Dalla Valle Versa….
…al Borgo di Ruino
Percorso di ecoturismo realizzato dai
ragazzi della Scuola Secondaria di I
grado dell’Istituto Comprensivo Valle
Versa (plesso di Santa Maria della Versa)
Un Oltrepò di gusto
È stato compiuto un attento studio geografico
d’Italia, della Lombardia e di quella parte
dell’Oltrepo Pavese Orientale, che comprende la
Valle oggetto di studio.
Per mezzo di approfondimenti cartografici,
osservazioni, lezioni in classe e uscite sul
territorio alla ricerca delle sorgenti del torrente
Versa, i ragazzi hanno potuto realizzare un
plastico rappresentante un tratto della vallata,
mappe tematiche storico-naturalistiche, e
approfondire le tradizioni e la cultura locale.
Italia….
Lombardia…
Oltrepò…
Il bacino imbrifero del torrente Versa
Il torrente Versa è lungo 27,2 Km. Nasce da sorgenti poste in prossimità di
Ruino, a 523 m sul livello del mar,e e sfocia nel Po in località San Pietro
(comune di Portalbera), a 50 m sul livello del mare.
I principali affluenti di destra sono:
● Rio Scarabelli
● Rio Pascuà
● Rio Goretta
● Rio Prà del Gatto
● Fosso Gavino Rugolato
Gli affluenti di sinistra sono:
● Torrente Versiggia
● Rio Vergombera
● Rio Bedo
● Rile
La Valle Versa
La Valle Versa, situata lungo il confine orientale dell’Oltrepò
Pavese, si identifica con il bacino idrografico del torrente
Versa, da cui prende il nome. E’ una valle piccola, stretta,
ridente, lunga 20 Km. circa e diretta da sud a nord. Il bacino
serve, per alcuni chilometri, come confine tra la provincia di
Pavie e quella di Piacenza. Il crinale oscilla tra i 400 ed i 644
metri sul livello del mare. I due dorsali che la limitano,
terminano con i colli di Montù Beccaria a levante e con lo
sperone di Stradella a ponente.
I numerosi paesi presenti lungo il corso, sono sui colli interni
alla valle. Le località più interessanti, dai diversi punti di
vista, che si incontrano seguendo il corso del fiume dalla
sorgente alla foce, sono:
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CANEVINO (pp. 9-12)
VOLPARA (pp. 13-15)
GOLFERENZO (p. 16-17)
PIZZOFREDDO (pp. 18-23)
MONTECALVO VERSIGGIA (pp. 24-28)
SORIASCO (pp. 28-38)
SANTA MARIA DELLA VERSA (pp. 39-44)
DONELASCO (pp. 45-47)
MONTARCO (pp. 48-49)
SANNAZZARO (pp. 50-52)
CASTANA
MONTESCANO
ROVESCALA (pp.53-54)
CANNETO PAVESE
VALDAMONTE (pp. 55-57)
Canevino
Il toponimo si trova citato per la prima volta nel documento del 940, sulla
storia di San Colombano, dove si dice che quando le reliquie di S.
Colombano, da Bobbio furono portate in pellegrinaggio a Pavia da re Ugo,
il corteo, che attraversò tutte le proprietà del monastero di San
Colombano di Bobbio, passò anche da Canevino, allora proprietà del
monastero.
In base al regio editto del 27 ottobre 1815 per il nuovo stabilimento delle
province dipendenti dal senato di Piemonte e della loro distribuzione in
mandamenti di giudicature e cantoni per le assise,Canevino veniva
definitivamente inserito nel mandamento di Soriasco appartenente al
secondo cantone della provincia di Voghera (regio editto 1815, ASCVo),
sede di intendenza e prefettura e appartenente alla divisione di
Alessandria. Nel 1947 venne ricostituito il comune autonomo di Canevino
disaggregandone il territorio dal comune di Pometo. In base alla legge
sull'ordinamento comunale vigente il comune veniva amministrato da un
sindaco, da una giunta e da un consiglio. Nel 1971 il comune di Canevino
aveva una superficie di ettari 474.
Descrizione
Piccola comunità di collina, classificata "comune sparso", ha
un'economia essenzialmente agricola. I canevinesi, che
presentano un indice di vecchiaia particolarmente
elevato, sono distribuiti in varie località.
Il territorio, che offre la più bella vista dell'Oltrepò
montano, disegna un profilo geometrico irregolare, con
variazioni altimetriche anche abbastanza accentuate: le
quote sono infatti comprese tra i 300 e i 645 metri sul
livello del mare.
Storia
Le sue origini risalgono molto indietro nel tempo: si tratterebbe infatti
dell'antica CANAVINUM o CANABINUM. Non è chiaro se il toponimo
vada riferito al latino CANABINUS, derivante a sua volta da
"canába", che significa "capanna", o dal termine dialettale
"canven", dove la radice "can" si richiama al giallo delle ginestre e
"ven" indica la valle, per cui avrebbe il significato di valle gialla. Nel
corso del Medioevo fece parte del feudo di Cigognola e fu
conquistata da Galeazzo Visconti nella prima metà del XIV secolo.
Delle vicende più recenti si ricorda la cosiddetta "battaglia di Bacà
Mollio" che, nel corso della seconda guerra mondiale, vi si svolse tra
partigiani, fascisti e tedeschi.
Non vi sono infatti edifici di particolare rilievo architettonico, fatta
eccezione per la chiesa parrocchiale, intitolata alla Madonna
dell'Assunta. Meritano di essere citati anche i resti di una fornace
scoperti di recente e datati tra il XVII e il XVIII secolo.
Economia
Se si escludono gli uffici deputati al funzionamento dei consueti
servizi municipali e postali, non se ne registrano altri degni di
nota. Il sindaco svolge, all'occorrenza, anche le funzioni di
autorità di pubblica sicurezza, vista l'assenza sul posto di una
stazione dei carabinieri.
La principale fonte di reddito per la popolazione continua ad
essere costituita dall'agricoltura: si coltivano cereali, ortaggi,
foraggi e vite; molto importante è l'allevamento di avicoli.
L'industria è rappresentata essenzialmente da un'impresa
operante nel comparto del petrolio, affiancata da una
modesta attività edilizia.
Molto limitata è anche la presenza del terziario, che si compone
solamente dei servizi essenziali.
VOLPARA
Il toponimo Volparia si trova citato nell'elenco delle terre
del contado di Pavia del 1250 come appartenente
all'Oltrepò (Soriga 1913).
Volpara compare nell'elenco delle dichiarazioni del
focatico del Principato di Pavia per l'anno 1537 come
appartenente alla Congregazione rurale dell'Oltrepò e
Siccomario (Focatico Oltrepò e Siccomario, 1537).
Volpara nel 1634 è inserita come appartenente
all'Oltrepò, nell'elenco delle terre del principato di
Pavia censite per fini fiscali da Ambrogio Opizzone
(Opizzone 1634).
Con il trattato di Worms del 1743 Volpara passò sotto il
dominio di casa Savoia.
La comunità di Volpara è compresa nell'elenco
delle terre e luoghi che hanno mandato un
proprio rappresentante in Voghera alla
riunione generale per l'elezione della
congregazione dei possessori dei beni rurali
nella parte del principato di Pavia detta
Oltrepò nell'anno 1744 (Convocato Oltrepò,
1744).
Con manifesto camerale del 9 novembre 1770
vengono stabiliti gli uffici di insinuazione,
Volpara viene inserita nella tappa di Broni
(Duboin).
In base al regio editto del 27 ottobre 1815 per il nuovo
stabilimento delle province dipendenti dal senato di
Piemonte e della loro distribuzione in mandamenti di
giudicature e cantoni per le assise, Volpara veniva
definitivamente inserito nel mandamento di Soriasco
appartenente al secondo cantone della provincia di
Voghera (regio editto 1815, ASCVo), sede di intendenza e
prefettura e appartenente alla divisione di Alessandria.
Dipendeva dal senato di Casale, l'ufficio dell'insinuazione
aveva sede in Broni e quello postale in Soriasco.
Nel 1859 Volpara con una popolazione di 496 abitanti entra a
far parte della provincia di Pavia, e viene inserito nel VIII
mandamento di Soriasco del circondario di Voghera
(decreto 1859).
Nel 1971 il comune di Volpara aveva una superficie di ettari
389.
GOLFERENZO
Golferenzo è elencato tra le terre che l'imperatore Federico I
pose nel 1164 sotto il dominio pavese; questo dovrebbe
indicare che questo luogo dovesse avere un proprio castello
con autonoma giurisdizione.
In epoca successiva, con il vicino Volpara, condivise le sorti di
Montecalvo Versiggia, posseduto dal XIV secolo dai
Beccaria. Nel 1929 fu acquistato dai Dal pozzo. Nel 1690
Golferenzo fu venduto ai Belcredi, insieme a Montecalvo.
Il feudo di Montecalvo, con Volpara e Golferenzo, durò fino al
1797, quando il feudalesimo fu abolito.
Alla fine della seconda guerra mondiale gran parte del
territorio comunale rimase di proprietà della famiglia
Belcredi.
Monumenti e luoghi d’interesse
presenti a Golferenzo
Visitando il piccolo centro storico, ancora oggi è
possibile osservare, seppur solo dall’esterno
poiché si tratta di proprietà privata, l’antico
Palazzo dei Signori, le prigioni e la suggestiva
chiesa di San Nicola (solitamente aperta la
domenica mattina).
PIZZOFREDDO
Storia
La più antica forma di popolamento accertata sul territorio di
Pizzofreddo risale alla prima epoca imperiale romana .
I residenti più anziani, nati e vissuti nel paese, raccontano che
in tempi lontanissimi sorgeva nella valle del torrente
Bardonezza un susseguirsi di insediamenti tanto estesi da
lambire la periferia dell' attuale Pizzofreddo , dal nome
Rosara.
Fiorello Beccaria fu il primo signore feudale di Pizzofreddo ,
signore anche di Rocca de Giorgi .
Pizzofreddo fu una delle località che non furono devastate dai
Piacentino-Milanesi nella celebre incursione del 1316 .
Sono molti gli elementi di studio
di Pizzofreddo, fra cui le
strutture dell' abitato .
L’assenza di mura o di altre
opere difensive e l'esigua
vicinanza con il confine fecero
di Pizzofreddo un insediamento
agricolo e commerciale; ai
primi decenni del XIV secolo
risale la costruzione della torre
colombaia intorno alla quale
sorsero gli insediamenti
agricoli.
Ai primi decenni del 1500 risale una
testimonianza della celebrità di
Pizzofreddo: si tratta di un' opera
figurativa, che si trova nella sala
delle mappe dei palazzi Vaticani
in Roma ed è una delle poche
località dell' Oltrepò citate.
Pizzoofreddo fu invasa dalle
epidemie della colera e il morbo.
Si narra la tradizione che a
Pizzofreddo ci fosse la dogana ,
alla frontiera con il Ducato di
Parma. La dogana fu operativa
sino al 1859-1860, fino
all’invasione da parte del Ducato
di Parma e di Piacenza, che ne
vanificò la ragion d’essere.
Negli anni 1875 e 1955 ci risale la
testimonianza di una lite tra la
popolazione di Pizzofreddo e
quella di Soriasco per l'
istituzione di una scuola in
Pizzofreddo .
Nei anni 1901 e 1911, il territorio
di Pizzofreddo, risultò il più
popolato del comune, fatta
eccezione per il capoluogo,
trasferito a Santa Maria della
Versa.
Dopo la prima guerra mondiale
risultano solo 3 i decorati di
medaglie d'argento: Paulo
Achilli, Umberto Scarabelli e il
sergente Luigi Maini.
La via di Pizzofreddo che scende nel centro
abitato , è dedicata a Carlo Scarabelli, un
giovane che intraprese gli studi universitari in
legge. Era affascinato dalle idee dei Mille e
indossò la Camicia Rossa alla seconda
spedizione. Carlo Scarabelli fu ferito sul
Volturno, meritando i gradi di sergente. Morì
nel 1922, i cimeli di Pizzofreddo: la divisa e la
boraccia da cui bevve Garibaldi sono stati
donati al Museo dell’Artigianato.
Curiosità
A Pizzofreddo c’è la Torre
colombaia.
Troviamo, inoltre, la scuola e
la chiesa. In prossimità ci
sono i resti della torre di
Pizzofreddo, che era alta
almeno il triplo si quello
che resta oggi.
Sono state trovate 300
monete d' argento , vicino
a un pozzo , dove c'era
una fornace romana.
MONTECALVO VERSIGGIA
L’origine del nome presenta alcune incertezze che hanno dato modo
agli studiosi di avanzare ipotesi non prive di accenti coloristici.
La difficoltà maggiore nasce dall’accordo del nome Monte con il
termine Calvo. Infatti, ciò farebbe pensare ad un’ altura priva di
vegetazione, quando in realtà in luogo è tutt’altro che spoglio oggi
prevalgono due interpretazioni.
La prima sostiene l’origine latina del toponimo Mons Calvinus, dove
Calvinus è un semplice appellativo privo di significati particolari.
La seconda, pur ipotizzando anch’essa l’origine latina del nome
sostiene che esso derivi da Car o Cal, cioè ‘monte’ in antico dialetto
del luogo. Certo è che il “Monte Calvo non è” come dice il Dossi in
un sonetto.
Storia
Il comune di Montecalvo Versiggia si
estende su una superficie di 1116
ettari, tutti posti in collina, con
altimetria variante tra i 175 e 479
metri sul livello del mare.
A 410 metri è situato il capoluogo di
Crocetta, mentre l’altitudine
prevalente oscilla tra i 200 e 300
metri. Delimitato a levante dal corso
del torrente Versa e a ponente da
quello dello Scuropasso, il territorio è
attraversato in direzione sud-nord da
un altro corso d’acqua, il torrente
Versiggia che divide geograficamente
il territorio in due parti.
Situato sulle colline dell’Oltrepo, il paese
costituisce uno dei fiori all’occhiello
della provincia di Pavia.
Il castello di Montecalvo Versiggia
Il castello con le case che gli fanno da
corona è sicuramente l’abitato più
importante del comune. Per
parecchi secoli Montecalvo si è
identificato con il castello, infatti i
due termini sono stati usati
spesso come sinonimi.
Il castello fu nelle mani della famiglia
Beccaria fino al 1621. Dal quel
momento la proprietà sarà divisa:
il castello passera a Giuseppe
Pietragrassa Beccaria, mentre il
feudo sarà dei Belcredi. Esso
rimane a lungo disabitato dopo il
1800.
Durante la Seconda guerra mondiale
fu sede di un comando partigiano
nuovamente abbandonato.
Attualmente è stato suddiviso in
due appartamenti e le sue
cantine aperte al pubblico.
Monumenti di Montecalvo Versiggia
È presente anche una chiesetta
chiamata Antica Pieve,
circondata da un cimitero di
lebbrosi che risale al XIV
secolo. Negli ultimi anni è
stata ristrutturata, ridipinta e
donata alla chiesa
parrocchiale.
Un basso rilievo rappresenta la
“Madonna dell’uva” del
pittore Delfitto rappresenta
la Madonna e i bambini in
mezzo ai vigneti di
Montecalvo e sullo sfondo si
possono vedere la chiesa e il
campanile locale.
Tradizioni
In occasione della festa patronale
(S. Alessandro martire) ormai
da anni si tiene un concerto di
musica classica sul sagrato
della chiesa parrocchiale.
La domenica precedente si svolge
una corsa ormai rinomata. “La
coppa Pinot” con esposizione
dei vini di produttori locali,
nelle cantine del castello con
degustazione.
Si tiene anche una mostra di
quadri di pittori della zona
presso una sala messa a
disposizione per l’occasione.
SORIASCO
Arroccato su di un colle, nel cuore della Valle Versa, sorge
Soriasco, piccolo e grazioso borgo dalle origini
antichissime, probabilmente romane.
“Una pomposa chiesa, un altissimo campanile, un
massiccio palazzotto, un vecchio castello, un’antica
torre, poche case” ecco Soriasco, descritto con mirabile
capacità di sintesi paesaggistica dal Conte Cavagna
Sangiuliani.
Oggi, poco è cambiato dalla fisionomia generale ad
eccezione del campanile, più che dimezzato rispetto
all’alzato originale e di quelle case tutte ristrutturare.
Riguardo alla sua fondazione, non si sa nulla di preciso, alcuni
storici pensano che sia stato fondato in epoca romana,
perché considerato insieme ai paesi di Rovescala, Montarco
e Montecalvo Versiggia; altri invece tendono a considerare
l’eventualità di una fondazione più tarda, cioè a quella
ligure, ciò si capisce dalla desinenza in –asco presa da un
latino ligurizzato.
Il nucleo insediativo viene a trovarsi su una sommità detta
Poggio Castelliere o Castellaro, infatti in passato era il luogo
più ricercato e preferito dalle popolazioni dell’Età del
Bronzo o anche da quelle Liguri, perché riparato dalle
colline sovrastanti e non soggetto a venti o intemperie. Non
solo per questi motivi, ma anche per la ricchezza di acqua
nel sottosuolo e per la fertilità del pendio che garantivano il
necessario sostentamento della vita della comunità.
Sfortunatamente il popolo ligure non era dedito all’arte edilizia, infatti
la maggior parte delle abitazioni era di materiale facilmente
reperibile in natura (legno, paglia..) ma, proprio poiché reperibile,
nulla è rimasto.
Secondo una consuetudine assai diffusa nell’antichità, Soriasco vide
una serie ininterrotta di sovrapposizioni insediative, pertanto
l’abitato di età romana doveva sorgere esattamente sull’area poi
occupata dal borgo medievale. Per questo motivo non deve stupire
la presunta mancanza di affioramenti archeologici, considerate le
distrazioni, i rifacimenti ed i numerosi stravolgimenti edilizi vissuti
da Soriasco nel corso dei secoli. Situato in una zona limitrofa a
Soriasco, si erge il nucleo abitato di Ca’ Scodella, che costituisce un
grosso enigma. E’ infatti noto che decine e decine di anni fa,
durante gli scavi per le fondamenta delle case degli abitanti, affiorò
una messe vera e propria di reperti ceramici. Essi vennero definiti
scodelle, da cui appunto prese il nome il piccolo centro.
Dalla fondazione fino al IX secolo, non si ebbe nessuna notizia certa
per quanto riguarda la storia di Soriasco.
La Dipendenza di Soriasco dal
Monastero di Bobbio
I primi documenti riguardanti la storia di Soriasco, citano la dipendenza
del piccolo paese dal monastero di Bobbio. Nel primo inventario
dell’abate responsabile dopo la metà del IX secolo, Soriasco era
classificato come plebs, ciò sottintende l’esistenza di un importante
luogo di culto dedicato a S. Gaudenzio, martire del IV secolo, e
quindi, grazie a questa testimonianza, possiamo far risalire la
nascita della Chiesa parrocchiale alla tardissima età romana.
Dopo questa testimonianza, un altro documento importante ritrovato,
fu un diploma per la concessione alle terre del Monastero di due
significative regalìe, ovvero l’istituzione di un libero mercato
annuale con esenzione della franchigie di transito e di vendita e la
liberazione di tutti i sudditi residenti nei possedimenti fondiari
dell’abbazia. In pratica dal 903 si poteva tenere in Soriasco il
mercato, e la servitù non aveva più luogo d’essere.
Nei decenni successivi Soriasco subì vari cambiamenti, fu possesso della
diocesi di Piacenza, di quella tortonese, ancora di Bobbio e infine della
diocesi pavese. Le lotte tra i comuni piacentini, pavesi e milanesi
portarono morte e distruzione.
Il 1217 riportò la pace tra i Comuni e Soriasco ritornò a far parte del pavese.
Dei rigogliosi frutteti, delle miriadi di vigneti, delle distese di boschi, lavoro di
generazioni, non rimanevano che fumanti rovine annerite.
Nei secoli successivi regnarono varie famiglie quali i Giorgi, i Del Pozzo, i
Gambarana. Il picolo ma forte paesino, passò attraverso pestilenze, morti,
crisi demografiche. Subì le stesse sorti dell’Italia: la dominazione spagnola,
quella austriaca, l’esperienza napoleonica, l’annessione al Regno di
Sardegna.
Durante le guerre d’indipendenza si verificò un fatto molto spiacevole. Già dal
1853 Soriasco stava gradualmente perdendo valore perché nella borgata
di Santa Maria della Versa incominciarono ad apparire caffè, alberghi,
negozi, abitazioni, inoltre venne trasferita la fiera ed il mercato
settimanale, dopo la partenza degli Austriaci scomparirono le barriere
doganali e la nuova borgata era pronta a divenire un punto di riferimento
per il commercio, si stabilirono le sedi della giudicatura mandamentale e
gli uffici comunali.
Soriasco divenne sede delle prigioni, ma si apprestava a
vivere i suoi ultimi anni di vita comunale, a causa della
mancanza di spazi e della vetustà delle sue strutture
medievali.
Sfortunatamente nel 1893 il decreto reale di Umberto I
sanciva ufficialmente il passaggio delle consegne
amministrative. S. Maria della Versa diveniva comune e
Soriasco, che aveva combattuto nel tempo contro ogni
problema, si confondeva con le altre frazioni.
Monumenti e costruzioni storiche
LA CHIESA PARROCCHIALE
Un tempo dedicata al culto dei S.S. Gaudenzio, Giacomo e Maria, ed
attualmente alla Beata Vergine del Carmine, la parrocchiale di
Soriasco si eleva su una piazzetta situata tra il torrione medievale,
tragica memoria del passato ghibellino del paese, ed il palazzo
Faravelli, esternazione di opulenza agricola ottocentesca. Per
quanto possano trarre in inganno le apparenze, occorre qui
ricordare che la chiesa attuale non è frutto di costruzione nata di
getto, ma di una serie di rimaneggiamenti architettonici ed estetici
che hanno il loro incipit dalle strutture della primitiva cappelletta,
eretta dai nobili Giorgi nel lontano 500.
IL PALAZZO FARAVELLI
Un tempo era possedimento di Cesare Faravelli, uno dei
primi azionisti della Cantina vitivinicola “La Versa”, il
quale, non avendo eredi, lo lasciò alla Congregazione
Sacra Famiglia di Nazaret, una comunità di frati ancora
oggi proprietari. Un tempo era una grande azienda
agricola produttrice oltre che di vino, di frutta,
soprattutto mele e pere.
LA VECCHIA SCUOLA ELEMENTARE
Inizialmente occupava una parte del castello, ora
diventato privato ed abitato, poi è stata trasferita in un
edificio alla “periferia” del paese.
IL VECCHIO ASILO
E’ un edificio di tre piani ancora abitato ma di
proprietà della Congregazione perché luogo, in
passato, dove insegnavano le suore. All’interno
sono ancora presenti le aule con i seggiolini ed i
banchi usati dai bambini, un’aula, dove i bimbi
facevano le recite, caratterizzata da un palco con i
tendoni, un tempo il sipario, il secondo piano è
occupato dalla chiesetta costituita da un altare,
dalle panche e dalla statuetta della Madonnina,
che in passato era luogo di preghiera dei bimbi.
IL CASTELLO
Nel XI secolo l’abitato venne fortificato con la costruzione di un castello e due
cinta murarie dotate di ben dodici torri con funzione di difesa.
A causa delle incursioni piacentine tra il 1215 e 1216 il castello subì gravi
danneggiamenti e non venne più ricostruito.
Quello che oggi si dice “Castello di Soriasco” è in realtà una residenza
castellata del ‘700.
Delle mura di cinta rimangono alcuni tratti, uno dei quali presenta ancora una
delle dodici torre difensive, in pietra locale, oggi facente parte di
un’abitazione privata.
Ma è la torre quadrata, che si innalza per circa 23 metri nella parte
settentrionale del paese, la testimonianza più significativa dell’antico
borgo fortificato.
Essa non faceva parte delle mura di cinta, si trattava probabilmente di un
ulteriore elemento difensivo.
E’ anch’essa di pietra locale e presenta finestre ad arco a tutto sesto, talune in
arenaria, altre in mattoni.
In passato si dicevano essere dodici, e stavano a rappresentare Gesù e i dodici
apostoli.
SANTA MARIA DELLA VERSA
Santa Maria della Versa è un paese “giovane” rispetto alle
proprie frazioni: fino al 1897 fu una frazione di Soriasco. In
seguito divenne il centro commerciale e agricolo della valle.
Diversamente da altri paesi, come Soriasco, Montù Beccaria e
Volpara, S. Maria della Versa non era sotto il controllo di
nessuna famiglia, infatti era dominante.
L’elemento più antico del paese è la chiesa situata in via
Garibaldi.
Ancora prima che nascesse il paese, fu costruita, pare, nel
1365 sulla sponda sinistra del Versa una cappelletta
campestre in onore della Madonna della Versa.
CURIOSITA’
LA CHIESA
Secondo la tradizione locale, la
devozione per la Beata Vergine
ebbe origine dall’apparizione di
una ragazza muta di Villanova. Nel
luogo dell’apparizione, situato fra
pini e querce, sorse la chiesetta
che conservava un dipinto su
tavole di legno, che pare essere di
Scuola Leonardesca; questo
rappresentava la Madonna con le
mani incrociate sul petto ed era
conservato sull’altare maggiore
della chiesa: recentemente ha
subito un restauro, dopo il quale è
stato riposizionato.
La costruzione della nuova chiesa
risale al 1639 e fu realizzata grazie
a offerte popolari in pieno stile
barocco.
IL PALAZZO FARAVELLI
L’altro edificio importante di S. Maria, è situato
di fronte alla chiesa: un palazzo appartenente
alla famiglia Faravelli. Successivamente è stato
ristrutturato ed ora è una villa abitata.
IL MULINO
Un altro elemento fondamentale di S. Maria è il mulino che si
trova in via Roma ed è ancora in attività. Tale costruzione è
presente in paese dall ‘800,prima appartenuta alla famiglia
Tirelli fino al 1941 e successivamente fino ad oggi alla
famiglia Bruciamonti. Ai tempi dei Tirelli, l’edificio era
adibito sia ad un mulino che ad un pastificio. Si chiama
ancora oggi “Mulino nuovo”. Ma a S. Maria non era l’unico.
Ancora oggi, il comune ricorda il nome di “Mulino vecchio”
, riferendosi all’edificio, ora trasformato in abitazione, che si
trova vicino alla piazza Vittorio Veneto. Si tratta di una
costruzione molto antica, in sassi. Lo stile architettonico, gli
infissi e gli architravi fanno pensare che la struttura si possa
collocare alla fine del ‘600 o al ‘700.
Il mulino funzionava con una grande ruota di ferro che girava spinta
dalla forza di caduta dell’acqua e metteva in movimento le macine.
L’acqua veniva prelevata dal torrente Versa e, convogliata attraverso
un canale (chiamato Bedo) che si staccava dal torrente presso la
località Cattafame, veniva usata come forza motrice per la ruota.
Esiste un documento del 1933 che autorizza il prelievo dell’acqua dal
Versa per quattro mesi all’anno perché per i restanti 8 mesi il
torrente rimane asciutto. Il documento aggiunge : “L’utenza viene
esercitata in forza della regia patente 13 febbraio 1787 e da tale
data viene sempre regolarmente pagato il relativo canone”. Ciò
dimostra quindi che il mulino era attivo nel XVIII secolo, anche se
non sono stati trovati documenti specifici.
L’ultima famiglia ad esercitare l’attività di mugnaio fu la casata dei
Moroni. Il Sig. Moroni Angelo arrivò a S. Maria all’inizio degli anni
novanta. Proveniva da Portalbera, dove molto diffusa era l’attività di
mugnaio con i mulini ad acqua. Insieme al figlio Giuseppe, esercitò
l’attività utilizzando la forza motrice della ruota nei mesi invernali e
l’elettricità nei periodi estivi. Negli anni ’40 Giuseppe si ritirò dal
lavoro, la ruota fu venduta e il mulino cessò di esistere e diventò
abitazione civile.
IL MONUMENTO AI CADUTI
L’ultima costruzione che
caratterizza il paese, è il
monumento ai caduti,
situato in piazza Vittorio
Emanuele II che fu
inaugurato dopo la Prima
guerra mondiale nel 1922.
In quei tempi, il municipio si
trovava in questa piazza,
mentre oggi è situato in via
Francesco Crispi.
DONELASCO
Donelasco è situata a 270 m. di altitudine dal livello del mare
fa parte insieme ad altre località del comune di Santa Maria
della Versa.
Donelasco è un luogo di antichissime origini, anche se non
precisamente databili.
I danni delle guerre medievali ed i conseguenti e numerosi
rifacimenti costruttivi subiti nel corso del tempo, non
ultimo lo sviluppo edilizio nel XX secolo hanno contribuito
a cancellare ogni memoria di antichità dell'abitato.
Tuttavia nei primi anni del 1900 nei pressi delle rovine
dell'antico perimetro difensivo del castello; scavando le
fondamenta di un edificio,affiorarono alcuni elementi
architettonici in pietra lavorata,attribuiti si dice ad un luogo
di culto databile all'età romana (I d.C.).
Altre testimonianze romane nel territorio di Donelasco sono
riscontrabili all'incrocio stradale, all'altezza del cimitero.
Nel 1412 Gian Galeazzo Visconti, per beneficare uno dei suoi più fedeli
capipartito, donò al suo feudatario Rainalia Beccaria il luogo di
Donelasco. Nel 1631 si abbattè sulla popolazione la peste.
Il flagello di cui parla Manzoni imperversò favorito com'era dalla
poverissima dieta della comunità, dalle pressochè inesistenti
condizioni igieniche, ma sopratutto dalla grande siccità. Dopo il
passaggio della peste morirono 42 persone su 130 abitanti e furono
sepolte in una fossa comune, nei pressi della frazione Torre, dove
pare esistesse anche un lazzaretto.
Nella seconda metà del 1600, Donelasco fu acquistata insieme a
Soriasco dai Gambarana, nobili milanesi che già possedevano il
Casale. Così Donelasco divenne la capitale morale del feudo
"Mariese" e Soriasco prese il ruolo di predominio che le era stato
proprio per tanto tempo.
Nel 1929 un decreto regio regalò la qualifica di Comune, retrocedendo
questo antichissimo abitato a frazione Santa Maria della Versa.
CURIOSITA’
La chiesa di Donelasco è una delle poche che
suona il quarto d’ora.
MONTARCO
Il toponimo come Mons Arcis è incluso nell'elenco delle terre del
contado pavese del 1250 appartenente all'Oltrepò (Soriga).
Montarco compare nell'elenco delle dichiarazioni del focatico del
Principato di Pavia per l'anno 1537 come appartenente alla
Congregazione rurale dell'Oltrepò e Siccomario.
Come Mont’Arco nel 1634 è inserito come appartenente all'
Oltrepò,nell'elenco delle terre del Principato di Pavia censite per
fini fiscali da Ambrogio Opizzone (Opizzone 1634).
All'inizio del XIX secolo venne unito a Soriasco il comune di Mont'Arco,
detto anche anche Sannazzaro dal nome della chiesa parrocchiale.
Era un luogo molto importante , essendo citato nel diploma di
Federico I del 1164. Nel 1216 fu bruciato dai confederati Lombardi,
in lotta con Pavia. Appartenne probabilmente ai Sannazzaro e c'è
chi sospetta che il cognome derivi da questo luogo. Fu incluso nel
feudo di Broni, cui restò fino alla sua fine, e di esso (dopo che ne
furono staccati Canneto e Castana ) rimase, isolato, il territorio più
meridionale.
CURIOSITA’
La chiesa è la più antica della diocesi di Piacenza.
Sannazzaro
STORIA
Sannazzaro è un piccolo paese situato in una zona del comune
di Santa Maria della Versa.
La chiesa (danneggiata dal terreno friabile) è stata dedicata a
Sannazzaro e Celso ed è la più antica che si può trovare in
collina in tutto l'Oltrepo Pavese.
La dimostrazione dell'antichità della chiesa risulta anche da
quindici tombe situate sotto la pavimentazione rimossa di
recente dove vi erano salme di Romani. Essa fu fondata dal
parroco Giulio Gattono.
Nel 1985 fu necessario eseguire un restauro a causa della sua
pendenza: il pavimento fu , quindi, rifatto per la terza volta.
Anche il campanile però subì alcune riparazioni.
LA CHIESA DI SANNAZZARO OGGI
Al suo interno si trova un'epigrafe che recita:
"In omaggio a Gesù Cristo Redentore . L'anno santo MCM il prevosto
Don Enrico Maggi ed i parrocchiani di S . Nazzaro Montarco fecero
innalzare al tetto della chiesa il presente campanile aggiungendo
orologio e campana maggiore" .
Anche l'arredamento della chiesa denota l'antichità di quest'ultima ; vi
figurano :
- Due altari in marmo nero risalenti al 1700 . Quello centrale , invece ,
proviene dalla Svizzera .
- Una statua raffigurante la Madonna ricavata da un unico pezzo di
legno proveniente da un albero intero risalente al 1300
- Il battistero in memoria di Gino Barzizza .
- Altri oggetti che completano l'arredamento sono : il medaglione delle
indulgenze e l'organo che risale al 1914 .
- Gli affreschi del pittore Pizza di Castel San Giovanni realizzati
nel 1950 . Fra i soggetti più significativi vi sono : Marco ,
Matteo , Luca , Giovanni nel presbiterio ; vari santi nella
volta quali San Pio perché ricorda la comunione . Teresina
del bambin Gesù , San Francesco protettore delle missioni ,
San Nazzaro e Celso . Vi sono anche diversi quadri
rappresentanti la Madonna , Santa Lucia , San Giuseppe ,
due statue di San Antonio e San Luigi .
- L'abside fu costruita nel 1895 in occasione dell'ampliamento
della chiesa e ricorda la crocifissione di Gesù .
Un altro elemento molto importante da ricordare è che la
chiesa non è solo benedetta , ma anche consacrata , come
dimostrano le croci nei pilastri (consacrata , infatti , significa
unta con le croci e benedetta , invece , significa che è stata
appunto benedetta con l'acqua santa).
ROVESCALA
Rovescala ha come attività prevalente la viticoltura,
con 156 aziende che producono il noto vino
Bonarda.
Curiosità
Come attrazione turistiche si può citare una graziosa
Cappella di fine secolo, in stile gotico, dedicata alla
Madonna di Caravaggio, festeggiata il 26 maggio. Sulla
piazza principale sorge la Chiesa dedicata alla Beata
Vergine Maria che risale al 1600 ed è di stile
rinascimentale-barrocco. All’interno si trova un organo,
un Cavalli del 1700 con 865 canne e il campanile, alto
circa 45 metri, è formato da sei campane in re minore.
Sulla facciata della canonica è presente una meridiana
costruita di recente.
In centro, sotto il comune, si trova un Museo storico
Agricolo dove sono presenti attrezzi dell’antico mondo
contadino.
VALDAMONTE
L’abitato di Valdamonte, situato alla periferia sud
orientale del mariese, sorge sopra ad un podio a mezza
collina esattamente come Soriasco e Donelasco.
Affinità questa da apportarsi ad antiche esigenze di
natura abitativa e difensiva.
Le ricerche di superficie, altrove utilissime per riscrivere
un passato non tramandato, in Valdamonte e vicinanze
non hanno purtroppo portato a risultati concreti.
I moti franosi degli anni settanta e i successivi lavori di
bonifica e soprattutto la fitta viticoltura sembrano aver
cancellato ogni traccia di tempi antichi.
Storia
Dell’esistenza di Valdamonte si ha certezza solo negli ultimi
tempi del Medioevo.
Nel 1510 venne a morte la Magnifica Franceschina Beccaria
vedova del conte Antonio Giorgi signore di Soriasco e di
altri luoghi fra cui appunto Valdamonte.
Per lascito testamentario Soriasco, Pizzofreddo e Valdamonte
toccarono al figlio Belisario: correva l’anno 1518 e da
questa data si riperdono le tracce storiche dell’abitato
oggetto del nostro studio.
Lo scopo per cui si decise di fondare Valdamonte non ci è
stato tramandato: lo si potrebbe ritenere come una
filiazione insediativa di Soriasco, finalizzata allo
sfruttamento agricolo.
Tuttavia, la presenza di una torre, forse colombaia, sulla sovrastante
collina e di un piccolo insediamento – Poggio da Monte – lambito
dalla strada supra collinare “della Costa” ci suggeriscono di
considerare un’altra possibilità.
Valdamonte potrebbe anche essere stata fondata per creare un sicuro
punto di sosta e transito per i carriaggi diretti e provenienti dal
Piacentino.
Nelle antiche mappe si vede infatti come il tratto stradale che tuttora
unisce Valdamonte a Poggio da Monte prosegua perdendosi nel
pendio collinare scavalcando la Bardonezza con direzione
Vicobarone.
Questo consentirebbe di ipotizzare la fondazione di Valdamonte alla
fine del XIV inizi del XV secolo, epoca in cui i possedimenti feudali
dei Giorgi risultavano circondati da quelli dei Beccaria con
conseguente esborso di pesanti dazi per i transiti commerciali.
Il matrimonio dinastico Giorgi-Beccaria pose fine al problema e dal
1518 la storia di Valdamonte si fonde con quella della più nota
Soriasco.
Economia
La Valle Versa è una zona
molto interessante dal
punto di vista
enogastronimico. Il
nostro territorio è
famoso principalmente
per i vini pregiati, di
Denominazione di
Origine Controllata.
Storia del vino
dell’Oltrepò Pavese
Oltrepò Pavese DOC- Caratteristiche e Storia.
Vino a denominazione di origine Controllata Oltrepò Pavese DOC
La storia dell'Oltrepò Pavese DOC : la DOC Oltrepò Pavese nobilita con la
Denominazione di Origine Controllata tutta una serie di vini e vitigni
storicamente prodotti nella provincia di Pavia , che sin dall'ottocento
costituiva il serbatoio dei vini da
tavola per privati e locande di Milano e del suo hinterland. Vini e
vitigni di questi vini venivano scelti principalmente in base alle
capacità produttive , alla resistenza al clima , alle intemperie e ai parassiti.
Questo non esclude che , soprattutto con l'arrivo delle moderne
tecnologie di vinificazione e con la riscoperta di vitigni interessanti come la
bonarda , abbia permesso di produrre negli ultimi decenni vini via via più
qualitativi ed apprezzati dagli enoappassionati.
Vitigni utilizzati per produrre
l'Oltrepò Pavese DOC
L'Oltrepò Pavese può essere prodotto sia nella versione Bianco che
nella versione Rosso e Spumante . Come già detto sopra , i vitigni
venivano anticamente scelti principalmente in base alle capacità
produttive , alla resistenza al clima , alle intemperie e ai parassiti.
Negli ultimi decenni , con la crescente ricerca della qualità e il
sempre maggiore appeal degli autoctoni , hanno ottenuto
particolare rilievo vini come l'Oltrepò Pavese Bonarda ( o Croatina )
o l'Oltrepò Pavese Barbera.
Per la vinificazione dell'Oltrepò Pavese Spumante è utilizzato in
prevalenza il Pinot Nero e, in parte , il Pinot Grigio , il Pinot Bianco e
lo Chardonnay.
Pinot Nero ( vinificato in bianco ) e Chardonnay sono utilizzati anche
per l'Oltrepò Pavese Bianco , anche se il vitigno principe di questa
tipologia è senz'altro il Riesling , sia nella versione Oltrepò Pavese
Riesling Italico che nella versione Oltrepò Pavese Riesling Renano.
Un vitigno particolarmente importante è il Moscato.
Zona di produzione dell'Oltrepò
Pavese DOC
La zona di produzione è abbastanza estesa e comprende ben 42 comuni di un
territorio che è delimitato a Nord dall'autostrada Voghera-Piacenza), a
Ovest dalla Provincia di Alessandria e ad Est dalla Provincia di Piacenza.
All'interno di questa ampia zona , ve ne sono altre particolarmente vocate alla
produzione delle varie tipologie di Oltrepò Pavese : per l'Oltrepò Pavese
Barbera particolarmente vocati sono i comuni di Casteggio , Montecalvo
Versiggia , Montù Beccaria , Pietra De' Giorgi , Rovescala e Santa Maria
della Versa. Casteggio è vocata anche alla produzione dell'Oltrepò Pavese
Bonarda , insieme ad altri comuni quali Broni , Stradella , Montalto
Pavese, Canneto Pavese e Torricella Verzate. Fra Casteggio e Stradella si
sviluppano anche gran parte dei vigneti di Pinot Nero dell'Oltrepò Pavese
Spumante , mentre la zona più vocata alla coltivazione dell'Oltrepò Pavese
Riesling è quella delle prime colline che dalla Pianura Padana salgono
verso gli Appennini , ancora una volta intorno a Broni , Stradella e
Casteggio , che sono insomma il vero "epicentro" di tutta la DOC Oltrepò
Pavese.
Una zona particolarmente vocata alla produzione di un vino importante come
il MOSCATO DOC OLTREPO PAVESE è la zona dell’Antica Parrocchia di
Volpara, che interessa i Comuni di Volpara, Golferenzo e Canevino.
Proprietà organolettiche
Ancor più delle sottozone di produzione , le proprietà
organolettiche dipendono dalla tipologia di Oltrepò Pavese
considerato.
L'Oltrepò Pavese Rosso è un classico vino da tutto pasto , nella
versione Bonarda o Croatina spiccano al naso gli aromi di
marasca e mandorla amara , che si ripropongo anche al
palato.
Nell'Oltrepò Pavese Barbera , invece, prevalgono al naso le note
fruttate, mentre al palato si denota un piacevole fondo
acidulo.
Fruttato e aromatico anche l'Oltrepò Pavese Riesling, con
profumi di mela , pesca , albicocca e mirtillo .
L'Oltrepò Pavese Spumante , invece , è fresco con note di crosta
di pane e vaniglia , dal sapore asciutto , morbido e di buon
corpo.
Abbinamenti consigliati
Come già detto, l'Oltrepò Pavese Rosso è un vino da
tutto pasto e si accompagna sia agli antipasti a base di
salumi, che ai primi piatti come risotti, ravioli e
pastasciutte con salse di carne, che a secondi piatti, fra
i più disparati come carni rosse, carni bianche , bolliti
ed umidi molto diffusi in Val Padana.
L'Oltrepò Pavese Bianco , soprattutto il Riesling ,
accompagna bene fritture , verdure e piatti a base di
pesce.
L'Oltrepò Pavese Spumante , infine , è un ottimo
aperitivo, ma si può anche accompagnare a piatti di
mare.
Vini D.O.C.
Barbera D.O.C.
Barbera fino a un massimo del 65%; Croatina minimo 25%, Uva
rara, Ughetta (Vespolina) e Pinot Nero, congiuntamente o
disgiuntamente, fino a un massimo del 45%
Caratteristiche:
Gradazione alcolica minima 12°
Può essere proposto in versione fermo o vivace
Colore: rosso rubino vivo più o meno intenso
Profumo: Intenso, vinoso, ricorda la confettura di frutta rossa, con
sfumature speziate
Sapore: equilibrato, di buona persistenza e struttura
Abbinamenti: Accompagna egregiamente selvaggina, cacciagione da
piuma e piatti di carne in genere, elaborati
Bonarda D.O.C.
È prodotto con uve ottenute dal vitigno Croatina, autoctono
dell'Oltrepò Pavese, per almeno l'85%
Caratteristiche: È' presente nelle prime Denominazioni di Origine
Controllata
assegnate all’ Oltrepo Pavese nel 1970.
Può essere fermo, vivace, frizzante, secco, amabile, dolce, ma anche
affinato in legno (nella versione fermo e secco).
Colore: rosso rubino carico con riflessi violacei, brillante, di mediobuona viscosità
Profumo: fine, intenso, franco; piacevole il richiamo ai piccoli frutti, il
floreale, ma anche lo speziato
Sapore: di buona struttura,leggermente tannico, medio-lunga la
persistenza aromatica
Abbinamenti: Ottimo con salumi, agnolotti con sugo di brasato, piatti
con sughi leggermente unti.
Buttafuoco D.O.C.
Barbera fino a un massimo del 65%; Croatina minimo 25%,
Uva rara, Ughetta (Vespolina) e Pinot Nero,
congiuntamente o disgiuntamente, fino a un massimo del
45%
Caratteristiche: Gradazione alcolica minima 12°. Può essere
proposto in versione fermo o vivace
Colore: rosso rubino vivo più o meno intenso
Profumo: intenso, vinoso, ricorda la confettura di frutta rossa,
con sfumature speziate
Sapore: equilibrato, di buona persistenza e struttura
Abbinamenti: Accompagna egregiamente selvaggina,
cacciagione da piuma e piatti di carne in genere, elaborati
Sangue di Giuda D.O.C.
Barbera fino a un massimo del 65%; Croatina minimo 25%, Uva
rara, Ughetta (Vespolina) e Pinot Nero, congiuntamente o
disgiuntamente, fino a un massimo del 45%.
Caratteristiche: Deve avere una gradazione alcolica minima di 12° e un
affinamento obbligatorio di 6 mesi.
Può essere proposto in versione vivace o frizzante con un residuo
minimo di 30 gr di zuccheri.
Colore: rosso rubino carico con riflessi purpurei-violacei, brillante e
viscoso
Profumo: è fine, penetrante e netto. Si nota la fragranza della
frutta fresca, un ampio speziato e un delicato floreale.
Sapore: buon corpo, buona morbidezza, è equilibrato, con una
lunga persistenza.
Abbinamenti: Servito a una temperatura di 12° può accompagnare
crostate di confettura di frutta, paste sfoglie. Ottimo con le fragole
Rosso Oltrepò Pavese D.O.C.
Il disciplinare recita: Barbera fino a un massimo del 65%;
Croatina minimo 25%, Uva rara, Ughetta (Vespolina) e Pinot
Nero, congiuntamente o disgiuntamente, fino a un massimo del
45%
Caratteristiche: Deve avere una gradazione alcolica minima di 11,5°.
Può essere proposto in versione ferma o vivace
Colore: rosso rubino carico, è brillante, con una viscosità medio
buona
Profumo: fine, intenso, pulito, con sentori di frutta fresca e floreali che
ben si amalgamano a sentori speziati
Sapore: abbastanza strutturato, con un equilibrio discreto; misurata la
persistenza
Abbinamenti: Va servito a una temperatura di 18°C con carni in
genere, salumi e primi piatti tipo agnolotti
• Pinot nero vinificato in rosso D.O.C.
• Pinot Nero minimo 85%, altre uve a bacca nera raccomandate o
autorizzate per un massimo del 15%
• Caratteristiche: La gradazione alcolica minima svolta deve essere di 10,5°.
Può essere vinificato in bianco vivace, fermo oppure rosato e rosso.
• L'aggiunta di piccole percentuali di uve coloranti assume particolare rilievo
per il Pinot Nero vinificato in rosso: i difetti del Pinot Nero sono infatti la
scarsa colorazione e la tendenza all'ingiallimento precoce, problema solo
parzialmente risolto dai nuovi cloni studiati di recente.
• Colore: rosso rubino con sfumature amaranto e unghia aranciata, è
brillante, con buona viscosità
• Profumo: di grande eleganza, intenso, netto; chiari i sentori di
• cassi e di fiori secchi, ma anche di sottobosco, di funghi secchi, di liquirizia
e speziati
• Sapore: dimostra grande equilibrio, medio-buona struttura, lunga
persistenza
• Abbinamenti: Da servire a una temperatura di 16-18°. Ben accompagna
formaggi invecchiati, ottimo sulla selvaggina da piuma
Pinot nero vinificato in bianco D.O.C.
Pinot Nero minimo 85%, altre uve a bacca nera raccomandate o autorizzate
per un massimo del 15%.
Caratteristiche: La gradazione alcolica minima svolta deve essere di 10,5°.
L'aggiunta di piccole percentuali di uve coloranti assume particolare rilievo
per il Pinot Nero vinificato in rosso: i difetti del Pinot Nero sono infatti la
scarsa colorazione e la tendenza all'ingiallimento precoce, problema solo
parzialmente risolto dai nuovi cloni studiati di recente.
Colore: giallo paglierino mediamente carico, brillante, con una media
viscosità.
Profumo: ha profumi delicati, fragranti, di discreta persistenza con note di
mela golden e di pesca.
Sapore: acidulo, fresco, elegante con una buona persistenza.
Abbinamenti: va servito a una temperatura di 18°C con carni in
genere, salumi e primi piatti tipo agnolotti
Riesling Italico D.O.C.
Riesling Italico per l'85% minimo e Riesling Renano per un
massimo del 15%
Caratteristiche: La gradazione minima svolta deve essere di 11°. Può
essere proposto nelle versioni fermo, vivace, frizzante e spumante.
Colore: Giallo paglierino più o meno carico, a volte con rapide lance
ambrate
Profumo: elegante, intenso, franco; prevalgono sentori fruttati e
floreali, piacevole anche la componente speziata-aromatica.
Sapore: coinvolgente, di corpo, con un buon equilibrio e buona
persistenza
Abbinamenti: Da servire a una temperatura di 10 °C con torte
salate, frittatine e primi piatti con cadenza acidula, pesce.
Riesling Renano D.O.C.
Il disciplinare recita: da uve Riesling Renano per l'85% minimo e
Riesling Italico per un massimo del 15%
Caratteristiche: La gradazione minima svolta deve essere di 11°. Può
essere proposto nelle versioni fermo, vivace, frizzante e spumante.
Colore: Giallo paglierino più o meno carico, a volte con rapide
lance ambrate; brillante, buona viscosità.
Profumo: elegante, intenso, franco; prevalgono sentori fruttati e
floreali, componente speziata-aromatica.
Abbinamenti: Da servire a una temperatura di 10 °C con torte
salate, frittatine e primi piatti con cadenza acidula, pesce.
Moscato D.O.C.
Moscato Bianco minimo 85% e Malvasia di Candia per un
massimo del 15%
Caratteristiche: La gradazione alcolica minima svolta deve essere di
4,5°. Il vino, sempre dolce, può essere fermo, frizzante e spumante
metodo Charmat. Negli ultimi anni la Denominazione di Origine
Controllata è stata estesa anche alle versioni Moscato passito e
Moscato liquoroso.
Colore: giallo paglierino carico con riflessi dorati, brillante, di buona
viscosità.
Profumo: fragrante, intenso, quasi penetrante, franco. Netti i
sentori di pesca e albicocca, delicate le note speziate della salvia.
Sapore: coinvolgente, di buona struttura, piacevole equilibrio e
lunga persistenza.
Abbinamenti: Da servire a una temperatura di 8 °C sui dessert in
genere, splendido su dolci grassi e farciti.
Economia
Bisogna sottolineare che, oltre ai vini,
prodotti d’élite della zona sono le
carni e i salumi. Addirittura si è
costituita un’Associazione della
cotenna (una specie di pancetta).
La Valle è ricca di allevamenti di bovini, in
cui si contano numerosi capi di
mucche di razza piemontese di colore
bianco, che non producono latte , ma
sono dedite al macello: vengono
allevate con solo fieno, in estate negli
aperti pascoli, in inverno in stalle
riscaldate. Esse vengono macellate
dopo aver raggiunto i 16 mesi di eta’,
con un peso minimo di 600 kg. Sono
bovini iscritti al libro genealico
italiano per la genetica e presentano
un marchio sull’orecchio.
• I vitelli sono tenuti
all’ingrasso, allevati
oltre che con fieno,
anche con crusca e
farina di mais; alla
nascita pesano circa 20
kg e il loro peso
aumenta molto
velocemente.
Numerosi sono anche gli
allevamenti di suini, da
cui si ricavano salumi di
vario tipo, specialmente
pancette, e salamelle.
Non vengono allevati solo
maiali, ma anche
cinghiali, seppur in
quantità inferiore, per
produrre carni e salumi
molto pregiati.
Un altro prodotto importante è la polenta,
piatto tipico di questa zona, prodotta con la
farina macinata tuttora dal Mulino di Santa
Maria della Versa: si tratta di una farina
grezza, non raffinata, sicuramente molto più
nutriente.
Piatti della tradizione
Nelle trattorie e negli agriturismi della zona è
possibile assaggiare i piatti tipici della Valle
Versa.
Eccone alcuni, con le loro semplici ricette!
BASTURNON (castagne)
Piatto tipico del periodo
autunnale e invernale.
INGREDIENTI:
Castagne
PROCEDIMENTO:
Le castagne vengono incise con
un coltello e cotte al fuoco del
camino oppure sul coperchio
della stufa a legna.
CHIACCHIERE
Dolce tipico di Carnevale.
INGREDIENTI:
Farina
Zucchero
Burro o Strutto
Uova
Sale
Vino bianco secco
Scorza di un limone
Zucchero a velo
PROCEDIMENTO:
Mescolare farina, sale, zucchero, la scorza di un
limone grattugiata e impastare con le uova
aggiungendo tanto vino bianco quanto ne serve
per ottenere una pasta soda.
Tirare la sfoglia e, con l’apposita rotella, tagliare dei
rombi di 10 cm circa di lato.
Far friggere con strutto in una padella capace e
porre le chiacchiere su carta porosa per far
assorbire l’unto.
Spolverare con zucchero a velo.
CIAMBELLONE
INGREDIENTI:
Farina
Zucchero
Burro
Uova
Uva sultanina
Lievito.
PROCEDIMENTO:
Separare le uova (tuorlo e albume)
Prendere il tuorlo e aggiungere lo zucchero in una
terrina,mescolare con una frusta fino a formare
una crema.
Aggiungere farina e burro.
Sbattere l’albume a neve, a parte.
Aggiungere il lievito e l’uvetta lasciata macerare per
un po’ nell’acqua.
Mescolare il tutto, imburrare la tortiera e
spolverarla con la farina.
Infine mettere la teglia nel forno a 150° per circa 40
minuti.
I BUIÒC
Piatto tipico della sera di S. Antonio, il 17
gennaio.
INGREDIENTI:
Acqua
Castagne secche
Sale
PROCEDIMENTO:
Mettere a bagno le castagne secche per
12 ore circa.
Cuocere in acqua salata le castagne
ripulite.
Evitare che l’acqua sia eccessiva.
Servire le castagne tiepide nel loro
brodo.
MARUBÉ DOLCI (frittelle)
Dolce tipico di Carnevale.
INGREDIENTI:
Acqua
Burro
Zucchero
Farina
uova fresche
Zucchero a velo
Sale
Strutto
PROCEDIMENTO:
Mettere a bollire l’acqua e il burro.
Unire la farina gradualmente, badando che non si
formino grumi.
Versare l’impasto in una zuppiera e aggiungere
subito le uova e un pizzico di sale; sbattere
continuamente il tutto per amalgamare bene
fino a che l’impasto “fa le bolle”.
Sciogliere lo strutto in una padella e friggere i
pezzetti, grandi come palline,che si
staccheranno con un cucchiaino.
Man mano che saranno fritte, porre le frittelle su
una carta assorbente per togliere l’unto.
Spolverare con zucchero e servire calde.
MOSTO
INGREDIENTI:
Mosto di uva colato
Farina bianca
Zucchero (se si vuole).
PROCEDIMENTO:
Raccogliere l’ultimo mosto che scende
dopo la pigiatura e colarlo in un
tegame.
Amalgamare con la farina a freddo (per
ogni bicchiere di mosto, un cucchiaio
di farina).
Mettere sul fuoco basso e continuare a
mescolare fino a quando si addensa.
Versare in una terrina; quando è freddo
indurisce.
Si consumava spalmato sul pane.
PATONA
INGREDIENTI:
Farina di castagne
Latte fresco
Acqua
Olio
Zucchero
Sale
PROCEDIMENTO:
Mescolare tutti gli ingredienti e
cuocere nel forno ad una
temperatura di circa 180°.
•
IL RAGÒ
INGREDIENTI:
Sedano
Verze
Carote
Cipolle
Olio
Costine e cotenne di maiale
PROCEDIMENTO:
Mettere tutti gli ingredienti puliti e
tagliati in un recipiente capace,
aggiungere l’acqua sufficiente per
coprirli appena.
Far cuocere.
Una volta venivano utilizzate anche le
zampe, il collo, la testa, la punta delle
ali di anatre e le zampe di maiale.
IL RUBIO (formaggio)
INGREDIENTI:
Latte
PROCEDIMENTO:
Aggiungere al latte fresco due cucchiaiate
di caglio e lasciare cagliare per tempo
variabile, a secondo della stagione .
Togliere la panna superiore che verrà
utilizzata per fare il burro.
Porre il latte cagliato in un telo per scolare
il siero.
Sistemare dopo circa 24 ore la formaggella
in un recipiente tondo di legno,
ricoprendola con un tovagliolo.
Dopo 12 ore è pronto il formaggio fresco e
dolce.
BURRO
INGREDIENTI:
Panna
PROCEDIMENTO:
Porre la panna messa da parte
in precedenza nella zongola
di legno o in un vaso di
vetro.
Aggiungere acqua e lavorare
fino ad ottenere un soffice
panetto di burro.
CIPOLLE RIPIENE
INGREDIENTI:
Cipolle
Pane grattugiato
Uvetta sultanina
Sale
Pepe
Noce moscata
Uova
PROCEDIMENTO:
Lessare le cipolle e lasciarle raffreddare.
Togliere le foglie esterne cercando di non romperle.
In una terrina mescolare uova, pane grattugiato, la
parte interna delle cipolle cotte, sale, pepe ,
noce moscata e l’uvetta, precedentemente
lasciata in ammollo nel latte.
Formare con l’impasto delle palline e avvolgerle
con le foglie esterne delle cipolle. Friggere in
olio bollente sino a quando sono bene dorate.
LA FRITA’ COI VARTÍS (Asparagi)
INGREDIENTI:
Un bel mazzo di asparagi selvatici (vartìs in
dialetto)
Sale
Formaggio grana padano grattugiato
Pepe
Cipolla
Olio o burro o strutto
Uova
PROCEDIMENTO:
Lavare e lessare per qualche minuto i vartìs, poi
colarli.
A parte, preparare un uovo sbattuto in una
scodella con un po’ di sale, formaggio
grattugiato e un pizzico di pepe macinato.
In una padella mettere un po’ di grasso e farvi
tostare un po’ di cipolla.
Quando il grasso è ben caldo mettere i vartìs e
subito dopo le uova.
Il tutto deve friggere bene, cercando di non far
bruciare la frittata.
GALLINA RIPIENA
INGREDIENTI:
Gallina
Pane grattugiato
Formaggio Grana Padano grattugiato
Aglio
Prezzemolo tritato
Sale
Uova
Latte
PROCEDIMENTO:
Amalgamare tutti gli ingredienti con due uova e un
po’ di latte.
Fare una palla e riempire con essa la gallina.
Lessare la gallina con le verdure e aromi per 2 ore.
I MARUBÉ SALATI (frittelle di
sanguinaccio)
Questo piatto si cucinava solo quando veniva uccisa
l’oca o l’anatra.
INGREDIENTI:
Sangue d’oca o d’anatra
Pangrattato
Pepe
Sale
Olio
Uova
PROCEDIMENTO:
Dopo aver ucciso l’animale ed appeso a testa in giù,
si forava l’orecchio per far uscire il sangue che
veniva raccolto sul pangrattato; a questo si
aggiungevano le uova,il sale e il pepe.
Il tutto ben amalgamato ed appallottolato veniva
fritto in olio bollente.
A volte per arricchire l’impasto veniva aggiunto il
Parmigiano grattugiato.
SALAMINO COTTO
INGREDIENTI:
Cotechino
Acqua
PROCEDIMENTO:
Lavare il cotechino e
metterlo in una pentola
con l’acqua.
Far cuocere per circa 3 ore.
SCHITA
INGREDIENTI:
Farina
Acqua
Sale
Olio
Un uovo
PROCEDIMENTO:
Sbattere insieme tutti gli
ingredienti in modo da
formare una pastella. Friggerla
in olio bollente.
SUPA COI SISAR (zuppa di ceci)
INGREDIENTI:
ceci
costine
musino o cotenna di maiale
erbe aromatiche
sale
pepe
PROCEDIMENTO:
Mettere a bagno i ceci per circa 12 ore.
Far bollire in acqua salata i ceci, la parte del
maiale che si preferisce e le erbe aromatiche
protette da una garza.
Affettare il pane, disporlo in una zuppiera e unire
il brodo con i ceci.
PANADA o SUPA CON L’OOV
INGREDIENTI:
acqua
olio o burro
pan grattato
sale
uova
parmigiano grattugiato
PROCEDIMENTO:
preparare il brodo.
Aggiungere il pan grattato e continuare
l’ebollizione per qualche minuto,
aggiungendo acqua, sale e olio.
Unire le uova, sbattute con il parmigiano
prima o nel piatto.
TORTA DEL PARADISO
Questo era il dolce più importante di ogni festa.
INGREDIENTI:
Uova
Zucchero
Fecola di patate
Farina bianca
Buccia di limone grattugiato
Lievito per dolci.
PROCEDIMENTO:
Separare i tuorli dagli albumi.
Mescolare in una terrina i tuorli e lo zucchero fino
a quando l’impasto si gonfia.
Montare gli albumi a neve.
Aggiungere ai tuorli e allo zucchero, poco a poco
mescolando la fecola, la farina, gli albumi
montati a neve e, per ultimo, il lievito.
Versare il composto in una teglia imburrata e
mettere in forno ben caldo,controllando la
cottura.
TRIPPA
INGRENDIENTI:
Trippa di vitello o manzo
Patate
Carote
Sedano
Cipolle
Fagioli bianchi
Alloro Rosmarino Pomodori Olio
Sale
Pepe
PROCEDIMENTO:
Tagliare la trippa precedentemente lavata e lessata
in pezzi non troppo grossi.
Mondare le verdure ben lavate e tagliate come per
un normale minestrone.
Far rosolare nell’olio le verdure gli aromi, la trippa, i
fagioli.
Salare e pepare.
Aggiungere acqua o brodo e cuocere lentamente
per alcune ore.
Questo piatto è ottimo anche riscaldato e gustato
anche il giorno successivo a quello della
preparazione .
FOLKLORE
La Valle Versa è anche festa e divertimento!
Secondo la tradizione, proprio in questa area
dell’Oltrepò, a Stradella, fu inventata la
fisarmonica, strumento che ancora oggi fa da
protagonista nelle sagre e feste di paese.
La fisarmonica
La fisarmonica è uno strumento
musicale che è stata per lunghi
anni uno
strumento folcloristico legato alla
tradizione della danza popolare.
Il primo brevetto fu depositato il 6
maggio del1829 a Vienna dal
costruttore
di organi musicali Cyrill Demian.
Le evoluzioni tecniche e costruttive
dello strumento hanno sempre
più perfezionato il suo timbro e la
sua intonazione, favorendo la
presenza dello strumento anche
in ambiti musicali colti.
Descrizione
La fisarmonica comprende due bottoniere, una a destra e
una a sinistra, che si suonano con le relative mani. La
bottoniera sinistra ha solitamente il compito di fornire
l’accompagnamento musicale e di scandire il ritmo,
quello della bottoniera di destra scandisce le melodie.
Il cuore della fisarmonica è il mantice, che viene azionato
dall'esecutore per immettere l'aria necessaria a far
vibrare le ance. Le ance sono piccole lame d'acciaio
intonate, controllate da valvole collegate ai tasti, che
vibrando producono il suono; esse sono montate su
appositi supporti di legno.
Storia
Uno strumento antenato della fisarmonica, con i medesimi principi meccanici, è stato
realizzato sulla base di un progetto di Leonardo da Vinci dall’ organista Mario
Buonoconto, e suonato nel Salone degli Stemmi del Municipio di Castelfidardo, dal
fisarmonicista Denis Biasin. Lo strumento anticipa di circa trecento anni
l’invenzione della fisarmonica.
Le indicazioni che Leonardo ha lasciato sono essenziali e significative:
una tastiera verticale,
un mantice a doppia azione che funziona in entrambi i versi,
una serie di canne di legno o di carta che generano un flusso d’aria continuo che
produce il suono.
Il suono di questo strumento è simile a quello di un flauto. Lo strumento è stato
lavorato interamente a mano; ed è stato esposto presso iluseo Internazionale della
fisarmonica fino alla fine dell'anno 2009.
Polo della produzione della fisarmonica italiana è la città di Stradella, per opera del
"trentino" Dallapè, che a sua volta conosceva gli strumenti popolari dell'Austria ed
in particolare l'accordeon che era stato brevettato dal Demian.
In italia e nel mondo
Il vero e proprio decollo dell'industria della fisarmonica a
Castelfidardo si ha alla fine dell'800, con più di 500
operai.
La maggior parte della produzione viene collocata nel
territorio italiano, anche se molti pezzi verranno poi
esportati all’ estero, la ragione di questi sta nel ruolo
giocato dall’ emigrazione di artigiani, operai e musicisti
che con il loro oscuro lavoro son riusciti ad imporre il
prodotto, qualitativamente ed esteticamente migliore
negli importantissimi mercati degli Stati Uniti, Canada
e sud America.
TRADIZIONI MUSICALI DELLA VALLE
VERSA
L’alto Oltrepò Pavese, fortemente legato alle proprie tradizioni, ha
custodito nel tempo uno straordinario patrimonio culturale che si
riflette in un gran numero di manifestazioni folcloristiche e in una
delle più ricche e significative tradizioni musicali popolari d’Italia e
d’Europa. L’alta Valle Versa può essere ricompresa musicalmente
nell’area definita delle “Quattro Province” Genova, Alessandria,
Pavia, Piacenza accomunate dalle medesime tradizioni musicali, in
particolare strumenti , canti e balli e zona di transito di
commercianti e viaggiatori ad esempio “La via del sale” che
trasportava il sale dalla pianura Ligure alla pianura Padana. Questo
ha contribuito alla diffusione anche delle tradizioni musicali.
Protagonista principale ne è il Piffero accompagnato da Musa e
Fisarmonica. Un tempo ogni occasione di festa era segnata da
musica e balli: durante i matrimoni, durante le celebrazioni legate al
mondo contadino e durante il carnevale.
Il Piffero è un oboe popolare simile ad altro strumenti ad ancia doppia.
E’ costituito da tre parti:
Il musotto, l’ancia di questo strumento, realizzata in canna, è collocata
in una “piruette” (bocchino chiamato musotto), particolarità unica
in Italia, che ha in comune con gli oboe orientali e antichi. Questa
struttura permette di eseguire il fraseggio tipico detto “masticato”
del repertorio 4 province.
La canna conica che ha 8 fori (l’ottavo foro posteriore si usa col pollice
mano sinistra).
Un padiglione svasato chiamato “campana” dove riposa, durante le
esecuzioni, una penna di coda di gallo, che serve per pulire l’ancia.
Completano lo strumento le vere (anelli di rinforzo e abbellimento in
ottone).
Il piffero appartiene ad un gruppo di strumenti “arcaici” nati in Europa
nel Medioevo, che si sono modernizzati nella forma senza perdere
le loro caratteristiche originarie. Esiste una serie di fonti che
dimostrano l’uso popolare del piffero in Lombardia a partire dal XVII
secolo in accoppiamento con cornamuse. Nelle valli delle province i
suonatori di piffero e musa erano indicati come “Musetta” per la
maggiore impressione suscitata dalla musa con la sua vistosa sacca.
In realtà a condurre la melodia è il piffero e la musa funge solo da
accompagnamento. Nei primi decenni del Novecento la musa andò
scomparendo per scarsità di documentazioni.
Nel frattempo cominciarono a provenire dalle città strumenti più
sofisticati rispetto a quelli della cultura contadina: il più importante
era la Fisarmonica. Da quel momento accompagnare il piffero sarà
la fisarmonica che offriva maggiori melodie e non doveva essere
continuamente rintonata.
I BALLI
I balli che animavano le feste sono di tre tipi: di
coppia, in cerchio e coreografici. Nei balli di
coppia oltre a valzer e mazurche, c’è la polka
saltini, un modo particolare di ballare la polka
con il tipico “passo delle quattro provincie”,
ballo molto impegnativo sia per la velocità del
ritmo sia per la coordinazione indispensabile
tra i due ballerini.
I CANTI
Assieme al ballo il canto rappresentava uno dei
pochi momenti di svago. Il canto assumeva
grande importanza nella vita sociale di
comunità perché accompagnavano i momenti
rituali dell’uomo, fra cui il matrimonio e il
carnevale. Dalla seconda metà del ‘900
c’erano diversi gruppi di canterini ad esempio :
“ Canterini del Sentiero del Sale”.
TRACCE DI GIGA APPENNINICA,TRA STORIE,CULTURE
E TRADIZIONI
La storia di questa danza,testimoniata dalle diverse tracce ricercate in alcune
aree geografiche, è il segnale di una musica popolare italiana. La giga è un
tipo di ballo popolare antico diffuso in innumerevoli varianti anche in
molte regioni d'Europa.Non si hanno notizie precise riguardo al paese e
all'epoca in cui è nata,probabilmente è di origine rinascimentale, ma se ne
hanno solo poche tracce. Per il suo carattere di danza brillante e
movimentata,la giga è quasi sempre inserita come pezzo finale nella
“suite”,una forma musicale basata sul susseguirsi di più danze di
caratteristiche contrastanti per ritmo e movimento. Si balla uno di fronte
all'altro,come tutte le danze rinascimentali, con passo molto salterino e di
facile esecuzione, da una vivacità e diversità di movimenti; figure e
corteggiamenti si alternano ad una varietà di passi. E' in ritmo
binario,generalmente in tempo di 6/8. Ancora oggi è diffusa nella
tradizione delle danze popolari nel repertorio dello strumento del piffero
dell'Appennino Pavese.
Nell’Oltrepò Pavese si ballano due varianti: la giga a due, con un cavaliere e
due dame,e la giga a quattro,con due cavalieri e quattro dame.
GIGA A DUE
Vi partecipano tre ballerini, un uomo e due donne. Nell'introduzione i
ballerini fanno
un percorso circolare tenendosi per mano,
oppure, nella variante della val Staffora,
avanzano e indietreggiano in posizione
lineare, quindi si staccano e le donne si
dispongono frontalmente,il ballerino esegue
il balletto con la prima donna,fa passare
sottobraccio la prima donna e si dirige verso
la seconda; segue il balletto con la seconda donna e la fase di
attesa; quindi il susseguirsi di passaggi sottobraccio con l'una e con l'altra,
fino a ritrovarsi in posizione per la ripresa dei balletti.
GIGA A QUATTRO
Vi partecipano quattro donne e un uomo oppure, nella sua forma più
completa, due uomini simmetricamente nella danza. La sequenza
delle figurazioni è la stessa della versione a due, con la differenza
che nel mondo della separazione le ballerine si dispongono in una
formazione a croce e nei quattro balletti gli uomini eseguono il ballo
con ciascuna delle donne.
Il raddoppio dei partecipanti rende il ballo più complesso e
spettacolare, sopratutto nella parte di giro, quando i ballerini
compiono i passaggi sottobraccio, secondo un preciso schema di
spostamenti diagonali e laterali, che può cambiare leggermente a
seconda della loro provenienza.
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