Banco alimentare, il cibo dell'anima
diLucayarognoEi
I TRENTO
Sgobbano come in catena di
montaggio per raccogliere, accatastare e distribuire cibo alle associazioni che ogni mese vengono a ritirarlo. Ma il cibo - dicono
i volontari del Banco alimentare
- è in fondo alle loro preoccupazioni. Quello che danno è quello
che ricevono: relazioni tra persone e momenti di condivisione.
Può sembrare retorico o stucchevole ma è di questo che ti
parlano i pensionati, ieri una decina, intenti a controllare le scadenze degli omogeneizzati attorno a un lungo tavolo fatto di bancali in un capannone dell'interporto, con i maglioni di lana fino
al mento (la temperatura è bassina) e circondati da centinaia di
scatoloni contenenti 216 tonnellate di generi alimentari, frutto
della Colletta del 30 novembre.
Una scelta di vita la loro, che è
anche profondamente politica,
dunque, perché ha a che fare
con la giustizia e l'equità nella distribuzione delle risorse. Non è
un caso che la fonte di ispirazione, per molti, sia un certo don
Giussani. Che il Banco l'ha creato e che definiva la fede come figlia di un incontro. Questione di
religione quindi? «Questione di
umanità», risponde Enzo Andreolli, pensionato di Isera (capo officina alla Michelin e poi operaio in cartiera), che è uno dei volontari "della prima ora". Lui
c'era, 10 anni fa, quando nacque
il Banco del Trentino Alto Adige.
E c'era 40 anni fa quando don
Roberto Marchesoni, che all'
epoca era suo professore di religione alle Iti di Rovereto, dopo
avere incontrato il fondatore di
CI e i suoi ragazzi per caso in Val
di Genova, lo andò a trovare a
Milano e poi iniziò a gettare quel
seme anche in Trentino: «Seguimmo don Roberto perché dava risposte alle grandi questioni
della vita e lo faceva nella concretezza della quotidianità. Avevamo 17 anni e ci portava alle vacanze comunitarie in Val Badia
e a fare la "caritativa" nelle parrocchie di montagna, la domenica, dove andavamo a far giocare
i bambini. Ci propose anche di
creare l'Anonima restauri: tutti
insieme a riparare mobili e rifare
pavimenti nelle famiglie...».
Una strada di solidarietà che è
sfociata poi nell'esperienza del
Banco, voluto proprio da don
Roberto. Ma che può essere percorsa anche con spirito laico.
«Se uno ha il dono della fede è
un'aggiunta. Ma per aiutare
qualcuno non serve nulla di particolare. Ti senti contento: risponde alla tua domanda di felicità». Una felicità che si può persino misurare: «Si dà un chilo di
riso e se ne prendono due di soddisfazione», sorride. É per questo che i volontari spesso non "si
accontentano" del Banco: fanno
il doppio volontariato: «Il Banco
è un grossista che consegna gli
alimenti solo ad enti (134 quelli
regionali) che poi si incaricano
di distribuirli alle famiglie», precisa Enzo. «Non può, per statuto, consegnare direttamente».
Così quasi tutti qui sono attivi
anche nelle strutture caritative
convenzionate: lui e la moglie
nel Banco di solidarietà della
Vallagarina, dove portano gli
scatoloni a 5 o 6 famiglie che or-
mai sono diventate amiche.
Questa esigenza interiore, a
raccogliere ma anche a dare di
persona, coincide con il lavoro
che sta compiendo nelle valli Roberto Scarpari, 61 anni, romano, che da volontario (ha iniziato nel 2010) è diventato dipendente del Banco. Il suo sforzo è
di far sì che siano le stesse associazioni del posto a farsi carico
del prelievo presso i supermercati vicini e dell'utilizzo interno
o della distribuzione ad altri degli alimenti (qui si parla soprattutto dei "freschi", che necessitano di un canale veloce dedicato). Domanda e offerta si incontrano senza mediazioni, facendo risparmiare risorse. Ma c'è
dell'altro: non avrebbe senso dice Scarpari - prendere a Tione
e portare a Trento, o viceversa.
«Noi vogliamo che il territorio
venga educato alla carità e alla
condivisione», sottolinea. «Alla
base deve esserci lo stare assieme. Tanto che la succursale che
distribuisce è gestita, in molti casi, dalle stesse persone che hanno bisogno. E che alla fine della
giornata si fanno il pacco». Roberto - racconta - si è avvicinato
al Banco «nel momento più
complesso della mia vita. Ho letto un opuscolo sullo scambio di
esperienza che nasce dalla consegna dei pacchi alimentari e mi
ha colpito». Prima era agente di
assicurazione: «Ho chiuso e mi
sono dedicato a questo, un'occupazione che mi ha dato molto».
Alberto Giovanazzi, 69 anni,
di Brentonico, conobbe don Roberto a Rovereto: «Negli anni
Sessanta io gestivo il bar Impe-
riale, sul corso, e la sede di Comunione e liberazione era al piano di sopra. C'era anche Radio
Studio 7: la mettemmo in piedi
noi, ne abbiamo fatte tante di cose assieme. Mia moglie diventò
la segretaria del movimento e
quando ci sposammo, nel 1981,
chiedemmo a don Roberto dove
andare ad abitare: venimmo a
Trento perché lui si era trasferito
qui e aveva bisogno di una mano nell'organizzazione, dato
che era circondato soprattutto
da studenti». Il sacerdote contattò Duilio Porro, un amico lombardo che oggi è il presidente
del Banco regionale. «All'inizio
eravamo in un circolo affittatoci
dalla Petrolvilla, dove ci si trovava con Duilio, interista sfegatato, a vedere le partite. I pacchi li
stoccavamo in una stanza. Le
persone bisognose? Le conoscevamo grazie al passaparola. Poi
ci trasferimmo in una struttura
all'interporto, che però era scomoda perché dovevamo dividerla con altri. A pranzo si andava a
casa di uno o dell'altro, che alle
11 staccava per mettere su la pasta. Nell'attuale sede, dove stiamo da 4-5 anni a questa parte,
abbiamo anche una piccola cucina e ci fermiamo qui a mangiare». A mezzogiorno e mezzo il
pranzo, preparato da Aldo, è
pronto: pasta all'amatriciana,
formaggi e salumi misti, mele e
mandarini, caffè e grappino.
Tutti salgono al piano di sopra,
in una grande sala spoglia. Si
mangia nei piatti di plastica, ma
il cibo è ottimo e la compagnia
di buon umore. Enzo invita a
una breve preghiera: «Diciamo
un Gloria per quello che ci è stato dato».
Scarica

Banco alimentare, il cibo dell`anima