WANDA CAVALLI CALCAGNI LE MIE MEMORIE Le mie memorie Rev 26 2 Le mie memorie WANDA CAVALLI CALCAGNI LE MIE MEMORIE Rev 26 3 Le mie memorie Editori: Carla ed Oriano Bellotti Impaginazione: Carla Bellotti Grafica e ricerca: Oriano Bellotti Dal manoscritto di Wanda Cavalli Calcagni Luglio 2008 Stampato il 14 giugno 2009 Rev 26 4 Le mie memorie Carissimi Mario e Grazia Rita, Io e papà abbiamo posato la base del vostro futuro con tutta la nostra vita, con il nostro amore e con tanta passione. Ora resta a voi di continuare a costruire per il resto della vostra vita e della vostra famiglia, finche la vostra vita venga tramandata ai vostri figli ed ai figli loro in futuro. Il nostro ricordo resterà imperituro con tutto l’amore che vi abbiamo dato per tutta la durata della nostra vita. Fate tesoro della nostra vita e della vita che vi abbiamo dato. We always love you ! Papà Giovanni e Mamma Wanda Rev 26 5 Le mie memorie Rev 26 6 Le mie memorie Oggi 23 luglio 2008 Con le qualità e i difetti si nasce. Le memorie vanno custodite come il tesoro più grande della nostra vita dal momento della nostra nascita.I ricordi belli, la felicità, i dispiaceri e le sofferenze, fanno una gran parte della nostra crescita. Basta riuscire a superare tutto con un briciolo di filosofia. Mio padre, Pietro Maria Cavalli, nacque a Salvaterra (comune di Casalgrande), in provincia di Reggio Emilia), il 25 maggio del 1880. Mia madre, Irene Prampolini, nacque il 10 gennaio del 1884. Si sposarono a Salvaterra ed ebbero10 figli: Maria (1904), Armando (1908), Mara (1909), Tina (1911), Valentina (1913), Nello, (1918), Umberta (1922), Wanda (1924), Ermanno (1926) e Danilo (1930). La mia crescita è stata abbastanza bella, tenendo conto che sono stata la più piccola delle sorelle. Da loro ho imparato molto. Certo dalla mamma le cose più importanti, poi pian piano, mentre gli anni passavano, capivo sempre di più, cos’era la vita, nel bene e nel male. Sono nata il 21 marzo, il primo giorno di primavera, era martedì alle 12 di mattina. Mi hanno sempre ricordato, mia mamma e le mie sorelle, che era una bellissima giornata di sole, con tutte le piante fiorite del pesco, dei meli, dei ciliegi, i fiori di mandorlo, le viole nei prati così profumate, insomma proprio come vuole il segno dell'ariete. L’ariete è un segno forte e coraggioso, sempre pronto al rischio, ma anche al positivo. Non mi sono mai pentita in tutto ciò che ho sempre deciso di fare, tutto quello che ho fatto l'ho sempre portato a termine, nel positivo e riuscivo come prevedevo. Rev 26 7 Le mie memorie La mia vita è stata sempre di continuare ad arricchire la mia cultura ed acquistare sempre di più il meglio possibile. Amo me stessa e soprattutto amo il prossimo, amo ogni cosa che c'è sulla terra. Amo leggere molto e stare in compagnia di persone colte, non importa quale sia la loro professione. Non si finisce mai d'imparare. La musica, il commercio, la moda di cui sono molto amante, sono tutte cose che ho proprio di eredità sanguigna. Non importa, quello che intraprendo di fare perché so che lo porterò a termine e lo faccio con cuore e volontà, nulla è difficile per me. Una delle doti che mi è stata concessa dalla nascita è la memoria che mi ha accompagnato e mi accompagna ancora oggi come allora. Ricordo che la mamma diceva sempre che non si può mandare via una persona che chiede l’elemosina, perchè ha fame. A qualsiasi ora che fosse passato un poveretto, lei sarebbe restata senza pane, senza bere o senza il suo piatto di minestra per donarlo a questa persona. Questa è umanità, tendere la mano ed aprire il cuore. Il dare non costa niente, è come il sorriso che ci rende radiosi nel farlo. Nel dare c’è una grande gioia dello spirito, molto maggiore del ricevere, certo quando questo viene fatto col cuore. Non basta aspettare le ricorrenze, gli avvenimenti speciali. Quando le persone vogliono generosamente dare o fare qualcosa per chi ha bisogno, tutti i giorni vanno bene e tutto è gradito nel ricevere. Tutte le volte che ritornavo a Reggio Emilia e incontravo degli amici o persone diverse, mi ricordavano cosa avevo fatto loro per aiutarli in un modo o nell'altro, essendo stata impiegata prima nel municipio della città poi al consorzio di agricoltura e foreste. Rev 26 8 Le mie memorie Ho passato 29 anni a Reggio Emilia e partii per il Canada nel 1953, Oggi sono canadese da 55 anni. Sono molto contenta di me stessa, di avere scoperto quante cose ho nel mio io ancora da fare. Ma il ricordo, o memoria visiva, è rimasto sempre nel mio pensiero. Quando avevo tre anni, la mamma ci portò a vedere una corsa di biciclette nel paesino, quando ad un tratto passò la corsa, io attraversai la strada, fui investita, da mio cugino e di conseguenza, il mio naso quasi rotto. Ho imparato presto le mie responsabilità. Mio padre commerciava il vino e ricordo oggi, così com'era allora, una fila di grosse botti di legno tra le quali noi giocavamo a nasconderci, era per noi un gran divertimento. Mio fratello Ermanno era piccolo ancora, mentre passava vicino al torchio del vino in movimento, cadde e finì con una manina sotto al torchio e si schiacciò il dito mignolo. Ancora visibile oggi. Un altro episodio mi turbò molto. C'era un funerale d’una persona amica di famiglia, entrammo in chiesa ed io guardavo a destra e sinistra, c'era una grande balconata rialzata ai lati, era un po' buio, le candele erano accese, e si sentiva un odore (dell'incenso) che io non conoscevo. Tra il morto, la chiesa buia, l'incenso, dicevo alla mamma "Andiamo fuori". Avevo davvero un senso di paura, ma non so come finì. Questo episodio di essere presente a queste funzioni di mistero, non lo consiglierei a nessun bambino piccolo. Un giorno, mia madre, mentre cambiava mio fratellino, lo fasciava come una mummia, tutto stretto con una grande benda di cotone fatta in casa con il Rev 26 9 Le mie memorie telaio, anche rosa o celeste. Restavano fuori solo le braccia. Il bimbo piangeva e la mamma non capiva il perché, lo coccolava e gli faceva le carezze sulla testina. Ma tutto a un tratto, sentì qualcosa e trovò un ago piantato a fior di pelle, (questo me lo ricordò mia madre) nella testa del bambino. Mi diceva che io saltavo intorno mentre allattava il piccolo e forse io trovai questo ago in qualche posto e lo piantai nella testa al mio fratellino. Forse era a fior di pelle perché era duro di spingerlo più profondo. La mamma diceva che ero proprio birichina. Sono stata precoce nell'apprendere tutto quello che mi è stato insegnato, e, infatti, la mia vita è proprio basata sul mio carattere. Se ripenso qualche volta alla mia tenera età, riesco a ricordare certi particolari che mi sono rimasti impressi l'uno più dell'altro. Un altro ricordo che non ho mai dimenticato: mio fratello Armando aveva un calessino con un bel cavallo bianco. Un giorno disse alla mamma "Stai a vedere come è buono questo cavallino" e mise Ermanno, che aveva forse cinque o sei mesi, dentro la cesta grande del fieno per dar da mangiare al cavallo. La mamma strillava "Non fare questo, è pericoloso", ma mio fratello rideva e diceva "State attenti". Ad un tratto, il cavallo morsicò il fratellino e il cavallo provò a scappare, ma mio fratello lo frustava. La mamma diceva "Il cavallo non ha colpa, sei tu che hai messo il bimbo nella cesta e lui ha morsicato un'orecchia al bimbo". Di corsa dal dottore del paese e ritornò a casa con l'orecchio bendato. È rimasto il segno ancora visibile ora. Ricordo anche che, sarà stato primavera, il frumento era già come un palmo di mano alto, e col vento si muoveva a destra e a sinistra come un'onda del Rev 26 10 Le mie memorie mare e sembrava una grande coperta verde che si muovesse, ma solo il vento lo poteva fare. Forse avevo due o tre anni, per ricordarmi tutto questo. Per me era una cosa straordinaria da guardare. Andavo all'asilo con mia sorella, però lei faceva già la scuola e mi accompagnava. Ogni due passi, lei faceva un saltino che io non riuscivo. Ho imparato a fare, con i ferri, le solette che si attaccavano in fondo alle calze quando erano rotte. La mamma diceva sempre "Non state lì ferme senza far niente, prendete le vostre lenzuola e mettetevi a fare l'orlo a giorno”. Era un bel daffare che non finiva mai, perché, finito uno, lei ce ne dava un altro. Erano lenzuola del nostro corredo, per quando ci fossimo sposate. Tutto quello che imparavamo, la mamma diceva che, un giorno, lo avremmo anche noi insegnato alle nostre figlie. Anche questo fu verissimo, perché anch'io l’ho insegnato a mia figlia, Grazia Rita. Mia sorella Umberta era timida e io le facevo molto coraggio, quando c'era da prendere una sculacciata, andavo avanti io, così lei passava senza essere toccata. Questo era papà, perché la mamma non ci ha mai toccato. Volevo molto bene a tutti, ma a mia sorella Umberta di più, perché eravamo vicine di età e giocavamo bene assieme. Dalla mia memoria, voglio invece ricordarmi le belle serate che le mie sorelle preparavano per le festività Natalizie. La casa era grande, c'era un grande salone al piano di sopra e, uscendo fuori, un grande terrazzo dove si metteva ad asciugare le croste del vino su una coperta. La decorazione era bellissima, ricordo i quattro alberi di Natale: uno per ogni angolo, pieni di gianduia, caramelle, mandarini e piccoli torroncini. Nella casa c'era sempre Rev 26 11 Le mie memorie un profumo di mandarini, perché la mamma metteva sulla stufa la pelle dei mandarini dopo mangiato e questo dava una sensazione davvero di Natale. L'atmosfera era allegra e mi rimase così tanto impressa che, se chiudo gli occhi, mi vedo correre su e giù per casa per quanto ero felice. Le mie sorelle vestivano sempre con bei vestiti eleganti, allora erano di moda corti fino al ginocchio. La casa era sempre piena di vita, di festa e di musica. Non solo per Natale ma anche in altri momenti. Mio padre, oltre che a commerciare il vino, aveva anche la passione di suonare. Lui suonava il violoncello, con quella punta in fondo appoggiata a terra e ogni tanto lo faceva girare. C'era sempre allegria in casa perché papà faceva venire l'orchestra al completo per praticare. Molto spesso, venivano a fare le serenate alle mie sorelle. Accendevamo le luci e poi le spegnevamo per far sapere che eravamo sveglie e così l'orchestra suonava della bella musica. A me, anche se ero piccola, piaceva “Laggiù nell'Arizona”, “Parlami d'amore Mariù”, “Balocchi e Profumi”; poi, dopo aver suonate cinque o sei canzoni, dicevano buona notte. Questo era negli anni 1928, 1929, 1930. Quando c'erano le serate da ballo, invitavano tanti amici e amiche. Io andavo di sopra per vedere e sentire suonare e loro mi dicevano: “Vai via”. Io andavo un po' e poi ritornavo; insomma. non mi volevano fra i piedi. Crescendo, capivo sempre di più il perché. Questa era l'allegria in casa nostra, che poi si tramandò tutta la nostra vita, da figlio a figlio o da figlia a figlia. Papà, nel 1930, fece fallimento, causato dal grande gelo nel 1929, perdendo casa, proprietà e tutto quanto, perché egli si fidava di tutti gli amici. Così un bel giorno, chiesero di garantire delle cambiali ed erano parecchie e non Rev 26 12 Le mie memorie poté sopportare tutti i pagamenti e fece fallimento. Ci trasferimmo dalla periferia alla città, sempre di Reggio Emilia. Affittarono un appartamento nel 1930, ma così in fretta che appena ci si muoveva. Io, mia sorella Umberta e mio fratello Ermanno, andammo alla scuola di San Pellegrino a Porta Castello per due anni. Umberta frequentava la terza, io la prima e Ermanno l'asilo. Le mie sorelle trovarono subito lavoro presso la fabbrica degli aeroplani, mio fratello Armando fece l'autista per trasportare le grandi cisterne di melassa o benzina o acidi e mamma stava tutta notte in pensiero. Quando arrivava a casa dai suoi viaggi, la mamma ci svegliava tutte noi sorelle per preparare la cena e il cambio della biancheria in tanto che lui potesse dormire qualche ora. Poi ripartiva per tutti i suoi viaggi in Italia. Tina e Valentina lavoravano e studiavano per analiste chimiche. Mara fece un corso di tagliatrice di modelli a Milano (in definitiva, però, non riuscì a realizzare niente nella sua vita anche se si laureò in legge a tarda età), perciò non voleva fare nessun lavoro manuale per non rovinarsi le mani perché insegnava il taglio dei modelli. Nello aiutava papà. Ci trasferimmo in una casa completa con cinque camere, cucina, sala da pranzo e bagno. Era l'anno 1934. La casa era in via Brigata Reggio, al numero 8, proprio vicino al consorzio del parmigiano reggiano, con un grande terreno. Mio padre fece un grande orto e un frutteto, perché lui si trastullava a fare gli innesti di diverse qualità di frutti nella stessa pianta. Insomma aveva trovato il suo mondo. Noi, quasi tutti i giorni, andavamo vicino al recinto del consorzio ad aspettare che gli operai portassero fuori i ritagli del formaggio fresco che si chiamava "Tusoun", prima che lo Rev 26 13 Le mie memorie mettessero sotto sale. Noi, tutti contenti, ce lo divoravamo: era così buono! Ricordo molto bene che ogni sera si vedeva una fila di contadini che portavano il latte nei piccoli o grandi contenitori che pesavano ed avevano un libretto dove annotare il peso. La stessa cosa ogni mattina. Perciò questi particolari fanno parte della nostra crescita. La mattina mettevano il latte in queste enormi vasche rettangolari, quello della sera restava tutta la notte in riposo, così tutta la crema veniva in superficie e al mattino toglievano la crema per fare il burro, poi bollivano il latte della sera e del mattino per fare il formaggio parmigiano reggiano. Noi piccoli eravamo meravigliati da come usciva il formaggio. Cambiai scuola e feci presto ad abituarmi. La scuola della nostra zona si chiamava Scuola di via Guasco, perciò per un anno sono andata lì. Era molto vicino a casa, poi l'anno dopo, una legge nuova ci trasferì alla scuola della Concessione, vicino al teatro municipale. Senza problemi, portavo il mio fratellino Danilo alla materna (che poi era l'asilo), poi andavo a scuola e mamma o mio fratello Ermanno andavano a riprenderlo. Prima le scuole erano con maschi e femmine separati. Ermanno e Danilo andavano a scuola di musica all’Achille Peri. La mamma li accompagnava e, quando se n'andava, loro uscivano a giocare nei giardini. "Erano birboni", diceva mamma. Poi li hanno iscritti alla scuola Cantorum del teatro municipale. Cantavano nel coro del teatro quando c'era la stagione lirica e tutte le opere le conoscevano e quando loro cantavano, le loro voci si sentivano bene perché cantavano su chiave alta. Poi cantavano nelle chiese e non li pagavano. Non solo, quando la Messa era finita, raccontavano che i preti andavano a pranzo con ogni ben di Dio a tavola, ma ai bambini davano un panino asciutto col salame,sotto ad un albero. Allora hanno capito chi Rev 26 14 Le mie memorie erano i preti e non sono andati più. Però hanno sempre continuato a cantare con il teatro municipale alla stagione lirica. Avevano una bella voce ed hanno continuato a cantare per molto tempo. Quando io sposai Giovanni nel 1958 in Canada, mio fratello Ermanno incise un disco per me a Milano e me lo mandò come suo regalo: da una parte parlava a me e a mio marito e dall'altra parte cantò la canzone "Sposi". Per me, ciò che ho provato non lo posso descrivere (come ho già scritto nella storia che è stata pubblicata nel 1997 a Reggio Emilia "La mia vita in Canada"). Mio fratello Nello andava a scuola di musica, per suonare il violino. Ma un bel giorno mio padre si arrabbiò con lui perché suonava senza lo spartito musicale. Lo ascoltava con tanta pazienza, ma poi scattò di nervi, prese il violino dalle sue mani e glielo ruppe in terra. Così non ha voluto ascoltarlo più e Nello ha perduto il violino. Ma Nello si presentò ad un'orchestra che conosceva bene e gli fecero subito suonare la batteria, e le persone nella sala da ballo impazzivano, tanto che questa sala faceva sempre il pieno tutte le serate. Lo pagavano bene e lui era contento. Suonava tutti gli strumenti, era proprio nato per la musica. Era diventato così popolare che le ragazze gli facevano la corte. Tutti ne parlavano a mio padre e gli dicevano che Nello suonava benissimo, tanto che, una sera, andò per ascoltarlo senza farsi vedere e poi ritornò a casa, tutto contento. (Forse ha capito e si è pentito di avergli rotto il violino). Qualcuno disse a Nello: "Fuori c'è tuo padre", ma lui era già partito quando mio fratello uscì a cercarlo. Nello portava sempre con sé le sorelle perché loro entravano senza pagare, aveva già stipulato ciò con il padrone della sala. Rev 26 15 Le mie memorie Tante volte veniva a fare le serenate a noi sorelle con tutta l'orchestra. Le persone delle villette vicino stavano alla finestra a sentire: andava di moda così a quei tempi. Quando corteggiavano una ragazza, pagavano i suonatori per fare la serenata. Mio fratello era molto bello, ma era il suo carattere che lo completava in tutto. Un giorno ci disse che usciva con una ragazza e che le piaceva molto. Era l'anno 1938. È diventata una cosa seria, tanto che, un giorno, ci disse che la ragazza aspettava un bambino. Figuriamoci la mamma come gli strillava: "Proprio adesso che devi andare a fare il soldato" così lei diceva "Ma ormai non ti resta che sposarti subito, prima di partire". Infatti, in un mese si sposarono e poi mio fratello partì per militare di leva e fu mandato a Pordenone nel Friuli nel 1938. Veniva qualche volta in licenza e ripartiva. La moglie Oriele viveva con noi. In aprile 1939 nacque la bambina e la chiamarono Luciana. Mio fratello venne in licenza di due giorni. Era già estate, poi ritornò in licenza un'altra volta per tre giorni, così è potuto stare vicino alla moglie e alla piccolina così bella. Poi fu spedito subito in Russia. Luciana è stata la nostra prima nipotina. Cresceva molto bene e un bel giorno,verso la fine del 1939, mia cognata ci disse che voleva portare la piccola dai suoi genitori, perché avrebbe cercato un lavoro. Però, la ragione vera, era quella di allontanarsi da noi familiari ed essere libera, nel modo che voleva. A noi dispiacque molto, avendo portato via dalla nostra casa la piccolina che, guardandola, ci dava tanto conforto. Ben presto lei partì per la Svizzera. Fece un corso da infermiera e si stabilì per sempre là. Luciana, crescendo, veniva sempre a trovarci perché sapeva quanto bene le Rev 26 16 Le mie memorie volevamo, Noi eravamo una grande famiglia e lei era sola con i nonni, una zia e uno zio. Ancora oggi il nostro affetto per lei non è mutato, anzi le vogliamo più bene di prima, perché lei continua la vita che le ha dato il padre. Questa bambina ha sofferto tanto per la mancanza della mamma così lontana da lei. Possiamo anche dire che l'hanno cresciuta i nonni. La mamma sua si sposò in Svizzera ed ha avuto un altro figlio e un'altra figlia. Ma, alla figlia ormai lontana, le ha fatto mancare l'amore di mamma. La piccola cresceva bene ed era esattamente il padre in persona. Noi le abbiamo sempre raccontato cosa faceva il padre da piccolo, delle birichinate che faceva e anche delle belle cose: che gli piaceva tanto la musica e il bene che le voleva, e lei ascoltava sempre volentieri quando parlavamo di lui. Purtroppo il destino ha voluto così. Luciana sposò nel 1963 in aprile ed io dal Canada con mio figlio Mario, che aveva due anni, eravamo presenti al suo matrimonio. Ha un bravo marito di nome Franco Romani (il primo amore della sua vita) e hanno un figlio di nome Federico. Certi giorni è un po' triste ripensando alla sua vita lontano dalla mamma, ma è comprensibile che lei cerchi una ragione di come una mamma possa allontanarsi da una figlia così piccola e perché se ne sia andata via!... questa è una risposta che non la saprà mai ma la tormenta tanto. Io posso trovare questa ragione: non è stato altro che la colpa della guerra... questa tremenda guerra che ha causato dentro ad ognuno di noi tanto dolore e tanto malessere. Siamo dei sopravvissuti della guerra. Il padre fu tra i dispersi di guerra, quindi non si può neanche andare al cimitero a portargli dei fiori. Questo è anche la parte più triste. Ci sono dei cimiteri militari con i nomi dei caduti di guerra, ma non è la stessa cosa. Rev 26 17 Le mie memorie È stato costruito a Cargnacco nel Friuli un grande mausoleo per i caduti in Russia della guerra 1940-45. Questi giovani soldati, partiti senza essere preparati ad una guerra, contro i soldati russi e contro il grande freddo, senza avere indumenti necessari per affrontare 40° sotto zero. Cosa potevano sapere loro della guerra, quando non avevano ancora imparato ad usare un fucile! Cosa ne sapevano della Russia, del grande freddo che avrebbero affrontato senza pietà? Ma i grandi capi, senza coscienza, firmarono i patti, credendo di essere superiori ai russi. Ed i giovani hanno pagato con la loro vita per questo patto infame. Ancora oggi i grandi capi non hanno capito che le guerre portano solo la perdita di tante vite giovani, nel fiore degli anni, e per che cosa? Per essere l’uno superiore all'altro. Imbecilli, dovevano andare loro a provare cos'è la guerra, i bombardamenti e le distruzioni di vite umane, di case, di economie, portando solo il lutto a migliaia di famiglie che ancora piangono i loro cari, dispersi così lontani. Gli americani ci hanno liberati, è vero, ma a qual prezzo! Dopo cinque anni di guerra sotto ai bombardamenti ed essere ancora col cervello a posto! Figuriamoci i nostri soldati, abbandonati dalla difesa del governo, che si sono trovati a dire "Si salvi chi può"! La loro fine non la sapremo mai. Nello non lo abbiamo visto più. Lui scriveva tutti i giorni alla moglie. Era sempre pieno di vita, prima di partire per il militare, era così frenetico che chiunque stava vicino a lui, gli trasmetteva proprio la voglia di vivere. Era molto umano e ci voleva tanto bene, ci ha sempre incluso nella sua vita. A volte, quando non aveva più soldi, veniva vicino a me o alla mamma, ci abbracciava e diceva: "Avete per caso 100 lire? Devo comprare cinque o sei caramelle e una sigaretta". Lui era l'unico che fumava, forse, due o tre sigarette al giorno, perché costavano troppo, ma, nel modo con cui lo Rev 26 18 Le mie memorie chiedeva, valeva la pena dargliele. Quando finiva di suonare, diceva alle mie sorelle: "Io vado a casa in bicicletta e faccio l'impasto dello gnocco, così quando arrivate lo friggete". Poi si alzava la mamma e si ascoltavano tutti i commenti che raccontavano e si mangiava lo gnocco fritto, poi a letto. Che bei tempi! Davvero non ritornano più, però li portiamo nel cuore e nella nostra memoria. Qualche volta è bello lasciarsi abbandonare a questi indimenticabili ricordi, perché ci aiutano a vivere, a superare ogni gravità che si possa presentare. Tante volte la domenica si andava su in montagna a San Polo d’Enza o Ciano con un trenino lento come una lumaca, ma era divertente; allora lui invitava la sua ragazza Oriele e tanti amici ed in modo particolare l'orchestra. Due di loro si mettevano alle porte d'una carrozza del treno e, a chiunque volesse salire, loro dicevano: "È tutto pieno ". Così tutti i suoi amici, l'orchestra e via via, potevano suonare e divertirsi fino all'arrivo. Ma il più bello stava l'arrivo. Cominciavano a suonare, poi si camminava verso la montagna. Prima di andare sulla montagna, andava in cucina dalla cuoca e comandava un bel pranzo per l'una del pomeriggio. Al ritorno si mangiava. Ogni tanto, fra una portata e l'altra, suonavano: era un'allegria così bella che non si può dimenticare. A quei tempi suonavano musica bella, con parole romantiche. A me piaceva molto la canzone "Mia piccola Butterfly". O mia piccola Butterfly lo so, non ti scorderai di me del mio amor.,, O mia piccola Butterfly i baci ritroverai perché tornerò... Quando le stelle Rev 26 19 Le mie memorie ritorneranno a brillar guardando quelle noi ci potremo incontrar… O mia piccola Butterfly un giorno mi rivedrai sul mar ritornar… Era sempre allegro e teneva su il morale a tutti. Era l'anno 1938. Ma tutti questi momenti non ritorneranno più, come Nello non è ritornato più anche lui fra noi. Questa lunga agonia d'attesa non si spegneva in noi, anzi, per tanti anni durò finché dai nostri occhi non uscivano più lacrime. Dalla Russia ci scriveva molto spesso e diceva sempre che stava bene e sperava di rivederci presto. Ci mandava parecchie foto, in una suonava il violino e in un'altra suonava la balalaika coi suoi amici. Queste foto le ho conservate come un tesoro nei miei album di fotografie. La guerra non era ancora incominciata seriamente. Ma, poi, le sue lettere si facevano sempre più rare. La guerra è incominciata. Nel 1940 i nostri soldati italiani erano sul fronte di guerra insieme ai tedeschi. Nel 1942 c'è stata una grande battaglia sul Don (grande fiume famoso) ed era dicembre: i soldati italiani e tedeschi in ritirata. I soldati italiani stavano già sul treno per ritornare e ci spedì una cartolina dove diceva: "Sono sul treno e non posso credere che tra poco sarò tra di voi" quando ad un tratto i tedeschi li fecero scendere tutti per salire loro, così non si è più saputo nulla. Ma la battaglia continuava sempre più forte e chissà cosa sia successo di lui... Le forze militari italiane e tedesche perdettero la battaglia e scappavano per potersi salvare loro. Tutti i giorni, si aspettava il postino per avere notizie di lui, ogni giorno che passava erano solo lacrime e tristezza. In una sua ultima Rev 26 20 Le mie memorie lettera ci diceva: "Se dovesse succedere il peggio, non state in pensiero che io sarò al salvo". Aveva conosciuto una famiglia russa di brava gente e pensavamo: "Forse si rifugerà da lo. Tutti i giorni, si viveva solo nella speranza che ritornasse a casa, invece passavano gli anni, sempre con un grande dolore al cuore. Continuammo a vivere nell’attesa che lui potesse ritornare a casa, tanto che la mamma, per tantissimo tempo, risparmiava dalla cena o dal pranzo il mangiare per lui, in caso fosse arrivato. Quanto dolore c'era in casa! Ma lui non ritornò mai più. Mentre scrivo ho il cuore gonfio di lacrime ancor oggi e per sempre finché vivrò. Questo fu il più grande dolore della nostra famiglia, non eravamo più 10 fratelli e sorelle. Il destino ha voluto così. Noi intanto eravamo ancora in città sotto al terrore della guerra. A bombardare non venivano di giorno, ma di notte. Di giorno venivano a spezzonare. Io e mia sorella, una domenica che restò in città, andammo a Messa nella chiesa della Ghiara, bellissima grande chiesa. Mentre uscivamo a messa finita, erano circa le ore 12:30, la grande lunga strada di corso Garibaldi era già gremita di persone. Qualcuno si fermò a salutare gli amici, anche mia sorella ed io salutavamo gli amici, senza andare di fretta, quando ad un tratto suona l'allarme, ma, come tante volte, non fu soltanto un avviso, ecco sopra di noi questi grandi bolidi che sganciano gli spezzoni a grande velocità. Mia sorella ed io eravamo tra la chiesa e i portici e, fortunatamente, le colonne dei portici sono abbastanza larghe, ci riparammo tra quelle. Purtroppo, fra l'allarme e l'arrivo dei bombardieri non c'era tanto tempo per fuggire. I negozi sotto i portici erano tutti chiusi, perciò, di quelli che erano a strada scoperta, non si è salvato nessuno. Gli spezzoni che hanno lanciato erano in totale 80 tonnellate. I nostri amici, Paolo Sergio Sasso (22 anni) e la Rev 26 21 Le mie memorie sorella, come tanti altri, li abbiamo visti aggrappati al muro di fronte a noi. Che orrore, che tragedia vedere dal vero questi momenti così toccanti. Mia sorella ed io ci siamo sedute sui gradini della chiesa dopo aver assistito a questo trucidare di vittime. Piangevamo, disperate, piene di paura e di dolore, senza avere più la forza di alzarci e camminare. Siamo rimaste così, per parecchio tempo. Nel frattempo, arrivò, tirato da cavalli, un lungo carro di campagna, e, senza essere protetto da qualche coperta, caricarono queste vittime come fossero pezzi di carne da macello, uno sopra l'altro come una cupola e, mentre questo carro camminava, il sangue sgocciolava. Che disperazione! Uno spavento da non dimenticare mai. In quel carro non ci stavano tutte le vittime, poi arrivarono altri carri. Le vittime erano tutte carbonizzate da non poterle riconoscere. Ci dissero che sarebbero state portate al cimitero grande della città. Mia sorella ed io andammo a casa, papà stava in pensiero perché non ci vedeva arrivare. Non potevamo mangiare, ci riposammo un po', poi andammo al cimitero, per poter vedere i nostri amici. Incominciammo a scoprire una cassa di legno appena appoggiata, poi un'altra, un'altra ancora, ma era troppo spaventoso e le vittime erano irriconoscibili. Mia sorella è quasi svenuta, si è seduta a terra, io provai a scoprire qualche altra cassa, poi anch'io dovetti fermarmi, perché mi sentivo male. I familiari di qualcuno strillavano, una strage vera e propria. Tutte queste stragi non si devono ripetere mai più. Si cercava di scappare da una parte o dall'altra, ma il nostro destino era già segnato. Forse di lassù c'era qualcuno che pregava per noi. Ripensando a quei momenti, mi chiedo come abbiamo potuto trovare il coraggio della sopravvivenza in mezzo a tanto terrore. Rev 26 22 Le mie memorie L'8 settembre, mio fratello Armando arrivò a casa dalla Jugoslavia (o Croazia) a piedi e con mezzi di fortuna. Il governo italiano cadde e tutti i soldati scapparono dalle caserme e si diedero tutti a nascondersi sulle montagne e nelle campagne. Armando aveva i piedi pieni di cicatrici che sanguinavano, chissà quanto male aveva, ma non diceva mai che aveva male. Si rifugiò dalla fidanzata, perché avevano tanti poderi con tanti posti segreti e lì si nascondeva, quindi noi stavamo tranquilli. Mia sorella ed io lo curammo subito, prima con acqua calda poi con vaselina per una settimana. Quando gli guarirono i piedi, Armando si mise in bicicletta e, arrivato a Codemondo, rimase là fino alla fine della guerra. In quei giorni ci fu l'assalto alle caserme militari. Tante persone correvano a portar via tutto quello che c'era dentro. Vedemmo una persona passare davanti a casa, con una forma completa di parmigiano reggiano. Mia sorella Umberta , un'amica (Chiarina Bedogni) ed io andammo a vedere cosa potevamo prendere. Ma, non conoscendo la caserma, non sapevamo in quale reparto andare. Ci trovammo in un reparto di biancheria. Prendemmo alcuni pacchi di mutande lunghe e ci accorgemmo che erano rotte. Era il reparto di indumenti vecchi. Così continuammo ad andare da un reparto all'altro, finché finimmo al reparto meccanico. Ci sedemmo un po' per riposarci e finimmo col prendere dei cacciaviti, delle pinze, ma erano troppo pesanti. Quante risate facemmo quel giorno, a squarciagola. Ne avevamo proprio bisogno. Fu davvero un'avventura! Io, quando ritornavo dalla scuola, strada facendo, memorizzavo la lezione o le poesie (così avevo più tempo per giocare nel giardino). La mamma mi diceva"Prima studia e poi vai fuori" subito le dicevo: "Ho già studiato per la Rev 26 23 Le mie memorie strada". E lei diceva: "Non dire le bugie". Allora io prendevo il libro e glielo davo da seguirmi e lei restava senza parole. Che strane strane cose fa la memoria! Non pensavo quante cose può fare il Signore di lassù. Apre tante porte e non rimane che scegliere la migliore. Mentre venivo a casa dalla scuola, a volte, guardavo ai lati della strada che fiancheggia il fiume Crostolo intorno alla città. Trovavo,mentre camminavo, tanti quadrifogli, a volte ne facevo dei mazzetti che ho conservato nei miei libri (oggi li ha mia figlia). Dicono che i quadrifogli portano fortuna. Nel mio caso posso confermarlo. Se passava un'automobile, sollevava un polverone da farmi soffocare. Le strade non erano asfaltate e dai lati c'era l'erba anche dalla parte del fiume. I miei occhi vedevano i quadrifogli in uno sguardo solo. Vorrei solo poter ritornare indietro ed essere spensierata, piena di speranze per il futuro e senza pretese. Ci bastava un piccolo gelatino da pochi soldi per essere felici e si leccava, strada facendo, fino a che si arrivava alla fine del cornetto. Che bei tempi! C'era anche una canzone a quei tempi che si intitolava "Canzone da due soldi" molto bella. Vi sarete accorti, dal mio racconto, che amo molto la musica. Anch’io cantavo ed avevo una bella voce, fino a qualche anno fa. Quando il fiume andava in piena dalla grande pioggia che scendeva dalle montagne, avevo un po' paura, allora mio padre mi veniva incontro, anche perché c'erano le luci, ad ogni tanta distanza. Come pure quando veniva l'autunno e faceva buio presto, noi uscivamo alle 4:30 da scuola. Poi, con la nebbia fitta fitta, che non vedevi dove andavi, ad ogni tanto papà mi chiamava, per farsi sentire, ed io rispondevo in distanza. Anche questi ricordi Rev 26 24 Le mie memorie sono importanti, perché, anche allora, si sentivano dei casi di uomini che facevano brutti gesti osceni. La scuola mi piaceva molto e imparavo tutto facilmente, grazie alla mia memoria. Ero già alla quarta elementare e quell'anno c'era la possibilità, se uno voleva, di dare un esame d'ammissione e la maestra ha detto alla mamma che ero pronta per l'esame. Ciò voleva dire che, dalla quarta, potevo andare in prima superiore, senza fare la quinta. Mi iscrissi subito per gli esami e mi preparai bene. Il giorno dell'esame, con la mia cara amica Anna Vignali, (che poi più tardi divenne Miss Italia, era anche molto bella) tremavamo di paura degli esami. Io sono stata la prima ad essere chiamata. Entrai, molto calma, mi fecero sedere, mi chiesero qualcosa, come dove abitavo, per farmi sentire più a mio agio e poi mi fecero una domanda: "Che cos'è l'ordine, come lo spieghi?". Attesi un attimo, per concentrarmi e risposi con tutta la mia fermezza "L'ordine è ogni cosa al proprio posto". Si guardarono tutti e quattro, e poi mi dissero "Vai pure!". Io pensai subito: "Non sarò promossa". Invece fui promossa in pieno. Nell’ autunno incominciai la prima superiore alla scuola professionale che era molto vicino alla nostra casa. Mi piaceva molto, studiavo italiano, francese, e amavo molto l'economia domestica, perché si imparava a fare tutto, da mangiare, stirare e tante altre cose. Mi sono appassionata, tanto che, alla domenica, dicevo alla mamma che volevo fare la cena. Riuscii sempre tutto bene. Le mie amiche venivano a chiamarmi per uscire a passeggiare in città, ma la mamma diceva: "Non credo che voglia uscire, stà in cucina". Penso di aver proprio espresso la mia passione per la cucina a quei tempi: avevo 11 anni. Rev 26 25 Le mie memorie Amavo tutte le professoresse ed erano molto severe. Io studiavo senza fatica. Ero anche molto brava nella ginnastica; quando si trattava di correre, ero sempre tra le prime o seconde. Alla seconda superiore, la mia professoressa d'italiano (signorina Greco) mi chiese se volessi partecipare al concorso di recitazione che si sarebbe tenuto all’Ariosto, il secondo grande teatro della città. Mi disse pure "C'è anche un premio di 5.000 lire, più la cassettina di risparmio della banca". Accettai volentieri, sapendo che se la professoressa d'italiano me lo consigliava, aveva fiducia in me. Mi preparai bene, come mi ha sempre insegnato, con tanti segreti della recitazione. Mi disse "Studia bene la poesia del Carducci e sono sicura di te". Fui chiamata terza a recitare. Questa era la poesia: "Pianto antico" di Giosuè Carducci. L'albero a cui tendevi la pargoletta mano, il verde melograno da' bei vermigli fior, nel muto orto solingo rinverdì tutto or ora, e giugno lo ristora di luce e di calor. Tu fior de la mia pianta percossa e inaridita, tu de l'inutil vita estremo unico fior, sei ne la terra fredda, sei ne la terra negra né il sol più ti rallegra né ti risveglia amor. Ho preso il primo premio e tanti applausi dal pubblico. Uscii dal palco, dopo Rev 26 26 Le mie memorie qualche attimo, ritornai indietro e tanti applausi ancora e mi diedero la cassettina ed un certificato che, con l'andare avanti indietro con gli sfollamenti, si è perduto non so come. Queste occasioni erano belle e mi davano sempre più la motivazione di studiare. Ho sempre studiato con tanta passione e mi hanno sempre detto che, delle sei sorelle, ero la più tenace per raggiungere quello che mi proponevo di fare. Oggi sono molto contenta di lasciare ai miei figli quest'eredità di costanza e coraggio, con la speranza che sia per loro un incitamento a raggiungere tutto quello che vogliono nella loro vita. Finii la scuola superiore nel 1937-38, e, durante l'estate, mi mandarono a fare la bambinaia a Bologna per la signora Magda Spagni (lei veniva da famiglia ricca, il marito era siciliano, si chiamava Valenti, lei non era una bellezza, lui invece era alto coi baffi, più bello). La piccola bambina aveva un anno e mezzo, si chiamava Rosalia. La signora aspettava il secondo bambino, poi è nata però un'altra bambina (mi sfugge il nome). Andavo tutti i giorni al giardino, che si chiamava Saragozza. L'altro grande giardino si chiamava la Montagnola perché era situato un po' più in alto della stazione centrale di Bologna. Percorrevo la via Ugo Bassi, dove abitavano i signori al numero 11, e poi via Indipendenza fino alla stazione e andavo un po' su, ai giardini. Spingevo la carrozzella un po' e, a una certa ora stabilita, ritornavo. Mi regalarono un bellissimo orologio d'argento perché io non l'avevo. Mi alzavo, mi lavavo, mi vestivo, davo la colazione alla bambina, poi mangiavo io il caffelatte. Vestivo la piccolina con i vestiti che la signora mi preparava e uscivo ai giardini. Rev 26 27 Le mie memorie Avevano la donna di servizio, che si chiamava Adele ed era di Parma. Lei pensava a fare le pulizie e il mangiare. Era un po' anziana, ma io l'aiutavo, facevo i piatti, li asciugavo, insomma l'ho aiutata tanto e seguivo come cucinava. Era molto brava, vedevo quando faceva le lasagne verdi. È stata una buona esperienza per me nella mia crescita. Avevo solo 13 anni. Ho fatto quello per tre anni. Poi continuai la scuola. Durante l'estate, stavo a Bologna ed avevo due bambine da guardare. Una sulla carrozzella e l'altra stretta alla mia mano. Ero molto responsabile di quello che facevo. Mi sedevo su una panchina all'ombra del giardino, allora erano molto puliti e belli. A volte, veniva la signora a piedi, poi ritornava con me. Quello è ciò che feci per diverse estati. Nell'estate si andava anche sulle montagne del modenese (Pavullo del Frignano) per tre mesi. Era molto bello, con tanto verde, tante pinete, si stava molto bene. La signora mi voleva bene e mi faceva fare dalla sarta tanti bei vestiti su misura. Ho tante fotografie come ricordi. Nella primavera del 1940, a giugno, ero già andata a Bologna per l'estate, le scuole erano finite, quando alla radio c'era il discorso di Mussolini che dichiarava la guerra alla Russia. Tutto un movimento di persone, perché la guerra non è una cosa molto bella, perciò tutti a preoccuparci di cosa sarebbe successo. Durante l'estate hanno incominciato le sirene di pericolo e si doveva correre al di sotto dei palazzi come rifugio. Allora avevo proprio paura. Quindi i miei genitori mi pregarono di ritornare subito a casa col treno. Mi sono scusata e sono partita. Arrivata a casa ero felice. Quando, un giorno, la signora Magda Spagni venne a casa in macchina e parlò con i miei genitori e chiese se potevo andare con loro nella sua villa paterna in Rev 26 28 Le mie memorie campagna, villa Sesso, in provincia di Reggio Emilia. Fui di nuovo con loro, ma stavo molto bene, quindi trascorsi un altro po' di tempo con loro, ma poi dovevo studiare e non potei più. La guerra ormai si faceva sentire bene. Tutto razionato: pane, pasta, olio, zucchero e via, via quasi ogni cosa. Finii la scuola nel 1942 ma poi il pericolo si faceva sentire tutte le sere. Si correva a destra e a sinistra, in mezzo ai campi e si ritornava a casa. Dopo un'ora, di nuovo le sirene e via a scappare di nuovo nei campi; cessavano le sirene e si ritornava a casa. Nel 1942 suonò l'allarme e noi tutti a correre nel nostro rifugio che papà aveva costruito e coperto con le traversine di legno della ferrovia poi coperto di terra e seminato l'erba sopra. Papà diceva "Sbrigatevi e correte nel rifugio perché, con le luci dei Bengala, si vede come di giorno". Tutti lì sotto ed ecco, pian piano si sentivano questi grandi bolidi che arrivavano e diceva "State lì sotto, ci guardo io quando arrivano, se gettano le bombe prima di essere sopra di noi, allora saremmo stati in pericolo, ma quando arrivano sopra noi il pericolo è passato". Il nostro cagnolino Boby si fece pipì addosso e tremava tanto, poverino. Noi pensavamo alla povera gente che era stata colpita. Questo è stato il primo bombardamento del 1942. Papà diceva che loro nella guerra del 1915-18 si nascondevano nelle trincee, (che poi erano dei grandi fossi profondi) per difendersi dalle schegge dei fucili. Allora non esistevano i bombardamenti e perciò neanche lui conosceva questo. Papà è stato decorato al valor militare tre volte, con tre medaglie: una croce e due medaglie con un nastro grande due dita e lungo, di colore rosso blu e giallo e che reggeva le medaglie, che lui aveva messo Rev 26 29 Le mie memorie in un quadro col vetro. Però, che fine hanno fatto non si sa. La guerra continuava a farsi sentire con bombardamenti a Reggio Emilia, Modena, Bologna. Pensavamo proprio di non riuscire a sopravvivere. Per cinque anni, quando suonava l'allarme, si scappava in una stalla del contadino, quando era inverno. All'inizio dei bombardamenti, quasi tutte le sere, si scappava. Ricordo che ognuno aveva un compito di cosa portare con sé: mio fratello Ermanno era sempre il primo in bicicletta e con sé portava alcune cose, io portavo le mie nuove scarpe e il pane, mia sorella Umberta il prosciutto. Insomma, chi aveva i bigodini nei capelli, chi la crema che si chiamava Biancardi, e quando entravamo nella stalla, ci chiamavamo mascherine. Una notte, non abbiamo fatto in tempo a correre nella stalla e ci nascondemmo nei campi. Ad un bel momento si sentirono gli aerei arrivare e vedemmo le bombe cadere a grappoli. Hanno centrato la ferrovia, di conseguenza la casa dei contadini e la stalla si salvarano dal bombardamento. Il giorno dopo, sapemmo tutto ciò che era successo e dove. Noi, in mezzo ai campi, sentivamo come un terremoto ed eravamo molto vicini. Una paura che non si può dimenticare. Ci chiedevamo "Come mai noi siamo stati salvati da quelle bombe?". I buchi lasciati dalle bombe erano tanto grandi che hanno deviato il fiume chiamato Crostolo che gira tutto intorno alla città. Quanti terribili episodi di guerra abbiamo trascorsi in quei cinque anni! Ma ridavano sempre il coraggio di continuare a vivere. Il giorno dopo sfollammo tutti dalla città. Ci trasferimmo fuori, in campagna, a 23 km di distanza, con Rev 26 30 Le mie memorie dei nostri amici e parenti. Restammo là fino alla fine della guerra, le mie sorelle Tina e Valentina (la mamma di Luciano) ed io. Ogni volta che passava un aeroplano, il bimbo diceva "Zie, pregate" e si aggrappava, tremando. Questo fu per lui un grande trauma che è durato per tanto tempo, prima che ritornasse alla vita normale. Intanto venne il 25 luglio del 1943 ed in quell’occasione tutti i soldati scapparono ed i rastrellamenti antifascisti cominciarono. Una sera, mentre noi tutti ed i contadini eravamo nella stalla, entrarono due uomini, camuffati per non farsi riconoscere, e chiesero di mio fratello Ermanno. Lo presero e lo portarono alla Veggia, un paese vicino a 4 o 5 kilometri di distanza, Lo consegnarono ai tedeschi, lo interrogarono e, verso mezzanotte, lo lasciarono libero di ritornare a casa sua. Siccome c’era il coprifuoco, come parola d’ordine, gli ordinarono di cantare fino all’arrivo a casa. Figuriamoci come si poteva sentire un ragazzo di 16 anni. Cantò sino a casa. Noi, ogni tanto, si usciva dalla stalla per vedere se arrivasse. Ad un tratto, si sentì, in lontananza, la sua voce che cantava arie di opere. Solo, in mezzo a tanto spavento, non si fermava di cantare, perche temeva che, se si fosse fermato, avrebbero potuto pensare che fosse un partigiano. Che trepidazione nei nostri cuori! Finalmente, dopo la mezzanotte, arrivò tremando di paura. Ritornammo alla nostra vita. Col bombardamento, le mie sorelle, Umberta, Tina e Valentina, perdettero il posto di lavoro, perché lavoravano come analiste chimiche alla fabbrica bombardata. Quindi, bisognava che qualcuno lavorasse, i nostri fratelli erano militari in posti di guerra e noi ci dovevamo preoccupare di come vivere. Chiedemmo ai contadini che cosa potessimo fare per loro, e, ben presto, Rev 26 31 Le mie memorie imparammo a girare sottosopra il fieno per farlo seccare per l’inverno. In cambio ci davano pane ed altri generi alimentari. Mia sorella Tina era abilissima a fare il pane a due mani. Aiutava quindi i contadini che ci davano in cambio il pane. Io trovai un posto di lavoro come impiegata al municipio della città di Reggio Emilia. Un giorno, mi presentai e chiesi di lavorare. Mi intervistarono per scoprire cosa sapessi fare. Per prova mi chiesero di scrivere qualche nome da una lista che mi avevano dato. Videro la sveltezza con cui scrivevo ed ebbi il posto di lavoro assicurato sino alla fine della guerra. Andavo in ufficio ogni mattina in bicicletta e ritornavo alla sera stanchissima. Il mio lavoro consisteva nello scrivere, ogni mese, per ogni membro di ogni famiglia, un cartellino che conteneva tanti bollini per ottenere i generi razionati. Dato che ero svelta a scrivere, per me non era un problema. Conobbi così tante care amiche. Andavamo a ballare assieme dopo la guerra. Le mie sorelle erano molto brave nel fare le maglie con gli aghi e intrapresero quel lavoro come una professione. C’era chi pagava in denaro e chi con generi alimentari. Erano tutti contadini ed erano pieni di ogni cosa. Intanto si riusciva a vivere. Mio padre non aveva paura e rimase a casa in città. Qualche volta restavo anch'io, però dormivo con i vicini di casa perché la nostra casa era vuota e non c'era un letto per me. Tutte le sere passava in ricognizione un aeroplano che tutti chiamavano Pippo e ogni tanto gettava uno spezzone. Una notte, questo Pippo ne gettò uno così vicino che ci fece saltare giù dal letto. Vetri rotti, finestre spalancate, confusi, non sapevamo dove fosse la porta per uscire. Potemmo finalmente uscire e scappammo nella campagna. Poi, non Rev 26 32 Le mie memorie sentendo più nulla, ritornammo a casa a dormire. Ignoravamo dove lo spezzone dosse caduto. Ma, ahimè, al mattino scoprimmo che era nel nostro giardino. E intanto passavano i giorni, i mesi e si era sempre pronti a scappare, quando suonava l'allarme. Non si dormiva tanto e non si mangiava tanto, ma si doveva continuare a vivere. Mio fratello Armando si sposò nel 1943. Nacque un bel maschietto di nome Silvio. Un giorno, portò il piccolino dal medico ed era già notte alle sei di sera, col coprifuoco non si poteva andare. Ma quella sera suonò l'allarme come sempre e Reggio Emilia fu di nuovo sotto al bombardamento. Mio fratello, mia sorella Umberta, la Tina ed io, andammo a piedi con il piccolino nella culla sulla bicicletta. Si sentì arrivare una grande flotta di aerei ed erano tanti. Noi ci nascondemmo in un fosso lungo la strada e c'era la neve! Mio fratello diceva “Non vi muovete, state fermi. Se ci vedono, gettano gli spezzoni”. Ma poi, in pochi minuti, si incominciarono a sentire i bombardamenti verso Modena e Bologna. Che strage! Ne gettarono anche a Reggio città e il giorno dopo si seppe tutto quello che era successo. I fascisti cominciarono a rastrellare i soldati disertori e partigiani. Era già dicembre 1943 quando presero i sette fratelli Cervi e il padre a Gattatico di Reggio Emilia. Li portarono via, uccisero a Reggio città i sette fratelli e li seppellirono e nessuno sapeva dove. Col bombardamento del 7 e 8 gennaio 1944, le bombe caddero vicino a dove i cadaveri furono sepolti e questi si scoprirono tutti. Hanno riconosciuto gli indumenti e il numero dei corpi, così li hanno potuti seppellire con dignità a Gattatico dove sono nati. Io facevo sempre quella strada in bicicletta, sera e mattina. Il giorno dopo il Rev 26 33 Le mie memorie bombardamento, passai per andare in ufficio e vedevo tanta gente. I fascisti e i tedeschi cercavano di disperdere le persone per andare via. Io dovevo passare con la bicicletta ma loro strillavano "Via, via". Allora presi la bicicletta e la portai a mano e vidi tutti i cadaveri messi in fila, l’uno vicino all'altro. Che spavento, vedere i sette fratelli, tutti pieni di terra che non si riconoscevano più, fucilati al cuore e al viso, neanche un animale si uccide in quel modo, una vera carneficina, tanta violenza e cattiveria spietata. Arrivai in ufficio tardi e mi dissero "Cosa ti è successo? Sei bianca come la neve". Ma, spiegare le emozioni che si provano in quei momenti è cosa difficile, perché la vita, la vita vera, quella vissuta, ricordarla minuto per minuto fa molto male ancora, a distanza di tanti anni. Le aggressività della guerra sono state tante, bisognava solo essere pronti, in grado di superare ogni avversità che si presentava e a tutto questo non potevamo farci nulla, se non accettare ciò che il destino ci ha preparato. Maria, l’ultima discendente della famiglia Cervi, ha lavorato tanto per far sì che la memoria del nonno Alcide Cervi, del suo papà Antenore, anni 39 e degli zii Ettore, 22 anni, Ovidio, 25 anni, Agostino, 21 anni, Ferdinando, 32 anni, Aldo, 34 anni,Gelindo, 42 anni, resti per sempre, a perenne ricordo per le generazioni future, della strage più atroce di questa spietata guerra del 1940-45. È stato eretto un museo in loro onore, come simbolo di una famiglia dell'antifascismo. A Maria, l'ultima erede diretta della famiglia di Alcide Cervi, è toccato il duro compito di organizzare molte associazioni ed enti, dando vita all'istituto nazionale "Alcide Cervi", alla biblioteca Sereni e a un museo mondiale, capace di affrontare le sfide comunicative del nuovo millennio. Parliamo di Maria: piena di coraggio, di un'intelligenza Rev 26 34 Le mie memorie straordinaria e con molta determinazione per portare a termine tutto questo straordinario lavoro, per far sì che la memoria di tutti i suoi cari che hanno dato la loro vita non sia mai dimenticata. Ecco un altro terribile episodio accaduto a me, ancora chiaro nella mia memoria. Era verso la fine del 1944, andavo con la bicicletta a casa, a Codemondo, dove mio fratello abitava e uno dei loro contadini ci diede una stanza. Eravamo più vicini, a 4 o 5 km dalla città. Portavo la spesa con me, quando incontrai una colonna di soldati tedeschi con cavalli, jeep militari che si dirigevano verso la città, mentre io mi dirigevo per uscire dalla città, questo non l’ho mai capito. In ogni modo, ad un tratto, si sentiva rumore di aerei che arrivavano. I tedeschi strillavano e scappavano attraverso i campi lasciando i cavalli e le camionette per strada. Quando mi accorsi, scappai pure io, lasciando la bicicletta e la spesa abbandonata e di corsa attraversai i campi per cercare rifugio, ma poi mi fermai vicino ad un albero perché spezzonavano, non gettavano bombe. Io mi riparai con questo albero e pensavo "Basta che mi copra la testa e il cuore, sarò già soddisfatta". Cercavo di stringere le spalle per ripararmi meglio, ma l'albero non mi copriva completamente. Riparata da quest’albero, assistevo allo spezzonamento sui cavalli, tutti trucidati come anche tanti uomini. Dopo, finita quest'ondata di terrore, non potevo più muovermi. Restai lì, ferma, abbracciata a quell'albero, finché uno dei contadini venne a prendermi e mi portò dentro casa, dove erano rifugiate tante altre persone. Io ero disfatta dalla paura e da quello che avevo visto, il risultato di tanta aggressione militare. Non so proprio come mi sia salvata anche quella volta. Ma i contadini, molto gentili, mi dicevano "Si fermi per dormire, ci sono altre Rev 26 35 Le mie memorie persone". Dopo essermi ripresa un po', mi presero la bicicletta e la spesa e mi dissero che non si poteva andare perché la strada era tutta piena di cavalli squarciati e di soldati uccisi e non si poteva passare. Allora non c'erano i telefonini come oggi. Decisi di restare, erano le cinque del pomeriggio, ma era la fine di ottobre e ancora le foglie non erano cadute, per fortuna. Al mattino, ripresi per andare a casa, ma solo il pensiero di dover attraversare la strada ancora piena di sangue mi tormentava. Il primo grande bombardamento avvenne il 7-8 gennaio 1943 nella nostra città di Reggio Emilia, dove avevamo la più grande fabbrica di aerei che fu distrutta completamente. È stato davvero disastroso. Hanno gettato tante di quelle bombe ed hanno continuato a mandare tante flotte di aerei. Una passava ed un'altra arrivava, insomma le luci dei Bengala erano sempre in funzione. Quando gettavano le bombe, dietro all'aereo, usciva un fuoco da fare spavento. Si continuava a piangere e a pregare, ormai c'eravamo rassegnati al destino. A vedere questi grappoli di bombe, eravamo davvero terrorizzati. Vedemmo tanti aeroplani così grossi e, sempre in continuazione, a gettare bombe per alcune ore, così che non si poteva più sopportare, il cuore batteva sempre più forte. Quanti brutti momenti! Finito il bombardamento c'era un grande silenzio. Tutti nelle strade a pensare "Dove saranno cadute tutte quelle bombe?" e aspettare che qualcuno ci portasse notizie. Erano le nove di sera quando un vigile del fuoco, vicino di casa, arrivò e disse "È tutto raso al suolo, non si vede muoversi nessuno". Mia sorella Valentina, con il bambino di sei anni, abitavano proprio vicino alla fabbrica. Ci ha preso una crisi terribile, le persone cercavano di calmarci, ma è impossibile credere a tutta questa Rev 26 36 Le mie memorie violenza di guerra. In quella zona, tutte le case erano a terra e le persone che hanno provato a scappare erano state tutte uccise dalle grandi bombe gettate e non si salvò nessuno. Una carneficina che non si può descrivere. Eravamo ancora fuori, con tante persone, quando ad un tratto, si vide l'ombra di una bicicletta arrivare, ma le persone, prima di noi, nelle loro case, strillavano "È Valentina con il bambino". Ma finché non arrivarono vicino, non potevamo credere. Ma erano proprio loro, tutti coperti di calce e polvere. Non parlavano, solo piangevano e tremavano, non potevano credere di essere vivi. Il nostro cuore non reggeva più. Valentina, dopo essersi cambiata lei e il bambino, ci raccontò che il loro palazzo era rimasto metà in piedi. In quella metà il bimbo si era attaccato alle scale e pregava la mamma di fermarsi, di non uscire. E Valentina disse al figlio "Visto che non ti vuoi staccare dalle scale, allora vuol dire che stiamo qui abbracciati, e, se il nostro destino è di morire, stiamo insieme". Così si sono salvati, perché il piccolo teneva le scale tanto strette che la mamma non lo poteva staccare. Questo si può chiamare miracolo. Il bambino, al 3 di febbraio, che era San Luciano nel calendario, compiva sei anni. Immaginate di essere in un palazzo: una bomba cade, fa cadere una metà della casa e all'altra metà stava attaccato un bimbo con la sua mamma... non era loro destino di finire la loro vita ma di vivere ancor oggi. Ma non si sa cos'abbiano potuto provare in quegli attimi così spaventosi e come si siano salvati. È stato come aver fatto un brutto sogno e poi svegliarsi, toccare terra come fosse stato un miracolo. Ma lo è stato davvero. Quelle strade, piene di persone uccise mentre cercavano di salvarsi... Rev 26 37 Le mie memorie Cosa si poteva immaginare di questa scatenata guerra. Il grande dolore causato in quegli anni è impensabile. Impossibile, anche se si volesse, raccontare quegli atroci momenti dei quali anch'io fui personalmente testimone, al punto di non credere che, finita quest'atrocità, io potessi uscirne viva. Ma poi, con un profondo sospiro, guardando il cielo, trovarmi a pregare e a continuare la vita di tutti i giorni, sperando che domani fosse un altro giorno migliore. Non c'era più tranquillità nella nostra vita, si dormiva vestiti tante volte, per fare prima a scappare quando suonava l'allarme. Tutte le notti c'era quest’aereo, chiamato Pippo, che andava avanti e indietro e non si dormiva. La speranza di vedere la fine di questa guerra venne i primi giorni del 1945, allorché si vedevano i tedeschi concentrarsi verso la città, lasciando le campagne. Una notte, ai primi di aprile, noi stavamo dormendo, io ero dai vicini, mio padre era nella nostra casa che era vicina: c'erano tre villette, l’una vicino all'altra, ma staccate. Non esistevano allora le case a schiera. Ma tutto ad un tratto si sentirono dei passi intorno alla casa, poi con i fucili, bussarono contro la porta e parlavano in tedesco, che noi non capivamo. Il figlio dei vicini ci diceva di non parlare, ma poi, ad un momento, provarono a rompere la porta. La mamma di questo vicino, che si chiamava Irma, pregava il figlio di aprire "altrimenti ci uccidono". Allora lui ha risposto ai tedeschi in italiano e diceva "Apro subito". Noi dormivamo, con i materassi a terra, in cucina, al pianterreno. Le stanze erano di sopra. Noi, Chiarina, la Rosa, mia sorella Umberta ed io, ci siamo tutte spettinate, così sembravamo vecchie e brutte. I Rev 26 38 Le mie memorie tedeschi hanno preso il figlio e volevano della paglia da mettere per terra nella nostra casa che era vuota. Con lui, sono andati a casa dei contadini che si chiamavano Rinaldini. Anche loro non volevano aprire. Allora ha strillato "Sono Amos Bedogni, se non ci aprite ci ammazzano tutti. Vogliono solo della paglia per dormire ". Aprirono anche loro la porta e i tedeschi parlavano, parlavano, ma nessuno li capiva. Hanno preso un carretto, e caricato paglia e fieno per i cavalli. Già si sentiva un viavai di tanti uomini. In casa nostra c'era mio padre, l'hanno fatto uscire ed hanno messo in cucina il comando generale di comunicazione con una grande radio, nella sala da pranzo la paglia e i cavalli per nasconderli e su nelle camere la paglia per loro. Insomma, quando mio padre è venuto alla casa dei vicini, ci raccontò tutto questo, dicendo che per lui questi soldati erano in ritirata. Il giorno dopo, trovarono le galline nel pollaio e di fronte a tutti noi le presero, le misero tra le ginocchia e gli tagliarono il collo. Queste erano quelle della signora Irma. Noi a piangere e ci dissero di cuocerle e fare il brodo. La signora Irma ha fatto la sfoglia, cotto i polli, e poi noi tutti a guardare loro mangiare a tavola con piatti e posate. Sono restati lì per una settimana. Ogni tanto si sentiva qualcosa passare sopra la nostra testa. Mio padre disse "Non durerà tanto a lungo perché queste sono le raffiche delle mitragliatrici che tirano gli americani". Alla radio che avevano, con le finestre aperte di casa nostra, si sentiva "Santo Pietro, Santo Pietro": era la porta della città di Reggio. Reggio Emilia ha quattro porte che consistono in porta Santo Stefano ovest, San Pietro est, Santa Croce sud, porta Castello nord. Allora mio padre diceva "Fra poco se ne andranno tutti". Questi non sparavano, stavano solo a dare notizie. Rev 26 39 Le mie memorie Non si dormiva più dalla paura. Di notte stavamo dentro ai nostri rifugi perché ogni villetta aveva il rifugio. Sono passati alcuni giorni e una notte abbiamo sentito muoversi i cavalli e tutta la loro roba. Ma fuori, continuavano ad arrivare tanti proiettili, ed era molto pericoloso. Mio padre disse "È ora che ce ne stiamo dentro al rifugio perché diventa sempre più pericoloso girare fuori". Avevamo pochissime cose da mangiare ed eravamo anche noi alla fine delle nostre forze. Stavamo là sotto, al buio, di notte e di giorno ci si vedeva con la luce del giorno. Quando, una notte, vedemmo entrare dentro al rifugio uno di quei tedeschi. Era un soldato giovane, con una grande pila. Ci ha guardato tutti sotto le panchine, noi abbiamo pensato "Ora ci ammazza tutti". Invece questo giovane era bravo, non ci ha fatto niente. Forse ha solo controllato se ci fosse qualche soldato nascosto per salvarsi. Poi, non si sentì più nessun rumore. Ce ne stavamo sotto, zitti e fermi, ma gli uomini, nostri vicini di casa chiedevano "Avete qualcosa di bianco che possiamo attaccare ad un bastone e provare ad uscire e vedere cosa succede?". Andò fuori uno di loro, ma non ritornava indietro, poi andò un secondo, ritornò dicendo "Non ci sono più i tedeschi, sono andati via tutti". Era verso le cinque del mattino. Ci dissero "Potete uscire, non c'è anima viva". Uscimmo tutti, e vedere le nostre case conciate in quello stato, era veramente struggente. Io avevo un bel vestitino con fiorellini e il collettino di organza rosa come pure intorno alle maniche corte: tutto distrutto a pezzi. Ci dissero "L'avranno usato per bendare i piedi perché erano finite tutte le scorte per i soldati". Mentre eravamo tutti fuori dai rifugi, si sentivano in lontananza delle voci che si avvicinavano a noi e, pian piano, si sentivano cantare. I nostri uomini stavano attenti, per sapere chi fossero, e vedemmo Rev 26 40 Le mie memorie avvicinarsi questo grande gruppo di uomini, con il fucile a tracolla e un fazzoletto rosso al collo. Qualcuno ha detto "Sono i partigiani, sono i partigiani!". Arrivati vicino alle nostre case, si sentivano sparare verso di noi delle artiglierie. I partigiani s’imboscarono nella siepe ai lati della strada e ci dissero "Ritornate dentro casa perché sono i fascisti che sparano". Dopo un po' di tempo si sentiva ancora sparare, poi un silenzio e ci hanno detto che hanno sparato ai fascisti e sono stati uccisi. Sono rimasti un paio di giorni in riva al Crostolo, il fiume che passava proprio nella nostra zona. Forse sono stati gli americani che hanno sparato ai fascisti, perché poco dopo si sono viste le jeep americane arrivare. Erano parecchie ed essi si fermarono a parlare con noi e a chiederci se tutto era ok, di non avere paura perché "Tutto finito", ci dicevano, e ci allungavano del cioccolato, gomme, biscotti, tutto in pacchettini come davano ai loro soldati. Ma noi eravamo un po' diffidenti a prendere quelle cose (se fossero avvelenate? Avevamo paura). Ma loro aprivano un pacchetto e lo mangiavano prima loro per farci capire che era tutto buono. Allora, dalla fame, abbiamo accettato tutto quel che ci offrivano, anche il caffè e tante altre cose. Andammo nel giardino, prendemmo dei fiori e glieli offrimmo, e loro, felici, li presero e dicevano "Thank you, thank you". La felicità più grossa della nostra vita. Ci mettemmo subito a pulire casa, tutte le forchette erano piegate dalla parte dove si mangia, come quando una persona fa le corna con le mani. Tutta la roba di casa era stracciata, si vedeva proprio che si bendavano i piedi. A questo punto, pensavo a mio fratello che è rimasto disperso in Russia, e questi soldati, anche loro, non avevano nessuna colpa, la guerra non l'hanno creata loro, ma i capi come Rev 26 41 Le mie memorie Mussolini e Hitler. E chi ci ha rimesso la vita sono stati i giovani dei paesi che hanno aderito al patto di guerra. La guerra è finita in tutta l'Italia il 25 aprile 1945. Quando cominciò, nel 1940, io avevo sedici anni, i più begli anni di gioventù. In quel tempo pensavo solo a come sarebbe stato il mio futuro e a cosa avrei potuto fare nella vita, Non avrei mai pensato che la guerra fosse così terribile. Ma ringrazio ogni giorno il Signore per avermi dato tutto questo coraggio e per avermi anche protetta dal peggio. Quando la guerra finì, avevo compiuto il mio ventunesimo anno, l’anno della maturità e dell’età adulta. Quante esperienze ho fatto in 5 anni di guerra! Da bambina, sono diventata donna, senza accorgermi d’essere cresciuta. Il 25 aprile ci siamo lavate e vestite e, come tutti, in città per la grande festa! Tutti sulle grandi piazze, musica dappertutto, insomma non potevamo proprio credere ai nostri occhi. Pian piano abbiamo rimesso la casa a posto. Il resto della famiglia ritornò a casa con tutta la nostra mobilia e tutto il resto. Io ero l'unica persona che lavorava e poi mio fratello Ermanno trovò lavoro alla posta centrale della città. Mio fratello Danilo ha trovato un lavoro nella piazza dove vendevano il pesce. Tutti lavori provvisori, ma intanto, si poteva riprenderci un po'. Mia sorella Umberta e mia sorella Tina stavano in casa ad aiutare la mamma, mia sorella Mara faceva la scuola di taglio modelli, ma insomma, il brutto era finito: la guerra non c'era più sopra di noi. Avevamo tanto bisogno di dormire e c'è voluto molto tempo per riprendere la vita normale. Soprattutto, si rivedeva il pane e pian piano tutto il resto che ci serviva e che c'è mancato per tanto tempo. Il papà ha continuato sempre a Rev 26 42 Le mie memorie seminare le verdure dell'orto e d’innestare il frutteto. La mamma lo aiutava e ben presto tutto era pronto per raccogliere frutta e verdura. Io finii di lavorare al municipio, perché non c'era più il tesseramento, quindi, qualche giorno a casa, poi un mattino dissi alle mie sorelle "Oggi vado in città a parlare col Prefetto". Loro mi dissero "Ma che cosa ti viene in mente?". Ma io risposi "Lo saprete quando ritornerò a casa". Detto fatto, mi trovo davanti all'ufficio del Prefetto. La persona che stava fuori dalla porta con il tavolo mi disse "Cosa vuole signorina?". Io risposi "Vorrei parlare al Prefetto". Mentre questo stava per dirmi "Dica a me quello che vuole dal Prefetto", ecco che il Prefetto apre la porta per accompagnare fuori un signore e mi chiese "Signorina, ha bisogno di me?". Risposi subito" Se non è troppo disturbo, mi farebbe piacere". Mi ha fatto accomodare davanti al suo grande tavolo e mi chiese la ragione. Gli spiegai la mia situazione familiare e gli dissi "Un fratello è disperso in Russia e gli altri due sono piccoli, le sorelle hanno perduto il lavoro col bombardamento, insomma, ho bisogno di lavorare per poter vivere". Ad un bel momento piangevo e mi vergognavo, ho chiesto scusa. Lui si è alzato dal suo tavolo e mi ha detto "Stia tranquilla che me ne occuperò subito". Era quasi mezzogiorno. Lo salutai, mi accompagnò alla porta e me ne andai a casa. Quando, mentre pranzavamo, ho raccontato alle mie sorelle quello che avevo fatto, dicevano "Ma i grandi capi sono tutti uguali: ascoltano e poi più nulla". Sbrigammo le nostre faccende di casa quando sentimmo suonare alla porta. Nientemeno che l'autista del direttore dell'Ispettorato Provinciale di Agricoltura e Foreste. "Il direttore mi ha mandato a prenderla per venire a parlare con lui". Ma quest'autista sorrideva, forse sapeva qualcosa. Andai Rev 26 43 Le mie memorie con lui. Il direttore mi ricevette subito, molto gentile, mi chiese le mie referenze e gliele spiegai bene. Sorrideva e mi disse "Allora quando ci sono le conferenze lei può fare subito il discorso scritto in poco tempo?". Io risposi "Sì, proprio così". "Allora, se vuole restare anche oggi pomeriggio, giacché è qui". Così ero la più piccola del gruppo in ufficio e tutti mi volevano bene. Molte volte, specie quando pioveva, il direttore mi faceva andare con lui, poi scendeva alla sua casa e l'autista mi portava a casa (perché abitava vicino a me) e mi riprendeva al pomeriggio, mi lasciava in ufficio e andava a prendere il direttore. Più fortuna di così non si può chiedere. Ho ripreso a vivere dopo tanto soffrire. Non ho mai avuto difficoltà ad ambientarmi dovunque fossi andata. Tutta la sofferenza che ho passato mi è stata ricompensata nel modo più grande! Sono sempre stata disciplinata negli impegni che mi davano, sempre in orario e in quel modo ho trascorso tanti begli anni lavorando ed aiutando la famiglia, ricompensando i miei fratelli e sorelle per quello che avevano fatto per me per farmi studiare. Quando si andava al mare, dopo la guerra, mio fratello Ermanno andava a cantare nei migliori locali da ballo e stipulava con i padroni che potessero entrare le sorelle e così ci siamo sempre divertite come faceva nostro fratello Nello. È una cosa che si tramanda proprio di generazione in generazione e si è ripetuta: i nostri fratelli ci hanno sempre protette proprio con lo stesso bene. Ero felice e mi divertivo con le mie sorelle, andavamo a ballare molto spesso e tornavamo a casa a raccontare alla mamma e ai fratelli tutto il nostro bel Rev 26 44 Le mie memorie tempo. Poi c'erano i corteggiatori per ballare e per accompagnarci a casa. Nulla di male per chi ci voleva accompagnare perché eravamo sempre tutti assieme. A me piaceva moltissimo ballare. Si ballava anche al pomeriggio e io non mancavo un solo ballo. Quando qualcuno mi veniva a chiedere di ballare, se non mi piaceva dicevo "Ho già promesso". Così ballavo solo con chi volevo. Non ballavo con i soldati americani, ma le mie amiche sì, e facevano le civette con loro. La mia mamma diceva sempre "Non fermatevi con i soldati, perché oggi sono qui e domani partono e forse sono sposati, perciò stategli lontano”. Io feci i corsi per portare lo scooter Lambretta, poi un altro scooter, il Galletto; insomma, ero sempre pronta ad imparare ogni cosa. Mio fratello Armando commerciava automobili nuove e usate, allora un giorno presi un'automobile e andai a trovare delle mie amiche, non tanto lontano da casa e quando ritornai, mio fratello mi aspettava, ma non mi disse nient’altro che "Adesso vieni con me prima che mi metti nei guai". Mi portò alla scuola guida. Feci il corso di teoria e guida. Fui promossa a gonfie vele. Mi sembrava che il mondo fosse tutto mio. Ero l'unica delle mie sorelle a guidare la macchina, parliamo degli anni 40. Erano poche le donne che guidavano a quei tempi. Oggi sono contenta di averlo fatto. Mio fratello era tutto orgoglioso di me. Quando aveva bisogno di scrivere certi documenti o altro, io ero la sua segretaria. Nell'ufficio dell'avvocato Dino Felisetti, che funzionava per la Confederterra, io sbrigavo tutte le pratiche legali: andavo in tribunale a scambiare le vertenze legali con i giudici con una disinvoltura incredibile. Conoscevo tutti gli avvocati della città di Reggio Emilia. Rev 26 45 Le mie memorie Allora avevo i miei vent'anni: magra, alta, sempre con bei completini che le mie sorelle o la sarta mi facevano. Bastava una piccola cosa da pochi soldi, ma stavo bene con tutto. Quando ritornavo a casa per pranzo o cena, mi dicevano "È arrivata la Gazzetta (che era il giornale della città)". Avevo sempre tante cose da raccontare perché osservavo tutto con interesse culturale, non per far pettegolezzi. Tutto quello che ho appreso nella vita ha fatto proprio parte del mio carattere, anzi direi che lo ha migliorato con la maturità della mia crescita. Quando avevo un corteggiatore serio, lo portavo a casa. D'estate ci sedevamo nel giardino e d'inverno dentro casa con i miei e le mie sorelle. La mamma mi diceva "Fai la brava con quel giovane, perché sembra per bene". Siccome ero sempre padrona di me stessa, prendevo le decisioni che mi piacevano di più senza chiedere il permesso a nessuno. In quegli anni c'era l'unione donne italiane (U.D.I.) che s’interessava delle conquiste e dei diritti delle donne. M’iscrissi a quell'associazione e ben presto mi trovavo a parlare alla radio di Reggio, e quando c'era da scrivere discorsi, ero sempre pronta ad aiutare. Facevo stenografia per tanti discorsi. Quand'era primavera, noi donne di Reggio assistevamo le mondine quando partivano per le piantagioni di riso in Lombardia, a Vercelli ecc. Da Reggio partivamo assieme a loro fino all'arrivo alle risaie, per assicurarci che fossero rispettati i contratti e le condizioni di lavoro, il mangiare e il dormire. Poi facevamo ritorno il giorno dopo. Poi, finita la piantagione, andavamo a riprenderle e da Reggio si dava assistenza con i panini per il viaggio perché Rev 26 46 Le mie memorie venivano da fuori Reggio. Abbiamo avuto l'opportunità di aver visto con i nostri occhi tutto il grande sacrificio che queste donne facevano: tutto il giorno chinate in acqua, quando arrivava la sera, la loro schiena era finita. Tante piangevano, le donne anziane facevano tanta pena, ma anche le giovani si buttavano sul letto a pensare a casa. Fare questa vita per un mese, per quei pochi soldi che le davano e un po' di riso quando si era raccolto nell'estate! Con tante zanzare e tante punture. Non solo, c'era la guardia che sorvegliava i lavori come facevano con gli schiavi. Ma il loro canto si sentiva sempre e si facevano coraggio l'una con l'altra. Tante volte qualcuna non resisteva alla grande fatica, e ritornava a casa. Ma l'associazione UDI lottava per un miglioramento di ore e un aumento di paga. Io, dove c'era da fare volontariato, ero sempre disponibile, la fine settimana o la sera. Sono contenta di averlo fatto. Un'altra volta, sempre con l'UDI, sono arrivati da Ferrara dei bambini sfollati per l'alluvione. Abbiamo consegnato i bambini alle famiglie che aspettavano per ospitarli e ad un certo momento rimase un bambino di sei anni di nome Giovanni, così magrolino, pallido. Era già mezzogiorno. Ho chiesto di prenderlo io. Datomi tutti i documenti, lo presi ed arrivai a casa con questo piccolo bambino che forse soffriva un po' di malnutrizione. Restò con noi per sei mesi: gli volevamo tutti bene, stava sempre in giardino e nell'orto con la mamma e il papà e si divertiva, mangiava bene e in sei mesi, tenuto così bene, aveva cambiato il viso e si era un po' abbronzato. Poi, i genitori hanno chiesto di rimandarlo a casa, perché cominciava la scuola. Ci è tanto dispiaciuto, perché faceva ormai parte della nostra famiglia. È arrivato con una borsettina ed è ritornato a casa con una grossa Rev 26 47 Le mie memorie valigia, perché, quasi tutti i giorni, qualcuno di noi gli portava un pensierino. Era così felice e noi eravamo più felici di lui. Veniva da una famiglia che non aveva tante possibilità. Fa così piacere far del bene quando il caso richiede. Ci è mancato tanto quel piccolo Giovanni, riempiva la casa, era così carino, molto tranquillo e ci ha fatto tanto felici averlo. Nel 1948, mia sorella Mara emigrò in Canada. Essa parlava tanto bene del Canada, ed io ascoltavo con tanto interesse finchè, un bel giorno, dissi a mia sorella che sarei molto interessata a visitarlo. Lei mi disse "Se vuoi, io invio la richiesta appena arrivo in Canada, intanto ci puoi pensare bene". Le dissi "Fammi subito la richiesta e io sono pronta". Mia sorella fece subito la richiesta e in agosto ricevetti l'avviso dall'Ambasciata Canadese a Roma di presentarmi per la visita medica, ed a settembre andai ancora a Roma per prendere il visto. Detto fatto, prenotai subito il viaggio sulla nave Saturnia. MAMMA WANDA CAVALLI CALCAGNI E LA CUCINA REGGIANA IN CANADA Introduzione (a cura di Umberto Borghi) Nel settembre 1987, mentre ero direttore didattico del 1° Circolo di Correggio, ricevetti una telefonata d'un amico, dirigente della Camera di Commercio LA.A. di Reggio Emilia, che mi disse: "Una signora, italiana in Canada, in viaggio in Italia, vorrebbe visitare una latteria ed altre aziende Rev 26 48 Le mie memorie agro-alimentari allo scopo di raccogliere una documentazione anche fotografica utile per pubblicare un libro di ricette emiliane. Potresti accompagnarla?" Ben volentieri accolsi l'invito, e così conobbi la signora Wanda Cavalli Calcagni, nota in Canada come Mamma Wanda, specialista nell'arte culinaria. La portai in visita alla Latteria Sociale il Correggio di Fosdondo, che aveva da poco riaperto i battenti nell'edificio rinnovato in via Fosdondo (ora sede del Consorzio Agrario). Nata a Fellegara di Scandiano il 21 marzo 1924, Wanda, figlia di Pietro Cavalli discendente dal ceppo dei noti produttori di vino scandianesi, fu per breve tempo impiegata presso lo studio dell'avvocato Dino Felisetti (che la ricorda), poi all'Ispettorato Provinciale dell'Agricoltura; andò in Canada nel 1953. Aveva 29 anni. Ma a questo punto lascio la parola a lei, che così racconta. Umberto Borghi La mia vita in Canada Tutto cominciò nell'estate 1952, quando mia sorella Mara, sposata ed emigrata in Canada, e precisamente a Montreal (Quebec), venne in vacanza in Italia. Nel frattempo mia sorella aspettava il suo secondo bambino e così nacque un fratellino a Fiorella in novembre, Adriano Jonus (oggi assistente del Primario all’Ospedale Psichiatrico di Reggio Emilia). Essendo la madrina di battesimo di Adriano, ben presto mi colse la grande curiosità di vedere il Canada, così tanto contestato da tutto il mondo perché non faceva la guerra con nessun altro paese. Quindi, solo quel motivo mi Rev 26 49 Le mie memorie dette ancor più voglia di visitarlo. Pregai mia sorella d'inoltrare per me la domanda come emigrante appena fosse rientrata a Montreal. Così fatto, nell'agosto 1953 ricevetti, dall'Ambasciata Canadese a Roma, l'invito di presentarmi alla visita medica per ottenere il visto come emigrante. Tutta emozionata e nello stesso tempo decisa alla mia nuova avventura, non pensai due volte alla mia affrettata decisione dì affrontare tutte le conseguenze che si fossero presentate con tutto il mio coraggio. Responsabile di me stessa, mi iscrissi subito ad un corso affrettato di lingua inglese presso la Biblioteca Municipale di Reggio Emilia. Una lingua non s'impara in due mesi, ma si ha un po’ l'idea per chiedere le cose più necessarie, per farsi capire. Ritornai a Roma per ritirare il passaporto e subito prenotai presso l'Agenzia Fornaciari il mio primo viaggio su una nave, la Saturnia e lasciai il mio posto di lavoro all'Ispettorato Provinciale dell'Agricoltura e Foreste che aveva gli uffici in via Roma. Il 2 novembre 1953 partii da Genova alla volta di quella famosa terra che divenne poi la mia seconda Patria. Ad accompagnarmi al porto vennero le mie due sorelle Tina e Umberta. Non mi dilungo nel raccontare le tante emozioni che provai, di gioia e di dolore nello stesso tempo, dovendomi separare dalla mia famiglia per la prima volta in vita mia. Mia Madre mi fece mille raccomandazioni: sono sempre state la mia priorità su tutto quello che feci. Partii da Genova il giorno dei morti e pensai che era un giorno molto triste, ma ormai non c'era più via di ritorno e così incominciò il mio viaggio verso un mondo sconosciuto. Rev 26 50 Le mie memorie Arrivammo al Golfo del Leone, poi la nave fece sosta in Spagna, a Barcellona. Poi, il giorno dopo, attraversammo lo stretto di Gibilterra e partimmo alla destinazione del Portogallo. Parlando con una signora di Verona, decidemmo d'affittare un taxi e di visitare la costa che porta a Cascais, città d'esilio dei Principi di Savoia. Decidemmo di visitare il posto e, con nostra sorpresa ci fecero entrare ed il Principe Umberto venne a riceverci con tanta cortesia. Chiese le ragioni della nostra partenza dall'Italia e capì molto bene che lasciavamo l'Italia solo per migliorare la nostra situazione economica. Il Principe ci salutò cortesemente e noi continuammo il nostro tour per tutta la giornata. Salimmo di nuovo sulla nave alla volta del Canada. Fino a questo punto andava tutto bene, niente mal di mare. Ma da lì fino ad Halifax (Nuova Scozia, Canada), fu una disperazione per il mal di mare. Fui costretta a letto quasi fino all'arrivo. Mi dissero che se non stavo in piedi non avrei potuto sbarcare. La paura mi fece venire il coraggio. Mi presero sottobraccio due persone e mi portarono fuori all'aria aperta sulla nave. Mi ripresi abbastanza per stare in piedi, così il 12 novembre sbarcammo ad Halifax. Fin qui tutti i sogni che avevo fatto per questo viaggio non andarono bene. Serate da ballo, cene, giochi, eccetera... non se ne avverò nessuno. Pensai: ormai ci sono arrivata e bisogna continuare. Da Halifax prendemmo un treno la sera alle cinque ed arrivammo il 13 a mezzogiorno a Montreal. Mia sorella mi aspettava coi bambini e così incominciò la mia nuova vita canadese. Il freddo, le montagne di neve che non avevo mai visto in vita mia, mi davano tanta tristezza e malinconia. Dai miei occhi scendevano le lacrime senza che mi accorgessi che piangevo, un pianto di tanto dolore e pensavo: chi me l'ha fatto fare di soffrire così. La colpa era solo mia e di nessun altro. Rev 26 51 Le mie memorie Nell’autunno del 1954 frequentai un corso di lingua inglese. A quei tempi il governo non pagava per imparare la lingua inglese e francese, quindi pagai il mio corso lavorando presso la famiglia Narizzano. Mi sono sempre immersa fra la popolazione inglese o francese, perché capii che solo così si può imparare ed andare avanti. Il francese lo studiai a scuola in Italia durante le scuole superiori. Più i giorni passavano, più mi sentivo padrona di me stessa, potendo comunicare con le persone. Mi sono ripresa come il mio carattere vuole (sono una vera ariete) e cercai un posto di lavoro. Andai alla Casa d'Italia, dove tutti gli emigranti italiani vanno appena arrivano. Mi dissero che c'era una famiglia che cercava un 'istitutrice per bambini. Mi videro e subito mi presero. Era la famiglia del signor Silvio Narizzano e della signora Dolce, una famiglia d'alta società, che riceveva molto spesso personalità importanti, tra le quali il Console Generale d'Italia, il Vice Console e tante altre personalità diplomatiche. Così ben presto scoprirono che sapevo far da mangiare e mi chiesero dove avessi imparato. Dissi: "A casa mia, da mia madre; se una ragazza non sa cucinare non trova marito". Così, un giorno, mi offrii di fare dei cappelletti, però, dissi pure che mi occorreva il formaggio Parmigiano Reggiano (e qui parliamo del 1954). Mi risposero: nessun problema, ci sono i negozi italiani e si trova tutto. Andai con loro per comprare tutto quello che mi occorreva, e la cena fu un vero successo. Quella sera c'era il Console, il Vice Console e tutta la famiglia. Dopo aver cenato vollero conoscermi e vedere chi fosse questa ragazza che cucinava così. Il Console mi diede il suo biglietto da visita e mi disse: "Signorina, Rev 26 52 Le mie memorie qualsiasi cosa abbia bisogno, non faccia complimenti". Mi ha visto piangere, ero molto triste e non avevo ancora amici. Con quella famiglia restai tutta l'estate. Nell'autunno mia sorella aveva bisogno di me per badare ai suoi bambini e lasciai la famiglia dei signori Narizzano, che, nell'estate, andarono in Italia. In quella occasione fecero visita alla mia famiglia. Al ritorno mi chiesero come avessi potuto lasciare la mia bella famiglia e l'Italia così bella! Ma non sapevano quante sofferenze abbiamo vissuto e quali terribili conseguenze abbia lasciato quella guerra di cinque anni, senza tanto mangiare e poco lavoro! Abbiamo cercato di sopravvivere senza mai cercarne la ragione. La mia strada era già segnata. Mi convincevo ogni giorno che passava ed eravamo ancora tutti salvi mentre tantissime famiglie piangevano i loro cari. Ma come spiegare alle persone che non hanno conosciuto nulla di quanto abbiamo visto, assistito a tutto quello che la guerra ha lasciato dietro di sé, è difficile spiegarlo! Mi dispiacque lasciarli perché erano molto gentili, tutti, con me. La loro famiglia era composta di cinque persone: due femmine e tre maschi. Due dei maschi, Silvio e Dino, divennero attori di teatro e televisione. I loro programmi erano molto conosciuti. Erano tutti figli molto gentili con me e mi portavano sempre con loro a vedere il calcio e mi facevano cantare "com'è delizioso andar sulla carrozzella, sulla carrozzella sottobraccio alla mia bella...", così loro imparavano bene l'italiano. Ho bellissime foto fatte a casa mia, con la mia famiglia, nel 1954. Rev 26 53 Le mie memorie Nel 1955, mia sorella ritornò in Italia ed io andai con la famiglia del dottor Mario Orlando e della signora Licia di Hampstead. Mi sentivo protetta, in caso di malattia o d'altro. Ben presto mi specializzai nell’arte culinaria. Creavo, inventavo piatti che poi divennero famosi. Con i bambini praticavo l'inglese. Nel 1956 mi prese la nostalgia e partii per l'Italia nel mese di giugno. C 'era il grande risveglio della primavera, tutti gli alberi fioriti, ì fiori sbocciati, insomma: un profumo di vita, di primavera. Dopo un inverno così lungo e freddo, desideravo proprio ritornare a casa. Partii con la nave Andrea Doria, fino a Genova. Le mie gambe, all'arrivo, non mi reggevano dall'emozione d'aver ritoccato il suolo italiano. Mio fratello maggiore Armando mi venne a prendere al porto, proprio da dove ero partita. L'arrivo a casa fu davvero emozionante. Lacrime di gioia assieme a tante domande sulla mia vita in Canada. Alcuni giorni dopo, la radio trasmetteva una triste notizia: la nave Andrea Doria stava per affondare, a causa d'uno scontro con un'altra nave. Inutile dire quanti pensieri mi vennero solo all'idea che pochi giorni prima avevo fatto anch'io quell'attraversata da New York a Genova. La nave affondò ed io restai triste, con le foto scattate su quella nave che ora non c'è più, e pensai che ancora una volta sono stata fortunata. A Reggio Emilia cercai un lavoro, ma non ci fu nulla da fare. Trascorsi sei mesi belli con la mia famiglia, ma poi decisi di ripartire per il Canada. Il 17 gennaio 1957 ripartii da Milano, in aereo per la prima volta. Mia sorella Tina e mio fratello Ermanno mi accompagnarono all'aeroporto della Malpensa. Pensavo: chissà quando li rivedrò. Rev 26 54 Le mie memorie Andai di nuovo presso la famiglia del dott. Orlando che mi accolse con tanto calore. Sennonché, un giorno di novembre1957, un signore mi chiamò al telefono dandomi il suo nome. Io gli chiesi: "Ma lei chi è?" Mi pregò d'incontrarlo perché voleva conoscermi. Ma io non desideravo conoscere nessuno, perché le mie intenzioni erano di restare un altro poco in Canada e poi ritornare a casa. Così, quel signor Giovanni Calcagni lo incontrai un giorno in cui andai in banca. Parlammo, seduti in un piccolo caffè, del motivo per cui ero in Canada, e come fossi sola senza la mia famiglia (lui aveva la sua). Ci frequentammo qualche volta. Egli mi portò a casa sua per farmi conoscere i suoi familiari. Tutti furono molto gentili e premurosi con me dicendomi che quando volevo andare a trovarli, sarebbero stati contenti. Questo Giovanni (la cui famiglia è originaria di San Giovanni Paganica L'Aquila) era direttore d'un ristorante molto conosciuto. Venne il Natale e m'invitò ad andare alla Messa di mezzanotte. Accettai. Strada facendo mi parlò del fratello che si sarebbe sposato in primavera e che la fidanzata sarebbe arrivava da Roma. Poi tutto ad un tratto mi disse: "Cosa ne pensi se ci sposassimo tutti assieme". Stralunata a quella domanda, gli risposi: "Ma ci siamo appena conosciuti e già parli di matrimonio. Mi sembra una domanda assurda, perché il matrimonio è una cosa seria e bisogna riflettere bene prima di prendere una decisione del genere ". Così, dopo la Messa mi riportò a casa. Quella domanda mi turbò un po’ ed incominciai a pensare che forse diceva sul serio. Giovanni era una persona d'un carattere meraviglioso, sempre sorridente, allegro, amava la musica, la famiglia soprattutto, con un grande cuore pieno d'umanità verso il prossimo. Intanto c'incontrammo una volta la settimana, perché lui lavorava di notte. Quella domanda la ripeteva Rev 26 55 Le mie memorie con sincerità. M'informai bene chi fosse. Pensai tanto alla mia vita, come sarebbe finita se mi fossi sposata, così lontana da casa, dalla mia famiglia, dalla mia bella Reggio. Passarono alcuni mesi e venne il 21 marzo, il giorno del mio compleanno ed il primo della primavera, il giorno in cui ho deciso l'avvenire di tutta la mia vita. Accettai la sua proposta di matrimonio ed una grande felicità si accese nei nostri occhi. Eravamo felici e decidemmo la data. Nel frattempo, la mia famiglia preparò tutto il mio corredo, i regali, il mattarello per fare la pasta, e tutto ciò che mi serviva: un grande baule pieno di tante sorprese. La mamma di Giovanni venne insieme alla fidanzata del figlio più giovane. In quell'occasione l'incontrai per la prima volta. La nave Homeric arrivò Quebec il 1 maggio 1958 con la fidanzata di Franco e la madre di Giovanni e Franco. Dal momento in cui accettai la proposta di matrimonio, incominciammo a fare tutti i preparativi per il nostro futuro. Arredammo il nostro appartamento, ed ecco tutto era pronto per entrare dopo il matrimonio. Gli inviti furono inviati a tempo. Nel baule c'era anche il mio vestito da sposa e una sorpresa per me ancora ora nel mio guardaroba dei ricordi. Non pensavo di dover dividere questo speciale giorno con un'altra coppia di sposi. Ma per fare piacere a Giovanni, accettai tutto ciò che si presentava. Ero sicura che la mia vita non sarebbe stata turbata per nessuna ragione. Il 10 maggio 1958 mi sposai con Giovanni Calcagni nella bellissima chiesa "Notre Dame de Grace" a Montreal. Era una giornata piena di sole, con un cielo azzurro che sembrava dipinto di blu... proprio per noi. Ad accompagnarmi in chiesa fu il cognato dì Giovanni, che venne dagli Stati Uniti con la famiglia. L’altra sposa, Sandra, era accompagnata dall’altro Rev 26 56 Le mie memorie cognato, Atéo, fratello di Giovanni. Inutile dire l'emozione! Ancora oggi le lacrime scendono solo al pensiero. Incominciai a camminare verso l'altare ma non potei controllarmi ed incominciai a piangere, non vedendo nessuno dei miei familiari a divedere con me tutta la mia felicità, quella che sarebbe durata tutta la mia vita con Giovanni. Cercai di calmarmi un po’, ma fu uno sforzo tremendo. Controllare i sentimenti non è una cosa facile. Tra gli invitati c'erano le due famiglie alle quali ho prestato il mio lavoro. All'uscita dalla chiesa dissero a Giovanni: "Lei è molto fortunato ad aver sposalo questa ragazza, perché è molto brava, è speciale". Una sorpresa mi attendeva durante il pranzo, anzi, subito dopo mangiato, altrimenti non avrei sicuramente trovato la forza d'inghiottire nemmeno l'acqua. Un minuto di silenzio ed un disco incomincia con un discorso di mio fratello Ermanno, dedicato a me ed a Giovanni, così emozionante da farmi quasi svenire. Piangevo così tanto che forse pensarono non fosse il caso dì continuare. Tutti piangevano, io ero disfatta di gioia e dì dolore nello stesso tempo. Poi, dall'altra parte del disco c'era la canzone: "Sposi, oggi s'avvera il sogno e siamo sposi!", cantata da mio fratello. È stata un 'emozione mai provata in vita mia così grande. Partimmo tutti e quattro al pomeriggio per il nostro viaggio di nozze alla volta delle Cascate del Niagara, un posto meraviglioso: erano le undici dì sera e le cascate erano tutte illuminate. Una felicità senza fine. Siamo rimasti due giorni alle cascate e poi ci dirigemmo verso New York. Negli anni '58, New York era una città molto tranquilla e si stava molto bene. Si poteva passeggiare senza paura. Andammo a vedere un Broadway Musical, "Seven Brides for Seven Brothers" (Sette spose per sette fratelli): stupendo! Un teatro con un'acustica così perfetta da far venire i brividi e con un 'orchestra Rev 26 57 Le mie memorie meravigliosa. Ero tanto felice, forse perché ero in viaggio di nozze, ecco perché. Dieci giorni durò il nostro viaggio, per poi ritornare alla vita normale e di lavoro. Dalla partenza del viaggio dicevamo che dovevamo ritornare in cinque. Ritornammo in cinque. Ma non eravamo io e Giovanni bensì Franco e Sandra, che, dopo un mese, ci diedero la notizia. Come ricordo del viaggio di nozze, il 24 febbraio del 1959, nasceva un bambino, molto bello e vispo, che chiamarono Franco. Nel settembre del 1958, mio fratello Danilo venne operato per cancro del colon, e da quel momento è incominciata la nostra prima sofferenza da sposati. Ansie, attese di sapere qualcosa, la lontananza era tanta e fu un triste pensiero per otto mesi. Mio fratello ci ha lasciato il 1º aprile 1959, all’età di 28 anni e lasciò tanto vuoto nella nostra vita quotidiana. Io ne soffrii moltissimo. Era il più piccolo di tutti noi 10 fratelli. Il nostro primo Natale non è stato troppo felice. Ma oramai ero pronta a tutto nella mia vita. Bisognava farci una ragione, non c'è gioia senza dolore. Questo proverbio dei nostri antenati è la verità. Queste tristezze o felicità sono il bilancio della nostra esistenza. Giovanni mi disse che non dovevo lavorare, e che era lui che doveva provvedere alla famiglia. Però io ero ancora giovane per restare inattiva dentro casa e specialmente ancora senza bambini. Divenni l'assistente di mio marito. Uscivamo insieme ed insieme rientravamo, quindi s 'andava a casa solo a dormire. Ben presto mi accorsi della mia passione per la cucina. Rev 26 58 Le mie memorie Osservavo i cuochi nelle loro preparazioni e mi sembrava tutto così semplice il da farsi. Nel 1960, partimmo per l'Italia, il primo viaggio da sposati. Restammo tre mesi e decidemmo che sarebbe stata l'ora d'incominciare la nostra famiglia. Per tre anni abbiamo atteso ogni mese la sorpresa dell'arrivo d'un figlio, ma era difficile, forse per la troppa ansia, diceva il ginecologo. Il suggerimento d'uno zio di Giovanni fu quello di andare al Santuario di Santa Rita da Cascia e chiedere con devozione la grazia. Andammo a Cascia: era la fine del mese di giugno del 1960, un mese prima di riprendere il viaggio di ritorno a Le Havre, con la grande nave "La France". Il viaggio fu perfetto e così riprendemmo il nostro lavoro. A Giovanni un giorno dissi: "Ma tu sei così bravo nel tuo lavoro, perché non apri un ristorante per conto tuo?" .Ci pensò. A quel tempo era in costruzione un centro commerciale, il primo della zona ed ancora non c'erano ristoranti italiani. Detto e fatto, il 15 agosto 1960 mio marito firmò il contratto, con molta trepidazione. Lo incoraggiai dicendogli: "Non temere, ti aiuterò e vedrai che andrà tutto bene! " Ed aggiungevo: "Vedo già la gente infila davanti alla porta, perché dove si mangia bene, la gente corre ". Infatti, fu proprio così. Nel frattempo il mio ginecologo mi dava la notizia tanto desiderata che aspettavo un bambino. La cosa cambiava tutta la mia volontà d'aiutare mio marito. Ma pensavamo che i bimbi portano sempre bene. Il dottore mi disse che il bambino sarebbe nato tra il 20 e il 25 maggio. Il ristorante intanto apriva le porte il 22 aprile 1961 con il nome Tevere. Io, all’ 'ottavo mese di gravidanza, fui al fianco di mio marito Giovanni per l'apertura. C'erano già Rev 26 59 Le mie memorie molte persone in fila ad attendere, essendo il primo ristorante italiano della zona, così andò tutto bene e da quel giorno fu un successo continuo. Intanto io guardavo il calendario: mancava solo un mese alla nascita del nostro primogenito. La festa di Santa Rita è il 22 maggio e mi convinsi con certezza che nostro figlio sarebbe dovuto nascere il 22 maggio, proprio nel giorno di Santa Rita. Il 22 maggio1961, alle sette di sera, nasceva nostro figlio che chiamammo Mario, la felicità più grande della nostra vita. Io preparai lutto in celeste, dalla stanza alle lenzuoline ricamate, alle decorazioni: insomma, se. non fosse stato un maschietto, sarei stata in fastidio con me stessa. Andò tutto bene. L'emozione provata al momento della nascita del nostro primo figlio è stata così grande:nel pensare che era la nostra vita che continuava ad esistere, il nostro amore col quale è stato concepito, desiderato tanto. Sentire i primi gemiti, il primo respiro del nostro bambino, è una cosa troppo grande da esprimere con la penna. Basta dire che non c'è nulla al di sopra di una vita che nasce. Si prova tutto questo solo quando si diventa mamma. In quel tempo, ho capito quanto la mia mamma abbia lavorato e dato il suo amore a tutti noi 10 figli. Ho scritto alla mia mamma dopo la nascita di Mario per ringraziarla di avermi dato la mia vita. Oggi, a distanza di tanti anni, dò tutto il mio amore ai miei figli, come la mia mamma l'ha sempre dato a me. Nel 1963, mi recai in Italia con mio figlio, in occasione del suo secondo compleanno che festeggiammo a Cascia. Il ristorante andava a gonfie vele e mio marito, coi suoi fratelli, coi quali era in società, nel 1964 aprirono un secondo ristorante chiamato Roma. A Rev 26 60 Le mie memorie novembre dello stesso anno nacque nostra figlia Grazia Rita a completare tutta la nostra felicità. Anche per lei, come per il primo figlio, preparai tutto in rosa e lilla ed al dottore dicevo sempre "lei". Nel 1965 si aprì un terzo ristorante, in città. Poi venne acquistato il ristorante dove mio marito fu direttore, il Pointe-Claire B. B. Q. Nel frattempo, i figli crescevano bene e potevo portarli con me e aiutare Giovanni al ristorante: cosicché pensai di fare i cappelletti di fronte ai clienti, dentro al ristorante. Giovanni mi fece preparare un tavolo al centro del salone con un bel "tulér" (tavola per tirare la sfoglia) alla reggiana. Preparavo il ripieno a casa, così i cuochi non vedevano quello che facevo e come facevo. All'ora di cena andavo al ristorante e facevo la sfoglia davanti alle persone e la tiravo tutta a mano, con un mattarello inviatomi dall'Italia nel baule con il mio corredo. Allora nessuno faceva i tortellini, i cappelletti o altro a mano. Quindi siamo stati i pionieri della gastronomia reggiana in Canada. A questo punto tutti i clienti erano davanti a me per veder fare i cappelletti ed anche in fretta. Aspettavano di poterli assaggiare. Facevo venti uova di sfoglia e finivo tutto in serata. Cercavo di farli un po' grossetti, poi finivo per fare i tortellacci. Fu un vero successo. Avevamo sempre sei cuochi al lavoro; diversi di essi vennero appositamente dall'Italia su nostra richiesta. I bambini incominciavano la scuola e così avevo più disponibilità di tempo per poter aiutare Giovanni. Ai bambini abbiamo sempre parlato in italiano ed abbiamo insegnato la lingua con libri italiani. Poi col PICAI la scuola. Nel 1973 vendemmo il ristorante Tevere, e decidemmo di ritirarci, ma eravamo perduti, ci mancava la gente, la pubblica relazione e così nel 1978 Rev 26 61 Le mie memorie aprimmo un altro ristorante, La Gastronomie Italienne, questa volta veramente alla Reggiana, con sette donne in cucina, tutte guidate da me, ognuna al proprio lavoro. I ripieni ed i dolci li facevo tutti io. È stato un enorme successo: sempre la fila fuori dalla porta, anche con trenta gradi sotto zero di freddo. Articoli sui giornali affermavano la nostra cucina come la migliore e tanti cuochi venivano a mangiare per assaggiare queste specialità. Intanto io avevo aperto una boutique dì vestiti per signore ed anche la boutique andava molto forte. Ad un certo punto al ristorante c'era tanto lavoro che non potevo essere in due posti simultaneamente. Quindi decidemmo di chiudere la boutique, concentrandoci solo nel ristorante. Era diventato un lavoro molto pressante. Giovanni mi diceva: "Ma chi ce lo fa fare tutto questo sacrificio; dobbiamo pensare, anche a noi". Così, un 'altra volta, decidemmo di vendere, e così fu. Tante persone, specialmente le signore, mi dicevano: "Perché non fai la scuola di cucina e ci insegni le ricette del ristorante, ora che non ce l'avete più ". Mi chiamavano sempre, quindi decisi d'intraprendere anche quella linea. A me piaceva molto creare nuove ricette, ma soprattutto le ricette che conoscevo bene fin da bambina, quindi era cosa molto facile da fare. Ed ho insegnato alla scuola di cucina per adulti in città. Articoli sui giornali con fotografie pubblicizzarono anche questo lavoro. Un giorno mi chiamò una grande azienda di alimentari già preparati e mi chiese se volevo cedere delle ricette di piatti di riso e di pasta da lanciare sul mercato. Accettai, ne scrissi più d'una decina e le presero tutte. Così incominciò anche la professione di libera consulente, per chi ne avesse bisogno. Rev 26 62 Le mie memorie Successivamente fui chiamata a realizzare programmi televisivi di cucina su canali canadesi ed italiani, a Montreal ed a Toronto. Un giorno, nella città di Kirkland, dove risiediamo, ci chiamò il signor Nunzio Discepola, allora Consigliere comunale, ora deputato al Parlamento Canadese di Ottawa, per fare la festa del 25° anniversario di fondazione della città e ci chiese se fossimo interessati a preparare una grande cena. Mio marito ed io accettammo ed, insieme ad un comitato di dodici persone, organizzammo quella grande serata. Avrebbe dovuto essere solo una spaghettata, invece divenne una serata talmente organizzata ad arte che, per dieci anni, ogni novembre, tutta la popolazione attendeva con vivo desiderio quell'occasione. La Città di Kirkland, in quell'occasione, ci ha donato un dipinto di un paesaggio del Canada, opera di un pittore canadese, con una targa con il nostro nome, perché la nostra famiglia italiana è stata la prima a stabilirsi in quel territorio, costruendo la propria abitazione che è stata poi seguita da tante altre, sì da divenire una città satellite di Montreal. Mio marito, purtroppo, non ha potuto vedere la decima ricorrenza, perché è venuto a mancare un mese prima, nell'ottobre 1995. Egli è stato il mio più grande aiuto in tutto quello che facevo, un uomo onesto, buono e sempre pronto ad aiutare il prossimo, generoso senza mai chiedere nulla di ritorno. Ora mi manca molto e voglio onorarlo con questa storia, perché mi ha sempre guidata sulla buona strada, mi ha sempre incoraggiata a portare a termine tutti i miei progetti. Ho desiderato scrivere un libro di cucina e lui subito mi disse: "Sì, fallo ". E stato pubblicato nel 1990, in tre lingue, italiano, inglese e francese, il primo del genere in Canada, trilingue. Continuando il Rev 26 63 Le mie memorie mio lavoro, rendo omaggio all'uomo che mi ha dato tanta felicità e tanto benessere ed onoro anche la cultura culinaria reggiana. NB: Il volume, di trecento pagine, con bellissime fotografie a colori raffiguranti i gustosi piatti della signora Wanda, si apre con una fotografia di lei al lavoro con suo marito. La prima ricetta è quella dello gnocco fritto. A pagina 65 c'è la fotografia scattata nel caseificio di Fosdondo (io testimone). Dagli appunti conservati del 1987 e da una recente telefonata, aggiungo che sta preparando un secondo libro di ricette, che continua a tenere lezioni di cucina in casa e fuori per gruppi di giovani o di adulti, che ha realizzato campagne promozionali di quattro formaggi italiani: per primo il Parmigiano Reggiano, poi il Taleggio, il Gorgonzola ed il Pecorino Romano, che il suo lavoro è stato riconosciuto dal Consorzio di tutela del Parmigiano Reggiano. Cose buone dal mondo, che fa sempre festa agli italiani, autorità o meno, che vanno a trovarla. Carlo Bondavalli, il reggiano famoso esploratore del Polo Nord, dopo la sua grande impresa è andato a mangiare i cappelletti, coi suoi amici colleghi esploratori, da Mamma Wanda, dandone notizia alla propria madre che è un'amica della signora Wanda. Fra le soddisfazioni avute dalla Signora Calcagni, che ha la doppia cittadinanza italiana e canadese, c'è anche questa: un giorno del 1984, andò con la famiglia per una vacanza di fine anno in Florida e chiese una bottiglia di spumante per brindare al nuovo anno. "Abbiamo solo questo", le fu risposto dal cameriere: era un Bianco Cavalli di Scandiano. Nel giugno 1997 era tra i 150 reggiani residenti all'estero che la Sezione di Reggio della Società Dante Alighieri ricevette ospitò e festeggiò nella Rev 26 64 Le mie memorie ricorrenza celebrativa dei 200 anni del Tricolore. Ringrazio la signora Wanda per il materiale fornitomi e suo fratello Ermanno (che risiede a Massenzatico) per le fotografie. U. Borghi,10 maggio 2002. Nel 1987 sponsorizzammo una bambina coreana di nome Sun Hee. Aveva 19 anni, ma vedendola sembrava una piccola bambina. Aveva disturbi cardiaci e doveva essere operata al cuore. Mio marito Giovanni ed io decidemmo di prenderci cura della bambina con tutta la nostra responsabilità. Nel marzo, arrivarono tanti bambini nelle stesse condizioni di Sun Hee. Io preparai la sua cameretta come l'avrei preparata per mia figlia. Lei non parlava altro che il coreano e noi le nostre tre lingue, ma ci facevamo capire. Mettevo tante cose a tavola e lei sceglieva ciò che voleva mangiare. Abbiamo fatto presto a conoscerci e lei si sentiva sempre più a suo agio. La portammo sempre alle visite di controllo ed il dottore ci disse che era troppo debole per l'operazione. Allora mi misi a cucinare le cose che le piacevano di più. Dopo aver assaporato la nostra cucina, mangiava che era un piacere a guardarla. Così, pian piano, prese qualche libbra e intanto passavano i mesi ed era primavera. Mia figlia la portava con lei a fare delle spese e le comprava tutto ciò che le piaceva. Andavano in piscina però senza strapazzate perché il suo cuore non poteva sopportarle. A giugno ci chiamò il cardiologo e fissò il giorno della sua operazione. Noi eravamo in pensiero per lei perché nessuno garantiva che tutto sarebbe riuscito bene. Molti bimbi non ce l'hanno fatta.Giovanni ed io eravamo Rev 26 65 Le mie memorie sempre con lei, io giorno e notte, lei mi chiamava mamma. Restò una settimana all'ospedale dopo l'operazione, andò tutto bene. A casa io le amministravo le cure e le medicine e il suo lungo taglio doveva rimarginarsi, ma c'è voluto un po' di tempo. Curavo il drenaggio, ero una infermiera vera e propria, mi dicevano. Lei continuava a chiamarmi mamma. Lasciai tutti i miei impegni per prendermi cura della bambina. Ricominciò a prendere forze e mangiava molto bene. Alle visite mediche del cardiologo, la trovarono molto bene e dissero che poteva fare delle belle camminate. Un giorno, camminando nel nostro vicinato, si mise a correre ed io strillavo "No, non correre". Ma lei stava sperimentando ciò che non ha mai potuto fare prima. Era tanto felice, mi abbracciava sempre. Un mattino faceva colazione ma era finita la Nutella e mi disse "No Nutella" tutta dispiaciuta e Giovanni andò subito a comprarla. Tutte le mattine, dopo colazione, andava giù, dove avevamo il piano, e per mezz'ora o un'ora mi suonava delle belle canzoni coreane o della musica classica. Questa sua felicità era per noi la ricompensa del nostro impegno preso con tanta responsabilità. Abbiamo trascorso sei bellissimi mesi con Sun Hee. Ci ha dato tanta gioia il vederla stare bene. Le ho insegnato a fare da mangiare e lei mi aiutava volentieri. Le piaceva molto il risotto, però mangiava tutto. Purtroppo venne il giorno della partenza e fu davvero triste, non voleva partire. La sera prima organizzammo una bella serata per lei, mia figlia invitò tutte le sue amiche, amici e cugini. Io preparai tante cose da mangiare e uina Rev 26 66 Le mie memorie grande torta col suo nome. È stato bello, abbiamo tante foto di quell'occasione. All'aeroporto non voleva entrare, non voleva proprio partire. Quando è arrivata da noi, aveva solo un sacchettino a mano, ma quando è partita aveva un'enorme baule pieno di tutte le cose che lei desiderava. Mia figlia la portò dall'orefice le offrì l'orologio, gli orecchini, poi le scarpette col tacco, insomma tutto questo c'i ha dato tanta felicità nel farlo. Partì nell'agosto del 1987. Avendo i figli già terminato le scuole e anche trovato posto di lavoro, si cominciava una vita regolare. Nell'estate del 1987, ci telefonarono dei carissimi amici da Roma, invitando nostra figlia a trascorrere un po' di tempo con loro. Un figlio loro aveva già fatto una vacanza con noi nel 1986. Grazia, più che contenta, accettò l'invito e partì per le sue vacanze di tre settimane a Roma. Era la sua prima vacanza sola senza di noi. Ritornò tutta felice d'aver visitato molti posti in Italia e all'estero. Tutto ad un tratto ci chiese cosa ne pensavamo se volesse ritornare a Roma per trovare un posto di lavoro e che si sarebbe stabilita a Roma per sempre. Conoscendo la figlia, dall'impeccabile serietà e responsabilità di se stessa, non era il caso di darci alcuna preoccupazione. Acconsentimmo al suo desiderio e decisione di andare, certissimi che, in due o tre mesi, sarebbe ritornata a casa. In fondo, anche noi lasciammo la nostra famiglia seguendo il nostro destino. Così il 29 ottobre 1988 Grazia lasciò il Canada (già era nevicato), vendendo la sua bella automobile, decisa più che mai ad affrontare ogni ostacolo. Cos'è la forza del destino, che ogni individuo umano sente e prova nel suo intimo? È quella forza che ci spinge ad uscire dalla nostra adolescenza e a diventare adulti, capaci di seguire e decidere la nostra vita. Nel 1989, nostro Rev 26 67 Le mie memorie figlio Mario ci diede la notizia che desiderava sposarsi. Anche lui ha scelto il proprio destino. Il 19 agosto 1989, nostro figlio si sposò e rimase nella nostra municipalità, molto vicino a noi. Nostra figlia venne per il matrimonio del fratello e nello stesso tempo, ci diede la notizia che il giovane che aveva conosciuto (il primo della sua vita) gli aveva regalato l'anello di fidanzamento prima della partenza per il Canada. (Forse temeva che se fosse ritornata a casa non sarebbe ritornata indietro). Senza pensarci tanto, ci disse che vorrebbe sposarsi l'anno prossimo, il 1990. Non mi dilungo nel raccontare le tante emozioni che stavamo provando. Ci sentivamo davvero perduti. È stato un anno triste per noi. Non solo nostra figlia si sarebbe sposata, ma non in Canada, bensì in Italia per fare piacere alla madre del giovane. Molto accondiscendenti, accettammo tutto quello che faceva piacere a nostra figlia. Io e Giovanni, bastava guardarci negli occhi e uscivano le lacrime di gioia per i nostri figli, ma dentro di noi pensavamo a nostra figlia così lontana e ciò ci dava tanto pensiero. Eravamo d'accordo con tutto quello che i nostri figli chiedevano, abbiamo sempre cercato di farli felici. Rimasti soli in un anno, è stato molto triste, come tanti genitori provano. Ora la nostra vita era quella di trascorrere cinque mesi a Roma in inverno e sei mesi in Canada, in estate. Per sette anni, andammo a Roma d'inverno per stare vicini a nostra figlia. Lei lavorava, e noi avevamo la nostra stanza col bagno in una bellissima villa costruita nel 1991. Infatti, appena sposati, acquistarono un appartamento vicino al mare a Torvaianica. Ma poi, pensando che noi non avevamo le nostre comodità, decisero di vendere l'appartamento e acquistarono la villa che stava in costruzione. Noi Rev 26 68 Le mie memorie passammo alcuni bellissimi anni con loro l'inverno se non che, nostro genero, fu inviato a Beirut nel Libano per un anno e noi siamo rimasti a Roma con Grazia. Nel dicembre del 1994, nostro genero venne per una settimana a visitarci ed a trascorrere il Natale assieme, poi ripartì. Rimasti soli con Grazia, poco dopo a gennaio, Grazia ci diede la notizia che aspettava un bambino. Eravamo tutti felici per questa grande notizia (perché, l'anno prima, lei aveva perduto la prima gravidanza). Andammo dal ginecologo che confermò la gravidanza di nostra figlia e le disse che se voleva portare a termine la sua gravidanza doveva smettere di andare in macchina e di lavorare ed essere a riposo assoluto almeno fino al quarto mese. Grazia lasciò il lavoro e restò a riposo fino al quarto mese. Noi dovevamo partire per il Canada a metà aprile. Una sera, Giovanni sentì dei forti dolori all'addome, a destra. Venne il dottore a casa ma non trovò nulla, diede qualche pastiglia antidolore e se n'andò. Ma durante la notte, Giovanni sentì ancora dolore e mio fratello Ermanno, che trascorreva anche lui l'inverno a Roma con noi, disse "Giovanni, vestiti: ti porto subito al pronto soccorso". Detto fatto, fu visitato subito da un medico che dissi a Giovanni "Non possiamo iniziare delle ricerche perché lei parte tra qualche giorno per il Canada, però, appena arriva a casa, vada subito dal medico". Al nostro arrivo in Canada, non sentì più il male e mi disse "Tra qualche giorno ritorna a Roma, a prendere Grazia", dato che Grazia e il marito avevano stabilito che il bimbo sarebbe dovuto nascere in Canada. Il matrimonio è stato fatto a Cassino e il primogenito sarebbe dovuto nascere in Canada, come ci avevano promesso. Ripartii per Roma, dove restai 10 giorni. Dopo aver messo tutto a posto, Rev 26 69 Le mie memorie chiudemmo casa e con Grazia ritornammo in Canada. Sull'aereo c'era un gruppo di cantanti e Ruggero che cantava nei concerti. Erano una decina. Tutti fumavano come turchi. Noi due avevamo due posti, i primi dopo la business class, il fumo arrivava tutto a noi. Mi alzai e andai da loro con le buone maniere, spiegai la situazione di mia figlia. Si scusarono e dissero "Cercheremo di non fumare tanto". Andavano di qua e di là ma intanto mia figlia si copriva il viso con un fazzolettino per non respirare il fumo. Arrivammo finalmente a casa e, dopo qualche giorno, appena riposate, pensammo a Giovanni perché il dottore di Roma aveva capito che qualcosa non andava ma non lo disse apertamente. Telefonai al medico di Giovanni, da 25 anni andava sempre da lui. Dopo una visita, lo mandò a fare i raggi X. Dopo due giorni ci chiamò dicendo di andare da lui. Io, invece di andare con Giovanni, chiamai suo fratello chiedendogli se poteva venire con me perché temevo che il medico ci dovesse dire qualcosa non tanto piacevole. Ignoro, tutto ciò che accadde dentro l'ufficio del dottore, pensavo che mi fosse caduto il cielo in testa. Mio cognato cercava di calmarmi ma io non capivo più niente: come un dottore durante 25 anni non si è mai deciso di fargli fare i raggi ma dava solo degli antiacidi? E ora era troppo tardi. Senza tante cerimonie mi disse che ormai l'ulcera cancerosa sarebbe avanzata molto velocemente. Andammo dal chirurgo, che, a me sola, disse "È inoperabile". Con me c'era mio figlio Mario e chiese al chirurgo quanto tempo di vita prevedeva per il padre. Rispose "Non tanto: un paio di mesi". Io chiesi di portare mio marito a Rev 26 70 Le mie memorie casa e in mattinata gli avevano già fatto firmare una carta per operarlo. Gli hanno fatto credere che volevano vedere se potevano trovare un rimedio. Invece, aperto e chiuso, i giovani dottorini hanno fatto la loro esperienza su di lui. Andai immediatamente all'ufficio, chiesi tutti i documenti e portai a casa mio marito. Vi trascorse cinque mesi. Non ha sofferto, mangiava bene e nel frattempo nostra figlia Grazia portava avanti la sua gravidanza molto bene. Giovanni godeva nel vederla nel giardino vicino a lui mentre coi ferri faceva la copertina alla bambina. Io intanto, mentre lui stava in giardino, ero tutta indaffarata a preparare la cameretta del bambino. Era il mese di agosto. Ricevevamo tantissime visite pomeridiane, a volte tre diverse visite in un pomeriggio. Riordinavamo la tavola in sala, e pronti per altre visite. Facevo tanti dolci e Giovanni intratteneva tutti quelli che venivano a trovarlo. Non ha mai fatto pesare il suo dolore a nessuno. Se gli avessero chiesto come stava, lui subito rispondeva "Bene, bene". Era felice perché diceva agli amici che aveva l'infermiera privata perché io gli amministravo le medicine giorno e notte in orario. La domenica prima la casa era piena di familiari. Ad un tratto Giovanni mi disse di suonare la nostra canzone Nell'immensità di Johnny Dorelli. Poi mi prese e mi fece ballare. Mi teneva così stretta a lui che sentivo i palpiti del suo cuore battere sul mio. Io piangevo in silenzio. Questo fu il nostro ultimo ballo, il nostro addio... per sempre! Intanto nostra figlia era ormai giunta alla data prevista per il suo parto: la prima settimana di ottobre, quando Giovanni si mise a letto ed io ero sempre vicino a lui giorno e notte. L'ultima settimana le infermiere del VON mi dissero che era meglio ricoverarlo all'ospedale per il suo bene e anche per il Rev 26 71 Le mie memorie mio. Glielo dissi e lui subito disse sì. Strada facendo con l'autoambulanza, mi disse "Puoi fare un po' di ravioli per questi autisti che sono bravi, vanno piano e non mi sento male?" Dissi "Sì glieli farò". Come sempre era pieno d'umanità verso il prossimo, tutta la sua vita è stata fare del bene al prossimo. Ci lasciò il 7 ottobre alle 16:45 e Grazia sentiva qualche contrazione. Io pregavo il Signore "Solo non fare nascere il bambino in questi tristi giorni". I dolori passarono. Facemmo tutte le nostre onoranze a Giovanni e restammo in attesa della nascita della prima nipotina (a questo punto seppi che ero una bambina). Mio genero arrivò dal Libano dove è stato un anno al servizio della Nato per la pace del paese. Arrivò la sera prima della morte, Giovanni l’ha riconosciuto ed era felice sapendo che sarebbe stato in Canada per lui e per la nascita della bimba. Come si può abbinare un grande dolore ad una felicità, un funerale ad una nascita ed un battesimo, tutto in 10 giorni? Solo una persona come me poteva riuscire ad organizzare tutto come si deve, il pranzo del battesimo e tutto il resto. Ero diventata come un robot, continuavo a fare tutte le cose per non far pesare agli altri il mio grande dolore. Il 17 ottobre 1995, alle ore 21 e 15, nasceva la nostra nipotina Raffaella Rita, per consolarci tutti. Il signore ci ha mandato quest'angioletto ad aiutarci, per alleviare la nostra pena. Mi occupai subito dalla bambina, avendo avuto mia figlia il taglio cesareo, perciò, giorno e notte, ero occupata con la bambina e durante la notte parlavo sempre con lei come se mi sentisse e capisse ciò che dicevo. Mi capiva molto bene, tant'è vero che posso provarlo con Rev 26 72 Le mie memorie un’audiocassetta o un CD. A due mesi rispondeva per la durata di 15-20 minuti di conversazione. Straordinario da ascoltare! Incredibile, il pensare che una bimba di due mesi avesse la capacità di capire e di rispondermi con la sua bocca: sembrava proprio che mi parlasse. Prender cura di lei era un compito gradevole per me, pensando che quest'angioletto dava seguito alla nostra vita e a quella della sua mamma e del suo papà. Dopo un po' di settimane, Grazia stava meglio e si occupava della bambina, ma quando mi vedeva triste mi diceva" Mamma, Raffaella ti vuole!". Così ci confortavamo a vicenda. Mio genero era fuori di sé dalla gioia di essere papà, ma, d'altra parte anche lui era triste, come lo era tanto anche mio figlio Mario. Mio genero ripartì per il Libano (Beirut) dopo il battesimo, alla fine di ottobre. Finì il suo servizio a dicembre, ritornò a Roma alla loro casa e preparò tutta la cameretta della bambina. Noi, Grazia, Raffaella ed io, partimmo per Roma alla metà di gennaio 1996. Andavamo a spasso con la bambina a Roma. A febbraio ci sono già le mimose tutte fiorite e tutti i fiori del giardino, sempre un bel sole. Stavamo fuori perché la temperatura era proprio primaverile. L'anno prima stavamo sempre in giardino con mio marito, ci sedevamo sulla nostra panchina, che avevano comprato per noi, a goderci il bel sole di Roma ed eravamo tanto felici. Ora vivo solo di ricordi e mi aiutano tanto a continuare la mia vita passata con Giovanni. Abbiamo trascorso un lungo tempo a piangere la perdita del nostro caro Giovanni. Era troppo grande il dolore e il vuoto che ha lasciato nella nostra vita. Dopo aver trascorso 38 bellissimi anni di vita meravigliosa con i nostri figli, vacanze bellissime in molte parti del mondo, pensare che lui non è più tra di noi, lascia un vuoto incolmabile. Ma bisogna farsi una ragione, un giorno, prima o poi, ci riuniremo ancora per essere sempre insieme. Rev 26 73 Le mie memorie Nel 1996, mio genero, Mario Coppola, che io chiamo George, fu inviato per altri quattro anni in Belgio e quindi io incominciai a trascorrere l'inverno in Belgio e l'estate in Canada. Quando George è partito per il Belgio, prima di mia figlia, mio fratello Ermanno venne a Roma e ci portò in macchina con Raffaella che aveva appena compiuto un anno in ottobre. Siamo arrivati in Belgio il 2 novembre. Il grande contenitore con tutta la mobilia era arrivato il giorno prima ma tutti i mobili stavano ancora sottosopra e c’era da preparare il più necessario. Abbiamo attraversato sei paesi da Roma al Belgio. Una vera avventura con mio fratello sempre disponibile. Incominciò così la nostra nuova vita in Belgio per quattro anni. Io andavo e ritornavo in Canada dove avevo la mia attività culinaria privata. Ancora oggi continuo il mio lavoro con tanta passione. Nel 1997 fui invitata dalla città di Reggio Emilia e dal Circolo Culturale della Dante Alighieri a partecipare al grande raduno di tutti reggiani nel mondo in occasione della ricorrenza dei 200 anni dell’adozione del tricolore come bandiera nazionale, a Reggio Emilia, il 7 gennaio 1797, i deputati delle quattro città che formavano la Repubblica Cispadana, Ferrara, Bologna, Modena e Reggio Emilia, si riunirono a Reggio Emilia nella sala del municipio oggi chiamata del tricolore e sancirono la Repubblica cispadana una ed indivisibile con lo stendardo verde, bianco e rosso. Questo è un vanto di Reggio da aggiungersi a quello di essere stata la prima sede di un Parlamento italiano. Il Gonfalone della città è stato anche decorato con la medaglia d'oro al valore militare per l'apporto dato da Reggio alla conquista della libertà per lo spirito di resistenza che culminò con la lotta di liberazione del 1945. Il municipio di Reggio Emilia, città del tricolore come è chiamata, è Rev 26 74 Le mie memorie uno spettacolo da vedere, per la sua imponenza strutturale ed artistica settecentesca. Mi recai dunque dal Belgio a Reggio Emilia per questa commemorazione. L'associazione Dante Alighieri chiese se qualche invitato al raduno volesse scrivere la propria storia e di fargliela avere per tempo. Accettai volentieri e scrissi "La mia vita in Canada" che fu poi pubblicata a Correggio (Reggio Emilia) nel 2002 da Umberto Borghi e che fu letta davanti a tutti partecipanti e al pubblico durante lo svolgimento della celebrazione nella sala del tricolore. Per quattro giorni, il 26,27,28, 29 giugno 1997, ci furono festeggiamenti indescrivibili, pranzi, cene, feste pomeridiane, tavole sempre imbandite di tante specialità reggiane. I nostri occhi non potevano credere alla perfetta organizzazione di tutti questi ricevimenti, a cui facevano seguito intrattenimenti nei teatri e nei club. Le persone che avevano cucinato queste specialità erano tutte volontarie. Incredibile! In molte e diverse municipalità della provincia, in montagna e pianura, fummo tutti accolti con tanto calore e soprattutto tanto affetto. Ciò mi rimarrà eternamente impresso nella memoria, come cosa mai vista da nessuna parte. Quattro indimenticabili giorni nella nostra bella Reggio. L'ultima serata, dopo cena, fummo accolti in un grande club da ballo, per invitati solamente, da un grande pubblico che ci diede un ultimo saluto e tanti applausi. Ad un certo punto l'annunciatore chiamò il mio nome perché mi presentassi da lui. Mi chiese da dove venivo, risposi “da Montreal Canada” e mi chiese se volevo parlare dall'accoglienza ricevuta e se volevo ringraziare. Io risposi "Ben volentieri". Presi il microfono e cominciai, senza problemi, a presentare il mio discorso di chiusura. Poi seppi che un signore, tanto più giovane di me, che veniva dal Belgio ed era il proprietario di un grande ristorante, aveva detto all'annunciatore che io ero la Rev 26 75 Le mie memorie mascotte del gruppo. Ringraziai, a nome di tutti i partecipanti, il circolo Dante Alighieri in particolare e tutti gli associati per il loro contributo speciale nei preparativi e la città di Reggio Emilia per la grande accoglienza veramente commovente. Ringraziai il presidente della Dante Alighieri e poi si incominciò il ballo. Mio fratello Ermanno mi fece ballare, ma due signore se lo contendevano dicendo l'una all'altra che non era di sua proprietà. Così io perdetti il mio ballerino. Sono cose che succedono. Incontrai tante care persone ed ogni tanto ci risentiamo al telefono. Al termine dei festeggiamenti, ritornai in Belgio dove mio genero con la famiglia era stato inviato per un periodo di quattro anni alla base militare SHAPE con la Nato. Così spesso si andava al ristorante con l'amico incontrato al raduno. L'8 giugno del 2000, mia figlia diede alla luce una bella bambina. Le diedero il nome di Giovanna Giulia (il nome Giovanna l'hanno scelto i genitori, e Giulia l'ha scelto Raffaella). Quando nacque Giovanna, ero là ed ero felice di vedere che tutto era andato bene e di poter dare un aiuto a tutti in famiglia. Fu per tutti una grande gioia, specie per la sorella, che ormai aveva già cinque anni. Le mie nipotine erano piccoline, cantavo loro la canzone “ La casetta in Canada”. “ Avevo una casetta piccolina in Canada Con vasca e pesciolini e tanti fiori di lillà E tutte le ragazze che passavano di là Dicevano che bella Raffaella e Giovanna in Canada” Prima cantavo solo “Raffaella”, poi quando è nata Giovanna, l’ho aggiunta. Le bambine mi continuavano a chiedere:” Ancora, ancora, ancora”, così cantavo fino a che io mi addormentavo prima di loro. Poi leggevo loro la Rev 26 76 Le mie memorie storia di Cappuccetto, anche quella me la facevano ripetere per ore, la storia di Biancaneve e i sette Nani, quella di Pinocchio, e ciò finche crescevano belle grandine. Poi c’era la preghiera che avevo inventato “Ti ringrazio Signore, della bella giornata che mi hai dato, assieme alla mia mamma ed al mio papà e a tutti i miei cari, vicini e lontani. Amen”. Le bimbe ora frequentano la scuola a Roma e sono molto brave. La mia vita ormai è basata sull'attesa di rivedere mia figlia col marito e le bambine che amo tanto. Quante esperienze da raccontare! Mi ci vorrebbe un grande libro per scrivere ancora... Per tutto quello che ho fatto nella mia vita, e che continuo a fare ogni giorno c’e’ sempre una ragione: il pensiero e’ sempre proteso a fare del bene alla famiglia e all’umanità. Tutti i giorni si dovrebbe fare qualcosa di buono ed aiutare il prossimo. Questa è per me la più grande gratificazione per tutto quello che ho fatto all’umanità. Nella mia vita intera ho fatto tutto quello che desideravo nel modo buono, ho fatto tanto bene al prossimo e soprattutto non ho mai chiesto nulla in ritorno. Le persone che ricevono il mio bene, è tutto quello che mi fa felice al mondo. L’ULTIMO CAPITOLO DELLE MIE MEMORIE Sabato 10 gennaio 2009,alle ore quattro pomeridiane circa, suonò il campanello di casa mia, dove risiedo da 45 anni. È una regola per me di non aprire mai la porta a nessuno se non mi telefonano prima. Ero appena uscita dal bagno, dopo la ginnastica nell'acqua, come d'abitudine. Avevo i rulli in testa, senza dar peso a chi poteva essere alla porta. Parlai prima attraverso Rev 26 77 Le mie memorie la porta chiusa essendo la porta tutta a vetri, e chiesi cosa volessero. Erano una bella ragazza ed un giovane, pure lui carino. Da fuori, con 26° sotto zero, mi mostrarono un plico con fotografie, tra cui una grande foto scattata in casa mia nel 1968, con mia nipote Fiorella e il suo fidanzato. Ero un po' incerta se farli entrare o no, ma poi, essendo essi al freddo fuori, decisi di farli entrare e di cercare di capire che cosa volessero. Torniamo ora indietro di quarant'anni, quando mia sorella Mara ci telefonò dall'Italia. Era il 1967 l'anno dell'esposizione mondiale a Montreal. Noi, più che mai sorpresi, ascoltammo quello che aveva da dirci. Mara ci chiese se potevamo ospitare per un po' di tempo sua figlia Fiorella per distoglierla dal fidanzatino che aveva incontrato alla scuola di Reggio Emilia. Noi eravamo nel pieno del lavoro, con i ristoranti, ma io e Giovanni fummo contenti di ospitarla. Aveva solo 17 anni ed era una responsabilità non piccola. Restò con noi fino all'aprile del 68, quando noi prendemmo una vacanza. Durante la nostra assenza da casa, Fiorella se ne andò in città dal padre a Montreal. A settembre ritornammo dalla vacanza e nel frattempo Fiorella, a casa del padre, aveva avuto un po' più di libertà. Ma, a questo punto, non eravamo più noi responsabili di lei. Usciva con amici, lavorava, era felice. Il giorno di Natale 1968 venne a trovarci. Noi, con tutti i familiari di Giovanni, eravamo più di 20 persone, la invitammo a restare a cena con noi. Ci presentò il suo fidanzato. Decisero di restare, ma dopo un po' mi dissero che non potevano restare e se ne andarono. Forse lui non si trovava a suo agio. Lei, ogni tanto, ci veniva a trovare, e un bel giorno ci telefonò per informarci che, assieme al fidanzato, si sarebbero trasferiti a Toronto. Si sposarono e ci mandarono le foto. Da allora non seppi più nulla di Fiorella. Mia sorella Mara, madre di Fiorella, era in Italia col figlio Adriano, che studiava per conseguire Rev 26 78 Le mie memorie la laurea in psichiatria. Il padre, una brava persona ed un buon lavoratore, lavorava qui a Montreal. Manteneva bene la sua famiglia. Mia sorella, molto irrequieta, voleva solo viaggiare, avanti e indietro per l'Italia, senza mai trovare pace. Ma tutto questo è comprensibile perché non ascoltava la mamma quando ci raccomandava di non fermarci con i soldati dopo la guerra “ perché oggi sono qua e domani partiranno o forse sono già sposati, perciò state lontano". Ma il suo destino era già segnato. Nell’immediato dopoguerra incontrò un militare albanese, profugo dall'Albania, si innamorò, si sposò e dopo due anni venne la chiamata al marito di scegliere il paese dove voleva andare. Lui scelse il Canada. Partirono per Napoli e restarono là ancora per due anni nei campi dei profughi. Il primo bimbo, Zeni, nato a Reggio Emilia, aveva già due anni e mia sorella aspettava un altro bambino. Nacque una bambina di nome Iva, a Pozzuoli di Napoli. I bambini crescevano in modo precario, e noi eravamo molto in pensiero. Venne il momento della partenza ed i bimbi erano tutti e due ammalati. Passarono ancora alcuni giorni e i bimbi erano gravi. Decedettero due giorni prima della partenza. Mio fratello Armando partì subito. Arrivato a Pozzuoli, riportò quelle povere giovani salme, la loro vita finita così presto. Mia sorella impazzì dal dolore. Partì col marito alla volta di Montreal, in Canada. I bimbi furono seppelliti nel cimitero di Reggio Emilia, dove ancora sono, in piccole urne e, ogni volta che vado a Reggio, faccio loro una visita. Quello è stato per noi un grande dispiacere. La vita di mia sorella fu molto burrascosa. Prima perse in guerra il fidanzato e dopo visse la sua vita da profuga. Insomma lei soffrì per la sua scelta di vita, quindi, di conseguenza, era fuori di sé ed era molto difficile in casa, perché voleva tutto a modo suo. Non accettò mai la condizione in cui Rev 26 79 Le mie memorie si trovò dopo sposata. Ma, pian piano, si riprendeva. Le scrivevamo spesso lunghe lettere per poterla consolare e darle coraggio. Un bel giorno ci diede la notizia che aspettava un bambino. La mamma diceva "Forse questo l’aiuterà a riprendersi”. E fu proprio così. Il 6 maggio nacque Fiorella. Nel 1952, Mara venne in vacanza con la piccola e, con nostra grande sorpresa, ci disse che aspettava un altro bimbo. L'accogliemmo in casa nostra ed eravamo tanto felici di conoscere Fiorella, molto carina ed intelligente. Era già la fine di ottobre e lei aspettava il bimbo per dicembre, ma l'ostetrica disse che il bimbo sarebbe nato prima. E, infatti, l'11 novembre 1952, nasceva Adriano Jonus. Mia sorella partì il 15 aprile 1953 da Genova con i due bambini per ritornare in Canada. Ma mia sorella non era più come prima. Nel 1955 ritornò in Italia, Cercava di uscire dalla sua vita presente, ma non poté mai ritrovare quella di prima. I figli, di conseguenza, ne soffrivano e crescevano in uno stato d'animo, direi, di tristezza, rispetto ad altri bambini. Lei usciva al mattino per andare forse in cerca di qualcosa che potesse farle dimenticare tutto il dolore del suo passato. Ritornava a casa senza rispettare l’orario del pranzo e strillava alla mamma o alle sorelle perché facevano mangiare i bambini con loro. Insomma, la mamma diceva che dovevamo essere molto pazienti con lei perché i dolori della sua vita l’avevano portata a tale punto. Si trasferì in casa nostra come fosse la padrona .Mio fratello Ermanno, con la moglie e il bambino, dovette uscire di casa nostra, senza poter prendere nulla con sè. Ermanno cercò di prendere la bicicletta ma lei gliela strappò via, dicendo che quella faceva parte della casa. Da quel momento, nessuno potè prendere più nulla. Restò tutto a lei. In quel momento, abbiamo capito quanto il suo tormento avesse sconvolto la sua mente. Tutto questo fu causato dalla sua Rev 26 80 Le mie memorie scelta sbagliata di vita. Poteva solo dire "mea culpa". Io ero già in Canada dal 1953 e ci sono tuttora da 56 anni. Ritorniamo alla visita di questi due giovani. Lei si chiama Danielle Antoinette ed il giovane Jean. Volevano sapere da me se ero la zia di Fiorella. Risposi "Sì sono io, ma voi cosa volete da me?". La ragazza tutta sorridente mi disse "io sono la figlia di Fiorella". Stralunata, e quasi paralizzata risposi "No, vi sbagliate, non può essere vero". Incominciarono a farmi vedere tutti i documenti riguardanti Fiorella, con tante informazioni che non conoscevo prima ed ero veramente sorpresa. Mi dissero che lei aveva 19 anni quando nacque la bambina il 17 ottobre 1969 all'ospedale di Toronto. Il marito divorziò da Fiorella perché non voleva bambini. Fiorella non era preparata al matrimonio, tanto meno ad allevare un bambino o bambina. La madre non le insegnò mai nulla della vita e la figlia ne pagò le conseguenze. A me dispiace tanto. Come deve aver sofferto, senza fare sapere a nessuno cosa le era capitato. Non era poi la fine del mondo! Bastava una telefonata a me, che ero la sua zia preferita, e dirmi tutto. Io avrei preso cura di quella piccola creatura, l'avrei cresciuta per lei con tutto il mio amore, con tutto il conforto e il calore e avrebbe potuto crescere vicino alla sua mamma che avrebbe goduto ogni minuto della sua crescita. La bimba, alla nascita, portava il nome di Fiorella Jonus. Le ricerche furono difficili perché pensavano che portasse il nome del padre, Mario Palasciano. La bimba è stata adottata da una buona coppia che l'ha allevata molto bene. Essi abitavano a Baie D’Urfe, vicino a Beaconsfield dove noi avevamo il nostro ristorante Tevere. Mentre loro due parlavano, io tremavo, agitata da questa notizia. Mai in vita mia avrei pensato che Fiorella, Rev 26 81 Le mie memorie nel passato, avesse avuto una figlia senza mai farcelo sapere in tutti questi quarant’anni. Come avrà sofferto, tutta sola, senza confidarsi con nessuno, neanche col fratello! Ricordo che, quando ritornò in Italia nel 1970, ebbe una grande depressione. Non si seppe mai per quale causa. Anche il fratello non seppe mai nulla. Lui, che la curava, mi diceva che la depressione è una malattia difficile da curare se non se ne conoscono le origini e la causa. Una ragazza così buona, cara, dovette sopportare tanta pena, lasciando la sua piccola bambina senza mai più rivederla se non quarant'anni dopo. Racchiuse dentro di sé un tormento incredibile, che causò la sua malattia, Ma oggi si può sperare che possa trascorrere ancora molti anni di gioia meritata dopo aver ritrovato la sua bambina che, quest'anno, il 17 ottobre 2009, festeggerà il suo quarantesimo compleanno. Quanti anni della sua vita perduti pensando alla sua piccolina senza sapere come e dove era finita, se abbia sofferto. Insomma, un segreto che le costò tanta pena, tanto dolore. Ma ora si sono ritrovate e conosciute, mamma e figlia. Questi giovani parlavano e raccontavano di come sono stati a Reggio Emilia ad incontrare la mamma di Antoinette. E’stata un'emozione troppo grande da parte di tutte e due. Ci sono da raccontare quarant'anni di storia che si concluse, tutto sommato, con un incontro di felicità ben meritata. Da Ginevra, Svizzera, dove ha vissuto per un paio di anni, la figlia di Fiorella andò in Italia ad incontrare la madre, per la prima volta. Certamente sarà stato un incontro molto emozionante. La loro vita oggi è alla base del racconto di un bel libro di storia di due vite. Nel rivivere la nostra vita passata, giorno per giorno, solo così si trova il coraggio e la forza di continuare a pensare al futuro col cuore tranquillo. Dobbiamo cercare di tramandare tutte le nostre esperienze ai giovani del Rev 26 82 Le mie memorie futuro. Loro non capiranno mai come abbiamo potuto vivere nel nostro mondo così semplice, in condizioni così limitate, ma noi eravamo determinati a raggiungere un futuro migliore. Avevamo una grande speranza che un giorno forse si potesse arrivare al futuro senza accorgersi che gli anni passavano. Ma eravamo felici con poche pretese, intenti solo a comandare al nostro io di prender possesso del nostro futuro. Per me il futuro è cominciato nel momento in cui ho toccato la terra di questo straordinario bellissimo paese che è il Canada. Mai prima d'ora avrei pensato di dover viaggiare così lontano attraversando l'oceano per cercare il mio futuro. Era già segnato nel mio destino che benedico e ringrazio per essere stato così generoso con me. Questa terra mi ha accolto a braccia aperte con la sua libertà di pensiero, di religione, di espressione. Soprattutto, il rispetto delle leggi di questo paese, continua a mantenere l'accordo tra la moltitudine delle razze immigrate. Anch'io sono un’emigrante e sono molto orgogliosa di essere una cittadina canadese. Ho sempre lavorato, senza pretese senza mai chiedere al governo cosa poteva fare per me, ma ho scelto la mia strada dell'onestà e del lavoro ed ho sempre contribuito del mio meglio alla società con tutto ciò che ho realizzato grazie alle mie capacità e alla mia costanza al lavoro, che e’ ancor oggi la mia ragione di vita. Grazie Canada di avermi dato il mio futuro 56 anni fa. Wanda Cavalli Calcagni Rev 26 83 Le mie memorie Rev 26 84 Le mie memorie Foto di famiglia Rev 26 85 Le mie memorie Rev 26 86 Le mie memorie Rev 26 87 Le mie memorie Rev 26 88 Le mie memorie Rev 26 89 Le mie memorie Rev 26 90 Le mie memorie Rev 26 91 Le mie memorie Rev 26 92 Le mie memorie Rev 26 93 Le mie memorie Rev 26 94 Le mie memorie Rev 26 95 Le mie memorie Rev 26 96 Le mie memorie Rev 26 97 Le mie memorie FINE Rev 26 98