Anno IV - N. 23~24 • 20 DICEMBRE 2009 - € 1,50 Giornale Siciliano di Politica, Cultura, Economia, Spettacolo diretto da Salvo Barbagallo La Voce dell’Isola Il governatore risolve la crisi alla Regione A Raffaele Lombardo Babbo Natale porta nuove alleanze e nuova Giunta Nel 2010 i nodi tutti al pettine Sicilia laboratorio politico alla ricerca di una stabilità di MARCO DI SALVO E così, in questo finale di anno, ci troviamo qui, passeggeri di navi politiche (nazionali, regionali e cittadine) sempre più alla deriva. Voi vi ci raccapezzate, in tutto questo delirio? Noi, alla Voce, proviamo a mettere ordine tra gli atti di coloro che dovrebbero governarci ma, credete, è davvero difficile trovare qualcosa di razionale in tutto questo frenetico muoversi (per stare fermi). Solo per restare dalle nostre parti, le manovre che avvengono in quel di Palermo (ma dovremmo dire più onestamente tra Bronte e Grammichele) lasciano chiunque abbia a cuore la nostra terra quanto meno attonito. Se il 2008 è stato l'anno del trionfo (annunciato) della maxicoalizione Pdl-Udc-Mpa, quello che tra poco si conclude sarà ricordato come l'anno della disgregazione e del disfacimento. Una disgregazione che, paradossalmente ma solo fino ad un certo punto, non fa vedere alternative plausibili all'orizzonte. Perché non vorrete dirci che lo sgabello Pd per Lombardo sia una soluzione di alto profilo (sempre che poi si realizzi, cosa di per sé già difficile). Ma la posizione più imbarazzante, per molti aspetti è quella dei cosiddetti lealisti del Pdl. Già, perché, a più di un mese dalla nascita del cosiddetto Pdl-Sicilia, e dopo l'ufficializzazione della rottura con Lombardo (ratificata il 9 dicembre con l'approvazione in aula di un ordine del giorno nel quale da un lato si assicurano fiducia e sostegno pieno nell'operato del governatore e dall'altro si condanna il comportamento assunto negli ultimi mesi proprio da quella corrente del Popolo della libertà, accusata soprattutto di avere bocciato il do- cumento di programmazione economica e finanziaria della Regione, qualche domanda dalle parti di Bronte e dintorni (e nella zona messinese di giurisdizione naniana o quella palermitana di filiazione schifaniana) sarebbe opportuno farsela. Per esempio chiedersi “lealisti” nei confronti di cosa, visto che a tutt'oggi non pare a che sia giunta nessuna seppur minima reprimenda dalle parti di Palazzo Grazioli nei confronti di Miccichè e co. Vabbé che il premier è particolarmente impegnato tra un'alta velocità da inaugurare, un viaggio in giro per il mondo ad omaggiare dittatori e qualche legittimo impedimento a frequentare le aule di giustizia. Ma sono proprio certi, i brontesi e i loro sodali, che si trovino dalla parte giusta della barricata? Non sarà che, alla fine, si troveranno col cerino in mano, in una stanza (Pdl) piena di esplosivi? E quanti saranno, alla fine, i lealisti disposti davvero ad andare all'opposizione? Prepariamoci ad un 2010 di spine e di nodi al pettine (di sangue e lacrime, si sarebbe detto in atri tempi. Ma sangue e lacrime ne abbiamo spese fin troppe, quest'anno). Auguri. Ne abbiamo proprio bisogno. I l presidente della Regione, Lombardo, va avanti. La verifica di governo è stata ok grazie alla presenza del PD che ha garantito il numero legale nella seduta del 9 scorso: si farà una nuova Giunta entro la fine dell’anno. Escono sconfitti i “lealisti” di Castiglione-NaniaFirrarello, l’alleanza tra il governatore e Miccichè regge bene. Nella pratica l’originaria maggioranza non c’è più. Sarà concretizzata “una grande alleanza sociale per avviare le riforme che servono alla Sicilia": è questo lo sbocco dell’apertura di dialogo con il Partito Democratico perché "sono arrivate da Lombardo parole dure contro la sua ex maggioranza e contro le politiche antimeridionali del governo Berlusconi. Valuteremo i fatti che ne seguiranno", come afferma il segretario del PD Giuseppe Lupo. La Sicilia torna ad essere laboratorio politico? L’interrogativo non ha ragione d’essere in quanto la Sicilia da sempre è “laboratorio” di tutte le possibili (e impossibili) alchimie. Chi accusa Raffaele Lombardo di essere promotore di un nuovo Milazzismo non conosce a fondo le ragioni che provocarono quel fenomeno che ha fatto “storia”, non ricorda le comuni radici dei due personaggi, non si affanna a capire cosa sia veramente la Sicilia. A Raffaele Lombardo possono porsi un miliardo di critiche (motivate, oppure no), ma resta un fatto che pochi possono ignorare: quest’uomo vuole governare una regione che è stata costantemente terra di conquista e – al di là delle manovre e delle beghe della politica nazionale e provinciale – tenta di portarle qualche beneficio. Come oppositori si è trovato, in un percorso tortuoso, compagni di coalizione come Castiglione, Firrarello, Cuffaro che hanno posto ostacoli a qualsiasi tipo di programmazione (giusta o sbagliata che fosse) solo per questioni di potere. Berlusconi, in realtà, sulla vicenda siciliana non si esprime, non ha alcun interesse a rompere con gli alleati Lombardo e Miccichè: rischierebbe di perdere l’Isola (con un elettorato pur sempre imprevedibile e incontrollabile) senza avere garanzie di continuità. Raffaele Lombardo ha continuato nella sua strada, nonostante molti sostenessero che la sua esperienza fosse conclusa. In qualcosa Raffaele Lombardo assomiglia a Berlusconi, soprattutto quando afferma che il suo “mandato, gli elettori, glielo hanno dato per governare la Sicilia e che in questo senso sta operando”, e quindi non può farsi bloccare da antagonismi che con la politica poco o nulla hanno a che fare. Raffaele Lombardo c’era e rimane, sono costretti ad ammetterlo anche i suoi oppositori: “Lombardo da oggi può contare su una compatta e larga minoranza. Forse non gli basterà per affrontare le riforme e per dare un buon go- verno alla Sicilia ma sarà sufficiente per tenerlo incollato alla poltrona”, ha affermato Saverio Romano, responsabile nazionale organizzazione Udc e segretario del partito in Sicilia. “Il voto all'Ars è stato un momento di grande chiarezza: non si può essere alleati e remare contro allo stesso tempo. Una maggioranza si è dissolta e adesso è il momento di cominciare a costruire il futuro con chi ci sta, attorno a un programma per rilanciare la Sicilia. Il nuovo governo Lombardo nascerà il prossimo anno anche perché entreranno in vigore le nuove regole sulla giunta regionale e sulla razionalizzazione degli assessorati. Lo faremo con chi approverà il programma, e le alleanze saranno costruite attorno a esso", ha dichiarato, dall’altra parte, il senatore del Movimento per le autonomie, Giovanni Pistorio”. Qualunque considerazione possa trarsi in questa fase, in ogni modo, potrebbe risultare errata o fuorviante: gli avvenimenti sono in evoluzione, e là, dove mancano – come ora – reali prospettive, non c’è da criticare chi, servendosi anche di alambicchi e misture, cerca una “formula” per risolvere il visibile malessere generale. Silvio Milazzo ci provò, ma le logiche romane e internazionali prevalsero e il suo esperimento fallì. C’è da augurarsi che questa volta vada meglio: le delusioni, poi, fanno troppo male. Salvo Barbagallo Nelle foto: in alto, Raffaele Lombardo; al centro, gli sconfitti “politicamente” il sen. Pino Firrarello e il presidente della Provincia di Catania Giuseppe Castiglione Sviluppo 2 Ottimisti nonostante i limiti oggettivi: la classe imprenditoriale è pronta a scommettersi Confindustria Catania: l’anno 2009 si chiude con un trend incoraggiante di DOMENICO BONACCORSI DI REBURDONE* P er Confindustria Catania il 2009 si chiude con numeri incoraggianti. Sono 73 (al 30 novembre) le nuove imprese che da gennaio sono entrate a far parte del sistema associativo provinciale (ben oltre il target pari a 60 aziende fissato dalla stessa Confindustria), che raggiunge cosi un totale di 651 imprese, con 26.600 dipendenti e un fatturato di 2 miliardi e 366 milioni di euro. Un risultato forse fuori dalle aspettative degli stessi vertici associativi dopo la complessa fase di cambio della guardia. Un anno che ha visto Confindustria Catania, la più grande territoriale dell’Isola per numero di imprese e fatturato, rafforzare la sua rappresentatività sul territorio e il dialogo con le Istituzioni e con gli attori sociali. Quali le prospettive? Il credito e le banche Un dialogo proficuo e consolidato a partire dal mondo del credito, per sostenere le imprese in una fase difficilissima della congiuntura economica globale. Così il protocollo siglato con l’Associazione bancaria italiana sulla moratoria dei debiti delle imprese, ha consentito di aprire un canale diretto di confronto anche a livello locale. Gli incontri periodici tra i vertici associativi, con Carlo Negrini per l’Abi e Confindustria Catania, hanno permesso un monitoraggio costante degli accordi, ma anche l’elaborazione di spunti e indicazioni che hanno spianato la strada a forme innovative di supporto sia alle imprese che ai lavoratori, La Voce dell’Isola Iscritto al n° 15/2006 dell’apposito Registro presso il Tribunale di Catania Registro ROC n. 16473 Editore Mare Nostrum Edizioni Srl Direttore responsabile Salvatore Barbagallo Condirettore Marco Di Salvo Redazione Catania - Via Distefano n° 25 Tel/fax 095 533835 E-mail: [email protected] [email protected] Fotocomposizione e Stampa Litocon Srl - Z.I. Catania Tel. 095 291862 Per la pubblicità: Tel/fax 095 533835 E-mail: [email protected] [email protected] Anno IV, nº 23-24 20 Dicembre 2009 Gli articoli rispecchiano l’esclusivo pensiero dei loro autori 20 Dicembre 2009 L’agenda del prossimo anno vedrà certamente un ulteriore consolidamento del dialogo con il mondo del credito, attraverso lo strumento delle convenzioni bancarie e con lo strumento strategico dei consorzi di garanzia fidi Domenico Bonaccorsi di Reburdone, presidente di Confindustria Catania con l’estensione a questi ultimi di provvedimenti come lo slittamento delle rate dei mutui. Il mondo del lavoro Si è avuto un rafforzamento del dialogo anche sul delicatissimo fronte del lavoro e delle relazioni industriali. Nonostante la crisi economica mondiale, il tessuto economico della provincia di Catania ha dimostrato di saper rispondere alle scosse determinate dai cambiamenti in atto in maniera non del tutto negativa. Ne è una prova il minor ricorso alla cassa integrazione da parte delle imprese locali. Tuttavia, forze datoriali e sindacali si sono attrezzate per reagire e fare fronte comune. Il patto per Catania, siglato a settembre insieme a Cgil, Cisl e Uil è servito da camera di raffreddamento per evitare l’esplodere di criticità aziendali.Grazie al ricorso a tutti gli strumenti possibili e utili ad evitare il licenziamento, così come previsto nel protocollo, si è riusciti a raggiungere il duplice obiettivo di non spezzare il collegamento tra lavoratore ed azienda e contenere i costi del personale. Tassazione locale I tributi locali hanno rappresentato un altro importante terreno d’azione per le iniziative di Confindustria. Prima fra tutte la radiografia del sistema di tassazione delle imprese riguardo allo smaltimento dei rifiuti solidi urbani. Un monitoraggio che ha messo in luce un aumento della Tarsu del 107 per cento in tre anni, a fronte di un servizio pressoché inesistente per le imprese della zona industriale di Catania, costrette ad una imposizione iniqua. Una denuncia forte dell’associazione che non si è fermata però alle critiche, ma ha elaborato, di concerto con altre associazioni datoriali, dettagliate proposte in un tavolo tecnico per superare i nodi della tassazione pregressa e stabilire un sistema più equo ed efficiente. I servizi alle imprese e l’aggregazione Sono reti e aggregazioni il binomio per rispondere alle difficoltà indotte dalla crisi. Oltre ai protocolli sul credito e alle convezioni bancarie, Confindustria ha stretto alleanze per dare servizi più qualificati alle imprese aderendo al Consorzio Nazionale Rete Industria partecipando, quale socio fondatore, all’Agenzia nazionale per lo sviluppo dei distretti produttivi. In questa direzione va inquadrato il protocollo sottoscritto con American Chamber of Commerce in Italy, la più grande Camera di commercio estera in Italia. Un’intesa siglata proprio per consentire alle imprese locali la possibilità di espandere il loro raggio d’azione internazionale cogliendo le opportunità del mercato statunitense. Una sinergia resa ancora più significativa dall’adesione di Confindustria Catania all’ente camerale americano. Anche l’accordo con l’Agenzia del Territorio si è inserito nel contesto di una rete che mette al centro le esigenze primarie delle imprese offrendo loro servizi di qualificato livello nell’ambito della valutazione patrimoniale e immobiliare, degli accertamenti tecnici, delle consulenze specialistiche di varia natura. Nel sistema delle collaborazioni, anche una convenzione specifica dettata dalla contingenza. L’accordo con Aiop, l’Associazione ospedalità privata, ha permesso ai dipendenti delle aziende di Confindustria la somministrazione gratuita del vaccino contro l’influenza “A”. Verso il 2010 L’agenda del prossimo anno vedrà certamente un ulteriore consolidamento del dialogo con il mondo del credito, sia direttamente, attraverso lo strumento delle convenzioni bancarie, che indirettamente attraverso lo strumento strategico dei consorzi di garanzia fidi. Sburocratizzazione della macchina amministrativa, semplificazione delle procedure, sblocco dei fondi pubblici saranno altri temi sui quali si concentrerà l’azione di Confindustria. Con l’istituzione dello sportello “Addioburocrazia”, pensato dai Giovani imprenditori per segnalare e risolvere i casi di malaburocrazia, anche Confindustria Catania farà la sua parte per cercare di rimuovere i nodi che inceppano gli investimenti e lo sviluppo. Altra direttrice di impegno sarà l’internazionalizzazione delle imprese. È in fase di avvio avanzato il progetto Extender, una innovativa piattaforma virtuale che consentirà lo scambio di informazioni tra imprenditori interessati ai mercati esteri. In modo del tutto gratuito le imprese potranno avvalersi del supporto di circa millecinquecento tutor operanti in tutto il mondo per pianificare l’ingresso nei mercati mondiali. Sicurezza e legalità valori assoluti da difendere al di sopra degli obblighi di legge. Uno strumento da potenziare e utilizzare al meglio per diffondere la cultura della sicurezza sui luoghi di lavoro è certamente Fondimpresa, il fondo paritetico per la formazione continua dei lavoratori costituito da Confindustria, Cgil, Cisl e Uil, che consente senza oneri aggiuntivi per imprese e lavoratori di realizzare qualificati progetti di formazione. C’è da ricordare, inoltre, che nel 2010 l’apertura dell’area di libero scambio consentirà di avere un mercato di 600 milioni di consumatori. Sicuramente la prospettiva per il nostro territorio è molto favorevole. Ma siamo indietro rispetto ai nostri potenziali partner mediterranei che sono più attrezzati dal punto di vista infrastrutturale. Catania ha evidentemente una posizione geografica strategica per fare da centro propulsore, ma siamo assolutamente in ritardo anche perché è mancata una progettazione di lungo respiro. Il grande impegno che vorremmo portare avanti come Confindustria Catania è quello di coinvolgere tutte le forze datoriali e sociali in un progetto di rilancio della città. Purtroppo le carenze infrastrutturali rischiano di far perdere alla Sicilia la grande occasione dell’area di libero scambio. A Catania abbiamo un porto che è carente, perché non ha spazi e non ha possibilità di espansione, l’Interporto è solo sulla carta. Nonostante i limiti oggettivi, noi siamo ottimisti. La classe imprenditoriale è pronta a scommettersi a tutto campo. *Presidente Confindustria Catania Silvio Ontario alla guida dei Giovani Imprenditori È Silvio Ontario il nuovo presidente del Gruppo Giovani di Confindustria Catania. Lo ha eletto l’assemblea del Gruppo, riunitasi in Confindustria, che ha rinnovato anche il consiglio direttivo. Imprenditore di prima generazione, trentasei anni, ex Ufficiale di marina, Ontario ha frequentato l’Accademia Navale di Livorno. Possiede imprese attive nel settore dei controlli ambientali e nella realizzazione di strutture sanitarie e ospedaliere chiavi in mano. È presidente della residenza sanitaria “Villa Mariani” ed è socio della compagnia elicotteristica Mas di Catania. A 16 anni, infatti, è stato fra i più giovani piloti di elicotteri in Italia. Approda alla carica di Presidente del gruppo Giovani di Confindustria dopo un’esperienza di oltre dieci anni all’interno dell’associazione, dove ha ricoperto l’incarico di vicepresidente dei Giovani Industriali per ben due mandati. Diffusione della cultura del merito e dei valori dell’impresa, i concetti chiave sui quali il neo presidente del Gruppo intende puntare gli sforzi per sostenere la crescita associativa. Tra gli obiettivi tracciati nel programma, ampio sostegno ad “Addioburocrazia”, lo sportello virtuale ideato dai giovani di Confindustria Silvio Ontario, presidente del Gruppo Giovani di Confindustria Catania Sicilia per segnalare e risolvere i casi di malaburocrazia; la formazione dei giovani; l’internazionalizzazione delle imprese. Nel consiglio direttivo sono stati eletti Agnese Alì, Maria Antonietta Azzaro, Alessandro Garofalo, Antonio Fronterrè, Salvatore Messina, Alessia Paone, Antonio Perdichizzi, Antonino Speranza. Ernesto Girlando La Voce dell’Isola n. 23-24 Sviluppo 3 Bisogna concentrare le risorse seguendo una logica di efficienza e di selezione degli interventi Per lo sviluppo della Sicilia determinante il capitale sociale di IVAN LO BELLO* C on il 2009 si chiude per la Sicilia un anno difficile. Si è accentuato il divario con le altre regioni europee in ritardo di sviluppo. Il reddito pro capite si attesta ancora al 60% di quello delle regioni del Centro Nord del Paese: è ancora il divario che si registrava 30 anni fa. Il valore aggiunto dell’industria manifatturiera in senso stretto è al minimo storico(10,8% rispetto al totale del V.A.). Anche i dati riguardanti gli altri settori produttivi sono in caduta libera. È stato approvato un’importante norma come il credito d’imposta per le imprese. È stato esitato il Piano energetico regionale, mentre problematico resta lo start up della programmazione regionale per l’utilizzo dei fondi strutturali comunitari, in attesa della rimodulazione dei programmi operativi a cui il Governo regionale nel 2010 intende mettere mano per concentrare le risorse in direzione di poche e strutturali priorità che possano consentire un utilizzo virtuoso delle risorse. La Sicilia, come del resto tutto il Mezzogiorno, é un’area in difficoltà, in un Paese che certamente è in difficoltà, ma dove quanto meno i servizi pubblici (rifiuti, acqua, trasporto pubblico, sanità, istruzione, giustizia civile) presentano un livello di efficienza superiore. Nella classifica sull’esercizio del “doing business”, elaborata dalla Banca Mondiale, su 182 Paesi, l’Italia nel 2009 è al 78° posto, e in Sicilia il fare impresa é ancora più difficile, in quanto la specificità dello Statuto regionale, piuttosto che essere utilizzata come opportunità per alleggerire il peso degli oneri amministrativo-burocratici, li rende ancora più complessi, scoraggiando l’attrazione di investimenti soprattutto esteri. Ai problemi della Sicilia occorre dare una risposta politica che non sia dettata da ragioni di breve periodo. La classe dirigente della regione, con alcune rilevanti eccezioni, sembra ignorare i grandi cambiamenti che sono avvenuti ed avvengono intorno a noi con una velocità esponenziale, modificando profondamente gli equilibri politici, economici e sociali. Il contesto in cui ci troviamo ad operare richiede una nuova qualità di governance, in grado di interagire costruttivamente all’interno del sistema, ma anche con altre realtà secondo un approccio innovativo e teso ad assicurare stabilità e sviluppo economico. Per stravolgere il quadro di decadenza occorrerebbe, pertanto, una visione ampia del futuro, promossa da un capitale sociale capace di superare l’attuale situazione di stallo ed accompagnare una radicale opera di modernizzazione, anche a costo di pagare nel breve termine un prezzo politico, creando le condizioni per l’effettiva promozione di interessi e valori condivisi della regione. Una politica virtuosa per la Sicilia deve avere una forte capacità autocritica e indirizzarsi verso una consistente riduzione del ruolo della dimensione pubblica nella società e La Voce dell’Isola n. 23-24 Nell’Isola il fare impresa è difficile. La specificità dello Statuto regionale piuttosto che essere utilizzata come opportunità per alleggerire il peso degli oneri amministrativoburocratici, li rende ancora più complessi, scoraggiando l’attrazione di investimenti. Soprattutto esteri nell’economia, alla diffusione ed all’ampliamento della cultura di mercato, all’eliminazione di rendite e intermediazioni parassitarie, restringendo il perimetro del “pubblico imprenditore”. L’ipertrofia del pubblico, l’inefficienza del pubblico sono oggi il vero blocco per lo sviluppo della Sicilia: il pubblico assorbe le pochissime risorse che ci sono, genera ulteriore inefficienza in tutti i servizi. Siamo arrivati ad un punto di non ritorno. O la dimensione pubblica inizia una cura dimagrante, oppure non ci sono soluzioni. Ciò non significa meno pubblico: noi in Confindustria diciamo “Più Stato, più mercato”. Stato nelle sue funzioni essenziali, e meno Stato in tutta quella marea di società di servizi pubblici locali, dove si sta verificando un meccanismo di implosione a catena di tante questioni che non si sono mai affrontate che oggi, di fronte alla carenza di risorse, non reggono più sul mercato. Più mercato, in quanto la ricchezza nei Paesi l’ha fatto il mercato, la concorrenza, imprese che si sono sfidate sui mercati, e queste imprese per competere sui mercati hanno bisogno di servizi pubblici efficienti, infrastrutture adeguate. Vedo tantissime aziende con una grande voglia di intraprendere che, a dispetto delle difficoltà, riescono a progettare investimenti, che guardano al futuro. Basti pensare che in questi ultimi anni le esportazioni siciliane sono aumentate al netto delle esportazioni petrolifere. Le esportazioni sono il misuratore della capacità competitiva in un sistema industriale. Oggi ci sono tante energie imprenditoriali poco conosciute: sono queste energie che possono portare la Sicilia fuori dalla crisi e su un percorso di crescita. Al punto in cui siamo bisogna concentrare le risorse – comunitarie, statali e regionali - seguendo una logica di efficienza e di selezione degli interventi: poche priorità, focalizzate su grandi progetti infrastrutturali e sulla organizzazione di reti di sistema, di logistica e di comunicazione. Così come è necessaria una chiara definizione di vincoli finanziari e standard di qualità per i servizi resi dalla regione e dagli enti locali. Fino a quando noi avremo un macigno, come quel 41 e mezzo per cento di valore aggiunto di Pil generato da un pubblico inefficiente, che spreca risorse e alimenta clientele, sarà difficile trovare le risorse da investire sulla crescita effettiva. Non solo, quel 41 e mezzo per cento di Pil ha un effetto culturale devastante e discorsivo che spinge imprese e cittadini a collocarsi in mercati protetti, in rapporti più o meno trasparenti con il pubblico e crea incentivi perversi nell’attività delle imprese. Le risorse pubbliche, dunque, o vengono concentrate in pochi obiettivi strategici, che hanno effetti diretti sulla capacità competitiva del territorio, o non producono ricchezza. Queste sono le questioni rilevanti: i fondi comunitari, meno pubblico nell’economia. Soprattutto il pubblico deve saper bene programmare Ma l’idea di una sana programmazione delle risorse in un contesto di efficienza, moralità e trasparenza della spesa pubblica richiede la capacità di sganciarsi da un blocco sociale che guarda solo a soluzioni contingenti e a risposte e protezioni individuali, seguendo piuttosto esempi positivi, come quello delle regioni spagnole, che grazie ad un utilizzo strategico dei fondi europei, sono riuscite a crescere del 3% in media all’anno. La modernizzazione della Sicilia non è più solo un principio da sostenere, ma una svolta inevitabile, a cui bisogna riconoscere un forte potenziale di crescita, nonché prospettive di una rinnovata coesione con il resto del Paese e di una immagine più attrattiva dell’Isola per evitare quella discesa agli inferi che sembra caratterizzare il panorama politico e sociale di tanta parte del Mezzogiorno. *Presidente Confindustria Sicilia Nelle foto: Ivan Lo Bello, presidente Confindustria Sicilia 20 Dicembre 2009 4 Memoria A vent’anni dalla sua morte si trova ancora qualcuno che lo critica con veleno e rancore Leonardo e i “cretini di sinistra”: intervista immaginaria a Sciascia Leonardo Sciascia di VALTER VECELLIO L ’eterna sigaretta Benson & Hodges tra le dita, gli occhi stretti a fessura, come per meglio catturare le immagini che le evocano le parole dell’interlocutore che ascolta attentissimo; alle domande risponde quasi sillabando: per lui le parole “pesano”, le centellina per antica abitudine ancestrale. Si è detto di lui che coltivava la “dialettica del silenzio”…parlava con impercettibili movimenti del corpo: un battito di ciglia, un sorriso ironico, e valevano più di tante parole. Leonardo Sciascia è tornato? No, non è tornato. Di lui abbiamo il ricordo di chi ebbe la fortuna di conoscerlo, frequentarlo; e i suoi libri, che restano, indifferenti all’usura del tempo. E a vent’anni dalla sua morte si trova ancora qualcuno che lo attacca, lo critica con veleno, con astio, rancore. “Una volta Alberto Savinio ha detto che accoglieva le critiche dei suoi detrattori con glaciale indifferenza. Anch’io”. Sono certo che risponderebbe così. Non una parola di più”. Ma ti saresti immaginato tanta insistenza e accanimento? Perfino un amico, sia pure di secondo grado, non di quelli intimi che potevano chiamarti “Nanà” come lui stesso ammette, parlo di Andrea Camilleri, ha detto che “Il Giorno della civetta” è uno di quei libri che avrebbe voluto non fosse mai stato scritto… “Giovanni Falcone non la pensava così. Diceva che i miei libri sono stati importanti per la sua formazione…”. Ti rimproverano ancora l’articolo sul “Corriere della Sera”, quello sui professionisti dell’antimafia… “C’è un libro, si intitola ‘I disarmati’, lo ha scritto un giornalista che si chiama Luca Rossi. Ne leggo un brano, quello che riporta una riflessione di Falcone mai smentita: Il fatto è che il sedere di Falcone ha fatto comodo a tutti. Anche a quelli che volevano cavalcare la lotta antimafia. Per me, invece, meno si parla meglio è. Ne ho i coglioni pieni di gente che giostra con il mio culo…Sciascia aveva perfettamente ragione…”. Mettila come vuoi, fatto è che “Il Giorno della civetta” viene accusato addirittura di essere un testo che 20 Dicembre 2009 Andrea Camilleri esalta la mafia… “Lo so, lo ha scritto Pino Arlacchi, e poi altri. E ora, ripeto, Camilleri…”. Come rispondi? “Si tratta di manifestazioni di un fenomeno che avevo individuato anni fa. In una nota pubblicata in “Nero su nero” scrivevo che ‘intorno al 1963 si è verificato un evento don Mariano Arena che suddivideva l’umanità in quelle famose cinque categorie… “Ma la parte importante del libro non è quella. È nella pagina prima”. Vale a dire? “Il capitano Bellodi teme che don Mariano Arena se la possa cavare, grazie alle protezioni politiche di mosso…”. Ma cosa suggerivi e suggerisci? “Di sorprendere la gente nel covo dell’inadempienza fiscale, come si fa in America; e non solo con i mafiosi e non solo in Sicilia. Suggerivo – ed era il 1960 – di piombare sulle banche, di mettere mani esperte sulla contabilità, che in genere è a doppio fondo, delle aziende, di revi- Sorprendere la gente nel covo dell’inadempienza fiscale, come si fa in America. E non solo con i mafiosi e non solo in Sicilia. Piombare sulle banche, mettere mani esperte sulla contabilità, che in genere è a doppio fondo, delle aziende, revisionare i catasti… insospettabile e forze ancora, se non da pochi, sospettato. Nasceva e cominciava ad ascendere il cretino di sinistra: ma mimetizzato nel discorso intelligente, nel discorso problematico e capillare. Si credeva che i cretini nascessero soltanto a destra, e perciò l’evento non ha trovato registrazione. Tra non molto, forse, saremo costretti a celebrarne l’epifania’. Direi che ci siamo da tempo, in quell’epifania…”. Mi scuserai se insisto. Dicono che con “Il Giorno della civetta” hai di fatto esaltato il capo-mafia, quel cui gode, cosa che poi accade; ed ha la tentazione di usare quei metodi, al di là e al di sopra della legge che furono di Cesare Mori, il prefetto di ferro mandato da Mussolini a debellare la mafia…”. Lui, Mori, dei risultati li conseguì… “Certo, ma a che prezzo? E comunque gli si lasciò mano libera contro i livelli bassi della mafia. Quando cercò di avvicinarsi agli alti papaveri, che già erano diventati parte del regime, fu prontamente promosso, nominato senatore, e ri- Una celebre scena tratta da “Il giorno della civetta” sionare i catasti…”. Vado avanti io: “E tutte quelle volpi, vecchie e nuove, che stanno a sprecare il loro fiuto dietro le idee politiche o le tendenze o gli incontri dei membri più inquieti di quella grande famiglia che è il regime, e dietro i vicini di casa della famiglia, e dietro i nemici della famiglia, sarebbe meglio si mettessero ad annusare intorno alle vittime, le automobili fuori serie, le mogli, le amanti di certi funzionari; e confrontare quei segni di ricchezza agli stipendi, e tirarne il giusto senso…”. Quel giusto senso non lo si vuole tirare… “E si capisce. Non solo il mafioso ci rimetterebbe, si sentirebbe il terreno mancargli sotto i piedi”. C’è un’altra pagina tosta nel “Giorno della civetta”, l’ultima… “Un apologo”. Il medico coraggioso che si mette in testa che i detenuti mafiosi sani devono stare in cella, e i detenuti non mafiosi malati in infermeria. È un brano che mette i brividi… “E però mi sono inventato ben poco”. Il medico viene aggredito in carcere e picchiato… “E nessuno lo aiuta, lo difende, gli rende giustizia…”. Anche il suo partito, il PCI, gli consiglia di lasciar perdere… “Così si rivolge al capomafia…”. E in certa misura, ottiene giustizia… “Forse sono queste due pagine che mi si rimprovera…”. Se ti dovessi definire? “Direi che sono uno che cerca di semplificare secondo verità”. Una volta hai tracciato la classifica degli elementi che fanno lega contro gli intellettuali e generalmente contro quanti pensano con la loro testa… “Invidia, intrighi, disprezzo dei potenti, imbecillità, fanatismo. Ma sono cose sopportabili. Ma attenzione: quando imbecillità e fanatismo si uniscono a spirito di vendetta, allora ne abbiamo una somma terribile, e talvolta micidiale”. Come difendersi? “Potrei dire di essere un conservatore. Nel senso che voglio conservare, di fronte a uno Stato che se ne è svuotato, la Costituzione. Voglio conservare la libertà e la dignità che la Costituzione mi assicura come cittadino; e la libertà che ho goduto come scrittore, e la dignità che come scrittore mi sono guadagnata. Libertà e dignità che oggi sono in pericolo…”. Dici che occorre cominciare a contarsi… “Se lo si farà, si scoprirà che siamo isolati ma non soli. Non numerosi, ma sufficienti per contrapporre l’ “opinione” alle “opinioni correnti”. (L’intervista, è evidente, è immaginaria. Le risposte però sono vere, ricavate cioè da libri, articoli e interventi di Leonardo Sciascia) La Voce dell’Isola n. 23-24 Sviluppo 5 Da Catania al Mediterraneo: Informatica, Comunicazione e Tecnologia Le vie dell’internazionalizzazione per il nuovo export siciliano di CORRADO RUBINO L ’Expobit 2009, il salone Euromediterraneo dedicato all'informatica, alla comunicazione e alla tecnologia si è svolto a Catania alla fine del mese scorso ed è giunto alla sua 14° edizione. Expobit ogni anno si propone come momento di incontro preferenziale tra domanda e offerta, vetrina per le aziende del settore che intendono incrementare il loro potenziale commerciale, aumentandone la competitività. L’evento ha avuto come obiettivo quello di offrire un panorama completo sull’innovazione tecnologica nel mercato delle telecomunicazioni, dell’ICT, della multimedialità e dell’audiovisivo, con una speciale attenzione per le tematiche ambientali, energetiche e per l'automazione. I numeri ed i positivi riscontri dell’edizione di quest’anno e delle precedenti edizioni lo collocano al secondo posto nella classifica degli eventi italiani dell’ICT. L’evento intende porsi come momento di analisi dei processi di Internazionalizzazione delle PMI Siciliane, con particolare attenzione alle problematiche strutturali, progettazioni pubbliche e iniziative imprenditoriali. I vertici delle istituzioni nazionali e regionali hanno illustrato la situazione che stiamo vivendo e i progetti in corso di realizzazione per l’export e l’internazionalizzazione delle nostre aziende. Nel corso dell’incontro/dibattito i visitatori hanno ascoltato, dalla viva voce degli imprenditori siciliani e dei buyer esteri, le loro esperienze in campo internazionale, i limiti tecnico-struturali e finanziari che impediscono l'internazionalizzazione delle PMI Siciliane e L’Expobit, giunto alla sua quattordicesima edizione, ogni anno si propone come momento di incontro preferenziale tra domanda e offerta, vetrina per le aziende del settore che intendono incrementare il loro potenziale commerciale, aumentandone la competitività gli elementi positivi da cui invece ripartire. Quale ruolo strategico potranno avere le aziende siciliane nei rapporti economici e culturali con i paesi del bacino mediterraneo, in particolare Marocco, Tunisia, Libia e Turchia nel settore dell’ICT? Le aree tematiche a cui si è rivolto il salone Expobit sono state: - l’informatica, per la quale sono state presentate le offerte più nuove e all’avanguardia dalle migliori aziende di computer e software del mercato competitivo; - il digitale, che ha rappresentato un atteso appuntamento con l’innovazione e le tecnologie digitali. È stato l’unico momento in cui la comunità dell’ICT Digitale e le Aziende del settore hanno incon- trato gli esperti e il grande pubblico; - le tecnologie per l’intrattenimento Audio/Video/Luci per il quale l’esposizione è stata riservata ai migliori marchi dell’audio-video e dell’illuminotecnica, pensata per gli appassionati di Hi-end e per gli operatori dell’Entertaiment. - Energia e Ambiente Il perorso tematico rivolto alle famiglie, alle scuole e alle pubbliche amministrazioni, dedicato al risanamento dell’ambiente e allo sviluppo sostenibile, alle energie rinnovabili alternative, alla bioedilizia, al riciclaggio e allo smaltimento dei rifiuti. - Next Home – Domotica, abitare l’innovazione. Non solo un prototipo di casa digitale, ma una più vasta cornice espositiva e convegnistica delle novità tecnologiche che possono migliorare la qualità della vita. - Virtual Office, È un prototipo di “Ufficio Intelligente”, dove l’applicazione delle tecnologie e le soluzioni innovative architettoniche si fondono insieme fino a creare un sorprendente e nuovo modo di lavorare. - Expo Play, Un raduno dedicato ai videogiochi multiplayer che ha come obiettivo primario quello di stimolare l’interesse dei giovani verso la scienza dell’informazione e delle tecnologie informatiche a 360°. - Finanza on-line, Il forte sviluppo dell’home-banking è stato favorito dalla migliore dotazione Hardware e Software delle piccole e medie imprese e dall’alta velocità nelle connessioni internet. - Techno – Sport, Un’occasione esclusiva di incontro tra produttori/importatori e distributori/dettaglianti operanti nel settore ICT & Sport. L’obbiettivo è stato, come nelle passate edizioni, qualificare l’offerta con azioni mirate alla definizione del target per ogni area creando alleanze per crescere in dimensioni e cultura, offrendo un panorama completo dell’innovazione tecnologica nel mercato delle telecomunicazioni, dell’ICT, della multimedialità e dell’audiovisivo nel Mezzogiorno con il fine ultimo di attrarre investimenti e indurre alla creazione di nuovi posti di lavoro. Programmi e progetti dell’industria energetica per una crescita sostenibile Energia in Sicilia: lo sviluppo nell’area del mediterraneo L e domande alle quali l’Expobit ha cercato di dare o sollecitare delle risposte sono tante. Quale sarà il futuro dell’energia in Sicilia dopo l’approvazione del PEARS? Quali le opportunità di investimento? In che modo si potrà promuovere l’insediamento e il decollo di filiere industriali e l’insediamento di industrie di produzione delle nuove tecnologie energetiche? Quali passi si stanno già muovendo verso questa direzione? Quali interventi si prevedono per la realizzazione di impianti di energia rinnovabile eolica, fotovoltaica,etc.? Quali saranno le ricadute sul territorio siciliano? Quali saranno i prossimi interventi per la realizzazione d’infrastrutture e per trovare i giusti vettori dell’energia? E ancora: in un ottica di promozione della diversificazione delle fonti energetiche come si colloca la tematica del mix delle fonti e della riconversione? Il Piano Energetico Ambientale Regione Siciliana (PEARS), è stato approvato a febbraio di quest’anno, ed è lo strumento cardine per ogni previsione economica, finanziaria e produttiva del settore energetico in Sicilia. Strumento che arriva in ritardo e che speriamo sia operativo al più presto. All’interno del PEARS, ruolo primario è stato attribuito allo sviluppo delle fonti rinnovabili ed alla promozione del risparmio energetico in tutti i settori: la diversificazione delle fonti energetiche; la promozione di filiere produttive di tecnologie innovative; la promozione di clean technologies nelle industrie ad elevata intensità energetica; la valorizzazione delle risorse endogene; il potenziamento e l’impatto ambientale delle infrastrutture energetiche; il completamento della rete metanifera, e il potenziamento dell’idrogeno. Interventi infrastrutturali di particolare rilievo vengono considerati il raddoppio dell’elettrodotto Sicilia-Continente, la realizzazione della rete ad altissima tensio- La Voce dell’Isola n. 23-24 ne, e la realizzazione di due rigassificatori. Il PEARS contiene oltre 60 piani di azione volti a risolvere le principali emergenze ambientali ed energetiche al fine di ridurre i consumi di energia da fonti inquinanti per incrementare fonti che limitano l’immissione di gas che alterano il clima e di sostanze tossiche. Il Piano, pur non contenendo divieti, perché ciò sarebbe in contrasto con le normative comunitarie e nazionali, offre infine una serie di strumenti politico-organizzativi per il perseguimento degli obiettivi, tra i quali la sottoscrizione di “accordi volontari” tra P.A. e operatori in occasione del rilascio di autorizzazioni. Ciò che la Regione Siciliana auspica sul piano dell’attuazione riguarda “la serietà delle iniziative e l’affidabilità dei soggetti proponenti”, per tale motivo sono stati inseriti anche una serie di precisi paletti che servono a verificare e garantire la capacità economica delle imprese alla conduzione del progetto, l’innovazione tecnologica del progetto, la certificazione ambientale e la prestazione di misure compensative a favore dei territori ove devono essere ubicati gli impianti. Compensazioni finanziarie a favore della Regione Siciliana saranno utilizzate per interventi nel settore socio-sanitario. Prevista anche la realizzazione di un polo industriale mediterraneo per la ricerca, lo sviluppo e la produzione di tecnologie per lo sfruttamento dell’energia solare (fotovoltaico, solare ad alta temperatura). Nel piano energetico, inoltre si fa particolare riferimento alla valorizzazione dell’uso del vettore idrogeno; al recupero del freddo nei processi di rigassificazione del gas naturale liquido; alla ricerca e lo sviluppo relativi all’impiego di biocarburanti; alla sicurezza degli impianti per lo sfruttamento della fissione nucleare con nuove e più sicure tecnologie per la risoluzione dei problemi relativi allo smaltimento e custodia sicura delle scorie (reattori di quarta generazione). Sotto il profilo dell’incentivazione economica, si registrano notevoli entità di risorse finanziarie destinate alla Sicilia per il periodo 2007-2013 da parte dell’UE. La programmazione comunitaria intende favorire la produzione di energia da fonti rinnovabili mediante l’attivazione di filiere produttive di tecnologie energetiche, agro-energetiche e biocarburanti anche attraverso il finanziamento di progetti pilota a carattere innovativo, specie nei settori del solare termico, solare fotovoltaico, biomasse, mobilità sostenibile, azioni di sostegno alla produzione da fonti rinnovabili. Un’altra linea d’intervento riguarda l’efficienza energetica negli usi finali, i cui beneficiari saranno gli enti pubblici. Ma anche l’efficienza energetica nei settori dell’industria, dei trasporti e dell’edilizia socio-sanitaria a favore di imprese, enti pubblici, centri di ricerca pubblici o privati. Infine un’ulteriore linea di intervento riguarda il completamento della rete metanifera. 20 Dicembre 2009 Politica 6 Scenario cupo dopo i tanti indicatori di benessere, di qualità della vita e dell’economia Ragusa, modello che non c’è più: disattese speranze e potenzialità di ERNESTO GIRLANDO L’incapacità di comprendere e gestire i processi di ristrutturazione economica, l’incapacità di adeguarsi ai livelli di internazionalizzazione e di fronteggiare gli effetti delle aggressive economie emergenti, ha segnato il declino di un modello economico-culturale fragile perché eccessivamente frazionato U no scenario davvero severo, Ragusa, per i tanti indicatori di benessere e di qualità della vita e dell’economia. C’era stato un tempo (appena pochi anni fa) che, seppur con enfasi, la piccola provincia del sud est siciliano s’era configurata quasi come un “modello”, lontana com’era dai cliché, nondimeno abusati, che identificano nell’immaginario collettivo la nostra isola. Per qualche lustro, Ragusa ha rappresentato un modello positivo di convivenza civile, di coesione sociale, di sviluppo economico. Con un tessuto fitto di piccole imprese, lontana da quei fenomeni di malintesa modernità che hanno altrove distrutto ogni segno di identità storica e antropologica, Ragusa si presentava agli occhi del nuovo secolo come un aureo granducato, pronto ad affrontare le sfide che il nuovo avrebbe irrimediabilmente imposto. Si chiude un anno, si sta per chiudere il primo decennio del secolo XXI ed è spontaneo tirare qualche somma. Del modello ragusano oggi rimane ben poco: il vago ricordo di speranze e potenzialità disattese, gli innumerevoli rimpianti per le mille occasioni perdute da parte di un sistema apparentemente saldo, forte della sua caratterizzazione rurale e agroindustriale, dell’insieme dei suoi valori storici, artistici, culturali e ambientali, che non ha retto agli scossoni di nuovi e irrefrenabili fenomeni che un nuovo ordine locale e globale ha imposto. L’incapacità di comprendere e gestire i processi di ristrutturazione economica, i fenomeni di integrazione culturale; l’incapacità di adeguarsi ai livelli di internazionalizzazione e di fronteggiare gli effetti delle aggressive economie emergenti, ha segnato il declino di un modello economico-culturale fragile perché eccessivamente frazionato e chiuso in se stesso. Per molti versi, l’isolamento geografico dovuto ai ritardi di un’adeguata infrastrutturazione delle comunicazioni è il principale fattore di decrescita del territorio ibleo. Responsabile un’intera classe politica che non può dichiarare attenuanti. Dall’aeroporto di Comiso, alla Ragusa-Catania, dalla SiracusaRagusa-Gela all’intero sistema viario interno; dal porto di Pozzallo al- la rete ferroviaria ormai quasi inesistente, la latitanza di una classe politica immobile di fronte alle emergenze è stata devastante. Nell’ultimo decennio della sua storia, Ragusa ha vissuto un processo di adattamento alla propria degradazione. Le devastanti stagioni politiche che si sono succedute, accomunate da un unico denominatore culturale, hanno prodotto comitati d’affari pronti a porsi di fronte ai problemi collettivi in termini privatistici e personali, pronti a estremizzare il loro comportamento in termini di regimi autocratici aperti alla più vasta corruzione ideale, negando alla realtà iblea la possibilità di una benché minima prospettiva economica, civile e sociale. Nessun partito o schieramento può dirsi estraneo. E anche per la cosiddetta società civile non ci sono scuse: l’essersi talvolta accorta non ha preservato dall’adattamento o dall’accettazione dell’inaccettabile. In quest’ultimo anno sono franati uno dietro l’altro i capisaldi sui quali poggiavano le speranze future di un’agognata ripresa del cosiddetto modello ibleo. Dalle incertezze intorno all’apertura dell’aeroporto di Comiso (il 2009 doveva essere l’anno dell’avvio delle attività), al crollo dell’Università, oberata da debiti e contenziosi, cancellata dal senato accademico catanese, naufragata nell’incapacità di una classe politica non all’altezza del compito. Un comparto turistico che si mantiene a livello di un’anonima mediocrità. Il porto turistico di Marina di Ragusa è stato completato ed è stato reso operativo: si riuscirà a gestirlo e inserirlo nel contesto di un territorio che deve attrarre i turisti? Ma anche qui mille incertezze, tra am- ministratori locali che non hanno mai conosciuto l’idea di un turismo sostenibile e operatori in cerca di investitori estranei al territorio per faraonici progetti, alberghi e campi da golf, dimenticandosi di curare le bellezze naturali che soffrono di un fragile equilibrio, a fronte di un movimento turistico che cerca un dialogo con il territorio. Preoccupanti fenomeni di emigrazione di sono riaffacciati sulle assolate città barocche degli iblei; perdite secche di posti di lavoro ovunque; nuova immigrazione; comparto agricolo che non regge l’urto delle novità imposte dal mercato globale e dalla grande distribuzione; settore dell’industria dei marmi in crisi: sono tutti segni delle difficoltà che segnano il passo di un declino sociale ed economico che rischia di allentare la coesione di una compagine sociale che fino a poco tempo fa rappresentava un “modello”. Un anno se ne va. Ne arriva un altro denso di nubi e di incertezze. Studenti in agitazione, i docenti chiedono che il Consorzio venga messo in mora Università e decentramento: fallimenti e prospettive U n saluto solidale al presidente del Consorzio universitario ibleo che in questi duri e lunghi mesi di disorientamento ha dovuto reggere (gratuitamente, per giunta) una delle cariche più disumanamente usuranti nel ricco e variegato panorama del sottogoverno italico. Dimettersi o non dimettersi? Rimanere con Catania o cercare altre vie? Partecipare o non partecipare al quarto polo universitario pubblico? Il tutto, alla testa di un Consorzio che non dispone di un soldo, o di un euro che dir si voglia. L’accordo che era stato raggiunto a giugno con il rettore dell’Università di Catania, Antonino Recca, grazie alla mediazione del ministro Mariastella Gelmini, non è stato onorato. E mentre Catania batte cassa (e sono cifre consistenti) e annuncia il proprio disimpegno, i principali responsabili del disastro partono in quarta alla conquista delle posizioni di testa di nuovi fantomatici assembramenti che dovrebbero portare alla costituzione del cosiddetto quarto polo universitario siciliano. A dare fiato alle trombe, l’assessore regionale Titti Bufardeci, già sindaco per 10 anni della città di Siracusa, la stessa che per intenderci “vanta” un debito di 10 milioni di euro con il Consorzio universitario aretuseo e di conseguenza con l’Ateneo catanese. Stentoreo il tono dell’orazione, elettrizzante la proposta che, partendo dalla costituzione di una fondazione universitaria tra Siracusa, Ragusa, Caltanissetta e la Kore di Enna (tutti insieme assommano una cinquantina di milioni di debiti), dovrebbe condurre alla creazione di “collegamenti vir- 20 Dicembre 2009 tuosi che leghino ricerca, innovazione, studio e formazione a modelli di sviluppo locale”, sull’esempio (nientemeno) della Bocconi. Il tutto in un momento in cui il Consorzio ragusano, per dirne una, non ha disponibilità di cassa tali da onorare, come avrebbe dovuto a fine ottobre, la tranche di 1.589.000 euro e nemmeno di quei 389.000 euro necessari per dare inizio alle attività didattiche della facoltà di Lingue. L’Università iblea è in subbuglio, gli studenti sono in agitazione, i docenti chiedono che il Consorzio venga messo in mora, il rettore annuncia (ancora una volta) il taglio dei corsi per il prossimo anno accademico. Il decentramento universitario isolano rischia di configurarsi come l’ennesimo fallimento per le tante tradite speranze che l’avevano alimentato. L’idea, nata in ragione delle crescenti esigenze di garantire migliori prestazioni del sistema per mezzo di una stretta connessione fra università, sviluppo locale e specificità territoriali - di cui il territorio siciliano è ricco - ha finito per generare debolissime o nulle relazioni con i luoghi di insediamento, corsi di laurea spesso clonati, solitamente definiti di “serie B”, mentre l’eccessiva proliferazione di sedi, a fronte di esasperati localismi, ha fatto lievitare i costi di infrastrutturazione e di gestione con conseguente incapacità di enti locali e consorzi a far fronte ai propri impegni economici. I numeri di Ragusa: 1948 risultano gli studenti iscritti ai corsi di laurea attivati; 1025, più della metà dunque, sono gli studenti che hanno frequentato nel corso dell’ultimo A.A. i corsi della Facoltà di Lingue. Rimangono i 711 di Giurisprudenza e i 212 dello storico corso di Scienze agrarie tropicali. Ma quanto costa una sede decentrata di queste dimensioni? Secondo i dati forniti dal prof. Giacomo Pignataro, economista e presidente della Scuola Superiore di Catania, tanto. Il decreto 270 stabilisce i requisiti necessari di docenza: 12 docenti di ruolo per la triennale, 8 per la magistrale, 20 per il ciclo unico quinquennale. Considerato che Ragusa vede una folta presenza di associati e ricercatori (l’85%, il resto sono ordinari) la spesa per gli stipendi dei docenti (principale capitolo di uscita) ammonta oggi a circa 2.900.000 euro l’anno. Operando però una proiezione che tenga conto degli aumenti previsti dal contratto, si arriverà nel 2013 a una spesa che si aggirerà sui 3.500.000 di euro. Considerando ancora che l’85% dei docenti è soggetto a scatti di carriera, la spesa dovrebbe attestarsi sui 4 milioni. Ma com’è ovvio l’università non vive solo di lezioni ed esami: richiede una presenza attiva sul territorio, e per far ciò occorrono risorse. Laboratori, biblioteche e quant’altro che portano la spesa per ogni cor-so di laurea, inteso come ciclo 3+2, a circa 3 milioni di euro. Se guardiamo alla Facoltà di Lingue di Ragusa, troviamo quattro corsi di laurea (due triennali e due specialistiche), 18 docenti di ruolo (un numero che non può reggere quattro corsi di laurea), a cui vanno aggiunti i collaboratori e gli esperti linguistici che pesano sul bilancio per una cifra che si aggira sui 500.000 di euro l’anno: ebbene l’ammontare della convenzione non è stato sufficiente a coprire i costi complessivi. Costi che deve sostenere l’Ateneo e che si aggiungono a quelli relativi al carico dei docenti assunti per soddisfare l’offerta formativa di corsi che nel frattempo sono stati soppressi. Eppure, in questo contesto desolante c’è chi parla di costituire il quarto polo universitario. Ma con quali risorse? Ernesto Girlando La Voce dell’Isola n. 23-24 Politica 7 A rischio le vestigia della colonia greca fondata dai sicelioti di Siracusa nel 589 a.C Kamarina: l’ultima distruzione? Il mare sfalda il costone roccioso di ERNESTO GIRLANDO « T ornato dalle sedi/ amabili d’Enomao / e di Pelope, o Pallade / che reggi la città / egli canta il tuo bosco venerando / e le correnti dell’Onao / e il lago natio / e i sacri canali dell’Ippari / che irrora la tua gente / e rapido cementa / la selva d’alte membra / delle salde dimore nuziali, / traendo da miseria questo popolo / di cittadini alla luce». Nei versi della IV Ode Olimpica, Pindaro celebra la vittoria nella 82esima Olimpiade (452 a.C.) di un atleta siciliano, Psaumide di Kamarina, trionfatore nella corsa con le mule. È l’esaltazione della figura del vincitore che, al pari delle acque dell’Ippari, partecipa della rinascita a nuova vita della sua città. Kamarina sta vivendo in effetti uno dei suoi momenti di grande, ancorché effimera, prosperità. Colonia greca fondata dai Dori di Siracusa nel 589 a.C. sul promontorio tra i due fiumi citati da Pindaro, l’Ippari e l’Oanis, con il fine di creare un presidio lungo la rotta africana e frenare l’espansione verso sud di Gela, era stata ripetutamente distrutta dagli stessi siracusani nel tentativo di frenarne le improvvide voglie di indipendenza. Rifondata da Gela nel 492 a.C., proprio nel periodo della 82esima Olimpiade, Kamarina riacquisisce la sua importanza grazie all’alleanza, stretta in funzione antisiracusana, con Atene. Ma la fortuna non durerà a lungo nel turbine delle mutevoli vicende siciliane di quei secoli, insieme di splendore e di affanno. Saccheggiata e distrutta dall’esercito di Annibale nel 403 a.C., ebbe la forza di risollevarsi per l’ennesima volta, per l’ultima volta, raggiungendo con Timoleonte (339 a.C.) il periodo della sua massima espansione urbanistica. Poi il console romano Attilio Calatino, saccheggiandola, e la costruzione di un nuovo porto nella vicina Kaucana, ne decreteranno il definitivo oblio. Rimangono le testimonianze di antiche vestigia, portate alla luce da un secolare lavoro condotto a partire dalla fine dell’Ottocento da archeologi del calibro di Paolo Orsi, poi di Biagio Pace, della Paola Pelagatti, per finire a Giovanni Di Stefano e Antonino Di Vita. Grande l’interesse archeologico intorno agli attuali resti: le tombe arcaiche risalenti al VII sec. a.C., i ruderi del tempio dedicato a Minerva, l’acropoli, il tracciato, lungo il corso dell’Ippari, dell’antico porto, il museo archeologico. Dopo secoli vissuti nel segno della fatica e della tragedia, l’antica Kamarina vive nella sua odierna quiescente placidità, nei silenzi eloquenti dei suoi resti, turbati di tanto in tanto da qualche chiassosa compagnia di turisti curiosi e importuni o da scolaresche indisciplinate. Nel frattempo un lungo frattempo - la goccia, anzi l’onda, scava la pietra. Un’altra dolorosa stagione di affannose vicissitudini si apre per l’antica città. Un altro temibile nemico ne rode memoria e corpo: un lento inesorabile processo di erosione che nell’indifferenza e nell’apatia dell’uomo del XXI secolo ha trovato il suo più turpe alleato. Da mesi il costone roccioso su cui sono deposti i resti dell’antica città viene, giorno dopo giorno, sfaldato cativi. La competenza territoriale è della città di Ragusa: il suo territorio ricade fin dentro l’area archeologica. Da parte dell’assessore competente (si fa per dire), però, un silenzio tombale. La vicina città di Vittoria che dovrebbe “vigilare” sugli antichi resti li comuni, previa presentazione di progetti credibili. Per il momento, nulla. La Soprintendenza si è mossa: sopralluoghi, valutazione del pericolo, stima dell’intervento, richiesta di finanziamento, interdizione dell’intera area soggetta all’erosione. Ha fatto il suo dovere, sì, ma non ha sortito effetto alcuno. La deputazione regionale, dopo un incontro tenutosi in Prefettura sull’argomento, chiede un ulteriore incontro con il Presidente della Provincia per affrontare il fenomeno dell’erosione delle coste iblee che, con ogni probabilità, sfocerà nella richiesta di una nuova riunione e poi ancora e poi un’altra. E ancora un’altra. E un’altra. E intanto Kamarina se ne va: i tempi della politica sono incredibilmente più lunghi persino di quelli geologici. Nonostante mesi di denunce da parte di comitati di salvezza e di cittadini meritoriamente attenti, non si registrano, a oggi, interventi significativi dall’azione del mare che divora incessantemente pezzi di storia e di civiltà. Nonostante mesi di denunce da parte di comitati di salvezza e di cittadini meritoriamente attenti, non si registrano, ad oggi, interventi signifi- è immersa nel sonno più profondo. La Provincia, per la verità, qualcosa ha fatto: un lavoro di analisi delle coste ragusane nel loro complesso, ottenendo dal Ministero dell’Ambiente un finanziamento, erogabile ai singo- archeologica. Per il resto la giunta regionale ha approvato dei piani per l’assetto idrogeologico delle fasce costiere che riguardano la zona di Licata, Capo Rossello, Capo San Marco, Capo Granitola, Lampedusa e Linosa, Pantelleria, Ustica e le Eolie, ma di Kamarina manco l’ombra. È l’antica maledizione che ritorna. Un proverbio greco diceva: “Lasciate stare Kamarina, è meglio non toccarla”. L’oracolo di Delfi aveva ammonito gli abitanti di Kamarina a non prosciugare l’attigua palude pestilenziale, garanzia della loro incolumità. I camarinensi disobbedirono e furono puniti, sicché sul suolo asciutto della palude passarono i nemici che distrussero la città. Nei versi 700-701 dell’Eneide Virgilio scrive: “et fatis numquam concessa moveri / Adparet Camarina procul”. Che l’anatema ricada oggi su quanti, dovendolo, non muovono alla salvezza di Kamarina, “mai autorizzata dai fati a muoversi”. L’unico intervento tangibile è arrivato dalla Regione che ha messo sul piatto una miseria: 55 mila euro per risistemare le recinzione, che era franata sulla spiaggia sottostante, e garantire la sicurezza intorno all’area Nelle foto: i resti dell’antica città di Kamarina. Pezzi delle antiche mura sulla spiaggia La Voce dell’Isola n. 23-24 20 Dicembre 2009 Politica 8 L’assemblea generale dei Commercialisti su Cultura d’impresa e imprenditorialità I commercialisti ridisegnano la professione del futuro di MIRCO ARCANGELI A fine novembre si sono svolti a Catania due importanti eventi che hanno coinvolto la professione dei commercialisti. Il primo evento è stato quello organizzato dal Consiglio dell’Ordine dei Commercialisti e degli esperti contabili di Catania, venerdì 27 novembre allo Sheraton Catania Hotel con l’Assemblea generale degli iscritti, quale momento per “disegnare” il futuro della professione. Le riflessioni si sono sviluppate su: il cittadino e il territorio, due poli entro i quali l’attività della categoria svolge oltre che una funzione puntuale e sui singoli casi, anche e soprattutto una funzione complessiva di sostegno alla crescita sociale ed economica. È infatti proprio su questo che ha esordito la relazione introduttiva del presidente Salvatore Garozzo. I commercialisti rappresentano un valore per la nostra società, riconosciuto sia dai cittadini, dai singoli fruitori delle loro conoscenze, che dal territorio, inteso come contesto socio-economico. Il commercialista, per riprendere sinteticamente il contributo introduttivo del presidente, matura la sua professionalità attraverso un intenso percorso segnato dapprima, dagli studi universitari, dal tirocinio, dall’abilitazione, poi in seguito all’iscrizione all’Albo, prosegue nel rispetto del codice di deontologia professionale, con la Formazione permanente. Una crescita culturale, tecnica e scientifica che non ha mai fine, ma che si sviluppa in abbinamento agli eventi economici e finanziari che animano il ns. paese, e l’intero sistema mondiale. Certo nel corso del tempo, la professione di commercialista, ha subito importanti e storiche trasformazioni, la più importante della quale fu quella conseguente all’evoluzione da contabile-fiscale (1972/73) a Maurizio Stella 20 Dicembre 2009 economico-giuridica (1992). Le attività svolte dal commercialista sono veramente tante: dallo studio sulla fattibilità di un progetto imprenditoriale agli adempimenti giuridicoformali, analisi economico-finanziaria, pianificazione fiscale, definizione struttura amministrativa, scelta del tipo di società, regolamentazione dei rapporti tra i soci e patti parasociali; dalla valutazione di aziende all’acquisto/cessione partecipazioni, ria possiede. Nel corso dell’iniziativa i diversi interventi hanno ribadito come sia necessario investire nella crisi economica, per adeguare la professione alle esigenze di un mercato in forte cambiamento. Vorrei sottolineare fra i tanti, quelli che ritengo più rappresentativi del dibattito. Il primo ci è stato offerto da Achille Coppola - presidente dell’Ordine dei Dottori commercialisti e degli Esperti contabili di Napoli - dell’aziendalista che si occupa di vision strategie e cambiamenti. Per giungere a questi traguardi, conclude Ursino, bisogna rivolgersi ai nuovi stakeholders con un approccio coerente con la nuova mission. Sarà una sfida esaltante per i giovani che ridisegneranno la carismatica figura del Dottore Commercialista. Da questi due interventi unitamente alla relazione del Presidente Cittadino e territorio, due poli entro i quali l’attività della categoria svolge oltre che una funzione puntuale e sui singoli casi, anche e soprattutto una funzione complessiva di sostegno alla crescita sociale ed economica operazioni straordinarie (conferimenti, trasformazioni, fusioni, scissioni, trust) joint venture; dai bilanci preventivi, richieste di finanziamenti, pianificazione strategica – analisi e controllo, aumenti di capitale, consulenza e pianificazione fiscale, bilancio e contabilità, al patrocinio nel contenzioso tributario; dalla valutazione di efficienza e redditività, revisione e certificazione di bilanci, applicazione dei principi contabili, controllo legale dei conti alla gestione delle procedure concorsuali, assistenza in area contrattuale, ereditaria, in area giuridico-commerciale, consulenza nei giudizi civili e penali, arbitraggi nazionali e internazionali, conciliazioni, e tanto altro. Potrà essere sembrata una noiosa elencazione di ruoli, mansioni e competenze, ma ci è utile ribadirle per ricordare a noi ed al contesto socio economico, il grande bagaglio di professionalità che la nostra catego- il quale ha messo in evidenza come l’intera categoria dei commercialisti, costituita da oltre 100.000 professionisti, rappresenti una forza immensa, ma inespressa. Proprio per questo motivo è necessario immaginare la categoria come rete, e formare un vero network dei commercialisti (ndr.). La categoria possiede una quantità di informazioni e professionalità che possono essere condivise da tutti. I commercialisti devono fare sistema con il compito di partecipare attivamente allo sviluppo ed alla crescita della democrazia economica del nostro territorio. Il secondo intervento che intendo riprendere è quello del collega Giuseppe Ursino, il quale ha sottolineato che la categoria del Dottore Commercialista è tra quelle privilegiate per la comprensione del cambio di passo dei tempi. I cambiamenti, prosegue l’intervento, sono sempre più veloci nelle loro dinamiche tecnologiche, economiche e geografiche e occorre avere un approccio economista per riuscire a leggerli con una qualche lucidità. Ecco che le generazioni di professionisti più avanti con gli anni, che hanno più difficoltà ad adeguarsi ai cambiamenti esterni, saranno indirettamente motivate a destinare i loro interessi in altri ambiti, mentre le ultime generazioni dovranno accettare la sfida di trasformare la professione tecnico-contabile in una figura molto più complessa, dove il tecnico contabile rimane solo una declinazione del vissuto del Dottore Commercialista, mentre assume maggior visibilità la figura dell’economista esperto di microeconomia, Garozzo, emerge per il commercialista, un futuro di grande rilievo professionale, dove alle competenze di sempre si devono aggiungere quelle legate alla comprensione del sistema impresa e del sistema economico nel suo complesso. Il commercialista con la giusta formazione può ancor di più, rappresentare un grande supporto nella gestione aziendale dell’impresa, analizzandone le criticità e proponendone le soluzioni, soprattutto in un contesto economico, quale quello siciliano, dove ancora appare necessario accompagnare agli strumenti di finanza agevolata quelli economia aziendale. In questa ottica, strana ma non casuale coincidenza, un altro evento di rilievo si è tenuto nella città di Catania. La Provincia regionale di Catania (assessorato alle Politiche dello Sviluppo economico) in collaborazione con l'Unione Giovani Dottori Commercialisti di Catania e Sviluppo Italia Sicilia Spa, ha infatti organizzato il giorno 27 novembre la “Giornata della cultura d’impresa dell’im- Salvo Garozzo prenditorialità”. Di questo importante evento, voluto dal Presidente On. Giuseppe Castiglione, è importante sottolineare che la giornata di formazione sul come fare impresa, sulle normative fiscali e amministrative che regolamentano il sistema economico, sui finanziamenti e contributi che si possono ottenere, è stata gestita proprio dai commercialisti. Infatti grazie alla preziosa presenza del Dr Maurizio Stella, Presidente dell’Unione Giovani Dottori Commercialisti di Catania, si è tenuta una lezione sul come fare impresa, ad aspiranti imprenditori e ad imprese già attive per avviare nuovi investimenti, che ha coinvolto circa 2000 giovani. Avviare una nuova impresa, penetrare in nuovi mercati, recepire gli input che vengono dal mondo della ricerca: queste le chiavi di volta per risollevare il nostro sistema economico dalla crisi. Con lo scopo di fornire risposte concrete sulle nozioni irrinunciabili che un imprenditore deve conoscere per avviare un'impresa, in abbinamento alle opportunità che il sistema dei fondi comunitari può offrire, e nella speranza che le nuove generazioni possano, conoscendone gli strumenti, cogliere l’occasione della crisi per partecipare ad un sano sviluppo della nostra imprenditoria. La Voce dell’Isola n. 23-24 Si tenta di rivalutare uno dei quartieri più degradati di Catania Librino zona franca urbana Pubblico e privato insieme per lo sviluppo DOSSIER 9 di Mirco Arcangeli L ibrino è uno dei quartieri più degradati di Catania. Ci vivono circa 100.000 abitanti. La stragrande maggioranza è costituta da persone perbene, che lavora con dignità e che ancora spera in un riscatto sociale. Il quartiere è da sempre un quartiere “dormitorio”, con poche realtà commerciali ed imprenditoriali. Strade senza marciapiedi, scarsa illuminazione, fogne a cielo aperto, palazzi abbandonati all’occupazione più degradata, spaccio di droga e delinquenza, spazi culturali saccheggiati, manutenzione urbanistica occasionale, e tanto altro. Ma chiediamoci per un attimo di cosa stiamo parlando e proviamo a fare qualche riflessione. Intanto perché chiamarlo quartiere? quando rappresenta la popolazione pari ad 1/3 dell’intera città di Catania (310.000 ab.) e la somma della città di Acireale (50.000 ab.) e Paternò (48.000 ab.). Ora per un attimo proviamo a vedere come vivono i 100.000 cittadini che risiedono a Paternò ed Acireale. Intanto hanno un apparato di sicurezza formato da centina di uomini fra vigili urbani, carabinieri, poliziotti e finanzieri. Poi hanno sedi operative dei vigili del fuoco con mezzi ed uomini pronti ad intervenire su una popolazione così vasta. Il vivere civile e sociale è assistito da oltre 70 scuole pubbliche e 50 scuole private; 23 farmacie e 9 parafarmacie; 44 banche; 43 parrucchieri; 40 autofficine; 66 negozi di abbigliamento; 41 bar; squadre di addetti alla manutenzione stradale, del verde urbano degli impianti relativi alle opere pubbliche; e tanto altro. Fonte: sito Comuni Italiani.it e misterimprese.it. A Librino nulla di tutto ciò. Ma cos’hanno fatto di male i cittadini di Librino per meritarsi questo trattamento? Certo la macchina pubblica cerca di fare interventi di recupero, ma spesso assomigliano più ad obblighi morali e politici più che a vere volontà di risanamento. Avvengono di La Voce dell’Isola n. 23-24 tanto in tanto delle ristrutturazioni, poi le inaugurazioni e di seguito, non essendoci una gestione programmata, avviene l’abbandono e la vandalizzazione. Bene se questa è la realtà delle cose, la speranza di questi cittadini che meritano di essere trattati come tutti gli altri, è nella fiscalità di vantaggio rappresentata dalla Zona Franca Urbana. Ma attenzione. Perché la ZFU non sia un ennesimo fallimento, è necessario quanto assolutamente indispensabile, legare gli interventi imprenditoriali di natura privata, ad interventi di “bonifica urbanistica”, e di realizzazione di servizi ed infrastrutture pubbliche capaci di assistere la crescita economico imprenditoriale indotta dalla fiscalità di vantaggio. È necessario inquadrare Librino come città, che deve trovare una sua autonoma esistenza, con interventi pubblici sistematici e continuativi sul territorio ed a tutti i livelli né più né meno di quelli effettuati nel centro cittadino. Presenza sistematica dei servizi pubblici e nuova imprenditoria sono un binomio indissolubile per il successo dell’iniziativa. Sicurezza, pulizia, trasporti, servizi pubblici, viabilità, spazi culturali, devono essere idonei ad un’utenza di 100.000 cittadini. Una persona che conosce bene Librino mi ha fatto notare come il vandalismo ha distrutto il teatro Moncada appena ristrutturato, come tanti altri spazi inutilizzati, ma la “Porta della Bellezza” non è stata mai toccata, pur essendo in uno spazio aperto e alla portata di tutti. Alla mia domanda perché? La risposta è stata: alla realizzazione hanno attivamente collaborato duemila bambini di dieci scuole di Librino con lo scopo di renderli protagonisti di un progetto artistico-etico. Costruire imprese ed economia del territorio con il territorio per rafforzare il significato dell’appartenenza, questo dovrà significare la zona franca urbana. 20 Dicembre 2009 DOSSIER 10 La Zona Franca Urbana ha lo scopo di favorire lo sviluppo economico e sociale di aree deboli Per librino una grande opportunità Ecco tutte le agevolazioni previste cinque anni precedenti il trasferimento. Ai contribuenti che creano un’attività nell’ambito di un trasferimento, di una concentrazione o di una ristrutturazione dell’attività precedentemente esercitata in una Zona Franca Urbana. Quando un contribuente non esercita la totalità delle sue attività in una zona franca urbana, il reddito esonerato è determinato secondo un determinato rapporto. Qualora l'azienda svolga un'attività non stabile (es. impresa di pulizia, impresa edile etc.) essa può beneficiare dell'agevolazione fiscale se rispetta almeno una delle condizioni seguenti: realizzare almeno il 25% del volume d'affari con clienti residenti nella zfu; assumere almeno un dipendente a tempo pieno che svolge in maniera stabile il suo lavoro in locali situati nella zfu. Se l'azienda ha più stabilimenti, negozi o laboratori non tutti localizzati all'interno della zfu, l'esonero fiscale è determinato solo ed esclusivamente sull'attività svolta all'interno della zfu. - Resta invariato il trattamento fiscale sui seguenti proventi (imponibili secondo il regime ordinario): utili di società non derivanti da attività esercitate in una zona franca urbana; ricavi derivanti da sovvenzioni, liberalità e rinunce di crediti; ricavi derivanti da operazioni finanziarie; ricavi derivanti da diritti della proprietà, industriali o commerciali, quando tali diritti non derivano da attività esercitate in una delle zone franche urbane. di MIRCO ARCANGELI L a Zona Franca Urbana (da non confondere con la classica Zona Franca comunemente chiamata, la quale permette uno sgravio totale “franco” su tutto un territorio, di tutto quanto normalmente preteso a livello fiscale dallo Stato ed in genere per rispondere a problematiche “frontaliere”) è un determinato quartiere “zona urbana”, dove attraverso lo strumento della fiscalità di vantaggio vengono ammesse agevolazioni fiscali e contributive dirette alla creazione di nuove attività economiche e di nuova occupazione nei settori della micro e della piccola impresa, con lo scopo di favorire lo sviluppo economico e sociale di aree urbane più deboli e con potenzialità di sviluppo inespresse. AGEVOLAZIONI Le agevolazioni previste nelle ZFU vedono come destinatarie le imprese, ma non tutte. Infatti tale beneficio spetta esclusivamente alle imprese che soddisfano i seguenti requisiti: - Impiegare non più di 50 lavoratori dipendenti e aver realizzato sia un volume d’affari non superiore a 10 milioni di euro, sia avere un totale di bilancio non superiore a 10 milioni di euro. - Il suo capitale o i suoi diritti di voto non devono essere detenuti, direttamente o indirettamente, per una quota almeno pari al 25 per cento, da un’impresa o da più imprese congiuntamente, il cui volume d’affari annuo superi 50 milioni di euro o il cui totale di bilancio superi 43 milioni di euro; l’attività principale esercitata non deve riguardare il settore della costruzione di automobili, della costruzione navale, della fabbricazione di fibre tessili artificiali o sintetiche, della siderurgia o del trasporto su strada di merci. Come norma di principio, l’impresa stabilita in una zona franca urbana non deve esercitare alcuna delle attività che sono escluse dal campo di applicazione. Tuttavia la condizione di esclusività e considerata rispettata quando un’attività, autonomamente non ammessa alle agevolazioni, viene svolta a titolo accessorio e costituisce la componente indivisibile di una attività esonerata. - Inoltre anche le imprese che hanno avviato l'attività prima del 01/01/2008 all'interno della zfu possono fruire delle agevolazioni nel limiti di un plafond di 100.000 euro nell'arco di un periodo di 36 mesi (aiuto in regime de minimis). - Il regime di esonero è applicabile quale che sia la forma giuridica dell'impresa: commercianti, artigiani, ditte individuali, società di persone, società di capitale, liberi professionisti. Attraverso lo strumento della fiscalità di vantaggio vengono ammesse agevolazioni fiscali e contributive dirette alla creazione di nuove attività economiche e di nuova occupazione nei settori della micro e della piccola impresa I BENEFICI FISCALI - Esonero dall'imposte sul reddito realizzato dalle attività localizzate nella zona franca urbana. L'esonero fiscale è totale nei primi cinque anni di attività. Per l'anno successivo e sino al decimo l'esonero e limitato al 60%, dal 11° anno al 12 ° lo sgravio e limitato al 40%, infine per il 13° e il 14° lo sgravio e pari al 20%. - L'esenzione spetta sino alla concorrenza dell'importo di € 100.000 del reddito derivante dall'attività svolta nella zona fran- La Porta della Bellezza di Librino a Catania N elle foto di questo Dossier, la Porta di Librino: una gigantesca opera di riqualificazione, composta complessivamente da 9000 formelle Tredici opere ispirate al tema della Grande Madre. La superiore, realizzata da un artista, e la parte inferiore creata dai bambini. Lungo il muro sfilano così grandi figure femminili, ora piene ora stilizzate, cornucopie, simboli di fertilità, forme totemiche: segni, impronte, linee che, nella lo- 20 Dicembre 2009 ro monumentalità, inneggiano alla vita, alla natura, al cosmo, a un’idea di futuro. Tra un’opera e l’altra, i versi di alcune poesie scritti da famosi poeti come Dante Alighieri, Mario Luzi, Emily Dickinson, Oscar Wilde. Il muro è lungo tre chilometri e, al momento, solo 500 metri sono stati decorati. Lanciamo una scommessa alla città. Facciamo in modo che insieme allo sviluppo della ZFU si completi tutto il muro. ca urbana, maggiorato, dal periodo in corso al 01 gennaio 2009 e per ciascun periodo d'imposta, di un importo pari a € 5.000, ragguagliato ad anno, per ogni nuovo assunto a tempo indeterminato, residente all'interno del sistema locale di lavoro in cui ricade la zona franca urbana - Esenzione IRAP per i primi cinque periodi d'imposta, fino a concorrenza di € 300.000, per ciascun periodo d'imposta, del valore della produzione netta. - Esenzione ICI per un periodo di 5 anni, per gli immobili di proprietà delle aziende siti nella zona franca urbana e utilizzati effettivamente per lo svolgimento di un'attività economica. - Esonero per chi esercita l’attività di locazione di immobili limitatamente ai redditi derivanti dai soli immobili situati in una zona franca urbana. Il reddito esentato non può eccedere 100mila euro per soggetto e per periodo di dodici mesi, aumentato di 5mila euro per ogni nuovo lavoratore dipendente assunto dal 1° gennaio 2009 domiciliato in una zona urbana sensibile o in una zona franca urbana e impiegato a tempo pieno durante un periodo di almeno sei mesi. LIMITAZIONI - L’esonero fiscale non si applica: alla creazione di attività in zone franche urbane conseguente al trasferimento di un’attività precedentemente esercitata da un contribuente che aveva goduto dell’esonero nei I BENEFICI CONTRIBUTIVI - L'esonero dal pagamento dei contributi sulle retribuzioni da lavoratore dipendente nei limiti di un massimale di retribuzione (ancora da definire) nei primi cinque anni di attività. Per l'anno successivo e sino al decimo l'esonero e limitato al 60%, dal 11° anno al 12 ° lo sgravio e limitato al 40%, infine per il 13° e il 14° lo sgravio e pari al 20% - L'esonero si applica a partire dal 01/01/2008 per i dipendenti in forza presso aziende insediate nella zona franca urbana, oppure a partire dalla data di assunzione del lavoratore. - L'esonero dei contributi riguarda le imprese insediate nelle aree rientranti nella zfu e che ivi dispongono degli elementi necessari per lo svolgimento dell'attività da parte del personale dipendente. - L'agevolazione contributiva spetta solo in caso di contratti a tempo indeterminato, a tempo determinato di durata non inferiore ai dodici mesi e a condizione che la forza lavoro risieda nell'area in cui ricade la zona franca. - L'azienda conserva ugualmente l'agevolazione contributiva su tutto il personale utilizzato a condizione che almeno il 30% degli occupati risieda nell'area zfu. - Esonero dal pagamento dei contributi sociali personali alle medesime condizioni dei lavoratori dipendenti per tutti coloro che svolgono un'attività autonoma (artigiani, commercianti, amministratori di società commerciali e di servizi). Sono ricompresi sia i lavoratori autonomi presenti nella zona franca urbana alla data del 01/01/2008 sia coloro che avvieranno un'attività successivamente a tale data. MODALITA’ DI ACCESSO. - L’accesso ai benefici avverrà secondo una procedura in via di perfezionamento da parte del Ministero dell’economia e delle finanze. La domanda di accesso alle agevolazioni sarà effettuata per via telematica. Tutte le imprese ammesse avranno la certezza assoluta della integrale copertura finanziaria dei benefici.. 11 Per la prima volta in Italia si opera per riqualificare i quartieri “abbandonati” In 22 città le aree individuate per l’esperimento delle “ZFU” La ripartizione delle risorse economiche (totale € 99.955.833) 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) 8) 9) 10) 11) 12) 13) 14) 15) 16) 17) 18) 19) 20) 21) 22) Catania Napoli Taranto Gela Torre Annunziata Massa e Carrara Quartu Sant'Elena Andria Crotone Lamezia Terme Pescara Cagliari Mondragone Lecce Rossano Iglesias Velletri Erice Matera Campobasso Sora Ventimiglia € 7.349.992 € 6.463.854 € 6.197.044 € 5.718.855 € 5.344.789 € 5.205.676 € 5.081.610 € 4.903.024 € 4.856.770 € 4.759.927 € 4.290.065 € 4.288.153 € 3.961.711 € 3.900.508 € 3.868.976 € 3.827.886 € 3.827.471 € 3.797.252 € 3.660.334 € 3.163.024 € 2.900.268 € 2.588.643 Alcuni esempi di casi pratici di Zona Franca Urbana Caso 1 Azienda di servizi (impianti idraulici, elettrici, manutenzione edifici, manutenzione elettrodomestici, smacchiatorie, servizi in genere alla casa, come pure servizi alla persona quali parrucchieri, estetisti). Costituita in forma individuale con due dipendenti assunti a tempo indeterminato, di cui almeno uno residente nella zfu. L’azienda realizza un utile di 40.000 nel primo anno, di 50.000 nel secondo e di 70.000 nel terzo anno. Dal primo anno si avrà l'esonero contributivo per i due dipendenti e per il titolare. Considerando una retribuzione ipotetica di media mensile di € 1.300,00 si avrà il seguente risparmio: Caso 2 Azienda di servizi di pulizia costituita in forma di società a responsabilità limitata con dieci dipendenti assunti a tempo indeterminato, di cui almeno tre residenti nella zfu. L’azienda realizza un utile (ante decontribuzione da zfu) di 50.000 nel primo anno, di 60.000 nel secondo e di 70.000 nel terzo anno. Dal primo anno si avrà l'esonero contributivo per i dieci dipendenti e per l’amministratore, che percepisce un compenso di € 3.000,00 al mese. I dipendenti percepiscono invece una retribuzione media mensile di € 1.300,00. Il risparmio sarà il seguente: Sul costo del lavoro Sul costo della previdenza del titolare anno 2010-> risparmio 10.140,00 anno 2010-> risparmio8.000,00 anno 2011-> risparmio 10.140,00 anno 2011-> risparmio 10.079,00 anno 2012-> risparmio 10.140,00 anno 2012-> risparmio 14.279,00 TOTALE 30.420,00 TOTALE 32.358,00 Sull’irpef Sull’Irap: anno 2010-> risparmio 11.520,00 anno 2010-> risparmio2.952,00 anno 2011-> risparmio 15.320,00 anno 2011-> risparmio3.352,00 anno 2012-> risparmio 23.370,00 anno 2012-> risparmio4.152,00 TOTALE 50.210,00 TOTALE 10.456,00 Per un risparmio totale per questa impresa di 123.444,00 nei primi tre anni. Sul costo del lavoro Sul costo previdenziale amministratore anno 2010-> risparmio 50.700,00 anno 2010-> risparmio9.619,00 anno 2011-> risparmio 50.700,00 anno 2011-> risparmio9.619,00 anno 2012-> risparmio 50.700,00 anno 2012-> risparmio9.619,00 TOTALE 152.100,00 TOTALE 28.857,00 Sull’ires Sull’Irap anno 2010-> risparmio 13.750,00 anno 2010-> risparmio 8.760,00 anno 2011-> risparmio 16.500,00 anno 2011-> risparmio 9.160,00 anno 2012-> risparmio 19.250,00 anno 2012-> risparmio 9.560,00 TOTALE 49.500,00 TOTALE 27.480,00 Per un risparmio totale per questa impresa di 257.937,00 nei primi tre anni. La Voce dell’Isola n. 23-24 12 Politica Protesta “no stop” della collettività per la pericolosità dell’impianto A Niscemi il MUOS fra tre anni sarà completamente operativo di ERNESTO GIRLANDO N on è per contraddire Barack Obama e chi sostiene che gli Usa sono il “Paese dove tutto è possibile. Il Paese dove tutto è possibile è l’Italia. Da sempre. Specie se a imporre “il tutto possibile” sono proprio gli States. Si sa, non c’è posto, angolo, scorcio della Sicilia che non sia stato prima o poi toccato dalla mano colonizzatrice dell’esercito americano. Ovunque stazioni radar, centri per comunicazioni, poligoni di tiro, e poi il fiore all’occhiello: la base di Sigonella. Per non dimenticare Comiso, i missili nucleari e la più grande base Nato nel Mediterraneo che la Storia ha per fortuna spazzato via. Ma per una volta ancora il sud est siciliano torna agli “onori” di una cronaca nondimeno impalpabile, scarsamente prodiga di notizie, mentre passa quasi del tutto sotto silenzio l’ennesimo atto di una vicenda che preoccupa non poco. Tutto ha inizio il 19 febbraio del 2008, giorno in cui in gran segreto, iniziano i lavori di costruzione delle strutture atte ad ospitare un sofisticato sistema di telecomunicazione satellitare: il MUOS (Mobile User Objective System). Il posto prescelto è l’antico feudo “Ulmo”, a poco più di due chilometri di distanza dal centro abitato di Niscemi. Nessuno ne dà notizia. All’epoca il governo è guidato da Romano Prodi, mentre il dicastero alla Difesa è occupato da Arturo Parisi. Tuttavia, nell’ottobre successivo il governo regionale, nella persona dell’assessore al Turismo e Ambiente, Giuseppe Sorbello, chiede al Consiglio siciliano per la protezione del patrimonio naturale (l’area dove sta sorgendo la struttura è una riserva naturale) di “fornire chiarimenti e un supplemento di istruttoria in relazione al progetto Muos”. Dovrà essere in primis il comune di Niscemi, che ha rilasciato il nulla osta alla valutazione di incidenza, a fare chiarezza su un punto: se in sede di rilascio del nulla osta si sia tenuto nella dovuta considerazione la problematica riguardante le emissioni elettromagnetiche. Nel frattempo saltano fuori diversi elementi allarmanti. Uno, la potente stazione di telecomunicazione UHF sorgerà all’interno della Riserva Naturale Orientata “Sughereta”; due, l’amministrazione comunale di Niscemi era da tempo a conoscenza del progetto al punto da averne già valutato la compatibilità ambientale. Nessuno, men che mai le popolazioni locali, erano però state messe al corrente dall’amministrazione locale o dal governo di centrosinistra (di cui verdi, comunisti e compagnia cantante facevano parte) o dalle autorità militari italiane e statunitensi. Intanto i lavori per le strutture idonee a ospitare le tre grandi antenne radar circolari dal diametro di 18,4 metri, le due torri radio alte 149 metri, la centrale di comando, il deposito carburanti e le strade di collegamento proseguono a pieno ritmo. Il completamento è previsto entro tre anni, i lanci dei satelliti nel 2010 e nel 2011 il sistema sarà operativo. Nessuno si incarica però di verificare i possibili effetti delle onde elettromagnetiche sulla salute delle popolazioni che vivono a po20 Dicembre 2009 chi metri di distanza, l’incidenza sul ciclo vitale delle specie animali e vegetali che albergano all’interno della riserva. Ciò che è certo è che negli Stati Uniti simili impianti vengono installati in zone desertiche. Ma c’è di più: l’allarme per gli additivi e gli altri prodotti, notoriamente nocivi, contenuti negli ingenti quantitativi di gasolio che consumeranno gli impianti di telecomunicazione tembre 2008, alla conferenza dei servizi indetta dall’assessorato regionale al Territorio e Ambiente. In progetto. Allo scopo incaricherà tre tecnici: un cartografo, un agronomo e un botanico. Dalla relazione dei tre professionisti, consegnata il mese scorso, emerge la scar-sa attendibilità dello studio presentato dalla Marina statunitense. A parte l’incompletezza di alcune importanti informazioni tecniche, manca qualsiasi tipo di valutazione Non c’è posto, angolo, scorcio della Sicilia che non sia stato prima o poi toccato dalla mano colonizzatrice dei militari statunitensi: ovunque stazioni radar, centri per comunicazioni, poligoni di tiro, aeroporti della nuova base. Considerando che a Niscemi sono attualmente installate oltre 40 antenne di trasmissione ad alta frequenza, che la zona è soggetta agli effetti negativi degli effluvi del vicino impianto Eni di Gela, i rischi per la salute delle popolazioni locali aumentano in maniera esponenziale. Intanto trascorrono sei mesi dall’inizio dei lavori. Si arriva all’8 set- questa sede, presenti i rappresentanti dell’ente gestore della riserva e due tecnici del comune di Niscemi, viene rilasciato “parere favorevole” sullo studio ambientale svolto dall’U.S. Navy. Non mancheranno le pressioni e la mobilitazione dell’opinione pubblica locale che spingerà l’amministrazione comunale niscemese a rivedere la valutazione ambientale del dell’impatto che l’impianto avrà sull’eco sistema. Mancano nella relazione documenti definiti “fondamentali” come le relazioni paesaggistica e faunistica e la Carta dei vincoli della riserva. E non saranno soltanto i lavori del progetto Muos a mettere a rischio molte specie animali e vegetali all’interno della riserva, ma anche e soprattutto le emissioni elettroma- gnetiche che prefigurano un quadro allarmante, considerato che già senza le antenne del Muos esse hanno già raggiunto in contrada Ulmo limiti preoccupanti. I monitoraggi effettuati dall’Arpa, l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente, hanno rilevato più volte valori oltre i limiti consentiti dalla legge. Insomma, a ripetersi è la storia di sempre. Petrolieri, militari, imprenditori stranieri: la colonizzazione della Sicilia non conosce soste. Un’intera classe politica, attenta solo ai maneggi del potere, non interviene per fermare lo scempio perenne di una Sicilia che giorno dopo giorno rischia di essere depredata delle sue risorse e delle sue ric-chezze. Anche il comportamento dei militari statunitensi è quello di sempre, in una terra dove tutto è possibile, dove tutto è stato reso loro possibile. Governi di centrodestra o di centrosinistra, quando c’è da sacrificare qualcosa all’altare degli interessi internazionali, economici o politici o militari, la merce di scambio è sempre la Sicilia, pezzo dopo pezzo ceduta contro i suoi stessi interessi. Revoca dell'autorizzazione del Comune di Niscemi ma l'ultima parola adesso spetta alla Regione È stata revocata dall'amministrazione comunale di Niscemi l'autorizzazione all'installazione del Muos, il sistema di un'antenna per la telecomunicazione satellitare della marina militare americana al servizio della base di contrada Ulmo che sarebbe dovuta sorgere alla periferia del centro abitato di Niscemi, ma, a breve distanza dalle campagne di Caltagirone. Contro il progetto si erano espressi cittadini, comitati ed ambientalisti ma anche amministratori comunali di 13 paesi della zona, fra i quali, nel Calatino, Caltagirone, Mirabella Imbaccari, San Cono e Mazzarrone. L'autorizzazione era stata rilasciata come semplice parere di impatto ambientale nel corso di una conferenza di servizi svoltasi a Palermo presso l'assessorato regionale Territorio e Ambiente. La revoca in autotutela da parte del Comune di Niscemi è avvenuta a seguito della presentazione di uno studio da parte di tre tecnici sulla valutazione dell'incidenza ambientale presentata dalle autorità militari americane nell'estate del 2008. Dallo studio emergono elementi di asserita grave inadeguatezza della stessa valutazione effettuata dagli Usa. “Chiederemo – afferma l'assessore alle Politiche ambientali del Comune di Caltagirone Vincenzo Di Stefano – la riconvocazione della conferenza di servizio presso l'assessorato regionale Territorio e Ambiente perchè si arrivi a un pronunciamento negativo prima da parte della stessa conferenza di servizio e poi ad opera del governo regionale, che ha l'ultima parola sul diniego definitivo dell'autorizzazione”. “Continueremo a batterci in tutte le sedi competenti, insieme alle altre amministrazioni impegnate su questo versante – sottolinea il sindaco Francesco Pignataro - perché vengano definitivamente scongiurati i rischi connessi al Muos e si tutelino, quindi, la salute dei cittadini e l'ambiente”. La Voce dell’Isola n. 23-24 Sviluppo 13 Gli impianti che saranno utilizzati sono di solare termico a concentrazione Il fotovoltaico è veramente fonte energetica alternativa di SEBANIA LIBERTINO I l fotovoltaico è veramente una fonte energetica alternativa? A questa domanda, in apparenza semplice, si può rispondere in vari modi. La risposta immediata è “Si!”, perché non inquina, o meglio inquina (realizzazione e montaggio dei pannelli) in maniera contenuta e utilizza una fonte rinnovabile. Ma la domanda che ci si dovrebbe porre è un'altra: è realmente fruibile per tutti? Questa risposta è più complessa. Infatti, è noto che servono ampie superfici sempre esposte alla luce e non tutti gli Stati le hanno. Per un attimo lasciamo perdere il fatto che la Sicilia ha sole in abbondanza e, purtroppo, non è sfruttato a dovere. E parliamo dei paesi nordici, in testa la Germania. I tedeschi sanno che il sole da loro non fa capolino spesso e sono più frequenti le giornate uggiose rispetto a quelle assolate. Ma si danno per vinti? loro no, ed infatti decidono di utilizzare la parte più assolata della Terra per produrre energia elettrica: il deserto del Sahara! Ma facciamo un passo indietro. Esiste un’iniziativa industriale, al momento la prima, per produrre energia rinnovabile, nell’ottica di uno sviluppo sostenibile utilizzando i deserti del Medio Oriente e del Nord Africa. I paesi coinvolti sono Europa, Medio Oriente e Nord Africa. La cooperazione, denominata “Eumena” dalle iniziali dei paesi coinvolti, ha come obiettivo la fornitura su larga scala di energia elettrica, almeno il 15% del fabbisogno, a detti paesi entro il 2050. Lo scorso 30 ottobre a Monaco, una serie di aziende ha dato vita alla fondazione “Desertec” ed ha firmato l’iniziativa industriale “DII GmbH”. L’accordo prevede la fornitura, utilizzando l’energia eolica (Marocco ed aree attorno al Mar Rosso) e solare, di energia per soddisfare la domanda elettrica delle regioni dell’Eumena. L’energia elettrica prodotta sarà inviata dai luoghi di produzione alle regioni interessate utilizzando linee di trasmissione di corrente diretta ad alta tensione con perdite massime del 15%. Gli impianti che saranno utilizzati sono di solare termico a concentrazione. I pannelli sono dotati di specchi che concentrano la luce solare per creare calore che è usato per produrre vapore che muoverà turbine e generatori elettrici. Dal momento che il picco di domanda di fornitura elettrica è al tramonto, esistono diversi progetti di ricerca, anche condotti dalle aziende impegnate nella fondazione, per immagazzinare il calore prodotto durante il giorno e poterlo sfruttare la sera. La ricerca più promettente è basata sull’uso di sali fusi. Infatti, la maggior parte dei sali fondono ad alte temperature, basti pensare che il sale da cucina fonde a circa 800 °C. La luce solare riscalda il sale contenuto in opportune taniche di stoccaggio, e il raffreddamento durante la notte potrebbe produrre energia anche quando il sole non c’è! Un altro studio prevede l’uso di sabbia con l’obiettivo principale di stoccare l’energia solare. Come effetto collaterale interessante, il calore di La Voce dell’Isola n. 23-24 scarto, residuo, del processo di generazione dell’energia elettrica potrebbe essere utilizzato per desalinificare l’acqua di mare. Un ultima nota interessante si legge nel sito della “Desertec”: i deserti ricevono in 6 ore l’energia di cui ha bisogno il genere umano in un anno! Esistono diversi progetti di ricerca per immagazzinare il calore prodotto dal sole durante il giorno e poterlo sfruttare la sera Praticamente inattiva dopo la sua costruzione nel lontano 1981 L’indecorosa fine della centrale Eurelios di Adrano I l sole è una fonte potentissima, ma discontinua e diluita nello spazio. I pannelli solari da installare sul tetto producono acqua calda, utile per i fabbisogni domestici ma non elettricità, mentre i tentativi di generatori solari termodinamici finora hanno deluso le aspettative. Tali strutture consistono in un complicato sistema di specchi in continuo movimento per captare i raggi solari e concentrarli verso una caldaia nella quale si riscaldano fluidi speciali: il calore accumulato viene poi trasformato nel vapore acqueo necessario a produrre corrente elettrica. La Sicilia negli Anni Ottanta si pose all’avanguardia in questo campo della ricerca di energia alternativa con la centrale solare Eurelios di Adrano (potenza di 1 megawatt), realizzata alle falde dell'Etna nell'ambito di un progetto dell'Unione Europea, dopo una fase di sperimentazione durata quasi 10 anni non viene più utilizzata. Costruita da un consorzio italo-franco-tedesco, questa centrale, in servizio dal 1981 al 1987, serviva alla produzione sperimentale di elettricità, mediante pannelli fotovoltaici e per la fornitura di energia nei rifugi di montagna La scelta del sito di Adrano scaturì da uno studio di ricerca del posto più assolato durante l'anno in Europa: la centrale fu costruita. L'esperimento era di poter produrre energia attraverso il convogliamento tramite specchi mobili dei raggi solari su di un boiler posto in cima ad una torre, l'acqua contenuta in esso salendo a temperature alte si trasformava in vapore ad alta pressione, convogliando questo vapore in turbine si creava la forza motrice per far girare un generatore da 10 mega watt. Quantificando in un anno solare l'energia pro- dotta si poteva valutare l'adozione di questo sistema per produrre energia su vasta scala! C’è da chiedersi: perchè il progetto venne accantonato tenuto conto che gli indirizzi scientifici spingono verso lo sfruttamento del calore solare, così come dimostra l'Enea (l’ente per le nuove tecnologie, l'energia e l'ambiente) che sta lavorando al progetto “Solare Archimede” che s'ispira agli specchi ustori, inventati nell'antichità dal grande scienziato siracusano. La centrale solare di Adrano è ancora lì, dove è stata costruita: nel 2005 venne firmato un con- tratto di comodato per la valorizzazione del territorio sede della Centrale stessa. Il progetto riguardava la realizzazione di un Centro di Educazione Ambientale e di un Centro di studi sulle fonti rinnovabili con l’ausilio di laboratori in un’area definita di particolare interesse sotto il profilo naturalistico, paesaggistico, archeologico ed oltre ad essere un’area ecologica rappresenta una zona che vede la presenza di una struttura definita, vista la sua vetustà, di archeologia industriale. Anche di questo accordo oggi si conosce ben poco degli sviluppi pratici. 20 Dicembre 2009 PERIODICO DI INFORMAZIONE • ECONOMIA • CULTURA • TURISMO E SPETTACOLO • ANNO QUINTO Nº 1-12 • DICEMBRE 2009 S enza accorgercene, siamo tutti dentro Lisbona. Dal primo dicembre di quest’anno cambia irrevocabilmente il nostro rapporto con l’Unione Europea, ma la cosa è passata praticamente sotto silenzio, un po’ come avvenne al momento della ratifica del trattato. Sopratutto nel nostro paese, dopo che il trattato è stato passato al vaglio delle Camere, senza sentire il parere del popolo. E se uno dei costituenti europei, Giuliano Amato, uno degli architetti del trattato di Lisbona, ha già più di un anno fa ammesso che il pensiero dietro il Trattato potrebbe riportare l’Europa al Medioevo (sebbene l’attuale presidente dell’Enciclopedia Treccani lo diceva in senso elogiativo...), l’aria non sembra delle migliori. Nubi si addensano sul futuro dell’Unione. Ma cosa dice, in sostanza, il trattato? Lisbona, in breve Il trattato di Lisbona modifica il trattato sull’Unione europea e quello che istituisce la Comunità europea, attualmente in vigore, senza tuttavia sostituirli. Il nuovo trattato, a detta dei suoi estensori, doterà l’Unione del quadro giuridico e degli strumenti necessari per far fronte alle sfide del futuro e rispondere alle aspettative dei cittadini. Questi i punti salienti: 1. Un’Europa più democratica e trasparente, che rafforza il ruolo del Parlamento europeo e dei parlamenti nazionali, offre ai cittadini maggiori possibilità di far sentire la loro voce e chiarisce la ripartizione delle competenze a livello europeo e nazionale. * Un ruolo rafforzato per il Parlamento europeo: il Parlamento europeo, eletto direttamente dai cittadini dell’UE, sarà dotato di nuovi importanti poteri per quanto riguarda la legislazione e il bilancio dell’UE e gli accordi internazionali. In particolare, l’estensione della procedura di codecisione garantirà al Parlamento europeo una posizione di parità rispetto al Consiglio, dove sono rappresentati gli Stati membri, per la maggior parte degli atti legislativi europei. * Un maggiore coinvolgimento dei parlamenti nazionali: i parlamenti nazionali potranno essere maggiormente coinvolti nell’attività dell’UE, in particolare grazie ad un nuovo meccanismo per verificare che l’Unione intervenga solo quando l’azione a livello europeo risulti più efficace (principio di sussidiarietà). Questa maggiore partecipazione, insieme al potenziamento del ruolo del Parlamento europeo, accrescerà la legittimità ed il funzionamento democratico dell’Unione. * Una voce più forte per i cittadini: grazie alla cosiddetta “iniziativa dei cittadini”, un gruppo di almeno un milione di cittadini di un certo numero di Stati membri potrà invitare la Commissione a presentare nuove proposte. * Ripartizione delle competenze: la categorizzazione delle competenze consentirà di definire in modo più preciso i rapporti tra gli Stati membri e l’Unione europea. * Recesso dall’Unione: per la prima volta, il trattato di Lisbona riconosce espressamente agli Stati membri la possibilità di recedere dall’Unione. LA SUPER-EUROPA È ANCORA LONTANA Nonostante Lisbona, sono i governi nazionali a dominare lo scenario. E la cosa durerà a lungo... DI MARCO DI SALVO 2. Un’Europa più efficiente, che semplifica i suoi metodi di lavoro e le norme di voto, si dota di istituzioni più moderne e adeguate ad un’Unione a 27 e dispone di una maggiore capacità di intervenire nei settori di massima priorità per l’Unione di oggi. * Un processo decisionale efficace ed efficiente: il voto a maggioranza qualificata in seno al Consiglio sarà esteso a nuovi ambiti politici per accelerare e rendere più efficiente il processo decisionale. A partire dal 2014, il calcolo della maggioranza qualificata si baserà sulla doppia maggioranza degli Stati membri e della popolazione, in modo da rappresentare la doppia legittimità dell’Unione. La doppia maggioranza è raggiunta quando una decisione è approvata da almeno il 55% degli Stati membri che rappresentino almeno il 65% della popolazione dell’Unione. * Un quadro istituzionale più stabile e più semplice: il trattato di Lisbona istituisce la figura del presidente del Consiglio europeo, eletto per un mandato di due anni e mezzo, introduce un legame diretto tra l’elezione del presidente della Commissione e l’esito delle elezioni europee, prevede nuove disposizioni per la futura composizione del Parlamento europeo e per una Commissione ridotta e stabilisce norme più chiare sulla cooperazione rafforzata e sulle disposizioni finanziarie. * Migliorare la vita degli europei: il trattato di Lisbona migliora la capacità di azione dell’UE in diversi settori prioritari per l’Unione di oggi e per i suoi cittadini. È quanto avviene in particolare nel campo della “libertà, sicurezza e giustizia”, per affrontare problemi come la lotta al terrorismo e alla criminalità. La stessa cosa si verifica, in parte, anche in ambiti come la politica energetica, la salute pubblica, la protezione civile, i cambiamenti climatici, i servizi di interesse generale, la ricerca, lo spazio, la coesione territoriale, la politica commerciale, gli aiuti umanitari, lo sport, il turismo e la cooperazione amministrativa. 3. Un’Europa di diritti e valori, di libertà, solidarietà e sicurezza, che promuove i valori dell’Unione, integra la Carta dei diritti fondamentali nel diritto primario europeo, prevede nuovi meccanismi di solidarietà e garantisce una migliore protezione dei cittadini europei. * Valori democratici: il trattato di Lisbona precisa e rafforza i valori e gli obiettivi sui quali l’Unione si fonda. Questi valori devono servire da punto di riferimento per i cittadini europei e dimostrare quello che l’Europa può offrire ai suoi partner nel resto del mondo. * I diritti dei cittadini e la Carta dei diritti fondamentali: il trattato di Lisbona mantiene i diritti esistenti e ne introduce di nuovi. In particolare, garantisce le libertà e i principi sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali rendendoli giuridicamente vincolanti. Il trattato contempla diritti civili, politici, economici e sociali. * Libertà dei cittadini europei: il trattato di Lisbona mantiene e rafforza le quattro libertà fondamentali, nonché la libertà politica, economica e sociale dei cittadini europei. * Solidarietà tra gli Stati membri: il trattato di Lisbona dispone che l’Unione e gli Stati membri sono tenuti ad agire congiuntamente in uno spirito di solidarietà se un paese dell’UE è oggetto di un attacco terroristico o vittima di una calamità naturale o provocata dall’uomo. Pone inoltre l’accento sulla solidarietà nel settore energetico. * Maggiore sicurezza per tutti: la capacità di azione dell’Unione in materia di libertà, sicurezza e giustizia sarà rafforzata, consentendo di rendere più incisiva la lotta alla criminalità e al terrorismo. Anche le nuove disposizioni in materia di protezione civile, aiuti umanitari e salute pubblica contribuiranno a potenziare la capacità dell’Unione di far fronte alle minacce per la sicurezza dei cittadini. 4. Un’Europa protagonista sulla scena internazionale, il cui ruolo sarà potenziato raggruppando gli strumenti comunitari di politica estera, per quanto riguarda sia l’elaborazione che l’approvazione di nuove politiche. Il trattato di Lisbona permetterà all’Europa di esprimere una posizione chiara nelle relazioni con i partner a livello mondiale. Metterà la potenza economica, umanitaria, politica e diplomatica dell’Europa al servizio dei suoi interessi e valori in tutto il mondo, pur rispettando gli interessi particolari degli Stati membri in politica estera. * La nuova figura di alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, che sarà anche vicepresidente della Commissione, è destinata a conferire all’azione esterna dell’UE maggiore impatto, coerenza e visibilità. * Un nuovo servizio europeo per l’azione esterna assisterà l’alto rappresentante nell’esercizio delle sue funzioni. * La personalità giuridica unica conferita all’Unione ne rafforzerà il potere negoziale, potenzierà ulteriormente la sua azione in ambito internazionale e la renderà un partner più visibile per i paesi terzi e le organizzazioni internazionali. * La politica europea di sicurezza e di difesa, pur conservando dispositivi decisionali speciali, agevolerà la cooperazione rafforzata tra un numero ristretto di Stati membri. Ma... Chi critica da destra e sinistra il trattato ne sottolinea due aspetti: le caratteristiche verticistiche della decisione e l’obiettivo di ridurre il ruolo degli Stati nazionali. In Europa, dicono i critici, è in atto la distruzione dei residui di sovranità nazionale per instaurare quello che l’ex premier britannico Tony Blair saluta entusiasticamente come il nuovo ordine “post Westfalia”, che passa attualmente per il Trattato di Lisbona che prevede l’instaurazione di un governo unico a Bruxelles, di una dittatura che nessun europeo vota. Il progetto di un super-Stato europeo, dominato da interessi privati oligarchici, fu l’essenza dei movimenti fascisti nell’Europa del XX secolo, che aveva all’origine il piano della sinarchia mondiale concepito da Saint-Yves d’Alveydre e che è passato attraverso i vari disegni di Hitler, di Mussolini, dell’Unione Paneuropea di Coudenhove-Kalergi e della “Europe a Nation” di sir Oswald Mosley. In ciascuna istanza si tratta di piani di corporativismo fascista che prevedevano l’instaurazione di una dittatura imperiale sull’Europa, gestita attraverso strutture di potere decentralizzate, operanti a livello metropolitano o regionale, passando sul cadavere delle forme rappresentative dei governi nazionali. Questo è di nuovo oggi, nella sostanza, lo scopo del Trattato di Lisbona, o “Trattato di riforma”. Dall’altra parte a guardare bene, in realtà, i primi passi di attuazione di questo trattato sembrano andare in tutt’altra direzione. Basti vedere come si è svolta la vicenda della scelta del presidente dell’Unione e del rappresentante della Politica Europea (mr., o meglio, mrs. Pesc). Tutti i commentatori sono unanimi nel definire le scelte compiute come di basso profilo, segno che il controllo dei governi nazionali sull’Europa unita è ancora ben saldo. E anche la conferma di Barroso alla guida della Commissione europea va nella stessa direzione. Un presidente docile, che non si mette di mezzo quando i grandi paesi decidono di dimenticarsi per un attimo di fare parte dell’Unione e decidono politiche autonome, guardando solo ai loro interessi nazionali. L’epoca della Super-Europa è ancora lontana e chi governa il mondo davvero non può che esserne contento. Per il momento, un problema in meno. 2 3 Per promuovere il ruolo geo-economico-politico dell’Italia come cerniera tra la megalopoli europea e quella mediterranea. E il Mezzogiorno come baricentro della "zona di libero scambio" Un decalogo per individuare una prospettiva di sviluppo dell’area Euro-Mediterranea di Aldo Loris Rossi Q uesto decalogo tende ad individuare una “prospettiva euromediterranea” che promuova il ruolo geo-economico-politico dell’Italia come cerniera tra la megalopoli europea e quella mediterranea; e del Mezzogiorno, baricentro del Mediterraneo e “zona di libero scambio” (Conferenza di Barcellona, 1995), come Piattaforma Logistica Intermodale proiettata sul mare. Questa prospettiva di medio e lungo termine scaturisce dall’esame dei problemi tutt’ora aperti esemplificati nei seguenti temi. 1. L’era post-industriale e gli squilibri euro-mediterranei. 2. L’esplosione demografica e la globalizzazione di infrastrutture, mercati e sistemi urbani. 3. La crisi ambientale incombente: l’insostenibilità del modello tardo-industriale e del “mito dello sviluppo illimitato”. 4. La dinamica demografica europea e mediterranea. 5. La rifondazione post-industriale della megalopoli europea, la diffusione del nuovo modello di sviluppo e la “green economy”. 6. Le due Italie e la “faglia tra le diverse civiltà” mediterranee. 7. Le previsioni ISTAT al 2051 del declino demografico del Mezzogiorno. 8. La pervasività del grande sistema intermodale dei trasporti euromediterraneo e delle reti telematiche. 9. L’Italia come cerniera tra la megalopoli europea e quella mediterranea. 10. Il Mezzogiorno baricentro del Mediterraneo quale “zona di libero scambio” e Piattaforma Logistica Intermodale proiettata sul mare. Nel 1995 la conferenza euro-mediterranea di Barcellona ha indicato la possibilità di creare entro il 2010 una “zona di libero scambio”. Come è noto, questa prospettiva di cooperazione ha dato risultati più soddisfacenti sul piano culturale che su quello economico. Ma certamente una tale prospettiva è da considerare strategica per realizzare un dialogo continuo quanto indispensabile tra le civiltà che si affacciano sul Mediterraneo. Intanto se l’Italia svolgerà sempre più una funzione di cerniera tra la megalopoli europea e la megalopoli mediterranea, quale può essere il ruolo del Mezzogiorno in tale contesto? In realtà questo ruolo emergerà sempre più chiaramente nella misura in cui si realizzerà la suddetta “zona di libero scambio” soprattutto attraverso la creazione di un sistema intermodale dei trasporti a scala euro mediterranea, che può divenire la forza motrice dello sviluppo del Mezzogiorno. Infatti, mentre le altre politiche eu- Iscritto al n° 27/2004 dell’apposito Registro presso il Tribunale di Catania ropee sono meno centralizzate, il sistema intermodale dei trasporti transnazionali, in quanto scheletro portante dell’armatura urbana della nuova Europa, deve obbedire ad una strategia unitaria e sovraordinata dello sviluppo, definita soprattutto in sede UE. D’altra parte, per misurare la potenza auto-propulsiva delle infrastrutture hard e delle reti soft nel rivitalizzare anche aree difficili, basti considerare che esse si sviluppano in modo esponenziale perché l’era post-industriale spinge incessantemente: da un lato, verso specializzazioni sempre più diversificate; dall’altro, verso una reintegrazione interdisciplinare sempre più inclusiva. Questo doppio movimento determina una moltiplicazione continua delle reti per lo scambio e la distribuzione dei flussi di informazioni, merci e persone, garantendo una connessione sempre più estesa e articolata della città planetaria. Questo processo di globalizzazione è irreversibile e tende a creare un cyberspace aperto, sempre più dinamico, complesso, interattivo. Pertanto la sua pervasività travolgente può essere la forza trainante del suddetto processo di rigenerazione e riequilibrio economico-territoriale dell’armatura urbana nazionale, il quale non può che coinvolgere anche le aree difficili del Mezzogiorno. Ma come si configurerà un tale sistema intermodale dei trasporti a scala euromediterranea? E tale realizzazione sarà capace di vertebrare e rigenerare l’armatura urbana del Mezzogiorno rimettendo in moto l’economia delle città? In generale questo sistema intermodale tende a integrare i quattro Corridoi Trans-Europei che attraversano l’Italia, le “autostrade del mare” e le rotte trans-oceaniche che solcano il Mediterraneo facendo scalo nei grandi porti della riva sud (Tangeri, Orano, Algeri, Tunisi, Sfax, Alessandria, Damietta, Porto Said), quelli della riva orientale (Haifa, Beirut, Latakia, Smirne) e della riva nord (Pireo, Trieste, Venezia, Gioia Tauro, Napoli, Genova, Marsiglia-Fos). Tale sistema intermodale sarà incardinato sul Corridoio Trans-Europeo I, Berlino-Monaco-VeronaNapoli-Palermo, che svolgerà il ruolo di spina dorsale del sistema. Infatti collegherà la megalopoli europea a quella mediterranea: - anzitutto, potenziando la connessione della Sicilia col continente; - poi, disimpegnando adeguatamente il grande porto di Gioia Tauro specializzato nel transhipment dei container che “ha avuto in breve tempo un formidabile decollo raggiungendo la quota di 3 milioni di container/annuo” classificato “di rilevanza internazionale” (Legge 30/98); - inoltre, incrociando i due Corridoi est-ovest, VIII, Napoli- Redazione: Catania - Via Distefano n° 25 Tel/fax 095 533835 E-mail: [email protected] Editore: Mare Nostrum Edizioni Srl Stampa: Litocon Srl - Z.I. Catania Tel. 095 291862 Direttore responsabile: Salvatore Barbagallo Anno V, nº 1-12 Dicembre 2009 Nel corso delle ultime elezioni europee, nel nostro Paese la tematica euromediterranea è stata di fatto espulsa dal dibattito politico nazionale. E non è andata meglio negli altri Stati europei interessati alla futura zona di libero scambio. L'unico candidato - tra l'altro non eletto - che ha presentato un programma relativo a queste problematiche è stato il professor Aldo Loris Rossi, docente di Progettazione Architettonica alla Facoltà di Architettura dell'Università di Napoli. Lo pubblichiamo perché riteniamo sia un documento utile per riflettere sulle prospettive di sviluppo di un'area, il Mezzogiorno d'Italia, da sempre vista solo come zavorra dal resto del Paese. E anche perché disegna uno scenario in cui sembra che, inevitabilmente e nonostante politiche nazionali ed europee non sempre affini a questa ipotesi, il Mezzogiorno sia destinato a divenire, quasi naturalmente, il centro dello sviluppo prossimo venturo. Politica permettendo... Bari-Sofia-Varna sul Mar Nero, aperto ai mercati di Balcani, Grecia, Ucraina, e V Lisbona-MadridMilano-Kiev che collega la costa atlantica alla Russia; - infine, il Corridoio ferroviario, in corso di attuazione, Parigi-Varsavia-Mosca-Pechino percorso dal Trans-Eurasia Express che collegherà il Canale della Manica al Mar Giallo cinese. Dunque, il Corridoio I formerà la spina dorsale di un grande sistema intermodale euro-mediterraneo che investirà l’intero Mezzogiorno. Infatti, attraverserà Campania, Calabria e Sicilia, mentre due sue derivazioni: il Corridoio VIII, disimpegnerà la Puglia; e un’altra diramazione autostradale per Potenza - prolungata fino alla costa ionica, una straordinaria riserva paesaggistica e archeologica da valorizzare anche ai fini del turismo balneare -attraverserà l’intera Basili- cata. In particolare, il tratto lazialecampano del Corridoio I potrà svolgere la funzione di “asse di riequilibrio economico-territoriale” (F. Compagna, ’67) tra le due più grandi metropoli del centro-sud, Roma e Napoli, reintegrate in un super-organismo ecometropolitano pari, per peso demografico, alla “Grande Parigi” (11 milioni di abitanti), ma senza la congestione di quest’ultima. Tale sistema bipolare comprende: i terreni agricoli più fertili delle due regioni (agro romano, piane di Fondi e Garigliano, Terra di Lavoro, agro nocerino-sarnese, piana del Sele); - le aree industriali più vitali; - i “superluoghi” della grande distribuzione, dei macroservizi e della logistica; - le attrezzature di livello superiore (Università, centri di ricerca, servizi di eccellenza). Insomma questo asse di riequilibrio economico-territoriale potenzierà la sinergia tra attività primarie, secondarie, terziarie e quaternarie, moltiplicandone la vitalità. Intanto tale asse forma un distretto turistico di interesse mondiale perché dotato di uno straordinario patrimonio archeologico-storicopaesaggistico, compreso tra il Tevere e il Sele corrispondente all’arcaico corridoio villanoviano, poi etrusco e al territorio della “regio prima” augustea. A tale proposito il presidente della Camera di Commercio di Roma e Provincia ha dichiarato: “nel campo turistico vedo le due città alleate per catturare i primi flussi turistici della Cina. Che colpo sarebbe un pacchetto Colosseo-San Pietro- Pompei-Capri. Parigi tremerebbe”. Inoltre è dotato di circa 600 Km di costa balneare e altrettanti di parchi naturali montani. Queste due fasce di grande valore paesaggistico, destinate al tempo libero, possono essere raccordate all’asse di riequilibrio economico-territoriale RO-SA attraverso: le sette direttrici montane irpino-sannite da potenziare con aree produttive e servizi per rivitalizzare le due province interne collegate a monte da un “corridoio ecologico” coincidente con la via Minucia, Sulmona-Benevento; - le sette direttrici marine opposte capaci di decongestionare le tre province costiere da attrezzare con attività ricettive, balneari e porti turistici collegati alle “autostrade del mare”, beninteso, nel rispetto dei valori paesaggistici. In merito alla mobilità, l’asse di riequilibrio RO-SA è oggi disimpegnato: - dall’Alta Velocità in circa un’ora; - dal quarto aeroporto europeo, l’hub di Fiumicino (25 ml di utenti l’anno) da coordinare a quello internazionale programmato per Grazzanise; - dal più grande porto passeggeri, Napoli (9 ml); mentre tra Roma e Salerno connette sette interporti (Orte, Civitavecchia, Colleferro, Frosinone, Marcianise, Nola, Battipaglia). Ma un tale sistema intermodale dei trasporti assumerà una scala territoriale euromediterranea nella misura in cui sarà realizzato un interscambio diretto tra: - la nuova Stazione dell’alta velocità di Afragola; gli interporti di Nola, Marcianise-Maddaloni, Battipaglia; - il porto crocieristico di Napoli; - l’Aeroporto Internazionale di Grazzanise;- i due Corridoi TransEuropei I e VIII. Tale ruolo eccezionale sarà svolto dal Grande Raccordo Anulare di Napoli, analogo a quello di Roma (23 Km di diametro), che integrato ai suddetti Corridoi si proietterà a scala euro-mediterranea. Questo significa che il Mezzogiorno, baricentro del Mediterraneo, assume il ruolo di una Piattaforma Logistica Intermodale proiettata nel mare. La realizzazione di tale riassetto infrastrutturale attiverà due fenomeni sinergici: - l’inquadramento terziario del territorio (maxiservizi, grande distribuzione, logistica, “superluoghi” polifunzionali); - la riqualificazione quaternaria delle grandi città (centres de conceptione, de decisions, services rares). Pertanto, questo processo potrà innescare una rigenerazione dell’intero patrimonio edilizio, attraverso due politiche complementari di incentivi: - alla conservazione dei centri storici (mediante defiscalizzazione), alla salvaguardia del paesaggio e delle aree agricole da considerare “beni unici e irriproducibili”; - alla rottamazione dell’edilizia post-bellica priva di qualità e non antisismica (mediante incentivi volumetrici), mettendo in moto l’economia delle città. La decisione del Consiglio europeo di avviare negoziati ha aperto la strada alla piena integrazione del paese nelle strutture europee Ostacoli nel processo di adesione della Turchia nell’UE I l processo di adesione della Turchia all’UE sta subendo una brusca frenata? L’aperta opposizione a questa adesione da parte di alcuni leader europei ha causato il rallentamento del processo di riforma della Turchia negli ultimi anni, o si è trattato piuttosto di una mancanza di determinazione da parte del governo di Ankara? Esiste un pericolo di “islamizzazione strisciante” nella società turca? Quante possibilità ci sono di risolvere la questione curda, il problema di Cipro e le divergenze con l’Armenia? Il nuovo importante ruolo geopolitico della Turchia nella regione può rappresentare una risorsa per l’Unione europea? Per rispondere a queste ed altre domande su un tema centrale del dibattito euromediterraneo oggi e negli anni venturi, Europa Mediterraneo pubblica le conclusioni del secondo rapporto della commissione indipendente sulla Turchia, presentato in varie capitali europee tra il settembre e l’ottobre di quest’anno. Gli 11 punti della Commissione Indipendente sulla Turchia 1 La decisione del Consiglio europeo di avviare negoziati di adesione con la Turchia nel 2005 ha aperto la strada alla piena integrazione del paese nelle strutture europee, un’ambizione perseguita dalla Repubblica di Turchia sin dalla sua fondazione, poi accelerata dopo la Seconda Guerra Mondiale con l’adesione al Consiglio d’Europa e a molte altre organizzazioni europee. Purtroppo, le dichiarazioni negative rese da alcuni leader europei poco dopo la decisione unanime dei Capi di Stato e di governo dell’UE, i tentativi di introdurre proposte alternative agli accordi di adesione e gli ostacoli posti sulla strada del negoziato non hanno fatto altro che danneggiare il cammino verso l’adesione. In Turchia questa situazione ha determinato un netto calo di sostegno da parte dell’opinione pubblica nei confronti dell’adesione e ha favorito la mancanza di determinazione del governo nell’insistere nel processo di modernizzazione del paese. Questo, a sua volta, ha alimentato in Europa le argomentazioni degli scettici, secondo i quali lo stop alle riforme provava l’inadeguatezza della Turchia a far parte dell’Unione. La Commissione Indipendente ritiene che il circolo vizioso così creatosi debba essere interrotto con urgenza, nell’interesse sia della Turchia che dell’Unione Europea. Occorrerà un cambio di passo sia fra le leadership europee che in quella turca. I governi europei devono onorare gli impegni assunti e trattare la Turchia con equità e con il rispetto che merita. La Turchia, sia a livello di governo che di opposizione, deve incoraggiare i suoi numerosi sostenitori in Europa attraverso un processo di riforme ampio e dinamico, confermando così la volontà e la serietà delle sue ambizioni europee. 2 La decisione del Consiglio europeo è stata chiara: l’obiettivo dei negoziati con la Turchia è l’adesione, non alternative come un “partenariato privilegiato” o una non meglio precisata “relazione speciale”, che varrebbero ad impedire alla Turchia di partecipare al processo politico-decisionale dell’UE e offrirebbero poco valore aggiunto al suo attuale status di membro associato e partner dell’unione doganale. Questi negoziati, inoltre, per quella che è la loro natura, devono essere condotti con l’obiettivo dell’adesione. Nessun paese accetterebbe le tantissime e difficili riforme necessarie ad armonizzare la legislazione interna all’acquis comunitario se l’obiettivo non fosse la piena integrazione. Come per qualsiasi altro negoziato, tuttavia, non esiste la garanzia che l’obiettivo comune venga raggiunto. In questo senso, i negoziati di adesione della Turchia sono certamente un processo aperto. 3 Dopo il periodo d’oro delle riforme del 2000-2005, la Turchia non è riuscita ad insistere su questa strada. Il rallentamento è imputabile in parte ad una reazione agli atteggiamenti negativi nei confronti della Turchia e ad un generale disorientamento dell’UE, ma anche alla mancanza di determinazione dell’AKP e a problemi di ordine interno. Il piano per rovesciare il governo, la Corte costituzionale chiamata a pronunciarsi sullo scioglimento dell’AKP e la pubblica minaccia d’intervento militare, sono tutti elementi riconducibili alle fazioni secolariste presenti nell’esercito,nel potere giudiziario e nei partiti politici. Tali problemi sono ora scomparsi e il partito di governo ha riportato importanti vittorie nelle elezioni del 2007 e del 2009. Il governo ha stilato inoltre un nuovo programma nazionale di riforme europee, cui dovrebbe adesso attenersi sia nei confronti dell’UE che della popolazione turca. Occorre dare nuovo slancio al processo di riforma, in particolare attraverso il varo di una nuova Costituzione, la nomina di un difensore civico, la garanzia effettiva di piena libertà per le organizzazioni religiose, il rispetto dei valori culturali e una più ampia libertà di espressione. 4 Le trattative in corso fra i leader delle due comunità cipriote presentano la migliore, e probabilmente ultima, occasione per porre fine alla divisione dell’isola e giungere ad una soluzione federale reciprocamente accettata di questa ormai annosa controversia. Un esito positivo porterebbe solo grandi vantaggi per entrambe le parti, eliminerebbe un ostacolo insidioso al processo di adesione della Turchia all’UE e migliorerebbe la stabilità di questa zona geografica del Mediterraneo. Un fallimento delle trattative porterebbe ad una lunga separazione politica dell’isola, che a sua volta creerebbe divisioni anche nell’UE, con una conseguente interruzione dei negoziati con la Turchia. Se la responsabilità di trovare una mediazione spetta alle due comunità dell’isola e alle rispettive classi dirigenti, ai governi europei, in particolare alla Grecia e alla Turchia, spetta il compito di impiegare tutta la loro influenza per assicurare il buon esito dei negoziati. La Turchia, inoltre, deve adempiere gli obblighi che le impone il Protocollo aggiuntivo e aprire i suoi porti ai traffici commerciali grecociprioti. Al tempo stesso, l’UE deve mantenere le promesse fatte nel 2004 per mettere fine all’isolamento della comunità turcocipriota e consentire scambi commerciali diretti con l’UE. 5 Aiutato da una nuova trasparenza e da una maggiore tolleranza acquisita sulla scia delle riforme del periodo 2000-2005, l’AKP al governo ha realizzato più progressi sulla difficile questione curda rispetto a qualsiasi altro precedente governo turco. La cultura curda, oggi, è maggiormente tollerata. All’inizio del 2009 è stato inaugurato un canale televisivo statale 24 ore su 24 in lingua curda e il governo ha iniziato ad attuare con successo un programma di sostegno della Banca mondiale contro la povertà. Sono stati messi da parte vecchi tabù sul governo regionale del Kurdistan in Iraq e questo ha permesso alla Turchia di conseguire una migliore cooperazione nella lotta al PKK. Si tratta certamente di sviluppi positivi. Tuttavia, nell’interesse della stabilità della Turchia, deve essere fatto di più e con maggiore urgenza. Garantire ai curdi l’uso incondizionato della loro lingua e il rispetto della loro identità, assicurare un’uguaglianza reale a tutti i cittadini, proseguire l’impegno per colmare le lacune socio-economiche della parte sudorientale. Solo così sarà possibile eliminare pericolose tensioni e sradicare il problema una volta per tutte. 6 L’importanza della posizione geostrategica della Turchia per l’Europa è evidenziata dal suo ruolo di piattaforma di passaggio per le essenziali forniture di energia provenienti dal Mar Caspio, dall’Asia Centrale e dal Medio Oriente. La Turchia, inoltre, è in grado di offrire alle economie europee un facile accesso ai mercati degli stati dell’Asia Centrale, dove mantiene una solida presenza basata su ragioni geografiche, linguistiche e su legami etnici. Negli ultimi anni, grazie alla sua nuova politica regionale, la Turchia è riuscita ad appianare controversie di lunga data con la maggior parte degli stati vicini, e ad impegnarsi attivamente per risolvere situazioni di crisi in questa ampia area geografica. La Commissione Indipendente ritiene che la piena integrazione della Turchia in Europa non porterebbe affatto l’UE ad invischiarsi in situazioni pericolose in Medio Oriente e nel Caucaso meridionale, al contrario, consentirebbe all’Unione di contribuire fattivamente alla risoluzione dei problemi e alla stabilizzazione della regione. 7 Le relazioni fra turchi e armeni sono da lungo tempo gravate dalle diverse interpretazioni riguardanti la natura dei massacri subiti dagli armeni nel periodo ottomano, dalla mancanza di rapporti diplomatici, dalla chiusura delle frontiere e, indirettamente, dal conflitto nel Nagorno Karabakh fra Armenia e Azerbaigian. Grazie alle dinamiche innescate dal riconoscimento alla Turchia dello status di paese candidato all’adesione all’UE e al conseguente avvio dei negoziati di adesione, sono stati realizzati dei progressi nella maggior parte di queste questioni. In Turchia è iniziato un processo reale per valutare gli eventi del 1915, compito che deve essere, tuttavia, portato avanti dalla stessa società turca. Le pressioni esterne, soprattutto le risoluzioni dei parlamenti esteri che definiscono gli eventi del 1915 “genocidio”, sono controproducenti e devono essere evitate. In materia di relazioni bilaterali, la visita dello scorso anno del Presidente Gül a Erevan ha aperto la strada alla normalizzazione. La Commissione Indipendente ritiene che le parti debbano proseguire su questo percorso senza ulteriori indugi e senza collegamenti alla questione del Nagorno Karabakh. Porre fine all’isolamento dell’Armenia e stabilire relazioni amichevoli fra Turchia e Armenia influenzerebbe sicuramente in modo positivo il conflitto, per il quale la mediazione internazionale nulla ha potuto per quasi due decenni. 8 Negli ultimi anni è aumentata l’importanza della religione nella società turca ed è diventata maggiormente visibile l’os- Obama usa la Turchia per indebolire l'Europa S e l’era Obama si è aperta con una serie di radicali svolte in politica estera (dall’Iran a Cuba, dall’Afghanistan al Venezuela, per non parlare del rapporto privilegiato con la Cina), su alcune questioni la Casa Bianca non ha deciso di modificare il corso precedente. Una di queste è la Turchia e il suo rapporto con l’Unione Europea. Più volte nel primo anno del suo mandato, il presidente americano ha sollecitato l’EU a far entrare la Turchia nell’Unione Europea. Il fronte europeo è abbastanza scomposto su questo tema. I pro-americani laici sono favorevoli e credono, non si capisce bene su quali basi, che se la Turchia entrasse in Europa, il Paese rafforzerebbe la sua laicizzazione – e in questa maniera scongiureremmo possibili problemi futuri. Dall’altra parte, i pro-americani religiosi, si dimenticano per una volta il loro sostegno a Washington e dicono che mai la Turchia entrerà nell’UE. La sua religione islamica, a loro dire, sarebbe in contraddizione con i nostri valori e dunque Ankara favorirebbe l’islamizzazione dell’Europa. Come mai costoro non si oppongano, con altrettanta forza, ad eventuali ingressi nell’UE di paesi con significative minoranze islamiche quali Bosnia, Albania o Macedonia non è facile capirlo. Poi vi sono gli anti-americani cosmopoliti. Per costoro, pur opponendosi alle presunte politiche discriminatorie e unilaterali americane, la posizione della Casa Bianca è saggia. Nella loro ottica, l’UE sarebbe un tentativo embrionale di emancipare la società civile globale. Dunque l’UE avrebbe una sorta di dovere morale ad espandersi a dismisura per risvegliare e illuminare tutti i popoli del mondo: l’allargamento alla Turchia sarebbe dunque una normale evoluzione di questo processo. Come mai molti di costoro si oppongano all’ingresso di Israele nell’UE rimane un mistero dal vago sapore contraddittorio. Infine, vi sono gli anti-americani geopolitici i quali sostengono che l’Europa non dovrebbe farsi dettare il suo percorso dall’America e soprattutto che la Turchia è un Paese allineato a Washington – dunque il suo ingresso nell’UE equivarrebbe a far entrare il famoso cavallo attraverso le porte della città di Troia. Rimane da capire, in primo luogo, quanto sia realmente allineato a Washington un Paese come la Turchia, che negli ultimi 7 anni è cambiato alla radice. Senza contare poi, che se un cavallo c’è stato, quello è rappresentato dall’ingresso della Gran Bretagna (1973) prima, e dell’Est Europa (2004) poi. A. M. servanza delle tradizioni e delle pratiche religiose da parte dei fedeli. L’establishment secolare percepisce questo sviluppo come “islamizzazione strisciante” (istigata dal partito AKP al governo) e come minaccia al secolarismo turco. Per altri è la conseguenza di una atmosfera più aperta, dovuta all’evoluzione della Turchia e alla migrazione di massa nelle città occidentali da zone ruralitradizionalmente più religiose. Per la stragrande maggioranza dei turchi il sistema secolare, che costituisce uno dei principali pilastri della Repubblica di Turchia, non è in dubbio e nessun fattore politico rilevante sostiene una Turchia basata sui principi islamici. Inoltre, come precisato dai sostenitori turchi dell’adesione all’UE, radicare il paese in Europa rappresenterebbe la migliore protezione del secolarismo in Turchia, evidenziando l’esperienza positiva del paese in materia di modernizzazione dell’Islam, sia per i musulmani d’Europa che per tutto il mondo musulmano in generale. 9 In Turchia, la libertà di culto è da tempo garantita, sia nella teoria che nella pratica. Tuttavia, le comunità di religione musulmana non tradizionale, come pure le più piccole chiese cristiane, si trovano a dover affrontare numerose difficoltà, alcune delle quali di carattere legale. Di recente, il governo ha adottato determinate misure per migliorare la situazione. Tuttavia, serve un’azione più decisa per affrontare questi problemi in modo più soddisfacente. 10 L’economia turca ha mostrato grande resistenza durante la recente crisi finanziaria globale. Nessuna banca turca è fallita, in parte grazie ad un assestamento durante una crisi finanziaria interna nel biennio 2000-2001, in parte alle trasformazioni strutturali portate dal processo di adesione nonché ad un rigoroso programma del FMI. Fino al 2008 l’economia della Turchia è cresciuta, in media, al ritmo del 7%, attirando investimenti europei senza precedenti, molti dei quali da banche e aziende europee. Tuttavia, squilibri a livello regionale, un ampio settore agricolo ed un alto tasso di disoccupazione restano problemi da affrontare e risolvere. 11 La Commissione Indipendente resta convinta dei numerosi vantaggi che presenterebbe la convergenza della Turchia con l’Europa e l’eventuale adesione all’UE di una Turchia trasformata, sia per il paese che per l’Unione stessa. Gli enormi progressi realizzati dalla Turchia in tutti i campi negli ultimi 10 anni sono stati chiaramente legati allo status della Turchia di paese candidato all’UE e al relativo processo di adesione. Per garantire un seguito al processo di trasformazione della Turchia, è necessario preservare la sua prospettiva europea. Nessuno può prevedere l’esito del processo di adesione e se l’obiettivo dichiarato potrà essere raggiunto, ma la possibilità di centrare l’obiettivo dipende anche dalla credibilità dell’UE, dal suo interesse e dalla correttezza dovuta a tutti i paesi candidati. A. L. R. 4 Cosa ci riserverà la Comunità economica prossima ventura? Le economie del Golfo manifestano oggi un’elevata convergenza di Giovanni Percolla I l prossimo Summit annuale del CCG, che si terrà il 29-30 dicembre a Mascate (Oman), potrebbe istituire il Consiglio monetario preparatorio e rivedere il calendario d’attuazione dell’Unione monetaria. Il framework generale dell’Unione (inclusa la bozza di statuto della Banca centrale) è stato definito lo scorso settembre dai ministri dell’Economia e delle Finanze e un ulteriore incontro preparatorio si è tenuto a novembre. L’obiettivo di un’Unione monetaria, previsto fin dall’accordo economico del CCG del lontano 1982, era stato rilanciato nel 2001; nel 2003 era poi stato deciso di avviare l’Unione a gennaio 2010 (obiettivo ormai irraggiungibile). Nel 2006 tuttavia l’Oman ha dichiarato che avrebbe partecipato all’Unione solo in un secondo tempo e nel 2007 il Kuwait ha abbandonato l’ancoraggio al dollaro che caratterizza tutte le altre valute del CCG. Le economie del CCG sono accomunate dalla forte dipendenza dal settore energetico. Le entrate da idrocarburi rappresentano una quota preponderante delle entrate pubbliche e permettono agli stati membri del CCG di non imporre imposte sul reddito o di farlo con aliquote molto basse; inoltre, gli idrocarburi costituiscono una quota dominante delle esportazioni. La maggior parte del commercio internazionale del CCG (in primo luogo l’interscambio energetico) è fatturata in dollari. Le valute delle sei monarchie del Golfo sono da decenni ancorate al dollaro con parità fissa, con la sola parziale eccezione del dinaro kuwaitiano – per decenni ancorato ad un paniere di valute, poi ancorato al dollaro tra gennaio 2003 e maggio 2007 e ora nuovamente ancorato ad un paniere. La parità fissa con il dollaro ha fatto sì che le oscillazioni del prezzo del petrolio si ripercuotessero soltanto sul bilancio pubblico, proteggendo – almeno in prima analisi – i cittadini. Ciò ha tuttavia comportato la rinuncia all’autonomia in politica monetaria: i tassi a breve hanno seguito – con limitati La città di Mascate - Oman La crisi finanziaria internazionale incoraggia gli stati membri del Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG: Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman e Qatar) ad accelerare la realizzazione dell’Unione monetaria scostamenti (grafico) – quelli degli Stati Uniti anche quando la situazione economica dei paesi del CCG avrebbe richiesto politiche monetarie del tutto diverse. È il caso degli ultimi anni, quando l’accelerazione dell’inflazione nel CCG avrebbe richiesto l’aumento dei tassi, che invece sono scesi seguendo quelli statunitensi. Data la struttura simile, le economie del Golfo manifestano un’elevata convergenza; dopo un temporaneo declino nel 2006-2007 dovuto al divergente andamento dell’inflazione, quest’anno la convergenza è tornata ad ampliarsi seppure a livelli inflazionistici troppo elevati dal punto di vista della stabilità macroeconomica. Tuttavia, la convergenza non è accompagnata da una significativa integrazione economica: i flussi commerciali intra-CCG sono limitati e un efficiente mercato regionale dei fattori produttivi stenta a decollare nonostante il lancio a gennaio 2008 del mercato unico, in attesa che vengano approvati a livello nazionale le leggi e i regolamenti necessari. L’integrazione monetaria è facilitata dalla struttura economica simile, grazie alla quale gli eventuali shock economici subiti dai paesi del CCG sarebbero simmetrici e dunque difficilmente metterebbero a repentaglio l’integrazione monetaria. Inoltre, la forte flessibilità del mercato del lavoro, che nel settore privato è in parte preponderante costituito da lavoratori immigrati, per lo più con contratti temporanei (grafico), permette di rispondere a eventuali shock con strumenti diversi dalla politica valutaria. Se l’attuale simile struttura economica rafforza la sostenibilità di lungo termine dell’Unione monetaria, va anche ricordato un elemento di divergenza prospettica tra le economie del CCG: la diversa rapidità con cui si esauriranno le riserve di petrolio e gas (grafico) e sarà perciò necessario ri-orientare la struttura produttiva. Date le notevoli diversità nello stock di riserve di idrocarburi, potrebbe sorgere in tempi non remoti la necessità di politiche eco- nomiche troppo differenziate da paese a paese per essere compatibili con un’Unione monetaria. Rimangono inoltre consistenti ostacoli politici alla attuazione e alla sostenibilità dell’Unione. Dalla sua istituzione nel 1981, il CCG ha adottato una logica intergovernativa e nel CCG non vi è alcuna forte esperienza istituzionale a livello regionale, nulla che sia anche lontanamente paragonabile al ruolo della Commissione europea o del Parlamento europeo. Ciò evidenzia la riluttanza degli stati membri a cedere sovranità e pone il problema della accountability politica della futura Banca centrale. Non va però dimenticato che – a differenza dell’euro – l’Unione monetaria del CCG non implica una perdita di autonomia monetaria per gli stati membri ma potrebbe perfino accrescerla, almeno in prospettiva. Un abbandono dell’ancoraggio al dollaro – nel caso venisse deciso – sarebbe comunque adottato con grande cautela e in tempi lunghi. Tuttavia, proprio questa potenziale autonomia monetaria potrebbe rappresentare l’incentivo principale per l’avvio dell’Unione, un incentivo che non è neppure necessario menzionare esplicitamente ma che tutti – fautori e oppositori dell’Unione – stanno oggi valutando, anche per le sue implicazioni internazionali. Società 15 Nella nostra Isola vediamo sempre più spesso donne che indossano le divise Presenze femminili nei reparti delle Forze Armate in Sicilia di CORRADO RUBINO L a presenza in Sicilia di uomini in divisa non è mai stata, e certo non lo è oggi, una novità; non è una novità neanche la presenza delle donne che indossano la divisa della Polizia di Stato o delle Polizie locali. Ci siamo ormai abituati a vedere per le nostre strade cittadine le poliziotte che, pistola al fianco, svolgono il loro servizio esattamente come i loro colleghi di sesso maschile. Ma da qualche anno nella nostra Isola vediamo sempre più spesso donne che indossano le divise, molto meno usuali, delle Forze Armate. A Gela e a Vittoria, ad esempio, a novembre di quest’anno, alle locali Compagnie dei Carabinieri sono state assegnati militari donne. Ne sono arrivate due presso la caserma “Sebastiano D’Immè“ di Gela. Una è piemontese e l’altra è abruzzese, entrambe di 25 anni; hanno dichiarato che la loro assegnazione in Sicilia non le preoccupa e sperano di acquisire “preziosa esperienza per la propria carriera, al servizio della gente”. In precedenza altre donne con la divisa dell’Arma erano state assegnate alla Compagnia di Vittoria. In realtà l'ingresso delle donne nelle Forze Armate fu sancito con legge n. 380 nel lontano ottobre 1999. Nell'Esercito, la linea d'azione scelta è stata quella di assegnare gli incarichi in maniera equa, destinando le donne sia all'area operativa che a quella logistica e tenendo conto, per quanto possibile, delle preferenze espresse dal personale. In tale ottica, gli arruolamenti sono stati aperti alle donne seguendo un criterio di progressività allo scopo di procedere velocemente sulla strada della riforma ma garantendo nel contempo un'organizzazione tale da prevenire ogni possibile attrito. Si è quindi iniziato con gli Ufficiali donna reclutati tra i laureati, acquisendo così in Forza Armata anche professionalità nuove come le sociologhe L'Esercito fa la parte del leone con circa 6000 donne. In Marina sono 859; in Aeronautica 640 (fra cui 120 Ufficiali e di queste 18 sono piloti); nei Carabinieri 958 (tra cui 4 tenenti colonnelli, 41 capitani, 150 marescialli ordinari) con il compito specifico di monitorare, seguire ed agevolare i successivi reclutamenti femminili. Quindi è stata la volta dell'Accademia Militare di Modena seguita dai primi Marescialli e infine dai Volontari di truppa. A circa 10 anni dall'apertura delle Forze Armate alle donne, tra Esercito, Marina, Aeronautica e Carabinieri la loro presenza è circa il 3% della forza totale, ma l'Esercito fa la parte del leone con circa 6000 donne; in Marina sono 859; in Aeronautica sono 640 (fra cui 120 Ufficiali e di queste 18 sono piloti); nei Carabinieri 958 (tra cui 4 tenenti colonnelli, 41 capitani, 150 marescialli ordinari). La Sicilia è una delle Regioni con la più elevata presenza di enti e reparti militari delle Forze Armate e dei Corpi armati dello Stato. Il Comando della Regione Militare Sud che ha sede a Palermo è l’Ente territoriale che assolve oltre ai compiti di Comando Militare Esercito per la Sicilia anche a quelli di coordinamento delle attività legate al Reclutamento, alla Promozione e alla Pubblica Informazione su tutta l’area di sua competenza (Comandi Militari Esercito dell'Umbria, Abruzzo, Molise, Puglia, Campania, Basilicata e Calabria). Ma l’Esercito in Sicilia schiera anche una delle sue grandi unità: la storica e gloriosa Brigata meccanizzata "Aosta" che ha una configurazione pluriarma, ed è alimentata con personale di truppa volontario, in RM SUD CE SEL VFP1 CEDOC PALERMO REP CDO SPT GEN ferma prefissata (di uno e quattro anni) ed in servizio permanente. La Brigata si compone di un reparto comando, due reggimenti di fanteria, uno bersaglieri, uno di cavalleria, uno d'artiglieria ed uno del genio. La Marina militare in Sicilia ha numerosi Comandi, Direzioni, installazioni e navi operative per la sorveglianza e la difesa costiera oltre ad una base elicotteri e una base per velivoli anti sommergibili a Sigonella; il tutto alle dipendenze del Comando di Marisicilia di Augusta. L’Aeronautica militare è presente con due stormi: il 41° di Sigonella e il 37° di Trapani-Birgi. Per quanto riguarda i Carabinieri e la Guardia di finanza, la loro presenza sul territorio e in tutte le installazioni portuali e aeroportuali è risaputa e arcinota. Meno familiari, ma altrettanto presenti in Sicilia sono le divise della Guardia Forestale, della Polizia Penitenziaria e della Croce Rossa Militare. In Sicilia, attualmente, le donne sono presenti in tutte queste componenti militari ripartite tra tutte le categorie, ovvero Ufficiali, Marescialli e Volontari. È però nella categoria dei Volontari che troviamo il maggior numero di donne in servizio permanente (VSP) o in ferma prefissata (VFP1 e VFP4). In particolare è alta la presenza femminile nei reparti della Brigata “Aosta” dove mediamente sono presenti circa 50 volontari donne in ogni reggimento. Le soldatesse al pari dei colleghi uomini, sono impiegate in tutti i teatri operativi in cui è inviato il reparto di appartenenza. Fin dal 2001, infatti, il personale femminile dell'Esercito è stato impiegato nelle operazioni, fuori dal territorio nazionale, all’estero in cui l’Italia è stata chiamata ad intervenire. Le prime donne soldato, una volta raggiunto il necessario livello di operatività, sono state impegnate in Bosnia, nell'ambito della missione SFOR. In seguito sono state coinvolte in Kosovo, nel corso della missione KFOR. Altre donne delle Forze Armate sono partite con il contingente Nibbio, nel corso dell'operazione Enduring Freedom, svoltasi in Afghanistan a partire dal febbraio 2003. Oltre a svolgere gli stessi compiti degli uomini, le donne sono state in questo caso incaricate anche di mantenere eventuali contatti con la componente femminile della popolazione locale. Le donne sono state presenti anche in Iraq, nella missione Antica Babilonia. Da qualche anno anche i reggimenti della Brigata “Aosta” sono entrati nelle turnazioni d’impiego all'estero e quindi anche le nostre soldatesse (in maggior parte siciliane) anno fatto l’esperienza delle zone d’operazioni in aree di crisi. Le donne in servizio in Sicilia le abbiamo viste impegnate anche nell'ambito dell’operazione “Domino”, per la sorveglianza dei punti sensibili e la prevenzione di atti terroristici e nell’operazione “Strade sicure”, dove a volte lavorano a fianco delle colleghe carabiniere e poliziotte. CEDOC CATANIA Nella cartina, dislocazione dei reparti “Aosta” e del Comando Regione Militare Sud La Voce dell’Isola n. 23-24 20 Dicembre 2009 Opinioni 17 Occhiello VOCI DAL CONTINENTE All’ombra della Repubblica con l’ipocrisia del pentitismo di PIETRO CARUSO C ontro l’ipocrisia del pentitismo. Quello che incomincio a scrivere è un articolo dilaniante per la mia cultura, fondamentalmente legalitaria e di piena accettazione dei principì democratici iscritti nella nostra Carta costituzionale. Tutte le volte che sento parlare di pentiti e di pentitismo ho un’istintiva repulsione. Questo non significa che tutto quello che i pentiti hanno raccontato in questi anni sia falso. Anzi. Considero quasi sempre nelle loro rivelazioni un ceppo di verità, né possiamo negare che nel difficile lavoro di inquirenti e di giudici giudicanti le parole dei pentiti non abbiano avuto un peso ed anche un valore, talvolta, decisivo. Sono contrario alla filosofia del pentitismo, perché vedo questo gesto dentro la cronica malattia del nostro sistema di vita e di valori. Lo so, come dicono i filosofi che la nostra realtà è pervasa da quello spessore di sentimenti che formula nel perdono la più alta forma di tolleranza verso l’altro. Una dimensione che dovrebbe farci trascendere da materia a spirito. Solo che il perdono, per forza, non è detto che coincida con il pentimento. Il perdono, infatti, è un “a-priori” nel quale si connette una fede, quella cristiana e una filosofia, quella della tolleranza, che può anche non discendere, direttamente, dal credo dei cattolici. Il perdono è una cosa bella, altissima. I familiari che perdonano gli assassini dei loro cari sono donne e uomini di eccezionale statura morale. Il pentirsi non ha questa statura, ma in una terra come quella siciliana si deve pure discutere sul fatto se sia possibile evitare il pentimento, visto che la terra di ragione ha confini molto ristretti. Quale è la condizione per cui il pentimento non varrebbe la pena? Non sarebbe necessario, anzi potrebbe essere considerato quasi come un’infamia, se non un’infamia bella e buona? Qualsiasi struttura criminale, che ha il segreto come regola assoluta e non consente mai il diritto al dissenso interno, è destinata ad essere spezzata solo dal tradimento, con il ricorso alla forma del pentimento. Voglio cioè cercare di dimostrare che i “pentiti” fioriscono perché non conoscono, ma non hanno neppure lo spazio di difendere i propri principì, in un sistema che nega le regole democratiche. Quando si vive fuori del rispetto delle regole fra maggioranza e minoranza, non si tollera il dissenziente…il clima d’ordine che si respira diventa irrespirabile. Figuriamoci quello che succede se poi la minaccia di morte (e spesso la punizione estrema appunto) è la sanzione per chi non è d’accordo. Come la maggioranza dei siciliani intuisce, se non addirittura conosce, le “mafie” hanno esercitato una pressione ed un potere nel modo con il quale hanno impedito le rivoluzioni morali, di costume e di natura politica e hanno accompagnato la parte più tradizionale e conservatrice della società. Le mafie sono il risultato di un’arretratezza culturale, di un senso triviale dell’ordine costituito e del senso comune intriso di superstizioni arcaiche. I mafiosi La Voce dell’Isola n. 23-24 sono stati e sono i più forti custodi della conservazione politica ed economica. La Sicilia, in ogni caso, continua a fare – giornalisticamente parlando – notizia. Aggiungerei anche che avrà altre pagine nella storia del Paese. La Prima Repubblica non è caduta sotto il colpi dei pentiti mafiosi. Se mai sono stati i mafiosi, insoddisfatti dell’ultimo stralcio del governo Andreotti-Martelli, ad accanirsi per chiudere la partita, prima con Salvo Lima poi mettendo nel mirino gli stessi ultimi uomini politici rei di non avere capito che il contrasto fra il leader della Dc e il leader del Psi avrebbe accelerato una crisi che durava da un pezzo. I mafiosi, in gran parte, hanno saputo giocare alcune carte nel sistema po- elettorali di grande dimensione. La Sicilia (e l’Italia) non si “scansa” di nulla. Se i siciliani e il resto degli italiani ricevessero la notizia che il presidente del Consiglio e uno dei suoi più fedeli storici collaboratori fossero collusi con la mafia, cosa potrebbe succedere? Personalmente dubito che questo produrrebbe la fine del governo Berlusconi, ma forse l’occasione per il cavaliere, l’alibi, per andare ad elezioni anticipate. Cosa rischiosa comunque, anche perché le Camere vengono sciolte dal presidente della Repubblica. Nella tradizione parlamentare italiana i mandati esplorativi non sono mancati. E i governi si fanno anche con un solo voto di maggioranza. Certo se Berlusconi s’impuntasse il diritto ad andare alle Sì perché, generalmente, l’educazione morale impartita ai siciliani fin da bambini non è certo quella dei criminali per scelta. Secoli di servaggio, di spietata sudditanza, condita da una scarsa dimensione della libertà individuale e dalla possibilità di esercitare il dissenso nelle forme della democrazia, hanno abituato la base sociale delle mafie ad avere fiducia solo in due realtà: i boss, la rete di solidarietà delle cupole. Per fortuna la natura vulcanica e solare da un lato e quella saturnina e lunare dall’altra, prima o poi spezzano anche le famiglie mafiose più coese. E anche dalle faide, dalle vendette, dalle uccisioni trasversali si alimenta il lievito della vendetta che, quando diventa impotente sul piano armato e militare, si riversa sulle spal- L’onore dei siciliani deve riuscire a far rima con la ragione litico. Questo avvenne dai tempi quando alcuni giovani monarchici siciliani accettarono di concludere il loro sostegno ideologico e finanziario alla causa separatista filo-statunitense per scaldarsi all’ombra di una parte della Democrazia Cristiana che, dopo il 21 aprile del 1948, si muoveva, quasi solitaria, senza essere ancora l’unico emblema del potere. Prendete la mappa delle amministrative precedenti alle politiche dell’anno del trionfo di De Gasperi e vi renderete conto che la Sicilia aveva un panorama politico molto più mosso di altre regioni. Nelle elezioni del 1946 e poi del 1947 alle comunali di Palermo il primo partito politico della città non era la Dc, ma il Pnm, il Partito nazionale monarchico, con il 19,8 e poi con il 18,8 per cento. A Catania il Movimento indipendentista siciliano fu la variabile politica più rilevante nel contesto della ripresa della democrazia del primo dopoguerra, con risultati urne ci sarebbe e le sue potenzialità di vittoria esistono ancora, ma sempre nella tradizione politica del Paese chi, a volte, ha voluto tentare la via delle elezioni politiche anticipate ha pagato il prezzo in termini elettorali. È il caso del democristiano Fanfani negli anni Sessanta e del socialista De Martino negli anni Settanta. Berlusconi, però, è di un’altra pasta rispetto a quei vecchi esponenti della democrazia italiana e la sua spietatezza, chi lo conosce bene, sa dove può arrivare. In ogni caso da una parte c’è una dimensione politica dove le dichiarazioni di Spatuzza possono essere dirompenti, ma da dimostrare in ultima analisi che i giudizi storici possono essere molto più spiacevoli di quelli espressi dalla cronaca. Solo chi è nato e vissuto in Sicilia capisce come possano degenerare e deragliare certe vite che da ragazzi sembravano avere preso una piega giusta, moralmente non degradata. le dello Stato. Uno Stato disprezzato, mal tollerato, ma che dall’affresco storico del Gattopardo, in poi, è il vero padrone ideologico dell’isola. Sì, perché quello che i mafiosi non capiscono, o fingono di non capire, è che persino uno Stato, a brandelli, come l’Italia ha gli strumenti per addomesticare qualsiasi rivolta. Naturalmente accordandosi, in modi più o meno sotterranei, con chi minaccia le autorità che lo Stato rappresenta. Insomma non c’è tanto da stupirsi che fra il 1992 e il 1993 ci possa essere stato qualche accordo fra l’ala militare della mafia e una parte dei custodi dei segreti italiani. Perché pensare che sia impossibile? Se mai c’è da chiedersi cosa oggi abbia spinto l’ala “perdente” di ieri a esternare a più non posso l’aggiornamento delle verità di quindici anni fa, ma soltanto ora. È questo che scricchiola, a parere mio, nel pentitismo. Tutto funziona secondo un ritmo poco trasparente e ad orologeria. Chi ha la responsabilità di tutto questo? Il paradosso delle mafie è che utilizzano i linguaggi e i riti del potere. Soprattutto quello para-ecclesiastico e, in talune situazioni, anche massonico. Sempre per quel maledetto bisogno di segretare tutto e tutti. Un eterno concilio ultra riservato. L’antitesi delle prassi delle democrazie, non solo dell’odiato e vetusto social-comunismo combattuto a colpi di lupara e con una lista di martiri rispettabili. Insomma i mafiosi non sono degni di stare in un consesso civile dal punto di vista di una democrazia di diritto, ma si sono conquistati questa certezza di sopravvivenza approfittando dei buchi e delle sbracature della Repubblica Italiana e della Democrazia mondiale. Se il Paese fosse interamente gestito da “gentili servi dello Stato” lo spazio per le mafie sarebbe ridottissimo. Oggi il “dio” denaro ha consentito di entrare nei salotti buoni, nei sancta-sanctorum finanziari, persino in quei servizi segreti che hanno trattato la materia mafiosa come se ci trovassimo di fronte a “potenze” da riverire e comunque da temere. Come Stato nello Stato. No. Tutto questo un giorno finirà anche in Sicilia, anche in Italia. Solo se riusciremo a diventare veri democratici. Al di là di questi partiti spesso così miseri e miserabili potremo trovare il promontorio di Capo Speranza. Per ora filiamo su vecchi vascelli corsari, troppo frettolosi per riconoscere nell’Isola gli antichi porti che richiamavano da tutto il Mediterraneo i “vascelli vagabondi” di cui recita Sgalambro, quando ricorda l’oro, i giacinti, e il profumo della rosa. Leggendo la consolazione che offre al mondo e al nostro cuore ferito la sicula poesia medioevale, alla corte di re Federico. Il più laico dei sovrani che abbiamo conosciuto prima delle riforme protestanti. 20 Dicembre 2009 18 Società Prima Conferenza territoriale alla Camera di commercio di Catania Positivo contributo della cooperazione per lo sviluppo della provincia etnea di MIRCO ARCANGELI L a prima conferenza provinciale sulla cooperazione, organizzata dalla Camera di Commercio di Catania unitamente alle organizzazioni sindacali del movimento cooperativo, rappresenta un evento straordinario. Innanzitutto perché la Camera di Commercio ha come mission quella della promozione economica, e dello sviluppo del sistema delle imprese e dell’economia locale, e vedere cimentarsi in analisi economiche di settore, la stessa Camera di Commercio, rappresenta sicuramente un evento non ordinario. Ma lo è anche perché finalmente viene preso in esame un segmento della nostra economia, così importante quale quello della cooperazione. La conferenza viene avviata da una approfondita analisi del sistema economico nelle interazioni con il segmento cooperativistico, svolta dal presidente di Legacoop Catania, Giuseppe Giansiracusa. Di questa complessa analisi se ne sottolineano alcuni passaggi. La cooperazione italiana ha raggiunto le 60 mila imprese, ed impiega oltre un milione di occupati, pari al 6,2% del totale occupato. Realizza un giro d’affari di oltre 110 miliardi, oltre al 5% del PIL. Degli oltre 10 milioni di soci, 2 milioni sono imprenditori. In questi anni è cresciuta la dimensione media delle cooperative, e si è allungata la loro durata media di vita. Le cooperative rappresentano il 6% delle imprese dai 10 a 50 addetti, il 14% delle imprese da 50 a 250 addetti, il 13% delle imprese oltre i 250 addetti. Si è estesa e rafforzata la capacità della cooperazione di fornire risposte adeguate alle aspettative espresse da una sempre più ampia platea di soci. La cooperazione non esprime dunque un pezzo di economia marginale, (continua Giansiracusa) ma è, in tutti i comparti, una componente importante dell’economia nazionale. La cooperazione, nel catanese, è presente in diversi settori, da quelli tradizionali a quelli innovativi come, ad esempio quello delle energie alternative. Si presenta sotto forma di micro-imprese, scarsamente capitalizzate, da qui l’esigenza di fare rete e fare sistema. Anche la cooperazione si trova ad affrontare gli stessi atavici problemi con i quali si cimenta il mondo delle imprese nel Sud. I fattori di svantaggio sono il nanismo imprenditoriale, il deficit delle infrastrutture, la concorrenza sleale, la difficoltà di accesso al credito. A quest’ultimo proposito, serve un soggetto creditizio in grado di migliorare l’erogazione del credito 20 Dicembre 2009 alle pmi meridionali, di affrontare i problemi del denaro circolante, compresi quelli derivanti dai ritardi dei pagamenti della pubblica amministrazione e di emettere garanzie e fidejussioni a favore dell’imprenditoria locale, capace di coniugare la vicinanza alle imprese e all’insediamento territoriale, con un’efficiente erogazione del credito. Ci auspichiamo che il progetto della Banca del Mezzogiorno possa soddisfare tali bisogni. Una nuova politica per il credito, dovrà essere parte organica di un più ampio piano per il Mezzogiorno. Il Mezzogiorno rappresenta una grande opportunità per l’Italia e l’Europa ed è un dovere di tutti scommettere sul suo futuro. Occorre affrontare i temi dell’efficienza della pubblica amministrazione, della fiscalità di vantaggio, della concertazione dei fondi per le infrastrutture sui progetti, che possono davvero far compiere un salto di qualità competitiva al territorio: sulla tutela e lo sviluppo dell’apparato produttivo, sulla promozione e attrazione degli investimenti, sullo sviluppo del turismo e sulla valorizzazione dei beni culturali. La Regione però, vive una situazione di grave crisi politica, ed il malessere, costante da 18 mesi, si è palesemente manifestato in più occasioni. Considerata la gravità della situazione in cui è sprofondata la Sicilia, ogni parlamentare faccia autocritica, perché ciascuno ha il suo livello di responsabilità. La Sicilia e il sistema economico hanno bisogno di una buona amministrazione, di un governo che governi e di un’opposizione che svolga il suo ruolo, senza confusione di ruoli. Se la Regione è alla paralisi a pagarne il prezzo sono le attività produttive. È bloccata la legge sugli aiuti alle imprese, la norma sul consolidamento dei debiti, la spesa europea legata al programma operativo Fers, che prevede incentivi per la piccola e media impresa. I fondi europei della Sicilia sembrano sempre più a rischio. Sollecitiamo con urgenza i bandi europei e i decreti per approvare le direttive. La Regione deve aprire i rubinetti della spesa. Sono passati tre anni nell’immobilismo, quanto tempo ancora dovranno aspettare le imprese? Noi non aspettiamo certamente, ad affermare un modello sano di cooperazione, permeata di quei valori peculiari, che ne hanno determinato la particolare natura imprenditoriale e sociale ed il nostro successo nel corso dei decenni. Ci riferiamo ai valori distintivi della cooperazione: partecipazione, autogestione, responsabilità condi- Qui sopra: Giuseppe Giansiracusa sotto: il tavolo della presidenza visa, capacità di risposta ai bisogni della società, valorizzazione della creatività, crescita civile e professionale, siamo convinti che questo patrimonio, forte e radicato in molte collettività, costituisca oggi una risorsa utile per la società, per dare alle persone un senso di identità condivisa, di sicurezza e fiducia. Concludendo il suo intervento, Giansiracusa, sostiene che le cooperative, a differenza delle grandi imprese, non delocalizzano e contribuiscono a fare progredire il territorio, favorendone lo sviluppo, assecondandone le vocazioni e valorizzando le produzioni e i prodotti locali, fino al punto di reagire meglio all’impatto della crisi, se è vero che, nell’ultimo quinquennio, ha fatto registrare una crescita occupazionale del 20%, dimostrando una grande vitalità. Report sulla cooperazione catanese A seguire prende la parola il Segretario Generale della Camera di Commercio Alfio Pagliaro, che presenta uno studio sulla cooperazione. Dai dati risulta che il tessuto produttivo catanese al 30 settembre 2009, conta 103.424 imprese registrate, di cui 85.876 attive pari all’83%. Le nuove iscrizioni sono state 4.716, con un tasso di natalità del 4,56% mentre le imprese cessate sono state 4.280 pari al 4,14%. La differenza dei due indici ci consegna un tasso di sviluppo dello 0,42% che, tradotto in valore assoluto, indica che le imprese nate sono in numero maggiore rispetto a quelle cessate (4.716 – 4.280 = 430). Relativamente alle società coopera- La cooperazione italiana ha raggiunto le 60 mila imprese, ed impiega oltre un milione di addetti, pari al 6,2% del totale occupato. Realizza un giro d’affari superiore a 110 miliardi, oltre al 5% del PIL. Degli oltre 10 milioni di soci, 2 milioni sono imprenditori tive, risultano 5.182 registrate, di cui 2.543 attive (49%). Dall’analisi della concentrazione delle società cooperative per settore economico, si può vedere come la concentrazione maggiore si ha in due settori economici tradizionali: Costruzioni (23,91%) e Agricoltura (21%). Seguono, ma con percentuali nettamente inferiori, i settori Sanità e assistenza sociale (7,75%), commercio (7,55%), noleggio, agenzie di viaggio, servizi di supporto alle imprese (6,88%) e attività manifatturiere (4,76%). La distribuzione per settore economico non si discosta più di tanto dal quadro siciliano: qui infatti si registra, nell’ordine: - Costruzioni 21,40% - Agricoltura 21,35% - Sanità e Assistenza sociale 7,79% Noleggio, Agenzie di viaggio, Servizi di supporto alle imprese 7,70% - Commercio 6,80% - Attività manifatturiere 6,06%. Nelle due realtà – Catania e Sicilia – se la concentrazione delle società cooperative nei vari settori economici è pressoché coincidente, compreso il settore agricolo con il 21% per Catania ed il 21,35% per la Sicilia, è in quello delle costruzioni che si riscontra una differenza di quasi 2,5 punti percentuali: Catania 23,91%/ Sicilia 21,45%. Le nuove cooperative iscritte nel 2009 sono state 172, con un tasso di natalità del 3,32%. Di contro, le cooperative cessate sono state 68, con un tasso di mortalità dell’1,31%; pertanto il tasso di sviluppo (dato dalla differenza) è stato del 2,01%. È da notare inoltre come il settore delle cooperative, rispetto all’intero tessuto imprenditoriale del nostro territorio, ha registrato una crescita maggiore: infatti, mentre lo sviluppo imprenditoriale, nel complesso, è stato dello 0,42%, quello del settore cooperativo, con il 2,01%, è stato ben 5 volte maggiore. Considerando la natura giuridica, ci rendiamo conto del peso specifico, in termini di numero di imprese, rappresentato dal settore cooperativistico. Su un totale di 103.424 imprese, la distribuzione per natura giuridica mostra un quadro dove la prevalenza assoluta è formata da imprese individuali, il cui numero ammonta a 67.021, seguite dalle società di capitali con 18.064, dalle società di persone con 11.813, dalle società cooperative con 5.182 e infine da altre forme di impresa con 1.344. Il quadro ci conferma la caratteristica che identifica il nostro sistema economico, non solo della provincia catanese, ma dell’intero territorio regionale, e cioè la polverizzazione del sistema imprenditoriale, costituito per almeno 2/3 da imprese individuali, con il conseguente corollario del nanismo tipico della nostra struttura produttiva, confermato d’altronde dalla bassa incidenza percentuale del settore cooperativistico rispetto alle altre forme collettive d’impresa società di capitali e di persone. Confrontando il dato di Catania con quello della realtà siciliana, questo risulta leggermente inferiore a quella registrata nel comprensorio catanese (2,96%). Quindi, anche se di poco, lo strumento della società cooperativa ha una diffusione maggiore nel territorio rispetto alla media registratasi in Sicilia. Questa maggiore diffusione delle società cooperative trova conferma nell’analisi di un altro indice, quello del tasso di sviluppo, dal quale possiamo notare come, al terzo trimestre 2009, Catania registra un indice di sviluppo del 2,01% contro 0,61% a livello siciliano, frutto questo non solo di un più alto indice di natalità (3,32% Catania 2,53% Sicilia) ma anche di un minor tasso di mortalità (l’1,31% a Catania e l’1,93% in Sicilia). Intervengono poi, dalla presidenza del convegno, Pietro Agen presidente della Camera di Commercio, Antonio Carullo commissario straordinario Ircac, Gaetano Mancini presidente Confcooperative Catania. Dei numerosi cooperatori presenti all’iniziativa, diversi hanno partecipato al dibattito, arricchendolo con esperienze vissute, e proponendo interventi per favorire lo sviluppo. Per tutti valga lo sforzo fatto dalla cooperativa di extracomunitari “La Senegalese”, con lo scopo di assistere nei servizi e nelle pratiche, gli extracomunitari in Italia. La Voce dell’Isola n. 23-24 Società 19 L’assessore regionale Russo in una conferenza promossa dall’associazione Antudo La riforma della Sanità siciliana: il perché della necessità di una svolta di MIRCO ARCANGELI S i è tenuta, presso l’Aula Magna della facoltà di Medicina e Chirurgia di Catania, una conferenza organizzata dall’Associazione Universitaria “Antudo – Rivoluzione Studentesca” dal titolo: “ Riforma della Sanità Siciliana: quali cambiamenti?” All’iniziativa hanno preso parte il dottor Massimo Russo – assessore regionale alla Sanità; il professore Francesco Basile – preside facoltà di Medicina e Chirurgia; il professore Gaetano Catania – preside corso di laurea in Medicina e Chirurgia; il dottore Armando Giacalone – commissario straordinario Azienda OVEII – Policlinico; il professore Ercole Cirino – presidente Ordine dei Medici di Catania; il professore Diego Piazza - direttore UO I^ Chirurgia Azienda OVEII – Policlinico; il professore Alessandro Cappellani: direttore UO Chir. Gen e Senologia Azienda OVEII - Policlinico; la dottoressa Maria Grazia Torre, responsabile Servizio Infermieristico Presidio V. Emanuele; il dottore Gianluca Albanese – Amministratore Nazionale del S.I.G.M.. La sanità in Sicilia, come ben sappiamo, è sempre stata contraddistinta da spreco e disorganizzazione. I risultati di tale malagestione hanno portato ad un deficit sistematico del settore, con una produttività ed efficacia fuori da ogni standard nazionale. Inutile elencare le manchevolezze e le inettitudini organizzative. Fin dall’avvio di questo governo regionale, si è pensato di intervenire in maniera radicale, cercando di colpire il sistema organizzativo laddove si era sclerotizzato, o per lo meno queste sono le intenzioni di un’azione riformatrice che l’asses- Sopra: l’Assessore Russo, accanto ritratto con i ragazzi componenti dell’associazione Antudo La sanità nell’Isola è sempre stata contraddistinta da spreco e disorganizzazione. I risultati di tale malagestione hanno portato a un deficit sistematico del settore, con una produttività ed efficacia fuori da ogni standard nazionale sore regionale sta portando avanti, non senza contrasti. La conferenza viene aperta dal rappresentante dell’associazione Antudo, Antonio Coniglio, al quale spetta il compito di presentare l’associazione quale aggregazione di universitari con i valori comuni dell’onestà, dell’amicizia e della lealtà, quale fondamento di un vero e sano associazionismo. Antudo acronimo di “Animus Tuus Dominus” (il coraggio è il tuo Signore) grido di battaglia del popolo siciliano nella rivolta del 1282 (rivoluzione del vespro siciliano) vuole pure riscoprire e valorizzare le proprie origini, mantenendole vive nel proprio intervento quotidiano. E proprio a partire dalla riforma sanitaria, che Coniglio prende spunto per sottolineare l’aspetto di concretezza che si vuole dare all’iniziativa dell’associazio- Sopra: in aula magna l’assessore Russo, Basile, Piazza La Voce dell’Isola n. 23-24 ne, perseguendo come per la riforma sanitaria, la politica del fare, con una nuova metodologia meno politichese e più efficace e foriera di atti concreti. Spetta al professore Basile avviare la discussione sulla riforma sanitaria. Una riforma sicuramente sentita, a riprova anche la grande presenza di medici, paramedici e studenti universitari, all’iniziativa. Nel suo intervento il professore Basile nel sottolineare gli obiettivi di riduzione di spesa e di crescita di qualità, attraverso anche la riduzione e l’accorpamento delle strutture sanitarie, chiude con quesiti più che pertinenti per un preside di facoltà. Quali saranno gli sbocchi occupazionali per il futuro? Quanti medici e quali specialisti sono da formare per il futuro? Prende poi la parola l’assessore regionale Massimo Russo il quale, col suo modo di origine tecnicoscientifico piuttosto che politico, avvia una lunga analisi sulla questione sanità in Sicilia. Partendo da ciò che ha trovato al momento della nomina per arrivare fino ad oggi. All’inizio, dice l’assessore, mi sono ritrovato un piano di rientro dal deficit sanitario, sottoscritto dal precedente governo regionale con quello statale, che prevedeva due alternative: o il rientro degli 800 milioni di deficit o il commissariamento della gestione regionale, in un periodo di 18 mesi. Ci si è dovuti muovere subito quindi con il piano di rientro come priorità, con scelte nell’unica direzione possibile: mettere al centro dell’iniziativa politica e amministrativa il cittadino. Si è deciso così di utilizzare un nuovo metodo di intervento, raramente utilizzato nella ns. regione: quello che prevede la programmazione delle attività, di obiettivi possibili da raggiungere, la verifica poi dei risultati in rapporto agli obiettivi, per concludere con le azioni di responsabilità premianti, se positivi, sanzionatorie se negativi. Tenendo ferma l’affermazione che la salute non ha prezzo ma ha costi, si è lavorato concretamente per rientrare dal deficit degli 800 milioni e allo stesso tempo per riqualificare e riorganizzare il sistema. Alcuni dati storici utili all’analisi. In Sicilia si assiste ad una fuga di prestazioni (verso le regioni del nord) per un costo di 250 milioni l’anno. Con questa cifra si può costruire un intero ospedale. Il costo delle prestazioni inappropriate è stato valutato in 400 milioni. Il tutto in presenza di una bassissima fiducia dell’utenza nelle prestazioni offerte dal servizio sanitario. Una spesa farmaceutica sopra gli standard nazionali. Una quota sanitaria dedicata ai privati, frammentaria e di scarsa qualità, quasi sempre in extrabudget. Ciò ha determinato che in presenza di una prestazione sanitaria siciliana peggiore rispetto a quella nazionale, si è sostenuto un costo maggiore. Tale costo è stato sostenuto dai cittadini siciliani, attraverso una maggiore Irap del 25%, ed una aliquota di addizionale regionale Irpef al massimo del consentito. È così che nel formalizzare una proposta di riforma del sistema si è cercato di capire come in altre regioni funziona il sistema sanitario. Si è guardato alla Toscana, alla Lombardia all’Emilia Romagna e si è riscritto il sistema e la sua funzionalità. In Sicilia 29 Aziende Sanitarie che offrono più servizi di quanto richiesto dalla domanda con il paradosso di una domanda in fuga non sono più sopportabili. Così a marzo viene approvato, dopo un lungo dibattito non certo esente da scontri anche aspri, il progetto di riforma, al quale ha contribuito l’intero Parlamento regionale. Si è quindi intervenuti sul sistema, riducendo le Aziende Sanitarie da 29 a 17 con il loro accorpamento, cambiando la governance ed i Direttori. Sono stati razionalizzati e centralizzati gli acquisti. Nei tempi previsti si è potuto rispettare il piano di rientro, evitando il commissariamento. Ora il nuovo sistema è partito anche se i risultati non si vedranno nell’immediato. Il sistema va assestato. Continua l’Assessore: abbiamo fatto ciò che altre regioni hanno fatto 25 anni or sono. Capire il fabbisogno per costruire un’offerta di prestazioni efficienti. Così si è avviata la riorganizzazione della rete ospedaliera. Abbiamo tanti piccoli ospedali inidonei per le prestazioni e per gli utenti. Ma il problema non è che si devono chiudere o non chiudere gli ospedali, bensì quello di riorganizzare un’offerta idonea al fabbisogno. Occorrerà ridurre l’ospedalizzazione a favore di un intervento sul territorio. Pochi ospedali ad altissima qualità, ed avvio dei Punti Territoriali di Assistenza. L’idea molto semplice è quella di puntare sulla medicina di base e sull’associazionismo dei medici di base, creando dei luoghi, una sorta di poliambulatorio, dove ci sia il medico di base insieme alla guardia medica, agli specialisti, dove ci sia la diagnostica il punto lastre il punto prelievo, un punto di prima emergenza, tutti disseminati sul territorio. In modo che il cittadino sia indotto ad orientarsi presso i PTA senza più intasare gli ospedali. senza motivo o per semplici codici bianchi. Tutto ciò consentirà quel processo di deospedalizzazione tanto necessario per ridare efficienza al sistema. Dal sistema ospedaliero, attraverso gli accorpamenti, si libereranno importanti risorse. Non vi saranno duplicazioni e si miglioreranno le prestazioni. Non si vuole licenziare nessuno, anzi serve personale soprattutto infermieri. Vero che i medici sono in esubero. Abbiamo stabilizzato circa 1000 persone e dovremo farlo anche con i precari. Questa riforma era necessaria. Si tratta di un processo di rimodernizzazione della nostra Sicilia. Una riforma che va sperimentata sul campo con la volontà di adeguarla ed assestarla nel suo percorso ma con il dovere di assicurare una buona sanità. Gli interventi che si sono susseguiti, sia dei relatori che degli operatori nonché degli studenti, hanno confermato i buoni presupposti della riforma ribadendone i significati più profondi, ed auspicando il raggiungimento degli obiettivi. L’iniziativa, ben riuscita, è frutto dell’impegno profuso dai giovani universitari di Antudo, dalla caparbietà dei suoi rappresentati, tra i quali risalta il giovane dirigente Francesco Saccone, più volte ringraziato ed elogiato dai relatori che si sono succeduti dal palco della conferenza. 20 Dicembre 2009 20 Cultura “Pozzoromolo”, il secondo romanzo di L. R. Carrino Raccontare il disagio non è facile: si può parlare solo dei sentimenti di MORENA FANTI S “ e nell’OPG tu fai qualcosa di troppo, un grido di troppo, un pensiero di troppo, un movimento di troppo, un bacio di troppo, un respiro di troppo, allora ti mettono a dormire, ti mettono sulla panchina piena di grazia e di immobilità, con la bava che ti cola dalla bocca”. E Gioia, che nella sua vita si è sempre sentita “troppo”, in quel corpo nato uomo e non riconosciuto neanche a se stessa, e si è sentita “di troppo” - mai la persona giusta, mai la persona desiderata e amata -, si chiude in un silenzio che trova parole solo nella scrittura. E con la sua scrittura, raccolta in forma di diario, tra i pensieri della sua vita, in un salto continuo tra presente e passato, scopriamo la sua terribile storia. L’uscita del secondo romanzo, “Pozzoromolo”, può generare ansia nello scrittore e aspettative deluse nei lettori, soprattutto se il primo è stato un successo (Acqua storta, Meridiano Zero, 2008), ma L.R. Carrino con questo libro, uscito nell’ottobre scorso, non delude e si conferma scrittore di classe. Il suo linguaggio è denso e avvolgente, vera poesia travestita da prosa: “questo pomeriggio mi ha fatto le ore come asole dell’attesa”, “nel buio incandescente che ci mangia la vita a scintille, a piccoli sorsi di fuoco, un fondo del mio corpo si mette nel letto e cova l’ombra del tuo profilo”, “certe volte, nel pomeriggio, la malinconia sotto la quercia, tutta quanta nel palmo della mano, me la metto in tasca e mi alzo”. Ed è con questo linguaggio che Carrino ci racconta la storia di Gioia, “l’amore dalle unghie laccate, i capelli biondi, l’ombretto verde, mentre la notte proietta luci bugiarde sulla parete” e ci accompagna in un viaggio della mente, nei ricordi e nelle ossessioni che popolano l’anima della protagonista. Lei non sa perché è rinchiusa nel’OPG [Ospedale Psichiatrico Giudiziario], non rammenta quali colpe ha commesso. Raccontare il disagio non è facile. Il disagio mentale abita stanze diverse e indossa abiti mai uguali. Lo scrittore dovrebbe sempre parlare di ciò che sa. Ma non è forse vero che in ogni storia, in ogni storia “vera” che racconti la vita, esistono i sentimenti? Ed è con i sentimenti che Carrino ci affascina e ci tieni legati alle sue parole. Gioia ha sempre cercato l’amore, iniziando dal suo difficile rapporto con quella madre che usciva e non le diceva quando tornava, da quella madre che parlava di lei come di un peso, ma era sempre presente nei suoi pensieri e sbucava nelle foto con le sue unghie viola. E poi il padre, e dopo di lui, ogni uomo che ha conosciuto. Gioia si sente “un’anima chiusa a chiave nella mia cella”, e da lì, da quella cella, inizia il suo cercarsi, il suo volere capire perché si trova lì e cosa ha fatto. Ma cosa ha fatto veramente Gioia, se non cercare di farsi amare? E gli altri cosa le hanno fatto? Dai ricordi, che emergono in forma di frammenti incontrollati e spesso contraddittori, esce la storia di una vita che è stata ostile e mal20 Dicembre 2009 Luigi Romolo Carrino Dai ricordi, che emergono in forma di frammenti incontrollati e spesso contraddittori, esce la storia di una vita che è stata ostile e malvagia vagia nei suoi confronti, e che, nonostante questo, non riesce a demolire la sua estrema purezza, fino a farle dire: “Io non so perché sono qui, io non ne sento la ragione”. È in un luogo che sente estraneo, tra gente con cui non vuole parlare. Riesce a sentirsi bene solo quando si trova nel parco che è all’interno dell’OPG: “Il parco è un luogo che mi appartiene, al quale sento di appartenere”. Ed è nel parco che Gio- ia trova la grande “mamma quercia” dove si reca per trovare sollievo dai troppi pensieri che la divorano, quelle “vespe” che le pungono lo stomaco e che “finiranno per fare un nido nella mia pancia”. Un personaggio molto complesso, questo di Gioia, anche se di sé afferma: “Non sono così complicata. Io sono semplice, tanto semplice da sembrare una tragedia del poco.”, ma anche un personaggio struggente che scrive, mostrando il conflitto che le cambia e le tormenta il corpo rendendolo “doppio” e diviso dalla sua stessa carne: “Non è ancora giorno, mi viene una paura che quasi mi voglio bene da solo”. Un personaggio che Carrino ha raccontato in modo così coinvolgente e che consegna ai suoi lettori come un regalo prezioso. Se Gioia non è stata amata finora, da questo momento sarà amata da ogni lettore che si addentrerà nella sua anima. L.R. Carrino Pozzoromolo Meridiano zero, 2009 pp.288, 15,00 euro Ad Acicatena la mostra fotografica di Giuseppe Fichera I luoghi dell’anima nei paesaggi siciliani di GIORGIO TANI* Nel salone Francesco Strano del Palazzo Comunale di Acicatena si è tenuta la mostra fotografica personale di Giuseppe Fichera, presidente del Gruppo Fotografico Le Gru di Valverde, dal titolo "Paesaggi Siciliani". Con la mostra dell'artista catenoto, ha preso il via la quinta edizione della manifestazione culturale "Figli dell'Etna" organizzata dall'Associazione Culturale Futurinsieme di Acicatena, nata nel 2004 con lo scopo di promuovere attività che favoriscono l'aggregazione, con finalità culturali e di solidarietà. O gni luogo ha un’anima. È questo un concetto antico, mitologico, vivo al tempo della Grecia di Omero e della Magna Grecia della quale la Sicilia è stata componente essenziale. In ogni fiume, in ogni montagna era impersonata una deità minore per spiegarne il mistero. Da due millenni una luce diversa e più vivida ha illuminato il mondo, ma ancora quel concetto tra la realtà e la trascendenza è connaturato alle visioni dell’uomo. “Paesaggi Siciliani” è un titolo molto ampio, ma anche idoneo a significare, nello svolgimento di tre linee tematiche, i papaveri, i paesaggi, l’Etna autunnale, quanto siano infiniti i soggetti e le sensazioni che il fotografo può interpretare e riflettere nelle sue immagini. Giuseppe Fichera vede nella sua Sicilia qualcosa di palese e, allo stesso tempo, di nascosto, Vede, ed è questa la chiave di lettura, che ogni luogo, ogni spazio che può essere circoscritto in una inquadratura ha una sua voce interiore. Qualcuno ha scritto che vedere e sentire sono la stessa cosa. Conoscendo Giuseppe credo che il suo modo di essere fotografo sia proprio questo. Il suo sguardo è efficace perché penetra oltre la superficie, dentro, come per individuarne la magia nascosta. Ed infatti i suoi papaveri sono entità astratte, macchie di colore rosso, vive e determinanti nel contesto della natura, eppure allo stesso tempo illusione. La fotografia è illusione? Certamente lo è, ma è anche un riflesso dell’evidenza, di ciò che è vero ed indeterminabile allo stesso tempo, come il paesaggio, come l’orizzonte che variano con la luce e il punto di osservazione. È l’attimo irripetibile. Le immagini paesaggistiche che vediamo, tengono conto del lavoro dell’uomo e della variabilità della natura. Campi coltivati, declivi collinosi, geometrie di linee parallele o convergenti sono il segno di una civiltà contadina che ha in Sicilia origini ancestrali. Paesaggi bruciati, sofferti, nudi e macchiati di calore raffreddato, fanno strada alla sequenza che racconta l’Etna, la sua anima viva che a volte è puro spettacolo di bellezza, altre è esplosione di forza immane e inarrestabile. Piccoli sono gli uomini di fronte ai suoi bagliori ed ai fiumi incandescenti che lo solcano. La fotografia di Fichera indaga l’identità dei luoghi sentendone, quella che in inizio ho chiamato anima. Quando si visita una mostra fotografica non è il singolo contenuto delle immagini che fa breccia nella sensibilità di chi osserva, ma è la lettura del loro susseguirsi che porta all’interpretazione dell’opera nel suo insieme. Quando si guarda una persona negli occhi è come vederla dentro, ne sfuochiamo i segni esteriori e “sentiamo” la sua essenza. Così “Paesaggi Siciliani” diviene un racconto visivo che attraverso la poetica del fotografo ci introduce nel messaggio sublimale che questa terra emana. * Presidente On FIAF La Voce dell’Isola n. 23-24 Cultura 21 “Il diadema di pietra”, ultimo romanzo di Roberto Mistretta Il maresciallo Bonanno appassiona i tedeschi di SALVO ZAPPULLA C on il romanzo “Il diadema di pietra” Roberto Mistretta continua la fortunata serie del maresciallo Bonanno che tanto sta appassionando i lettori tedeschi e si avvia a ottenere lo stesso successo anche in Italia. Bonanno è personaggio sanguigno, vulcanico, fondamentalmente buono di carattere, detesta le soverchierie e non sopporta regole e gerarchie. Per questo piace. E se – come in questo caso - riesce pure a innamorarsi diventa persino vulnerabile. Ristretta, come sempre, riesce a far vibrare le corde dell'animo umano, ci sbatte sul muso meschinità terrene oltre ogni immaginazione. E così due storie apparentemente lontane tra loro procedono parallele per chiudersi a incastro nel finale. Le piccole beghe di corna in un paese dell'entroterra siculo, assunte a dramma a causa dell'assassinio dei due amanti. Quale mano ha premuto il grilletto? Un ladro? Uno dei coniugi traditi? A Bonanno spetta sbrogliare la matassa. E le vicissitudini di un ragazzino albanese costretto in fretta e furia a diventare adulto per colpa di belve senza scrupoli che stuprano, saccheggiano, uccidono senza mai volgere lo sguardo al cielo. Uomo mangia uomo. Mishna ha un paio di stivali da recuperare e deve portare a compimento la propria missione. Ne va del suo onore. Ma l'innocenza non potrà mai più recuperarla. Come lui tanti altri bambini nel Kossovo. Bonanno ha la sua giustizia da salvaguar- Le piccole beghe di corna in un paese dell'entroterra siculo, assunte a dramma a causa dell'assassinio di due amanti dare e, quando c'è di mezzo il sangue versato di persone innocenti, non si arresterebbe neanche di fronte ai carri armati. Parte in quarta come un bufalo infuriato e se ne strafotte della deontologia professionale. A costo di rimetterci la carriera o di scontrarsi con un capitano presuntuoso. A costo di rinunciare ai suoi cannoli con la ricotta. È propria questa la sua forza: la semplicità, l'autenticità, i suoi sbalzi di umore, le debolezze, i momenti di depressione che invogliano il lettore a parteggiare per lui. Un eroe – antieroe che conquista e ne fanno uno dei marescialli più amati della letteratura noir contemporanea. Il diadema di Pietra Cairo editore pagg. 314, €16,00 Per tutti i bambini del mondo A Siracusa la mostra della “speranza” di GESSICA FAILLA “ C i auguriamo che i sorrisi di questi bambini diventino diritti che in molti paesi non sono affermati”: con queste parole Sara Vinciullo, baby sindaco del Comune di Siracusa, ha aperto in via Brenta nella galleria d’arte contemporanea della Provincia regionale di Siracusa la mostra “Io Spero”, realizzata grazie al progetto editoriale del gruppo “Sorrisi di regime” (Orazio Mezzio, Gessica Failla, Pia Parlato, Vincenzo Mosca) e promossa dalla Presidenza del consiglio provinciale di Siracusa in collaborazione col Rotary Club Siracusa Monti Climiti e il comitato Unicef di Siracusa. Venti pannelli che ritraggono bambini da ogni parte del mondo (Kenya, Indocina, Madagascar, Brasile, Perù, Marocco, Afganistan, India, Nepal) immortalati dagli sguardi occidentali di fotografi non professionisti (Francesca Attardo, Alessandro Botta, Gessica Failla, Fabio Giuliano, Ronald Kothi, Vincenzo Rio)recatisi nei paesi in via di sviluppo e attratti dalle “diversità” e, spesso, dalle similitudini, incontrate nel loro cammino. L’iniziativa celebra i vent’anni della convenzione sui diritti dell’infanzia firmata a New York il 20 novembre del 1989. Accanto al baby sindaco del Comune di Siracusa, insieme alla preside Carmela Pace, tutta la baby giunta e gli amministratori neo eletti. “La mostra - ha espresso Pia Parlato – è la prima parte di un progetto più ampio che mira a unire i continenti a partire dalla speranza che si coglie nel viso di ogni La Voce dell’Isola n. 23-24 Un momento della mostra bambino, affinché ogni sorriso abbia le stesse opportunità di crescita”. Ha poi sottolineato come la scelta delle foto, selezionate tra centinaia, abbia premiato l’espressione dei bambini e i significati trasmessi attraverso le immagini, allestite in modo tale da permettere a chi le fruisce di attraversare immaginariamente la terra dal Perù all’Indocina, da Occidente a Oriente. “Ringrazio lo spirito di solidarietà che ha caratterizzato l’apporto di tutti coloro che hanno permesso di dar vita a questa splendida iniziativa – ha detto il presidente del consiglio provinciale, Michele Mangiafico - che ci ricorda quanti diritti dei più piccoli siano ancora lontani dall’essere rispettati in questo mondo”. La mostra rimarrà aperta fino al 6 gennaio e potrà essere visitata tutti i giorni dal lunedì al sabato dalle 8 alle 13 e dalle 16 alle 20. Roberto Mistretta Un libro per ragazzi scritto dal giovanissimo Ninni Tralongo Thomas Toppet, Tony Topolongo e la fantastica Booker I libri salveranno il mondo dall'appiattimento e dal degrado, ecco il messaggio che il giovanissimo Ninni Tralongo (18 anni appena) vuole lanciare dalle pagine di questo brioso libro per ragazzi “Thomas Toppet, Tony Topolongo e la fantastica Booker”. Ninni frequenta l' ultimo anno del Liceo Classico “T. Gargallo” di Siracusa, forse non è a conoscenza delle regole didattico- morali che a volte possono vincolare le libera creatività quando si scrive letteratura per ragazzi, ma ci sono scrittori -come nel suo caso- che possiedono un naturale istinto per il gusto del Bello, dell'avventura narrativa non priva di incoscienza, in definitiva della saggezza letteraria propria dei veri talenti. Ci sono tutti i requisiti per accattivarsi le simpatie del lettore in questo volumetto: ritmo, azione, fantasia, avventura, plot da consumato autore che non conosce pause e cedimenti. Accorgimenti che Ninni Tralongo adopera con la malizia di un veterano della scrittura, senza perdere mai di vista entusiasmo e freschezza. E infine emerge la magia, il sogno, il mondo misterioso abitato da creature partorite dalle menti eccentriche, che intraprendono la loro sfida, si rincorrono, lottano per il loro obiettivo, cadono e si rialzano, sempre con levità e delicata ironia, come in tutte le storie fantastiche che si rispettino. Riusciranno i nostri eroi- Toppet, Thomas, Tomix, Topovic, Trofus- a portare le giovani generazioni lontano dai videogiochi, la televisione becera, i video- games e tutti quei giochini elettronici infernali che ottenebrano la loro mente? Riusciranno a condurli alla lettura di buoni libri? Godetevi le pagine di questo gustosissimo testo fino all'ultima per saperlo. SAL. ZAP. Ninni Tralongo (nella foto) Thomas Toppet Tony Topolongo e la fantastica Booker Sampognaro&Pupi pagg. 87, € 10,00 20 Dicembre 2009 22 Cultura Interessante debutto di Michelle Moran con “La regina dell’eternità. Il romanzo di Nefertiti” Potere e amori proibiti, 3.000 anni fa come oggi di RITA CHARBONNIER L a regina dell’eternità. Il romanzo di Nefertiti, debutto letterario della giovane scrittrice americana Michelle Moran, è un successo internazionale. Uscito negli USA nel 2007 e in Italia la scorsa estate è stato pubblicato in diverse altre lingue, tra le quali spagnolo, francese, portoghese, cinese. Incentrato sulla misteriosa figura della regina Nefertiti, vissuta tra il 1370 e il 1330 a.C., il romanzo ricostruisce l’antico Egitto all’epoca della XVIII dinastia. Si tratta di uno dei periodi più intensi e complessi della storia egiziana: il faraone Akhenaton, marito di Nefertiti, fu fautore di una riforma religiosa che introdusse il monoteismo, incentrato sul culto di Aton, una divinità solare. La riforma produsse grandi tensioni, poiché in Egitto la casta sacerdotale era la più potente e deteneva anche il potere politico. Nel romanzo Nefertiti è ossessionata dal voler dare alla luce un erede maschio al trono e assicurare così alla propria famiglia una continuità nella linea di sangue reale. Partorirà invece sei femmine e dovrà subire il fatto che l’erede sarà messo al mondo da una concubina di Akhenaton: il futuro sovrano Tutankhamon. Michelle Moran vive in California. Prima di diventare una scrittrice a tempo pieno è stata insegnante e ha lavorato come archeologa volontaria in diversi Paesi, e da questa esperienza ha tratto l’ispirazione e la motivazione necessarie a scrivere romanzi storici. Dall’intervista che le abbiamo fatto emerge una personalità intensa, solare e priva di mistificazioni: la personalità di una vincente. Michelle, perché hai deciso di raccontare la storia di una regina egiziana vissuta più di 3.000 anni fa? La mia storia d’amore con l’antico Egitto è iniziata nell’estate del 1998, quando lavoravo in uno scavo archeologico in Israele. La mia squadra ritrovò casualmente uno scarabeo sacro, che testimoniava che gli egiziani si spinsero a nord, forse per vendere abiti, incenso, o l’oro di Nubia. Nell’osservare il misterioso oggetto, sporco di terra, che nessuno aveva toccato per chissà quanti anni, ho avvertito un interesse intenso e immediato. Non molto tempo dopo mi sono ritrovata a vagare per musei ed esposizioni sull’antico Egitto a Los Angeles, Londra e infine a Berlino, dove è esposto il meraviglioso busto di Nefertiti: una delle donne più affascinanti e potenti dell’antichità. Anche tremila anni dopo, quel busto suscita in chi lo osserva lo stesso timore reverenziale che devono aver provato i cittadini di Amarna, nel posare lo sguardo sulla regina. Mi sono chiesta chi fosse stata Nefertiti, quale fosse stata la sua storia. Ho iniziato a svolgere ricerche su di lei e sono rimasta stupefatta nel constatare che le sono stati dedicati diversi testi scientifici e siti Internet, ma che non esisteva una sola opera di finzione dedicata esclusivamente al suo regno, uno dei più enigmatici della storia. Spinta dal desiderio di scoprire questa vicenda mai raccontata, due 20 Dicembre 2009 Michelle Moran anni dopo ho visitato l’Egitto, raccogliendo testi e annotando impressioni. Quando tornai in America, infine, iniziai a svolgere una ricerca più approfondita, studiando in diverse biblioteche e intervistando varie personalità del mondo archeologico. Quanto c’è di storicamente accertato e quanto di inventato, nel tuo romanzo? giungere alla versione definitiva che è stata pubblicata. Generalmente si pensa che un libro possa uscire pochi mesi dopo che l’autore ha firmato il contratto con l’editore. Magari fosse così! In realtà, perlomeno in America, il processo sembra praticamente infinito. Il volume arriva in libreria in media un anno e mezzo dopo la firma, o nove mesi se l’autore è fortunato. sviluppo, perché sei tu a creare le scene. Hai qualche consiglio da dare a chi desidera vedere pubblicato un proprio romanzo? Uno solo: non smettere mai di scrivere. Se in un qualunque momento io mi fossi fermata e avessi detto a me stessa, che so, l’undicesimo libro che scrivo senza vederlo pubblicato sarà l’ultimo, poi rinuncio… non sarei arrivata alla pubblicazione. So bene che gli aspiranti scrittori non amano sentirsi dire queste cose. In passato, quando cercavo consigli su Internet o su qualche manuale, se avessi letto qualcosa del genere avrei pensato: oh, è geniale, grazie tante, non ci avevo proprio pensato! Ma la dura verità è che non c’è modo di entrare nel mondo letterario Il romanzo ricostruisce l’antico Egitto all’epoca della XVIII dinastia. Si tratta di uno dei periodi più intensi e complessi della storia egiziana: il faraone Akhenaton, marito di Nefertiti, fu fautore di una riforma religiosa che introdusse il monoteismo, incentrato sul culto di Aton, una divinità solare I principali eventi noti sono riportati con scrupolosa accuratezza storica, mentre mi sono concessa alcune libertà con personalità di minore importanza o su questioni dall’interpretazione controversa. Ad esempio, Nefertiti ebbe sei figlie con il marito Akhenaton, ma per quanto ne sappiamo non diede alla luce delle gemelle, come invece io racconto nel romanzo. Lo stesso fatto che Nefertiti abbia regnato in proprio dopo la morte del marito, che sia stata una donnafaraone, come io sostengo nel romanzo, non è accettato da tutti gli studiosi. In casi come questi, dopo aver analizzato le testimonianze storiche e le diverse tesi, ho scelto la strada che mi è sembrata più plausibile. Quanto tempo hai impiegato a scrivere La regina dell’eternità? Più di due anni, poi un altro anno per la revisione e un quarto per Hai sempre desiderato essere una scrittrice? Sì. Alcuni autori ci arrivano per caso, altri molto dopo aver terminato gli studi o dopo aver svolto un altro lavoro. Io invece non ho mai avuto dubbi su quale sarebbe stata la mia carriera e credo che anche i miei insegnanti di scuola ne fossero convinti. Ricordo di essere stata severamente ripresa perché in classe mi astraevo ed ero mentalmente assente. Quando scrivo, la scena scorre nella mia mente come un film, nel quale la regista sono io. Riesco a udire il dialogo tra i personaggi, poi li prego di fermarsi, ricominciare, dire le stesse cose con altre parole, o assumere un atteggiamento diverso. È chiaro che quando sei a scuola questo può rappresentare un problema, perché invece di imparare l’algebra guardi un film; ma è un film che ha possibilità infinite di se non avendo scritto un buon libro. I buoni libri vengono acquistati dagli editori. E se il tuo libro non viene acquistato, scrivine un altro e riprova; e forse quando ti sarà andata bene potrai rielaborare i tuoi lavori precedenti e vederli finalmente pubblicati, et voilà! I tuoi sforzi passati non saranno stati inutili. Oppure, al contrario, quando li rileggerai penserai: accidenti, avevano ragione a rifiutarli… oggi scrivo molto meglio di così. (Anche la mia scrittura è migliorata, nel tempo). E allora nasconderai quei tuoi primi undici libri in un cassetto, o in una cartella del tuo computer ben protetta da password, così nessuno potrà mai trovarli. Michelle Moran “La regina dell’eternità. Il romanzo di Nefertiti” Newton Compton Editori 423 pag, € 14,90 I “fimmini” di Pietrangelo Buttafuoco di ANNA PAPALIA E cco Pietrangelo Buttafuoco, giornalista, scrittore. Un uomo fine, intelligente, cordiale, pieno di verve, dalla parola facile, ma soprattutto, un uomo ragazzo che ha saputo chiudere dentro di se tutti quei valori che, noi di una certa età, pensiamo siano stati dimenticati, soprattutto dai giovani. Un reazionario, si definisce lui, io direi una grande guida per il mondo di oggi, pieno di tanti sofismi. Recentemente ha presentato il suo libro “Fimmini” presso l’Aula “Santo Mazzarino”del Monastero dei Benedettini. È stato ascoltato da tutti con grande entusiasmo e consenso. L’idea di questo romanzo, dice Buttafuoco, è nata per caso, in quanto l’autore si trovava in un bar e vide salire, nella famosa scalinata di Piazza di Spagna, due belle donne: Carla Bruni e Letitia Ortiz. Il suo primo istinto da uomo del Sud fu quello di esclamare: “mizzica che fimmini”! Però capì subito che questo sarebbe stato un titolo un po’ malizioso, e così venne fuori “fimmini”. Era giusto perseguire la strada della bellezza, in quanto lo stile, la poesia dell’immagine, sono quelle doti che danno il senso del compiuto. Così l’autore capì che la vera forza del nostro mondo è la donna, la fatica della donna, la famiglia della donna, la dimenticanza della donna. Ma anche di “fimmini” che mettono l’uomo in tasca con un niente, perché un niente è l’uomo davanti al fruscio di una loro gonna. È un libro affascinante, a tratti quasi un romanzo d’amore, a tratti saggio, a tratti diventa tuffo nella storia di passioni lontane nel tempo. Il titolo in lingua madre, la lingua del cuore, da solo, dice tanto. La lingua siciliana in una parola esprime un pensiero. Buttafuoco in questo libro canta da buon cantore catanese, con tanta grazia e con velata ironia, un omaggio alle donne, anzi, alle “fimmine”, sempre protagoniste nel bene e nel male. La “fimmina” ha il dolce compito di captare l’uomo, perché per legge di natura deve continuare la specie. Oggi con le pari opportunità, nessuno osa parlare di colpo di fulmine, di desiderio, a meno che non faccia “radical chic”. Quanta ipocrisia! La vera “fimmina” quella che nella sostanza non se n’è andata, sfugge alla parodia, affronta i segni del tempo, senza i miracoli della chirurgia e, sempre più “fimmina”, è il terremoto oggettivo, che si fa unico motore immobile della vita. L’uomo e la donna non potranno mai essere uguali, sia benedetta questa disparità! Nelle pari opportunità c’erano due strade: parità ed uguaglianza. Ne abbiamo indovinata una e sbagliata l’altra. Indovinato il senso della parità ma sbagliato il senso dell’uguaglianza. Quella uguaglianza che non va, non solo tra uomo e donna, ma tra padre e figlio, tra maestro e discepolo, tra generale e soldato. Quello che è venuto meno è l’istinto di volere organizzare tutto secondo un’idea organica, secondo quello che la natura ci impone. Ed è per questo che oggi, terre remote, molto più semplici, libere nei loro sentimenti, si preparano a scalzare mondi carichi di storia. Insomma, Buttafuoco, con le sue grandi qualità di istrionico affabulatore, con i suoi spunti di riflessione, fa incrinare presenti certezze. La secolarizzazione dell’Occidente, ha prodotto un allontanamento delle nostre radici. La Voce dell’Isola n. 23-24 Cultura 23 Il retaggio di una vita autentica e sensibile nell’opera di Lucia Arsì L’anima del mito greco attraverso l’introspezione dalla leggenda di ANDREA ISAIA È già giunto alla sua seconda edizione in meno di un mese il nuovo, appassionante e originale libro di Lucia Arsì, pubblicato dalla casa editrice Sampognaro&Pupi: a metà strada tra un romanzo e un saggio L’anima del mito greco, è un piacevole e colto ricettacolo di storie narrate con sapiente e ricercata maestria che vede nelle sempre coerenti analogie con l’intramontabile mito greco il suo punto di forza. Nell’opera dell’Arsì il mito greco abbandona la fine arte poetica fine a stessa e si dissocia dalle rivisitazioni che di esso ne ha fatto la moderna psicoanalisi, abbracciando, invece, e facendo sue, le inquietudini dei mitici personaggi della tragedia greca. Inquietudine che diventa elemento catartico per la nostra quotidiana e problematica esistenza. L’anima del mito greco rappresenta un’immersione nel mito e un’introspezione tramite la leggenda, affrontata però da un punto di vista assolutamente nuovo e inaspettato. La Arsì affronta con la sua prosa sempre scattante i più celebri miti greci. Da Medea alla siracusana Aretusa, da Afrodite, simbolo dell’amore, della bellezza e della sensualità, a Tiresia, lo sbarbato e svagato cacciatore, che Atena rese cieco e a cui donò il potere della profezia. Una narrazione piacevole e incessante, ricca di immagini bucoliche appartenenti a una vita passata e oramai perduta. Una vita serena, pulita, reale, pura, avulsa dalla superficialità e dalla artificiosità della contemporaneità. Una lettura nella quale si avverte il retaggio di una vita autentica e sensibile che, come mette amaramente in evidenza l’autrice, è sempre più un pallido ricordo. Emerge, nelle pagine dell’Arsì, da decenni ormai nel ruolo di docente, un accorato appello ai giovani, distratti dall’effimero e incapaci di vedere le piccole cose, di osservare i particolari e che hanno disimparato ad ascoltare la voce e il respiro della loro stessa anima. L’anima del mito greco è una vibrante e poetica rivisitazione del mito. Le fantasiose e pertinenti analogie con le reali e mai banali storie di vita quotidiana, di una modernità smemorata che si sorprende a riflettersi nella leggenda, non deludono il lettore che come per incanto viene proiettato nel passato e poi nuovamente nel moderno con agili e subitanei cambi di fronte. Un libro che non tralascia di indagare i sentimenti umani più nobili ma anche quelli più truci. Come nel mito greco, l’amore moderno diventa odio, diventa tragedia al contatto con l’uomo che come sempre, ancora una volta, risulta inetto al cospetto dell’amore. L’uomo visto dall’Arsì condivide molto con l’uomo di Svevo e con quello di Capuana, inetto alla vita, ai sentimenti, vacuo e inconsapevolmente crudele. La donna, invece, è amore, e deve all’uomo la consapevolezza, benché irraggiungibile, dell’esistenza di questo straordinario sentimento. L’uomo percepisce l’amore ma non può farlo suo, perché attanagliato dalla razionalità, dalla psiche, dalla morte, e per questo è, ancora una volta, inadeguato. Ma la morte ha un nemico ed è il ricordo, la memoria. Nell’autunno che precede l’inverno della morte, nel delirio degli ultimi istanti, la mente ritorna fanciulla al seno materno. I temi esistenziali della vita, della morte, dell’amore, dell’eternità, dell’anima e del tempo trovano la via ora della poesia, ora della logica, ora della metafisica, ma in ogni caso ciò che resta è una profonda riflessione, suscitata da una vivace, spedita ed eloquente successioni di immagini. Nulla è complicato nella prosa dell’Arsì. La narrazione procede in maniera colloquiale e il lettore viene coinvolto nei suoi intimi e lontani ricordi. Non mancano poi i curiosi e originali collegamenti tra il mito greco e il culto La Voce dell’Isola n. 23-24 Lucia Arsi cristiano. Quale analogia può mai unire Santa Lucia al mito di Tiresia? Una lettura per tutti i gusti su cui aleggia a più riprese un sensuale e delicato erotismo. Una lettura scattante e contaminante che non può mancare dalle nostre librerie. Un accorato appello ai giovani, distratti dall’effimero e incapaci di vedere le piccole cose, di osservare i particolari e che hanno disimparato ad ascoltare la voce e il respiro della loro stessa anima Instancabile animatrice del museo etnoantropologico di Floridia Cetty Bruno manager al servizio della cultura di SALVO ZAPPULLA C etty Bruno non è una donna di cui si può dire che ami l'ozio, le sue molteplici attività ne hanno fatto un riferimento, un punto cardine per chi voglia promuovere attività culturali di qualità nel siracusano e oltre. Nata a Solarino nel 1961, vive a Floridia dove coadiuva il padre Nunzio nella valorizzazione del museo etnoantropologico. Dopo le prime esperienze di natura organizzativa all'interno di una radio libera e la fondazione nel 1986 della prima associazione femminile con sede fissa, Cetty compie i primi passi in seno ai movimenti politici locali degli anni 80 e volge i suoi interessi alla comunicazione sociale e alla promozione culturale. Nel 1988 fonda il Centro artistico “Les Volants”, dando vita nella provincia aretusea a una intensa stagione di attività: concerti, mostre d'arte, stagioni teatrali, presentazioni di opere letterarie, circondandosi di collaboratori e referenti di altissimo livello. Nell'aprile del 2001 viene nominata presidente dell'associazione Nazionale Donne Italiane (ANDIT), sede di Floridia, che comporta un grande impegno in campo sociale, e fonda la rivista “Le Floridiane”, un trimestrale di cultura, attività e realtà femminili, a colori con tiratura di 1500 copie. Nel novembre dello stesso anno è ideatrice e direttore artistico della manifestazione “Imprendigiovani” svolta a Palazzolo Acreide e organizzata con la collaborazione della Soc. Coop. Anapos. Nel gennaio 2002, viene nominata vice-presidente regionale dell'Andit e nell'ottobre dello stesso anno fonda “La Sici- Cetty Bruno lia è donna” associazione di promozione culturale e turistica. Ma intuendo quale immenso patrimonio artistico e storico costituisca il Museo fondato dal padre Nunzio, Cetty inizia a occuparsi di gestione di beni culturali e consegue il titolo di esperto in gestione delle reti museali, frequenta stage formativi specialistici fino a diventare una vera esperta in materia, con lo scopo di valorizzare e rendere fruibile la raccolta di reperti etnoantropologici realizzata nel corso di decenni di appassionante lavoro dal padre Nunzio. La collezione, che costituisce il museo, nasce negli anni 60, e documenta la vita pastorizia, contadina e artigiana del nostro tempo passato. È stato istituito a Floridia dalla Provincia Regionale di Siracusa e dal Comune di Floridia. Viene inaugurato nel maggio 2004 nelle sale del vecchio carcere borbonico, in Piazza Umberto I. Voluto fortissimamente dal maestro Nunzio Bruno, discepolo di Antonino Uccello, che incessantemente ha svolto un lavoro di recupero e salvaguardia del materiale che attiene alle nostre tradizioni. Cetty Bruno ne ha assunto la direzione con sistemi innovativi e manageriali, offrendo degli itinerari insoliti ed alternativi, puntando su un lavoro d'equipe, in collaborazione con altri musei della provincia di Siracusa e Ragusa. 20 Dicembre 2009 24 Cultura Sana concorrenza tra professionisti, chiave di lettura del futuro che verrà Non confondere la modestia con l’umiltà Giornalismo oggi e domani: M deontologia nell’impresa di AZZURRA FAETI rati giornalisti tout court! E, vivaddio, non potrebbe essere altrimenti! Infatti, verranno subito a cadere gli alibi di quanti hanno sempre usato le manchevolezze editoriali o le manchevolezze degli enti deputati al controllo delle cose della professione, per giustificare la propria incapacità di base; l’imperdonabile leggerezza di avere scambiato un mestiere che è anche una missione per una possibilità facile di tirare a campare. Sempre me- di RINA BRUNDU L eggo che negli Stati Uniti d'America la deontologia giornalistica, ovvero l’insieme delle norme comportamentali, il codice etico proprio della professione, richiede un test di coerenza interna della notizia ed almeno una sua controprova da fonte diversa prima che dalla stessa si proceda a trarne conclusioni accettabili e dunque pubblicabili. A questo severo processo di controllo sembrerebbe non siano sfuggiti neppure gli articoli scritti da Bob Woodward e Carl Bernstein sul celeberrimo scandalo Watergate. Nutro dubbi sul fatto che questo condivisibile modus operandi venga sempre applicato con pedissequa determinazione nella terra dello zio Sam, ma l’evidenza di questi tempi mi porta a concludere che di una tale illuminata prassi procedurale non esista traccia in Italia. Scopo di questo articolo non è comunque quello di tirare nuovamente in ballo le note magagne del giornalismo italiano. Il target sarebbe piuttosto quello di tentare di identificare un possibile futuro della professione, anche alla luce delle molte possibilità offerte dalle nuove tecnologie e dunque di capire quali strumenti possano aiutare nel tentativo di costruire questo futuro possibile. La mia tesi di fondo è che il domani del giornalismo, e dunque di ogni giornalista del domani, sarà di molto legato alla sua capacità imprenditoriale. Ne deriva che, in quel tempo-che-verrà, la deontologia di riferimento non sarà solo quella storicamente applicabile al mestiere, ma dovrà gioco forza guardare ad una più generale etica imprenditoriale che, a sua volta, potrà diventare pedina rilevante nel modellarne il cammino. Un primo importante vantaggio nell’avere una figura di giornalistaimprenditore sarebbe infatti quello di una maggiore “responsabilizzazione alla fonte”, quando la “fonte” è il professionista stesso. I benefici di una simile situazione non sarebbero pochi. Da un lato, ci sarebbe certezza di una serietà di metodo e di indagine che renderebbe pure meno pregnante la necessità della con- 20 Dicembre 2009 troprova di cui si è già detto, dall’altro verrebbe ridotta in maniera sensibile la “responsabilità” editoriale e dunque la capacità dell’editore di “pilotare” l’attività del giornalista. Inoltre, dato che ogni buona avventura imprenditoriale riesce a sopravvivere, nel tempo, solamente quando all’ottenimento di un risultato corrisponde anche una indiscussa competenza di fondo, nonché una virtuosa gestione degli affari, l’av- i l talento del mestierante in questione a creare un bacino d’utenza da portare in Ogni nuova avventura editoriale riuscirà a sopravvivere solo se si accompagnerà a un’indiscussa competenza di fondo e una virtuosa gestione degli affari. L’avvento del giornalista-imprenditore darebbe garanzia di professionalista soprattutto ai lettori vento della figura del giornalistaimprenditore darebbe garanzia di professionalità prima di tutto al lettore. Questo perché, come in ogni business che si rispetti, sarà proprio dono ad un qualsiasi editore disponibile a pubblicare il lavoro svolto. Né più né meno! Conseguenza delle cose sarà che il futuro giornalista potrà essere tale solamente se l'occupazione che si é scelto coinciderà con le necessità delle passioni di una vita. Anzi, sarà proprio quell'interesse alle fondamenta a permettergli di superare qualsiasi ostacolo e a guadagnarsi il rispetto sul campo. Da non dimenticare vi é che un simile professionista in realtà non sarà mai solo. Lui/lei potrà sempre contare sull’aiuto di ogni strumento normalmente a disposizione di un buon gestore per fare crescere in maniera sana la sua impresa. Di fatto, la concorrenza impedirà qualsiasi deriva perniciosa, mentre la necessità di tenere legato a sé il cliente-lettore sarà la potentissima arma di auto-controllo di quella possibile deriva. Diventare buoni-ottimi giornalisti sarà quindi condizione imprescindibile per venire conside- glio che lavorare, appunto! Quando visto da questo prospettiva, il giornalismo del futuro potrà contare dunque su una task-force di professionisti assolutamente affidabili, preparati, presenti e determinati ad ottenere il miglior risultato con ogni mezzo lecito. Perché sarà pure la liceità del mezzo usato a fare la differenza, meglio ancora, la “liceità del mezzo” sarà davvero una conditio sine qua non (del resto, non è proprio la deontologia ad affermare che fini e mezzi sono strettamente dipendenti gli uni dagli altri, e dunque che un fine giusto sarà il risultato dell'utilizzo di giusti mezzi?). Non ci si dovrà stupire perciò se, una sana concorrenza tra professionisti sarà la chiave di lettura del giornalismo che verrà ed, in verità, sarà la sola speranza di sopravvivenza del suo buon nome. Questo perché, come in ogni avventura umana o imprenditoriale che sia, non mancheranno certamente le insidie e gli ostacoli da superare. Al contrario, non meraviglierebbe se gli stessi, nel futuro prossimo, si presentassero moltiplicati rispetto alle misere schermaglie del presente. Proprio per questo sarà dunque necessario poter contare su professionisti capaci e deontologicamente irreprensibili! Non so quanto tempo dovrà trascorrere prima che questo prevedibile status quo-professionistico comincerà ad imporsi nella realtà dei fatti, ma non ho dubbi che così sarà. Sia perché alla realizzazione di un simile - e altrimenti utopico - progetto darà una mano importante la Rete, sia perché l’alternativa sarebbe data dall’azzeramento della dignità del singolo professionista a favore delle più oscure velleità di questo o quell’altro gruppo editoriale. Dato che l’esperienza, anche di questi tempi, insegna che gli interessialtri tendono spesso ad essere più forti ed impellenti della necessità della bontà-della-notizia, inutile dire che prima partirà questa rivoluzione possibile, meglio sarà! odestia: virtù che fa rifuggire dal riconoscimento o dal vanto dei propri meriti senza che questa condizione sia dettata da circostanze o motivi esteriori. È modesto chi non è ambizioso, che è riservato, chi evita lo sfarzo. C’è anche il falso modesto che desidera raccontare cose che gli fanno onore e si giustifica premettendo “modestia a parte”, o, “senza falsa modestia”. Non bisogna confondere la modestia con l’umiltà. Il modesto non fa sfoggio delle proprie potenzialità. L’umile, da humus (terra) quindi propriamente basso, è conscio della sua debolezza, riconosce e accetta l’autorità altrui e si comporta con rispettosa sottomissione. Si definisce umile anche chi è di grado poco elevato quanto a grado sociale. Di umili natali se di famiglia modesta va già un po’ meglio. Siamo saliti di un gradino. Prima della II guerra mondiale a Bologna c’erano delle case popolari chiamate “case degli umili”, erano assegnate a chi possedeva il libretto di povertà. Erano, indubbiamente inferiori, come qualità edilizia, alle altre, sempre popolari, abitate da operai e impiegati. La cosa straordinaria è che le case degli umili non subirono danni nemmeno con i bombardamenti. Sono state abbattute con le ruspe! Tempo addietro quando la modestia era ancora considerata una virtù l’aggettivo modesto si incontrava ogni tre righe di uno scritto. «… Indossava un modesto vestitino di percolle a fiori. Il modesto cappellino le conferiva un’aria dignitosa…» la ragazza modesta non poteva mettersi in testa una bella Pamela di paglia di Fircure perché scontata non l’avrebbe potuta acquistare mai. Gli sconti stagionali non c’erano. Lo sconto si otteneva dopo trattative estenuanti, anche perché da tempo a disposizione ce ne era di più, e una volta ottenuto, era anche cresciuta la fiducia e la stima nel negoziante. Io indossai, per anni un morbidissimo e caldo cappotto grigio super scontato, ma io, che avevo vent’anni, lo volevo rosso magari anche più “modesto”. Non ho mai letto di scarpe modeste, le scarpe dovevano essere robuste perché duravano una vita. Io, che non ho tanta fantasia, continuo a considerare modeste le scarpe di tela dei ragazzi d’oggi anche se constano 200 euro. Un paio di jeans modesti non li indosserebbe nessuno, già si fa fatica ad accettarli non firmati. Una volta venivano molto sottolineate la modestia e l’onestà, si leggeva frequentemente … modesto ma onesto come se il modesto dovesse essere per forza un malavitoso. Che dire poi della modesta sepoltura, mi piacerebbe sapere se esiste una sfarzosa sepoltura e se il defunto è più contento. Molti pensano che la modestia sia una debolezza e si stanno formando dei finti sicuri di sé dominati dall’arroganza e dalla presunzione. Per fortuna ci sono ancora persone che pur avendo compiuti gesti eroici, o grandi sacrifici si comportano “modestamente”. Nella mia esperienza di raccontatrice di fiabe nelle scuole, noto che la modestia trova uno spazio “modesto” nell’immaginario infantile. Si ricorda il protagonista quando diventa un eroe, quando compie gesti eclatanti e se ne vanta. I ragazzi apprezzano il carrierismo facile e ammirano che ha più soldi. Ti guardano con un misto di meraviglia e commiserazione se affermi che modesto non è colui che non vale nulla ma è colui che pur volendo evita enfasi e retorica per non farsi notare. La Voce dell’Isola n. 23-24 • 7 camere “Charme” nel corpo centrale & 5 “Mistral” nella dependance, funzionali con le seguenti caratteristiche e dotazioni: Frigobar – Radiosveglia – TV – Asciugacapelli – Telefono – Bagno con doccia – Presa Fax/ modem ISDN – Riscaldamento ed aria condizionata – Cassetta di sicurezza • Due bar, uno nella hall ed uno nel ristorante – Sala TV – Sala lettura - Accesso facilitato per disabili – Ascensore – Parcheggio interno fruibile durante la stagione invernale – Sala per riunioni e meeting da 90/100 posti dotata delle più moderne attrezzature – Charter nautico e mini crociere con barca a vela • Servizio lavanderia - Parcheggio – Noleggio auto, moto, barche – Escursioni guidate – Gite in barca – Servizio transfert – Spiaggia privata 26 Cultura Dal blasonato Barocco della ricostruzione al vivace Liberty dei viali del capoluogo Gaetano D’Emilio racconta la vivacità della dinamica comunità di Catania di CORRADO RUBINO L’autore che da molti anni ha vissuto la sua vita cittadina in modo intenso e partecipativo, sia come professionista sia come politico, non decide di raccontare la sua città senza prima aver superato i sentimenti contrastanti che gli sono nati nell’animo C ertamente un uomo come Gaetano D’Emilio, che da molti anni ha vissuto la sua vita cittadina in modo intenso e partecipativo, sia come professionista che come politico, non decide di raccontare la sua città senza prima aver superato i sentimenti contrastanti che gli si sono nati nell’animo. Scrivere qualcosa che rimane a futura memoria è sempre emozionante. Ci si sente come all’inizio di un viaggio che si intraprende senza sapere bene dove ci porterà. Ma, di contro, scrivere dopo una vita passata “in trincea” è come tirare le somme: un consuntivo insomma. E quando si fanno consuntivi c’è il rischio di cadere nella melanconia, nel dire il fatidico “ai miei tempi!”, come se si fosse al capo linea della propria esistenza. Errore che lo stimato ex preside dell’Istituto Marconi non compie proprio perché ha trascorso gran parte della sua vita in mezzo ai giovani e dai giovani ha assorbito la vitalità e la voglia di affrontare il futuro. Lo stesso D’Emilio scrive nella prefazione del suo libro “Catania, dal blasonato Barocco della ricostruzione al vivace Liberty dei viali, oggi annodata va smagliata per ripartire” edito da Edizioni Media snc Catania di Mario Adorno, «Quando si è avuta la fortuna di raggiungere un’età che consente di guardare serenamente il passato senza paura del futuro, si avverte la necessità di partecipare ad altri, prima che la memoria venga meno, avvenimenti vissuti o percepiti, che aiutino a capire i luoghi, le persone e gli ambiti in cui si è stati parte attiva. Con la speranza di poter, in tal modo, contribuire a dare alla comunità, attraverso l’esperienza maturata, ciò che non si è riusciti, a suo tempo a trasmettere, nonostante averlo desiderato. Chi ha avuto la ventura, come chi scrive, di venire a conoscenza di avvenimenti del XIX secolo, attraverso i passaparola dei nonni, di avere vissuto intensamente il secolo successivo ed essersi affacciato nell’attuale, si ritrova nell’opportunità di conoscere avvenimenti contenuti in un arco temporale di tre secoli, che aiutano l’analisi della vivacità di una Comunità dinamica come quella della nostra Catania. Se a questo si aggiunge il fatto di essersi trovato, per lunghi anni, in osservatori privilegiati della vita della Città e, per oltre tre decenni, in un formativo contatto giornaliero con migliaia di giovani, dai quali si riceve più di quello che si dà, si giustifica il desiderio di offrire alle nuove generazioni un contributo, attraverso il racconto di avvenimenti, quasi fossero note di cronaca. Apparentemente non meritevoli di considerazione ed invece giudicati di rilievo, grazie ad approfondimenti dei rispettivi momenti storici in cui essi sono avvenuti. Non solo per motivi affettivi o nostalgici, in un’epoca in cui la tecnologia con le sue accelerazioni accorcia tempi e distanze ed affievolisce sentimenti, ma per valutazioni obiettive che, col tempo, assumono rilevanza storica. Al termine di ogni stagione avviene la raccolta dei frutti, pochi o molti che siano, poi la pianta si esaurisce ma non muore, va in letargo per rinnovarsi, in una successiva stagione con nuovi rami, foglie, frutti: un fenomeno di fotosintesi che si ripete infinitamente per perpetuare la vita terrena.» A sinistra, sotto e nell’altra pagina in basso: alcune delle vecchie foto di Catania tratte dal libro A destra: l’ing. Gaetano D’Emilio, autore del libro con, alla sua sinistra, Filippo Arriva, da sinistra gli editori Adalgisa, Mario e Monica Adorno In basso a destra: il sindaco di Catania Stancanelli col famoso attore teatrale Gilberto Idonea Un invito a ripensare una storia che ci lasci in piedi: per decidere di FILIPPO ARRIVA* I conti con la Storia di Catania li farete a ogni passo, dopo aver percorso questo libro. Sorrisi, drammi e sospiri si sporgono da angoli e strade, da vicoli e piazze. Li ritroverete nelle vostre passeggiate o nel traffico degli spostamenti frettolosi di lavoro. La città vi affascinerà ancora. Di più. Con un linguaggio nuovo. Catania, la città che parla. Pagine in cui appare spesso silenziosa, seppur portatrice di una passione che non esplode quasi mai in urla mediterranee e si perde in sussurri normanni, piacevolezze arabe, dolcezze etnee. Le pagine trascrivono caratteri e umori, si soffermano su occasione mancate, ma ripetono l’invito ad andare avanti in una sana, continua, ricostruzione. Uomini e palazzi, umanità e strade. Nel racconto di Gaetano D’Emilio spicca una assenza di rassegnazione, un invito a ripensare una Storia che ci lasci in piedi. Per decidere. Sfugge all’autore solamente un ripiegamento triste nell’inciso sulla “Milano del Sud”. Quelle virgolette che traslano il significato sino a farlo confinare con l’ironia. Occasione perduta. Ed oggi brucia di più se vista quale occasione passata veloce, annunciata e non goduta, lanciata nell’universo dell’economia come slogan (marketing, si direbbe oggi) mai concretizzato. Certamente, ed è pensiero di chi scrive, è mancanza di una classe politica che ieri come oggi si è fatta temprare più dal trasformismo che dal progresso. Così l’urbanistica è metafora di una evoluzione che si blocca ai piedi degli Anni 20 Dicembre 2009 Cinquanta. Quando le esigenze dei cittadini e della città passano in secondo piano. Nel libro trovate, tra tanti, due esempi a mio avviso particolarmente definiti e analizzati da D’Emilio: il doloroso sventramento del percorso ferroviario dentro la città, e la conseguente ferrovia, e il quartiere di San Berillo con un risanamento partito da lontano, metà del secolo scorso, e smarrito tra burocrazia e progetti. Forse sbagliando avevo sempre pensato, con l’occhio della memoria personale più che urbanistico, che San Berillo, il suo degrado, la prostituzione e le sue strade malsane e storte come un destino senza uscita, fossero un momento di follia, di irrazionalità in una città squadrata quanto un quartiere dell’esercito romano. Mi scuso, ma parte della mia infanzia è legata a via Pistone e a quell’odore che arrivava dalla friggitoria Stella. Puoi pensare di risanare un quartiere, mai un ricordo. D’Emilio mette in campo numerose ragioni e illustra come e perché parte di quel quartiere dovesse necessariamente rinascere. E soprattutto come e perché quella ricostruzione restasse bloccata a metà degli Anni Cinquanta. Dire che c’è amore in questo volume è scontato. Ancor più c’è fiducia nella città, ed essa – nella penna di D’Emilio tra ricordi e saggezza d’ingegnere - non è un elemento astratto di case, palazzi e vie... Ma l’insieme (e lo scrive) di tutti gli abitanti, poveri e ricchi, intelligenti e furbi, sani e corrotti. Quella fantastica miscela che descritta, pagina dopo pagina, dà nerbo alla lettura. Il racconto è della città e degli uomini che l’hanno fatta, dalla fondazione a oggi. Non percorre l’autore (non vuole) diatribe politiche di partiti, né scempi e sacchi di vario genere (troppo spesso avvenuti). Sarebbe troppo amaro e doloroso. Così come ci si ferma davanti allo stallo dei nostri giorni, ma attenzione perché quella incantata descrizione del Palazzo degli Elefanti, il viaggio nel corpo di una delle sedi municipali “tra le più accoglienti tra i Comuni italiani e, meritatamente nella storia della democrazia, tra i primi esempi di amministrazione partecipativa...”, è critica al malaffare e a chi quel Palazzo ha offeso. È in via Etnea che D’Emilio ci invita a fare quattro passi. Una camminata lenta, dallo sguardo leggero. Via Etnea, la spina dorsale della città, la strada che sale verso l’infinito e ha in sé il midollo dell’intelligenza, della creatività, della bellezza. Ed il bello è un valore etico. L’autore parla di negozi e di uomini, di bar e di eleganza. La strada verso la montagna diventa un grande palcoscenico: è Catania, la città spettacolo. Su quel palcoscenico fatto di strade e mercati (almeno prima che l’UE rattristasse tutto) di quartieri popolari e cortili aristocratici, dei versi di Tempio e Martoglio, con cittadini-attori di ogni classe sociale. Tutti dal gesto facile, dalla battuta pronta. È Catania, la città in cui anche le statue gesticolano. La passeggiata che propone D’Emilio, nel cuore del libro, parte da Camastra e arriva ai giorni nostri con i ritmi e i tempi dello “struscio”. Tocca gioiellerie, adunate fasciste, canta- storie e giardini, carrozze del Sette-Ottocento, tram a cavallo e automobili. C’è voglia di perdersi. Sino alla bellezza del negozio Barbisio e un brancatiano, mitico nodo alla cravatta. C’è la letteratura e l’architettura, c’è la durezza delle pietra e la delicatezza della nostalgia. La città silenziosa si anima e il rispecchiamento del destino nell’urbanistica catanese è lungo di secoli (gran maestro il Vulcano). Un gioco di rispecchiamenti e rimandi continui che si frantumano, come un colorito e luminoso caleidoscopio, in tante storie che narrano una sola Storia. D’Emilio racconta. E ricorda. È lui il cantastorie. Lui viandante solitario, tra tanti personaggi meravigliosi, se la gode. Il mito corre più veloce della ragione. La descrizione della Civita ha l’accento accorato; la panoramica sul barocco ha i toni del giocoso. Gli spazi reali nascondo simboli e qui – tra queste pagine - si rivela tutto. Alla fine l’epifania urbanistica mostra una città magmatica, che ha cambiato volto e storia per colpa, e volere, del suo Vulcano. Mostra cittadini testardi che non si sono mossi di un centimetro dal loro passato, volendo ricostruire sempre sul sito originario. È quindi Catania città che ha nelle viscere se stessa, la propria Storia (come solamente alle grandi città è dato): questa le dà la forza di rinascere, questa le permette – ma non so dire per quanto tempo ancora – di avere un’utopia. *Dalla presentazione del volume “Catania”, di Gaetano D’Emilio La Voce dell’Isola n. 23-24 27 La presentazione del volume di Gaetano D’Emilio Un ritorno al passato per preparare il futuro di CORRADO RUBINO È sempre suggestivo entrare nelle sale del Castello Ursino di Catania e in particolare salire fino al Salone dei Parlamenti e, anche se l’occasione è data dalla presentazione del libro di Gaetano D’Emilio, quella sensazione d’immergersi nel passato ci prende inevitabilmente; ma è sempre romanticamente piacevole. Così come è romanticamente piacevole leggere le pagine di questo bel lavoro dell’ingegnere D’Emilio; però, già nel titolo del libro “Catania, dal blasonato barocco della ricostruzione al vivace liberty dei viali, oggi annodata va smagliata per ripartire”, s’intuisce che in quelle pagine non ci sono solo ricordi di un secolo di esperienze personali. La parola “ripartire” è in realtà la chiave di lettura di questa interessante avventura catanese. Avevo appena dieci anni quando la giornalista e scrittrice Camilla Cederna, su l’Espresso del 22 aprile 1962, scriveva un lungo servizio su Catania. Ovviamente lessi quell’articolo molti anni dopo, quando ebbi la curiosità di sapere chi si era inventata quell’etichetta di “Milano del Sud” che Catania si è portata appresso per decenni. La Cederna stava svolgendo un’inchiesta sulla Sicilia i cui risultati le fruttarono ben sei articoli e quello su Catania era intitolato “Il volo del Catanese”. Quindi fu proprio Camilla Cederna a coniare, agli inizi degli Anni ’60, quel parallelismo fra la città meneghina e la città etnea. Se mai aveste la possibilità di rileggerlo restereste sorpresi come, per tanti versi, vi si possa ancora riconoscere la Catania di oggi. Ma mentre Milano ha imboccato seriamente la strada che l’ha portata a divenire una metropoli europea, Catania ha perso l’occasione a causa della mentalità provincialotta e per nulla lungimirante della “classe dirigente” cittadina. A proposito del vecchio quartiere di San Berillo pensate che quando a Catania si aspettava la seconda visita di Mussolini gli amministratori della città si vergognarono a tal punto nel far vedere le facciate degradate dei palazzi del quartiere prospicienti la stazione ferroviaria da cui sarebbe uscito il corteo del duce per recarsi in piazza Duomo, che innalzarono, davanti alle case, barriere di drappi e bandiere come fossero quinte teatrali. Ma il destino volle che prima dell’arLa Voce dell’Isola n. 23-24 Nel Salone dei Parlamenti del Castello Ursino un incontro alla presenza di studiosi, personalità politiche, e tanti giovani che sperano in una Catania nuova che faccia tesoro degli errori commessi a danno della città rivo di Mussolini un forte vento lacerasse quei finti fondali che non impedirono così la visione di quelle misere abitazioni. Negli Anni ’50 fu deliberato e approvato il risanamento del quartiere San Berillo di Catania che si concluse, nella prima metà degli Anni ’60, non con il “risanamento” del quartiere ma radendo al suolo un’area di circa trecentomila metri quadrati. La vergogna era stata rasa al suolo e trentamila persone erano state “deportate” in un nuovo quartiere, certamente più dignitoso ma, come poi successe con Librino anni dopo, senza servizi, senza infrastrutture, senza scuole. Al posto del vecchio San Berillo cosa si è realizzato? Dei ventiquattro nuovi grandi edifici del progetto (tra cui anche un grattacielo di venti piani mai nato) se ne realizzarono solo otto e soprattutto nel tratto di corso Sicilia. Il tratto di corso Martiri della Li- bertà è tutt’oggi in gran parte non edificato, ma la cosa che fa riflettere è che buona parte dell’antico quartiere degradato è ancora al suo posto e dalla metà degli Anni ’60 ad oggi ha continuato la sua funzione di “location” della prostituzione cittadina. La riflessione è la seguente: ma allora il progetto di risanamento del quartiere San Berillo è servito solo per unire la stazione ferroviaria al centro della città e per le speculazioni edilizie degli Istituti di Credito? Si, “ripartire”! Proprio così ingegnere D’Emilio! Bisogna ripartire ripensando seriamente a cosa vuole fare da grande questa città, aldilà delle apparenze. È impellente prima di tutto ricreare le condizioni per cominciare una seria politica economica per attirare lavoro (lavoro produttivo e non speculativo) per la città ed il suo interland (senza il quale non si può pensare di progettare nulla). Si tratta di creare “produzione a 360 gradi” a costi concorrenziali così come hanno fatto le nazioni emergenti nel mondo. Certo, ci vogliono gli strumenti legislativi giusti (fiscalità di vantaggio, zone franche, ecc…) e per fare questo ci vuole che a Palazzo degli Elefanti, a Palazzo Minoriti, alla Prefettura, a Palazzo di Giustizia, alla Procura, alla Camera di Commercio, nelle Sedi Sindacali, nel- Una serata tutta all’insegna di una riflessione su Catania L o scorso 12 dicembre, nella suggestiva cornice di Castello Ursino, si è svolta la presentazione del libro dell’ingegnere Gaetano D’Emilio, dal titolo “Catania, dal blasonato barocco della ricostruzione al vivace liberty dei viali, oggi annodata va smagliata per ripartire”. Per chi non lo conoscesse Gaetano D’Emilio è stato assessore all’urbanistica del Comune di Catania, presidente dell’Ordine degli Ingegneri della provincia di Catania e preside dell’Istituto tecnico “Marconi”. Nell’affollato Salone dei Parlamenti si è svolta una piacevole serata all’insegna di garbati e piacevoli interventi dei relatori. Erano presenti, oltre all’autore del volume, anche gli editori Mario Adorno e sua figlia Monica e Filippo Arriva, giornalista, scrittore, critico televisivo e teatrale, nonché autore di testi teatrali. Mario Adorno, che debutta in libreria con questo volume, ha alle spalle una carriera editoriale ultra trentennale: si impone all’attenzione del lettore con una pubblicazione di alto prestigio. La serata ha registrato anche l’intervento del sindaco Raffaele Stancanelli che ha salutato gli intervenuti con parole di speranza per il futuro della città ed ha preannunciato l’incontro, programmato per il 19 dicembre, di tutte le rappresentanze delle istituzioni, autorità, enti e associazioni cittadine per affrontare in modo organico la “ripartenza” di Catania. Molto applaudito è stato anche l’intervento dell’attore Gilberto Idonea che a sorpresa ha voluto ricordare la figura del grande e rimpianto Renzino Barbera recitando una sua splendida poesia. Con l’appassionata esposizione di alcune parti l’Università e, in somma, in tutti i punti nevralgici della città, si abbia la voglia di invertire la rotta di questa città che diventa, sempre più, solo il silenzioso crocevia di droga, affari loschi e riciclaggio di denaro sporco. del suo libro, D’Emilio ci ha ricordato che Catania fa i conti con la sua storia da ogni passo. Da un lato i sorrisi, i drammi e i sospiri che si possono scoprire lungo le strade, nei vicoli e nelle piazze e dagli angoli caratteristici della città; dall’altro le soluzioni urbanistiche moderne ed avanzate del dopo terremoto, e le successive occasioni mancate per dare a Catania uno sviluppo più ordinato e metropolitano. Conoscendola a fondo, come la conosce D’Emilio, la città ci parla. Tra una passeggiata frettolosa fra i negozi ed uno spostamento da un punto all’altro per lavoro, la città tornerà ad affascinarci se sapremo ritrovare la storia di quei luoghi. (Edizioni Media snc, 184 pagine, euro 40,00) C.R. 20 Dicembre 2009 Nell’elegante cornice del centro storico di Catania l'esclusivo ristorante pizzeria “Primo Piano” vi offre, grazie all’abilità dello Chef, la possibilità di assaporare una vasta gamma di squisite pietanze ispirate alla cucina tradizionale, oppure provare i piatti della cucina internazionale: dall’orientale con il cous-cous alla Paella spagnola; il tutto preparato con passione e professionalità, ma soprattutto con la creatività che caratterizza l’elegante locale. Aperto tutti i giorni - Pranzo: solo su prenotazione - Cena: dalle 19:45 alla 0:45 Per maggiori informazioni Ristorante Primo Piano - Via A. De Curtis 8 - 95131 Catania Tel./Fax 095 531028 www.ristoranteprimopiano.info