UNA PROCEDURA PER GLI ACCORDI IN RIMEDIO DEL SOVRAINDEBITAMENTO
di Fabrizio Di Marzio, Magistrato
Sommario: 1. Premessa. Una finalità trasparente perseguita attraverso un opaco strumento? - 2. Due
concetti sufficientemente chiari e distinti: il sovraindebitamento e il debitore - 3. Un altro concetto
sufficientemente chiaro e distinto: l’accordo - 4. Una zona oscura da rischiarare: l’accordo raggiunto
attraverso la procedura - 5. La maggiore criticità: previsione di un’unica procedura per insolvenze civili e
commerciali - 6. Segue: piano sulla crisi d’impresa e piano sul sovraindebitamento civile - 7. Un ulteriore
rilievo critico: sul ruolo assegnato al giudice - 8. In (provvisoria) conclusione
1. Premessa. Una finalità trasparente perseguita attraverso un opaco strumento?
La prima norma della legge dichiara le finalità: per porre rimedio alle situazioni di
(crisi da) sovraindebitamento, è attribuita al debitore la facoltà di concludere un
accordo con i creditori secondo una procedura di composizione della crisi
disciplinata di seguito (cfr. art. 6, comma 1).
La norma è scritta dietro la lodevole preoccupazione di fare chiarezza; tuttavia,
mentre da un lato sottolinea una trasparente finalità dell’accordo tra debitore
insolvente e suoi creditori (rimediare alle situazioni da sovraindebitamento),
dall’altro suscita dubbi non marginali circa lo strumento adoperato; il quale
scompagina qualche familiarità del pensiero, anche - e direi soprattutto - per il
carattere di novità che esprime.
Vorrei allora dedicare queste pagine a una breve messa a punto delle principali (e
più evidenti) questioni di inquadramento generale che il nostro istituto può
suscitare. Benché si tratti di un lavoro alquanto noioso, esso è comunque
logicamente preliminare a qualunque altro: perché nessuna esegesi e nessuna
dogmatica possono svolgersi con reale successo su aspetti di dettaglio di una
complessiva disciplina di cui non appare sufficientemente chiara e distinta la
concezione.
Sotto questo punto di vista, un guadagno che potrebbe conseguirsi è di individuare
e distinguere, laddove non ravvisiamo chiarezza, l’oscurità dipendente dall’oggetto
del nostro pensiero da quella che, in realtà assente da esso, potrebbe affliggere il
nostro pensare1.
1
Secondo l’insegnamento di PIERCE, Del modo di chiarire le nostre idee [1878], in Id., Scritti filosofici,
trad. it., Milano, 1996, 166.
1
2. Due concetti sufficientemente chiari e distinti: il sovraindebitamento e il
debitore
L’espressione “disposizioni in materia di composizione delle crisi da
sovraindebitamento” equivale all’altra, più semplice, di “disposizioni per la
composizione delle situazioni di sovraindebitamento”.
Se infatti il riferimento alle “crisi” si limita agli aspetti economici escludendo quelli
meramente emozionali, la conclusione è difficilmente contestabile. Sotto il profilo
economico, i termini di “crisi” e di “sovraindebitamento” tendono ad occupare
un’area comune, ricoperta nel mondo giuridico dal termine maggiormente preciso
di “insolvenza”. A tal proposito, può essere utile ricordare che nella letteratura
germanica (alle prese con una legge fallimentare estesa al debitore civile) si ha cura
di precisare che il termine ‘insolvenza’ può assumere due significati: indicando
l’incapacità di pagare (Zahlungsunfähigkeit) se riferito alla persona del debitore; e il
sovraindebitamento (Überschuldung) se riferito al patrimonio2.
Circa il soggetto, esso è identificato dalla legge con il termine “debitore”; si precisa:
non fallibile (art. 7, comma 2). Oggetto di disciplina si mostrano essere pertanto
tutte le situazioni di insolvenza sottratte alla disciplina concorsuale: in primo
luogo, e indubbiamente, l’insolvenza del consumatore e più in generale del debitore
civile; ma, e immediatamente dopo, l’insolvenza dell’imprenditore escluso dalle
procedure concorsuali (del resto, l’art. 9, comma 2, prende testualmente in
considerazione “il debitore che svolge attività d’impresa”).
La legge si preoccupa dunque di un attore sociale già indagato dalla letteratura
economica, sociologica e giuridica - il debitore civile “sovraindebitato” - e
arricchisce l’insieme introducendovi accanto al consumatore determinate categorie
di operatori economici, individuate con il riferimento al requisito negativo della
sottrazione alle procedure concorsuali. In tal modo colma parte del rilevante vuoto
esistente nel panorama interno delle discipline sulla crisi d’impresa, nel quale si
rinvengono procedure di insolvenza soltanto per una precisa categoria di operatori
economici: gli imprenditori alla guida di imprese commerciali di dimensioni non
piccole. Per la nostra procedura anche i consumatori, gli imprenditori commerciali
di modeste dimensioni, gli imprenditori non commerciali e gli operatori economici
non imprenditoriali (come i professionisti) possono fruire insieme al consumatore di
una procedura di insolvenza, nuova di zecca.
3. Un altro concetto sufficientemente chiaro e distinto: l’accordo
Il rimedio offerto è l’accordo tra il sovraindebitato e i suoi creditori; funzione di
detto accordo è, infatti, la risoluzione del problema costituito dal
sovraindebitamento.
Fin qui, la novità potrebbe apparire modesta, soprattutto riflettendo che contratti
del genere sono ampiamente ammissibili e anche copiosamente praticati sin dal
diritto classico. Nella disciplina generale dei contratti, mentre gli articoli 1321 e
1322 c.c. non pongono limiti all’esercizio dell’autonomia privata svolto nella
2
Cfr. HÄSEMEYER, Insolvenzrecht, Köln, München, 2007, 5.
2
preoccupazione di gestire situazioni di insolvenza, quest’ultima trova
considerazione quale fattore di rischio debitamente considerato dalle norme
dedicate, ma non determinante in nessun caso la invalidità del contratto3.
4. Una zona oscura da rischiarare: l’accordo raggiunto attraverso la procedura
La nostra disciplina, però, si spinge ben oltre: offrendo un rimedio molto più
complesso del semplice accordo, e di cui l’accordo (confermato in tal modo nella
sua validità) è soltanto una componente. Questo rimedio è nella procedura di
composizione della crisi, che è la procedura secondo la quale l’accordo deve essere
concluso.
Cosicché l’accordo del sovraindebitato con i suoi creditori, ragionevolmente
finalizzato al superamento della situazione da sovraindebitamento, conferma
questa finalità dovendo essere condotto secondo una procedura stabilita, appunto,
per la composizione della “crisi”.
Ma quanto veramente conta non è la finalità, bensì lo strumento. L’accordo per
superare il sovraindebitamento deve essere condotto secondo una precisa
procedura legale.
Per apprezzare la portata della novità dobbiamo riflettere che la regola costitutiva
del contratto si esaurisce, essenzialmente, nel consenso. Per aversi un contratto
occorre - è necessario, ma anche sufficiente - raggiungere un accordo; ed è tale la
forza concettuale del consenso da riassorbire in sé l’idea stessa del suo prodotto, e
cioè il contratto4.
La legge può attardarsi sulle condizioni, sulle circostanze e sulle modalità del
consenso; può disporre forme particolari, e attribuire significato a fatti altrimenti
equivoci, tirando fuori il consenso anche da un silenzio sufficientemente eloquente.
Ma, oltre a tutto questo, non si va. In particolare, la legge non si preoccupa di
proceduralizzare la fase di formazione dell’accordo e tantomeno di assoggettare
questo delicato momento a controllo giudiziario.
E invece, proprio così accade nel nostro caso: dove debitore con eccesso di debiti e
creditori possono concludere contratti per superare il sovraindebitamento secondo
una procedura di “raggiungimento” dell’accordo5; procedura affidata al controllo
giudiziario e fondata anche sull’apporto di organismi di sostegno.
Al cosiddetto “organismo di composizione della crisi” è, infatti, attribuito il generale
e pervasivo compito di “assumere ogni opportuna iniziativa funzionale alla
predisposizione del piano di ristrutturazione, al raggiungimento dell’accordo e alla
buona riuscita dello stesso, finalizzata al superamento della crisi da
sovraindenitamento, e collabora con il debitore e con i creditori anche attraverso la
modifica del piano oggetto della proposta di accordo” (art. 17, comma 1).
3
Cfr., per es., artt. 1186, 1274, 1299, 1313, 1461, 1626, 1715, 1764, 1833, 1868, 1910, 1943, 1947,
1953, 1959 c.c.
4
Cfr., per es., G. B. FERRI, La nozione di contratto, in Trattato Rescigno-Gabrielli, I contratti in
generale, Torino, 2008, I, 14, nota 56.
5
Cfr. la chiara rubrica dell’art. 11, dove il termine spurio di “raggiungimento” chiaramente allude alla
procedimentalizzazione della “conclusione” dell’accordo.
3
Ecco allora la grande novità foriera, inevitabilmente, del dubbio. Contempliamo
regole su un esercizio dell’autonomia privata assistito da pubblici poteri:
amministrativo e giudiziario.
Ciò in qualche misura avviene in determinate procedure concorsuali (i concordati)6,
ma non anche nei contratti sulla crisi di impresa, pur disciplinati in quanto tali e pur
suscettibili di un qualche controllo giudiziario (come accade per gli accordi di
ristrutturazione dei debiti, assoggettati, una volta raggiunti, a omologazione del
tribunale).
E difficili da superare sono le perplessità innescate da un contratto che, con una
terminologia ottocentesca, potrebbe appropriatamente definirsi come “giudiziale”:
in quanto concluso nel processo e davanti al giudice (come accade per la
conciliazione giudiziale, nella quale l’esercizio dell’autonomia privata deve svolgersi
secondo regole processuali e porta alla estinzione del processo; di modo che questa
figura si declina concettualmente come procedimento)7. Infatti la inedita figura, pur
espressamente qualificata come “contratto”, si trova calata in un procedimento in
cui i creditori manifestano la propria volontà.
Sarà allora importante chiarirsi bene le idee sulla portata effettiva della novità, data
da un istituto in bilico tra contratto e procedura di insolvenza: senza nasconderci
che il permanere di zone oscure pregiudicherebbe sul nascere una esperienza che
potrebbe riservare interessanti sorprese, fornendo ragioni inattese alla riflessione
sui concetti fondamentali richiamati dall’esercizio dell’autonomia privata ai fini del
superamento dell’insolvenza (basti considerare, soltanto, il rilevante ruolo ricoperto
dall’organismo di composizione della crisi, e la sua efficienza a stimolare una
profonda rimeditazione, con rilevanti effetti applicativi, su alcune attuali modalità
dell’esercizio dell’autonomia negoziale).
5. La maggiore criticità: previsione di un’unica procedura per insolvenze civili e
commerciali.
Un’importante perplessità è suscitata dalla scelta di fornire eguale tutela rispetto
all’insolvenza civile e rispetto all’insolvenza della piccola impresa.
Questa assimilazione, già insinuata nella prima versione dell’art. 182 bis l. fall. (dove
si discorreva di “debitore” e non - come a seguito del decreto correttivo - di
“imprenditore in crisi”) e sostenuta in via interpretativa in tema di esdebitazione
(essendosi da alcuni proposto di interpretare analogicamente le regole sulla
esdebitazione del fallito per farne applicazione anche al debitore civile), affonda le
sue radici nella storia. È facile rammentare il dibattito che a fine Ottocento si accese
sulla estensione della disciplina del fallimento al debitore civile, e che culminò nel
saggio di Vivante in cui si difende il fallimento civile, poi inserito in appendice (e
quale unico contributo in cui si dice del fallimento) nel Trattato di diritto
commerciale8. La proposta si alimentava dalla fiducia sulla vocazione espansiva del
6
Cfr. GENTILI, Autonomia assistita ed effetti ultra vires nell’accettazione del concordato, in Giur.
comm., 2007, II, 350.
7
Cfr. LUISO, La conciliazione nel quadro della tutela dei diritti, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2004, 1201.
8
Cfr., nella seconda edizione dell’opera, il vol. I, Torino, 1902, 341.
4
diritto commerciale, secondo un moto d’opinione che premeva per la unificazione
del diritto privato. E tuttavia, nonostante il generale clima culturale, quella proposta
non convinse il legislatore, che pure realizzò per il resto l’epocale
“commercializzazione del diritto privato” nel codice civile in vigore: il fallimento e le
altre procedure concorsuali furono rielaborate e contenute in una legge speciale
dedicata all’insolvenza dell’impresa9.
La riforma fallimentare ha confermato la differenza di trattamento legale tra
insolvenza civile e insolvenza commerciale, ribadendo la tradizionale limitazione
della disciplina concorsuale agli imprenditori. Tuttavia, non ha riservato quella
disciplina a tutti gli imprenditori, ma soltanto agli imprenditori di imprese
contrassegnate da limiti dimensionali superiori a certe soglie minime (art. 1 l. fall.
nel testo attuale). Inoltre, permane in vigore la tradizionale esenzione dal fallimento
dei piccoli imprenditori stabilita nell’art. 2221 c.c. e richiamata nel vecchio testo
dell’art. 1 l. fall. (quale esclusione - è preferibile ritenere - fondata non sul criterio
quantitativo basato sulle soglie dimensionali, ma sul criterio qualitativo stabilito
nell’art. 2083 c.c. in ragione del rapporto tra capitale investito e lavoro prestato
dall’imprenditore nell’impresa).
Perciò, ancora oggi ad essere sottratti alle procedure concorsuali sono non soltanto
i debitori civili, ma anche talune categorie di imprenditori. Questa residuale
assimilazione è presa in considerazione nella legge in esame, la quale, se ambisce a
colmare una lacuna ordinamentale, trova pure in quello spazio privo di rimedi una
notevole possibilità esplicativa. Solo che - occorre sottolineare - non vi era né vi è
un’unica via da percorrere, essendo ben evidente che se il presupposto
dell’intervento legislativo è dato dalla mancanza di disciplina, la soluzione avrebbe
potuto essere, alternativamente: un’unica disciplina per piccoli imprenditori e
debitori civile (come nella nostra legge); oppure due discipline, l’una per il debitore
civile e l’altra per il piccolo imprenditore.
Le ragioni della scelta adottata sembrano poggiare sul presupposto della sostanziale
assimilabilità dell’insolvenza civile e della insolvenza del piccolo imprenditore sotto
un profilo meramente quantitativo: si tratterebbe pur sempre di fenomeni
economicamente modesti e non coinvolgenti una apprezzabile organizzazione di
impresa. È però facile dubitare che il parallelismo sulla quantità tradisca anche una
vicinanza qualitativa. Basterebbe considerare che mentre l’insolvenza civile
manifesta un carattere essenzialmente patrimoniale, invece l’insolvenza
commerciale tradisce una cifra schiettamente finanziaria (ciò che si usa anche dire
affermando la natura “statica” della responsabilità patrimoniale civile e la natura
“dinamica” della responsabilità patrimoniale commerciale).
6. Segue: piano sulla crisi d’impresa e piano sul sovraindebitamento civile
Il c.d. accordo di ristrutturazione dei debiti deve organizzarsi su di un piano che
assicuri il regolare pagamento dei creditori estranei (art. 7, comma 1). La proposta
può prevedere la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso
qualsiasi forma (art. 8, comma 1). Mentre la prima disposizione è chiaramente
9
Cfr. art. 1 l. fall., versione 1942.
5
influenzata dalla disciplina degli accordi di ristrutturazione dei debiti (che devono
assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei)10, invece la seconda
disposizione è non meno chiaramente influenzata dalla disciplina dei concordati
(organizzabili secondo una libera proposta ai creditori)11. Entrambe le disposizioni sull’accordo e sul contenuto della proposta - si focalizzano intorno al concetto di
“piano”, fondamentale anche nel diritto concorsuale riformato. Come spero di
illustrare, proprio il riferimento alla pianificazione solleva perplessità.
Non deve sfuggire che il piano ripete una natura non giuridica, ma aziendale: la
pianificazione null’altro è che la formalizzazione di una determinata strategia
d’impresa. In particolare, nel diritto della crisi d’impresa rileva il piano di
superamento della crisi: la strategia di composizione della crisi mediante accordo
con alcuni creditori e fatto salvo il regolare pagamento degli estranei è formalizzata
nel piano sottostante all’accordo di ristrutturazione; la strategia di composizione
della crisi mediante deliberazione della proposta è formalizzata nel piano
sottostante al concordato (che non si preoccupa degli estranei e dei dissenzienti per
essere cogente per tutti i creditori concorsuali).
Il piano di superamento della crisi d’impresa si compone solitamente dei tre
elementi noti alla scienza aziendalistica come:
 Business restructuring,
 Asset restructuring
 Debt restructuring;
e provvede a organizzare secondo precise scelte strategiche (di conservazione
dell’impresa o di liquidazione dell’attività) il superamento della crisi. Alla base
dell’idea stessa di piano è l’impresa come attività; essenziale presupposto
concettuale del rilievo del piano nel diritto della crisi d’impresa è la dimensione
dinamica della responsabilità patrimoniale, e dunque la consapevolezza che la
capacità adempitiva dell’imprenditore è strettamente connessa - piuttosto che al
patrimonio staticamente considerato - allo svolgimento dell’attività produttiva12.
Dietro queste osservazioni, come possa trasporsi la cultura aziendale della
pianificazione nell’ambito non aziendale dell’insolvenza civile sarebbe problema
davvero difficile da risolvere, e forse quell’interrogarsi nemmeno si mostrerebbe
sufficientemente sensato.
Il debitore civile, infatti, non ha che un patrimonio incapiente e una massa di debiti.
Non svolge alcuna azione sul mercato. Non deve procedere a nessuna
ristrutturazione di attività produttive. Deve piuttosto controllare e limitare la
dannosa propensione al consumo, e aborrire il consumo irresponsabile (nella legge
è tra l’altro stabilito che l’accordo di ristrutturazione possa indicare limitazioni
all’accesso al mercato del credito al consumo, all’utilizzo degli strumenti di
pagamento elettronico a credito e alla sottoscrizione di strumenti creditizi e
10
Cfr. art. 182 bis l. fall.
11
Cfr. artt. 124 e 160 l. fall.
12
Cfr. la riflessione di G. FERRI Jr, Impresa in crisi e garanzia patrimoniale, in AA.VV. Diritto
fallimentare. Manuale breve, Milano, 2008, 31 ss.
6
finanziari)13. Non vi sarebbe dunque nessuno spazio apprezzabile per la
pianificazione del recupero della solvibilità.
In conclusione, mentre la pianificazione può essere utile ed è certamente
comprensibile per il trattamento della crisi della piccola impresa non fallibile, invece
in nessun modo sembra essere proficuamente utilizzabile (e nemmeno
effettivamente comprensibile) per il trattamento dell’insolvenza civile. Per evitare
equivoci, va aggiunto: non perché l’insolvenza civile non sia componibile
consensualmente, ma perché nella composizione negoziale dell’insolvenza civile
non si apprezza nessuna rilevanza dell’aspetto finanziario prospettico inteso questo
come la capacità futura di generare risorse finanziarie; tuttavia proprio la
connessione tra l’aspetto finanziario attuale e quello atteso (e dunque prospettico)
giustifica, sopra tutti, la pianificazione.
7. Un ulteriore rilievo critico: sul ruolo assegnato al giudice
Si legge nell’art. 12 che, verificato il raggiungimento dell’accordo (ossia della
maggioranza prescritta di aderenti) e l’idoneità dello stesso ad assicurare il regolare
pagamento dei creditori estranei, il giudice procede all’omologazione dell’accordo.
È ben vero che l’art. 17, comma 2, dispone che l’organismo di composizione della
crisi provvede a certificare la veridicità dei dati contenuti nella proposta e dei
documenti allegati e ad attestare il piano con riguardo all’essenziale requisito della
fattibilità; ma, quanto interessa è chiarire i poteri del giudice. Infatti, è rimesso al
giudice di sindacare l’idoneità dell’accordo ad assicurare il regolare pagamento dei
creditori estranei. Spetta, dunque, al giudice un penetrante giudizio di merito sulla
superabilità, nel caso concreto, della crisi d’impresa o da sovraindebitamento. Il che
segna una discontinuità rispetto al diritto della crisi d’impresa, nel quale il
controllo giudiziale su accordi di composizione del debito e proposte di concordato
è scevro da venature paternalistiche, e invece saldamente arginato su di un piano di
verifica logico-formale delle ragioni spese dall’attestatore per asseverare la
ragionevolezza del piano (facendo eccezione, per la più convincente opinione,
soltanto il caso in cui siano state sollevate opposizioni).
Le regole appaiono sfornite di una trasparente ragione. Se, infatti, si osserva la
posizione del piccolo imprenditore, non si comprende perché mai il giudice debba
farsi occhiuto sul piano di superamento della crisi d’impresa. E lo stesso è a dirsi se
l’autore del piano è il debitore civile. Né per l’uno né per l’altro caso si ravvisa
l’esigenza di una speciale attenzione del giudice, che supplisca al controllo
eventualmente disattento del creditore o ne integri l’insufficiente giudizio.
Non potrebbero mai rilevare, infatti, le caratteristiche sociali culturali tecniche ed
economiche verosimilmente proprie di questi soggetti e tali da consentirne
l’identica considerazione nella prospettiva di tutela (come propone il movimento
interpretativo sulla estensione della tutela del consumatore anche al professionista,
al lavoratore autonomo e al piccolo imprenditore).
Nel procedimento di composizione della crisi della piccola impresa e del
sovraindebitamento del debitore civile l’interesse in gioco e affidato al controllo del
13
Cfr. art. 8, comma 3.
7
giudice - e pertanto oggetto di tutela - non è l’interesse del debitore, ma è il diverso
e anzi contrapposto interesse dei creditori estranei all’“accordo”. Tra tali creditori
sono annoverabili certamente soggetti non imprenditoriali, ma per lo più si tratterà
di imprese; spesso di imprese di medie e grandi dimensioni; di imprese bancarie
finanziarie e assicurative. Si tratterà, insomma, dei soggetti già protagonisti quali
creditori delle procedure concorsuali, e per i quali non è prevista nessuna speciale
assistenza giudiziaria.
Per quanto esposto, la soluzione normativa appare non solo alquanto distante da
quella accolta nel diritto concorsuale, ma nemmeno rispondente in alcun modo a
peculiari e specifiche esigenze delle fattispecie oggetto di disciplina. Introduce
perciò nel sistema disciplinare dell’insolvenza una frattura sistematica evitabile.
8. In (provvisoria) conclusione
La nuova legge testimonia la viva e condivisibile preoccupazione del legislatore per
fenomeni che, amplificati dalla crisi economica planetaria, rischiano di sfuggire a un
efficace governo della norma giuridica. Dovrebbe, tuttavia, pure riconoscersi che
nelle norme proposte la scelta di perseguire i due obbiettivi - composizione del
debito civile e del debito del piccolo imprenditore - attraverso un’unica disciplina
rischia di compromettere gravemente la linearità concettuale dell’intero disegno,
facendo emergere in superficie una irrisolta antinomia. Pare infatti chiaro, e
soprattutto sotto il profilo della pianificazione delle soluzioni, che non sia possibile
chiudere in una sintesi efficace esigenze che si presentano alquanto diverse.
Dunque, poiché non di rado le disarmonie sistematiche si concretizzano in
inefficienze applicative, sarebbe stato preferibile scindere le tutele e affidarle piuttosto che a improbabili contrattazioni legalmente autorizzate - a diverse e
separate procedure. E ciò senza escludere, per il debitore civile, l’ipotesi di una
procedura di esecuzione collettiva di stampo fallimentare.
Nondimeno, tutto ciò può assumere rilievo non soltanto nella (al momento non
probabile) prospettiva della riforma, quanto soprattutto ai fini di una consapevole
applicazione del nuovo strumento, volta a ridurre le possibili inefficienze e ad
enfatizzare le positività che le nuove regole indubbiamente recano.
8
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una procedura per gli accordi in rimedio del sovraindebitamento