Capitolo 9
Paesaggi … elettrici
Paesaggi …elettrici
L’elettricità è come l’aria,
ti accorgi che c’è solo quando ti manca.
Milano,Valtellina. Anche la storia è passata da queste parti.
Quella letteraria e scientifica, oltre a quella che si legge sui libri di storia. Bormio, infatti, era la porta
dell’Italia per chi arrivava da nord. Lungo la valle di Fraele passava la Via imperiale d’Alemagna,
un’importante via di comunicazione che nel Medioevo permetteva un’agevole traversata di questo tratto delle Alpi, collegando l’Engadina e la Germania con l’Italia. Come molte vie transalpine,
anche questa doveva essere già nota in epoche pre-romane, ma divenne famosa solo a partire dal
XII secolo. Ricorda il geografo e storiografo svizzero Guler che in una piana della valle, nota come
Campoluco, “che non produce né erba né fiori” furono trovate “di quando in quando meravigliose spade di ferro, pugnali di bronzo di varia forma e grossi femori quasi giganteschi”. Forse erano
le testimonianze tangibili della veridicità di un’antica leggenda secondo la quale, lassù, ai tempi di
Sant’Ambrogio, vennero massacrati moltissimi guerrieri pagani.
Della Valtellina cinque secoli fa parlava Leonardo da Vinci che ebbe modo di visitare molto della
Lombardia durante il suo quasi ventennale soggiorno presso la corte degli Sforza a Milano, al servizio di Ludovico il Moro. “Voltolina, com’è detto, valle circundata d’alti e terribili monti, fa vini
potenti ed assai, e fa tanto bestiame, che da paesani è concluso nascervi più latte che vino”, si legge
nel Codice Atlantico - Foglio 214. E indicava questi incantevoli luoghi come “là dove nascono gli
ermellini”, animale a lui caro, inserito in una delle sue opere più eleganti e preziose, quel suggestivo ritratto a Cecilia Gallerani più noto come “La dama con l’ermellino”(1490 ca., che ora si trova
a Cracovia, in Polonia).
A Madesimo, inoltre, nel 1888 Giosuè Carducci iniziò le cure termali che ripeterà ogni estate fino
al 1905. Qui nell’estate del 2001 è stato celebrato il centenario della cittadinanza onoraria concessa al poeta nel 190154.
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In quell’occasione è stato presentato un libro sui soggiorni del poeta in Valle Spluga e inaugurato il “percorso carducciano”, un sentiero a tappe che ripercorre i luoghi legati alle vicende di Carducci a Madesimo.
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Nelle valli dell’Alta Valtellina si ripete una curiosa tradizione che proviene dalla notte dei tempi: ci
sono alcune sorgenti naturali di acqua purissima note come le acque di San Carlo. La leggenda
narra che il Santo, transitato per queste montagne, si chinò a bere queste sorgenti e la sua mano
rimase impressa sulla roccia come un sigillo. Quell’acqua acquisì da quell’istante una bontà e caratteristiche straordinarie tanto che generazioni successive si recarono a bere in questi siti guarendo
miracolosamente e improvvisamente da malattie gravi. Le sorgenti dell’acqua sono state recentemente riscoperte e analizzate dimostrando una qualità e una purezza rimarchevoli55.
Infine, un po’ di campanilismo. Rinaldi si fa portavoce di “quando Cristoforo Colombo arrivò in
America. Incontrò, per primo un grosino che vendeva maialini. Per dire - aggiunge - che gli abitanti di Grosio con i loro maialini erano in tutti i mercati, fino a Delebio, dove li portavano su un carro
trainato da buoi”. Ma poi si ricorda di una storia, riemersa quando suo figlio si sposò a Venezia, sulle
donne grosine, “forse non solo una leggenda. Nella seconda metà del 1600 tantissimi artigiani
dovettero emigrare e andarono a lavorare come portuali nella Repubblica di Venezia. Durante il
periodo della peste erano morte quasi tutte le donne a Grosio e allora intervenne il Doge che
assegnò ai portuali grosini delle schiave armene di grande bellezza”. I grosini, che per molto tempo
ebbero il monopolio dello scarico delle merci nel porto della Serenissima, portarono le donne nel
loro paese.“Se oggi tu guardi le caratteristiche somatiche sono le loro, adesso un po’ meno a causa
dei matrimoni misti, ma fino a trent’anni fa c’erano proprio queste caratteristiche: erano anche delle
belle donne perché avevano questa origine orientale56. Quando mio figlio si è sposato a Venezia,
all’isola degli Armeni, e abbiamo detto da dove venivamo, i religiosi di origine armena di quella
comunità, mi hanno confermato questa storia”.
La via dell’energia.
L’acqua che scende dalle Alpi Retiche continua a scrivere la storia della Valtellina. È storia d’acqua
che scorre sotto i ponti o confluisce nelle condotte forzate. È storia di energia che ha scelto come
culla la valle dell’Adda. Lungo il suo corso, infatti, nota costante è la presenza delle centrali idroelettriche. E purtroppo la realizzazione dei bacini artificiali di San Giacomo e Cancano, ha cancella-
Le fonti di S. Carlo nel Bormiese, edizione Centro Studi Storici Alta Valtellina, 2003
La Guerra dei Trent’anni, con tutto il suo carico di saccheggi, devastazioni e pestilenze, aveva falcidiato e messo in
ginocchio le genti di Valtellina. Di qui la necessità dell’emigrazione. I grosini diedero nella Repubblica della Serenissima
una tale dimostrazione della loro abilità da acquistarsi ammirazione e riconoscenza, che si concretizzarono nell’insolito
dono. Molte donne armene, per volontà del Doge, vennero donate ai grosini che le condussero all’altare. Queste nozze
singolari permisero una rapida ripresa demografica della zona.
Anche nel folclore grosino attuale, del tutto diverso dagli altri valtellinesi, sono rimasti segni evidenti del costume armeno.
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to altre antiche memorie della storia, oltre ad alcuni abitati e agli antichi forni per la cottura del
minerale estratto dalle locali miniere di ferro sfruttate già nel XV secolo.
Gli impianti idroelettrici dell’Aem sono localizzati lungo il corso superiore del fiume, nell’alta
Valtellina, da Stazzona a Livigno in una zona di alto interesse paesaggistico e naturalistico, in gran
parte ancora incontaminata e inserita nel Parco dello Stelvio.
Quest’area, che si estende per mille chilometri quadrati, produce, con i suoi sette impianti, 1,8
miliardi di chilovattora l’anno, utilizzando un dislivello che in poche decine di chilometri supera i
1800 metri. Gli impianti sono il risultato di ottant’anni di sviluppo.
L’architettura per l’energia.
Fino alla fine dell’Ottocento la Valtellina era caratterizzata dalla tipica economia di montagna, fondata prevalentemente sull’allevamento e sullo sfruttamento dei boschi. Ai primi del Novecento, l’arrivo in questi territori dell’industria idroelettrica offrì, nonostante le diffidenze di una popolazione
locale abituata a utilizzare le risorse idriche in modo meno avanzato, un’occasione di integrazione
con l’economia lombarda, Milano e la pianura.
È anche da questa diffidenza che deriva il linguaggio architettonico prevalentemente classico e
poco tecnologico, più accettabile da parte degli abitanti e del pubblico, utilizzato dagli architetti
incaricati di progettare le prime centrali. Le centrali idroelettriche dell’Aem, infatti, si inseriscono nel
contesto valtellinese cercando di non creare fratture, almeno dal punto di vista architettonico57.
La centrale di Grosotto, ad esempio, costituisce uno dei più significativi complessi di archeologia
industriale in Lombardia, sia per la datazione storica, sia per la qualità e la conservazione dei singoli manufatti che la compongono.
Anche l’edificio della centrale di Roasco, con le sue merlature, riprende il profilo del sovrastante
castello. Il progetto è di Piero Portaluppi, uno dei massimi rappresentanti dell’eclettismo lombardo.
Oppure la centrale di Fraele a 1.331 metri di altitudine, la cui architettura rimanda al modello di
un palazzo rinascimentale e di un castello nordico, per l’uso di blocchi bugnati, finestre feritoie e
tetto spiovente58.
Pure gli edifici costruiti in Milano seguono la stessa filosofia. La sottostazione di via Gadio nei pressi del Castello Sforzesco è stata riprogettata internamente mantenendo lo stile Liberty. Si discosta
Cfr. Alle radici dello sviluppo. I primi 50 anni di storia dell’energia dagli archivi Aem, cit., pag. 48
Cfr. Franco MONTEFORTE, L’architettura delle centrali idroelettriche, in AA.VV., L’età Liberty in Valtellina,
Edizioni Mevio Washington & Figlio, Sondrio, 1988
Francesca POLATTI, Centrali idroelettriche in Valtellina: architettura e paesaggio 1900-1930, Laterza, Bari, 2003
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dalla classicità la cabina ricevitrice Sud, ultimata nel 1934 su disegno dell’Ufficio Tecnico dell’Aem e
che risente più fortemente dello stile fascista. Le murature di travertino hanno una tinta calda che
si intona con il verde chiaro delle lesene dei finestroni, due dei quali sono sormontati da bassorilievi, opera dello scultore Andreoletti, che simboleggiano l’acqua e l’elettricità.
L’attenzione all’ambiente naturale circostante si trasferisce in città e si trasforma in valorizzazione
di monumenti celebri, come l’Arco della Pace, piazza del Duomo, il Castello Sforzesco, posti in risalto da impianti di illuminazione a spese dell’Azienda.
La tutela dell’ambiente.
Nel corso dei decenni questi impianti, a fronte del contributo al progresso attraverso la derivazione delle acque, hanno causato notevoli cambiamenti territoriali e importanti variazioni del paesaggio e dell’habitat. All’epoca delle prime costruzioni, infatti, non erano contemplati studi ambientali
preliminari, necessari oggi prima della realizzazione di un progetto.
In Valtellina attualmente sono attivi alcuni progetti di recupero e salvaguardia del patrimonio florofaunistico. Dal 2001 la Comunità Montana dell’Alta Valtellina e il Parco Nazionale dello Stelvio stanno portando avanti Agenda 21, un piano d’azione delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile,
che ha come obiettivo il riequilibrio delle acque, di chi ci vive e anche delle minuscole nicchie e ne
prevede finanziamenti per il raggiungimento59.
Progetto Life della Regione Lombardia si è proposto, invece, di ripristinare e valorizzare tra il 2003
e il 2006 alcuni habitat caratteristici delle zone umide e delle praterie di montagna compromessi
o degradati per azione diretta o indiretta dell’uomo, nel cuore delle Alpi Centrali, nel segmento
occidentale delle Alpi Retiche.
Poiché alcuni degli impianti sono costruiti all’interno del Parco Nazionale dello Stelvio istituito nel
1935, l’Azienda si è impegnata nella tutela dell’ambiente, anche attraverso una politica di apertura
al pubblico degli impianti, segno di trasparenza nelle procedure.
Si modificano le esigenze dei cittadini.
Nel 1960 entrò in servizio la centrale idroelettrica di Grosio, la più potente tra quelle dell’Azienda
Elettrica Municipale in Valtellina, con una potenza, installata in prima fase, di 214mila kVA; l’impianto
utilizza un invaso di regolazione di 1.250.000 mc ottenuto con una nuova diga in Val Grosina. Alla
Agenda 21 individua quattro tematiche fondamentali alle quali rivolgere l’attenzione progettuale: turismo sostenibile;
tutela e conservazione del paesaggio e dell’economia locale; gestione del territorio e tutela delle acque (in cui rientra
anche il delicato argomento delle centrali: “L’acqua rappresenta una grande risorsa, il cui sfruttamento non sempre
avviene in termini ambientalmente compatibili”); traffico.
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sua sala macchine, che si trova in una caverna ed è lunga 114 metri e larga 16, si accede attraverso una galleria di circa 700 metri. Le turbine di Grosio erano le più potenti turbine Pelton esistenti al mondo.
Le dimensioni dei nuovi impianti avevano creato, inoltre, quel surplus di producibilità che era negli
obiettivi enunciati alla presentazione dei precedenti piani quadriennali. Per un’adeguata collocazione del surplus, con il terzo piano elaborato nell’estate del 1959, l’Aem si poneva come obiettivo
primario la ristrutturazione e lo sviluppo della rete di distribuzione, delle ricevitrici e delle sottostazioni di Milano60.
Nel 1963 venne portata a termine, con la compartecipazione per un quarto dell’Asm di Brescia,
la costruzione della Centrale Termoelettrica di Cassano d’Adda, iniziata nel 1959 con un primo
gruppo da 75 MW funzionante a nafta, e poi ampliata nel 1984. Furono anche completate le derivazioni delle acque del fiume Spöl, grazie a una convenzione con il governo svizzero, e altre stazioni di trasformazione e distribuzione. L’Azienda si adeguò alle tecnologie e ai bisogni dell’utenza. Il
carico di base era coperto dalla produzione termica della centrale di Cassano e da quella delle
centrali idroelettriche ad acqua fluente. Il carico di punta giornaliero e settimanale era invece
coperto dalle centrali di Grosio e Premadio che, grazie al frazionamento della potenza installata e
ai bacini di regolazione che le alimentavano, erano notevolmente flessibili, oltre ad essere in grado
di produrre elevate quantità di energia pregiata nei mesi invernali.
Una sfida continua che gli “anziani” hanno lasciato alle nuove generazioni. “Complessivamente c’è
stato un grosso vantaggio - ammette Rinaldi - [l’Aem] ha portato denaro nella nostra valle che è
stato investito nel luogo e ha sviluppato un po’ tutto, anche il turismo”.
La prima centrale di Grosotto è stata costruita da Aem nel 1910 per dare energia elettrica a
Milano. Per Rinaldi “ è stato merito di un assessore che si chiamava Giuseppe Ponzio e che ha avuto
una grande intuizione”. “Ed anche un territorio favorevole”, aggiunge De Lorenzi. “Certo, e lui se
n’è reso conto”, conclude Rinaldi.
Vennero, infatti, ampliate le Ricevitrici Ovest e Sud, ricostruita la ricevitrice Nord, costruite le sottostazioni di
Caracciolo, Brunelleschi e San Dionigi ed elevata la potenza di molte sottostazioni già in servizio. Oltre a rendere funzionante la centrale di coproduzione elettricità/calore per il nuovo quartiere Iacp della Comasina, venne posata la linea
interrata in cavi ad olio fluido a 220 kV che, attraversando tutta Milano, collegava le ricevitrici Nord, Ovest e Sud e la
sottostazione Gadio che in seguito sarebbe stata trasformata in stazione a 220 kV. La nuova linea richiese due anni di
lavoro e costò 2 miliardi di lire (circa 1 milione di Euro).
C. BRIZI, L’Azienda Elettrica Municipale di Milano dagli anni ’40 alla nazionalizzazione del settore elettrico, cit., pagg.
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“Lungimiranza dei padri” è stato detto, in fatto di utilizzo delle risorse idriche della Valtellina che è
stato studiato allora, mentre ora si stanno portando a compimento alcune cose che non erano
state fatte, al di là dei mezzi che avevano a disposizione. Grandi opere che oggi “non so se saremmo in grado di realizzare in tempi così brevi, ponendosi obiettivi, lavorando giorno e notte, con
turni in cantiere. Oggi forse siamo più fragili e non ne siamo più capaci”, appunta Rinaldi.Tutti sembrano pensare la stessa cosa, “certo che questo signor Ponzio è venuto in Valtellina da Milano a
progettare…” inizia Rinaldi, mentre Berbenni gli ruba la parola: “e fare una linea” per il trasporto
dell’energia attraverso il Mortirolo “… non è che si poteva fare così facilmente, con i mezzi di allora; ultimamente per gli impianti che hanno fatto a Santa Caterina, in tre giorni hanno messo giù i
pali”. E come in un flipper la parola passa dall’uno all’altro.
Col cambio di tensione del 1959-60, l’Azienda ha sostituito le linee in alluminio migliorando gli
impianti. La stessa Edisonvolta aveva ancora impianti vecchi e non investiva in attesa della nazionalizzazione,“mentre l’Aem si è impegnata a prendere in carico gli impianti semaforici facendoli completamente nuovi”, racconta Cipolla.
Alla fine degli anni Sessanta accanto alle necessità industriali si sviluppò una cultura nuova, più rispettosa dei paesaggi naturali e dell’ambiente. Un esempio è la centrale del Braulio, che, interamente
costruita interrata, nel cuore del Parco Nazionale dello Stelvio, consentì di risparmiare diecimila tonnellate di petrolio all’anno, senza portare profonde alterazioni alla natura che la circonda.
Gli anni Settanta.
“Negli anni ’70 la cosa più importante è stato il contratto, in particolare il passaggio per anzianità,
mentre prima [la promozione] andava un po’ a simpatie”, inizia Marinoni, con il quale dissente
Cipolla:“Ma non era questione di simpatie, la cosa è cominciata con gli assegni di merito, che sono
stati per me la cosa più balorda che si poteva fare, perché se quello là mi era simpatico o mi faceva un favore gli davo l’assegno di merito. È stato un errore gravissimo e lì è cominciato il decadimento, nel 1961-62-63 la grande famiglia è diventata piccola famiglia, poi è diventato tu sei tu e io
sono io”.
Altri cambiamenti riguardano i mezzi per lavorare, ma non per tutti, precisa Marinoni:“Nel ’70 non
avevo ancora il furgone come squadra, eravamo in tre e ci muovevamo con tre macchine private
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e a me davano trenta lire al chilometro, mentre all’altro che aveva la Giulia gliene davano settanta.
Si andava sul posto di lavoro con la nostra auto e si aveva un rimborso spese come dalle tariffe
previste da Quattroruote. Per noi che eravamo in piazzale Corvetto assegnavano 30 Km, a chi stava
in Sempione 15. Ho fatto la domanda per riscattare la casa popolare, avevo trecentomila lire di
indennità macchina e di indennità pacchetto (perché allora non si andava tutti in mensa ma davano un contributo) ma non ci davano i 12 mesi perché un mese eri in ferie; io avevo settecentomila lire sul “740” e per quelle settecentomila lire ho dovuto pagare la casa a riscatto quattro milioni in più”.“Ma voi avevate anche l’indennità carbone.” “No, l’indennità carbone era stata tolta e inserita nella quattordicesima”.
L’invadenza della politica nel contesto lavorativo.
La presenza a volte ingombrante della politica in un’azienda pubblica si trova pure nel lavoro quotidiano, nei rapporti tra i lavoratori e i responsabili. Non è sempre stato così in Aem, ma Meletti
racconta di quegli anni in cui nella “società la politica giocava troppo: un responsabile di un reparto che doveva punire una persona, perché si era rifiutata di intervenire in un caso di guasto, rischiava di vedersi bypassare politicamente e il rapporto veniva stracciato. La persona veniva a dirti “Non
me ne frega niente del tuo rapporto, perché io sono già stato assolto” e il responsabile non sapeva neanche che fine avesse fatto la sua denuncia. Ovvio che un discorso di meritocrazia in questo
ambiente non può andare avanti, si va avanti invece per raccomandazioni politiche o per anzianità.
Il problema grosso dell’azienda era quello e quelli che gestivano questi rapporti, che per far mangiare la persona oppure pretendere di fare certi lavori quando ci si metteva troppo tempo, hanno
sbagliato proprio obiettivo, perché alla fine l’azienda ha preferito dare i lavori fuori, perché sapeva
quanto le costavano e quanto tempo ci voleva. In questo modo, però, si perdeva la professionalità in casa”. Casati è d’accordo: “questa è stata la situazione fino alla fine degli anni ‘80, poi la lotta
è stata cambiare, ribaltare questa situazione, e ci siamo riusciti”.
Il problema politico, dunque, condizionava l’ambiente di lavoro, ma Caretti sottolinea quanto “il problema” stesse anche “negli uomini: io avevo un capo, criticato da tutti, Francinetti, era quello che
era, mi ha messo qui a fare il capo turno nella sottostazione Caracciolo. Una sera in turno con me
c’era un borsista, Rastelli, che stava facendo il corso e stavamo guardando degli schemi, è venuto il
momento di staccare un raddrizzatore e il mio aiutante, Bettini, mi dice ‘Senta, stacco il raddrizza-
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tore?”,“Stacchi”, ma anziché aprire un raddrizzatore ha aperto un trasformatore della distribuzione. Disservizio generale. Guarda caso, Francinetti dov’era? Era dall’altra parte della strada, mi telefona: “Caretti, cos’è successo?” “Guardi, è successo così e così, ha sbagliato a fare il cambio” “Va
bene, ha sbagliato il suo aiutante, vuol buttarlo a mare?” No, tremava, tremava già sempre per la
sua malattia, in quel momento lì non sapeva più cosa fare. “Allora? Il suo aiutante ha sbagliato e lei
paga, le farò avere quattro ore di multa”. Mi è arrivata una lettera dal Direttore Generale Carati,
con quattro ore di multa per quella manovra. Allora c’erano sì i condizionamenti politici, ma c’era
pure la gente che si lasciava condizionare: proprio quelli che contavano o avrebbero dovuto contare si lasciavano condizionare”. Passera concorda con Caretti e per ribadire questo concetto
porta l’esempio di un turnista di ricevitrice che in “indisposizione” era andato a sciare con una gita
Craem, solo che sull’autobus c’era anche il suo capo che l’ha proposto per una punizione.
Pretendeva di essere difeso, ma come delegato di reparto Passera non lo fece. Anche Pagliarini
resta sulla scelta discutibile delle persone: “il potere sindacale, che è stato enorme negli anni ‘70,
non ha saputo scegliere tra le persone che lavoravano, tra quelli che erano i valori veri e quali
erano i valori finti”. E Meletti porta un esempio:“C’erano dei casi di turnisti, fortunatamente pochi,
che pianificavano ferie e malattie e i sindacati hanno sempre difeso queste storture, era una vergogna, perché queste sono scelte politicamente sbagliate che premiano la persona non corretta; al
contrario, quando il capo presentava un passaggio di categoria per uno che lavorava, quello veniva
bocciato, e questa è una vergogna!” Missione del sindacato avrebbe dovuto essere tutelare i redditi e una più corretta distribuzione del reddito, ma anche affrontare il cambiamento, seguire le trasformazioni e le innovazioni; non sempre, tuttavia, è riuscito a dare questa spinta verso il miglioramento.
La voce dei lavoratori.
“Provenivo da una famiglia sindacalizzata, mio padre faceva il facchino al Verziere, era rappresentante Cgil; con quel retroterra mi è stato facile: erano gli anni Settanta, c’era fermento, una gran
voglia di discutere e di impegnarsi nel sindacato”. Ferdinando Poli snocciola le lotte in corso in quegli anni, che hanno cambiato anche il modo di organizzare il lavoro:“il periodo di prova per i nuovi
assunti era di sei mesi, poi lo sciopero per le centomila lire una tantum per tutti i dipendenti, ma
lo stesso sindacato diceva a noi che eravamo in prova di non scioperare, ci sarebbe stato tempo
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dopo. Dopo questi eventi ho notato un salto di qualità nelle richieste nel mondo del lavoro a fronte di un’azienda arretrata nei materiali utilizzati come nelle attrezzature o nell’abbigliamento da
lavoro dei dipendenti: io ad esempio mi facevo prestare i guanti da qualche collega”. Oltre al discorso sulla sicurezza Poli si sofferma a parlare anche del modo in cui veniva svolto il lavoro: “un’altra
rivendicazione fatta dal sindacato fu quella sulla polivalenza delle mansioni nell’ambito della squadra: fino ad allora chi era adibito a fare l’autista faceva solo quello, solo successivamente tutti i componenti la squadra avevano la patente e questo comportò un piccolo aumento salariale con l’indennità di guida che veniva data a giorni alterni a tutti i componenti, ai quali era pure rimborsato
il bollo della patente. Un altro esempio: i ‘picc e pala, pianta pali’ si limitavano a scavare, con la polivalenza le squadre erano chiamate a fare i diversi lavori necessari”.
Talune istanze venivano avanzate da un fronte comune dei sindacati, dopo che “differenziazioni di
tipo ideologico ci obbligavano a confrontarci con grande arricchimento di tutti - afferma Calabrese
- consapevoli che per il raggiungimento di obiettivi importanti era necessario mettere da parte le
divergenze”.
Dipendenti sempre aggiornati.
Un altro obiettivo su cui si concentrò il piano dodecennale di massima, che si concretizzò in tre
piani quadriennali particolareggiati, fu quello di creare, tenere viva e alimentare una corrente di simpatia e un clima di comprensione tra i cittadini milanesi, Aem e i suoi dipendenti61. L’attività di promozione sociale e professionale dei dipendenti era stata affidata nel 1952 a un apposito “Comitato
culturale Aem”, alla cui presidenza venne chiamato il professor Gino Cassinis, assessore alle municipalizzate del Comune, rettore del Politecnico e futuro sindaco di Milano62.Tra le attività rivolte alla
cittadinanza e all’utenza vi furono la produzione di film e documentari divulgativi, l’allestimento di
mostre, i corsi di storia dell’arte, quelli triennali di inglese e pubblicazioni da diffondere agli utenti,
ma soprattutto la presentazione e la diffusione al pubblico dei rendiconti aziendali. Il periodico Il
Chilovattora divenne il nuovo canale di comunicazione.
La preparazione professionale dei lavoratori è certamente uno degli aspetti più importanti nello
svolgimento efficiente delle proprie mansioni. “In alcuni lavori la pratica vale molto, quanto essere
al corrente delle novità e avere una visione più generale, in modo da saper utilizzare al meglio le
nuove potenzialità”. Di questo è convinto Bossi, che ricorda come Erri, responsabile della funzione
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Id.,pagg. 75-76
Nuovi Impianti, sia “stato sicuramente il primo in azienda a obbligare noi a imparare gli schemi funzionali e alcuni ad andare a seguire dei corsi, siamo nel 1961-62. È stato lui a portare per primo in
azienda una cultura moderna, a tentare di stare al passo con i tempi”.
Un vasto programma di corsi professionali e di gestione del personale (i corsi di Salò) per i dipendenti venne, inoltre, proposto anche alla metà degli anni ‘70. “Noi elettrici - racconta Pagliarini all’inizio l’abbiamo subìto, poi invece l’abbiamo guidato”, un momento di difficoltà dovuto al fatto
che “noi venivamo da un mondo che era esclusivamente tecnico, la parte amministrativa veniva
dopo, a consuntivo, non c’era neanche bisogno di fare tanti studi preventivi, tanto la cassa era sempre piena e quindi il problema era di fare le cose tecnicamente per bene a prezzi ragionevoli per
poi fare il consuntivo, tanto i soldi avanzavano sempre”.
Corsi e formazione che sono proseguiti anche nel decennio successivo. “La stessa attenzione dell’azienda al “cliente” - precisa Casati - è stata quella di mettere a disposizione di chi voleva, tutti i
supporti ritenuti utili, come la formazione, i corsi specifici, le consulenze, che andavano utilizzate
bene. Erano consulenze a tutti i livelli: l’Azienda mandava i propri dipendenti, sui quali credeva e sui
quali puntava, alle migliori Business School italiane, persino al MIT (Massachusetts Institute of
Technology) negli Stati Uniti, e in quegli anni non ha lesinato assolutamente con chi voleva: io personalmente dai consulenti ho imparato tantissimo, ho cambiato professione e anche in parte
approccio e mentalità, l’importante era impegnarsi e utilizzarli bene”.
La competenza professionale al servizio della solidarietà.
Anno 2006. Il Gruppo Volontari di Protezione Civile dell’Aem festeggia 30 anni di interventi concreti e significativi al servizio della collettività. Un traguardo che testimonia l’impegno insostituibile
e prezioso dimostrato dai suoi uomini.
L’impegno di numerosi dipendenti nel corso degli anni, non si è profuso soltanto nel lavoro. Sempre
a stretto contatto con la realtà sociale, in Azienda c’era già il seme che sarebbe germogliato fino a
diventare uno dei gruppi volontari di Protezione Civile più importanti della Regione Lombardia.
“È difficile trovare fra i volontari le persone che sappiano come intervenire su linee elettriche, illuminazione pubblica, semafori, gasdotti, impianti idrici”, si legge nel messaggio del sindaco di Milano
Gabriele Albertini in occasione del venticinquesimo anniversario”63. Nato nel 1976 su presentazione volontaria alla richiesta della Direzione dell’Azienda Elettrica, il Gruppo Volontari di Protezione
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Aem 75 anni al servizio della città, Aem, 1985, pag. 16
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Civile dell’Aem fu incaricato di prestare soccorso alle popolazioni del Friuli appena colpite da un
violento terremoto. Si concretizzano in quell’emergenza lo spirito, la professionalità e la dedizione
dei lavoratori, che danno inizio ad una “storia di solidarietà attiva” all’interno dell’Azienda, condotta da “uomini e donne sempre a disposizione di chi li interpella e sempre pronti a lavorare duramente nel momento del bisogno, anche partendo per luoghi lontani, ognuno con la propria esperienza e le proprie idee senza in cambio chiedere niente” e distinguendosi negli anni come l’unico
gruppo di volontariato in Italia a “vantare la specifica specializzazione per interventi di tipo professionale su impianti di distribuzione di elettricità, gas e acqua”, sottolinea Luigi Bossi, presidente del
Gruppo Volontari di Protezione Civile di Aem S.p.A.64
Il legame tra Milano e Aem, nel contempo, si fa sempre più stretto. Nel 1977 il Comune affida
all’Azienda la progettazione, la costruzione e la manutenzione dei semafori della città e nell’81 la
produzione e la distribuzione del gas.
1976-2001 Venticinque anni di volontariato. L’energia dove serve una mano, Aem Gruppo Volontari Protezione
Civile, 2001, pag. 4
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Id., pagg. 10-11
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1937 - Trasporto della condotta forzata a Stazzona (SO)
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