva più soldi, veniva vicino a me o alla mamma, ci
abbracciava e diceva: "Avete per caso 100 lire? Devo comprare cinque o sei
caramelle e una sigaretta". Lui era l'unico che fumava, forse, due o tre
sigarette al giorno, perché costavano troppo, ma, nel modo con cui lo
Rev 26
18
Le mie memorie
chiedeva, valeva la pena dargliele. Quando finiva di suonare, diceva alle mie
sorelle: "Io vado a casa in bicicletta e faccio l'impasto dello gnocco, così
quando arrivate lo friggete". Poi si alzava la mamma e si ascoltavano tutti i
commenti che raccontavano e si mangiava lo gnocco fritto, poi a letto.
Che bei tempi! Davvero non ritornano più, però li portiamo nel cuore e nella
nostra memoria. Qualche volta è bello lasciarsi abbandonare a questi
indimenticabili ricordi, perché ci aiutano a vivere, a superare ogni gravità che
si possa presentare.
Tante volte la domenica si andava su in montagna a San Polo d’Enza o
Ciano con un trenino lento come una lumaca, ma era divertente; allora lui
invitava la sua ragazza Oriele e tanti amici ed in modo particolare l'orchestra.
Due di loro si mettevano alle porte d'una carrozza del treno e, a chiunque
volesse salire, loro dicevano: "È tutto pieno ". Così tutti i suoi amici,
l'orchestra e via via, potevano suonare e divertirsi fino all'arrivo. Ma il più
bello stava l'arrivo. Cominciavano a suonare, poi si camminava verso la
montagna. Prima di andare sulla montagna, andava in cucina dalla cuoca e
comandava un bel pranzo per l'una del pomeriggio. Al ritorno si mangiava.
Ogni tanto, fra una portata e l'altra, suonavano: era un'allegria così bella che
non si può dimenticare. A quei tempi suonavano musica bella, con parole
romantiche. A me piaceva molto la canzone "Mia piccola Butterfly".
O mia piccola Butterfly
lo so, non ti scorderai di me
del mio amor.,,
O mia piccola Butterfly
i baci ritroverai perché
tornerò...
Quando le stelle
Rev 26
19
Le mie memorie
ritorneranno a brillar
guardando quelle
noi ci potremo incontrar…
O mia piccola Butterfly
un giorno mi rivedrai sul mar
ritornar…
Era sempre allegro e teneva su il morale a tutti. Era l'anno 1938. Ma tutti
questi momenti non ritorneranno più, come Nello non è ritornato più anche
lui fra noi. Questa lunga agonia d'attesa non si spegneva in noi, anzi, per
tanti anni durò finché dai nostri occhi non uscivano più lacrime. Dalla Russia
ci scriveva molto spesso e diceva sempre che stava bene e sperava di
rivederci presto. Ci mandava parecchie foto, in una suonava il violino e in
un'altra suonava la balalaika coi suoi amici. Queste foto le ho conservate
come un tesoro nei miei album di fotografie. La guerra non era ancora
incominciata seriamente. Ma, poi, le sue lettere si facevano sempre più rare.
La guerra è incominciata. Nel 1940 i nostri soldati italiani erano sul fronte di
guerra insieme ai tedeschi. Nel 1942 c'è stata una grande battaglia sul Don
(grande fiume famoso) ed era dicembre: i soldati italiani e tedeschi in ritirata.
I soldati italiani stavano già sul treno per ritornare e ci spedì una cartolina
dove diceva: "Sono sul treno e non posso credere che tra poco sarò tra di
voi" quando ad un tratto i tedeschi li fecero scendere tutti per salire loro, così
non si è più saputo nulla. Ma la battaglia continuava sempre più forte e
chissà cosa sia successo di lui...
Le forze militari italiane e tedesche perdettero la battaglia e scappavano per
potersi salvare loro. Tutti i giorni, si aspettava il postino per avere notizie di
lui, ogni giorno che passava erano solo lacrime e tristezza. In una sua ultima
Rev 26
20
Le mie memorie
lettera ci diceva: "Se dovesse succedere il peggio, non state in pensiero che
io sarò al salvo". Aveva conosciuto una famiglia russa di brava gente e
pensavamo: "Forse si rifugerà da lo. Tutti i giorni, si viveva solo nella
speranza che ritornasse a casa, invece passavano gli anni, sempre con un
grande dolore al cuore. Continuammo a vivere nell’attesa che lui potesse
ritornare a casa, tanto che la mamma, per tantissimo tempo, risparmiava
dalla cena o dal pranzo il mangiare per lui, in caso fosse arrivato. Quanto
dolore c'era in casa! Ma lui non ritornò mai più. Mentre scrivo ho il cuore
gonfio di lacrime ancor oggi e per sempre finché vivrò. Questo fu il più
grande dolore della nostra famiglia, non eravamo più 10 fratelli e sorelle. Il
destino ha voluto così.
Noi intanto eravamo ancora in città sotto al terrore della guerra. A
bombardare non venivano di giorno, ma di notte. Di giorno venivano a
spezzonare. Io e mia sorella, una domenica che restò in città, andammo a
Messa nella chiesa della Ghiara, bellissima grande chiesa. Mentre uscivamo
a messa finita, erano circa le ore 12:30, la grande lunga strada di corso
Garibaldi era già gremita di persone. Qualcuno si fermò a salutare gli amici,
anche mia sorella ed io salutavamo gli amici, senza andare di fretta, quando
ad un tratto suona l'allarme, ma, come tante volte, non fu soltanto un avviso,
ecco sopra di noi questi grandi bolidi che sganciano gli spezzoni a grande
velocità. Mia sorella ed io eravamo tra la chiesa e i portici e, fortunatamente,
le colonne dei portici sono abbastanza larghe, ci riparammo tra quelle.
Purtroppo, fra l'allarme e l'arrivo dei bombardieri non c'era tanto tempo per
fuggire. I negozi sotto i portici erano tutti chiusi, perciò, di quelli che erano a
strada scoperta, non si è salvato nessuno. Gli spezzoni che hanno lanciato
erano in totale 80 tonnellate. I nostri amici, Paolo Sergio Sasso (22 anni) e la
Rev 26
21
Le mie memorie
sorella, come tanti altri, li abbiamo visti aggrappati al muro di fronte a noi.
Che orrore, che tragedia vedere dal vero questi momenti così toccanti.
Mia sorella ed io ci siamo sedute sui gradini della chiesa dopo aver assistito
a questo trucidare di vittime. Piangevamo, disperate, piene di paura e di
dolore, senza avere più la forza di alzarci e camminare. Siamo rimaste così,
per parecchio tempo.
Nel frattempo, arrivò, tirato da cavalli, un lungo carro di campagna, e, senza
essere protetto da qualche coperta, caricarono queste vittime come fossero
pezzi di carne da macello, uno sopra l'altro come una cupola e, mentre
questo carro camminava, il sangue sgocciolava. Che disperazione!
Uno spavento da non dimenticare mai. In quel carro non ci stavano tutte le
vittime, poi arrivarono altri carri. Le vittime erano tutte carbonizzate da non
poterle riconoscere. Ci dissero che sarebbero state portate al cimitero
grande della città. Mia sorella ed io andammo a casa, papà stava in pensiero
perché non ci vedeva arrivare. Non potevamo mangiare, ci riposammo un
po', poi andammo al cimitero, per poter vedere i nostri amici. Incominciammo
a scoprire una cassa di legno appena appoggiata, poi un'altra, un'altra
ancora, ma era troppo spaventoso e le vittime erano irriconoscibili.
Mia sorella è quasi svenuta, si è seduta a terra, io provai a scoprire qualche
altra cassa, poi anch'io dovetti fermarmi, perché mi sentivo male. I familiari di
qualcuno strillavano, una strage vera e propria. Tutte queste stragi non si
devono ripetere mai più. Si cercava di scappare da una parte o dall'altra, ma
il nostro destino era già segnato. Forse di lassù c'era qualcuno che pregava
per noi. Ripensando a quei momenti, mi chiedo come abbiamo potuto
trovare il coraggio della sopravvivenza in mezzo a tanto terrore.
Rev 26
22
Le mie memorie
L'8 settembre, mio fratello Armando arrivò a casa dalla Jugoslavia (o
Croazia) a piedi e con mezzi di fortuna. Il governo italiano cadde e tutti i
soldati scapparono dalle caserme e si diedero tutti a nascondersi sulle
montagne e nelle campagne. Armando aveva i piedi pieni di cicatrici che
sanguinavano, chissà quanto male aveva, ma non diceva mai che aveva
male. Si rifugiò dalla fidanzata, perché avevano tanti poderi con tanti posti
segreti e lì si nascondeva, quindi noi stavamo tranquilli.
Mia sorella ed io lo curammo subito, prima con acqua calda poi con vaselina
per una settimana. Quando gli guarirono i piedi, Armando si mise in bicicletta
e, arrivato a Codemondo, rimase là fino alla fine della guerra.
In quei giorni ci fu l'assalto alle caserme militari. Tante persone correvano a
portar via tutto quello che c'era dentro. Vedemmo una persona passare
davanti a casa, con una forma completa di parmigiano reggiano. Mia sorella
Umberta , un'amica (Chiarina Bedogni) ed io andammo a vedere cosa
potevamo prendere. Ma, non conoscendo la caserma, non sapevamo in
quale reparto andare. Ci trovammo in un reparto di biancheria. Prendemmo
alcuni pacchi di mutande lunghe e ci accorgemmo che erano rotte. Era il
reparto di indumenti vecchi. Così continuammo ad andare da un reparto
all'altro, finché finimmo al reparto meccanico. Ci sedemmo un po' per
riposarci e finimmo col prendere dei cacciaviti, delle pinze, ma erano troppo
pesanti. Quante risate facemmo quel giorno, a squarciagola. Ne avevamo
proprio bisogno. Fu davvero un'avventura!
Io, quando ritornavo dalla scuola, strada facendo, memorizzavo la lezione o
le poesie (così avevo più tempo per giocare nel giardino). La mamma mi
diceva"Prima studia e poi vai fuori" subito le dicevo: "Ho già studiato per la
Rev 26
23
Le mie memorie
strada". E lei diceva: "Non dire le bugie". Allora io prendevo il libro e glielo
davo da seguirmi e lei restava senza parole. Che strane strane cose fa la
memoria! Non pensavo quante cose può fare il Signore di lassù. Apre tante
porte e non rimane che scegliere la migliore.
Mentre venivo a casa dalla scuola, a volte, guardavo ai lati della strada che
fiancheggia il fiume Crostolo intorno alla città. Trovavo,mentre camminavo,
tanti quadrifogli, a volte ne facevo dei mazzetti che ho conservato nei miei
libri (oggi li ha mia figlia). Dicono che i quadrifogli portano fortuna. Nel mio
caso posso confermarlo. Se passava un'automobile, sollevava un polverone
da farmi soffocare. Le strade non erano asfaltate e dai lati c'era l'erba anche
dalla parte del fiume. I miei occhi vedevano i quadrifogli in uno sguardo solo.
Vorrei solo poter ritornare indietro ed essere spensierata, piena di speranze
per il futuro e senza pretese. Ci bastava un piccolo gelatino da pochi soldi
per essere felici e si leccava, strada facendo, fino a che si arrivava alla fine
del cornetto. Che bei tempi! C'era anche una canzone a quei tempi che si
intitolava "Canzone da due soldi" molto bella. Vi sarete accorti, dal mio
racconto, che amo molto la musica. Anch’io cantavo ed avevo una bella
voce, fino a qualche anno fa.
Quando il fiume andava in piena dalla grande pioggia che scendeva dalle
montagne, avevo un po' paura, allora mio padre mi veniva incontro, anche
perché c'erano le luci, ad ogni tanta distanza. Come pure quando veniva
l'autunno e faceva buio presto, noi uscivamo alle 4:30 da scuola. Poi, con la
nebbia fitta fitta, che non vedevi dove andavi, ad ogni tanto papà mi
chiamava, per farsi sentire, ed io rispondevo in distanza. Anche questi ricordi
Rev 26
24
Le mie memorie
sono importanti, perché, anche allora, si sentivano dei casi di uomini che
facevano brutti gesti osceni.
La scuola mi piaceva molto e imparavo tutto facilmente, grazie alla mia
memoria. Ero già alla quarta elementare e quell'anno c'era la possibilità, se
uno voleva, di dare un esame d'ammissione e la maestra ha detto alla
mamma che ero pronta per l'esame. Ciò voleva dire che, dalla quarta,
potevo andare in prima superiore, senza fare la quinta. Mi iscrissi subito per
gli esami e mi preparai bene. Il giorno dell'esame, con la mia cara amica
Anna Vignali, (che poi più tardi divenne Miss Italia, era anche molto bella)
tremavamo di paura degli esami. Io sono stata la prima ad essere chiamata.
Entrai, molto calma, mi fecero sedere, mi chiesero qualcosa, come dove
abitavo, per farmi sentire più a mio agio e poi mi fecero una domanda: "Che
cos'è l'ordine, come lo spieghi?". Attesi un attimo, per concentrarmi e risposi
con tutta la mia fermezza "L'ordine è ogni cosa al proprio posto". Si
guardarono tutti e quattro, e poi mi dissero "Vai pure!". Io pensai subito: "Non
sarò promossa". Invece fui promossa in pieno.
Nell’ autunno incominciai la prima superiore alla scuola professionale che
era molto vicino alla nostra casa. Mi piaceva molto, studiavo italiano,
francese, e amavo molto l'economia domestica, perché si imparava a fare
tutto, da mangiare, stirare e tante altre cose. Mi sono appassionata, tanto
che, alla domenica, dicevo alla mamma che volevo fare la cena. Riuscii
sempre tutto bene. Le mie amiche venivano a chiamarmi per uscire a
passeggiare in città, ma la mamma diceva: "Non credo che voglia uscire, stà
in cucina". Penso di aver proprio espresso la mia passione per la cucina a
quei tempi: avevo 11 anni.
Rev 26
25
Le mie memorie
Amavo tutte le professoresse ed erano molto severe. Io studiavo senza
fatica. Ero anche molto brava nella ginnastica; quando si trattava di correre,
ero sempre tra le prime o seconde. Alla seconda superiore, la mia
professoressa d'italiano (signorina Greco) mi chiese se volessi partecipare al
concorso di recitazione che si sarebbe tenuto all’Ariosto, il secondo grande
teatro della città. Mi disse pure "C'è anche un premio di 5.000 lire, più la
cassettina di risparmio della banca". Accettai volentieri, sapendo che se la
professoressa d'italiano me lo consigliava, aveva fiducia in me. Mi preparai
bene, come mi ha sempre insegnato, con tanti segreti della recitazione. Mi
disse "Studia bene la poesia del Carducci e sono sicura di te". Fui chiamata
terza a recitare. Questa era la poesia: "Pianto antico" di Giosuè Carducci.
L'albero a cui tendevi
la pargoletta mano,
il verde melograno
da' bei vermigli fior,
nel muto orto solingo
rinverdì tutto or ora,
e giugno lo ristora
di luce e di calor.
Tu fior de la mia pianta
percossa e inaridita,
tu de l'inutil vita
estremo unico fior,
sei ne la terra fredda,
sei ne la terra negra
né il sol più ti rallegra
né ti risveglia amor.
Ho preso il primo premio e tanti applausi dal pubblico. Uscii dal palco, dopo
Rev 26
26
Le mie memorie
qualche attimo, ritornai indietro e tanti applausi ancora e mi diedero la
cassettina ed un certificato che, con l'andare avanti indietro con gli
sfollamenti, si è perduto non so come. Queste occasioni erano belle e mi
davano sempre più la motivazione di studiare.
Ho sempre studiato con tanta passione e mi hanno sempre detto che, delle
sei sorelle, ero la più tenace per raggiungere quello che mi proponevo di
fare. Oggi sono molto contenta di lasciare ai miei figli quest'eredità di
costanza e coraggio, con la speranza che sia per loro un incitamento a
raggiungere tutto quello che vogliono nella loro vita.
Finii la scuola superiore nel 1937-38, e, durante l'estate, mi mandarono a
fare la bambinaia a Bologna per la signora Magda Spagni (lei veniva da
famiglia ricca, il marito era siciliano, si chiamava Valenti, lei non era una
bellezza, lui invece era alto coi baffi, più bello). La piccola bambina aveva un
anno e mezzo, si chiamava Rosalia. La signora aspettava il secondo
bambino, poi è nata però un'altra bambina (mi sfugge il nome). Andavo tutti i
giorni al giardino, che si chiamava Saragozza. L'altro grande giardino si
chiamava la Montagnola perché era situato un po' più in alto della stazione
centrale di Bologna.
Percorrevo la via Ugo Bassi, dove abitavano i signori al numero 11, e poi via
Indipendenza fino alla stazione e andavo un po' su, ai giardini.
Spingevo la carrozzella un po' e, a una certa ora stabilita, ritornavo.
Mi regalarono un bellissimo orologio d'argento perché io non l'avevo.
Mi alzavo, mi lavavo, mi vestivo, davo la colazione alla bambina, poi
mangiavo io il caffelatte. Vestivo la piccolina con i vestiti che la signora mi
preparava e uscivo ai giardini.
Rev 26
27
Le mie memorie
Avevano la donna di servizio, che si chiamava Adele ed era di Parma. Lei
pensava a fare le pulizie e il mangiare. Era un po' anziana, ma io l'aiutavo,
facevo i piatti, li asciugavo, insomma l'ho aiutata tanto e seguivo come
cucinava. Era molto brava, vedevo quando faceva le lasagne verdi. È stata
una buona esperienza per me nella mia crescita. Avevo solo 13 anni. Ho
fatto quello per tre anni. Poi continuai la scuola. Durante l'estate, stavo a
Bologna ed avevo due bambine da guardare. Una sulla carrozzella e l'altra
stretta alla mia mano. Ero molto responsabile di quello che facevo. Mi
sedevo su una panchina all'ombra del giardino, allora erano molto puliti e
belli. A volte, veniva la signora a piedi, poi ritornava con me. Quello è ciò che
feci per diverse estati. Nell'estate si andava anche sulle montagne del
modenese (Pavullo del Frignano) per tre mesi. Era molto bello, con tanto
verde, tante pinete, si stava molto bene. La signora mi voleva bene e mi
faceva fare dalla sarta tanti bei vestiti su misura. Ho tante fotografie come
ricordi.
Nella primavera del 1940, a giugno, ero già andata a Bologna per l'estate, le
scuole erano finite, quando alla radio c'era il discorso di Mussolini che
dichiarava la guerra alla Russia. Tutto un movimento di persone, perché la
guerra non è una cosa molto bella, perciò tutti a preoccuparci di cosa
sarebbe successo. Durante l'estate hanno incominciato le sirene di pericolo
e si doveva correre al di sotto dei palazzi come rifugio. Allora avevo proprio
paura. Quindi i miei genitori mi pregarono di ritornare subito a casa col treno.
Mi sono scusata e sono partita. Arrivata a casa ero felice. Quando, un
giorno, la signora Magda Spagni venne a casa in macchina e parlò con i miei
genitori e chiese se potevo andare con loro nella sua villa paterna in
Rev 26
28
Le mie memorie
campagna, villa Sesso, in provincia di Reggio Emilia. Fui di nuovo con loro,
ma stavo molto bene, quindi trascorsi un altro po' di tempo con loro, ma poi
dovevo studiare e non potei più.
La guerra ormai si faceva sentire bene. Tutto razionato: pane, pasta, olio,
zucchero e via, via quasi ogni cosa. Finii la scuola nel 1942 ma poi il pericolo
si faceva sentire tutte le sere. Si correva a destra e a sinistra, in mezzo ai
campi e si ritornava a casa. Dopo un'ora, di nuovo le sirene e via a scappare
di nuovo nei campi; cessavano le sirene e si ritornava a casa.
Nel 1942 suonò l'allarme e noi tutti a correre nel nostro rifugio che papà
aveva costruito e coperto con le traversine di legno della ferrovia poi coperto
di terra e seminato l'erba sopra. Papà diceva "Sbrigatevi e correte nel rifugio
perché, con le luci dei Bengala, si vede come di giorno". Tutti lì sotto ed
ecco, pian piano si sentivano questi grandi bolidi che arrivavano e diceva
"State lì sotto, ci guardo io quando arrivano, se gettano le bombe prima di
essere sopra di noi, allora saremmo stati in pericolo, ma quando arrivano
sopra noi il pericolo è passato". Il nostro cagnolino Boby si fece pipì addosso
e tremava tanto, poverino. Noi pensavamo alla povera gente che era stata
colpita. Questo è stato il primo bombardamento del 1942.
Papà diceva che loro nella guerra del 1915-18 si nascondevano nelle
trincee, (che poi erano dei grandi fossi profondi) per difendersi dalle schegge
dei fucili. Allora non esistevano i bombardamenti e perciò neanche lui
conosceva questo. Papà è stato decorato al valor militare tre volte, con tre
medaglie: una croce e due medaglie con un nastro grande due dita e lungo,
di colore rosso blu e giallo e che reggeva le medaglie, che lui aveva messo
Rev 26
29
Le mie memorie
in un quadro col vetro. Però, che fine hanno fatto non si sa.
La guerra continuava a farsi sentire con bombardamenti a Reggio Emilia,
Modena, Bologna. Pensavamo proprio di non riuscire a sopravvivere. Per
cinque anni, quando suonava l'allarme, si scappava in una stalla del
contadino, quando era inverno. All'inizio dei bombardamenti, quasi tutte le
sere, si scappava. Ricordo che ognuno aveva un compito di cosa portare
con sé: mio fratello Ermanno era sempre il primo in bicicletta e con sé
portava alcune cose, io portavo le mie nuove scarpe e il pane, mia sorella
Umberta il prosciutto. Insomma, chi aveva i bigodini nei capelli, chi la crema
che si chiamava Biancardi, e quando entravamo nella stalla, ci chiamavamo
mascherine.
Una notte, non abbiamo fatto in tempo a correre nella stalla e ci
nascondemmo nei campi. Ad un bel momento si sentirono gli aerei arrivare e
vedemmo le bombe cadere a grappoli. Hanno centrato la ferrovia, di
conseguenza la casa dei contadini e la stalla si salvarano dal
bombardamento. Il giorno dopo, sapemmo tutto ciò che era successo e
dove. Noi, in mezzo ai campi, sentivamo come un terremoto ed eravamo
molto vicini. Una paura che non si può dimenticare. Ci chiedevamo "Come
mai noi siamo stati salvati da quelle bombe?". I buchi lasciati dalle bombe
erano tanto grandi che hanno deviato il fiume chiamato Crostolo che gira
tutto intorno alla città.
Quanti terribili episodi di guerra abbiamo trascorsi in quei cinque anni! Ma
ridavano sempre il coraggio di continuare a vivere. Il giorno dopo sfollammo
tutti dalla città. Ci trasferimmo fuori, in campagna, a 23 km di distanza, con
Rev 26
30
Le mie memorie
dei nostri amici e parenti. Restammo là fino alla fine della guerra, le mie
sorelle Tina e Valentina (la mamma di Luciano) ed io. Ogni volta che
passava un aeroplano, il bimbo diceva "Zie, pregate" e si aggrappava,
tremando. Questo fu per lui un grande trauma che è durato per tanto tempo,
prima che ritornasse alla vita normale.
Intanto venne il 25 luglio del 1943 ed in quell’occasione tutti i soldati
scapparono ed i rastrellamenti antifascisti cominciarono. Una sera, mentre
noi tutti ed i contadini eravamo nella stalla, entrarono due uomini, camuffati
per non farsi riconoscere, e chiesero di mio fratello Ermanno. Lo presero e lo
portarono alla Veggia, un paese vicino a 4 o 5 kilometri di distanza, Lo
consegnarono ai tedeschi, lo interrogarono e, verso mezzanotte, lo
lasciarono libero di ritornare a casa sua. Siccome c’era il coprifuoco, come
parola d’ordine, gli ordinarono di cantare fino all’arrivo a casa. Figuriamoci
come si poteva sentire un ragazzo di 16 anni. Cantò sino a casa. Noi, ogni
tanto, si usciva dalla stalla per vedere se arrivasse. Ad un tratto, si sentì, in
lontananza, la sua voce che cantava arie di opere. Solo, in mezzo a tanto
spavento, non si fermava di cantare, perche temeva che, se si fosse
fermato, avrebbero potuto pensare che fosse un partigiano. Che
trepidazione nei nostri cuori! Finalmente, dopo la mezzanotte, arrivò
tremando di paura. Ritornammo alla nostra vita.
Col bombardamento, le mie sorelle, Umberta, Tina e Valentina, perdettero il
posto di lavoro, perché lavoravano come analiste chimiche alla fabbrica
bombardata. Quindi, bisognava che qualcuno lavorasse, i nostri fratelli erano
militari in posti di guerra e noi ci dovevamo preoccupare di come vivere.
Chiedemmo ai contadini che cosa potessimo fare per loro, e, ben presto,
Rev 26
31
Le mie memorie
imparammo a girare sottosopra il fieno per farlo seccare per l’inverno. In
cambio ci davano pane ed altri generi alimentari. Mia sorella Tina era
abilissima a fare il pane a due mani. Aiutava quindi i contadini che ci davano
in cambio il pane. Io trovai un posto di lavoro come impiegata al municipio
della città di Reggio Emilia. Un giorno, mi presentai e chiesi di lavorare. Mi
intervistarono per scoprire cosa sapessi fare. Per prova mi chiesero di
scrivere qualche nome da una lista che mi avevano dato. Videro la sveltezza
con cui scrivevo ed ebbi il posto di lavoro assicurato sino alla fine della
guerra. Andavo in ufficio ogni mattina in bicicletta e ritornavo alla sera
stanchissima. Il mio lavoro consisteva nello scrivere, ogni mese, per ogni
membro di ogni famiglia, un cartellino che conteneva tanti bollini per ottenere
i generi razionati. Dato che ero svelta a scrivere, per me non era un
problema. Conobbi così tante care amiche. Andavamo a ballare assieme
dopo la guerra.
Le mie sorelle erano molto brave nel fare le maglie con gli aghi e
intrapresero quel lavoro come una professione. C’era chi pagava in denaro e
chi con generi alimentari. Erano tutti contadini ed erano pieni di ogni cosa.
Intanto si riusciva a vivere. Mio padre non aveva paura e rimase a casa in
città. Qualche volta restavo anch'io, però dormivo con i vicini di casa perché
la nostra casa era vuota e non c'era un letto per me.
Tutte le sere passava in ricognizione un aeroplano che tutti chiamavano
Pippo e ogni tanto gettava uno spezzone. Una notte, questo Pippo ne gettò
uno così vicino che ci fece saltare giù dal letto. Vetri rotti, finestre
spalancate, confusi, non sapevamo dove fosse la porta per uscire.
Potemmo finalmente uscire e scappammo nella campagna. Poi, non
Rev 26
32
Le mie memorie
sentendo più nulla, ritornammo a casa a dormire. Ignoravamo dove lo
spezzone dosse caduto. Ma, ahimè, al mattino scoprimmo che era nel nostro
giardino.
E intanto passavano i giorni, i mesi e si era sempre pronti a scappare,
quando suonava l'allarme. Non si dormiva tanto e non si mangiava tanto, ma
si doveva continuare a vivere. Mio fratello Armando si sposò nel 1943.
Nacque un bel maschietto di nome Silvio. Un giorno, portò il piccolino dal
medico ed era già notte alle sei di sera, col coprifuoco non si poteva andare.
Ma quella sera suonò l'allarme come sempre e Reggio Emilia fu di nuovo
sotto al bombardamento. Mio fratello, mia sorella Umberta, la Tina ed io,
andammo a piedi con il piccolino nella culla sulla bicicletta. Si sentì arrivare
una grande flotta di aerei ed erano tanti. Noi ci nascondemmo in un fosso
lungo la strada e c'era la neve! Mio fratello diceva “Non vi muovete, state
fermi. Se ci vedono, gettano gli spezzoni”. Ma poi, in pochi minuti, si
incominciarono a sentire i bombardamenti verso Modena e Bologna. Che
strage! Ne gettarono anche a Reggio città e il giorno dopo si seppe tutto
quello che era successo.
I fascisti cominciarono a rastrellare i soldati disertori e partigiani. Era già
dicembre 1943 quando presero i sette fratelli Cervi e il padre a Gattatico di
Reggio Emilia. Li portarono via, uccisero a Reggio città i sette fratelli e li
seppellirono e nessuno sapeva dove. Col bombardamento del 7 e 8 gennaio
1944, le bombe caddero vicino a dove i cadaveri furono sepolti e questi si
scoprirono tutti. Hanno riconosciuto gli indumenti e il numero dei corpi, così li
hanno potuti seppellire con dignità a Gattatico dove sono nati. Io facevo
sempre quella strada in bicicletta, sera e mattina. Il giorno dopo il
Rev 26
33
Le mie memorie
bombardamento, passai per andare in ufficio e vedevo tanta gente. I fascisti
e i tedeschi cercavano di disperdere le persone per andare via. Io dovevo
passare con la bicicletta ma loro strillavano "Via, via". Allora presi la
bicicletta e la portai a mano e vidi tutti i cadaveri messi in fila, l’uno vicino
all'altro. Che spavento, vedere i sette fratelli, tutti pieni di terra che non si
riconoscevano più, fucilati al cuore e al viso, neanche un animale si uccide in
quel modo, una vera carneficina, tanta violenza e cattiveria spietata. Arrivai
in ufficio tardi e mi dissero "Cosa ti è successo? Sei bianca come la neve".
Ma, spiegare le emozioni che si provano in quei momenti è cosa difficile,
perché la vita, la vita vera, quella vissuta, ricordarla minuto per minuto fa
molto male ancora, a distanza di tanti anni. Le aggressività della guerra sono
state tante, bisognava solo essere pronti, in grado di superare ogni avversità
che si presentava e a tutto questo non potevamo farci nulla, se non
accettare ciò che il destino ci ha preparato.
Maria, l’ultima discendente della famiglia Cervi, ha lavorato tanto per far sì
che la memoria del nonno Alcide Cervi, del suo papà Antenore, anni 39 e
degli zii Ettore, 22 anni, Ovidio, 25 anni, Agostino, 21 anni, Ferdinando, 32
anni, Aldo, 34 anni,Gelindo, 42 anni, resti per sempre, a perenne ricordo per
le generazioni future, della strage più atroce di questa spietata guerra del
1940-45. È stato eretto un museo in loro onore, come simbolo di una
famiglia dell'antifascismo. A Maria, l'ultima erede diretta della famiglia di
Alcide Cervi, è toccato il duro compito di organizzare molte associazioni ed
enti, dando vita all'istituto nazionale "Alcide Cervi", alla biblioteca Sereni e a
un museo mondiale, capace di affrontare le sfide comunicative del nuovo
millennio. Parliamo di Maria: piena di coraggio, di un'intelligenza
Rev 26
34
Le mie memorie
straordinaria e con molta determinazione per portare a termine tutto questo
straordinario lavoro, per far sì che la memoria di tutti i suoi cari che hanno
dato la loro vita non sia mai dimenticata.
Ecco un altro terribile episodio accaduto a me, ancora chiaro nella mia
memoria. Era verso la fine del 1944, andavo con la bicicletta a casa, a
Codemondo, dove mio fratello abitava e uno dei loro contadini ci diede una
stanza. Eravamo più vicini, a 4 o 5 km dalla città. Portavo la spesa con me,
quando incontrai una colonna di soldati tedeschi con cavalli, jeep militari che
si dirigevano verso la città, mentre io mi dirigevo per uscire dalla città, questo
non l’ho mai capito. In ogni modo, ad un tratto, si sentiva rumore di aerei che
arrivavano. I tedeschi strillavano e scappavano attraverso i campi lasciando i
cavalli e le camionette per strada. Quando mi accorsi, scappai pure io,
lasciando la bicicletta e la spesa abbandonata e di corsa attraversai i campi
per cercare rifugio, ma poi mi fermai vicino ad un albero perché
spezzonavano, non gettavano bombe. Io mi riparai con questo albero e
pensavo "Basta che mi copra la testa e il cuore, sarò già soddisfatta".
Cercavo di stringere le spalle per ripararmi meglio, ma l'albero non mi
copriva
completamente.
Riparata
da
quest’albero,
assistevo
allo
spezzonamento sui cavalli, tutti trucidati come anche tanti uomini.
Dopo, finita quest'ondata di terrore, non potevo più muovermi.
Restai lì, ferma, abbracciata a quell'albero, finché uno dei contadini venne a
prendermi e mi portò dentro casa, dove erano rifugiate tante altre persone.
Io ero disfatta dalla paura e da quello che avevo visto, il risultato di tanta
aggressione militare. Non so proprio come mi sia salvata anche quella volta.
Ma i contadini, molto gentili, mi dicevano "Si fermi per dormire, ci sono altre
Rev 26
35
Le mie memorie
persone". Dopo essermi ripresa un po', mi presero la bicicletta e la spesa e
mi dissero che non si poteva andare perché la strada era tutta piena di
cavalli squarciati e di soldati uccisi e non si poteva passare. Allora non
c'erano i telefonini come oggi. Decisi di restare, erano le cinque del
pomeriggio, ma era la fine di ottobre e ancora le foglie non erano cadute, per
fortuna. Al mattino, ripresi per andare a casa, ma solo il pensiero di dover
attraversare la strada ancora piena di sangue mi tormentava.
Il primo grande bombardamento avvenne il 7-8 gennaio 1943 nella nostra
città di Reggio Emilia, dove avevamo la più grande fabbrica di aerei che fu
distrutta completamente. È stato davvero disastroso. Hanno gettato tante di
quelle bombe ed hanno continuato a mandare tante flotte di aerei. Una
passava ed un'altra arrivava, insomma le luci dei Bengala erano sempre in
funzione. Quando gettavano le bombe, dietro all'aereo, usciva un fuoco da
fare spavento. Si continuava a piangere e a pregare, ormai c'eravamo
rassegnati al destino. A vedere questi grappoli di bombe, eravamo davvero
terrorizzati. Vedemmo tanti aeroplani così grossi e, sempre in continuazione,
a gettare bombe per alcune ore, così che non si poteva più sopportare, il
cuore batteva sempre più forte. Quanti brutti momenti!
Finito il bombardamento c'era un grande silenzio. Tutti nelle strade a
pensare "Dove saranno cadute tutte quelle bombe?" e aspettare che
qualcuno ci portasse notizie. Erano le nove di sera quando un vigile del
fuoco, vicino di casa, arrivò e disse "È tutto raso al suolo, non si vede
muoversi nessuno". Mia sorella Valentina, con il bambino di sei anni,
abitavano proprio vicino alla fabbrica. Ci ha preso una crisi terribile, le
persone cercavano di calmarci, ma è impossibile credere a tutta questa
Rev 26
36
Le mie memorie
violenza di guerra.
In quella zona, tutte le case erano a terra e le persone che hanno provato a
scappare erano state tutte uccise dalle grandi bombe gettate e non si salvò
nessuno. Una carneficina che non si può descrivere. Eravamo ancora fuori,
con tante persone, quando ad un tratto, si vide l'ombra di una bicicletta
arrivare, ma le persone, prima di noi, nelle loro case, strillavano "È Valentina
con il bambino". Ma finché non arrivarono vicino, non potevamo credere. Ma
erano proprio loro, tutti coperti di calce e polvere. Non parlavano, solo
piangevano e tremavano, non potevano credere di essere vivi. Il nostro
cuore non reggeva più. Valentina, dopo essersi cambiata lei e il bambino, ci
raccontò che il loro palazzo era rimasto metà in piedi. In quella metà il bimbo
si era attaccato alle scale e pregava la mamma di fermarsi, di non uscire. E
Valentina disse al figlio "Visto che non ti vuoi staccare dalle scale, allora vuol
dire che stiamo qui abbracciati, e, se il nostro destino è di morire, stiamo
insieme". Così si sono salvati, perché il piccolo teneva le scale tanto strette
che la mamma non lo poteva staccare.
Questo si può chiamare miracolo. Il bambino, al 3 di febbraio, che era San
Luciano nel calendario, compiva sei anni. Immaginate di essere in un
palazzo: una bomba cade, fa cadere una metà della casa e all'altra metà
stava attaccato un bimbo con la sua mamma... non era loro destino di finire
la loro vita ma di vivere ancor oggi. Ma non si sa cos'abbiano potuto provare
in quegli attimi così spaventosi e come si siano salvati. È stato come aver
fatto un brutto sogno e poi svegliarsi, toccare terra come fosse stato un
miracolo. Ma lo è stato davvero. Quelle strade, piene di persone uccise
mentre cercavano di salvarsi...
Rev 26
37
Le mie memorie
Cosa si poteva immaginare di questa scatenata guerra. Il grande dolore
causato in quegli anni è impensabile. Impossibile, anche se si volesse,
raccontare quegli atroci momenti dei quali anch'io fui personalmente
testimone, al punto di non credere che, finita quest'atrocità, io potessi
uscirne viva. Ma poi, con un profondo sospiro, guardando il cielo, trovarmi a
pregare e a continuare la vita di tutti i giorni, sperando che domani fosse un
altro giorno migliore. Non c'era più tranquillità nella nostra vita, si dormiva
vestiti tante volte, per fare prima a scappare quando suonava l'allarme. Tutte
le notti c'era quest’aereo, chiamato Pippo, che andava avanti e indietro e
non si dormiva.
La speranza di vedere la fine di questa guerra venne i primi giorni del 1945,
allorché si vedevano i tedeschi concentrarsi verso la città, lasciando le
campagne.
Una notte, ai primi di aprile, noi stavamo dormendo, io ero dai vicini, mio
padre era nella nostra casa che era vicina: c'erano tre villette, l’una vicino
all'altra, ma staccate. Non esistevano allora le case a schiera. Ma tutto ad un
tratto si sentirono dei passi intorno alla casa, poi con i fucili, bussarono
contro la porta e parlavano in tedesco, che noi non capivamo. Il figlio dei
vicini ci diceva di non parlare, ma poi, ad un momento, provarono a rompere
la porta. La mamma di questo vicino, che si chiamava Irma, pregava il figlio
di aprire "altrimenti ci uccidono". Allora lui ha risposto ai tedeschi in italiano e
diceva "Apro subito". Noi dormivamo, con i materassi a terra, in cucina, al
pianterreno. Le stanze erano di sopra. Noi, Chiarina, la Rosa, mia sorella
Umberta ed io, ci siamo tutte spettinate, così sembravamo vecchie e brutte. I
Rev 26
38
Le mie memorie
tedeschi hanno preso il figlio e volevano della paglia da mettere per terra
nella nostra casa che era vuota. Con lui, sono andati a casa dei contadini
che si chiamavano Rinaldini. Anche loro non volevano aprire. Allora ha
strillato "Sono Amos Bedogni, se non ci aprite ci ammazzano tutti. Vogliono
solo della paglia per dormire ". Aprirono anche loro la porta e i tedeschi
parlavano, parlavano, ma nessuno li capiva. Hanno preso un carretto, e
caricato paglia e fieno per i cavalli. Già si sentiva un viavai di tanti uomini. In
casa nostra c'era mio padre, l'hanno fatto uscire ed hanno messo in cucina il
comando generale di comunicazione con una grande radio, nella sala da
pranzo la paglia e i cavalli per nasconderli e su nelle camere la paglia per
loro. Insomma, quando mio padre è venuto alla casa dei vicini, ci raccontò
tutto questo, dicendo che per lui questi soldati erano in ritirata.
Il giorno dopo, trovarono le galline nel pollaio e di fronte a tutti noi le presero,
le misero tra le ginocchia e gli tagliarono il collo. Queste erano quelle della
signora Irma. Noi a piangere e ci dissero di cuocerle e fare il brodo. La
signora Irma ha fatto la sfoglia, cotto i polli, e poi noi tutti a guardare loro
mangiare a tavola con piatti e posate. Sono restati lì per una settimana.
Ogni tanto si sentiva qualcosa passare sopra la nostra testa. Mio padre
disse "Non durerà tanto a lungo perché queste sono le raffiche delle
mitragliatrici che tirano gli americani". Alla radio che avevano, con le finestre
aperte di casa nostra, si sentiva "Santo Pietro, Santo Pietro": era la porta
della città di Reggio. Reggio Emilia ha quattro porte che consistono in porta
Santo Stefano ovest, San Pietro est, Santa Croce sud, porta Castello nord.
Allora mio padre diceva "Fra poco se ne andranno tutti". Questi non
sparavano, stavano solo a dare notizie.
Rev 26
39
Le mie memorie
Non si dormiva più dalla paura. Di notte stavamo dentro ai nostri rifugi
perché ogni villetta aveva il rifugio. Sono passati alcuni giorni e una notte
abbiamo sentito muoversi i cavalli e tutta la loro roba. Ma fuori, continuavano
ad arrivare tanti proiettili, ed era molto pericoloso. Mio padre disse "È ora
che ce ne stiamo dentro al rifugio perché diventa sempre più pericoloso
girare fuori". Avevamo pochissime cose da mangiare ed eravamo anche noi
alla fine delle nostre forze. Stavamo là sotto, al buio, di notte e di giorno ci si
vedeva con la luce del giorno. Quando, una notte, vedemmo entrare dentro
al rifugio uno di quei tedeschi. Era un soldato giovane, con una grande pila.
Ci ha guardato tutti sotto le panchine, noi abbiamo pensato "Ora ci ammazza
tutti". Invece questo giovane era bravo, non ci ha fatto niente. Forse ha solo
controllato se ci fosse qualche soldato nascosto per salvarsi. Poi, non si
sentì più nessun rumore. Ce ne stavamo sotto, zitti e fermi, ma gli uomini,
nostri vicini di casa chiedevano "Avete qualcosa di bianco che possiamo
attaccare ad un bastone e provare ad uscire e vedere cosa succede?". Andò
fuori uno di loro, ma non ritornava indietro, poi andò un secondo, ritornò
dicendo "Non ci sono più i tedeschi, sono andati via tutti". Era verso le
cinque del mattino. Ci dissero "Potete uscire, non c'è anima viva".
Uscimmo tutti, e vedere le nostre case conciate in quello stato, era
veramente struggente. Io avevo un bel vestitino con fiorellini e il collettino di
organza rosa come pure intorno alle maniche corte: tutto distrutto a pezzi. Ci
dissero "L'avranno usato per bendare i piedi perché erano finite tutte le
scorte per i soldati". Mentre eravamo tutti fuori dai rifugi, si sentivano in
lontananza delle voci che si avvicinavano a noi e, pian piano, si sentivano
cantare. I nostri uomini stavano attenti, per sapere chi fossero, e vedemmo
Rev 26
40
Le mie memorie
avvicinarsi questo grande gruppo di uomini, con il fucile a tracolla e un
fazzoletto rosso al collo. Qualcuno ha detto "Sono i partigiani, sono i
partigiani!". Arrivati vicino alle nostre case, si sentivano sparare verso di noi
delle artiglierie. I partigiani s’imboscarono nella siepe ai lati della strada e ci
dissero "Ritornate dentro casa perché sono i fascisti che sparano". Dopo un
po' di tempo si sentiva ancora sparare, poi un silenzio e ci hanno detto che
hanno sparato ai fascisti e sono stati uccisi.
Sono rimasti un paio di giorni in riva al Crostolo, il fiume che passava proprio
nella nostra zona. Forse sono stati gli americani che hanno sparato ai
fascisti, perché poco dopo si sono viste le jeep americane arrivare. Erano
parecchie ed essi si fermarono a parlare con noi e a chiederci se tutto era
ok, di non avere paura perché "Tutto finito", ci dicevano, e ci allungavano del
cioccolato, gomme, biscotti, tutto in pacchettini come davano ai loro soldati.
Ma noi eravamo un po' diffidenti a prendere quelle cose (se fossero
avvelenate? Avevamo paura). Ma loro aprivano un pacchetto e lo
mangiavano prima loro per farci capire che era tutto buono. Allora, dalla
fame, abbiamo accettato tutto quel che ci offrivano, anche il caffè e tante
altre cose. Andammo nel giardino, prendemmo dei fiori e glieli offrimmo, e
loro, felici, li presero e dicevano "Thank you, thank you".
La felicità più grossa della nostra vita. Ci mettemmo subito a pulire casa,
tutte le forchette erano piegate dalla parte dove si mangia, come quando una
persona fa le corna con le mani. Tutta la roba di casa era stracciata, si
vedeva proprio che si bendavano i piedi. A questo punto, pensavo a mio
fratello che è rimasto disperso in Russia, e questi soldati, anche loro, non
avevano nessuna colpa, la guerra non l'hanno creata loro, ma i capi come
Rev 26
41
Le mie memorie
Mussolini e Hitler. E chi ci ha rimesso la vita sono stati i giovani dei paesi
che hanno aderito al patto di guerra.
La guerra è finita in tutta l'Italia il 25 aprile 1945. Quando cominciò, nel 1940,
io avevo sedici anni, i più begli anni di gioventù. In quel tempo pensavo solo
a come sarebbe stato il mio futuro e a cosa avrei potuto fare nella vita, Non
avrei mai pensato che la guerra fosse così terribile. Ma ringrazio ogni giorno
il Signore per avermi dato tutto questo coraggio e per avermi anche protetta
dal peggio. Quando la guerra finì, avevo compiuto il mio ventunesimo anno,
l’anno della maturità e dell’età adulta. Quante esperienze ho fatto in 5 anni di
guerra! Da bambina, sono diventata donna, senza accorgermi d’essere
cresciuta.
Il 25 aprile ci siamo lavate e vestite e, come tutti, in città per la grande festa!
Tutti sulle grandi piazze, musica dappertutto, insomma non potevamo
proprio credere ai nostri occhi. Pian piano abbiamo rimesso la casa a posto.
Il resto della famiglia ritornò a casa con tutta la nostra mobilia e tutto il resto.
Io ero l'unica persona che lavorava e poi mio fratello Ermanno trovò lavoro
alla posta centrale della città. Mio fratello Danilo ha trovato un lavoro nella
piazza dove vendevano il pesce. Tutti lavori provvisori, ma intanto, si poteva
riprenderci un po'. Mia sorella Umberta e mia sorella Tina stavano in casa ad
aiutare la mamma, mia sorella Mara faceva la scuola di taglio modelli, ma
insomma, il brutto era finito: la guerra non c'era più sopra di noi. Avevamo
tanto bisogno di dormire e c'è voluto molto tempo per riprendere la vita
normale. Soprattutto, si rivedeva il pane e pian piano tutto il resto che ci
serviva e che c'è mancato per tanto tempo. Il papà ha continuato sempre a
Rev 26
42
Le mie memorie
seminare le verdure dell'orto e d’innestare il frutteto. La mamma lo aiutava e
ben presto tutto era pronto per raccogliere frutta e verdura.
Io finii di lavorare al municipio, perché non c'era più il tesseramento, quindi,
qualche giorno a casa, poi un mattino dissi alle mie sorelle "Oggi vado in
città a parlare col Prefetto". Loro mi dissero "Ma che cosa ti viene in
mente?". Ma io risposi "Lo saprete quando ritornerò a casa". Detto fatto, mi
trovo davanti all'ufficio del Prefetto. La persona che stava fuori dalla porta
con il tavolo mi disse "Cosa vuole signorina?". Io risposi "Vorrei parlare al
Prefetto". Mentre questo stava per dirmi "Dica a me quello che vuole dal
Prefetto", ecco che il Prefetto apre la porta per accompagnare fuori un
signore e mi chiese "Signorina, ha bisogno di me?". Risposi subito" Se non è
troppo disturbo, mi farebbe piacere". Mi ha fatto accomodare davanti al suo
grande tavolo e mi chiese la ragione. Gli spiegai la mia situazione familiare e
gli dissi "Un fratello è disperso in Russia e gli altri due sono piccoli, le sorelle
hanno perduto il lavoro col bombardamento, insomma, ho bisogno di
lavorare per poter vivere". Ad un bel momento piangevo e mi vergognavo, ho
chiesto scusa. Lui si è alzato dal suo tavolo e mi ha detto "Stia tranquilla che
me ne occuperò subito". Era quasi mezzogiorno. Lo salutai, mi accompagnò
alla porta e me ne andai a casa.
Quando, mentre pranzavamo, ho raccontato alle mie sorelle quello che
avevo fatto, dicevano "Ma i grandi capi sono tutti uguali: ascoltano e poi più
nulla". Sbrigammo le nostre faccende di casa quando sentimmo suonare alla
porta. Nientemeno che l'autista del direttore dell'Ispettorato Provinciale di
Agricoltura e Foreste. "Il direttore mi ha mandato a prenderla per venire a
parlare con lui". Ma quest'autista sorrideva, forse sapeva qualcosa. Andai
Rev 26
43
Le mie memorie
con lui. Il direttore mi ricevette subito, molto gentile, mi chiese le mie
referenze e gliele spiegai bene. Sorrideva e mi disse "Allora quando ci sono
le conferenze lei può fare subito il discorso scritto in poco tempo?". Io risposi
"Sì, proprio così". "Allora, se vuole restare anche oggi pomeriggio, giacché è
qui".
Così ero la più piccola del gruppo in ufficio e tutti mi volevano bene. Molte
volte, specie quando pioveva, il direttore mi faceva andare con lui, poi
scendeva alla sua casa e l'autista mi portava a casa (perché abitava vicino a
me) e mi riprendeva al pomeriggio, mi lasciava in ufficio e andava a
prendere il direttore. Più fortuna di così non si può chiedere.
Ho ripreso a vivere dopo tanto soffrire. Non ho mai avuto difficoltà ad
ambientarmi dovunque fossi andata. Tutta la sofferenza che ho passato mi è
stata ricompensata nel modo più grande! Sono sempre stata disciplinata
negli impegni che mi davano, sempre in orario e in quel modo ho trascorso
tanti begli anni lavorando ed aiutando la famiglia, ricompensando i miei
fratelli e sorelle per quello che avevano fatto per me per farmi studiare.
Quando si andava al mare, dopo la guerra, mio fratello Ermanno andava a
cantare nei migliori locali da ballo e stipulava con i padroni che potessero
entrare le sorelle e così ci siamo sempre divertite come faceva nostro fratello
Nello. È una cosa che si tramanda proprio di generazione in generazione e
si è ripetuta: i nostri fratelli ci hanno sempre protette proprio con lo stesso
bene.
Ero felice e mi divertivo con le mie sorelle, andavamo a ballare molto spesso
e tornavamo a casa a raccontare alla mamma e ai fratelli tutto il nostro bel
Rev 26
44
Le mie memorie
tempo. Poi c'erano i corteggiatori per ballare e per accompagnarci a casa.
Nulla di male per chi ci voleva accompagnare perché eravamo sempre tutti
assieme. A me piaceva moltissimo ballare. Si ballava anche al pomeriggio e
io non mancavo un solo ballo. Quando qualcuno mi veniva a chiedere di
ballare, se non mi piaceva dicevo "Ho già promesso". Così ballavo solo con
chi volevo. Non ballavo con i soldati americani, ma le mie amiche sì, e
facevano le civette con loro. La mia mamma diceva sempre "Non fermatevi
con i soldati, perché oggi sono qui e domani partono e forse sono sposati,
perciò stategli lontano”.
Io feci i corsi per portare lo scooter Lambretta, poi un altro scooter, il
Galletto; insomma, ero sempre pronta ad imparare ogni cosa. Mio fratello
Armando commerciava automobili nuove e usate, allora un giorno presi
un'automobile e andai a trovare delle mie amiche, non tanto lontano da casa
e quando ritornai, mio fratello mi aspettava, ma non mi disse nient’altro che
"Adesso vieni con me prima che mi metti nei guai". Mi portò alla scuola
guida. Feci il corso di teoria e guida. Fui promossa a gonfie vele. Mi
sembrava che il mondo fosse tutto mio. Ero l'unica delle mie sorelle a
guidare la macchina, parliamo degli anni 40. Erano poche le donne che
guidavano a quei tempi. Oggi sono contenta di averlo fatto. Mio fratello era
tutto orgoglioso di me. Quando aveva bisogno di scrivere certi documenti o
altro, io ero la sua segretaria.
Nell'ufficio dell'avvocato Dino Felisetti, che funzionava per la Confederterra,
io sbrigavo tutte le pratiche legali: andavo in tribunale a scambiare le
vertenze legali con i giudici con una disinvoltura incredibile. Conoscevo tutti
gli avvocati della città di Reggio Emilia.
Rev 26
45
Le mie memorie
Allora avevo i miei vent'anni: magra, alta, sempre con bei completini che le
mie sorelle o la sarta mi facevano. Bastava una piccola cosa da pochi soldi,
ma stavo bene con tutto. Quando ritornavo a casa per pranzo o cena, mi
dicevano "È arrivata la Gazzetta (che era il giornale della città)". Avevo
sempre tante cose da raccontare perché osservavo tutto con interesse
culturale, non per far pettegolezzi. Tutto quello che ho appreso nella vita ha
fatto proprio parte del mio carattere, anzi direi che lo ha migliorato con la
maturità della mia crescita.
Quando avevo un corteggiatore serio, lo portavo a casa. D'estate ci
sedevamo nel giardino e d'inverno dentro casa con i miei e le mie sorelle. La
mamma mi diceva "Fai la brava con quel giovane, perché sembra per bene".
Siccome ero sempre padrona di me stessa, prendevo le decisioni che mi
piacevano di più senza chiedere il permesso a nessuno.
In quegli anni c'era l'unione donne italiane (U.D.I.) che s’interessava delle
conquiste e dei diritti delle donne. M’iscrissi a quell'associazione e ben
presto mi trovavo a parlare alla radio di Reggio, e quando c'era da scrivere
discorsi, ero sempre pronta ad aiutare. Facevo stenografia per tanti discorsi.
Quand'era primavera, noi donne di Reggio assistevamo le mondine quando
partivano per le piantagioni di riso in Lombardia, a Vercelli ecc. Da Reggio
partivamo assieme a loro fino all'arrivo alle risaie, per assicurarci che fossero
rispettati i contratti e le condizioni di lavoro, il mangiare e il dormire. Poi
facevamo ritorno il giorno dopo. Poi, finita la piantagione, andavamo a
riprenderle e da Reggio si dava assistenza con i panini per il viaggio perché
Rev 26
46
Le mie memorie
venivano da fuori Reggio. Abbiamo avuto l'opportunità di aver visto con i
nostri occhi tutto il grande sacrificio che queste donne facevano: tutto il
giorno chinate in acqua, quando arrivava la sera, la loro schiena era finita.
Tante piangevano, le donne anziane facevano tanta pena, ma anche le
giovani si buttavano sul letto a pensare a casa. Fare questa vita per un
mese, per quei pochi soldi che le davano e un po' di riso quando si era
raccolto nell'estate! Con tante zanzare e tante punture. Non solo, c'era la
guardia che sorvegliava i lavori come facevano con gli schiavi. Ma il loro
canto si sentiva sempre e si facevano coraggio l'una con l'altra. Tante volte
qualcuna non resisteva alla grande fatica, e ritornava a casa. Ma
l'associazione UDI lottava per un miglioramento di ore e un aumento di paga.
Io, dove c'era da fare volontariato, ero sempre disponibile, la fine settimana o
la sera. Sono contenta di averlo fatto. Un'altra volta, sempre con l'UDI, sono
arrivati da Ferrara dei bambini sfollati per l'alluvione. Abbiamo consegnato i
bambini alle famiglie che aspettavano per ospitarli e ad un certo momento
rimase un bambino di sei anni di nome Giovanni, così magrolino, pallido. Era
già mezzogiorno. Ho chiesto di prenderlo io. Datomi tutti i documenti, lo presi
ed arrivai a casa con questo piccolo bambino che forse soffriva un po' di
malnutrizione.
Restò con noi per sei mesi: gli volevamo tutti bene, stava sempre in giardino
e nell'orto con la mamma e il papà e si divertiva, mangiava bene e in sei
mesi, tenuto così bene, aveva cambiato il viso e si era un po' abbronzato.
Poi, i genitori hanno chiesto di rimandarlo a casa, perché cominciava la
scuola. Ci è tanto dispiaciuto, perché faceva ormai parte della nostra
famiglia. È arrivato con una borsettina ed è ritornato a casa con una grossa
Rev 26
47
Le mie memorie
valigia, perché, quasi tutti i giorni, qualcuno di noi gli portava un pensierino.
Era così felice e noi eravamo più felici di lui. Veniva da una famiglia che non
aveva tante possibilità. Fa così piacere far del bene quando il caso richiede.
Ci è mancato tanto quel piccolo Giovanni, riempiva la casa, era così carino,
molto tranquillo e ci ha fatto tanto felici averlo.
Nel 1948, mia sorella Mara emigrò in Canada. Essa parlava tanto bene del
Canada, ed io ascoltavo con tanto interesse finchè, un bel giorno, dissi a mia
sorella che sarei molto interessata a visitarlo. Lei mi disse "Se vuoi, io invio
la richiesta appena arrivo in Canada, intanto ci puoi pensare bene". Le dissi
"Fammi subito la richiesta e io sono pronta". Mia sorella fece subito la
richiesta e in agosto ricevetti l'avviso dall'Ambasciata Canadese a Roma di
presentarmi per la visita medica, ed a settembre andai ancora a Roma per
prendere il visto. Detto fatto, prenotai subito il viaggio sulla nave Saturnia.
MAMMA WANDA CAVALLI CALCAGNI E LA CUCINA REGGIANA IN
CANADA
Introduzione (a cura di Umberto Borghi)
Nel settembre 1987, mentre ero direttore didattico del 1° Circolo di
Correggio, ricevetti una telefonata d'un amico, dirigente della Camera di
Commercio LA.A. di Reggio Emilia, che mi disse: "Una signora, italiana in
Canada, in viaggio in Italia, vorrebbe visitare una latteria ed altre aziende
Rev 26
48
Le mie memorie
agro-alimentari allo scopo di raccogliere una documentazione anche
fotografica utile per pubblicare un libro di ricette emiliane. Potresti
accompagnarla?"
Ben volentieri accolsi l'invito, e così conobbi la signora Wanda Cavalli
Calcagni, nota in Canada come Mamma Wanda, specialista nell'arte
culinaria. La portai in visita alla Latteria Sociale il Correggio di Fosdondo,
che aveva da poco riaperto i battenti nell'edificio rinnovato in via Fosdondo
(ora sede del Consorzio Agrario).
Nata a Fellegara di Scandiano il 21 marzo 1924, Wanda, figlia di Pietro
Cavalli discendente dal ceppo dei noti produttori di vino scandianesi, fu per
breve tempo impiegata presso lo studio dell'avvocato Dino Felisetti (che la
ricorda), poi all'Ispettorato Provinciale dell'Agricoltura; andò in Canada nel
1953. Aveva 29 anni. Ma a questo punto lascio la parola a lei, che così
racconta.
Umberto Borghi
La mia vita in Canada
Tutto cominciò nell'estate 1952, quando mia sorella Mara, sposata ed
emigrata in Canada, e precisamente a Montreal (Quebec), venne in vacanza
in Italia. Nel frattempo mia sorella aspettava il suo secondo bambino e così
nacque un fratellino a Fiorella in novembre, Adriano Jonus (oggi assistente
del Primario all’Ospedale Psichiatrico di Reggio Emilia).
Essendo la madrina di battesimo di Adriano, ben presto mi colse la grande
curiosità di vedere il Canada, così tanto contestato da tutto il mondo perché
non faceva la guerra con nessun altro paese. Quindi, solo quel motivo mi
Rev 26
49
Le mie memorie
dette ancor più voglia di visitarlo. Pregai mia sorella d'inoltrare per me la
domanda come emigrante appena fosse rientrata a Montreal.
Così fatto, nell'agosto 1953 ricevetti, dall'Ambasciata Canadese a Roma,
l'invito di presentarmi alla visita medica per ottenere il visto come emigrante.
Tutta emozionata e nello stesso tempo decisa alla mia nuova avventura, non
pensai due volte alla mia affrettata decisione dì affrontare tutte le
conseguenze che si fossero presentate con tutto il mio coraggio.
Responsabile di me stessa, mi iscrissi subito ad un corso affrettato di lingua
inglese presso la Biblioteca Municipale di Reggio Emilia. Una lingua non
s'impara in due mesi, ma si ha un po’ l'idea per chiedere le cose più
necessarie, per farsi capire. Ritornai a Roma per ritirare il passaporto e
subito prenotai presso l'Agenzia Fornaciari il mio primo viaggio su una nave,
la Saturnia e lasciai il mio posto di lavoro all'Ispettorato Provinciale
dell'Agricoltura e Foreste che aveva gli uffici in via Roma.
Il 2 novembre 1953 partii da Genova alla volta di quella famosa terra che
divenne poi la mia seconda Patria. Ad accompagnarmi al porto vennero le
mie due sorelle Tina e Umberta. Non mi dilungo nel raccontare le tante
emozioni che provai, di gioia e di dolore nello stesso tempo, dovendomi
separare dalla mia famiglia per la prima volta in vita mia. Mia Madre mi fece
mille raccomandazioni: sono sempre state la mia priorità su tutto quello che
feci. Partii da Genova il giorno dei morti e pensai che era un giorno molto
triste, ma ormai non c'era più via di ritorno e così incominciò il mio viaggio
verso un mondo sconosciuto.
Rev 26
50
Le mie memorie
Arrivammo al Golfo del Leone, poi
la nave fece sosta in Spagna, a
Barcellona. Poi, il giorno dopo, attraversammo lo stretto di Gibilterra e
partimmo alla destinazione del Portogallo. Parlando con una signora di
Verona, decidemmo d'affittare un taxi e di visitare la costa che porta a
Cascais, città d'esilio dei Principi di Savoia. Decidemmo di visitare il posto e,
con nostra sorpresa ci fecero entrare ed il Principe Umberto venne a
riceverci con tanta cortesia. Chiese le ragioni della nostra partenza dall'Italia
e capì molto bene che lasciavamo l'Italia solo per migliorare la nostra
situazione economica. Il Principe ci salutò cortesemente e noi continuammo
il nostro tour per tutta la giornata. Salimmo di nuovo sulla nave alla volta del
Canada. Fino a questo punto andava tutto bene, niente mal di mare. Ma da lì
fino ad Halifax (Nuova Scozia, Canada), fu una disperazione per il mal di
mare. Fui costretta a letto quasi fino all'arrivo.
Mi dissero che se non stavo in piedi non avrei potuto sbarcare. La paura mi
fece venire il coraggio. Mi presero sottobraccio due persone e mi portarono
fuori all'aria aperta sulla nave. Mi ripresi abbastanza per stare in piedi, così il
12 novembre sbarcammo ad Halifax. Fin qui tutti i sogni che avevo fatto per
questo viaggio non andarono bene. Serate da ballo, cene, giochi, eccetera...
non se ne avverò nessuno. Pensai: ormai ci sono arrivata e bisogna
continuare. Da Halifax prendemmo un treno la sera alle cinque ed
arrivammo il 13 a mezzogiorno a Montreal. Mia sorella mi aspettava coi
bambini e così incominciò la mia nuova vita canadese. Il freddo, le montagne
di neve che non avevo mai visto in vita mia, mi davano tanta tristezza e
malinconia. Dai miei occhi scendevano le lacrime senza che mi accorgessi
che piangevo, un pianto di tanto dolore e pensavo: chi me l'ha fatto fare di
soffrire così. La colpa era solo mia e di nessun altro.
Rev 26
51
Le mie memorie
Nell’autunno del 1954 frequentai un corso di lingua inglese. A quei tempi il
governo non pagava per imparare la lingua inglese e francese, quindi pagai
il mio corso lavorando presso la famiglia Narizzano. Mi sono sempre
immersa fra la popolazione inglese o francese, perché capii che solo così si
può imparare ed andare avanti. Il francese lo studiai a scuola in Italia
durante le scuole superiori. Più i giorni passavano, più mi sentivo padrona di
me stessa, potendo comunicare con le persone. Mi sono ripresa come il mio
carattere vuole (sono una vera ariete) e cercai un posto di lavoro. Andai alla
Casa d'Italia, dove tutti gli emigranti italiani vanno appena arrivano. Mi
dissero che c'era una famiglia che cercava un 'istitutrice per bambini. Mi
videro e subito mi presero.
Era la famiglia del signor Silvio Narizzano e della signora Dolce, una famiglia
d'alta società, che riceveva molto spesso personalità importanti, tra le quali il
Console Generale d'Italia, il Vice Console e tante altre personalità
diplomatiche. Così ben presto scoprirono che sapevo far da mangiare e mi
chiesero dove avessi imparato. Dissi: "A casa mia, da mia madre; se una
ragazza non sa cucinare non trova marito". Così, un giorno, mi offrii di fare
dei cappelletti, però, dissi pure che mi occorreva il formaggio Parmigiano
Reggiano (e qui parliamo del 1954). Mi risposero: nessun problema, ci sono i
negozi italiani e si trova tutto. Andai con loro per comprare tutto quello che
mi occorreva, e la cena fu un vero successo.
Quella sera c'era il Console, il Vice Console e tutta la famiglia. Dopo aver
cenato vollero conoscermi e vedere chi fosse questa ragazza che cucinava
così. Il Console mi diede il suo biglietto da visita e mi disse: "Signorina,
Rev 26
52
Le mie memorie
qualsiasi cosa abbia bisogno, non faccia complimenti". Mi ha visto piangere,
ero molto triste e non avevo ancora amici. Con quella famiglia restai tutta
l'estate.
Nell'autunno mia sorella aveva bisogno di me per badare ai suoi bambini e
lasciai la famiglia dei signori Narizzano, che, nell'estate, andarono in Italia. In
quella occasione fecero visita alla mia famiglia. Al ritorno mi chiesero come
avessi potuto lasciare la mia bella famiglia e l'Italia così bella! Ma non
sapevano quante sofferenze abbiamo vissuto e quali terribili conseguenze
abbia lasciato quella guerra di cinque anni, senza tanto mangiare e poco
lavoro! Abbiamo cercato di sopravvivere senza mai cercarne la ragione. La
mia strada era già segnata. Mi convincevo ogni giorno che passava ed
eravamo ancora tutti salvi mentre tantissime famiglie piangevano i loro cari.
Ma come spiegare alle persone che non hanno conosciuto nulla di quanto
abbiamo visto, assistito a tutto quello che la guerra ha lasciato dietro di sé, è
difficile spiegarlo!
Mi dispiacque lasciarli perché erano molto gentili, tutti, con me. La loro
famiglia era composta di cinque persone: due femmine e tre maschi. Due dei
maschi, Silvio e Dino, divennero attori di teatro e televisione. I loro
programmi erano molto conosciuti. Erano tutti figli molto gentili con me e mi
portavano sempre con loro a vedere il calcio e mi facevano cantare "com'è
delizioso andar sulla carrozzella, sulla carrozzella sottobraccio alla mia
bella...", così loro imparavano bene l'italiano. Ho bellissime foto fatte a casa
mia, con la mia famiglia, nel 1954.
Rev 26
53
Le mie memorie
Nel 1955, mia sorella ritornò in Italia ed io andai con la famiglia del dottor
Mario Orlando e della signora Licia di Hampstead. Mi sentivo protetta, in
caso di malattia o d'altro. Ben presto mi specializzai nell’arte culinaria.
Creavo, inventavo piatti che poi divennero famosi. Con i bambini praticavo
l'inglese.
Nel 1956 mi prese la nostalgia e partii per l'Italia nel mese di giugno. C 'era il
grande risveglio della primavera, tutti gli alberi fioriti, ì fiori sbocciati,
insomma: un profumo di vita, di primavera. Dopo un inverno così lungo e
freddo, desideravo proprio ritornare a casa. Partii con la nave Andrea Doria,
fino a Genova. Le mie gambe, all'arrivo, non mi reggevano dall'emozione
d'aver ritoccato il suolo italiano. Mio fratello maggiore Armando mi venne a
prendere al porto, proprio da dove ero partita. L'arrivo a casa fu davvero
emozionante. Lacrime di gioia assieme a tante domande sulla mia vita in
Canada. Alcuni giorni dopo, la radio trasmetteva una triste notizia: la nave
Andrea Doria stava per affondare, a causa d'uno scontro con un'altra nave.
Inutile dire quanti pensieri mi vennero solo all'idea che pochi giorni prima
avevo fatto anch'io quell'attraversata da New York a Genova. La nave
affondò ed io restai triste, con le foto scattate su quella nave che ora non c'è
più, e pensai che ancora una volta sono stata fortunata.
A Reggio Emilia cercai un lavoro, ma non ci fu nulla da fare. Trascorsi sei
mesi belli con la mia famiglia, ma poi decisi di ripartire per il Canada.
Il 17 gennaio 1957 ripartii da Milano, in aereo per la prima volta. Mia sorella
Tina e mio fratello Ermanno mi accompagnarono all'aeroporto della
Malpensa. Pensavo: chissà quando li rivedrò.
Rev 26
54
Le mie memorie
Andai di nuovo presso la famiglia del dott. Orlando che mi accolse con tanto
calore. Sennonché, un giorno di novembre1957, un signore mi chiamò al
telefono dandomi il suo nome. Io gli chiesi: "Ma lei chi è?" Mi pregò
d'incontrarlo perché voleva conoscermi. Ma io non desideravo conoscere
nessuno, perché le mie intenzioni erano di restare un altro poco in Canada e
poi ritornare a casa. Così, quel signor Giovanni Calcagni lo incontrai un
giorno in cui andai in banca. Parlammo, seduti in un piccolo caffè, del motivo
per cui ero in Canada, e come fossi sola senza la mia famiglia (lui aveva la
sua). Ci frequentammo qualche volta. Egli mi portò a casa sua per farmi
conoscere i suoi familiari. Tutti furono molto gentili e premurosi con me
dicendomi che quando volevo andare a trovarli, sarebbero stati contenti.
Questo Giovanni (la cui famiglia è originaria di San Giovanni Paganica L'Aquila) era direttore d'un ristorante molto conosciuto. Venne il Natale e
m'invitò ad andare alla Messa di mezzanotte. Accettai. Strada facendo mi
parlò del fratello che si sarebbe sposato in primavera e che la fidanzata
sarebbe arrivava da Roma. Poi tutto ad un tratto mi disse: "Cosa ne pensi se
ci sposassimo tutti assieme". Stralunata a quella domanda, gli risposi: "Ma ci
siamo appena conosciuti e già parli di matrimonio. Mi sembra una domanda
assurda, perché il matrimonio è una cosa seria e bisogna riflettere bene
prima di prendere una decisione del genere ". Così, dopo la Messa mi riportò
a casa. Quella domanda mi turbò un po’ ed incominciai a pensare che forse
diceva sul serio. Giovanni era una persona d'un carattere meraviglioso,
sempre sorridente, allegro, amava la musica, la famiglia soprattutto, con un
grande cuore pieno d'umanità verso il prossimo. Intanto c'incontrammo una
volta la settimana, perché lui lavorava di notte. Quella domanda la ripeteva
Rev 26
55
Le mie memorie
con sincerità. M'informai bene chi fosse. Pensai tanto alla mia vita, come
sarebbe finita se mi fossi sposata, così lontana da casa, dalla mia famiglia,
dalla mia bella Reggio. Passarono alcuni mesi e venne il 21 marzo, il giorno
del mio compleanno ed il primo della primavera, il giorno in cui ho deciso
l'avvenire di tutta la mia vita.
Accettai la sua proposta di matrimonio ed una grande felicità si accese nei
nostri occhi. Eravamo felici e decidemmo la data. Nel frattempo, la mia
famiglia preparò tutto il mio corredo, i regali, il mattarello per fare la pasta, e
tutto ciò che mi serviva: un grande baule pieno di tante sorprese. La mamma
di Giovanni venne insieme alla fidanzata del figlio più giovane. In
quell'occasione l'incontrai per la prima volta. La nave Homeric arrivò Quebec
il 1 maggio 1958 con la fidanzata di Franco e la madre di Giovanni e Franco.
Dal momento in cui accettai la proposta di matrimonio, incominciammo a
fare tutti i preparativi per il nostro futuro. Arredammo il nostro appartamento,
ed ecco tutto era pronto per entrare dopo il matrimonio. Gli inviti furono
inviati a tempo. Nel baule c'era anche il mio vestito da sposa e una sorpresa
per me ancora ora nel mio guardaroba dei ricordi. Non pensavo di dover
dividere questo speciale giorno con un'altra coppia di sposi. Ma per fare
piacere a Giovanni, accettai tutto ciò che si presentava. Ero sicura che la
mia vita non sarebbe stata turbata per nessuna ragione.
Il 10 maggio 1958 mi sposai con Giovanni Calcagni nella bellissima chiesa
"Notre Dame de Grace" a Montreal. Era una giornata piena di sole, con un
cielo azzurro che sembrava dipinto di blu... proprio per noi. Ad
accompagnarmi in chiesa fu il cognato dì Giovanni, che venne dagli Stati
Uniti con la famiglia. L’altra sposa, Sandra, era accompagnata dall’altro
Rev 26
56
Le mie memorie
cognato, Atéo, fratello di Giovanni. Inutile dire l'emozione! Ancora oggi le
lacrime scendono solo al pensiero. Incominciai a camminare verso l'altare
ma non potei controllarmi ed incominciai a piangere, non vedendo nessuno
dei miei familiari a divedere con me tutta la mia felicità, quella che sarebbe
durata tutta la mia vita con Giovanni. Cercai di calmarmi un po’, ma fu uno
sforzo tremendo. Controllare i sentimenti non è una cosa facile. Tra gli
invitati c'erano le due famiglie alle quali ho prestato il mio lavoro. All'uscita
dalla chiesa dissero a Giovanni: "Lei è molto fortunato ad aver sposalo
questa ragazza, perché è molto brava, è speciale". Una sorpresa mi
attendeva durante il pranzo, anzi, subito dopo mangiato, altrimenti non avrei
sicuramente trovato la forza d'inghiottire nemmeno l'acqua. Un minuto di
silenzio ed un disco incomincia con un discorso di mio fratello Ermanno,
dedicato a me ed a Giovanni, così emozionante da farmi quasi svenire.
Piangevo così tanto che forse pensarono non fosse il caso dì continuare.
Tutti piangevano, io ero disfatta di gioia e dì dolore nello stesso tempo. Poi,
dall'altra parte del disco c'era la canzone: "Sposi, oggi s'avvera il sogno e
siamo sposi!", cantata da mio fratello. È stata un 'emozione mai provata in
vita mia così grande.
Partimmo tutti e quattro al pomeriggio per il nostro viaggio di nozze alla volta
delle Cascate del Niagara, un posto meraviglioso: erano le undici dì sera e le
cascate erano tutte illuminate. Una felicità senza fine. Siamo rimasti due
giorni alle cascate e poi ci dirigemmo verso New York. Negli anni '58, New
York era una città molto tranquilla e si stava molto bene. Si poteva
passeggiare senza paura. Andammo a vedere un Broadway Musical, "Seven
Brides for Seven Brothers" (Sette spose per sette fratelli): stupendo! Un
teatro con un'acustica così perfetta da far venire i brividi e con un 'orchestra
Rev 26
57
Le mie memorie
meravigliosa. Ero tanto felice, forse perché ero in viaggio di nozze, ecco
perché. Dieci giorni durò il nostro viaggio, per poi ritornare alla vita normale e
di lavoro.
Dalla partenza del viaggio dicevamo che dovevamo ritornare in cinque.
Ritornammo in cinque. Ma non eravamo io e Giovanni bensì Franco e
Sandra, che, dopo un mese, ci diedero la notizia. Come ricordo del viaggio di
nozze, il 24 febbraio del 1959, nasceva un bambino, molto bello e vispo, che
chiamarono Franco.
Nel settembre del 1958, mio fratello Danilo venne operato per cancro del
colon, e da quel momento è incominciata la nostra prima sofferenza da
sposati. Ansie, attese di sapere qualcosa, la lontananza era tanta e fu un
triste pensiero per otto mesi. Mio fratello ci ha lasciato il 1º aprile 1959,
all’età di 28 anni e lasciò tanto vuoto nella nostra vita quotidiana. Io ne soffrii
moltissimo. Era il più piccolo di tutti noi 10 fratelli. Il nostro primo Natale non
è stato troppo felice. Ma oramai ero pronta a tutto nella mia vita. Bisognava
farci una ragione, non c'è gioia senza dolore. Questo proverbio dei nostri
antenati è la verità. Queste tristezze o felicità sono il bilancio della nostra
esistenza.
Giovanni mi disse che non dovevo lavorare, e che era lui che doveva
provvedere alla famiglia. Però io ero ancora giovane per restare inattiva
dentro casa e specialmente ancora senza bambini. Divenni l'assistente di
mio marito. Uscivamo insieme ed insieme rientravamo, quindi s 'andava a
casa solo a dormire. Ben presto mi accorsi della mia passione per la cucina.
Rev 26
58
Le mie memorie
Osservavo i cuochi nelle loro preparazioni e mi sembrava tutto così semplice
il da farsi.
Nel 1960, partimmo per l'Italia, il primo viaggio da sposati. Restammo tre
mesi e decidemmo che sarebbe stata l'ora d'incominciare la nostra famiglia.
Per tre anni abbiamo atteso ogni mese la sorpresa dell'arrivo d'un figlio, ma
era difficile, forse per la troppa ansia, diceva il ginecologo. Il suggerimento
d'uno zio di Giovanni fu quello di andare al Santuario di Santa Rita da
Cascia e chiedere con devozione la grazia. Andammo a Cascia: era la fine
del mese di giugno del 1960, un mese prima di riprendere il viaggio di ritorno
a Le Havre, con la grande nave "La France". Il viaggio fu perfetto e così
riprendemmo il nostro lavoro.
A Giovanni un giorno dissi: "Ma tu sei così bravo nel tuo lavoro, perché non
apri un ristorante per conto tuo?" .Ci pensò. A quel tempo era in costruzione
un centro commerciale, il primo della zona ed ancora non c'erano ristoranti
italiani. Detto e fatto, il 15 agosto 1960 mio marito firmò il contratto, con
molta trepidazione. Lo incoraggiai dicendogli: "Non temere, ti aiuterò e vedrai
che andrà tutto bene! " Ed aggiungevo: "Vedo già la gente infila davanti alla
porta, perché dove si mangia bene, la gente corre ". Infatti, fu proprio così.
Nel frattempo il mio ginecologo mi dava la notizia tanto desiderata che
aspettavo un bambino. La cosa cambiava tutta la mia volontà d'aiutare mio
marito. Ma pensavamo che i bimbi portano sempre bene. Il dottore mi disse
che il bambino sarebbe nato tra il 20 e il 25 maggio. Il ristorante intanto
apriva le porte il 22 aprile 1961 con il nome Tevere. Io, all’ 'ottavo mese di
gravidanza, fui al fianco di mio marito Giovanni per l'apertura. C'erano già
Rev 26
59
Le mie memorie
molte persone in fila ad attendere, essendo il primo ristorante italiano della
zona, così andò tutto bene e da quel giorno fu un successo continuo.
Intanto io guardavo il calendario: mancava solo un mese alla nascita del
nostro primogenito. La festa di Santa Rita è il 22 maggio e mi convinsi con
certezza che nostro figlio sarebbe dovuto nascere il 22 maggio, proprio nel
giorno di Santa Rita.
Il 22 maggio1961, alle sette di sera, nasceva nostro figlio che chiamammo
Mario, la felicità più grande della nostra vita. Io preparai lutto in celeste, dalla
stanza alle lenzuoline ricamate, alle decorazioni: insomma, se. non fosse
stato un maschietto, sarei stata in fastidio con me stessa. Andò tutto bene.
L'emozione provata al momento della nascita del nostro primo figlio è stata
così grande:nel pensare che era la nostra vita che continuava ad esistere, il
nostro amore col quale è stato concepito, desiderato tanto. Sentire i primi
gemiti, il primo respiro del nostro bambino, è una cosa troppo grande da
esprimere con la penna. Basta dire che non c'è nulla al di sopra di una vita
che nasce. Si prova tutto questo solo quando si diventa mamma. In quel
tempo, ho capito quanto la mia mamma abbia lavorato e dato il suo amore a
tutti noi 10 figli. Ho scritto alla mia mamma dopo la nascita di Mario per
ringraziarla di avermi dato la mia vita. Oggi, a distanza di tanti anni, dò tutto il
mio amore ai miei figli, come la mia mamma l'ha sempre dato a me.
Nel 1963, mi recai in Italia con mio figlio, in occasione del suo secondo
compleanno che festeggiammo a Cascia.
Il ristorante andava a gonfie vele e mio marito, coi suoi fratelli, coi quali era
in società, nel 1964 aprirono un secondo ristorante chiamato Roma. A
Rev 26
60
Le mie memorie
novembre dello stesso anno nacque nostra figlia Grazia Rita a completare
tutta la nostra felicità. Anche per lei, come per il primo figlio, preparai tutto in
rosa e lilla ed al dottore dicevo sempre "lei". Nel 1965 si aprì un terzo
ristorante, in città. Poi venne acquistato il ristorante dove mio marito fu
direttore, il Pointe-Claire B. B. Q.
Nel frattempo, i figli crescevano bene e potevo portarli con me e aiutare
Giovanni al ristorante: cosicché pensai di fare i cappelletti di fronte ai clienti,
dentro al ristorante. Giovanni mi fece preparare un tavolo al centro del
salone con un bel "tulér" (tavola per tirare la sfoglia) alla reggiana. Preparavo
il ripieno a casa, così i cuochi non vedevano quello che facevo e come
facevo. All'ora di cena andavo al ristorante e facevo la sfoglia davanti alle
persone e la tiravo tutta a mano, con un mattarello inviatomi dall'Italia nel
baule con il mio corredo. Allora nessuno faceva i tortellini, i cappelletti o altro
a mano. Quindi siamo stati i pionieri della gastronomia reggiana in Canada.
A questo punto tutti i clienti erano davanti a me per veder fare i cappelletti ed
anche in fretta. Aspettavano di poterli assaggiare. Facevo venti uova di
sfoglia e finivo tutto in serata. Cercavo di farli un po' grossetti, poi finivo per
fare i tortellacci. Fu un vero successo. Avevamo sempre sei cuochi al lavoro;
diversi di essi vennero appositamente dall'Italia su nostra richiesta.
I bambini incominciavano la scuola e così avevo più disponibilità di tempo
per poter aiutare Giovanni. Ai bambini abbiamo sempre parlato in italiano ed
abbiamo insegnato la lingua con libri italiani. Poi col PICAI la scuola.
Nel 1973 vendemmo il ristorante Tevere, e decidemmo di ritirarci, ma
eravamo perduti, ci mancava la gente, la pubblica relazione e così nel 1978
Rev 26
61
Le mie memorie
aprimmo un altro ristorante, La Gastronomie Italienne, questa volta
veramente alla Reggiana, con sette donne in cucina, tutte guidate da me,
ognuna al proprio lavoro. I ripieni ed i dolci li facevo tutti io. È stato un
enorme successo: sempre la fila fuori dalla porta, anche con trenta gradi
sotto zero di freddo. Articoli sui giornali affermavano la nostra cucina come la
migliore e tanti cuochi venivano a mangiare per assaggiare queste
specialità.
Intanto io avevo aperto una boutique dì vestiti per signore ed anche la
boutique andava molto forte. Ad un certo punto al ristorante c'era tanto
lavoro che non potevo essere in due posti simultaneamente. Quindi
decidemmo di chiudere la boutique, concentrandoci solo nel ristorante.
Era diventato un lavoro molto pressante. Giovanni mi diceva: "Ma chi ce lo fa
fare tutto questo sacrificio; dobbiamo pensare, anche a noi". Così, un 'altra
volta, decidemmo di vendere, e così fu.
Tante persone, specialmente le signore, mi dicevano: "Perché non fai la
scuola di cucina e ci insegni le ricette del ristorante, ora che non ce l'avete
più ". Mi chiamavano sempre, quindi decisi d'intraprendere anche quella
linea. A me piaceva molto creare nuove ricette, ma soprattutto le ricette che
conoscevo bene fin da bambina, quindi era cosa molto facile da fare. Ed ho
insegnato alla scuola di cucina per adulti in città. Articoli sui giornali con
fotografie pubblicizzarono anche questo lavoro. Un giorno mi chiamò una
grande azienda di alimentari già preparati e mi chiese se volevo cedere delle
ricette di piatti di riso e di pasta da lanciare sul mercato.
Accettai, ne scrissi più d'una decina e le presero tutte. Così incominciò
anche la professione di libera consulente, per chi ne avesse bisogno.
Rev 26
62
Le mie memorie
Successivamente fui chiamata a realizzare programmi televisivi di cucina su
canali canadesi ed italiani, a Montreal ed a Toronto.
Un giorno, nella città di Kirkland, dove risiediamo, ci chiamò il signor Nunzio
Discepola, allora Consigliere comunale, ora deputato al Parlamento
Canadese di Ottawa, per fare la festa del 25° anniversario di fondazione
della città e ci chiese se fossimo interessati a preparare una grande cena.
Mio marito ed io accettammo ed, insieme ad un comitato di dodici persone,
organizzammo quella grande serata. Avrebbe dovuto essere solo una
spaghettata, invece divenne una serata talmente organizzata ad arte che,
per dieci anni, ogni novembre, tutta la popolazione attendeva con vivo
desiderio quell'occasione. La Città di Kirkland, in quell'occasione, ci ha
donato un dipinto di un paesaggio del Canada, opera di un pittore canadese,
con una targa con il nostro nome, perché la nostra famiglia italiana è stata la
prima a stabilirsi in quel territorio, costruendo la propria abitazione che è
stata poi seguita da tante altre, sì da divenire una città satellite di Montreal.
Mio marito, purtroppo, non ha potuto vedere la decima ricorrenza, perché è
venuto a mancare un mese prima, nell'ottobre 1995. Egli è stato il mio più
grande aiuto in tutto quello che facevo, un uomo onesto, buono e sempre
pronto ad aiutare il prossimo, generoso senza mai chiedere nulla di ritorno.
Ora mi manca molto e voglio onorarlo con questa storia, perché mi ha
sempre guidata sulla buona strada, mi ha sempre incoraggiata a portare a
termine tutti i miei progetti. Ho desiderato scrivere un libro di cucina e lui
subito mi disse: "Sì, fallo ". E stato pubblicato nel 1990, in tre lingue, italiano,
inglese e francese, il primo del genere in Canada, trilingue. Continuando il
Rev 26
63
Le mie memorie
mio lavoro, rendo omaggio all'uomo che mi ha dato tanta felicità e tanto
benessere ed onoro anche la cultura culinaria reggiana.
NB: Il volume, di trecento pagine, con bellissime fotografie a colori
raffiguranti i gustosi piatti della signora Wanda, si apre con una fotografia di
lei al lavoro con suo marito. La prima ricetta è quella dello gnocco fritto.
A pagina 65 c'è la fotografia scattata nel caseificio di Fosdondo (io
testimone).
Dagli appunti conservati del 1987 e da una recente telefonata, aggiungo che
sta preparando un secondo libro di ricette, che continua a tenere lezioni di
cucina in casa e fuori per gruppi di giovani o di adulti, che ha realizzato
campagne promozionali di quattro formaggi italiani: per primo il Parmigiano
Reggiano, poi il Taleggio, il Gorgonzola ed il Pecorino Romano, che il suo
lavoro è stato riconosciuto dal Consorzio di tutela del Parmigiano Reggiano.
Cose buone dal mondo, che fa sempre festa agli italiani, autorità o meno,
che vanno a trovarla.
Carlo Bondavalli, il reggiano famoso esploratore del Polo Nord, dopo la sua
grande impresa è andato a mangiare i cappelletti, coi suoi amici colleghi
esploratori, da Mamma Wanda, dandone notizia alla propria madre che è
un'amica della signora Wanda.
Fra le soddisfazioni avute dalla Signora Calcagni, che ha la doppia
cittadinanza italiana e canadese, c'è anche questa: un giorno del 1984,
andò con la famiglia per una vacanza di fine anno in Florida e chiese una
bottiglia di spumante per brindare al nuovo anno. "Abbiamo solo questo", le
fu risposto dal cameriere: era un Bianco Cavalli di Scandiano.
Nel giugno 1997 era tra i 150 reggiani residenti all'estero che la Sezione di
Reggio della Società Dante Alighieri ricevette ospitò e festeggiò nella
Rev 26
64
Le mie memorie
ricorrenza celebrativa dei 200 anni del Tricolore.
Ringrazio la signora Wanda per il materiale fornitomi e suo fratello Ermanno
(che risiede a Massenzatico) per le fotografie.
U. Borghi,10 maggio 2002.
Nel 1987 sponsorizzammo una bambina coreana di nome Sun Hee. Aveva
19 anni, ma vedendola sembrava una piccola bambina. Aveva disturbi
cardiaci e doveva essere operata al cuore. Mio marito Giovanni ed io
decidemmo di prenderci cura della
bambina con tutta la nostra
responsabilità.
Nel marzo, arrivarono tanti bambini nelle stesse condizioni di Sun Hee. Io
preparai la sua cameretta come l'avrei preparata per mia figlia. Lei non
parlava altro che il coreano e noi le nostre tre lingue, ma ci facevamo capire.
Mettevo tante cose a tavola e lei sceglieva ciò che voleva mangiare.
Abbiamo fatto presto a conoscerci e lei si sentiva sempre più a suo agio. La
portammo sempre alle visite di controllo ed il dottore ci disse che era troppo
debole per l'operazione. Allora mi misi a cucinare le cose che le piacevano di
più. Dopo aver assaporato la nostra cucina, mangiava che era un piacere a
guardarla. Così, pian piano, prese qualche libbra e intanto passavano i mesi
ed era primavera. Mia figlia la portava con lei a fare delle spese e le
comprava tutto ciò che le piaceva. Andavano in piscina però senza
strapazzate perché il suo cuore non poteva sopportarle.
A giugno ci chiamò il cardiologo e fissò il giorno della sua operazione. Noi
eravamo in pensiero per lei perché nessuno garantiva che tutto sarebbe
riuscito bene. Molti bimbi non ce l'hanno fatta.Giovanni ed io eravamo
Rev 26
65
Le mie memorie
sempre con lei, io giorno e notte, lei mi chiamava mamma.
Restò una settimana all'ospedale dopo l'operazione, andò tutto bene. A casa
io le amministravo le cure e le medicine e il suo lungo taglio doveva
rimarginarsi, ma c'è voluto un po' di tempo. Curavo il drenaggio, ero una
infermiera vera e propria, mi dicevano. Lei continuava a chiamarmi mamma.
Lasciai tutti i miei impegni per prendermi cura della bambina. Ricominciò a
prendere forze e mangiava molto bene. Alle visite mediche del cardiologo, la
trovarono molto bene e dissero che poteva fare delle belle camminate.
Un giorno, camminando nel nostro vicinato, si mise a correre ed io strillavo
"No, non correre". Ma lei stava sperimentando ciò che non ha mai potuto
fare prima. Era tanto felice, mi abbracciava sempre. Un mattino faceva
colazione ma era finita la Nutella e mi disse "No Nutella" tutta dispiaciuta e
Giovanni andò subito a comprarla.
Tutte le mattine, dopo colazione, andava giù, dove avevamo il piano, e per
mezz'ora o un'ora mi suonava delle belle canzoni coreane o della musica
classica. Questa sua felicità era per noi la ricompensa del nostro impegno
preso con tanta responsabilità. Abbiamo trascorso sei bellissimi mesi con
Sun Hee. Ci ha dato tanta gioia il vederla stare bene. Le ho insegnato a fare
da mangiare e lei mi aiutava volentieri. Le piaceva molto il risotto, però
mangiava tutto.
Purtroppo venne il giorno della partenza e fu davvero triste, non voleva
partire. La sera prima organizzammo una bella serata per lei, mia figlia invitò
tutte le sue amiche, amici e cugini. Io preparai tante cose da mangiare e uina
Rev 26
66
Le mie memorie
grande torta col suo nome. È stato bello, abbiamo tante foto di
quell'occasione. All'aeroporto non voleva entrare, non voleva proprio partire.
Quando è arrivata da noi, aveva solo un sacchettino a mano, ma quando è
partita aveva un'enorme baule pieno di tutte le cose che lei desiderava. Mia
figlia la portò dall'orefice le offrì l'orologio, gli orecchini, poi le scarpette col
tacco, insomma tutto questo c'i ha dato tanta felicità nel farlo. Partì
nell'agosto del 1987.
Avendo i figli già terminato le scuole e anche trovato posto di lavoro, si
cominciava una vita regolare. Nell'estate del 1987, ci telefonarono dei
carissimi amici da Roma, invitando nostra figlia a trascorrere un po' di tempo
con loro. Un figlio loro aveva già fatto una vacanza con noi nel 1986. Grazia,
più che contenta, accettò l'invito e partì per le sue vacanze di tre settimane a
Roma. Era la sua prima vacanza sola senza di noi. Ritornò tutta felice d'aver
visitato molti posti in Italia e all'estero. Tutto ad un tratto ci chiese cosa ne
pensavamo se volesse ritornare a Roma per trovare un posto di lavoro e che
si
sarebbe
stabilita
a
Roma
per
sempre.
Conoscendo
la
figlia,
dall'impeccabile serietà e responsabilità di se stessa, non era il caso di darci
alcuna preoccupazione. Acconsentimmo al suo desiderio e decisione di
andare, certissimi che, in due o tre mesi, sarebbe ritornata a casa.
In fondo, anche noi lasciammo la nostra famiglia seguendo il nostro destino.
Così il 29 ottobre 1988 Grazia lasciò il Canada (già era nevicato), vendendo
la sua bella automobile, decisa più che mai ad affrontare ogni ostacolo.
Cos'è la forza del destino, che ogni individuo umano sente e prova nel suo
intimo? È quella forza che ci spinge ad uscire dalla nostra adolescenza e a
diventare adulti, capaci di seguire e decidere la nostra vita. Nel 1989, nostro
Rev 26
67
Le mie memorie
figlio Mario ci diede la notizia che desiderava sposarsi. Anche lui ha scelto il
proprio destino.
Il 19 agosto 1989, nostro figlio si sposò e rimase nella nostra municipalità,
molto vicino a noi. Nostra figlia venne per il matrimonio del fratello e nello
stesso tempo, ci diede la notizia che il giovane che aveva conosciuto (il
primo della sua vita) gli aveva regalato l'anello di fidanzamento prima della
partenza per il Canada. (Forse temeva che se fosse ritornata a casa non
sarebbe ritornata indietro). Senza pensarci tanto, ci disse che vorrebbe
sposarsi l'anno prossimo, il 1990. Non mi dilungo nel raccontare le tante
emozioni che stavamo provando. Ci sentivamo davvero perduti. È stato un
anno triste per noi. Non solo nostra figlia si sarebbe sposata, ma non in
Canada, bensì in Italia per fare piacere alla madre del giovane. Molto
accondiscendenti, accettammo tutto quello che faceva piacere a nostra figlia.
Io e Giovanni, bastava guardarci negli occhi e uscivano le lacrime di gioia
per i nostri figli, ma dentro di noi pensavamo a nostra figlia così lontana e ciò
ci dava tanto pensiero. Eravamo d'accordo con tutto quello che i nostri figli
chiedevano, abbiamo sempre cercato di farli felici. Rimasti soli in un anno, è
stato molto triste, come tanti genitori provano.
Ora la nostra vita era quella di trascorrere cinque mesi a Roma in inverno e
sei mesi in Canada, in estate. Per sette anni, andammo a Roma d'inverno
per stare vicini a nostra figlia. Lei lavorava, e noi avevamo la nostra stanza
col bagno in una bellissima villa costruita nel 1991. Infatti, appena sposati,
acquistarono un appartamento vicino al mare a Torvaianica. Ma poi,
pensando che noi non avevamo le nostre comodità, decisero di vendere
l'appartamento e acquistarono la villa che stava in costruzione. Noi
Rev 26
68
Le mie memorie
passammo alcuni bellissimi anni con loro l'inverno se non che, nostro
genero, fu inviato a Beirut nel Libano per un anno e noi siamo rimasti a
Roma con Grazia. Nel dicembre del 1994, nostro genero venne per una
settimana a visitarci ed a trascorrere il Natale assieme, poi ripartì. Rimasti
soli con Grazia, poco dopo a gennaio, Grazia ci diede la notizia che
aspettava un bambino. Eravamo tutti felici per questa grande notizia (perché,
l'anno prima, lei aveva perduto la prima gravidanza). Andammo dal
ginecologo che confermò la gravidanza di nostra figlia e le disse che se
voleva portare a termine la sua gravidanza doveva smettere di andare in
macchina e di lavorare ed essere a riposo assoluto almeno fino al quarto
mese. Grazia lasciò il lavoro e restò a riposo fino al quarto mese. Noi
dovevamo partire per il Canada a metà aprile.
Una sera, Giovanni sentì dei forti dolori all'addome, a destra. Venne il dottore
a casa ma non trovò nulla, diede qualche pastiglia antidolore e se n'andò.
Ma durante la notte, Giovanni sentì ancora dolore e mio fratello Ermanno,
che trascorreva anche lui l'inverno a Roma con noi, disse "Giovanni, vestiti: ti
porto subito al pronto soccorso". Detto fatto, fu visitato subito da un medico
che dissi a Giovanni "Non possiamo iniziare delle ricerche perché lei parte
tra qualche giorno per il Canada, però, appena arriva a casa, vada subito dal
medico". Al nostro arrivo in Canada, non sentì più il male e mi disse "Tra
qualche giorno ritorna a Roma, a prendere Grazia", dato che Grazia e il
marito avevano stabilito che il bimbo sarebbe dovuto nascere in Canada. Il
matrimonio è stato fatto a Cassino e il primogenito sarebbe dovuto nascere
in Canada, come ci avevano promesso.
Ripartii per Roma, dove restai 10 giorni. Dopo aver messo tutto a posto,
Rev 26
69
Le mie memorie
chiudemmo casa e con Grazia ritornammo in Canada.
Sull'aereo c'era un gruppo di cantanti e Ruggero che cantava nei concerti.
Erano una decina. Tutti fumavano come turchi. Noi due avevamo due posti, i
primi dopo la business class, il fumo arrivava tutto a noi. Mi alzai e andai da
loro con le buone maniere, spiegai la situazione di mia figlia. Si scusarono e
dissero "Cercheremo di non fumare tanto". Andavano di qua e di là ma
intanto mia figlia si copriva il viso con un fazzolettino per non respirare il
fumo.
Arrivammo finalmente a casa e, dopo qualche giorno, appena riposate,
pensammo a Giovanni perché il dottore di Roma aveva capito che qualcosa
non andava ma non lo disse apertamente. Telefonai al medico di Giovanni,
da 25 anni andava sempre da lui. Dopo una visita, lo mandò a fare i raggi X.
Dopo due giorni ci chiamò dicendo di andare da lui. Io, invece di andare con
Giovanni, chiamai suo fratello chiedendogli se poteva venire con me perché
temevo che il medico ci dovesse dire qualcosa non tanto piacevole. Ignoro,
tutto ciò che accadde dentro l'ufficio del dottore, pensavo che mi fosse
caduto il cielo in testa. Mio cognato cercava di calmarmi ma io non capivo
più niente: come un dottore durante 25 anni non si è mai deciso di fargli fare
i raggi ma dava solo degli antiacidi? E ora era troppo tardi. Senza tante
cerimonie mi disse che ormai l'ulcera cancerosa sarebbe avanzata molto
velocemente.
Andammo dal chirurgo, che, a me sola, disse "È inoperabile". Con me c'era
mio figlio Mario e chiese al chirurgo quanto tempo di vita prevedeva per il
padre. Rispose "Non tanto: un paio di mesi". Io chiesi di portare mio marito a
Rev 26
70
Le mie memorie
casa e in mattinata gli avevano già fatto firmare una carta per operarlo. Gli
hanno fatto credere che volevano vedere se potevano trovare un rimedio.
Invece, aperto e chiuso, i giovani dottorini hanno fatto la loro esperienza su
di lui. Andai immediatamente all'ufficio, chiesi tutti i documenti e portai a
casa mio marito. Vi trascorse cinque mesi. Non ha sofferto, mangiava bene
e nel frattempo nostra figlia Grazia portava avanti la sua gravidanza molto
bene. Giovanni godeva nel vederla nel giardino vicino a lui mentre coi ferri
faceva la copertina alla bambina. Io intanto, mentre lui stava in giardino, ero
tutta indaffarata a preparare la cameretta del bambino.
Era il mese di agosto. Ricevevamo tantissime visite pomeridiane, a volte tre
diverse visite in un pomeriggio. Riordinavamo la tavola in sala, e pronti per
altre visite. Facevo tanti dolci e Giovanni intratteneva tutti quelli che venivano
a trovarlo. Non ha mai fatto pesare il suo dolore a nessuno. Se gli avessero
chiesto come stava, lui subito rispondeva "Bene, bene". Era felice perché
diceva agli amici che aveva l'infermiera privata perché io gli amministravo le
medicine giorno e notte in orario. La domenica prima la casa era piena di
familiari. Ad un tratto Giovanni mi disse di suonare la nostra canzone
Nell'immensità di Johnny Dorelli. Poi mi prese e mi fece ballare. Mi teneva
così stretta a lui che sentivo i palpiti del suo cuore battere sul mio. Io
piangevo in silenzio. Questo fu il nostro ultimo ballo, il nostro addio... per
sempre!
Intanto nostra figlia era ormai giunta alla data prevista per il suo parto: la
prima settimana di ottobre, quando Giovanni si mise a letto ed io ero sempre
vicino a lui giorno e notte. L'ultima settimana le infermiere del VON mi
dissero che era meglio ricoverarlo all'ospedale per il suo bene e anche per il
Rev 26
71
Le mie memorie
mio. Glielo dissi e lui subito disse sì. Strada facendo con l'autoambulanza, mi
disse "Puoi fare un po' di ravioli per questi autisti che sono bravi, vanno
piano e non mi sento male?" Dissi "Sì glieli farò". Come sempre era pieno
d'umanità verso il prossimo, tutta la sua vita è stata fare del bene al
prossimo.
Ci lasciò il 7 ottobre alle 16:45 e Grazia sentiva qualche contrazione. Io
pregavo il Signore "Solo non fare nascere il bambino in questi tristi giorni". I
dolori passarono. Facemmo tutte le nostre onoranze a Giovanni e restammo
in attesa della nascita della prima nipotina (a questo punto seppi che ero una
bambina). Mio genero arrivò dal Libano dove è stato un anno al servizio
della Nato per la pace del paese. Arrivò la sera prima della morte, Giovanni
l’ha riconosciuto ed era felice sapendo che sarebbe stato in Canada per lui e
per la nascita della bimba.
Come si può abbinare un grande dolore ad una felicità, un funerale ad una
nascita ed un battesimo, tutto in 10 giorni? Solo una persona come me
poteva riuscire ad organizzare tutto come si deve, il pranzo del battesimo e
tutto il resto. Ero diventata come un robot, continuavo a fare tutte le cose per
non far pesare agli altri il mio grande dolore.
Il 17 ottobre 1995, alle ore 21 e 15, nasceva la nostra nipotina Raffaella Rita,
per consolarci tutti. Il signore ci ha mandato quest'angioletto ad aiutarci, per
alleviare la nostra pena. Mi occupai subito dalla bambina, avendo avuto mia
figlia il taglio cesareo, perciò, giorno e notte, ero occupata con la bambina e
durante la notte parlavo sempre con lei come se mi sentisse e capisse ciò
che dicevo. Mi capiva molto bene, tant'è vero che posso provarlo con
Rev 26
72
Le mie memorie
un’audiocassetta o un CD. A due mesi rispondeva per la durata di 15-20
minuti di conversazione. Straordinario da ascoltare! Incredibile, il pensare
che una bimba di due mesi avesse la capacità di capire e di rispondermi con
la sua bocca: sembrava proprio che mi parlasse. Prender cura di lei era un
compito gradevole per me, pensando che quest'angioletto dava seguito alla
nostra vita e a quella della sua mamma e del suo papà.
Dopo un po' di settimane, Grazia stava meglio e si occupava della bambina,
ma quando mi vedeva triste mi diceva" Mamma, Raffaella ti vuole!". Così ci
confortavamo a vicenda. Mio genero era fuori di sé dalla gioia di essere
papà, ma, d'altra parte anche lui era triste, come lo era tanto anche mio figlio
Mario. Mio genero ripartì per il Libano (Beirut) dopo il battesimo, alla fine di
ottobre. Finì il suo servizio a dicembre, ritornò a Roma alla loro casa e
preparò tutta la cameretta della bambina. Noi, Grazia, Raffaella ed io,
partimmo per Roma alla metà di gennaio 1996. Andavamo a spasso con la
bambina a Roma. A febbraio ci sono già le mimose tutte fiorite e tutti i fiori
del giardino, sempre un bel sole. Stavamo fuori perché la temperatura era
proprio primaverile. L'anno prima stavamo sempre in giardino con mio
marito, ci sedevamo sulla nostra panchina, che avevano comprato per noi, a
goderci il bel sole di Roma ed eravamo tanto felici. Ora vivo solo di ricordi e
mi aiutano tanto a continuare la mia vita passata con Giovanni. Abbiamo
trascorso un lungo tempo a piangere la perdita del nostro caro Giovanni. Era
troppo grande il dolore e il vuoto che ha lasciato nella nostra vita. Dopo aver
trascorso 38 bellissimi anni di vita meravigliosa con i nostri figli, vacanze
bellissime in molte parti del mondo, pensare che lui non è più tra di noi,
lascia un vuoto incolmabile. Ma bisogna farsi una ragione, un giorno, prima o
poi, ci riuniremo ancora per essere sempre insieme.
Rev 26
73
Le mie memorie
Nel 1996, mio genero, Mario Coppola, che io chiamo George, fu inviato per
altri quattro anni in Belgio e quindi io incominciai a trascorrere l'inverno in
Belgio e l'estate in Canada. Quando George è partito per il Belgio, prima di
mia figlia, mio fratello Ermanno venne a Roma e ci portò in macchina con
Raffaella che aveva appena compiuto un anno in ottobre. Siamo arrivati in
Belgio il 2 novembre. Il grande contenitore con tutta la mobilia era arrivato il
giorno prima ma tutti i mobili stavano ancora sottosopra e c’era da preparare
il più necessario. Abbiamo attraversato sei paesi da Roma al Belgio. Una
vera avventura con mio fratello sempre disponibile. Incominciò così la nostra
nuova vita in Belgio per quattro anni. Io andavo e ritornavo in Canada dove
avevo la mia attività culinaria privata. Ancora oggi continuo il mio lavoro con
tanta passione.
Nel 1997 fui invitata dalla città di Reggio Emilia e dal Circolo Culturale della
Dante Alighieri a partecipare al grande raduno di tutti reggiani nel mondo in
occasione della ricorrenza dei 200 anni dell’adozione del tricolore come
bandiera nazionale, a Reggio Emilia, il 7 gennaio 1797, i deputati delle
quattro città che formavano la Repubblica Cispadana, Ferrara, Bologna,
Modena e Reggio Emilia, si riunirono a Reggio Emilia nella sala del
municipio oggi chiamata del tricolore e sancirono la Repubblica cispadana
una ed indivisibile con lo stendardo verde, bianco e rosso. Questo è un
vanto di Reggio da aggiungersi a quello di essere stata la prima sede di un
Parlamento italiano. Il Gonfalone della città è stato anche decorato con la
medaglia d'oro al valore militare per l'apporto dato da Reggio alla conquista
della libertà per lo spirito di resistenza che culminò con la lotta di liberazione
del 1945. Il municipio di Reggio Emilia, città del tricolore come è chiamata, è
Rev 26
74
Le mie memorie
uno spettacolo da vedere, per la sua imponenza strutturale ed artistica
settecentesca.
Mi recai dunque dal Belgio a Reggio Emilia per questa commemorazione.
L'associazione Dante Alighieri chiese se qualche invitato al raduno volesse
scrivere la propria storia e di fargliela avere per tempo. Accettai volentieri e
scrissi "La mia vita in Canada" che fu poi pubblicata a Correggio (Reggio
Emilia) nel 2002 da Umberto Borghi e che fu letta davanti a tutti partecipanti
e al pubblico durante lo svolgimento della celebrazione nella sala del
tricolore. Per quattro giorni, il 26,27,28, 29 giugno 1997, ci furono
festeggiamenti indescrivibili, pranzi, cene, feste pomeridiane, tavole sempre
imbandite di tante specialità reggiane. I nostri occhi non potevano credere
alla perfetta organizzazione di tutti questi ricevimenti, a cui facevano seguito
intrattenimenti nei teatri e nei club. Le persone che avevano cucinato queste
specialità erano tutte volontarie. Incredibile! In molte e diverse municipalità
della provincia, in montagna e pianura, fummo tutti accolti con tanto calore e
soprattutto tanto affetto. Ciò mi rimarrà eternamente impresso nella
memoria, come cosa mai vista da nessuna parte. Quattro indimenticabili
giorni nella nostra bella Reggio. L'ultima serata, dopo cena, fummo accolti in
un grande club da ballo, per invitati solamente, da un grande pubblico che ci
diede un ultimo saluto e tanti applausi. Ad un certo punto l'annunciatore
chiamò il mio nome perché mi presentassi da lui. Mi chiese da dove venivo,
risposi “da Montreal Canada” e mi chiese se volevo parlare dall'accoglienza
ricevuta e se volevo ringraziare. Io risposi "Ben volentieri". Presi il microfono
e cominciai, senza problemi, a presentare il mio discorso di chiusura. Poi
seppi che un signore, tanto più giovane di me, che veniva dal Belgio ed era il
proprietario di un grande ristorante, aveva detto all'annunciatore che io ero la
Rev 26
75
Le mie memorie
mascotte del gruppo. Ringraziai, a nome di tutti i partecipanti, il circolo Dante
Alighieri in particolare e tutti gli associati per il loro contributo speciale nei
preparativi e la città di Reggio Emilia per la grande accoglienza veramente
commovente. Ringraziai il presidente della Dante Alighieri e poi si incominciò
il ballo. Mio fratello Ermanno mi fece ballare, ma due signore se lo
contendevano dicendo l'una all'altra che non era di sua proprietà. Così io
perdetti il mio ballerino. Sono cose che succedono. Incontrai tante care
persone ed ogni tanto ci risentiamo al telefono. Al
termine dei
festeggiamenti, ritornai in Belgio dove mio genero con la famiglia era stato
inviato per un periodo di quattro anni alla base militare SHAPE con la Nato.
Così spesso si andava al ristorante con l'amico incontrato al raduno.
L'8 giugno del 2000, mia figlia diede alla luce una bella bambina. Le diedero
il nome di Giovanna Giulia (il nome Giovanna l'hanno scelto i genitori, e
Giulia l'ha scelto Raffaella). Quando nacque Giovanna, ero là ed ero felice di
vedere che tutto era andato bene e di poter dare un aiuto a tutti in famiglia.
Fu per tutti una grande gioia, specie per la sorella, che ormai aveva già
cinque anni. Le mie nipotine erano piccoline, cantavo loro la canzone
“ La casetta in Canada”.
“ Avevo una casetta piccolina in Canada
Con vasca e pesciolini e tanti fiori di lillà
E tutte le ragazze che passavano di là
Dicevano che bella Raffaella e Giovanna in Canada”
Prima cantavo solo “Raffaella”, poi quando è nata Giovanna, l’ho aggiunta.
Le bambine mi continuavano a chiedere:” Ancora, ancora, ancora”, così
cantavo fino a che io mi addormentavo prima di loro. Poi leggevo loro la
Rev 26
76
Le mie memorie
storia di Cappuccetto, anche quella me la facevano ripetere per ore, la storia
di Biancaneve e i sette Nani, quella di Pinocchio, e ciò finche crescevano
belle grandine. Poi c’era la preghiera che avevo inventato “Ti ringrazio
Signore, della bella giornata che mi hai dato, assieme alla mia mamma ed al
mio papà e a tutti i miei cari, vicini e lontani. Amen”. Le bimbe ora
frequentano la scuola a Roma e sono molto brave. La mia vita ormai è
basata sull'attesa di rivedere mia figlia col marito e le bambine che amo
tanto.
Quante esperienze da raccontare! Mi ci vorrebbe un grande libro per
scrivere ancora... Per tutto quello che ho fatto nella mia vita, e che continuo
a fare ogni giorno c’e’ sempre una ragione: il pensiero e’ sempre proteso a
fare del bene alla famiglia e all’umanità. Tutti i giorni si dovrebbe fare
qualcosa di buono ed aiutare il prossimo. Questa è per me la più grande
gratificazione per tutto quello che ho fatto all’umanità.
Nella mia vita intera ho fatto tutto quello che desideravo nel modo buono, ho
fatto tanto bene al prossimo e soprattutto non ho mai chiesto nulla in ritorno.
Le persone che ricevono il mio bene, è tutto quello che mi fa felice al mondo.
L’ULTIMO CAPITOLO DELLE MIE MEMORIE
Sabato 10 gennaio 2009,alle ore quattro pomeridiane circa, suonò il
campanello di casa mia, dove risiedo da 45 anni. È una regola per me di non
aprire mai la porta a nessuno se non mi telefonano prima. Ero appena uscita
dal bagno, dopo la ginnastica nell'acqua, come d'abitudine. Avevo i rulli in
testa, senza dar peso a chi poteva essere alla porta. Parlai prima attraverso
Rev 26
77
Le mie memorie
la porta chiusa essendo la porta tutta a vetri, e chiesi cosa volessero. Erano
una bella ragazza ed un giovane, pure lui carino. Da fuori, con 26° sotto
zero, mi mostrarono un plico con fotografie, tra cui una grande foto scattata
in casa mia nel 1968, con mia nipote Fiorella e il suo fidanzato. Ero un po'
incerta se farli entrare o no, ma poi, essendo essi al freddo fuori, decisi di
farli entrare e di cercare di capire che cosa volessero. Torniamo ora indietro
di quarant'anni, quando mia sorella Mara ci telefonò dall'Italia. Era il 1967
l'anno dell'esposizione mondiale a Montreal. Noi, più che mai sorpresi,
ascoltammo quello che aveva da dirci. Mara ci chiese se potevamo ospitare
per un po' di tempo sua figlia Fiorella per distoglierla dal fidanzatino che
aveva incontrato alla scuola di Reggio Emilia. Noi eravamo nel pieno del
lavoro, con i ristoranti, ma io e Giovanni fummo contenti di ospitarla. Aveva
solo 17 anni ed era una responsabilità non piccola. Restò con noi fino
all'aprile del 68, quando noi prendemmo una vacanza. Durante la nostra
assenza da casa, Fiorella se ne andò in città dal padre a Montreal. A
settembre ritornammo dalla vacanza e nel frattempo Fiorella, a casa del
padre, aveva avuto un po' più di libertà. Ma, a questo punto, non eravamo
più noi responsabili di lei. Usciva con amici, lavorava, era felice.
Il giorno di Natale 1968 venne a trovarci. Noi, con tutti i familiari di Giovanni,
eravamo più di 20 persone, la invitammo a restare a cena con noi. Ci
presentò il suo fidanzato. Decisero di restare, ma dopo un po' mi dissero che
non potevano restare e se ne andarono. Forse lui non si trovava a suo agio.
Lei, ogni tanto, ci veniva a trovare, e un bel giorno ci telefonò per informarci
che, assieme al fidanzato, si sarebbero trasferiti a Toronto. Si sposarono e ci
mandarono le foto. Da allora non seppi più nulla di Fiorella. Mia sorella Mara,
madre di Fiorella, era in Italia col figlio Adriano, che studiava per conseguire
Rev 26
78
Le mie memorie
la laurea in psichiatria. Il padre, una brava persona ed un buon lavoratore,
lavorava qui a Montreal. Manteneva bene la sua famiglia. Mia sorella, molto
irrequieta, voleva solo viaggiare, avanti e indietro per l'Italia, senza mai
trovare pace. Ma tutto questo è comprensibile perché non ascoltava la
mamma quando ci raccomandava di non fermarci con i soldati dopo la
guerra “ perché oggi sono qua e domani partiranno o forse sono già sposati,
perciò state lontano". Ma il suo destino era già segnato.
Nell’immediato dopoguerra incontrò un militare albanese, profugo
dall'Albania, si innamorò, si sposò e dopo due anni venne la chiamata al
marito di scegliere il paese dove voleva andare. Lui scelse il Canada.
Partirono per Napoli e restarono là ancora per due anni nei campi dei
profughi. Il primo bimbo, Zeni, nato a Reggio Emilia, aveva già due anni e
mia sorella aspettava un altro bambino. Nacque una bambina di nome Iva, a
Pozzuoli di Napoli. I bambini crescevano in modo precario, e noi eravamo
molto in pensiero. Venne il momento della partenza ed i bimbi erano tutti e
due ammalati. Passarono ancora alcuni giorni e i bimbi erano gravi.
Decedettero due giorni prima della partenza. Mio fratello Armando partì
subito. Arrivato a Pozzuoli, riportò quelle povere giovani salme, la loro vita
finita così presto. Mia sorella impazzì dal dolore.
Partì col marito alla volta di Montreal, in Canada. I bimbi furono seppelliti nel
cimitero di Reggio Emilia, dove ancora sono, in piccole urne e, ogni volta che
vado a Reggio, faccio loro una visita. Quello è stato per noi un grande
dispiacere. La vita di mia sorella fu molto burrascosa. Prima perse in guerra
il fidanzato e dopo visse la sua vita da profuga. Insomma lei soffrì per la sua
scelta di vita, quindi, di conseguenza, era fuori di sé ed era molto difficile in
casa, perché voleva tutto a modo suo. Non accettò mai la condizione in cui
Rev 26
79
Le mie memorie
si trovò dopo sposata. Ma, pian piano, si riprendeva. Le scrivevamo spesso
lunghe lettere per poterla consolare e darle coraggio. Un bel giorno ci diede
la notizia che aspettava un bambino. La mamma diceva "Forse questo
l’aiuterà a riprendersi”. E fu proprio così.
Il 6 maggio nacque Fiorella. Nel 1952, Mara venne in vacanza con la piccola
e, con nostra grande sorpresa, ci disse che aspettava un altro bimbo.
L'accogliemmo in casa nostra ed eravamo tanto felici di conoscere Fiorella,
molto carina ed intelligente. Era già la fine di ottobre e lei aspettava il bimbo
per dicembre, ma l'ostetrica disse che il bimbo sarebbe nato prima. E, infatti,
l'11 novembre 1952, nasceva Adriano Jonus. Mia sorella partì il 15 aprile
1953 da Genova con i due bambini per ritornare in Canada. Ma mia sorella
non era più come prima. Nel 1955 ritornò in Italia, Cercava di uscire dalla
sua vita presente, ma non poté mai ritrovare quella di prima. I figli, di
conseguenza, ne soffrivano e crescevano in uno stato d'animo, direi, di
tristezza, rispetto ad altri bambini. Lei usciva al mattino per andare forse in
cerca di qualcosa che potesse farle dimenticare tutto il dolore del suo
passato. Ritornava a casa senza rispettare l’orario del pranzo e strillava alla
mamma o alle sorelle perché facevano mangiare i bambini con loro.
Insomma, la mamma diceva che dovevamo essere molto pazienti con lei
perché i dolori della sua vita l’avevano portata a tale punto. Si trasferì in casa
nostra come fosse la padrona .Mio fratello Ermanno, con la moglie e il
bambino, dovette uscire di casa nostra, senza poter prendere nulla con sè.
Ermanno cercò di prendere la bicicletta ma lei gliela strappò via, dicendo che
quella faceva parte della casa. Da quel momento, nessuno potè prendere
più nulla. Restò tutto a lei. In quel momento, abbiamo capito quanto il suo
tormento avesse sconvolto la sua mente. Tutto questo fu causato dalla sua
Rev 26
80
Le mie memorie
scelta sbagliata di vita. Poteva solo dire "mea culpa". Io ero già in Canada
dal 1953 e ci sono tuttora da 56 anni.
Ritorniamo alla visita di questi due giovani. Lei si chiama Danielle Antoinette
ed il giovane Jean. Volevano sapere da me se ero la zia di Fiorella. Risposi
"Sì sono io, ma voi cosa volete da me?". La ragazza tutta sorridente mi disse
"io sono la figlia di Fiorella". Stralunata, e quasi paralizzata risposi "No, vi
sbagliate, non può essere vero". Incominciarono a farmi vedere tutti i
documenti riguardanti Fiorella, con tante informazioni che non conoscevo
prima ed ero veramente sorpresa. Mi dissero che lei aveva 19 anni quando
nacque la bambina il 17 ottobre 1969 all'ospedale di Toronto. Il marito
divorziò da Fiorella perché non voleva bambini. Fiorella non era preparata al
matrimonio, tanto meno ad allevare un bambino o bambina. La madre non le
insegnò mai nulla della vita e la figlia ne pagò le conseguenze. A me
dispiace tanto. Come deve aver sofferto, senza fare sapere a nessuno cosa
le era capitato. Non era poi la fine del mondo! Bastava una telefonata a me,
che ero la sua zia preferita, e dirmi tutto. Io avrei preso cura di quella piccola
creatura, l'avrei cresciuta per lei con tutto il mio amore, con tutto il conforto e
il calore e avrebbe potuto crescere vicino alla sua mamma che avrebbe
goduto ogni minuto della sua crescita. La bimba, alla nascita, portava il
nome di Fiorella Jonus.
Le ricerche furono difficili perché pensavano che portasse il nome del padre,
Mario Palasciano. La bimba è stata adottata da una buona coppia che l'ha
allevata molto bene. Essi abitavano a Baie D’Urfe, vicino a Beaconsfield
dove noi avevamo il nostro ristorante Tevere. Mentre loro due parlavano, io
tremavo, agitata da questa notizia. Mai in vita mia avrei pensato che Fiorella,
Rev 26
81
Le mie memorie
nel passato, avesse avuto una figlia senza mai farcelo sapere in tutti questi
quarant’anni. Come avrà sofferto, tutta sola, senza confidarsi con nessuno,
neanche col fratello! Ricordo che, quando ritornò in Italia nel 1970, ebbe una
grande depressione. Non si seppe mai per quale causa. Anche il fratello non
seppe mai nulla. Lui, che la curava, mi diceva che la depressione è una
malattia difficile da curare se non se ne conoscono le origini e la causa. Una
ragazza così buona, cara, dovette sopportare tanta pena, lasciando la sua
piccola bambina senza mai più rivederla se non quarant'anni dopo.
Racchiuse dentro di sé un tormento incredibile, che causò la sua malattia,
Ma oggi si può sperare che possa trascorrere ancora molti anni di gioia
meritata dopo aver ritrovato la sua bambina che, quest'anno, il 17 ottobre
2009, festeggerà il suo quarantesimo compleanno. Quanti anni della sua vita
perduti pensando alla sua piccolina senza sapere come e dove era finita, se
abbia sofferto. Insomma, un segreto che le costò tanta pena, tanto dolore.
Ma ora si sono ritrovate e conosciute, mamma e figlia. Questi giovani
parlavano e raccontavano di come sono stati a Reggio Emilia ad incontrare
la mamma di Antoinette. E’stata un'emozione troppo grande da parte di tutte
e due. Ci sono da raccontare quarant'anni di storia che si concluse, tutto
sommato, con un incontro di felicità ben meritata. Da Ginevra, Svizzera,
dove ha vissuto per un paio di anni, la figlia di Fiorella andò in Italia ad
incontrare la madre, per la prima volta. Certamente sarà stato un incontro
molto emozionante. La loro vita oggi è alla base del racconto di un bel libro
di storia di due vite.
Nel rivivere la nostra vita passata, giorno per giorno, solo così si trova il
coraggio e la forza di continuare a pensare al futuro col cuore tranquillo.
Dobbiamo cercare di tramandare tutte le nostre esperienze ai giovani del
Rev 26
82
Le mie memorie
futuro. Loro non capiranno mai come abbiamo potuto vivere nel nostro
mondo così semplice, in condizioni così limitate, ma noi eravamo determinati
a raggiungere un futuro migliore. Avevamo una grande speranza che un
giorno forse si potesse arrivare al futuro senza accorgersi che gli anni
passavano. Ma eravamo felici con poche pretese, intenti solo a comandare
al nostro io di prender possesso del nostro futuro. Per me il futuro è
cominciato nel momento in cui ho toccato la terra di questo straordinario
bellissimo paese che è il Canada. Mai prima d'ora avrei pensato di dover
viaggiare così lontano attraversando l'oceano per cercare il mio futuro. Era
già segnato nel mio destino che benedico e ringrazio per essere stato così
generoso con me. Questa terra mi ha accolto a braccia aperte con la sua
libertà di pensiero, di religione, di espressione. Soprattutto, il rispetto delle
leggi di questo paese, continua a mantenere l'accordo tra la moltitudine delle
razze immigrate. Anch'io sono un’emigrante e sono molto orgogliosa di
essere una cittadina canadese. Ho sempre lavorato, senza pretese senza
mai chiedere al governo cosa poteva fare per me, ma ho scelto la mia strada
dell'onestà e del lavoro ed ho sempre contribuito del mio meglio alla società
con tutto ciò che ho realizzato grazie alle mie capacità e alla mia costanza al
lavoro, che e’ ancor oggi la mia ragione di vita. Grazie Canada di avermi
dato il mio futuro 56 anni fa.
Wanda Cavalli Calcagni
Rev 26
83
Le mie memorie
Rev 26
84
Le mie memorie
Foto di famiglia
Rev 26
85
Le mie memorie
Rev 26
86
Le mie memorie
Rev 26
87
Le mie memorie
Rev 26
88
Le mie memorie
Rev 26
89
Le mie memorie
Rev 26
90
Le mie memorie
Rev 26
91
Le mie memorie
Rev 26
92
Le mie memorie
Rev 26
93
Le mie memorie
Rev 26
94
Le mie memorie
Rev 26
95
Le mie memorie
Rev 26
96
Le mie memorie
Rev 26
97
Le mie memorie
FINE
Rev 26
98
Scarica

LE MIE MEMORIE