Anno IV - N. 23~24 • 20 DICEMBRE 2009 - € 1,50
Giornale Siciliano di Politica, Cultura, Economia, Spettacolo diretto da Salvo Barbagallo
La Voce dell’Isola
Il governatore risolve la crisi alla Regione
A Raffaele Lombardo Babbo Natale
porta nuove alleanze e nuova Giunta
Nel 2010 i nodi
tutti al pettine
Sicilia laboratorio politico
alla ricerca di una stabilità
di MARCO DI SALVO
E
così, in questo finale di anno, ci troviamo qui, passeggeri di navi politiche (nazionali, regionali e cittadine) sempre
più alla deriva. Voi vi ci raccapezzate, in tutto questo delirio? Noi,
alla Voce, proviamo a mettere ordine tra gli atti di coloro che dovrebbero governarci ma, credete, è davvero difficile trovare qualcosa di
razionale in tutto questo frenetico
muoversi (per stare fermi).
Solo per restare dalle nostre parti, le manovre che avvengono in
quel di Palermo (ma dovremmo dire più onestamente tra Bronte e
Grammichele) lasciano chiunque
abbia a cuore la nostra terra quanto
meno attonito.
Se il 2008 è stato l'anno del
trionfo (annunciato) della maxicoalizione Pdl-Udc-Mpa, quello
che tra poco si conclude sarà ricordato come l'anno della disgregazione e del disfacimento. Una disgregazione che, paradossalmente
ma solo fino ad un certo punto,
non fa vedere alternative plausibili
all'orizzonte. Perché non vorrete
dirci che lo sgabello Pd per Lombardo sia una soluzione di alto profilo (sempre che poi si realizzi, cosa di per sé già difficile).
Ma la posizione più imbarazzante, per molti aspetti è quella dei cosiddetti lealisti del Pdl. Già, perché, a più di un mese dalla nascita
del cosiddetto Pdl-Sicilia, e dopo
l'ufficializzazione della rottura con
Lombardo (ratificata il 9 dicembre
con l'approvazione in aula di un
ordine del giorno nel quale da un
lato si assicurano fiducia e sostegno pieno nell'operato del governatore e dall'altro si condanna il
comportamento assunto negli ultimi mesi proprio da quella corrente
del Popolo della libertà, accusata
soprattutto di avere bocciato il do-
cumento di programmazione economica e finanziaria della Regione, qualche domanda dalle parti di
Bronte e dintorni (e nella zona
messinese di giurisdizione naniana
o quella palermitana di filiazione
schifaniana) sarebbe opportuno
farsela.
Per esempio chiedersi “lealisti”
nei confronti di cosa, visto che a
tutt'oggi non pare a che sia giunta
nessuna seppur minima reprimenda dalle parti di Palazzo Grazioli
nei confronti di Miccichè e co.
Vabbé che il premier è particolarmente impegnato tra un'alta velocità da inaugurare, un viaggio in
giro per il mondo ad omaggiare
dittatori e qualche legittimo impedimento a frequentare le aule di
giustizia.
Ma sono proprio certi, i brontesi
e i loro sodali, che si trovino dalla
parte giusta della barricata? Non
sarà che, alla fine, si troveranno
col cerino in mano, in una stanza
(Pdl) piena di esplosivi? E quanti
saranno, alla fine, i lealisti disposti
davvero ad andare all'opposizione?
Prepariamoci ad un 2010 di spine e
di nodi al pettine (di sangue e lacrime, si sarebbe detto in atri tempi. Ma sangue e lacrime ne abbiamo spese fin troppe, quest'anno).
Auguri. Ne abbiamo proprio bisogno.
I
l presidente della Regione,
Lombardo, va avanti. La verifica di governo è stata ok grazie alla presenza del PD che ha
garantito il numero legale nella
seduta del 9 scorso: si farà una
nuova Giunta entro la fine dell’anno. Escono sconfitti i “lealisti” di Castiglione-NaniaFirrarello, l’alleanza tra il governatore e Miccichè regge bene.
Nella pratica l’originaria maggioranza non c’è più. Sarà concretizzata “una grande alleanza
sociale per avviare le riforme che
servono alla Sicilia": è questo lo
sbocco dell’apertura di dialogo
con il Partito Democratico perché
"sono arrivate da Lombardo parole dure contro la sua ex maggioranza e contro le politiche antimeridionali del governo Berlusconi. Valuteremo i fatti che ne seguiranno", come afferma il segretario del PD Giuseppe Lupo.
La Sicilia torna ad essere laboratorio politico? L’interrogativo
non ha ragione d’essere in quanto
la Sicilia da sempre è “laboratorio” di tutte le possibili (e impossibili) alchimie.
Chi accusa Raffaele Lombardo
di essere promotore di un nuovo
Milazzismo non conosce a fondo
le ragioni che provocarono quel
fenomeno che ha fatto “storia”,
non ricorda le comuni radici dei
due personaggi, non si affanna a
capire cosa sia veramente la Sicilia. A Raffaele Lombardo possono
porsi un miliardo di critiche (motivate, oppure no), ma resta un
fatto che pochi possono ignorare:
quest’uomo vuole governare una
regione che è stata costantemente
terra di conquista e – al di là delle manovre e delle beghe della politica nazionale e provinciale –
tenta di portarle qualche beneficio. Come oppositori si è trovato,
in un percorso tortuoso, compagni di coalizione come Castiglione, Firrarello, Cuffaro che hanno
posto ostacoli a qualsiasi tipo di
programmazione (giusta o sbagliata che fosse) solo per questioni di potere.
Berlusconi, in realtà, sulla vicenda siciliana non si esprime,
non ha alcun interesse a rompere
con gli alleati Lombardo e Miccichè: rischierebbe di perdere l’Isola (con un elettorato pur sempre
imprevedibile e incontrollabile)
senza avere garanzie di continuità.
Raffaele Lombardo ha continuato nella sua strada, nonostante molti sostenessero che la sua
esperienza fosse conclusa.
In qualcosa Raffaele Lombardo
assomiglia a Berlusconi, soprattutto quando afferma che il suo
“mandato, gli elettori, glielo hanno dato per governare la Sicilia e
che in questo senso sta operando”, e quindi non può farsi bloccare da antagonismi che con la
politica poco o nulla hanno a che
fare.
Raffaele Lombardo c’era e rimane, sono costretti ad ammetterlo anche i suoi oppositori: “Lombardo da oggi può contare su una
compatta e larga minoranza. Forse non gli basterà per affrontare
le riforme e per dare un buon go-
verno alla Sicilia ma sarà sufficiente per tenerlo incollato alla
poltrona”, ha affermato Saverio
Romano, responsabile nazionale
organizzazione Udc e segretario
del partito in Sicilia.
“Il voto all'Ars è stato un momento di grande chiarezza: non si
può essere alleati e remare contro
allo stesso tempo. Una maggioranza si è dissolta e adesso è il
momento di cominciare a costruire il futuro con chi ci sta, attorno
a un programma per rilanciare la
Sicilia.
Il nuovo governo Lombardo nascerà il prossimo anno anche perché entreranno in vigore le nuove
regole sulla giunta regionale e
sulla razionalizzazione degli assessorati. Lo faremo con chi approverà il programma, e le alleanze saranno costruite attorno a
esso", ha dichiarato, dall’altra
parte, il senatore del Movimento
per le autonomie, Giovanni Pistorio”.
Qualunque considerazione possa trarsi in questa fase, in ogni
modo, potrebbe risultare errata o
fuorviante: gli avvenimenti sono
in evoluzione, e là, dove mancano
– come ora – reali prospettive,
non c’è da criticare chi, servendosi anche di alambicchi e misture,
cerca una “formula” per risolvere il visibile malessere generale.
Silvio Milazzo ci provò, ma le
logiche romane e internazionali
prevalsero e il suo esperimento
fallì. C’è da augurarsi che questa
volta vada meglio: le delusioni,
poi, fanno troppo male.
Salvo Barbagallo
Nelle foto: in alto, Raffaele Lombardo;
al centro, gli sconfitti “politicamente”
il sen. Pino Firrarello e il presidente della
Provincia di Catania Giuseppe Castiglione
Sviluppo
2
Ottimisti nonostante i limiti oggettivi: la classe imprenditoriale è pronta a scommettersi
Confindustria Catania: l’anno 2009
si chiude con un trend incoraggiante
di DOMENICO BONACCORSI
DI REBURDONE*
P
er Confindustria Catania il
2009 si chiude con numeri incoraggianti. Sono 73 (al 30
novembre) le nuove imprese che da
gennaio sono entrate a far parte del
sistema associativo provinciale (ben
oltre il target pari a 60 aziende fissato dalla stessa Confindustria), che
raggiunge cosi un totale di 651 imprese, con 26.600 dipendenti e un
fatturato di 2 miliardi e 366 milioni
di euro. Un risultato forse fuori dalle aspettative degli stessi vertici associativi dopo la complessa fase di
cambio della guardia. Un anno che
ha visto Confindustria Catania, la
più grande territoriale dell’Isola per
numero di imprese e fatturato, rafforzare la sua rappresentatività sul
territorio e il dialogo con le Istituzioni e con gli attori sociali.
Quali le prospettive?
Il credito e le banche
Un dialogo proficuo e consolidato
a partire dal mondo del credito, per
sostenere le imprese in una fase difficilissima della congiuntura economica globale. Così il protocollo siglato con l’Associazione bancaria
italiana sulla moratoria dei debiti
delle imprese, ha consentito di aprire un canale diretto di confronto anche a livello locale. Gli incontri periodici tra i vertici associativi, con
Carlo Negrini per l’Abi e Confindustria Catania, hanno permesso un
monitoraggio costante degli accordi,
ma anche l’elaborazione di spunti e
indicazioni che hanno spianato la
strada a forme innovative di supporto sia alle imprese che ai lavoratori,
La Voce
dell’Isola
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di Catania
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Anno IV, nº 23-24
20 Dicembre 2009
Gli articoli rispecchiano
l’esclusivo pensiero dei loro autori
20 Dicembre 2009
L’agenda del prossimo
anno vedrà certamente
un ulteriore
consolidamento del dialogo
con il mondo del credito,
attraverso lo strumento
delle convenzioni bancarie
e con lo strumento
strategico dei consorzi
di garanzia fidi
Domenico Bonaccorsi di Reburdone, presidente di Confindustria
Catania
con l’estensione a questi ultimi di
provvedimenti come lo slittamento
delle rate dei mutui.
Il mondo del lavoro
Si è avuto un rafforzamento del
dialogo anche sul delicatissimo
fronte del lavoro e delle relazioni
industriali. Nonostante la crisi economica mondiale, il tessuto economico della provincia di Catania ha
dimostrato di saper rispondere alle
scosse determinate dai cambiamenti
in atto in maniera non del tutto negativa. Ne è una prova il minor ricorso alla cassa integrazione da parte delle imprese locali. Tuttavia, forze datoriali e sindacali si sono attrezzate per reagire e fare fronte comune. Il patto per Catania, siglato a
settembre insieme a Cgil, Cisl e Uil
è servito da camera di raffreddamento per evitare l’esplodere di criticità aziendali.Grazie al ricorso a
tutti gli strumenti possibili e utili ad
evitare il licenziamento, così come
previsto nel protocollo, si è riusciti a
raggiungere il duplice obiettivo di
non spezzare il collegamento tra lavoratore ed azienda e contenere i
costi del personale.
Tassazione locale
I tributi locali hanno rappresentato un altro importante terreno
d’azione per le iniziative di Confindustria. Prima fra tutte la radiografia
del sistema di tassazione delle imprese riguardo allo smaltimento dei
rifiuti solidi urbani. Un monitoraggio che ha messo in luce un aumento della Tarsu del 107 per cento in
tre anni, a fronte di un servizio pressoché inesistente per le imprese della zona industriale di Catania, costrette ad una imposizione iniqua.
Una denuncia forte dell’associazione che non si è fermata però alle critiche, ma ha elaborato, di concerto
con altre associazioni datoriali, dettagliate proposte in un tavolo tecnico per superare i nodi della tassazione pregressa e stabilire un sistema
più equo ed efficiente.
I servizi alle imprese e l’aggregazione
Sono reti e aggregazioni il binomio per rispondere alle difficoltà indotte dalla crisi. Oltre ai protocolli
sul credito e alle convezioni bancarie, Confindustria ha stretto alleanze
per dare servizi più qualificati alle
imprese aderendo al Consorzio Nazionale Rete Industria partecipando,
quale socio fondatore, all’Agenzia
nazionale per lo sviluppo dei distretti produttivi. In questa direzione va
inquadrato il protocollo sottoscritto
con American Chamber of Commerce in Italy, la più grande Camera
di commercio estera in Italia. Un’intesa siglata proprio per consentire
alle imprese locali la possibilità di
espandere il loro raggio d’azione internazionale cogliendo le opportunità del mercato statunitense. Una sinergia resa ancora più significativa
dall’adesione di Confindustria Catania all’ente camerale americano.
Anche l’accordo con l’Agenzia del
Territorio si è inserito nel contesto
di una rete che mette al centro le
esigenze primarie delle imprese offrendo loro servizi di qualificato livello nell’ambito della valutazione
patrimoniale e immobiliare, degli
accertamenti tecnici, delle consulenze specialistiche di varia natura.
Nel sistema delle collaborazioni,
anche una convenzione specifica
dettata dalla contingenza. L’accordo
con Aiop, l’Associazione ospedalità
privata, ha permesso ai dipendenti
delle aziende di Confindustria la
somministrazione gratuita del vaccino contro l’influenza “A”.
Verso il 2010
L’agenda del prossimo anno vedrà
certamente un ulteriore consolidamento del dialogo con il mondo del
credito, sia direttamente, attraverso
lo strumento delle convenzioni bancarie, che indirettamente attraverso
lo strumento strategico dei consorzi
di garanzia fidi.
Sburocratizzazione della macchina amministrativa, semplificazione
delle procedure, sblocco dei fondi
pubblici saranno altri temi sui quali
si concentrerà l’azione di Confindustria. Con l’istituzione dello sportello “Addioburocrazia”, pensato dai
Giovani imprenditori per segnalare
e risolvere i casi di malaburocrazia,
anche Confindustria Catania farà la
sua parte per cercare di rimuovere i
nodi che inceppano gli investimenti
e lo sviluppo.
Altra direttrice di impegno sarà
l’internazionalizzazione delle imprese. È in fase di avvio avanzato il
progetto Extender, una innovativa
piattaforma virtuale che consentirà
lo scambio di informazioni tra imprenditori interessati ai mercati esteri. In modo del tutto gratuito le imprese potranno avvalersi del supporto di circa millecinquecento tutor
operanti in tutto il mondo per pianificare l’ingresso nei mercati mondiali. Sicurezza e legalità valori assoluti da difendere al di sopra degli
obblighi di legge. Uno strumento da
potenziare e utilizzare al meglio per
diffondere la cultura della sicurezza
sui luoghi di lavoro è certamente
Fondimpresa, il fondo paritetico per
la formazione continua dei lavoratori costituito da Confindustria, Cgil,
Cisl e Uil, che consente senza oneri
aggiuntivi per imprese e lavoratori
di realizzare qualificati progetti di
formazione.
C’è da ricordare, inoltre, che nel
2010 l’apertura dell’area di libero
scambio consentirà di avere un mercato di 600 milioni di consumatori.
Sicuramente la prospettiva per il nostro territorio è molto favorevole.
Ma siamo indietro rispetto ai nostri
potenziali partner mediterranei che
sono più attrezzati dal punto di vista
infrastrutturale. Catania ha evidentemente una posizione geografica
strategica per fare da centro propulsore, ma siamo assolutamente in ritardo anche perché è mancata una
progettazione di lungo respiro. Il
grande impegno che vorremmo portare avanti come Confindustria Catania è quello di coinvolgere tutte le
forze datoriali e sociali in un progetto di rilancio della città. Purtroppo
le carenze infrastrutturali rischiano
di far perdere alla Sicilia la grande
occasione dell’area di libero scambio. A Catania abbiamo un porto che
è carente, perché non ha spazi e non
ha possibilità di espansione, l’Interporto è solo sulla carta. Nonostante i
limiti oggettivi, noi siamo ottimisti.
La classe imprenditoriale è pronta a
scommettersi a tutto campo.
*Presidente Confindustria Catania
Silvio Ontario alla guida
dei Giovani Imprenditori
È
Silvio Ontario il nuovo presidente del Gruppo
Giovani di Confindustria Catania. Lo ha eletto
l’assemblea del Gruppo, riunitasi in Confindustria, che ha rinnovato anche il consiglio direttivo. Imprenditore di prima generazione, trentasei anni, ex Ufficiale di marina, Ontario ha frequentato l’Accademia
Navale di Livorno. Possiede imprese attive nel settore
dei controlli ambientali e nella realizzazione di strutture sanitarie e ospedaliere chiavi in mano. È presidente
della residenza sanitaria “Villa Mariani” ed è socio della compagnia elicotteristica Mas di Catania. A 16 anni,
infatti, è stato fra i più giovani piloti di elicotteri in Italia.
Approda alla carica di Presidente del gruppo Giovani di Confindustria dopo un’esperienza di oltre dieci
anni all’interno dell’associazione, dove ha ricoperto
l’incarico di vicepresidente dei Giovani Industriali per
ben due mandati.
Diffusione della cultura del merito e dei valori dell’impresa, i concetti chiave sui quali il neo presidente
del Gruppo intende puntare gli sforzi per sostenere la
crescita associativa. Tra gli obiettivi tracciati nel programma, ampio sostegno ad “Addioburocrazia”, lo
sportello virtuale ideato dai giovani di Confindustria
Silvio Ontario, presidente del Gruppo Giovani
di Confindustria Catania
Sicilia per segnalare e risolvere i casi di malaburocrazia; la formazione dei giovani; l’internazionalizzazione
delle imprese. Nel consiglio direttivo sono stati eletti
Agnese Alì, Maria Antonietta Azzaro, Alessandro Garofalo, Antonio Fronterrè, Salvatore Messina, Alessia
Paone, Antonio Perdichizzi, Antonino Speranza.
Ernesto Girlando
La Voce dell’Isola n. 23-24
Sviluppo
3
Bisogna concentrare le risorse seguendo una logica di efficienza e di selezione degli interventi
Per lo sviluppo della Sicilia
determinante il capitale sociale
di IVAN LO BELLO*
C
on il 2009 si chiude per la Sicilia un anno difficile. Si è
accentuato il divario con le
altre regioni europee in ritardo di
sviluppo. Il reddito pro capite si attesta ancora al 60% di quello delle
regioni del Centro Nord del Paese: è
ancora il divario che si registrava 30
anni fa. Il valore aggiunto dell’industria manifatturiera in senso stretto è
al minimo storico(10,8% rispetto al
totale del V.A.). Anche i dati riguardanti gli altri settori produttivi sono
in caduta libera.
È stato approvato un’importante
norma come il credito d’imposta per
le imprese. È stato esitato il Piano
energetico regionale, mentre problematico resta lo start up della programmazione regionale per l’utilizzo dei fondi strutturali comunitari,
in attesa della rimodulazione dei
programmi operativi a cui il Governo regionale nel 2010 intende mettere mano per concentrare le risorse
in direzione di poche e strutturali
priorità che possano consentire un
utilizzo virtuoso delle risorse.
La Sicilia, come del resto tutto il
Mezzogiorno, é un’area in difficoltà, in un Paese che certamente è in
difficoltà, ma dove quanto meno i
servizi pubblici (rifiuti, acqua, trasporto pubblico, sanità, istruzione,
giustizia civile) presentano un livello di efficienza superiore.
Nella classifica sull’esercizio del
“doing business”, elaborata dalla
Banca Mondiale, su 182 Paesi, l’Italia nel 2009 è al 78° posto, e in Sicilia il fare impresa é ancora più difficile, in quanto la specificità dello
Statuto regionale, piuttosto che essere utilizzata come opportunità per
alleggerire il peso degli oneri amministrativo-burocratici, li rende ancora più complessi, scoraggiando l’attrazione di investimenti soprattutto
esteri.
Ai problemi della Sicilia occorre
dare una risposta politica che non
sia dettata da ragioni di breve periodo.
La classe dirigente della regione,
con alcune rilevanti eccezioni, sembra ignorare i grandi cambiamenti
che sono avvenuti ed avvengono intorno a noi con una velocità esponenziale, modificando profondamente gli equilibri politici, economici e sociali.
Il contesto in cui ci troviamo ad
operare richiede una nuova qualità
di governance, in grado di interagire
costruttivamente all’interno del sistema, ma anche con altre realtà secondo un approccio innovativo e teso ad assicurare stabilità e sviluppo
economico.
Per stravolgere il quadro di decadenza occorrerebbe, pertanto, una
visione ampia del futuro, promossa
da un capitale sociale capace di superare l’attuale situazione di stallo
ed accompagnare una radicale opera
di modernizzazione, anche a costo
di pagare nel breve termine un prezzo politico, creando le condizioni
per l’effettiva promozione di interessi e valori condivisi della regione.
Una politica virtuosa per la Sicilia
deve avere una forte capacità autocritica e indirizzarsi verso una consistente riduzione del ruolo della dimensione pubblica nella società e
La Voce dell’Isola n. 23-24
Nell’Isola
il fare impresa
è difficile.
La specificità
dello Statuto
regionale piuttosto
che essere utilizzata
come opportunità
per alleggerire
il peso degli oneri
amministrativoburocratici,
li rende ancora
più complessi,
scoraggiando
l’attrazione
di investimenti.
Soprattutto esteri
nell’economia, alla diffusione ed all’ampliamento della cultura di mercato, all’eliminazione di rendite e
intermediazioni parassitarie, restringendo il perimetro del “pubblico
imprenditore”.
L’ipertrofia del pubblico, l’inefficienza del pubblico sono oggi il vero blocco per lo sviluppo della Sicilia: il pubblico assorbe le pochissime risorse che ci sono, genera ulteriore inefficienza in tutti i servizi.
Siamo arrivati ad un punto di non ritorno. O la dimensione pubblica inizia una cura dimagrante, oppure non
ci sono soluzioni. Ciò non significa
meno pubblico: noi in Confindustria
diciamo “Più Stato, più mercato”.
Stato nelle sue funzioni essenziali, e
meno Stato in tutta quella marea di
società di servizi pubblici locali, dove si sta verificando un meccanismo
di implosione a catena di tante questioni che non si sono mai affrontate
che oggi, di fronte alla carenza di risorse, non reggono più sul mercato.
Più mercato, in quanto la ricchezza
nei Paesi l’ha fatto il mercato, la
concorrenza, imprese che si sono
sfidate sui mercati, e queste imprese
per competere sui mercati hanno bisogno di servizi pubblici efficienti,
infrastrutture adeguate.
Vedo tantissime aziende con una
grande voglia di intraprendere che,
a dispetto delle difficoltà, riescono a
progettare investimenti, che guardano al futuro. Basti pensare che in
questi ultimi anni le esportazioni siciliane sono aumentate al netto delle
esportazioni petrolifere. Le esportazioni sono il misuratore della capacità competitiva in un sistema industriale.
Oggi ci sono tante energie imprenditoriali poco conosciute: sono
queste energie che possono portare
la Sicilia fuori dalla crisi e su un
percorso di crescita.
Al punto in cui siamo bisogna
concentrare le risorse – comunitarie,
statali e regionali - seguendo una logica di efficienza e di selezione degli interventi: poche priorità, focalizzate su grandi progetti infrastrutturali e sulla organizzazione di reti
di sistema, di logistica e di comunicazione.
Così come è necessaria una chiara
definizione di vincoli finanziari e
standard di qualità per i servizi resi
dalla regione e dagli enti locali. Fino a quando noi avremo un macigno, come quel 41 e mezzo per cento di valore aggiunto di Pil generato
da un pubblico inefficiente, che
spreca risorse e alimenta clientele,
sarà difficile trovare le risorse da investire sulla crescita effettiva. Non
solo, quel 41 e mezzo per cento di
Pil ha un effetto culturale devastante
e discorsivo che spinge imprese e
cittadini a collocarsi in mercati protetti, in rapporti più o meno trasparenti con il pubblico e crea incentivi
perversi nell’attività delle imprese.
Le risorse pubbliche, dunque, o
vengono concentrate in pochi obiettivi strategici, che hanno effetti diretti sulla capacità competitiva del
territorio, o non producono ricchezza. Queste sono le questioni rilevanti: i fondi comunitari, meno pubblico nell’economia. Soprattutto il
pubblico deve saper bene programmare
Ma l’idea di una sana programmazione delle risorse in un contesto
di efficienza, moralità e trasparenza
della spesa pubblica richiede la capacità di sganciarsi da un blocco sociale che guarda solo a soluzioni
contingenti e a risposte e protezioni
individuali, seguendo piuttosto
esempi positivi, come quello delle
regioni spagnole, che grazie ad un
utilizzo strategico dei fondi europei,
sono riuscite a crescere del 3% in
media all’anno.
La modernizzazione della Sicilia
non è più solo un principio da sostenere, ma una svolta inevitabile, a
cui bisogna riconoscere un forte potenziale di crescita, nonché prospettive di una rinnovata coesione con il
resto del Paese e di una immagine
più attrattiva dell’Isola per evitare
quella discesa agli inferi che sembra
caratterizzare il panorama politico e
sociale di tanta parte del Mezzogiorno.
*Presidente Confindustria Sicilia
Nelle foto: Ivan Lo Bello, presidente Confindustria Sicilia
20 Dicembre 2009
4
Memoria
A vent’anni dalla sua morte si trova ancora qualcuno che lo critica con veleno e rancore
Leonardo e i “cretini di sinistra”:
intervista immaginaria a Sciascia
Leonardo Sciascia
di VALTER VECELLIO
L
’eterna sigaretta Benson &
Hodges tra le dita, gli occhi
stretti a fessura, come per meglio catturare le immagini che le
evocano le parole dell’interlocutore
che ascolta attentissimo; alle domande risponde quasi sillabando:
per lui le parole “pesano”, le centellina per antica abitudine ancestrale.
Si è detto di lui che coltivava la
“dialettica del silenzio”…parlava
con impercettibili movimenti del
corpo: un battito di ciglia, un sorriso
ironico, e valevano più di tante parole. Leonardo Sciascia è tornato?
No, non è tornato. Di lui abbiamo il
ricordo di chi ebbe la fortuna di conoscerlo, frequentarlo; e i suoi libri,
che restano, indifferenti all’usura
del tempo. E a vent’anni dalla sua
morte si trova ancora qualcuno che
lo attacca, lo critica con veleno, con
astio, rancore.
“Una volta Alberto Savinio ha
detto che accoglieva le critiche dei
suoi detrattori con glaciale indifferenza. Anch’io”. Sono certo che risponderebbe così. Non una parola
di più”.
Ma ti saresti immaginato tanta insistenza e accanimento? Perfino un
amico, sia pure di secondo grado,
non di quelli intimi che potevano
chiamarti “Nanà” come lui stesso
ammette, parlo di Andrea Camilleri,
ha detto che “Il Giorno della civetta” è uno di quei libri che avrebbe
voluto non fosse mai stato scritto…
“Giovanni Falcone non la pensava così. Diceva che i miei libri sono
stati importanti per la sua formazione…”.
Ti rimproverano ancora l’articolo
sul “Corriere della Sera”, quello sui
professionisti dell’antimafia…
“C’è un libro, si intitola ‘I disarmati’, lo ha scritto un giornalista
che si chiama Luca Rossi. Ne leggo
un brano, quello che riporta una riflessione di Falcone mai smentita:
Il fatto è che il sedere di Falcone
ha fatto comodo a tutti. Anche a
quelli che volevano cavalcare la
lotta antimafia. Per me, invece,
meno si parla meglio è. Ne ho i coglioni pieni di gente che giostra
con il mio culo…Sciascia aveva
perfettamente ragione…”.
Mettila come vuoi, fatto è che “Il
Giorno della civetta” viene accusato
addirittura di essere un testo che
20 Dicembre 2009
Andrea Camilleri
esalta la mafia…
“Lo so, lo ha scritto Pino Arlacchi, e poi altri. E ora, ripeto, Camilleri…”.
Come rispondi?
“Si tratta di manifestazioni di un
fenomeno che avevo individuato anni fa. In una nota pubblicata in
“Nero su nero” scrivevo che ‘intorno al 1963 si è verificato un evento
don Mariano Arena che suddivideva
l’umanità in quelle famose cinque
categorie…
“Ma la parte importante del libro
non è quella. È nella pagina prima”.
Vale a dire?
“Il capitano Bellodi teme che don
Mariano Arena se la possa cavare,
grazie alle protezioni politiche di
mosso…”.
Ma cosa suggerivi e suggerisci?
“Di sorprendere la gente nel covo
dell’inadempienza fiscale, come si
fa in America; e non solo con i mafiosi e non solo in Sicilia. Suggerivo
– ed era il 1960 – di piombare sulle
banche, di mettere mani esperte sulla contabilità, che in genere è a
doppio fondo, delle aziende, di revi-
Sorprendere la gente nel covo dell’inadempienza fiscale,
come si fa in America. E non solo con i mafiosi e non solo in Sicilia.
Piombare sulle banche, mettere mani esperte sulla contabilità,
che in genere è a doppio fondo, delle aziende, revisionare i catasti…
insospettabile e forze ancora, se
non da pochi, sospettato. Nasceva e
cominciava ad ascendere il cretino
di sinistra: ma mimetizzato nel discorso intelligente, nel discorso
problematico e capillare. Si credeva
che i cretini nascessero soltanto a
destra, e perciò l’evento non ha trovato registrazione. Tra non molto,
forse, saremo costretti a celebrarne
l’epifania’. Direi che ci siamo da
tempo, in quell’epifania…”.
Mi scuserai se insisto. Dicono che
con “Il Giorno della civetta” hai di
fatto esaltato il capo-mafia, quel
cui gode, cosa che poi accade; ed
ha la tentazione di usare quei metodi, al di là e al di sopra della legge
che furono di Cesare Mori, il prefetto di ferro mandato da Mussolini a
debellare la mafia…”.
Lui, Mori, dei risultati li conseguì…
“Certo, ma a che prezzo? E comunque gli si lasciò mano libera
contro i livelli bassi della mafia.
Quando cercò di avvicinarsi agli alti papaveri, che già erano diventati
parte del regime, fu prontamente
promosso, nominato senatore, e ri-
Una celebre scena tratta da “Il giorno della civetta”
sionare i catasti…”.
Vado avanti io: “E tutte quelle
volpi, vecchie e nuove, che stanno a
sprecare il loro fiuto dietro le idee
politiche o le tendenze o gli incontri
dei membri più inquieti di quella
grande famiglia che è il regime, e
dietro i vicini di casa della famiglia,
e dietro i nemici della famiglia, sarebbe meglio si mettessero ad annusare intorno alle vittime, le automobili fuori serie, le mogli, le amanti
di certi funzionari; e confrontare
quei segni di ricchezza agli stipendi,
e tirarne il giusto senso…”. Quel
giusto senso non lo si vuole tirare…
“E si capisce. Non solo il mafioso
ci rimetterebbe, si sentirebbe il terreno mancargli sotto i piedi”.
C’è un’altra pagina tosta nel
“Giorno della civetta”, l’ultima…
“Un apologo”.
Il medico coraggioso che si mette
in testa che i detenuti mafiosi sani
devono stare in cella, e i detenuti
non mafiosi malati in infermeria. È
un brano che mette i brividi…
“E però mi sono inventato ben
poco”.
Il medico viene aggredito in carcere e picchiato…
“E nessuno lo aiuta, lo difende,
gli rende giustizia…”.
Anche il suo partito, il PCI, gli
consiglia di lasciar perdere…
“Così si rivolge al capomafia…”.
E in certa misura, ottiene giustizia…
“Forse sono queste due pagine
che mi si rimprovera…”.
Se ti dovessi definire?
“Direi che sono uno che cerca di
semplificare secondo verità”.
Una volta hai tracciato la classifica degli elementi che fanno lega
contro gli intellettuali e generalmente contro quanti pensano con la loro
testa…
“Invidia, intrighi, disprezzo dei
potenti, imbecillità, fanatismo. Ma
sono cose sopportabili. Ma attenzione: quando imbecillità e fanatismo
si uniscono a spirito di vendetta, allora ne abbiamo una somma terribile, e talvolta micidiale”.
Come difendersi?
“Potrei dire di essere un conservatore. Nel senso che voglio conservare, di fronte a uno Stato che se ne
è svuotato, la Costituzione. Voglio
conservare la libertà e la dignità
che la Costituzione mi assicura come cittadino; e la libertà che ho goduto come scrittore, e la dignità che
come scrittore mi sono guadagnata.
Libertà e dignità che oggi sono in
pericolo…”.
Dici che occorre cominciare a
contarsi…
“Se lo si farà, si scoprirà che siamo isolati ma non soli. Non numerosi, ma sufficienti per contrapporre
l’ “opinione” alle “opinioni correnti”.
(L’intervista, è evidente, è immaginaria. Le risposte però sono vere, ricavate cioè da libri, articoli e interventi
di Leonardo Sciascia)
La Voce dell’Isola n. 23-24
Sviluppo
5
Da Catania al Mediterraneo: Informatica, Comunicazione e Tecnologia
Le vie dell’internazionalizzazione
per il nuovo export siciliano
di CORRADO RUBINO
L
’Expobit 2009, il salone Euromediterraneo dedicato all'informatica, alla comunicazione
e alla tecnologia si è svolto a Catania
alla fine del mese scorso ed è giunto
alla sua 14° edizione. Expobit ogni
anno si propone come momento di
incontro preferenziale tra domanda e
offerta, vetrina per le aziende del settore che intendono incrementare il
loro potenziale commerciale, aumentandone la competitività.
L’evento ha avuto come obiettivo
quello di offrire un panorama completo sull’innovazione tecnologica
nel mercato delle telecomunicazioni,
dell’ICT, della multimedialità e
dell’audiovisivo, con una speciale attenzione per le tematiche ambientali,
energetiche e per l'automazione. I
numeri ed i positivi riscontri dell’edizione di quest’anno e delle precedenti edizioni lo collocano al secondo posto nella classifica degli
eventi italiani dell’ICT.
L’evento intende porsi come momento di analisi dei processi di Internazionalizzazione delle PMI Siciliane, con particolare attenzione alle
problematiche strutturali, progettazioni pubbliche e iniziative imprenditoriali. I vertici delle istituzioni nazionali e regionali hanno illustrato la
situazione che stiamo vivendo e i
progetti in corso di realizzazione per
l’export e l’internazionalizzazione
delle nostre aziende. Nel corso dell’incontro/dibattito i visitatori hanno
ascoltato, dalla viva voce degli imprenditori siciliani e dei buyer esteri,
le loro esperienze in campo internazionale, i limiti tecnico-struturali e
finanziari che impediscono l'internazionalizzazione delle PMI Siciliane e
L’Expobit, giunto alla sua quattordicesima edizione, ogni anno si propone come momento di incontro
preferenziale tra domanda e offerta, vetrina per le aziende del settore che intendono incrementare
il loro potenziale commerciale, aumentandone la competitività
gli elementi positivi da cui invece ripartire.
Quale ruolo strategico potranno
avere le aziende siciliane nei rapporti
economici e culturali con i paesi del
bacino mediterraneo, in particolare
Marocco, Tunisia, Libia e Turchia
nel settore dell’ICT?
Le aree tematiche a cui si è rivolto
il salone Expobit sono state:
- l’informatica, per la quale sono
state presentate le offerte più nuove e all’avanguardia dalle migliori
aziende di computer e software del
mercato competitivo;
- il digitale, che ha rappresentato un
atteso appuntamento con l’innovazione e le tecnologie digitali. È
stato l’unico momento in cui la comunità dell’ICT Digitale e le
Aziende del settore hanno incon-
trato gli esperti e il grande pubblico;
- le tecnologie per l’intrattenimento
Audio/Video/Luci per il quale
l’esposizione è stata riservata ai
migliori marchi dell’audio-video e
dell’illuminotecnica, pensata per
gli appassionati di Hi-end e per gli
operatori dell’Entertaiment.
- Energia e Ambiente Il perorso tematico rivolto alle famiglie, alle
scuole e alle pubbliche amministrazioni, dedicato al risanamento
dell’ambiente e allo sviluppo sostenibile, alle energie rinnovabili alternative, alla bioedilizia, al riciclaggio e allo smaltimento dei rifiuti.
- Next Home – Domotica, abitare
l’innovazione. Non solo un prototipo di casa digitale, ma una più
vasta cornice espositiva e convegnistica delle novità tecnologiche
che possono migliorare la qualità
della vita.
- Virtual Office, È un prototipo di
“Ufficio Intelligente”, dove l’applicazione delle tecnologie e le soluzioni innovative architettoniche
si fondono insieme fino a creare
un sorprendente e nuovo modo di
lavorare.
- Expo Play, Un raduno dedicato ai
videogiochi multiplayer che ha come obiettivo primario quello di
stimolare l’interesse dei giovani
verso la scienza dell’informazione
e delle tecnologie informatiche a
360°.
- Finanza on-line, Il forte sviluppo
dell’home-banking è stato favorito
dalla migliore dotazione Hardware
e Software delle piccole e medie
imprese e dall’alta velocità nelle
connessioni internet.
- Techno – Sport, Un’occasione
esclusiva di incontro tra produttori/importatori e distributori/dettaglianti operanti nel settore ICT &
Sport.
L’obbiettivo è stato, come nelle
passate edizioni, qualificare l’offerta
con azioni mirate alla definizione del
target per ogni area creando alleanze
per crescere in dimensioni e cultura,
offrendo un panorama completo
dell’innovazione tecnologica nel
mercato delle telecomunicazioni,
dell’ICT, della multimedialità e
dell’audiovisivo nel Mezzogiorno
con il fine ultimo di attrarre investimenti e indurre alla creazione di
nuovi posti di lavoro.
Programmi e progetti dell’industria energetica per una crescita sostenibile
Energia in Sicilia: lo sviluppo nell’area del mediterraneo
L
e domande alle quali l’Expobit ha cercato di dare o sollecitare delle risposte sono tante. Quale sarà il futuro
dell’energia in Sicilia dopo l’approvazione del PEARS?
Quali le opportunità di investimento? In che modo si potrà
promuovere l’insediamento e il decollo di filiere industriali e
l’insediamento di industrie di produzione delle nuove tecnologie energetiche? Quali passi si stanno già muovendo verso
questa direzione? Quali interventi si prevedono per la realizzazione di impianti di energia rinnovabile eolica,
fotovoltaica,etc.? Quali saranno le ricadute sul territorio siciliano? Quali saranno i prossimi interventi per la realizzazione
d’infrastrutture e per trovare i giusti vettori dell’energia? E ancora: in un ottica di promozione della diversificazione delle
fonti energetiche come si colloca la tematica del mix delle fonti e della riconversione?
Il Piano Energetico Ambientale Regione Siciliana (PEARS),
è stato approvato a febbraio di quest’anno, ed è lo strumento
cardine per ogni previsione economica, finanziaria e produttiva del settore energetico in Sicilia. Strumento che arriva in ritardo e che speriamo sia operativo al più presto. All’interno
del PEARS, ruolo primario è stato attribuito allo sviluppo delle fonti rinnovabili ed alla promozione del risparmio energetico in tutti i settori: la diversificazione delle fonti energetiche;
la promozione di filiere produttive di tecnologie innovative; la
promozione di clean technologies nelle industrie ad elevata intensità energetica; la valorizzazione delle risorse endogene; il
potenziamento e l’impatto ambientale delle infrastrutture energetiche; il completamento della rete metanifera, e il potenziamento dell’idrogeno. Interventi infrastrutturali di particolare
rilievo vengono considerati il raddoppio dell’elettrodotto Sicilia-Continente, la realizzazione della rete ad altissima tensio-
La Voce dell’Isola n. 23-24
ne, e la realizzazione di due rigassificatori.
Il PEARS contiene oltre 60 piani di azione volti a risolvere
le principali emergenze ambientali ed energetiche al fine di ridurre i consumi di energia da fonti inquinanti per incrementare
fonti che limitano l’immissione di gas che alterano il clima e
di sostanze tossiche.
Il Piano, pur non contenendo divieti, perché ciò sarebbe in
contrasto con le normative comunitarie e nazionali, offre infine una serie di strumenti politico-organizzativi per il perseguimento degli obiettivi, tra i quali la sottoscrizione di “accordi
volontari” tra P.A. e operatori in occasione del rilascio di autorizzazioni. Ciò che la Regione Siciliana auspica sul piano
dell’attuazione riguarda “la serietà delle iniziative e l’affidabilità dei soggetti proponenti”, per tale motivo sono stati inseriti
anche una serie di precisi paletti che servono a verificare e garantire la capacità economica delle imprese alla conduzione
del progetto, l’innovazione tecnologica del progetto, la certificazione ambientale e la prestazione di misure compensative a
favore dei territori ove devono essere ubicati gli impianti.
Compensazioni finanziarie a favore della Regione Siciliana
saranno utilizzate per interventi nel settore socio-sanitario.
Prevista anche la realizzazione di un polo industriale mediterraneo per la ricerca, lo sviluppo e la produzione di tecnologie
per lo sfruttamento dell’energia solare (fotovoltaico, solare ad
alta temperatura).
Nel piano energetico, inoltre si fa particolare riferimento alla valorizzazione dell’uso del vettore idrogeno; al recupero del
freddo nei processi di rigassificazione del gas naturale liquido;
alla ricerca e lo sviluppo relativi all’impiego di biocarburanti;
alla sicurezza degli impianti per lo sfruttamento della fissione
nucleare con nuove e più sicure tecnologie per la risoluzione
dei problemi relativi allo smaltimento e custodia sicura delle
scorie (reattori di quarta generazione). Sotto il profilo dell’incentivazione economica, si registrano notevoli entità di risorse
finanziarie destinate alla Sicilia per il periodo 2007-2013 da
parte dell’UE.
La programmazione comunitaria intende favorire la produzione di energia da fonti rinnovabili mediante l’attivazione di
filiere produttive di tecnologie energetiche, agro-energetiche e
biocarburanti anche attraverso il finanziamento di progetti pilota a carattere innovativo, specie nei settori del solare termico, solare fotovoltaico, biomasse, mobilità sostenibile, azioni
di sostegno alla produzione da fonti rinnovabili.
Un’altra linea d’intervento riguarda l’efficienza energetica
negli usi finali, i cui beneficiari saranno gli enti pubblici. Ma
anche l’efficienza energetica nei settori dell’industria, dei trasporti e dell’edilizia socio-sanitaria a favore di imprese, enti
pubblici, centri di ricerca pubblici o privati.
Infine un’ulteriore linea di intervento riguarda il completamento della rete metanifera.
20 Dicembre 2009
Politica
6
Scenario cupo dopo i tanti indicatori di benessere, di qualità della vita e dell’economia
Ragusa, modello che non c’è più:
disattese speranze e potenzialità
di ERNESTO GIRLANDO
L’incapacità di comprendere e gestire
i processi di ristrutturazione economica,
l’incapacità di adeguarsi ai livelli
di internazionalizzazione e di fronteggiare
gli effetti delle aggressive economie
emergenti, ha segnato il declino
di un modello economico-culturale fragile
perché eccessivamente frazionato
U
no scenario davvero severo,
Ragusa, per i tanti indicatori
di benessere e di qualità della vita e dell’economia. C’era stato
un tempo (appena pochi anni fa)
che, seppur con enfasi, la piccola
provincia del sud est siciliano s’era
configurata quasi come un “modello”, lontana com’era dai cliché, nondimeno abusati, che identificano
nell’immaginario collettivo la nostra
isola. Per qualche lustro, Ragusa ha
rappresentato un modello positivo
di convivenza civile, di coesione sociale, di sviluppo economico. Con
un tessuto fitto di piccole imprese,
lontana da quei fenomeni di malintesa modernità che hanno altrove distrutto ogni segno di identità storica
e antropologica, Ragusa si presentava agli occhi del nuovo secolo come
un aureo granducato, pronto ad affrontare le sfide che il nuovo avrebbe irrimediabilmente imposto.
Si chiude un anno, si sta per chiudere il primo decennio del secolo
XXI ed è spontaneo tirare qualche
somma. Del modello ragusano oggi
rimane ben poco: il vago ricordo di
speranze e potenzialità disattese, gli
innumerevoli rimpianti per le mille
occasioni perdute da parte di un sistema apparentemente saldo, forte
della sua caratterizzazione rurale e
agroindustriale, dell’insieme dei
suoi valori storici, artistici, culturali
e ambientali, che non ha retto agli
scossoni di nuovi e irrefrenabili fenomeni che un nuovo ordine locale
e globale ha imposto.
L’incapacità di comprendere e gestire i processi di ristrutturazione
economica, i fenomeni di integrazione culturale; l’incapacità di adeguarsi ai livelli di internazionalizzazione e di fronteggiare gli effetti
delle aggressive economie emergenti, ha segnato il declino di un modello economico-culturale fragile
perché eccessivamente frazionato e
chiuso in se stesso.
Per molti versi, l’isolamento geografico dovuto ai ritardi di un’adeguata infrastrutturazione delle comunicazioni è il principale fattore di
decrescita del territorio ibleo.
Responsabile un’intera classe politica che non può dichiarare attenuanti. Dall’aeroporto di Comiso,
alla Ragusa-Catania, dalla SiracusaRagusa-Gela all’intero sistema viario interno; dal porto di Pozzallo al-
la rete ferroviaria ormai quasi inesistente, la latitanza di una classe politica immobile di fronte alle emergenze è stata devastante.
Nell’ultimo decennio della sua
storia, Ragusa ha vissuto un processo di adattamento alla propria degradazione. Le devastanti stagioni
politiche che si sono succedute, accomunate da un unico denominatore
culturale, hanno prodotto comitati
d’affari pronti a porsi di fronte ai
problemi collettivi in termini privatistici e personali, pronti a estremizzare il loro comportamento in termini di regimi autocratici aperti alla
più vasta corruzione ideale, negando
alla realtà iblea la possibilità di una
benché minima prospettiva economica, civile e sociale.
Nessun partito o schieramento
può dirsi estraneo. E anche per la
cosiddetta società civile non ci sono
scuse: l’essersi talvolta accorta non
ha preservato dall’adattamento o
dall’accettazione dell’inaccettabile.
In quest’ultimo anno sono franati
uno dietro l’altro i capisaldi sui quali poggiavano le speranze future di
un’agognata ripresa del cosiddetto
modello ibleo. Dalle incertezze intorno all’apertura dell’aeroporto di
Comiso (il 2009 doveva essere l’anno dell’avvio delle attività), al crollo dell’Università, oberata da debiti
e contenziosi, cancellata dal senato
accademico catanese, naufragata
nell’incapacità di una classe politica
non all’altezza del compito.
Un comparto turistico che si mantiene a livello di un’anonima mediocrità. Il porto turistico di Marina di
Ragusa è stato completato ed è stato
reso operativo: si riuscirà a gestirlo
e inserirlo nel contesto di un territorio che deve attrarre i turisti? Ma
anche qui mille incertezze, tra am-
ministratori locali che non hanno
mai conosciuto l’idea di un turismo
sostenibile e operatori in cerca di investitori estranei al territorio per faraonici progetti, alberghi e campi da
golf, dimenticandosi di curare le
bellezze naturali che soffrono di un
fragile equilibrio, a fronte di un movimento turistico che cerca un dialogo con il territorio.
Preoccupanti fenomeni di emigrazione di sono riaffacciati sulle assolate città barocche degli iblei; perdite secche di posti di lavoro ovunque; nuova immigrazione; comparto
agricolo che non regge l’urto delle
novità imposte dal mercato globale
e dalla grande distribuzione; settore
dell’industria dei marmi in crisi: sono tutti segni delle difficoltà che segnano il passo di un declino sociale
ed economico che rischia di allentare la coesione di una compagine sociale che fino a poco tempo fa rappresentava un “modello”.
Un anno se ne va. Ne arriva un altro denso di nubi e di incertezze.
Studenti in agitazione, i docenti chiedono che il Consorzio venga messo in mora
Università e decentramento: fallimenti e prospettive
U
n saluto solidale al presidente del Consorzio universitario ibleo che in questi
duri e lunghi mesi di disorientamento
ha dovuto reggere (gratuitamente, per giunta)
una delle cariche più disumanamente usuranti
nel ricco e variegato panorama del sottogoverno italico. Dimettersi o non dimettersi? Rimanere con Catania o cercare altre vie? Partecipare o non partecipare al quarto polo universitario pubblico? Il tutto, alla testa di un Consorzio che non dispone di un soldo, o di un euro
che dir si voglia. L’accordo che era stato raggiunto a giugno con il rettore dell’Università
di Catania, Antonino Recca, grazie alla mediazione del ministro Mariastella Gelmini, non è
stato onorato. E mentre Catania batte cassa (e
sono cifre consistenti) e annuncia il proprio disimpegno, i principali responsabili del disastro
partono in quarta alla conquista delle posizioni
di testa di nuovi fantomatici assembramenti
che dovrebbero portare alla costituzione del
cosiddetto quarto polo universitario siciliano.
A dare fiato alle trombe, l’assessore regionale
Titti Bufardeci, già sindaco per 10 anni della
città di Siracusa, la stessa che per intenderci
“vanta” un debito di 10 milioni di euro con il
Consorzio universitario aretuseo e di conseguenza con l’Ateneo catanese. Stentoreo il tono dell’orazione, elettrizzante la proposta che,
partendo dalla costituzione di una fondazione
universitaria tra Siracusa, Ragusa, Caltanissetta e la Kore di Enna (tutti insieme assommano
una cinquantina di milioni di debiti), dovrebbe
condurre alla creazione di “collegamenti vir-
20 Dicembre 2009
tuosi che leghino ricerca, innovazione, studio
e formazione a modelli di sviluppo locale”,
sull’esempio (nientemeno) della Bocconi. Il
tutto in un momento in cui il Consorzio ragusano, per dirne una, non ha disponibilità di
cassa tali da onorare, come avrebbe dovuto a
fine ottobre, la tranche di 1.589.000 euro e
nemmeno di quei 389.000 euro necessari per
dare inizio alle attività didattiche della facoltà
di Lingue. L’Università iblea è in subbuglio,
gli studenti sono in agitazione, i docenti chiedono che il Consorzio venga messo in mora, il
rettore annuncia (ancora una volta) il taglio
dei corsi per il prossimo anno accademico.
Il decentramento universitario isolano rischia di configurarsi come l’ennesimo fallimento per le tante tradite speranze che l’avevano alimentato. L’idea, nata in ragione delle
crescenti esigenze di garantire migliori prestazioni del sistema per mezzo di una stretta connessione fra università, sviluppo locale e specificità territoriali - di cui il territorio siciliano
è ricco - ha finito per generare debolissime o
nulle relazioni con i luoghi di insediamento,
corsi di laurea spesso clonati, solitamente definiti di “serie B”, mentre l’eccessiva proliferazione di sedi, a fronte di esasperati localismi,
ha fatto lievitare i costi di infrastrutturazione e
di gestione con conseguente incapacità di enti
locali e consorzi a far fronte ai propri impegni
economici.
I numeri di Ragusa: 1948 risultano gli studenti iscritti ai corsi di laurea attivati; 1025,
più della metà dunque, sono gli studenti che
hanno frequentato nel corso dell’ultimo A.A. i
corsi della Facoltà di Lingue. Rimangono i
711 di Giurisprudenza e i 212 dello storico
corso di Scienze agrarie tropicali.
Ma quanto costa una sede decentrata di queste dimensioni? Secondo i dati forniti dal prof.
Giacomo Pignataro, economista e presidente
della Scuola Superiore di Catania, tanto. Il decreto 270 stabilisce i requisiti necessari di docenza: 12 docenti di ruolo per la triennale, 8
per la magistrale, 20 per il ciclo unico quinquennale. Considerato che Ragusa vede una
folta presenza di associati e ricercatori (l’85%,
il resto sono ordinari) la spesa per gli stipendi
dei docenti (principale capitolo di uscita) ammonta oggi a circa 2.900.000 euro l’anno.
Operando però una proiezione che tenga conto
degli aumenti previsti dal contratto, si arriverà
nel 2013 a una spesa che si aggirerà sui
3.500.000 di euro. Considerando ancora che
l’85% dei docenti è soggetto a scatti di carriera, la spesa dovrebbe attestarsi sui 4 milioni.
Ma com’è ovvio l’università non vive solo di
lezioni ed esami: richiede una presenza attiva
sul territorio, e per far ciò occorrono risorse.
Laboratori, biblioteche e quant’altro che portano la spesa per ogni cor-so di laurea, inteso
come ciclo 3+2, a circa 3 milioni di euro.
Se guardiamo alla Facoltà di Lingue di Ragusa, troviamo quattro corsi di laurea (due
triennali e due specialistiche), 18 docenti di
ruolo (un numero che non può reggere quattro
corsi di laurea), a cui vanno aggiunti i collaboratori e gli esperti linguistici che pesano sul
bilancio per una cifra che si aggira sui 500.000
di euro l’anno: ebbene l’ammontare della convenzione non è stato sufficiente a coprire i costi complessivi. Costi che deve sostenere
l’Ateneo e che si aggiungono a quelli relativi
al carico dei docenti assunti per soddisfare
l’offerta formativa di corsi che nel frattempo
sono stati soppressi.
Eppure, in questo contesto desolante c’è chi
parla di costituire il quarto polo universitario.
Ma con quali risorse?
Ernesto Girlando
La Voce dell’Isola n. 23-24
Politica
7
A rischio le vestigia della colonia greca fondata dai sicelioti di Siracusa nel 589 a.C
Kamarina: l’ultima distruzione?
Il mare sfalda il costone roccioso
di ERNESTO GIRLANDO
«
T
ornato dalle sedi/ amabili
d’Enomao / e di Pelope, o Pallade / che reggi la città / egli
canta il tuo bosco venerando / e le
correnti dell’Onao / e il lago natio / e
i sacri canali dell’Ippari / che irrora
la tua gente / e rapido cementa / la
selva d’alte membra / delle salde dimore nuziali, / traendo da miseria
questo popolo / di cittadini alla luce».
Nei versi della IV Ode Olimpica,
Pindaro celebra la vittoria nella
82esima Olimpiade (452 a.C.) di un
atleta siciliano, Psaumide di Kamarina, trionfatore nella corsa con le mule. È l’esaltazione della figura del
vincitore che, al pari delle acque
dell’Ippari, partecipa della rinascita a
nuova vita della sua città. Kamarina
sta vivendo in effetti uno dei suoi
momenti di grande, ancorché effimera, prosperità.
Colonia greca fondata dai Dori di
Siracusa nel 589 a.C. sul promontorio tra i due fiumi citati da Pindaro,
l’Ippari e l’Oanis, con il fine di creare un presidio lungo la rotta africana
e frenare l’espansione verso sud di
Gela, era stata ripetutamente distrutta
dagli stessi siracusani nel tentativo di
frenarne le improvvide voglie di indipendenza. Rifondata da Gela nel 492
a.C., proprio nel periodo della 82esima Olimpiade, Kamarina riacquisisce la sua importanza grazie all’alleanza, stretta in funzione antisiracusana, con Atene. Ma la fortuna non durerà a lungo nel turbine delle mutevoli vicende siciliane di quei secoli,
insieme di splendore e di affanno.
Saccheggiata e distrutta dall’esercito
di Annibale nel 403 a.C., ebbe la forza di risollevarsi per l’ennesima volta, per l’ultima volta, raggiungendo
con Timoleonte (339 a.C.) il periodo
della sua massima espansione urbanistica. Poi il console romano Attilio
Calatino, saccheggiandola, e la costruzione di un nuovo porto nella vicina Kaucana, ne decreteranno il definitivo oblio.
Rimangono le testimonianze di antiche vestigia, portate alla luce da un
secolare lavoro condotto a partire
dalla fine dell’Ottocento da archeologi del calibro di Paolo Orsi, poi di
Biagio Pace, della Paola Pelagatti,
per finire a Giovanni Di Stefano e
Antonino Di Vita. Grande l’interesse
archeologico intorno agli attuali resti:
le tombe arcaiche risalenti al VII sec.
a.C., i ruderi del tempio dedicato a
Minerva, l’acropoli, il tracciato, lungo il corso dell’Ippari, dell’antico
porto, il museo archeologico.
Dopo secoli vissuti nel segno della
fatica e della tragedia, l’antica Kamarina vive nella sua odierna quiescente
placidità, nei silenzi eloquenti dei
suoi resti, turbati di tanto in tanto da
qualche chiassosa compagnia di turisti curiosi e importuni o da scolaresche indisciplinate. Nel frattempo un lungo frattempo - la goccia, anzi
l’onda, scava la pietra. Un’altra dolorosa stagione di affannose vicissitudini si apre per l’antica città. Un altro
temibile nemico ne rode memoria e
corpo: un lento inesorabile processo
di erosione che nell’indifferenza e
nell’apatia dell’uomo del XXI secolo
ha trovato il suo più turpe alleato.
Da mesi il costone roccioso su cui
sono deposti i resti dell’antica città
viene, giorno dopo giorno, sfaldato
cativi. La competenza territoriale è
della città di Ragusa: il suo territorio
ricade fin dentro l’area archeologica.
Da parte dell’assessore competente
(si fa per dire), però, un silenzio tombale. La vicina città di Vittoria che
dovrebbe “vigilare” sugli antichi resti
li comuni, previa presentazione di
progetti credibili. Per il momento,
nulla. La Soprintendenza si è mossa:
sopralluoghi, valutazione del pericolo, stima dell’intervento, richiesta di
finanziamento, interdizione dell’intera area soggetta all’erosione. Ha fatto
il suo dovere, sì, ma non ha sortito
effetto alcuno. La deputazione regionale, dopo un incontro tenutosi in
Prefettura sull’argomento, chiede un
ulteriore incontro con il Presidente
della Provincia per affrontare il fenomeno dell’erosione delle coste iblee
che, con ogni probabilità, sfocerà
nella richiesta di una nuova riunione
e poi ancora e poi un’altra. E ancora
un’altra. E un’altra.
E intanto Kamarina se ne va: i tempi della politica sono incredibilmente
più lunghi persino di quelli geologici.
Nonostante mesi di denunce da parte di comitati di salvezza
e di cittadini meritoriamente attenti, non si registrano,
a oggi, interventi significativi
dall’azione del mare che divora incessantemente pezzi di storia e di civiltà. Nonostante mesi di denunce da
parte di comitati di salvezza e di cittadini meritoriamente attenti, non si
registrano, ad oggi, interventi signifi-
è immersa nel sonno più profondo.
La Provincia, per la verità, qualcosa
ha fatto: un lavoro di analisi delle coste ragusane nel loro complesso, ottenendo dal Ministero dell’Ambiente
un finanziamento, erogabile ai singo-
archeologica. Per il resto la giunta regionale ha approvato dei piani per
l’assetto idrogeologico delle fasce
costiere che riguardano la zona di Licata, Capo Rossello, Capo San Marco, Capo Granitola, Lampedusa e Linosa, Pantelleria, Ustica e le Eolie,
ma di Kamarina manco l’ombra.
È l’antica maledizione che ritorna.
Un proverbio greco diceva: “Lasciate
stare Kamarina, è meglio non toccarla”. L’oracolo di Delfi aveva ammonito gli abitanti di Kamarina a non
prosciugare l’attigua palude pestilenziale, garanzia della loro incolumità.
I camarinensi disobbedirono e furono
puniti, sicché sul suolo asciutto della
palude passarono i nemici che distrussero la città. Nei versi 700-701
dell’Eneide Virgilio scrive: “et fatis
numquam concessa moveri / Adparet
Camarina procul”.
Che l’anatema ricada oggi su quanti, dovendolo, non muovono alla salvezza di Kamarina, “mai autorizzata
dai fati a muoversi”.
L’unico intervento tangibile è arrivato dalla Regione che ha messo sul
piatto una miseria: 55 mila euro per
risistemare le recinzione, che era franata sulla spiaggia sottostante, e garantire la sicurezza intorno all’area
Nelle foto: i resti dell’antica città di Kamarina. Pezzi delle antiche mura sulla spiaggia
La Voce dell’Isola n. 23-24
20 Dicembre 2009
Politica
8
L’assemblea generale dei Commercialisti su Cultura d’impresa e imprenditorialità
I commercialisti ridisegnano
la professione del futuro
di MIRCO ARCANGELI
A
fine novembre si sono svolti
a Catania due importanti
eventi che hanno coinvolto
la professione dei commercialisti. Il
primo evento è stato quello organizzato dal Consiglio dell’Ordine dei
Commercialisti e degli esperti contabili di Catania, venerdì 27 novembre allo Sheraton Catania Hotel con
l’Assemblea generale degli iscritti,
quale momento per “disegnare” il
futuro della professione. Le riflessioni si sono sviluppate su: il cittadino e il territorio, due poli entro i
quali l’attività della categoria svolge
oltre che una funzione puntuale e
sui singoli casi, anche e soprattutto
una funzione complessiva di sostegno alla crescita sociale ed economica. È infatti proprio su questo che
ha esordito la relazione introduttiva
del presidente Salvatore Garozzo. I
commercialisti rappresentano un valore per la nostra società, riconosciuto sia dai cittadini, dai singoli
fruitori delle loro conoscenze, che
dal territorio, inteso come contesto
socio-economico. Il commercialista,
per riprendere sinteticamente il contributo introduttivo del presidente,
matura la sua professionalità attraverso un intenso percorso segnato
dapprima, dagli studi universitari,
dal tirocinio, dall’abilitazione, poi
in seguito all’iscrizione all’Albo,
prosegue nel rispetto del codice di
deontologia professionale, con la
Formazione permanente. Una crescita culturale, tecnica e scientifica
che non ha mai fine, ma che si sviluppa in abbinamento agli eventi
economici e finanziari che animano
il ns. paese, e l’intero sistema mondiale.
Certo nel corso del tempo, la professione di commercialista, ha subito importanti e storiche trasformazioni, la più importante della quale
fu quella conseguente all’evoluzione da contabile-fiscale (1972/73) a
Maurizio Stella
20 Dicembre 2009
economico-giuridica (1992). Le attività svolte dal commercialista sono
veramente tante: dallo studio sulla
fattibilità di un progetto imprenditoriale agli adempimenti giuridicoformali, analisi economico-finanziaria, pianificazione fiscale, definizione struttura amministrativa, scelta
del tipo di società, regolamentazione dei rapporti tra i soci e patti parasociali; dalla valutazione di aziende
all’acquisto/cessione partecipazioni,
ria possiede. Nel corso dell’iniziativa i diversi interventi hanno ribadito
come sia necessario investire nella
crisi economica, per adeguare la
professione alle esigenze di un mercato in forte cambiamento. Vorrei
sottolineare fra i tanti, quelli che ritengo più rappresentativi del dibattito. Il primo ci è stato offerto da
Achille Coppola - presidente dell’Ordine dei Dottori commercialisti
e degli Esperti contabili di Napoli -
dell’aziendalista che si occupa di vision strategie e cambiamenti.
Per giungere a questi traguardi,
conclude Ursino, bisogna rivolgersi
ai nuovi stakeholders con un approccio coerente con la nuova mission. Sarà una sfida esaltante per i
giovani che ridisegneranno la carismatica figura del Dottore Commercialista.
Da questi due interventi unitamente alla relazione del Presidente
Cittadino e territorio, due poli entro i quali l’attività
della categoria svolge oltre che una funzione puntuale e sui singoli
casi, anche e soprattutto una funzione complessiva di sostegno
alla crescita sociale ed economica
operazioni straordinarie (conferimenti, trasformazioni, fusioni, scissioni, trust) joint venture; dai bilanci
preventivi, richieste di finanziamenti, pianificazione strategica – analisi
e controllo, aumenti di capitale,
consulenza e pianificazione fiscale,
bilancio e contabilità, al patrocinio
nel contenzioso tributario; dalla valutazione di efficienza e redditività,
revisione e certificazione di bilanci,
applicazione dei principi contabili,
controllo legale dei conti alla gestione delle procedure concorsuali, assistenza in area contrattuale, ereditaria, in area giuridico-commerciale,
consulenza nei giudizi civili e penali, arbitraggi nazionali e internazionali, conciliazioni, e tanto altro.
Potrà essere sembrata una noiosa
elencazione di ruoli, mansioni e
competenze, ma ci è utile ribadirle
per ricordare a noi ed al contesto socio economico, il grande bagaglio di
professionalità che la nostra catego-
il quale ha messo in evidenza come
l’intera categoria dei commercialisti, costituita da oltre 100.000 professionisti, rappresenti una forza immensa, ma inespressa. Proprio per
questo motivo è necessario immaginare la categoria come rete, e formare un vero network dei commercialisti (ndr.).
La categoria possiede una quantità di informazioni e professionalità
che possono essere condivise da tutti. I commercialisti devono fare sistema con il compito di partecipare
attivamente allo sviluppo ed alla
crescita della democrazia economica del nostro territorio.
Il secondo intervento che intendo
riprendere è quello del collega Giuseppe Ursino, il quale ha sottolineato che la categoria del Dottore Commercialista è tra quelle privilegiate
per la comprensione del cambio di
passo dei tempi. I cambiamenti, prosegue l’intervento, sono sempre più
veloci nelle loro dinamiche tecnologiche, economiche e geografiche e
occorre avere un approccio economista per riuscire a leggerli con una
qualche lucidità.
Ecco che le generazioni di professionisti più avanti con gli anni, che
hanno più difficoltà ad adeguarsi ai
cambiamenti esterni, saranno indirettamente motivate a destinare i loro interessi in altri ambiti, mentre le
ultime generazioni dovranno accettare la sfida di trasformare la professione tecnico-contabile in una figura
molto più complessa, dove il tecnico contabile rimane solo una declinazione del vissuto del Dottore
Commercialista, mentre assume
maggior visibilità la figura dell’economista esperto di microeconomia,
Garozzo, emerge per il commercialista, un futuro di grande rilievo professionale, dove alle competenze di
sempre si devono aggiungere quelle
legate alla comprensione del sistema impresa e del sistema economico nel suo complesso.
Il commercialista con la giusta
formazione può ancor di più, rappresentare un grande supporto nella
gestione aziendale dell’impresa,
analizzandone le criticità e proponendone le soluzioni, soprattutto in
un contesto economico, quale quello
siciliano, dove ancora appare necessario accompagnare agli strumenti di
finanza agevolata
quelli economia
aziendale. In questa ottica, strana
ma non casuale
coincidenza, un altro evento di rilievo si è tenuto nella
città di Catania.
La Provincia regionale di Catania
(assessorato alle
Politiche dello Sviluppo economico)
in collaborazione
con l'Unione Giovani Dottori Commercialisti di Catania e Sviluppo Italia Sicilia Spa, ha
infatti organizzato
il giorno 27 novembre la “Giornata della cultura
d’impresa dell’im- Salvo Garozzo
prenditorialità”. Di
questo importante evento, voluto dal
Presidente On. Giuseppe Castiglione, è importante sottolineare che la
giornata di formazione sul come fare impresa, sulle normative fiscali e
amministrative che regolamentano il
sistema economico, sui finanziamenti e contributi che si possono ottenere, è stata gestita proprio dai
commercialisti.
Infatti grazie alla preziosa presenza del Dr Maurizio Stella, Presidente dell’Unione Giovani Dottori
Commercialisti di Catania, si è tenuta una lezione sul come fare impresa, ad aspiranti imprenditori e ad
imprese già attive per avviare nuovi
investimenti, che ha coinvolto circa
2000 giovani.
Avviare una nuova impresa, penetrare in nuovi mercati, recepire gli
input che vengono dal mondo della
ricerca: queste le chiavi di volta per
risollevare il nostro sistema economico dalla crisi.
Con lo scopo di fornire risposte
concrete sulle nozioni irrinunciabili
che un imprenditore deve conoscere
per avviare un'impresa, in abbinamento alle opportunità che il sistema dei fondi comunitari può offrire,
e nella speranza che le nuove generazioni possano, conoscendone gli
strumenti, cogliere l’occasione della
crisi per partecipare ad un sano sviluppo della nostra imprenditoria.
La Voce dell’Isola n. 23-24
Si tenta di rivalutare uno dei quartieri più degradati di Catania
Librino
zona franca urbana
Pubblico e privato
insieme per lo sviluppo
DOSSIER
9
di Mirco Arcangeli
L
ibrino è uno dei quartieri più degradati di Catania. Ci vivono circa 100.000 abitanti. La stragrande maggioranza è costituta da persone perbene, che lavora con dignità e che ancora spera in un riscatto sociale. Il quartiere è da sempre un quartiere “dormitorio”, con poche realtà commerciali ed imprenditoriali. Strade senza marciapiedi, scarsa illuminazione, fogne a cielo
aperto, palazzi abbandonati all’occupazione più degradata, spaccio di droga e delinquenza, spazi culturali saccheggiati, manutenzione
urbanistica occasionale, e
tanto altro. Ma chiediamoci per un attimo di cosa stiamo parlando e proviamo a fare qualche riflessione. Intanto perché
chiamarlo quartiere?
quando rappresenta la
popolazione pari ad 1/3
dell’intera città di Catania (310.000 ab.) e la
somma della città di Acireale (50.000 ab.) e Paternò (48.000 ab.). Ora
per un attimo proviamo a
vedere come vivono i
100.000 cittadini che risiedono a Paternò ed Acireale. Intanto hanno un
apparato di sicurezza formato da centina di uomini fra vigili urbani, carabinieri, poliziotti e finanzieri. Poi hanno sedi operative dei vigili del fuoco con mezzi ed uomini pronti ad intervenire su una popolazione così vasta.
Il vivere civile e sociale è assistito da oltre 70 scuole pubbliche
e 50 scuole private; 23 farmacie e 9 parafarmacie; 44 banche; 43
parrucchieri; 40 autofficine; 66 negozi di abbigliamento; 41 bar;
squadre di addetti alla manutenzione stradale, del verde urbano
degli impianti relativi alle opere pubbliche; e tanto altro. Fonte:
sito Comuni Italiani.it e misterimprese.it. A Librino nulla di tutto
ciò. Ma cos’hanno fatto di male i cittadini di Librino per meritarsi
questo trattamento? Certo la macchina pubblica cerca di fare interventi di recupero, ma spesso assomigliano più ad obblighi morali e politici più che a vere volontà di risanamento. Avvengono di
La Voce dell’Isola n. 23-24
tanto in tanto delle ristrutturazioni, poi le inaugurazioni e di seguito, non essendoci una gestione programmata, avviene l’abbandono e la vandalizzazione. Bene se questa è la realtà delle cose, la
speranza di questi cittadini che meritano di essere trattati come
tutti gli altri, è nella fiscalità di vantaggio rappresentata dalla Zona Franca Urbana. Ma attenzione.
Perché la ZFU non sia un ennesimo fallimento, è necessario
quanto assolutamente indispensabile, legare gli
interventi imprenditoriali
di natura privata, ad interventi di “bonifica urbanistica”, e di realizzazione di servizi ed infrastrutture pubbliche capaci
di assistere la crescita
economico imprenditoriale indotta dalla fiscalità di vantaggio. È necessario inquadrare Librino
come città, che deve trovare una sua autonoma
esistenza, con interventi
pubblici sistematici e
continuativi sul territorio
ed a tutti i livelli né più
né meno di quelli effettuati nel centro cittadino.
Presenza sistematica dei
servizi pubblici e nuova
imprenditoria sono un binomio indissolubile per il
successo dell’iniziativa.
Sicurezza, pulizia, trasporti, servizi pubblici, viabilità, spazi culturali, devono essere
idonei ad un’utenza di 100.000 cittadini. Una persona che conosce bene Librino mi ha fatto notare come il vandalismo ha distrutto il teatro Moncada appena ristrutturato, come tanti altri spazi
inutilizzati, ma la “Porta della Bellezza” non è stata mai toccata,
pur essendo in uno spazio aperto e alla portata di tutti. Alla mia
domanda perché? La risposta è stata: alla realizzazione hanno attivamente collaborato duemila bambini di dieci scuole di Librino
con lo scopo di renderli protagonisti di un progetto artistico-etico.
Costruire imprese ed economia del territorio con il territorio per
rafforzare il significato dell’appartenenza, questo dovrà significare la zona franca urbana.
20 Dicembre 2009
DOSSIER
10
La Zona Franca Urbana ha lo scopo di favorire lo sviluppo economico e sociale di aree deboli
Per librino una grande opportunità
Ecco tutte le agevolazioni previste
cinque anni precedenti il trasferimento. Ai
contribuenti che creano un’attività nell’ambito di un trasferimento, di una concentrazione o di una ristrutturazione dell’attività precedentemente esercitata in
una Zona Franca Urbana.
Quando un contribuente non esercita la
totalità delle sue attività in una zona franca urbana, il reddito esonerato è determinato secondo un determinato rapporto.
Qualora l'azienda svolga un'attività non
stabile (es. impresa di pulizia, impresa
edile etc.) essa può beneficiare dell'agevolazione fiscale se rispetta almeno una delle condizioni seguenti: realizzare almeno
il 25% del volume d'affari con clienti residenti nella zfu; assumere almeno un dipendente a tempo pieno che svolge in maniera stabile il suo lavoro in locali situati
nella zfu.
Se l'azienda ha più stabilimenti, negozi o
laboratori non tutti localizzati all'interno
della zfu, l'esonero fiscale è determinato
solo ed esclusivamente sull'attività svolta
all'interno della zfu.
- Resta invariato il trattamento fiscale sui
seguenti proventi (imponibili secondo il
regime ordinario): utili di società non derivanti da attività esercitate in una zona
franca urbana; ricavi derivanti da sovvenzioni, liberalità e rinunce di crediti; ricavi
derivanti da operazioni finanziarie; ricavi
derivanti da diritti della proprietà, industriali o commerciali, quando tali diritti
non derivano da attività esercitate in una
delle zone franche urbane.
di MIRCO ARCANGELI
L
a Zona Franca Urbana (da non confondere con la classica Zona Franca
comunemente chiamata, la quale permette uno sgravio totale “franco” su tutto
un territorio, di tutto quanto normalmente
preteso a livello fiscale dallo Stato ed in genere per rispondere a problematiche “frontaliere”) è un determinato quartiere “zona
urbana”, dove attraverso lo strumento della
fiscalità di vantaggio vengono ammesse
agevolazioni fiscali e contributive dirette
alla creazione di nuove attività economiche
e di nuova occupazione nei settori della micro e della piccola impresa, con lo scopo di
favorire lo sviluppo economico e sociale di
aree urbane più deboli e con potenzialità di
sviluppo inespresse.
AGEVOLAZIONI
Le agevolazioni previste nelle ZFU vedono come destinatarie le imprese, ma non
tutte. Infatti tale beneficio spetta esclusivamente alle imprese che soddisfano i seguenti requisiti:
- Impiegare non più di 50 lavoratori dipendenti e aver realizzato sia un volume d’affari non superiore a 10 milioni di euro, sia
avere un totale di bilancio non superiore a
10 milioni di euro.
- Il suo capitale o i suoi diritti di voto non
devono essere detenuti, direttamente o indirettamente, per una quota almeno pari al
25 per cento, da un’impresa o da più imprese congiuntamente, il cui volume d’affari annuo superi 50 milioni di euro o il
cui totale di bilancio superi 43 milioni di
euro; l’attività principale esercitata non
deve riguardare il settore della costruzione
di automobili, della costruzione navale,
della fabbricazione di fibre tessili artificiali o sintetiche, della siderurgia o del
trasporto su strada di merci. Come norma
di principio, l’impresa stabilita in una zona franca urbana non deve esercitare alcuna delle attività che sono escluse dal campo di applicazione.
Tuttavia la condizione di esclusività e
considerata rispettata quando un’attività,
autonomamente non ammessa alle agevolazioni, viene svolta a titolo accessorio e
costituisce la componente indivisibile di
una attività esonerata.
- Inoltre anche le imprese che hanno avviato l'attività prima del 01/01/2008 all'interno della zfu possono fruire delle agevolazioni nel limiti di un plafond di 100.000
euro nell'arco di un periodo di 36 mesi
(aiuto in regime de minimis).
- Il regime di esonero è applicabile quale
che sia la forma giuridica dell'impresa:
commercianti, artigiani, ditte individuali,
società di persone, società di capitale, liberi professionisti.
Attraverso lo strumento della fiscalità di vantaggio
vengono ammesse agevolazioni fiscali
e contributive dirette alla creazione di nuove attività
economiche e di nuova occupazione
nei settori della micro e della piccola impresa
I BENEFICI FISCALI
- Esonero dall'imposte sul reddito realizzato
dalle attività localizzate nella zona franca
urbana. L'esonero fiscale è totale nei primi cinque anni di attività. Per l'anno successivo e sino al decimo l'esonero e limitato al 60%, dal 11° anno al 12 ° lo sgravio e limitato al 40%, infine per il 13° e il
14° lo sgravio e pari al 20%.
- L'esenzione spetta sino alla concorrenza
dell'importo di € 100.000 del reddito derivante dall'attività svolta nella zona fran-
La Porta della Bellezza
di Librino a Catania
N
elle foto di questo Dossier, la Porta
di Librino: una gigantesca opera di
riqualificazione, composta complessivamente da 9000 formelle
Tredici opere ispirate al tema della
Grande Madre. La superiore, realizzata da
un artista, e la parte inferiore creata dai
bambini. Lungo il muro sfilano così grandi
figure femminili, ora piene ora stilizzate,
cornucopie, simboli di fertilità, forme totemiche: segni, impronte, linee che, nella lo-
20 Dicembre 2009
ro monumentalità, inneggiano alla vita, alla natura, al cosmo, a un’idea di futuro.
Tra un’opera e l’altra, i versi di alcune
poesie scritti da famosi poeti come Dante
Alighieri, Mario Luzi, Emily Dickinson,
Oscar Wilde. Il muro è lungo tre chilometri e, al momento, solo 500 metri sono stati
decorati. Lanciamo una scommessa alla
città. Facciamo in modo che insieme allo
sviluppo della ZFU si completi tutto il muro.
ca urbana, maggiorato, dal periodo in corso al 01 gennaio 2009 e per ciascun periodo d'imposta, di un importo pari a €
5.000, ragguagliato ad anno, per ogni
nuovo assunto a tempo indeterminato, residente all'interno del sistema locale di lavoro in cui ricade la zona franca urbana
- Esenzione IRAP per i primi cinque periodi d'imposta, fino a concorrenza di €
300.000, per ciascun periodo d'imposta,
del valore della produzione netta.
- Esenzione ICI per un periodo di 5 anni,
per gli immobili di proprietà delle aziende
siti nella zona franca urbana e utilizzati
effettivamente per lo svolgimento di un'attività economica.
- Esonero per chi esercita l’attività di locazione di immobili limitatamente ai redditi
derivanti dai soli immobili situati in una
zona franca urbana. Il reddito esentato
non può eccedere 100mila euro per soggetto e per periodo di dodici mesi, aumentato di 5mila euro per ogni nuovo lavoratore dipendente assunto dal 1° gennaio
2009 domiciliato in una zona urbana sensibile o in una zona franca urbana e impiegato a tempo pieno durante un periodo
di almeno sei mesi.
LIMITAZIONI
- L’esonero fiscale non si applica: alla creazione di attività in zone franche urbane
conseguente al trasferimento di un’attività
precedentemente esercitata da un contribuente che aveva goduto dell’esonero nei
I BENEFICI CONTRIBUTIVI
- L'esonero dal pagamento dei contributi
sulle retribuzioni da lavoratore dipendente
nei limiti di un massimale di retribuzione
(ancora da definire) nei primi cinque anni
di attività. Per l'anno successivo e sino al
decimo l'esonero e limitato al 60%, dal
11° anno al 12 ° lo sgravio e limitato al
40%, infine per il 13° e il 14° lo sgravio e
pari al 20%
- L'esonero si applica a partire dal
01/01/2008 per i dipendenti in forza presso aziende insediate nella zona franca urbana, oppure a partire dalla data di assunzione del lavoratore.
- L'esonero dei contributi riguarda le imprese insediate nelle aree rientranti nella zfu
e che ivi dispongono degli elementi necessari per lo svolgimento dell'attività da
parte del personale dipendente.
- L'agevolazione contributiva spetta solo in
caso di contratti a tempo indeterminato, a
tempo determinato di durata non inferiore
ai dodici mesi e a condizione che la forza
lavoro risieda nell'area in cui ricade la zona franca.
- L'azienda conserva ugualmente l'agevolazione contributiva su tutto il personale utilizzato a condizione che almeno il 30%
degli occupati risieda nell'area zfu.
- Esonero dal pagamento dei contributi sociali personali alle medesime condizioni
dei lavoratori dipendenti per tutti coloro
che svolgono un'attività autonoma (artigiani, commercianti, amministratori di società commerciali e di servizi).
Sono ricompresi sia i lavoratori autonomi
presenti nella zona franca urbana alla data
del 01/01/2008 sia coloro che avvieranno
un'attività successivamente a tale data.
MODALITA’ DI ACCESSO.
- L’accesso ai benefici avverrà secondo una
procedura in via di perfezionamento da
parte del Ministero dell’economia e delle
finanze.
La domanda di accesso alle agevolazioni
sarà effettuata per via telematica. Tutte le
imprese ammesse avranno la certezza assoluta della integrale copertura finanziaria
dei benefici..
11
Per la prima volta in Italia si opera per riqualificare i quartieri “abbandonati”
In 22 città le aree individuate
per l’esperimento delle “ZFU”
La ripartizione
delle risorse economiche
(totale € 99.955.833)
1)
2)
3)
4)
5)
6)
7)
8)
9)
10)
11)
12)
13)
14)
15)
16)
17)
18)
19)
20)
21)
22)
Catania
Napoli
Taranto
Gela
Torre Annunziata
Massa e Carrara
Quartu Sant'Elena
Andria
Crotone
Lamezia Terme
Pescara
Cagliari
Mondragone
Lecce
Rossano
Iglesias
Velletri
Erice
Matera
Campobasso
Sora
Ventimiglia
€ 7.349.992
€ 6.463.854
€ 6.197.044
€ 5.718.855
€ 5.344.789
€ 5.205.676
€ 5.081.610
€ 4.903.024
€ 4.856.770
€ 4.759.927
€ 4.290.065
€ 4.288.153
€ 3.961.711
€ 3.900.508
€ 3.868.976
€ 3.827.886
€ 3.827.471
€ 3.797.252
€ 3.660.334
€ 3.163.024
€ 2.900.268
€ 2.588.643
Alcuni esempi di casi pratici di Zona Franca Urbana
Caso 1
Azienda di servizi (impianti idraulici, elettrici, manutenzione edifici, manutenzione elettrodomestici, smacchiatorie, servizi in genere alla casa, come pure servizi alla persona
quali parrucchieri, estetisti). Costituita in forma individuale con due dipendenti assunti a
tempo indeterminato, di cui almeno uno residente nella zfu. L’azienda realizza un utile
di 40.000 nel primo anno, di 50.000 nel secondo e di 70.000 nel terzo anno. Dal primo
anno si avrà l'esonero contributivo per i due dipendenti e per il titolare. Considerando
una retribuzione ipotetica di media mensile di € 1.300,00 si avrà il seguente risparmio:
Caso 2
Azienda di servizi di pulizia costituita in forma di società a responsabilità limitata con
dieci dipendenti assunti a tempo indeterminato, di cui almeno tre residenti nella zfu.
L’azienda realizza un utile (ante decontribuzione da zfu) di 50.000 nel primo anno, di
60.000 nel secondo e di 70.000 nel terzo anno. Dal primo anno si avrà l'esonero contributivo per i dieci dipendenti e per l’amministratore, che percepisce un compenso di €
3.000,00 al mese. I dipendenti percepiscono invece una retribuzione media mensile di €
1.300,00. Il risparmio sarà il seguente:
Sul costo del lavoro
Sul costo della previdenza del titolare
anno 2010-> risparmio 10.140,00
anno 2010-> risparmio8.000,00
anno 2011-> risparmio 10.140,00
anno 2011-> risparmio 10.079,00
anno 2012-> risparmio 10.140,00
anno 2012-> risparmio 14.279,00
TOTALE 30.420,00
TOTALE 32.358,00
Sull’irpef
Sull’Irap:
anno 2010-> risparmio 11.520,00
anno 2010-> risparmio2.952,00
anno 2011-> risparmio 15.320,00
anno 2011-> risparmio3.352,00
anno 2012-> risparmio 23.370,00
anno 2012-> risparmio4.152,00
TOTALE 50.210,00
TOTALE 10.456,00
Per un risparmio totale per questa impresa di 123.444,00 nei primi tre anni.
Sul costo del lavoro
Sul costo previdenziale amministratore
anno 2010-> risparmio 50.700,00
anno 2010-> risparmio9.619,00
anno 2011-> risparmio 50.700,00
anno 2011-> risparmio9.619,00
anno 2012-> risparmio 50.700,00
anno 2012-> risparmio9.619,00
TOTALE 152.100,00
TOTALE 28.857,00
Sull’ires
Sull’Irap
anno 2010-> risparmio 13.750,00
anno 2010-> risparmio 8.760,00
anno 2011-> risparmio 16.500,00
anno 2011-> risparmio 9.160,00
anno 2012-> risparmio 19.250,00
anno 2012-> risparmio 9.560,00
TOTALE 49.500,00
TOTALE 27.480,00
Per un risparmio totale per questa impresa di 257.937,00 nei primi tre anni.
La Voce dell’Isola n. 23-24
12 Politica
Protesta “no stop” della collettività per la pericolosità dell’impianto
A Niscemi il MUOS fra tre anni
sarà completamente operativo
di ERNESTO GIRLANDO
N
on è per contraddire Barack
Obama e chi sostiene che gli
Usa sono il “Paese dove tutto è possibile. Il Paese dove tutto è
possibile è l’Italia. Da sempre. Specie se a imporre “il tutto possibile”
sono proprio gli States. Si sa, non
c’è posto, angolo, scorcio della Sicilia che non sia stato prima o poi toccato dalla mano colonizzatrice
dell’esercito americano. Ovunque
stazioni radar, centri per comunicazioni, poligoni di tiro, e poi il fiore
all’occhiello: la base di Sigonella.
Per non dimenticare Comiso, i missili nucleari e la più grande base Nato nel Mediterraneo che la Storia ha
per fortuna spazzato via. Ma per una
volta ancora il sud est siciliano torna agli “onori” di una cronaca nondimeno impalpabile, scarsamente
prodiga di notizie, mentre passa
quasi del tutto sotto silenzio l’ennesimo atto di una vicenda che preoccupa non poco.
Tutto ha inizio il 19 febbraio del
2008, giorno in cui in gran segreto,
iniziano i lavori di costruzione delle
strutture atte ad ospitare un sofisticato sistema di telecomunicazione
satellitare: il MUOS (Mobile User
Objective System). Il posto prescelto è l’antico feudo “Ulmo”, a poco
più di due chilometri di distanza dal
centro abitato di Niscemi. Nessuno
ne dà notizia. All’epoca il governo è
guidato da Romano Prodi, mentre il
dicastero alla Difesa è occupato da
Arturo Parisi. Tuttavia, nell’ottobre
successivo il governo regionale, nella persona dell’assessore al Turismo
e Ambiente, Giuseppe Sorbello,
chiede al Consiglio siciliano per la
protezione del patrimonio naturale
(l’area dove sta sorgendo la struttura
è una riserva naturale) di “fornire
chiarimenti e un supplemento di
istruttoria in relazione al progetto
Muos”. Dovrà essere in primis il comune di Niscemi, che ha rilasciato il
nulla osta alla valutazione di incidenza, a fare chiarezza su un punto:
se in sede di rilascio del nulla osta si
sia tenuto nella dovuta considerazione la problematica riguardante le
emissioni elettromagnetiche.
Nel frattempo saltano fuori diversi elementi allarmanti. Uno, la potente stazione di telecomunicazione
UHF sorgerà all’interno della Riserva Naturale Orientata “Sughereta”;
due, l’amministrazione comunale di
Niscemi era da tempo a conoscenza
del progetto al punto da averne già
valutato la compatibilità ambientale.
Nessuno, men che mai le popolazioni locali, erano però state messe al
corrente dall’amministrazione locale o dal governo di centrosinistra (di
cui verdi, comunisti e compagnia
cantante facevano parte) o dalle autorità militari italiane e statunitensi.
Intanto i lavori per le strutture
idonee a ospitare le tre grandi antenne radar circolari dal diametro di
18,4 metri, le due torri radio alte
149 metri, la centrale di comando, il
deposito carburanti e le strade di
collegamento proseguono a pieno
ritmo. Il completamento è previsto
entro tre anni, i lanci dei satelliti nel
2010 e nel 2011 il sistema sarà operativo. Nessuno si incarica però di
verificare i possibili effetti delle onde elettromagnetiche sulla salute
delle popolazioni che vivono a po20 Dicembre 2009
chi metri di distanza, l’incidenza sul
ciclo vitale delle specie animali e
vegetali che albergano all’interno
della riserva. Ciò che è certo è che
negli Stati Uniti simili impianti vengono installati in zone desertiche.
Ma c’è di più: l’allarme per gli additivi e gli altri prodotti, notoriamente
nocivi, contenuti negli ingenti quantitativi di gasolio che consumeranno
gli impianti di telecomunicazione
tembre 2008, alla conferenza dei
servizi indetta dall’assessorato regionale al Territorio e Ambiente. In
progetto. Allo scopo incaricherà tre tecnici: un cartografo, un
agronomo e un botanico. Dalla
relazione dei tre professionisti,
consegnata il mese scorso,
emerge la scar-sa attendibilità
dello studio presentato dalla
Marina statunitense.
A parte l’incompletezza di alcune
importanti informazioni tecniche,
manca qualsiasi tipo di valutazione
Non c’è posto, angolo, scorcio della Sicilia che non sia stato prima o poi
toccato dalla mano colonizzatrice dei militari statunitensi: ovunque
stazioni radar, centri per comunicazioni, poligoni di tiro, aeroporti
della nuova base. Considerando che
a Niscemi sono attualmente installate oltre 40 antenne di trasmissione
ad alta frequenza, che la zona è soggetta agli effetti negativi degli effluvi del vicino impianto Eni di Gela, i
rischi per la salute delle popolazioni
locali aumentano in maniera esponenziale.
Intanto trascorrono sei mesi dall’inizio dei lavori. Si arriva all’8 set-
questa sede, presenti i rappresentanti dell’ente gestore della riserva e
due tecnici del comune di Niscemi,
viene rilasciato “parere favorevole”
sullo studio ambientale svolto
dall’U.S. Navy.
Non mancheranno le pressioni e
la mobilitazione dell’opinione pubblica locale che spingerà l’amministrazione comunale niscemese a rivedere la valutazione ambientale del
dell’impatto che l’impianto avrà
sull’eco sistema. Mancano nella relazione documenti definiti “fondamentali” come le relazioni paesaggistica e faunistica e la Carta dei
vincoli della riserva.
E non saranno soltanto i lavori del
progetto Muos a mettere a rischio
molte specie animali e vegetali all’interno della riserva, ma anche e
soprattutto le emissioni elettroma-
gnetiche che prefigurano un quadro
allarmante, considerato che già senza le antenne del Muos esse hanno
già raggiunto in contrada Ulmo limiti preoccupanti.
I monitoraggi effettuati dall’Arpa,
l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente, hanno rilevato più
volte valori oltre i limiti consentiti
dalla legge. Insomma, a ripetersi è
la storia di sempre. Petrolieri, militari, imprenditori stranieri: la colonizzazione della Sicilia non conosce
soste. Un’intera classe politica, attenta solo ai maneggi del potere,
non interviene per fermare lo scempio perenne di una Sicilia che giorno dopo giorno rischia di essere depredata delle sue risorse e delle sue
ric-chezze.
Anche il comportamento dei militari statunitensi è quello di sempre,
in una terra dove tutto è possibile,
dove tutto è stato reso loro possibile.
Governi di centrodestra o di centrosinistra, quando c’è da sacrificare
qualcosa all’altare degli interessi internazionali, economici o politici o
militari, la merce di scambio è sempre la Sicilia, pezzo dopo pezzo ceduta contro i suoi stessi interessi.
Revoca dell'autorizzazione del Comune di Niscemi
ma l'ultima parola adesso spetta alla Regione
È
stata revocata dall'amministrazione comunale di Niscemi l'autorizzazione all'installazione del Muos, il sistema di un'antenna per la telecomunicazione satellitare della marina militare americana al servizio
della base di contrada Ulmo che sarebbe dovuta sorgere alla periferia del
centro abitato di Niscemi, ma, a breve distanza dalle campagne di Caltagirone. Contro il progetto si erano espressi cittadini, comitati ed ambientalisti ma anche amministratori comunali di 13 paesi della zona, fra i quali, nel
Calatino, Caltagirone, Mirabella Imbaccari, San Cono e Mazzarrone. L'autorizzazione era stata rilasciata come semplice parere di impatto ambientale nel corso di una conferenza di servizi svoltasi a Palermo presso l'assessorato regionale Territorio e Ambiente.
La revoca in autotutela da parte del Comune di Niscemi è avvenuta a seguito della presentazione di uno studio da parte di tre tecnici sulla valutazione dell'incidenza ambientale presentata dalle autorità militari americane
nell'estate del 2008. Dallo studio emergono elementi di asserita grave inadeguatezza della stessa valutazione effettuata dagli Usa.
“Chiederemo – afferma l'assessore alle Politiche ambientali del Comune
di Caltagirone Vincenzo Di Stefano – la riconvocazione della conferenza
di servizio presso l'assessorato regionale Territorio e Ambiente perchè si
arrivi a un pronunciamento negativo prima da parte della stessa conferenza
di servizio e poi ad opera del governo regionale, che ha l'ultima parola sul
diniego definitivo dell'autorizzazione”.
“Continueremo a batterci in tutte le sedi competenti, insieme alle altre
amministrazioni impegnate su questo versante – sottolinea il sindaco Francesco Pignataro - perché vengano definitivamente scongiurati i rischi connessi al Muos e si tutelino, quindi, la salute dei cittadini e l'ambiente”.
La Voce dell’Isola n. 23-24
Sviluppo 13
Gli impianti che saranno utilizzati sono di solare termico a concentrazione
Il fotovoltaico è veramente
fonte energetica alternativa
di SEBANIA LIBERTINO
I
l fotovoltaico è veramente una
fonte energetica alternativa? A
questa domanda, in apparenza
semplice, si può rispondere in vari
modi. La risposta immediata è
“Si!”, perché non inquina, o meglio
inquina (realizzazione e montaggio
dei pannelli) in maniera contenuta e
utilizza una fonte rinnovabile. Ma la
domanda che ci si dovrebbe porre è
un'altra: è realmente fruibile per tutti?
Questa risposta è più complessa.
Infatti, è noto che servono ampie superfici sempre esposte alla luce e
non tutti gli Stati le hanno. Per un
attimo lasciamo perdere il fatto che
la Sicilia ha sole in abbondanza e,
purtroppo, non è sfruttato a dovere.
E parliamo dei paesi nordici, in
testa la Germania. I tedeschi sanno
che il sole da loro non fa capolino
spesso e sono più frequenti le giornate uggiose rispetto a quelle assolate. Ma si danno per vinti? loro no,
ed infatti decidono di utilizzare la
parte più assolata della Terra per
produrre energia elettrica: il deserto
del Sahara!
Ma facciamo un passo indietro.
Esiste un’iniziativa industriale, al
momento la prima, per produrre
energia rinnovabile, nell’ottica di
uno sviluppo sostenibile utilizzando
i deserti del Medio Oriente e del
Nord Africa. I paesi coinvolti sono
Europa, Medio Oriente e Nord Africa. La cooperazione, denominata
“Eumena” dalle iniziali dei paesi
coinvolti, ha come obiettivo la fornitura su larga scala di energia elettrica, almeno il 15% del fabbisogno,
a detti paesi entro il 2050.
Lo scorso 30 ottobre a Monaco,
una serie di aziende ha dato vita alla
fondazione “Desertec” ed ha firmato l’iniziativa industriale “DII
GmbH”. L’accordo prevede la fornitura, utilizzando l’energia eolica
(Marocco ed aree attorno al Mar
Rosso) e solare, di energia per soddisfare la domanda elettrica delle regioni dell’Eumena. L’energia elettrica prodotta sarà inviata dai luoghi di
produzione alle regioni interessate
utilizzando linee di trasmissione di
corrente diretta ad alta tensione con
perdite massime del 15%.
Gli impianti che saranno utilizzati
sono di solare termico a concentrazione. I pannelli sono dotati di specchi che concentrano la luce solare
per creare calore che è usato per
produrre vapore che muoverà turbine e generatori elettrici. Dal momento che il picco di domanda di
fornitura elettrica è al tramonto, esistono diversi progetti di ricerca, anche condotti dalle aziende impegnate nella fondazione, per immagazzinare il calore prodotto durante il
giorno e poterlo sfruttare la sera.
La ricerca più promettente è basata sull’uso di sali fusi. Infatti, la
maggior parte dei sali fondono ad
alte temperature, basti pensare che il
sale da cucina fonde a circa 800 °C.
La luce solare riscalda il sale contenuto in opportune taniche di stoccaggio, e il raffreddamento durante
la notte potrebbe produrre energia
anche quando il sole non c’è! Un altro studio prevede l’uso di sabbia
con l’obiettivo principale di stoccare l’energia solare. Come effetto
collaterale interessante, il calore di
La Voce dell’Isola n. 23-24
scarto, residuo, del processo di generazione dell’energia elettrica potrebbe essere utilizzato per desalinificare l’acqua di mare. Un ultima
nota interessante si legge nel sito
della “Desertec”: i deserti ricevono
in 6 ore l’energia di cui ha bisogno
il genere umano in un anno!
Esistono diversi progetti di ricerca
per immagazzinare il calore prodotto dal sole
durante il giorno e poterlo sfruttare la sera
Praticamente inattiva dopo la sua costruzione nel lontano 1981
L’indecorosa fine della centrale Eurelios di Adrano
I
l sole è una fonte potentissima, ma discontinua e diluita nello spazio. I pannelli solari da
installare sul tetto producono acqua calda, utile per i fabbisogni domestici ma non elettricità,
mentre i tentativi di generatori solari termodinamici finora hanno deluso le aspettative. Tali
strutture consistono in un complicato sistema di
specchi in continuo movimento per captare i raggi solari e concentrarli verso una caldaia nella
quale si riscaldano fluidi speciali: il calore accumulato viene poi trasformato nel vapore acqueo
necessario a produrre corrente elettrica.
La Sicilia negli Anni Ottanta si pose all’avanguardia in questo campo della ricerca di energia
alternativa con la centrale solare Eurelios di
Adrano (potenza di 1 megawatt), realizzata alle
falde dell'Etna nell'ambito di un progetto dell'Unione Europea, dopo una fase di sperimentazione durata quasi 10 anni non viene più utilizzata.
Costruita da un consorzio italo-franco-tedesco,
questa centrale, in servizio dal 1981 al 1987, serviva alla produzione sperimentale di elettricità,
mediante pannelli fotovoltaici e per la fornitura
di energia nei rifugi di montagna
La scelta del sito di Adrano scaturì da uno studio di ricerca del posto più assolato durante l'anno in Europa: la centrale fu costruita. L'esperimento era di poter produrre energia attraverso il
convogliamento tramite specchi mobili dei raggi
solari su di un boiler posto in cima ad una torre,
l'acqua contenuta in esso salendo a temperature
alte si trasformava in vapore ad alta pressione,
convogliando questo vapore in turbine si creava
la forza motrice per far girare un generatore da
10 mega watt.
Quantificando in un anno solare l'energia pro-
dotta si poteva valutare l'adozione di questo sistema per produrre energia su vasta scala!
C’è da chiedersi: perchè il progetto venne accantonato tenuto conto che gli indirizzi scientifici spingono verso lo sfruttamento del calore solare, così come dimostra l'Enea (l’ente per le nuove tecnologie, l'energia e l'ambiente) che sta lavorando al progetto “Solare Archimede” che
s'ispira agli specchi ustori, inventati nell'antichità
dal grande scienziato siracusano.
La centrale solare di Adrano è ancora lì, dove è
stata costruita: nel 2005 venne firmato un con-
tratto di comodato per la valorizzazione del territorio sede della Centrale stessa. Il progetto riguardava la realizzazione di un Centro di Educazione Ambientale e di un Centro di studi sulle
fonti rinnovabili con l’ausilio di laboratori in
un’area definita di particolare interesse sotto il
profilo naturalistico, paesaggistico, archeologico
ed oltre ad essere un’area ecologica rappresenta
una zona che vede la presenza di una struttura
definita, vista la sua vetustà, di archeologia industriale. Anche di questo accordo oggi si conosce
ben poco degli sviluppi pratici.
20 Dicembre 2009
PERIODICO DI INFORMAZIONE • ECONOMIA • CULTURA • TURISMO E SPETTACOLO • ANNO QUINTO Nº 1-12 • DICEMBRE 2009
S
enza accorgercene, siamo tutti
dentro Lisbona. Dal primo dicembre di quest’anno cambia
irrevocabilmente il nostro rapporto
con l’Unione Europea, ma la cosa è
passata praticamente sotto silenzio,
un po’ come avvenne al momento
della ratifica del trattato. Sopratutto
nel nostro paese, dopo che il trattato è stato passato al vaglio delle Camere, senza sentire il parere del popolo.
E se uno dei costituenti europei,
Giuliano Amato, uno degli architetti del trattato di Lisbona, ha già più
di un anno fa ammesso che il pensiero dietro il Trattato potrebbe riportare l’Europa al Medioevo (sebbene l’attuale presidente dell’Enciclopedia Treccani lo diceva in senso elogiativo...), l’aria non sembra
delle migliori. Nubi si addensano
sul futuro dell’Unione.
Ma cosa dice, in sostanza, il trattato?
Lisbona, in breve
Il trattato di Lisbona modifica il
trattato sull’Unione europea e quello che istituisce la Comunità europea, attualmente in vigore, senza
tuttavia sostituirli. Il nuovo trattato,
a detta dei suoi estensori, doterà
l’Unione del quadro giuridico e degli strumenti necessari per far fronte alle sfide del futuro e rispondere
alle aspettative dei cittadini. Questi
i punti salienti:
1. Un’Europa più democratica e
trasparente, che rafforza il ruolo
del Parlamento europeo e dei parlamenti nazionali, offre ai cittadini
maggiori possibilità di far sentire la
loro voce e chiarisce la ripartizione
delle competenze a livello europeo
e nazionale.
* Un ruolo rafforzato per il Parlamento europeo: il Parlamento europeo, eletto direttamente dai cittadini dell’UE, sarà dotato di
nuovi importanti poteri per quanto riguarda la legislazione e il bilancio dell’UE e gli accordi internazionali. In particolare, l’estensione della procedura di codecisione garantirà al Parlamento europeo una posizione di parità rispetto al Consiglio, dove sono
rappresentati gli Stati membri,
per la maggior parte degli atti legislativi europei.
* Un maggiore coinvolgimento dei
parlamenti nazionali: i parlamenti
nazionali potranno essere maggiormente coinvolti nell’attività
dell’UE, in particolare grazie ad
un nuovo meccanismo per verificare che l’Unione intervenga solo
quando l’azione a livello europeo
risulti più efficace (principio di
sussidiarietà). Questa maggiore
partecipazione, insieme al potenziamento del ruolo del Parlamento europeo, accrescerà la legittimità ed il funzionamento democratico dell’Unione.
* Una voce più forte per i cittadini:
grazie alla cosiddetta “iniziativa
dei cittadini”, un gruppo di almeno un milione di cittadini di un
certo numero di Stati membri potrà invitare la Commissione a
presentare nuove proposte.
* Ripartizione delle competenze: la
categorizzazione delle competenze consentirà di definire in modo
più preciso i rapporti tra gli Stati
membri e l’Unione europea.
* Recesso dall’Unione: per la prima
volta, il trattato di Lisbona riconosce espressamente agli Stati
membri la possibilità di recedere
dall’Unione.
LA SUPER-EUROPA
È ANCORA LONTANA
Nonostante Lisbona, sono i governi nazionali
a dominare lo scenario. E la cosa durerà a lungo...
DI MARCO DI SALVO
2. Un’Europa più efficiente, che
semplifica i suoi metodi di lavoro e
le norme di voto, si dota di istituzioni più moderne e adeguate ad
un’Unione a 27 e dispone di una
maggiore capacità di intervenire nei
settori di massima priorità per
l’Unione di oggi.
* Un processo decisionale efficace
ed efficiente: il voto a maggioranza qualificata in seno al Consiglio sarà esteso a nuovi ambiti
politici per accelerare e rendere
più efficiente il processo decisionale. A partire dal 2014, il calcolo
della maggioranza qualificata si
baserà sulla doppia maggioranza
degli Stati membri e della popolazione, in modo da rappresentare
la doppia legittimità dell’Unione.
La doppia maggioranza è raggiunta quando una decisione è
approvata da almeno il 55% degli
Stati membri che rappresentino
almeno il 65% della popolazione
dell’Unione.
* Un quadro istituzionale più stabile e più semplice: il trattato di Lisbona istituisce la figura del presidente del Consiglio europeo,
eletto per un mandato di due anni
e mezzo, introduce un legame diretto tra l’elezione del presidente
della Commissione e l’esito delle
elezioni europee, prevede nuove
disposizioni per la futura composizione del Parlamento europeo e
per una Commissione ridotta e
stabilisce norme più chiare sulla
cooperazione rafforzata e sulle
disposizioni finanziarie.
* Migliorare la vita degli europei: il
trattato di Lisbona migliora la capacità di azione dell’UE in diversi settori prioritari per l’Unione
di oggi e per i suoi cittadini. È
quanto avviene in particolare nel
campo della “libertà, sicurezza e
giustizia”, per affrontare problemi come la lotta al terrorismo e
alla criminalità. La stessa cosa si
verifica, in parte, anche in ambiti
come la politica energetica, la salute pubblica, la protezione civile, i cambiamenti climatici, i servizi di interesse generale, la ricerca, lo spazio, la coesione territoriale, la politica commerciale, gli
aiuti umanitari, lo sport, il turismo e la cooperazione amministrativa.
3. Un’Europa di diritti e valori, di
libertà, solidarietà e sicurezza,
che promuove i valori dell’Unione,
integra la Carta dei diritti fondamentali nel diritto primario europeo, prevede nuovi meccanismi di
solidarietà e garantisce una migliore protezione dei cittadini europei.
* Valori democratici: il trattato di
Lisbona precisa e rafforza i valori
e gli obiettivi sui quali l’Unione
si fonda. Questi valori devono
servire da punto di riferimento
per i cittadini europei e dimostrare quello che l’Europa può offrire
ai suoi partner nel resto del mondo.
* I diritti dei cittadini e la Carta dei
diritti fondamentali: il trattato di
Lisbona mantiene i diritti esistenti e ne introduce di nuovi. In particolare, garantisce le libertà e i
principi sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali rendendoli giuridicamente vincolanti. Il trattato
contempla diritti civili, politici,
economici e sociali.
* Libertà dei cittadini europei: il
trattato di Lisbona mantiene e
rafforza le quattro libertà fondamentali, nonché la libertà politica, economica e sociale dei cittadini europei.
* Solidarietà tra gli Stati membri: il
trattato di Lisbona dispone che
l’Unione e gli Stati membri sono
tenuti ad agire congiuntamente in
uno spirito di solidarietà se un
paese dell’UE è oggetto di un attacco terroristico o vittima di una
calamità naturale o provocata
dall’uomo. Pone inoltre l’accento
sulla solidarietà nel settore energetico.
* Maggiore sicurezza per tutti: la
capacità di azione dell’Unione in
materia di libertà, sicurezza e
giustizia sarà rafforzata, consentendo di rendere più incisiva la
lotta alla criminalità e al terrorismo. Anche le nuove disposizioni
in materia di protezione civile,
aiuti umanitari e salute pubblica
contribuiranno a potenziare la capacità dell’Unione di far fronte
alle minacce per la sicurezza dei
cittadini.
4. Un’Europa protagonista sulla
scena internazionale, il cui ruolo
sarà potenziato raggruppando gli
strumenti comunitari di politica
estera, per quanto riguarda sia l’elaborazione che l’approvazione di
nuove politiche. Il trattato di Lisbona permetterà all’Europa di esprimere una posizione chiara nelle relazioni con i partner a livello mondiale. Metterà la potenza economica, umanitaria, politica e diplomatica dell’Europa al servizio dei suoi
interessi e valori in tutto il mondo,
pur rispettando gli interessi particolari degli Stati membri in politica
estera.
* La nuova figura di alto rappresentante dell’Unione per gli affari
esteri e la politica di sicurezza,
che sarà anche vicepresidente
della Commissione, è destinata a
conferire all’azione esterna
dell’UE maggiore impatto, coerenza e visibilità.
* Un nuovo servizio europeo per
l’azione esterna assisterà l’alto
rappresentante nell’esercizio delle sue funzioni.
* La personalità giuridica unica
conferita all’Unione ne rafforzerà
il potere negoziale, potenzierà ulteriormente la sua azione in ambito internazionale e la renderà
un partner più visibile per i paesi
terzi e le organizzazioni internazionali.
* La politica europea di sicurezza e
di difesa, pur conservando dispositivi decisionali speciali, agevolerà la cooperazione rafforzata tra
un numero ristretto di Stati membri.
Ma...
Chi critica da destra e sinistra il
trattato ne sottolinea due aspetti: le
caratteristiche verticistiche della
decisione e l’obiettivo di ridurre il
ruolo degli Stati nazionali. In Europa, dicono i critici, è in atto la distruzione dei residui di sovranità
nazionale per instaurare quello che
l’ex premier britannico Tony Blair
saluta entusiasticamente come il
nuovo ordine “post Westfalia”, che
passa attualmente per il Trattato di
Lisbona che prevede l’instaurazione di un governo unico a Bruxelles,
di una dittatura che nessun europeo
vota. Il progetto di un super-Stato
europeo, dominato da interessi privati oligarchici, fu l’essenza dei
movimenti fascisti nell’Europa del
XX secolo, che aveva all’origine il
piano della sinarchia mondiale concepito da Saint-Yves d’Alveydre e
che è passato attraverso i vari disegni di Hitler, di Mussolini, dell’Unione Paneuropea di Coudenhove-Kalergi e della “Europe a Nation” di sir Oswald Mosley. In ciascuna istanza si tratta di piani di
corporativismo fascista che prevedevano l’instaurazione di una dittatura imperiale sull’Europa, gestita
attraverso strutture di potere decentralizzate, operanti a livello metropolitano o regionale, passando sul
cadavere delle forme rappresentative dei governi nazionali.
Questo è di nuovo oggi, nella sostanza, lo scopo del Trattato di Lisbona, o “Trattato di riforma”.
Dall’altra parte a guardare bene, in
realtà, i primi passi di attuazione di
questo trattato sembrano andare in
tutt’altra direzione. Basti vedere come si è svolta la vicenda della scelta del presidente dell’Unione e del
rappresentante della Politica Europea (mr., o meglio, mrs. Pesc). Tutti
i commentatori sono unanimi nel
definire le scelte compiute come di
basso profilo, segno che il controllo
dei governi nazionali sull’Europa
unita è ancora ben saldo. E anche la
conferma di Barroso alla guida della Commissione europea va nella
stessa direzione. Un presidente docile, che non si mette di mezzo
quando i grandi paesi decidono di
dimenticarsi per un attimo di fare
parte dell’Unione e decidono politiche autonome, guardando solo ai
loro interessi nazionali. L’epoca
della Super-Europa è ancora lontana e chi governa il mondo davvero
non può che esserne contento. Per il
momento, un problema in meno.
2
3
Per promuovere il ruolo geo-economico-politico dell’Italia come cerniera tra la megalopoli europea e quella mediterranea. E il Mezzogiorno come baricentro della "zona di libero scambio"
Un decalogo per individuare una prospettiva
di sviluppo dell’area Euro-Mediterranea
di Aldo Loris Rossi
Q
uesto decalogo tende ad individuare una “prospettiva euromediterranea” che promuova
il ruolo geo-economico-politico dell’Italia come cerniera tra la megalopoli europea e quella mediterranea; e
del Mezzogiorno, baricentro del Mediterraneo e “zona di libero scambio”
(Conferenza di Barcellona, 1995), come Piattaforma Logistica Intermodale
proiettata sul mare. Questa prospettiva di medio e lungo termine scaturisce dall’esame dei problemi tutt’ora
aperti esemplificati nei seguenti temi.
1. L’era post-industriale e gli squilibri euro-mediterranei.
2. L’esplosione demografica e la
globalizzazione di infrastrutture, mercati e sistemi urbani.
3. La crisi ambientale incombente:
l’insostenibilità del modello tardo-industriale e del “mito dello sviluppo illimitato”.
4. La dinamica demografica europea e mediterranea.
5. La rifondazione post-industriale
della megalopoli europea, la diffusione del nuovo modello di sviluppo e la
“green economy”.
6. Le due Italie e la “faglia tra le diverse civiltà” mediterranee.
7. Le previsioni ISTAT al 2051 del
declino demografico del Mezzogiorno.
8. La pervasività del grande sistema intermodale dei trasporti euromediterraneo e delle reti telematiche.
9. L’Italia come cerniera tra la megalopoli europea e quella mediterranea.
10. Il Mezzogiorno baricentro del
Mediterraneo quale “zona di libero
scambio” e Piattaforma Logistica Intermodale proiettata sul mare.
Nel 1995 la conferenza euro-mediterranea di Barcellona ha indicato la
possibilità di creare entro il 2010 una
“zona di libero scambio”. Come è noto, questa prospettiva di cooperazione
ha dato risultati più soddisfacenti sul
piano culturale che su quello economico. Ma certamente una tale prospettiva è da considerare strategica
per realizzare un dialogo continuo
quanto indispensabile tra le civiltà
che si affacciano sul Mediterraneo.
Intanto se l’Italia svolgerà sempre più
una funzione di cerniera tra la megalopoli europea e la megalopoli mediterranea, quale può essere il ruolo del
Mezzogiorno in tale contesto?
In realtà questo ruolo emergerà
sempre più chiaramente nella misura
in cui si realizzerà la suddetta “zona
di libero scambio” soprattutto attraverso la creazione di un sistema intermodale dei trasporti a scala euro mediterranea, che può divenire la forza
motrice dello sviluppo del Mezzogiorno.
Infatti, mentre le altre politiche eu-
Iscritto al n° 27/2004
dell’apposito Registro
presso il Tribunale di Catania
ropee sono meno centralizzate, il sistema intermodale dei trasporti transnazionali, in quanto scheletro portante dell’armatura urbana della nuova Europa, deve obbedire ad una strategia unitaria e sovraordinata dello
sviluppo, definita soprattutto in sede
UE.
D’altra parte, per misurare la potenza auto-propulsiva delle infrastrutture hard e delle reti soft nel rivitalizzare anche aree difficili, basti considerare che esse si sviluppano in modo
esponenziale perché l’era post-industriale spinge incessantemente: da un
lato, verso specializzazioni sempre
più diversificate; dall’altro, verso una
reintegrazione interdisciplinare sempre più inclusiva.
Questo doppio movimento determina una moltiplicazione continua delle
reti per lo scambio e la distribuzione
dei flussi di informazioni, merci e
persone, garantendo una connessione
sempre più estesa e articolata della
città planetaria. Questo processo di
globalizzazione è irreversibile e tende
a creare un cyberspace aperto, sempre
più dinamico, complesso, interattivo.
Pertanto la sua pervasività travolgente può essere la forza trainante del
suddetto processo di rigenerazione e
riequilibrio economico-territoriale
dell’armatura urbana nazionale, il
quale non può che coinvolgere anche
le aree difficili del Mezzogiorno. Ma
come si configurerà un tale sistema
intermodale dei trasporti a scala euromediterranea? E tale realizzazione sarà capace di vertebrare e rigenerare
l’armatura urbana del Mezzogiorno
rimettendo in moto l’economia delle
città?
In generale questo sistema intermodale tende a integrare i quattro Corridoi Trans-Europei che attraversano
l’Italia, le “autostrade del mare” e le
rotte trans-oceaniche che solcano il
Mediterraneo facendo scalo nei grandi porti della riva sud (Tangeri, Orano, Algeri, Tunisi, Sfax, Alessandria,
Damietta, Porto Said), quelli della riva orientale (Haifa, Beirut, Latakia,
Smirne) e della riva nord (Pireo, Trieste, Venezia, Gioia Tauro, Napoli,
Genova, Marsiglia-Fos).
Tale sistema intermodale sarà incardinato sul Corridoio Trans-Europeo I, Berlino-Monaco-VeronaNapoli-Palermo, che svolgerà il ruolo
di spina dorsale del sistema.
Infatti collegherà la megalopoli europea a quella mediterranea: - anzitutto, potenziando la connessione della Sicilia col continente; - poi, disimpegnando adeguatamente il grande
porto di Gioia Tauro specializzato nel
transhipment dei container che “ha
avuto in breve tempo un formidabile
decollo raggiungendo la quota di 3
milioni di container/annuo” classificato “di rilevanza internazionale”
(Legge 30/98); - inoltre, incrociando i
due Corridoi est-ovest, VIII, Napoli-
Redazione:
Catania - Via Distefano n° 25
Tel/fax 095 533835
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Direttore responsabile:
Salvatore Barbagallo
Anno V, nº 1-12
Dicembre 2009
Nel corso delle ultime elezioni europee, nel nostro Paese la tematica euromediterranea è stata di fatto espulsa dal dibattito politico nazionale. E non è andata meglio
negli altri Stati europei interessati alla futura zona di libero scambio. L'unico candidato - tra l'altro non eletto - che ha presentato un programma relativo a queste
problematiche è stato il professor Aldo Loris Rossi, docente di Progettazione Architettonica alla Facoltà di Architettura dell'Università di Napoli. Lo pubblichiamo
perché riteniamo sia un documento utile per riflettere sulle prospettive di sviluppo di un'area, il Mezzogiorno d'Italia, da sempre vista solo come zavorra
dal resto del Paese. E anche perché disegna uno scenario in cui sembra che, inevitabilmente e nonostante politiche nazionali ed europee
non sempre affini a questa ipotesi, il Mezzogiorno sia destinato a divenire, quasi naturalmente, il centro dello sviluppo prossimo venturo. Politica permettendo...
Bari-Sofia-Varna sul Mar Nero, aperto ai mercati di Balcani, Grecia,
Ucraina, e V Lisbona-MadridMilano-Kiev che collega la costa
atlantica alla Russia; - infine, il Corridoio
ferroviario, in corso di attuazione,
Parigi-Varsavia-Mosca-Pechino percorso dal Trans-Eurasia Express che
collegherà il Canale della Manica al
Mar Giallo cinese.
Dunque, il Corridoio I formerà la
spina dorsale di un grande sistema intermodale euro-mediterraneo che investirà l’intero Mezzogiorno. Infatti,
attraverserà Campania, Calabria e Sicilia, mentre due sue derivazioni: il
Corridoio VIII, disimpegnerà la Puglia; e un’altra diramazione autostradale per Potenza - prolungata fino alla costa ionica, una straordinaria riserva paesaggistica e archeologica da
valorizzare anche ai fini del turismo
balneare -attraverserà l’intera Basili-
cata. In particolare, il tratto lazialecampano del Corridoio I potrà svolgere la funzione di “asse di riequilibrio economico-territoriale” (F. Compagna, ’67) tra le due più grandi metropoli del centro-sud, Roma e Napoli, reintegrate in un super-organismo
ecometropolitano pari, per peso demografico, alla “Grande Parigi” (11
milioni di abitanti), ma senza la congestione di quest’ultima.
Tale sistema bipolare comprende: i terreni agricoli più fertili delle due
regioni (agro romano, piane di Fondi
e Garigliano, Terra di Lavoro, agro
nocerino-sarnese, piana del Sele); - le
aree industriali più vitali; - i “superluoghi” della grande distribuzione,
dei macroservizi e della logistica; - le
attrezzature di livello superiore (Università, centri di ricerca, servizi di eccellenza).
Insomma questo asse di riequilibrio
economico-territoriale potenzierà la
sinergia tra attività primarie, secondarie, terziarie e quaternarie, moltiplicandone la vitalità.
Intanto tale asse forma un distretto
turistico di interesse mondiale perché
dotato di uno straordinario patrimonio
archeologico-storicopaesaggistico, compreso tra il Tevere
e il Sele corrispondente all’arcaico
corridoio villanoviano, poi etrusco e
al territorio della “regio prima” augustea.
A tale proposito il presidente della
Camera di Commercio di Roma e
Provincia ha dichiarato: “nel campo
turistico vedo le due città alleate per
catturare i primi flussi turistici della
Cina. Che colpo sarebbe un pacchetto
Colosseo-San Pietro- Pompei-Capri.
Parigi tremerebbe”.
Inoltre è dotato di circa 600 Km di
costa balneare e altrettanti di parchi
naturali montani. Queste due fasce di
grande valore paesaggistico, destinate
al tempo libero, possono essere raccordate all’asse di riequilibrio economico-territoriale RO-SA attraverso: le sette direttrici montane irpino-sannite da potenziare con aree produttive
e servizi per rivitalizzare le due province interne collegate a monte da un
“corridoio ecologico” coincidente
con la via Minucia, Sulmona-Benevento; - le sette direttrici marine opposte capaci di decongestionare le tre
province costiere da attrezzare con attività ricettive, balneari e porti turistici collegati alle “autostrade del mare”, beninteso, nel rispetto dei valori
paesaggistici.
In merito alla mobilità, l’asse di
riequilibrio RO-SA è oggi disimpegnato: - dall’Alta Velocità in circa
un’ora; - dal quarto aeroporto europeo, l’hub di Fiumicino (25 ml di
utenti l’anno) da coordinare a quello
internazionale programmato per
Grazzanise; - dal più grande porto
passeggeri, Napoli (9 ml); mentre tra
Roma e Salerno connette sette interporti (Orte, Civitavecchia, Colleferro,
Frosinone, Marcianise, Nola, Battipaglia).
Ma un tale sistema intermodale dei
trasporti assumerà una scala territoriale euromediterranea nella misura in
cui sarà realizzato un interscambio
diretto tra: - la nuova Stazione dell’alta velocità di Afragola; gli interporti di Nola, Marcianise-Maddaloni,
Battipaglia; - il porto crocieristico di
Napoli; - l’Aeroporto Internazionale
di Grazzanise;- i due Corridoi TransEuropei I e VIII.
Tale ruolo eccezionale sarà svolto
dal Grande Raccordo Anulare di Napoli, analogo a quello di Roma (23
Km di diametro), che integrato ai
suddetti Corridoi si proietterà a scala
euro-mediterranea. Questo significa
che il Mezzogiorno, baricentro del
Mediterraneo, assume il ruolo di una
Piattaforma Logistica Intermodale
proiettata nel mare.
La realizzazione di tale riassetto infrastrutturale attiverà due fenomeni
sinergici: - l’inquadramento terziario
del territorio (maxiservizi, grande distribuzione, logistica, “superluoghi”
polifunzionali); - la riqualificazione
quaternaria delle grandi città (centres
de conceptione, de decisions, services
rares).
Pertanto, questo processo potrà innescare una rigenerazione dell’intero
patrimonio edilizio, attraverso due
politiche complementari di incentivi:
- alla conservazione dei centri storici
(mediante defiscalizzazione), alla salvaguardia del paesaggio e delle aree
agricole da considerare “beni unici e
irriproducibili”; - alla rottamazione
dell’edilizia post-bellica priva di qualità e non antisismica (mediante incentivi volumetrici), mettendo in moto l’economia delle città.
La decisione del Consiglio europeo di avviare negoziati ha aperto la strada alla piena integrazione del paese nelle strutture europee
Ostacoli nel processo di adesione della Turchia nell’UE
I
l processo di adesione della Turchia all’UE sta subendo una
brusca frenata? L’aperta opposizione a questa adesione da
parte di alcuni leader europei ha causato il rallentamento
del processo di riforma della Turchia negli ultimi anni, o si
è trattato piuttosto di una mancanza di determinazione da parte
del governo di Ankara? Esiste un pericolo di “islamizzazione
strisciante” nella società turca? Quante possibilità ci sono di
risolvere la questione curda, il problema di Cipro e le divergenze con l’Armenia? Il nuovo importante ruolo geopolitico
della Turchia nella regione può rappresentare una risorsa per
l’Unione europea?
Per rispondere a queste ed altre domande su un tema centrale
del dibattito euromediterraneo oggi e negli anni venturi, Europa
Mediterraneo pubblica le conclusioni del secondo rapporto della commissione indipendente sulla Turchia, presentato in varie
capitali europee tra il settembre e l’ottobre di quest’anno.
Gli 11 punti della Commissione Indipendente sulla Turchia
1 La decisione del Consiglio europeo di avviare negoziati
di adesione con la Turchia nel 2005 ha aperto la strada alla
piena integrazione del paese nelle strutture europee, un’ambizione perseguita dalla Repubblica di Turchia sin dalla sua
fondazione, poi accelerata dopo la Seconda Guerra Mondiale
con l’adesione al Consiglio d’Europa e a molte altre organizzazioni europee. Purtroppo, le dichiarazioni negative rese da
alcuni leader europei poco dopo la decisione unanime dei Capi
di Stato e di governo dell’UE, i tentativi di introdurre
proposte alternative agli accordi di adesione e gli ostacoli posti
sulla strada del negoziato non hanno fatto altro che danneggiare
il cammino verso l’adesione. In Turchia questa situazione ha
determinato un netto calo di sostegno da parte dell’opinione
pubblica nei confronti dell’adesione e ha favorito la mancanza
di determinazione del governo nell’insistere nel processo di
modernizzazione del paese. Questo, a sua volta, ha alimentato
in Europa le argomentazioni degli scettici, secondo i quali lo
stop alle riforme provava l’inadeguatezza della Turchia a far
parte dell’Unione. La Commissione Indipendente ritiene che
il circolo vizioso così creatosi debba essere interrotto con urgenza, nell’interesse sia della Turchia che dell’Unione
Europea. Occorrerà un cambio di passo sia fra le leadership
europee che in quella turca. I governi europei devono onorare
gli impegni assunti e trattare la Turchia con equità e con il rispetto che merita. La Turchia, sia a livello di governo che di
opposizione, deve incoraggiare i suoi numerosi sostenitori in
Europa attraverso un processo di riforme ampio e dinamico,
confermando così la volontà e la serietà delle sue ambizioni
europee.
2 La decisione del Consiglio europeo è stata chiara:
l’obiettivo dei negoziati con la Turchia è l’adesione, non alternative come un “partenariato privilegiato” o una non meglio
precisata “relazione speciale”, che varrebbero ad impedire alla
Turchia di partecipare al processo politico-decisionale dell’UE
e offrirebbero poco valore aggiunto al suo attuale status di
membro associato e partner dell’unione doganale. Questi negoziati, inoltre, per quella che è la loro natura, devono essere
condotti con l’obiettivo dell’adesione. Nessun paese accetterebbe le tantissime e difficili riforme necessarie ad armonizzare
la legislazione interna all’acquis comunitario se l’obiettivo non
fosse la piena integrazione. Come per qualsiasi altro negoziato,
tuttavia, non esiste la garanzia che l’obiettivo comune venga
raggiunto. In questo senso, i negoziati di adesione della Turchia
sono certamente un processo aperto.
3 Dopo il periodo d’oro delle riforme del 2000-2005, la Turchia non è riuscita ad insistere su questa strada. Il rallentamento
è imputabile in parte ad una reazione agli atteggiamenti negativi
nei confronti della Turchia e ad un generale disorientamento
dell’UE, ma anche alla mancanza di determinazione dell’AKP
e a problemi di ordine interno. Il piano per rovesciare il governo, la Corte costituzionale chiamata a pronunciarsi sullo
scioglimento dell’AKP e la pubblica minaccia d’intervento militare, sono tutti elementi riconducibili alle fazioni secolariste
presenti nell’esercito,nel potere giudiziario e nei partiti
politici. Tali problemi sono ora scomparsi e il partito di governo
ha riportato importanti vittorie nelle elezioni del 2007 e del
2009. Il governo ha stilato inoltre un nuovo programma nazionale di riforme europee, cui dovrebbe adesso attenersi sia
nei confronti dell’UE che della popolazione turca. Occorre dare
nuovo slancio al processo di riforma, in particolare attraverso
il varo di una nuova Costituzione, la nomina di un difensore
civico, la garanzia effettiva di piena libertà per le organizzazioni
religiose, il rispetto dei valori culturali e una più ampia libertà
di espressione.
4 Le trattative in corso fra i leader delle due comunità cipriote
presentano la migliore, e probabilmente ultima, occasione per
porre fine alla divisione dell’isola e giungere ad una soluzione
federale reciprocamente accettata di questa ormai annosa
controversia. Un esito positivo porterebbe solo grandi vantaggi
per entrambe le parti, eliminerebbe un ostacolo insidioso al processo di adesione della Turchia all’UE e migliorerebbe la stabilità
di questa zona geografica del Mediterraneo. Un fallimento delle
trattative porterebbe ad una lunga separazione politica dell’isola,
che a sua volta creerebbe divisioni anche nell’UE, con una conseguente interruzione dei negoziati con la Turchia. Se la responsabilità di trovare una mediazione spetta alle due comunità dell’isola e alle rispettive classi dirigenti, ai governi europei, in particolare alla Grecia e alla Turchia, spetta il compito di
impiegare tutta la loro
influenza per assicurare il buon esito dei negoziati. La Turchia,
inoltre, deve adempiere gli obblighi che le impone il Protocollo
aggiuntivo e aprire i suoi porti ai traffici commerciali grecociprioti. Al tempo stesso, l’UE deve mantenere le promesse fatte
nel 2004 per mettere fine all’isolamento della comunità turcocipriota e consentire scambi commerciali diretti con l’UE.
5 Aiutato da una nuova trasparenza e da una maggiore tolleranza acquisita sulla scia delle riforme del periodo 2000-2005,
l’AKP al governo ha realizzato più progressi sulla difficile questione curda rispetto a qualsiasi altro precedente governo turco.
La cultura curda, oggi, è maggiormente tollerata. All’inizio del
2009 è stato inaugurato un canale televisivo statale 24 ore su
24 in lingua curda e il governo ha iniziato ad attuare con successo
un programma di sostegno della Banca mondiale contro la povertà. Sono stati messi da parte vecchi tabù sul governo regionale
del Kurdistan in Iraq e questo ha permesso alla Turchia di conseguire una migliore cooperazione nella lotta al PKK. Si tratta
certamente di sviluppi positivi. Tuttavia, nell’interesse della stabilità della Turchia, deve essere fatto di più e con maggiore urgenza. Garantire ai curdi l’uso incondizionato della loro
lingua e il rispetto della loro identità, assicurare un’uguaglianza
reale a tutti i cittadini, proseguire l’impegno per colmare le lacune
socio-economiche della parte sudorientale. Solo così sarà possibile eliminare pericolose tensioni e sradicare il problema una
volta per tutte.
6 L’importanza della posizione geostrategica della Turchia
per l’Europa è evidenziata dal suo ruolo di piattaforma di passaggio per le essenziali forniture di energia provenienti dal Mar
Caspio, dall’Asia Centrale e dal Medio Oriente. La Turchia, inoltre, è in grado di offrire alle economie europee un facile accesso
ai mercati degli stati dell’Asia Centrale, dove mantiene una solida
presenza basata su ragioni geografiche, linguistiche e su
legami etnici. Negli ultimi anni, grazie alla sua nuova politica
regionale, la Turchia è riuscita ad appianare controversie di lunga
data con la maggior parte degli stati vicini, e ad impegnarsi attivamente per risolvere situazioni di crisi in questa ampia area
geografica. La Commissione Indipendente ritiene che la piena
integrazione della Turchia in Europa non porterebbe affatto l’UE
ad invischiarsi in situazioni pericolose in Medio Oriente e nel
Caucaso meridionale, al contrario, consentirebbe all’Unione di
contribuire fattivamente alla risoluzione dei problemi e alla stabilizzazione della regione.
7 Le relazioni fra turchi e armeni sono da lungo tempo gravate
dalle diverse interpretazioni riguardanti la natura dei massacri
subiti dagli armeni nel periodo ottomano, dalla mancanza di rapporti diplomatici, dalla chiusura delle frontiere e, indirettamente,
dal conflitto nel Nagorno Karabakh fra Armenia e Azerbaigian.
Grazie alle dinamiche innescate dal riconoscimento alla
Turchia dello status di paese candidato all’adesione all’UE e
al conseguente avvio dei negoziati di adesione, sono stati realizzati dei progressi nella maggior parte di queste questioni. In
Turchia è iniziato un processo reale per valutare gli eventi del
1915, compito che deve essere, tuttavia, portato avanti dalla stessa società turca. Le pressioni esterne, soprattutto le risoluzioni
dei parlamenti esteri che definiscono gli eventi del 1915 “genocidio”, sono controproducenti e devono essere evitate. In materia di relazioni bilaterali, la visita dello scorso anno del Presidente Gül a Erevan ha aperto la strada alla normalizzazione.
La Commissione Indipendente ritiene che le parti debbano proseguire su questo percorso senza ulteriori indugi e senza collegamenti alla questione del Nagorno Karabakh. Porre fine all’isolamento dell’Armenia e stabilire relazioni amichevoli fra
Turchia e Armenia influenzerebbe sicuramente in modo
positivo il conflitto, per il quale la mediazione internazionale
nulla ha potuto per quasi due decenni.
8 Negli ultimi anni è aumentata l’importanza della religione
nella società turca ed è diventata maggiormente visibile l’os-
Obama usa la Turchia
per indebolire l'Europa
S
e l’era Obama si è aperta con una
serie di radicali svolte in politica
estera (dall’Iran a Cuba, dall’Afghanistan al Venezuela, per non
parlare del rapporto privilegiato con la
Cina), su alcune questioni la Casa
Bianca non ha deciso di modificare il
corso precedente. Una di queste è la
Turchia e il suo rapporto con l’Unione
Europea.
Più volte nel primo anno del suo
mandato, il presidente americano ha
sollecitato l’EU a far entrare la Turchia
nell’Unione Europea.
Il fronte europeo è abbastanza scomposto su questo tema. I pro-americani
laici sono favorevoli e credono, non si
capisce bene su quali basi, che se la
Turchia entrasse in Europa, il Paese
rafforzerebbe la sua laicizzazione – e
in questa maniera scongiureremmo
possibili problemi futuri.
Dall’altra parte, i pro-americani religiosi, si dimenticano per una volta il
loro sostegno a Washington e dicono
che mai la Turchia entrerà nell’UE. La
sua religione islamica, a loro dire, sarebbe in contraddizione con i nostri valori e dunque Ankara favorirebbe
l’islamizzazione dell’Europa. Come
mai costoro non si oppongano, con altrettanta forza, ad eventuali ingressi
nell’UE di paesi con significative minoranze islamiche quali Bosnia, Albania o Macedonia non è facile capirlo.
Poi vi sono gli anti-americani cosmopoliti. Per costoro, pur opponendosi alle presunte politiche discriminatorie e unilaterali americane, la posizione della Casa Bianca è saggia.
Nella loro ottica, l’UE sarebbe un tentativo embrionale di emancipare la società civile globale. Dunque l’UE
avrebbe una sorta di dovere morale ad
espandersi a dismisura per risvegliare
e illuminare tutti i popoli del mondo:
l’allargamento alla Turchia sarebbe
dunque una normale evoluzione di
questo processo. Come mai molti di
costoro si oppongano all’ingresso di
Israele nell’UE rimane un mistero
dal vago sapore contraddittorio.
Infine, vi sono gli anti-americani
geopolitici i quali sostengono che
l’Europa non dovrebbe farsi dettare il
suo percorso dall’America e soprattutto
che la Turchia è un Paese allineato a
Washington – dunque il suo ingresso
nell’UE equivarrebbe a far entrare il
famoso cavallo attraverso le porte
della città di Troia. Rimane da capire,
in primo luogo, quanto sia realmente
allineato a Washington un Paese come
la Turchia, che negli ultimi 7 anni è
cambiato alla radice. Senza contare
poi, che se un cavallo c’è stato, quello
è rappresentato dall’ingresso della
Gran Bretagna (1973) prima, e dell’Est
Europa (2004) poi.
A. M.
servanza delle tradizioni e delle pratiche religiose da parte dei fedeli. L’establishment secolare percepisce questo sviluppo come “islamizzazione strisciante”
(istigata dal partito AKP al governo) e come minaccia al secolarismo turco. Per
altri è la conseguenza di una atmosfera più aperta, dovuta all’evoluzione della
Turchia e alla migrazione di massa nelle città occidentali da zone ruralitradizionalmente più religiose. Per la stragrande maggioranza dei turchi il sistema secolare,
che costituisce uno dei principali pilastri della Repubblica di Turchia, non è in
dubbio e nessun fattore politico rilevante sostiene una Turchia basata sui principi
islamici. Inoltre, come precisato dai sostenitori turchi dell’adesione all’UE, radicare
il paese in Europa rappresenterebbe la migliore protezione del secolarismo in
Turchia, evidenziando l’esperienza positiva del paese in materia di modernizzazione dell’Islam, sia per i musulmani d’Europa che per tutto il mondo musulmano in generale.
9 In Turchia, la libertà di culto è da tempo garantita, sia nella teoria che nella
pratica. Tuttavia, le comunità di religione musulmana non tradizionale, come pure
le più piccole chiese cristiane, si trovano a dover affrontare numerose difficoltà,
alcune delle quali di carattere legale. Di recente, il governo ha adottato
determinate misure per migliorare la situazione. Tuttavia, serve un’azione più
decisa per affrontare questi problemi in modo più soddisfacente.
10 L’economia turca ha mostrato grande resistenza durante la recente crisi finanziaria globale. Nessuna banca turca è fallita, in parte grazie ad un
assestamento durante una crisi finanziaria interna nel biennio 2000-2001, in parte
alle trasformazioni strutturali portate dal processo di adesione nonché ad un rigoroso programma del FMI. Fino al 2008 l’economia della Turchia è cresciuta,
in media, al ritmo del 7%, attirando investimenti europei senza precedenti, molti
dei quali da banche e aziende europee. Tuttavia, squilibri a livello regionale, un
ampio settore agricolo ed un alto tasso di disoccupazione restano problemi da
affrontare e risolvere.
11 La Commissione Indipendente resta convinta dei numerosi vantaggi che
presenterebbe la convergenza della Turchia con l’Europa e l’eventuale adesione
all’UE di una Turchia trasformata, sia per il paese che per l’Unione stessa. Gli
enormi progressi realizzati dalla Turchia in tutti i campi negli ultimi 10 anni sono
stati chiaramente legati allo status della Turchia di paese candidato all’UE e al
relativo processo di adesione. Per garantire un seguito al processo di
trasformazione della Turchia, è necessario preservare la sua prospettiva europea.
Nessuno può prevedere l’esito del processo di adesione e se l’obiettivo
dichiarato potrà essere raggiunto, ma la possibilità di centrare l’obiettivo dipende
anche dalla credibilità dell’UE, dal suo interesse e dalla correttezza dovuta a tutti
i paesi candidati.
A. L. R.
4
Cosa ci riserverà la Comunità economica prossima ventura?
Le economie del Golfo manifestano
oggi un’elevata convergenza
di Giovanni Percolla
I
l prossimo Summit annuale del
CCG, che si terrà il 29-30 dicembre a Mascate (Oman), potrebbe istituire il Consiglio monetario preparatorio e rivedere il calendario d’attuazione dell’Unione monetaria. Il framework generale
dell’Unione (inclusa la bozza di statuto della Banca centrale) è stato definito lo scorso settembre dai ministri dell’Economia e delle Finanze e
un ulteriore incontro preparatorio si
è tenuto a novembre. L’obiettivo di
un’Unione monetaria, previsto fin
dall’accordo economico del CCG
del lontano 1982, era stato rilanciato
nel 2001; nel 2003 era poi stato deciso di avviare l’Unione a gennaio
2010 (obiettivo ormai irraggiungibile). Nel 2006 tuttavia l’Oman ha dichiarato che avrebbe partecipato
all’Unione solo in un secondo tempo e nel 2007 il Kuwait ha abbandonato l’ancoraggio al dollaro che caratterizza tutte le altre valute del
CCG.
Le economie del CCG sono accomunate dalla forte dipendenza dal
settore energetico. Le entrate da
idrocarburi rappresentano una quota
preponderante delle entrate pubbliche e permettono agli stati membri
del CCG di non imporre imposte sul
reddito o di farlo con aliquote molto
basse; inoltre, gli idrocarburi costituiscono una quota dominante delle
esportazioni. La maggior parte del
commercio internazionale del CCG
(in primo luogo l’interscambio energetico) è fatturata in dollari.
Le valute delle sei monarchie del
Golfo sono da decenni ancorate al
dollaro con parità fissa, con la sola
parziale eccezione del dinaro kuwaitiano – per decenni ancorato ad
un paniere di valute, poi ancorato al
dollaro tra gennaio 2003 e maggio
2007 e ora nuovamente ancorato ad
un paniere. La parità fissa con il
dollaro ha fatto sì che le oscillazioni
del prezzo del petrolio si ripercuotessero soltanto sul bilancio pubblico, proteggendo – almeno in prima
analisi – i cittadini. Ciò ha tuttavia
comportato la rinuncia all’autonomia in politica monetaria: i tassi a
breve hanno seguito – con limitati
La città di Mascate - Oman
La crisi finanziaria internazionale
incoraggia gli stati membri del Consiglio
di Cooperazione del Golfo (CCG: Arabia
Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Kuwait,
Oman e Qatar) ad accelerare
la realizzazione dell’Unione monetaria
scostamenti (grafico) – quelli degli
Stati Uniti anche quando la situazione economica dei paesi del CCG
avrebbe richiesto politiche monetarie del tutto diverse. È il caso degli
ultimi anni, quando l’accelerazione
dell’inflazione nel CCG avrebbe richiesto l’aumento dei tassi, che invece sono scesi seguendo quelli statunitensi.
Data la struttura simile, le economie del Golfo manifestano un’elevata convergenza; dopo un temporaneo declino nel 2006-2007 dovuto
al divergente andamento dell’inflazione, quest’anno la convergenza è
tornata ad ampliarsi seppure a livelli
inflazionistici troppo elevati dal
punto di vista della stabilità macroeconomica. Tuttavia, la convergenza
non è accompagnata da una significativa integrazione economica: i
flussi commerciali intra-CCG sono
limitati e un efficiente mercato regionale dei fattori produttivi stenta a
decollare nonostante il lancio a gennaio 2008 del mercato unico, in attesa che vengano approvati a livello
nazionale le leggi e i regolamenti
necessari.
L’integrazione monetaria è facilitata dalla struttura economica simile, grazie alla quale gli eventuali
shock economici subiti dai paesi del
CCG sarebbero simmetrici e dunque
difficilmente metterebbero a repentaglio l’integrazione monetaria.
Inoltre, la forte flessibilità del mercato del lavoro, che nel settore privato è in parte preponderante costituito da lavoratori immigrati, per lo
più con contratti temporanei (grafico), permette di rispondere a eventuali shock con strumenti diversi
dalla politica valutaria.
Se l’attuale simile struttura economica rafforza la sostenibilità di
lungo termine dell’Unione monetaria, va anche ricordato un elemento
di divergenza prospettica tra le economie del CCG: la diversa rapidità
con cui si esauriranno le riserve di
petrolio e gas (grafico) e sarà perciò
necessario ri-orientare la struttura
produttiva. Date le notevoli diversità nello stock di riserve di idrocarburi, potrebbe sorgere in tempi non
remoti la necessità di politiche eco-
nomiche troppo differenziate da
paese a paese per essere compatibili
con un’Unione monetaria.
Rimangono inoltre consistenti
ostacoli politici alla attuazione e alla
sostenibilità dell’Unione. Dalla sua
istituzione nel 1981, il CCG ha
adottato una logica intergovernativa
e nel CCG non vi è alcuna forte
esperienza istituzionale a livello regionale, nulla che sia anche lontanamente paragonabile al ruolo della
Commissione europea o del Parlamento europeo.
Ciò evidenzia la riluttanza degli
stati membri a cedere sovranità e
pone il problema della accountability politica della futura Banca centrale. Non va però dimenticato che – a
differenza dell’euro – l’Unione monetaria del CCG non implica una
perdita di autonomia monetaria per
gli stati membri ma potrebbe perfino accrescerla, almeno in prospettiva.
Un abbandono dell’ancoraggio al
dollaro – nel caso venisse deciso –
sarebbe comunque adottato con
grande cautela e in tempi lunghi.
Tuttavia, proprio questa potenziale
autonomia monetaria potrebbe rappresentare l’incentivo principale per
l’avvio dell’Unione, un incentivo
che non è neppure necessario menzionare esplicitamente ma che tutti
– fautori e oppositori dell’Unione –
stanno oggi valutando, anche per le
sue implicazioni internazionali.
Società 15
Nella nostra Isola vediamo sempre più spesso donne che indossano le divise
Presenze femminili nei reparti
delle Forze Armate in Sicilia
di CORRADO RUBINO
L
a presenza in Sicilia di uomini in divisa non è mai stata, e
certo non lo è oggi, una novità; non è una novità neanche la presenza delle donne che indossano la
divisa della Polizia di Stato o delle
Polizie locali. Ci siamo ormai abituati a vedere per le nostre strade
cittadine le poliziotte che, pistola al
fianco, svolgono il loro servizio
esattamente come i loro colleghi di
sesso maschile. Ma da qualche anno
nella nostra Isola vediamo sempre
più spesso donne che indossano le
divise, molto meno usuali, delle
Forze Armate. A Gela e a Vittoria,
ad esempio, a novembre di quest’anno, alle locali Compagnie dei
Carabinieri sono state assegnati militari donne. Ne sono arrivate due
presso la caserma “Sebastiano
D’Immè“ di Gela. Una è piemontese e l’altra è abruzzese, entrambe di
25 anni; hanno dichiarato che la loro assegnazione in Sicilia non le
preoccupa e sperano di acquisire
“preziosa esperienza per la propria
carriera, al servizio della gente”. In
precedenza altre donne con la divisa
dell’Arma erano state assegnate alla
Compagnia di Vittoria.
In realtà l'ingresso delle donne
nelle Forze Armate fu sancito con
legge n. 380 nel lontano ottobre
1999.
Nell'Esercito, la linea d'azione
scelta è stata quella di assegnare gli
incarichi in maniera equa, destinando le donne sia all'area operativa
che a quella logistica e tenendo conto, per quanto possibile, delle preferenze espresse dal personale. In tale
ottica, gli arruolamenti sono stati
aperti alle donne seguendo un criterio di progressività allo scopo di
procedere velocemente sulla strada
della riforma ma garantendo nel
contempo un'organizzazione tale da
prevenire ogni possibile attrito. Si è
quindi iniziato con gli Ufficiali donna reclutati tra i laureati, acquisendo
così in Forza Armata anche professionalità nuove come le sociologhe
L'Esercito fa la parte del leone con circa 6000
donne. In Marina sono 859; in Aeronautica
640 (fra cui 120 Ufficiali e di queste 18 sono
piloti); nei Carabinieri 958 (tra cui 4 tenenti
colonnelli, 41 capitani, 150 marescialli ordinari)
con il compito specifico di monitorare, seguire ed agevolare i successivi reclutamenti femminili. Quindi
è stata la volta dell'Accademia Militare di Modena seguita dai primi
Marescialli e infine dai Volontari di
truppa.
A circa 10 anni dall'apertura delle
Forze Armate alle donne, tra Esercito, Marina, Aeronautica e Carabinieri la loro presenza è circa il 3%
della forza totale, ma l'Esercito fa la
parte del leone con circa 6000 donne; in Marina sono 859; in Aeronautica sono 640 (fra cui 120 Ufficiali e
di queste 18 sono piloti); nei Carabinieri 958 (tra cui 4 tenenti colonnelli, 41 capitani, 150 marescialli
ordinari). La Sicilia è una delle Regioni con la più elevata presenza di
enti e reparti militari delle Forze Armate e dei Corpi armati dello Stato.
Il Comando della Regione Militare
Sud che ha sede a Palermo è l’Ente
territoriale che assolve oltre ai compiti di Comando Militare Esercito
per la Sicilia anche a quelli di coordinamento delle attività legate al
Reclutamento, alla Promozione e alla Pubblica Informazione su tutta
l’area di sua competenza (Comandi
Militari Esercito dell'Umbria,
Abruzzo, Molise, Puglia, Campania,
Basilicata e Calabria).
Ma l’Esercito in Sicilia schiera
anche una delle sue grandi unità: la
storica e gloriosa Brigata meccanizzata "Aosta" che ha una configurazione pluriarma, ed è alimentata con
personale di truppa volontario, in
RM SUD
CE SEL
VFP1
CEDOC
PALERMO
REP CDO
SPT GEN
ferma prefissata (di uno e quattro
anni) ed in servizio permanente. La
Brigata si compone di un reparto
comando, due reggimenti di fanteria, uno bersaglieri, uno di cavalleria, uno d'artiglieria ed uno del genio.
La Marina militare in Sicilia ha
numerosi Comandi, Direzioni, installazioni e navi operative per la
sorveglianza e la difesa costiera oltre ad una base elicotteri e una base
per velivoli anti sommergibili a Sigonella; il tutto alle dipendenze del
Comando di Marisicilia di Augusta.
L’Aeronautica militare è presente
con due stormi: il 41° di Sigonella e
il 37° di Trapani-Birgi.
Per quanto riguarda i Carabinieri
e la Guardia di finanza, la loro presenza sul territorio e in tutte le installazioni portuali e aeroportuali è
risaputa e arcinota. Meno familiari,
ma altrettanto presenti in Sicilia sono le divise della Guardia Forestale,
della Polizia Penitenziaria e della
Croce Rossa Militare.
In Sicilia, attualmente, le donne
sono presenti in tutte queste componenti militari ripartite tra tutte le categorie, ovvero Ufficiali, Marescialli e Volontari. È però nella categoria
dei Volontari che troviamo il maggior numero di donne in servizio
permanente (VSP) o in ferma prefissata (VFP1 e VFP4). In particolare è
alta la presenza femminile nei reparti della Brigata “Aosta” dove mediamente sono presenti circa 50 volontari donne in ogni reggimento. Le
soldatesse al pari dei colleghi uomini, sono impiegate in tutti i teatri
operativi in cui è inviato il reparto
di appartenenza. Fin dal 2001, infatti, il personale femminile dell'Esercito è stato impiegato nelle operazioni, fuori dal territorio nazionale,
all’estero in cui l’Italia è stata chiamata ad intervenire. Le prime donne
soldato, una volta raggiunto il necessario livello di operatività, sono
state impegnate in Bosnia, nell'ambito della missione SFOR. In seguito sono state coinvolte in Kosovo,
nel corso della missione KFOR. Altre donne delle Forze Armate sono
partite con il contingente Nibbio,
nel corso dell'operazione Enduring
Freedom, svoltasi in Afghanistan a
partire dal febbraio 2003. Oltre a
svolgere gli stessi compiti degli uomini, le donne sono state in questo
caso incaricate anche di mantenere
eventuali contatti con la componente femminile della popolazione locale. Le donne sono state presenti
anche in Iraq, nella missione Antica
Babilonia.
Da qualche anno anche i reggimenti della Brigata “Aosta” sono
entrati nelle turnazioni d’impiego
all'estero e quindi anche le nostre
soldatesse (in maggior parte siciliane) anno fatto l’esperienza delle zone d’operazioni in aree di crisi.
Le donne in servizio in Sicilia le
abbiamo viste impegnate anche nell'ambito dell’operazione “Domino”,
per la sorveglianza dei punti sensibili e la prevenzione di atti terroristici e nell’operazione “Strade sicure”, dove a volte lavorano a fianco
delle colleghe carabiniere e poliziotte.
CEDOC
CATANIA
Nella cartina, dislocazione dei reparti “Aosta” e del Comando Regione Militare Sud
La Voce dell’Isola n. 23-24
20 Dicembre 2009
Opinioni 17
Occhiello
VOCI
DAL CONTINENTE
All’ombra della Repubblica
con l’ipocrisia del pentitismo
di PIETRO CARUSO
C
ontro l’ipocrisia del pentitismo. Quello che incomincio a scrivere è un articolo
dilaniante per la mia cultura, fondamentalmente legalitaria e di piena
accettazione dei principì democratici iscritti nella nostra Carta costituzionale. Tutte le volte che sento parlare di pentiti e di pentitismo ho
un’istintiva repulsione. Questo non
significa che tutto quello che i pentiti hanno raccontato in questi anni
sia falso. Anzi. Considero quasi
sempre nelle loro rivelazioni un
ceppo di verità, né possiamo negare
che nel difficile lavoro di inquirenti
e di giudici giudicanti le parole dei
pentiti non abbiano avuto un peso
ed anche un valore, talvolta, decisivo. Sono contrario alla filosofia del
pentitismo, perché vedo questo gesto dentro la cronica malattia del
nostro sistema di vita e di valori. Lo
so, come dicono i filosofi che la nostra realtà è pervasa da quello spessore di sentimenti che formula nel
perdono la più alta forma di tolleranza verso l’altro. Una dimensione
che dovrebbe farci trascendere da
materia a spirito. Solo che il perdono, per forza, non è detto che coincida con il pentimento. Il perdono,
infatti, è un “a-priori” nel quale si
connette una fede, quella cristiana e
una filosofia, quella della tolleranza,
che può anche non discendere, direttamente, dal credo dei cattolici.
Il perdono è una cosa bella, altissima. I familiari che perdonano gli assassini dei loro cari sono donne e
uomini di eccezionale statura morale.
Il pentirsi non ha questa statura,
ma in una terra come quella siciliana si deve pure discutere sul fatto se
sia possibile evitare il pentimento,
visto che la terra di ragione ha confini molto ristretti. Quale è la condizione per cui il pentimento non varrebbe la pena? Non sarebbe necessario, anzi potrebbe essere considerato quasi come un’infamia, se non
un’infamia bella e buona? Qualsiasi
struttura criminale, che ha il segreto
come regola assoluta e non consente
mai il diritto al dissenso interno, è
destinata ad essere spezzata solo dal
tradimento, con il ricorso alla forma
del pentimento. Voglio cioè cercare
di dimostrare che i “pentiti” fioriscono perché non conoscono, ma
non hanno neppure lo spazio di difendere i propri principì, in un sistema che nega le regole democratiche.
Quando si vive fuori del rispetto
delle regole fra maggioranza e minoranza, non si tollera il dissenziente…il clima d’ordine che si respira
diventa irrespirabile. Figuriamoci
quello che succede se poi la minaccia di morte (e spesso la punizione
estrema appunto) è la sanzione per
chi non è d’accordo.
Come la maggioranza dei siciliani
intuisce, se non addirittura conosce,
le “mafie” hanno esercitato una
pressione ed un potere nel modo
con il quale hanno impedito le rivoluzioni morali, di costume e di natura politica e hanno accompagnato la
parte più tradizionale e conservatrice della società. Le mafie sono il risultato di un’arretratezza culturale,
di un senso triviale dell’ordine costituito e del senso comune intriso
di superstizioni arcaiche. I mafiosi
La Voce dell’Isola n. 23-24
sono stati e sono i più forti custodi
della conservazione politica ed economica.
La Sicilia, in ogni caso, continua
a fare – giornalisticamente parlando
– notizia. Aggiungerei anche che
avrà altre pagine nella storia del
Paese. La Prima Repubblica non è
caduta sotto il colpi dei pentiti mafiosi. Se mai sono stati i mafiosi, insoddisfatti dell’ultimo stralcio del
governo Andreotti-Martelli, ad accanirsi per chiudere la partita, prima
con Salvo Lima poi mettendo nel
mirino gli stessi ultimi uomini politici rei di non avere capito che il
contrasto fra il leader della Dc e il
leader del Psi avrebbe accelerato
una crisi che durava da un pezzo. I
mafiosi, in gran parte, hanno saputo
giocare alcune carte nel sistema po-
elettorali di grande dimensione.
La Sicilia (e l’Italia) non si
“scansa” di nulla. Se i siciliani e il
resto degli italiani ricevessero la notizia che il presidente del Consiglio
e uno dei suoi più fedeli storici collaboratori fossero collusi con la mafia, cosa potrebbe succedere? Personalmente dubito che questo produrrebbe la fine del governo Berlusconi, ma forse l’occasione per il cavaliere, l’alibi, per andare ad elezioni
anticipate. Cosa rischiosa comunque, anche perché le Camere vengono sciolte dal presidente della Repubblica. Nella tradizione parlamentare italiana i mandati esplorativi non sono mancati. E i governi si
fanno anche con un solo voto di
maggioranza. Certo se Berlusconi
s’impuntasse il diritto ad andare alle
Sì perché, generalmente, l’educazione morale impartita ai siciliani fin
da bambini non è certo quella dei
criminali per scelta. Secoli di servaggio, di spietata sudditanza, condita da una scarsa dimensione della
libertà individuale e dalla possibilità
di esercitare il dissenso nelle forme
della democrazia, hanno abituato la
base sociale delle mafie ad avere fiducia solo in due realtà: i boss, la
rete di solidarietà delle cupole. Per
fortuna la natura vulcanica e solare
da un lato e quella saturnina e lunare dall’altra, prima o poi spezzano
anche le famiglie mafiose più coese.
E anche dalle faide, dalle vendette,
dalle uccisioni trasversali si alimenta il lievito della vendetta che, quando diventa impotente sul piano armato e militare, si riversa sulle spal-
L’onore dei siciliani deve riuscire a far rima con la ragione
litico. Questo avvenne dai tempi
quando alcuni giovani monarchici
siciliani accettarono di concludere il
loro sostegno ideologico e finanziario alla causa separatista filo-statunitense per scaldarsi all’ombra di
una parte della Democrazia Cristiana che, dopo il 21 aprile del 1948, si
muoveva, quasi solitaria, senza essere ancora l’unico emblema del potere. Prendete la mappa delle amministrative precedenti alle politiche
dell’anno del trionfo di De Gasperi
e vi renderete conto che la Sicilia
aveva un panorama politico molto
più mosso di altre regioni. Nelle elezioni del 1946 e poi del 1947 alle
comunali di Palermo il primo partito
politico della città non era la Dc, ma
il Pnm, il Partito nazionale monarchico, con il 19,8 e poi con il 18,8
per cento. A Catania il Movimento
indipendentista siciliano fu la variabile politica più rilevante nel contesto della ripresa della democrazia
del primo dopoguerra, con risultati
urne ci sarebbe e le sue potenzialità
di vittoria esistono ancora, ma sempre nella tradizione politica del Paese chi, a volte, ha voluto tentare la
via delle elezioni politiche anticipate ha pagato il prezzo in termini
elettorali. È il caso del democristiano Fanfani negli anni Sessanta e del
socialista De Martino negli anni
Settanta. Berlusconi, però, è di
un’altra pasta rispetto a quei vecchi
esponenti della democrazia italiana
e la sua spietatezza, chi lo conosce
bene, sa dove può arrivare.
In ogni caso da una parte c’è una
dimensione politica dove le dichiarazioni di Spatuzza possono essere
dirompenti, ma da dimostrare in ultima analisi che i giudizi storici possono essere molto più spiacevoli di
quelli espressi dalla cronaca.
Solo chi è nato e vissuto in Sicilia
capisce come possano degenerare e
deragliare certe vite che da ragazzi
sembravano avere preso una piega
giusta, moralmente non degradata.
le dello Stato. Uno Stato disprezzato, mal tollerato, ma che dall’affresco storico del Gattopardo, in poi, è
il vero padrone ideologico dell’isola. Sì, perché quello che i mafiosi
non capiscono, o fingono di non capire, è che persino uno Stato, a
brandelli, come l’Italia ha gli strumenti per addomesticare qualsiasi
rivolta.
Naturalmente accordandosi, in
modi più o meno sotterranei, con
chi minaccia le autorità che lo Stato
rappresenta. Insomma non c’è tanto
da stupirsi che fra il 1992 e il 1993
ci possa essere stato qualche accordo fra l’ala militare della mafia e
una parte dei custodi dei segreti italiani. Perché pensare che sia impossibile? Se mai c’è da chiedersi cosa
oggi abbia spinto l’ala “perdente” di
ieri a esternare a più non posso l’aggiornamento delle verità di quindici
anni fa, ma soltanto ora. È questo
che scricchiola, a parere mio, nel
pentitismo. Tutto funziona secondo
un ritmo poco trasparente e ad orologeria. Chi ha la responsabilità di
tutto questo? Il paradosso delle mafie è che utilizzano i linguaggi e i riti del potere. Soprattutto quello para-ecclesiastico e, in talune situazioni, anche massonico. Sempre per
quel maledetto bisogno di segretare
tutto e tutti. Un eterno concilio ultra
riservato.
L’antitesi delle prassi delle democrazie, non solo dell’odiato e vetusto social-comunismo combattuto a
colpi di lupara e con una lista di
martiri rispettabili.
Insomma i mafiosi non sono degni di stare in un consesso civile dal
punto di vista di una democrazia di
diritto, ma si sono conquistati questa certezza di sopravvivenza approfittando dei buchi e delle sbracature
della Repubblica Italiana e della Democrazia mondiale. Se il Paese fosse interamente gestito da “gentili
servi dello Stato” lo spazio per le
mafie sarebbe ridottissimo. Oggi il
“dio” denaro ha consentito di entrare nei salotti buoni, nei sancta-sanctorum finanziari, persino in quei
servizi segreti che hanno trattato la
materia mafiosa come se ci trovassimo di fronte a “potenze” da riverire
e comunque da temere. Come Stato
nello Stato. No. Tutto questo un
giorno finirà anche in Sicilia, anche
in Italia. Solo se riusciremo a diventare veri democratici. Al di là di
questi partiti spesso così miseri e
miserabili potremo trovare il promontorio di Capo Speranza. Per ora
filiamo su vecchi vascelli corsari,
troppo frettolosi per riconoscere
nell’Isola gli antichi porti che richiamavano da tutto il Mediterraneo
i “vascelli vagabondi” di cui recita
Sgalambro, quando ricorda l’oro, i
giacinti, e il profumo della rosa.
Leggendo la consolazione che offre
al mondo e al nostro cuore ferito la
sicula poesia medioevale, alla corte
di re Federico. Il più laico dei sovrani che abbiamo conosciuto prima
delle riforme protestanti.
20 Dicembre 2009
18 Società
Prima Conferenza territoriale alla Camera di commercio di Catania
Positivo contributo della cooperazione
per lo sviluppo della provincia etnea
di MIRCO ARCANGELI
L
a prima conferenza provinciale sulla cooperazione, organizzata dalla Camera di Commercio di Catania unitamente alle
organizzazioni sindacali del movimento cooperativo, rappresenta un
evento straordinario. Innanzitutto
perché la Camera di Commercio ha
come mission quella della promozione economica, e dello sviluppo del sistema delle imprese e dell’economia locale, e vedere cimentarsi in analisi economiche di settore, la stessa Camera di Commercio,
rappresenta sicuramente un evento
non ordinario. Ma lo è anche perché
finalmente viene preso in esame un
segmento della nostra economia, così importante quale quello della cooperazione.
La conferenza viene avviata da
una approfondita analisi del sistema
economico nelle interazioni con il
segmento cooperativistico, svolta
dal presidente di Legacoop Catania,
Giuseppe Giansiracusa. Di questa
complessa analisi se ne sottolineano
alcuni passaggi. La cooperazione
italiana ha raggiunto le 60 mila imprese, ed impiega oltre un milione
di occupati, pari al 6,2% del totale
occupato. Realizza un giro d’affari
di oltre 110 miliardi, oltre al 5% del
PIL. Degli oltre 10 milioni di soci, 2
milioni sono imprenditori.
In questi anni è cresciuta la dimensione media delle cooperative, e
si è allungata la loro durata media di
vita. Le cooperative rappresentano il
6% delle imprese dai 10 a 50 addetti, il 14% delle imprese da 50 a 250
addetti, il 13% delle imprese oltre i
250 addetti. Si è estesa e rafforzata
la capacità della cooperazione di
fornire risposte adeguate alle aspettative espresse da una sempre più
ampia platea di soci. La cooperazione non esprime dunque un pezzo di
economia marginale, (continua
Giansiracusa) ma è, in tutti i comparti, una componente importante
dell’economia nazionale.
La cooperazione, nel catanese, è
presente in diversi settori, da quelli
tradizionali a quelli innovativi come, ad esempio quello delle energie
alternative. Si presenta sotto forma
di micro-imprese, scarsamente capitalizzate, da qui l’esigenza di fare
rete e fare sistema. Anche la cooperazione si trova ad affrontare gli
stessi atavici problemi con i quali si
cimenta il mondo delle imprese nel
Sud. I fattori di svantaggio sono il
nanismo imprenditoriale, il deficit
delle infrastrutture, la concorrenza
sleale, la difficoltà di accesso al credito. A quest’ultimo proposito, serve
un soggetto creditizio in grado di
migliorare l’erogazione del credito
20 Dicembre 2009
alle pmi meridionali, di affrontare i
problemi del denaro circolante,
compresi quelli derivanti dai ritardi
dei pagamenti della pubblica amministrazione e di emettere garanzie e
fidejussioni a favore dell’imprenditoria locale, capace di coniugare la
vicinanza alle imprese e all’insediamento territoriale, con un’efficiente
erogazione del credito. Ci auspichiamo che il progetto della Banca
del Mezzogiorno possa soddisfare
tali bisogni. Una nuova politica per
il credito, dovrà essere parte organica di un più ampio piano per il Mezzogiorno.
Il Mezzogiorno rappresenta una
grande opportunità per l’Italia e
l’Europa ed è un dovere di tutti
scommettere sul suo futuro. Occorre
affrontare i temi dell’efficienza della pubblica amministrazione, della
fiscalità di vantaggio, della concertazione dei fondi per le infrastrutture sui progetti, che possono davvero
far compiere un salto di qualità
competitiva al territorio: sulla tutela
e lo sviluppo dell’apparato produttivo, sulla promozione e attrazione
degli investimenti, sullo sviluppo
del turismo e sulla valorizzazione
dei beni culturali. La Regione però,
vive una situazione di grave crisi
politica, ed il malessere, costante da
18 mesi, si è palesemente manifestato in più occasioni.
Considerata la gravità della situazione in cui è sprofondata la Sicilia,
ogni parlamentare faccia autocritica,
perché ciascuno ha il suo livello di
responsabilità. La Sicilia e il sistema economico hanno bisogno di
una buona amministrazione, di un
governo che governi e di un’opposizione che svolga il suo ruolo, senza
confusione di ruoli. Se la Regione è
alla paralisi a pagarne il prezzo sono
le attività produttive.
È bloccata la legge sugli aiuti alle
imprese, la norma sul consolidamento dei debiti, la spesa europea
legata al programma operativo Fers,
che prevede incentivi per la piccola
e media impresa. I fondi europei
della Sicilia sembrano sempre più a
rischio. Sollecitiamo con urgenza i
bandi europei e i decreti per approvare le direttive.
La Regione deve aprire i rubinetti
della spesa. Sono passati tre anni
nell’immobilismo, quanto tempo
ancora dovranno aspettare le imprese? Noi non aspettiamo certamente,
ad affermare un modello sano di
cooperazione, permeata di quei valori peculiari, che ne hanno determinato la particolare natura imprenditoriale e sociale ed il nostro successo nel corso dei decenni.
Ci riferiamo ai valori distintivi
della cooperazione: partecipazione,
autogestione, responsabilità condi-
Qui sopra: Giuseppe Giansiracusa
sotto: il tavolo della presidenza
visa, capacità di risposta ai bisogni
della società, valorizzazione della
creatività, crescita civile e professionale, siamo convinti che questo
patrimonio, forte e radicato in molte
collettività, costituisca oggi una risorsa utile per la società, per dare
alle persone un senso di identità
condivisa, di sicurezza e fiducia.
Concludendo il suo intervento,
Giansiracusa, sostiene che le cooperative, a differenza delle grandi imprese, non delocalizzano e contribuiscono a fare progredire il territorio, favorendone lo sviluppo, assecondandone le vocazioni e valorizzando le produzioni e i prodotti locali, fino al punto di reagire meglio
all’impatto della crisi, se è vero che,
nell’ultimo quinquennio, ha fatto registrare una crescita occupazionale
del 20%, dimostrando una grande
vitalità.
Report sulla cooperazione catanese
A seguire prende la parola il Segretario Generale della Camera di
Commercio Alfio Pagliaro, che presenta uno studio sulla cooperazione.
Dai dati risulta che il tessuto produttivo catanese al 30 settembre 2009,
conta 103.424 imprese registrate, di
cui 85.876 attive pari all’83%. Le
nuove iscrizioni sono state 4.716,
con un tasso di natalità del 4,56%
mentre le imprese cessate sono state
4.280 pari al 4,14%.
La differenza dei due indici ci
consegna un tasso di sviluppo dello
0,42% che, tradotto in valore assoluto, indica che le imprese nate sono
in numero maggiore rispetto a quelle cessate (4.716 – 4.280 = 430).
Relativamente alle società coopera-
La cooperazione
italiana ha raggiunto
le 60 mila imprese,
ed impiega oltre
un milione di addetti,
pari al 6,2% del totale
occupato. Realizza
un giro d’affari
superiore a 110
miliardi, oltre al 5%
del PIL.
Degli oltre 10 milioni
di soci, 2 milioni
sono imprenditori
tive, risultano 5.182 registrate, di
cui 2.543 attive (49%). Dall’analisi
della concentrazione delle società
cooperative per settore economico,
si può vedere come la concentrazione maggiore si ha in due settori economici tradizionali: Costruzioni
(23,91%) e Agricoltura (21%). Seguono, ma con percentuali nettamente inferiori, i settori Sanità e assistenza sociale (7,75%), commercio (7,55%), noleggio, agenzie di
viaggio, servizi di supporto alle imprese (6,88%) e attività manifatturiere (4,76%).
La distribuzione per settore economico non si discosta più di tanto
dal quadro siciliano: qui infatti si registra, nell’ordine: - Costruzioni
21,40% - Agricoltura 21,35% - Sanità e Assistenza sociale 7,79% Noleggio, Agenzie di viaggio, Servizi di supporto alle imprese 7,70%
- Commercio 6,80% - Attività manifatturiere 6,06%.
Nelle due realtà – Catania e Sicilia – se la concentrazione delle società cooperative nei vari settori
economici è pressoché coincidente,
compreso il settore agricolo con il
21% per Catania ed il 21,35% per la
Sicilia, è in quello delle costruzioni
che si riscontra una differenza di
quasi 2,5 punti percentuali: Catania
23,91%/ Sicilia 21,45%. Le nuove
cooperative iscritte nel 2009 sono
state 172, con un tasso di natalità
del 3,32%. Di contro, le cooperative
cessate sono state 68, con un tasso
di mortalità dell’1,31%; pertanto il
tasso di sviluppo (dato dalla differenza) è stato del 2,01%.
È da notare inoltre come il settore
delle cooperative, rispetto all’intero
tessuto imprenditoriale del nostro
territorio, ha registrato una crescita
maggiore: infatti, mentre lo sviluppo imprenditoriale, nel complesso, è
stato dello 0,42%, quello del settore
cooperativo, con il 2,01%, è stato
ben 5 volte maggiore. Considerando
la natura giuridica, ci rendiamo conto del peso specifico, in termini di
numero di imprese, rappresentato
dal settore cooperativistico.
Su un totale di 103.424 imprese,
la distribuzione per natura giuridica
mostra un quadro dove la prevalenza assoluta è formata da imprese individuali, il cui numero ammonta a
67.021, seguite dalle società di capitali con 18.064, dalle società di persone con 11.813, dalle società cooperative con 5.182 e infine da altre
forme di impresa con 1.344. Il quadro ci conferma la caratteristica che
identifica il nostro sistema economico, non solo della provincia catanese, ma dell’intero territorio regionale, e cioè la polverizzazione del sistema imprenditoriale, costituito per
almeno 2/3 da imprese individuali,
con il conseguente corollario del nanismo tipico della nostra struttura
produttiva, confermato d’altronde
dalla bassa incidenza percentuale
del settore cooperativistico rispetto
alle altre forme collettive d’impresa
società di capitali e di persone. Confrontando il dato di Catania con
quello della realtà siciliana, questo
risulta leggermente inferiore a quella registrata nel comprensorio catanese (2,96%).
Quindi, anche se di poco, lo strumento della società cooperativa ha
una diffusione maggiore nel territorio rispetto alla media registratasi in
Sicilia. Questa maggiore diffusione
delle società cooperative trova conferma nell’analisi di un altro indice,
quello del tasso di sviluppo, dal
quale possiamo notare come, al terzo trimestre 2009, Catania registra
un indice di sviluppo del 2,01%
contro 0,61% a livello siciliano,
frutto questo non solo di un più alto
indice di natalità (3,32% Catania 2,53% Sicilia) ma anche di un minor tasso di mortalità (l’1,31% a Catania e l’1,93% in Sicilia).
Intervengono poi, dalla presidenza del convegno, Pietro Agen presidente della Camera di Commercio,
Antonio Carullo commissario straordinario Ircac, Gaetano Mancini
presidente Confcooperative Catania.
Dei numerosi cooperatori presenti
all’iniziativa, diversi hanno partecipato al dibattito, arricchendolo con
esperienze vissute, e proponendo interventi per favorire lo sviluppo. Per
tutti valga lo sforzo fatto dalla cooperativa di extracomunitari “La Senegalese”, con lo scopo di assistere
nei servizi e nelle pratiche, gli extracomunitari in Italia.
La Voce dell’Isola n. 23-24
Società 19
L’assessore regionale Russo in una conferenza promossa dall’associazione Antudo
La riforma della Sanità siciliana:
il perché della necessità di una svolta
di MIRCO ARCANGELI
S
i è tenuta, presso l’Aula Magna della facoltà di Medicina e
Chirurgia di Catania, una conferenza organizzata dall’Associazione Universitaria “Antudo – Rivoluzione Studentesca” dal titolo: “ Riforma della Sanità Siciliana: quali
cambiamenti?” All’iniziativa hanno
preso parte il dottor Massimo Russo
– assessore regionale alla Sanità; il
professore Francesco Basile – preside facoltà di Medicina e Chirurgia;
il professore Gaetano Catania – preside corso di laurea in Medicina e
Chirurgia; il dottore Armando Giacalone – commissario straordinario
Azienda OVEII – Policlinico; il professore Ercole Cirino – presidente
Ordine dei Medici di Catania; il
professore Diego Piazza - direttore
UO I^ Chirurgia Azienda OVEII –
Policlinico; il professore Alessandro
Cappellani: direttore UO Chir. Gen
e Senologia Azienda OVEII - Policlinico; la dottoressa Maria Grazia
Torre, responsabile Servizio Infermieristico Presidio V. Emanuele; il
dottore Gianluca Albanese – Amministratore Nazionale del S.I.G.M..
La sanità in Sicilia, come ben
sappiamo, è sempre stata contraddistinta da spreco e disorganizzazione.
I risultati di tale malagestione hanno
portato ad un deficit sistematico del
settore, con una produttività ed efficacia fuori da ogni standard nazionale. Inutile elencare le manchevolezze e le inettitudini organizzative.
Fin dall’avvio di questo governo regionale, si è pensato di intervenire
in maniera radicale, cercando di colpire il sistema organizzativo laddove si era sclerotizzato, o per lo meno queste sono le intenzioni di
un’azione riformatrice che l’asses-
Sopra: l’Assessore Russo, accanto
ritratto con i ragazzi componenti
dell’associazione Antudo
La sanità nell’Isola è sempre stata contraddistinta da spreco
e disorganizzazione. I risultati di tale malagestione hanno portato
a un deficit sistematico del settore, con una produttività
ed efficacia fuori da ogni standard nazionale
sore regionale sta portando avanti,
non senza contrasti. La conferenza
viene aperta dal rappresentante
dell’associazione Antudo, Antonio
Coniglio, al quale spetta il compito
di presentare l’associazione quale
aggregazione di universitari con i
valori comuni dell’onestà, dell’amicizia e della lealtà, quale fondamento di un vero e sano associazionismo. Antudo acronimo di “Animus
Tuus Dominus” (il coraggio è il tuo
Signore) grido di battaglia del popolo siciliano nella rivolta del 1282
(rivoluzione del vespro siciliano)
vuole pure riscoprire e valorizzare
le proprie origini, mantenendole vive
nel proprio
intervento
quotidiano. E
proprio a partire dalla riforma sanitaria, che Coniglio prende
spunto per
sottolineare
l’aspetto di
concretezza
che si vuole
dare all’iniziativa dell’associazio-
Sopra: in aula magna l’assessore Russo, Basile, Piazza
La Voce dell’Isola n. 23-24
ne, perseguendo come per la riforma sanitaria, la politica del fare, con
una nuova metodologia meno politichese e più efficace e foriera di atti
concreti.
Spetta al professore Basile avviare la discussione sulla riforma sanitaria. Una riforma sicuramente sentita, a riprova anche la grande presenza di medici, paramedici e studenti universitari, all’iniziativa. Nel
suo intervento il professore Basile
nel sottolineare gli obiettivi di riduzione di spesa e di crescita di qualità, attraverso anche la riduzione e
l’accorpamento delle strutture sanitarie, chiude con quesiti più che pertinenti per un preside di facoltà.
Quali saranno gli sbocchi occupazionali per il futuro? Quanti medici
e quali specialisti sono da formare
per il futuro?
Prende poi la parola l’assessore
regionale Massimo Russo il quale,
col suo modo di origine tecnicoscientifico piuttosto che politico, avvia una lunga analisi sulla questione
sanità in Sicilia. Partendo da ciò che
ha trovato al momento della nomina
per arrivare fino ad oggi. All’inizio,
dice l’assessore, mi sono ritrovato
un piano di rientro dal deficit sanitario, sottoscritto dal precedente governo regionale con quello statale,
che prevedeva due alternative: o il
rientro degli 800 milioni di deficit o
il commissariamento della gestione
regionale, in un periodo di 18 mesi.
Ci si è dovuti muovere subito quindi
con il piano di rientro come priorità,
con scelte nell’unica direzione possibile: mettere al centro dell’iniziativa politica e amministrativa il cittadino.
Si è deciso così di utilizzare un
nuovo metodo di intervento, raramente utilizzato nella ns. regione:
quello che prevede la programmazione delle attività, di obiettivi possibili da raggiungere, la verifica poi
dei risultati in rapporto agli obiettivi, per concludere con le azioni di
responsabilità premianti, se positivi,
sanzionatorie se negativi. Tenendo
ferma l’affermazione che la salute
non ha prezzo ma ha costi, si è lavorato concretamente per rientrare dal
deficit degli 800 milioni e allo stesso tempo per riqualificare e riorganizzare il sistema. Alcuni dati storici
utili all’analisi. In Sicilia si assiste
ad una fuga di prestazioni (verso le
regioni del nord) per un costo di 250
milioni l’anno. Con questa cifra si
può costruire un intero ospedale. Il
costo delle prestazioni inappropriate
è stato valutato in 400 milioni. Il
tutto in presenza di una bassissima
fiducia dell’utenza nelle prestazioni
offerte dal servizio sanitario. Una
spesa farmaceutica sopra gli standard nazionali. Una quota sanitaria
dedicata ai privati, frammentaria e
di scarsa qualità, quasi sempre in
extrabudget. Ciò ha determinato che
in presenza di una prestazione sanitaria siciliana peggiore rispetto a
quella nazionale, si è sostenuto un
costo maggiore. Tale costo è stato
sostenuto dai cittadini siciliani, attraverso una maggiore Irap del 25%,
ed una aliquota di addizionale regionale Irpef al massimo del consentito. È così che nel formalizzare una
proposta di riforma del sistema si è
cercato di capire come in altre regioni funziona il sistema sanitario.
Si è guardato alla Toscana, alla
Lombardia all’Emilia Romagna e si
è riscritto il sistema e la sua funzionalità.
In Sicilia 29 Aziende Sanitarie
che offrono più servizi di quanto richiesto dalla domanda con il paradosso di una domanda in fuga non
sono più sopportabili. Così a marzo
viene approvato, dopo un lungo dibattito non certo esente da scontri
anche aspri, il progetto di riforma,
al quale ha contribuito l’intero Parlamento regionale. Si è quindi intervenuti sul sistema, riducendo le
Aziende Sanitarie da 29 a 17 con il
loro accorpamento, cambiando la
governance ed i Direttori. Sono stati
razionalizzati e centralizzati gli acquisti. Nei tempi previsti si è potuto
rispettare il piano di rientro, evitando il commissariamento.
Ora il nuovo sistema è partito anche se i risultati non si vedranno
nell’immediato. Il sistema va assestato. Continua l’Assessore: abbiamo fatto ciò che altre regioni hanno
fatto 25 anni or sono. Capire il fabbisogno per costruire un’offerta di
prestazioni efficienti. Così si è avviata la riorganizzazione della rete
ospedaliera. Abbiamo tanti piccoli
ospedali inidonei per le prestazioni
e per gli utenti. Ma il problema non
è che si devono chiudere o non
chiudere gli ospedali, bensì quello
di riorganizzare un’offerta idonea al
fabbisogno. Occorrerà ridurre
l’ospedalizzazione a favore di un intervento sul territorio. Pochi ospedali ad altissima qualità, ed avvio dei
Punti Territoriali di Assistenza.
L’idea molto semplice è quella di
puntare sulla medicina di base e sull’associazionismo dei medici di base, creando dei luoghi, una sorta di
poliambulatorio, dove ci sia il medico di base insieme alla guardia medica, agli specialisti, dove ci sia la
diagnostica il punto lastre il punto
prelievo, un punto di prima emergenza, tutti disseminati sul territorio. In modo che il cittadino sia indotto ad orientarsi presso i PTA senza più intasare gli ospedali. senza
motivo o per semplici codici bianchi. Tutto ciò consentirà quel processo di deospedalizzazione tanto
necessario per ridare efficienza al
sistema.
Dal sistema ospedaliero, attraverso gli accorpamenti, si libereranno
importanti risorse. Non vi saranno
duplicazioni e si miglioreranno le
prestazioni. Non si vuole licenziare
nessuno, anzi serve personale soprattutto infermieri. Vero che i medici sono in esubero. Abbiamo stabilizzato circa 1000 persone e dovremo farlo anche con i precari.
Questa riforma era necessaria. Si
tratta di un processo di rimodernizzazione della nostra Sicilia. Una riforma che va sperimentata sul campo con la volontà di adeguarla ed
assestarla nel suo percorso ma con il
dovere di assicurare una buona sanità. Gli interventi che si sono susseguiti, sia dei relatori che degli operatori nonché degli studenti, hanno
confermato i buoni presupposti della riforma ribadendone i significati
più profondi, ed auspicando il raggiungimento degli obiettivi.
L’iniziativa, ben riuscita, è frutto
dell’impegno profuso dai giovani
universitari di Antudo, dalla caparbietà dei suoi rappresentati, tra i
quali risalta il giovane dirigente
Francesco Saccone, più volte ringraziato ed elogiato dai relatori che si
sono succeduti dal palco della conferenza.
20 Dicembre 2009
20 Cultura
“Pozzoromolo”, il secondo romanzo di L. R. Carrino
Raccontare il disagio non è facile:
si può parlare solo dei sentimenti
di MORENA FANTI
S
“
e nell’OPG tu fai qualcosa di
troppo, un grido di troppo, un
pensiero di troppo, un movimento di troppo, un bacio di troppo,
un respiro di troppo, allora ti mettono a dormire, ti mettono sulla panchina piena di grazia e di immobilità, con la bava che ti cola dalla
bocca”. E Gioia, che nella sua vita
si è sempre sentita “troppo”, in quel
corpo nato uomo e non riconosciuto
neanche a se stessa, e si è sentita “di
troppo” - mai la persona giusta, mai
la persona desiderata e amata -, si
chiude in un silenzio che trova parole solo nella scrittura. E con la sua
scrittura, raccolta in forma di diario,
tra i pensieri della sua vita, in un
salto continuo tra presente e passato, scopriamo la sua terribile storia.
L’uscita del secondo romanzo,
“Pozzoromolo”, può generare ansia
nello scrittore e aspettative deluse
nei lettori, soprattutto se il primo è
stato un successo (Acqua storta,
Meridiano Zero, 2008), ma L.R.
Carrino con questo libro, uscito nell’ottobre scorso, non delude e si
conferma scrittore di classe. Il suo
linguaggio è denso e avvolgente,
vera poesia travestita da prosa:
“questo pomeriggio mi ha fatto le
ore come asole dell’attesa”, “nel
buio incandescente che ci mangia la
vita a scintille, a piccoli sorsi di
fuoco, un fondo del mio corpo si
mette nel letto e cova l’ombra del
tuo profilo”, “certe volte, nel pomeriggio, la malinconia sotto la quercia, tutta quanta nel palmo della
mano, me la metto in tasca e mi
alzo”. Ed è con questo linguaggio
che Carrino ci racconta la storia di
Gioia, “l’amore dalle unghie laccate, i capelli biondi, l’ombretto verde, mentre la notte proietta luci bugiarde sulla parete” e ci accompagna in un viaggio della mente, nei
ricordi e nelle ossessioni che popolano l’anima della protagonista. Lei
non sa perché è rinchiusa nel’OPG
[Ospedale Psichiatrico Giudiziario],
non rammenta quali colpe ha commesso.
Raccontare il disagio non è facile.
Il disagio mentale abita stanze diverse e indossa abiti mai uguali. Lo
scrittore dovrebbe sempre parlare di
ciò che sa. Ma non è forse vero che
in ogni storia, in ogni storia “vera”
che racconti la vita, esistono i sentimenti? Ed è con i sentimenti che
Carrino ci affascina e ci tieni legati
alle sue parole.
Gioia ha sempre cercato l’amore,
iniziando dal suo difficile rapporto
con quella madre che usciva e non
le diceva quando tornava, da quella
madre che parlava di lei come di un
peso, ma era sempre presente nei
suoi pensieri e sbucava nelle foto
con le sue unghie viola. E poi il padre, e dopo di lui, ogni uomo che ha
conosciuto.
Gioia si sente “un’anima chiusa a
chiave nella mia cella”, e da lì, da
quella cella, inizia il suo cercarsi, il
suo volere capire perché si trova lì e
cosa ha fatto.
Ma cosa ha fatto veramente Gioia, se non cercare di farsi amare? E
gli altri cosa le hanno fatto?
Dai ricordi, che emergono in forma di frammenti incontrollati e
spesso contraddittori, esce la storia
di una vita che è stata ostile e mal20 Dicembre 2009
Luigi Romolo Carrino
Dai ricordi, che emergono in forma di frammenti
incontrollati e spesso contraddittori, esce la storia
di una vita che è stata ostile e malvagia
vagia nei suoi confronti, e che, nonostante questo, non riesce a demolire la sua estrema purezza, fino a
farle dire: “Io non so perché sono
qui, io non ne sento la ragione”.
È in un luogo che sente estraneo,
tra gente con cui non vuole parlare.
Riesce a sentirsi bene solo quando
si trova nel parco che è all’interno
dell’OPG: “Il parco è un luogo che
mi appartiene, al quale sento di appartenere”. Ed è nel parco che Gio-
ia trova la grande “mamma quercia”
dove si reca per trovare sollievo dai
troppi pensieri che la divorano,
quelle “vespe” che le pungono lo
stomaco e che “finiranno per fare
un nido nella mia pancia”.
Un personaggio molto complesso,
questo di Gioia, anche se di sé afferma: “Non sono così complicata. Io
sono semplice, tanto semplice da
sembrare una tragedia del poco.”,
ma anche un personaggio struggente
che scrive, mostrando il conflitto
che le cambia e le tormenta il corpo
rendendolo “doppio” e diviso dalla
sua stessa carne: “Non è ancora
giorno, mi viene una paura che quasi mi voglio bene da solo”.
Un personaggio che Carrino ha
raccontato in modo così coinvolgente e che consegna ai suoi lettori come un regalo prezioso. Se Gioia non
è stata amata finora, da questo momento sarà amata da ogni lettore
che si addentrerà nella sua anima.
L.R. Carrino
Pozzoromolo
Meridiano zero, 2009
pp.288, 15,00 euro
Ad Acicatena la mostra fotografica di Giuseppe Fichera
I luoghi dell’anima nei paesaggi siciliani
di GIORGIO TANI*
Nel salone Francesco Strano del Palazzo Comunale di Acicatena si è tenuta la mostra fotografica personale di Giuseppe Fichera, presidente del Gruppo Fotografico Le Gru di
Valverde, dal titolo "Paesaggi Siciliani". Con
la mostra dell'artista catenoto, ha preso il via
la quinta edizione della manifestazione culturale "Figli dell'Etna" organizzata dall'Associazione Culturale Futurinsieme di Acicatena,
nata nel 2004 con lo scopo di promuovere attività che favoriscono l'aggregazione, con finalità culturali e di solidarietà.
O
gni luogo ha un’anima. È questo un concetto antico, mitologico, vivo al tempo
della Grecia di Omero e della Magna
Grecia della quale la Sicilia è stata componente
essenziale. In ogni fiume, in ogni montagna era
impersonata una deità minore per spiegarne il
mistero.
Da due millenni una luce diversa e più vivida
ha illuminato il mondo, ma ancora quel concetto
tra la realtà e la trascendenza è connaturato alle
visioni dell’uomo. “Paesaggi Siciliani” è un titolo molto ampio, ma anche idoneo a significare,
nello svolgimento di tre linee tematiche, i papaveri, i paesaggi, l’Etna autunnale, quanto siano
infiniti i soggetti e le sensazioni che il fotografo
può interpretare e riflettere nelle sue immagini.
Giuseppe Fichera vede nella sua Sicilia qualcosa
di palese e, allo stesso tempo, di nascosto, Vede,
ed è questa la chiave di lettura, che ogni luogo,
ogni spazio che può essere circoscritto in una inquadratura ha una sua voce interiore.
Qualcuno ha scritto che vedere e sentire sono
la stessa cosa.
Conoscendo Giuseppe credo che il suo modo
di essere fotografo sia proprio questo. Il suo
sguardo è efficace perché penetra oltre la superficie, dentro, come per individuarne la magia nascosta. Ed infatti i suoi papaveri sono entità
astratte, macchie di colore rosso, vive e determinanti nel contesto della natura, eppure allo stesso
tempo illusione. La fotografia è illusione? Certamente lo è, ma è anche un riflesso dell’evidenza,
di ciò che è vero ed indeterminabile allo stesso
tempo, come il paesaggio, come l’orizzonte che
variano con la luce e il punto di osservazione. È
l’attimo irripetibile.
Le immagini paesaggistiche che vediamo, tengono conto del lavoro dell’uomo e della variabilità della natura. Campi coltivati, declivi collinosi, geometrie di linee parallele o convergenti sono il segno di una civiltà contadina che ha in Sicilia origini ancestrali.
Paesaggi bruciati, sofferti, nudi e macchiati di
calore raffreddato, fanno strada alla sequenza
che racconta l’Etna, la sua anima viva che a volte è puro spettacolo di bellezza, altre è esplosione di forza immane e inarrestabile. Piccoli sono
gli uomini di fronte ai suoi bagliori ed ai fiumi
incandescenti che lo solcano.
La fotografia di Fichera indaga l’identità dei
luoghi sentendone, quella che in inizio ho chiamato anima. Quando si visita una mostra fotografica non è il singolo contenuto delle immagini
che fa breccia nella sensibilità di chi osserva, ma
è la lettura del loro susseguirsi che porta all’interpretazione dell’opera nel suo insieme. Quando
si guarda una persona negli occhi è come vederla
dentro, ne sfuochiamo i segni esteriori e “sentiamo” la sua essenza. Così “Paesaggi Siciliani” diviene un racconto visivo che attraverso la poetica del fotografo ci introduce nel messaggio sublimale che questa terra emana.
* Presidente On FIAF
La Voce dell’Isola n. 23-24
Cultura 21
“Il diadema di pietra”, ultimo romanzo di Roberto Mistretta
Il maresciallo Bonanno
appassiona i tedeschi
di SALVO ZAPPULLA
C
on il romanzo “Il diadema di pietra”
Roberto Mistretta continua la fortunata serie del maresciallo Bonanno che
tanto sta appassionando i lettori tedeschi e si
avvia a ottenere lo stesso successo anche in
Italia. Bonanno è personaggio sanguigno,
vulcanico, fondamentalmente buono di carattere, detesta le soverchierie e non sopporta
regole e gerarchie. Per questo piace. E se –
come in questo caso - riesce pure a innamorarsi diventa persino vulnerabile.
Ristretta, come sempre, riesce a far vibrare
le corde dell'animo umano, ci sbatte sul muso meschinità terrene oltre ogni immaginazione. E così due storie apparentemente lontane tra loro procedono parallele per chiudersi a incastro nel finale. Le piccole beghe di
corna in un paese dell'entroterra siculo, assunte a dramma a causa dell'assassinio dei
due amanti. Quale mano ha premuto il grilletto? Un ladro? Uno dei coniugi traditi? A
Bonanno spetta sbrogliare la matassa.
E le vicissitudini di un ragazzino albanese
costretto in fretta e furia a diventare adulto
per colpa di belve senza scrupoli che stuprano, saccheggiano, uccidono senza mai volgere lo sguardo al cielo. Uomo mangia uomo.
Mishna ha un paio di stivali da recuperare e
deve portare a compimento la propria missione. Ne va del suo onore.
Ma l'innocenza non potrà mai più recuperarla. Come lui tanti altri bambini nel Kossovo. Bonanno ha la sua giustizia da salvaguar-
Le piccole beghe
di corna in un paese
dell'entroterra siculo,
assunte a dramma
a causa dell'assassinio
di due amanti
dare e, quando c'è di mezzo il sangue versato
di persone innocenti, non si arresterebbe neanche di fronte ai carri armati.
Parte in quarta come un bufalo infuriato e
se ne strafotte della deontologia professionale. A costo di rimetterci la carriera o di scontrarsi con un capitano presuntuoso. A costo
di rinunciare ai suoi cannoli con la ricotta. È
propria questa la sua forza: la semplicità,
l'autenticità, i suoi sbalzi di umore, le debolezze, i momenti di depressione che invogliano il lettore a parteggiare per lui.
Un eroe – antieroe che conquista e ne fanno uno dei marescialli più amati della letteratura noir contemporanea.
Il diadema di Pietra
Cairo editore
pagg. 314, €16,00
Per tutti i bambini del mondo
A Siracusa la mostra
della “speranza”
di GESSICA FAILLA
“
C
i auguriamo che i sorrisi di questi
bambini diventino diritti che in molti
paesi non sono affermati”: con queste parole Sara Vinciullo, baby sindaco del
Comune di Siracusa, ha aperto in via Brenta nella galleria d’arte contemporanea della
Provincia regionale di Siracusa la mostra
“Io Spero”, realizzata grazie al progetto
editoriale del gruppo “Sorrisi di regime”
(Orazio Mezzio, Gessica Failla, Pia Parlato,
Vincenzo Mosca) e promossa dalla Presidenza del consiglio provinciale di Siracusa
in collaborazione col Rotary Club Siracusa
Monti Climiti e il comitato Unicef di Siracusa.
Venti pannelli che ritraggono bambini da
ogni parte del mondo (Kenya, Indocina,
Madagascar, Brasile, Perù, Marocco, Afganistan, India, Nepal) immortalati dagli
sguardi occidentali di fotografi non professionisti (Francesca Attardo, Alessandro
Botta, Gessica Failla, Fabio Giuliano, Ronald Kothi, Vincenzo Rio)recatisi nei paesi
in via di sviluppo e attratti dalle “diversità”
e, spesso, dalle similitudini, incontrate nel
loro cammino. L’iniziativa celebra i vent’anni della convenzione sui diritti dell’infanzia firmata a New York il 20 novembre
del 1989.
Accanto al baby sindaco del Comune di
Siracusa, insieme alla preside Carmela Pace, tutta la baby giunta e gli amministratori
neo eletti. “La mostra - ha espresso Pia Parlato – è la prima parte di un progetto più
ampio che mira a unire i continenti a partire
dalla speranza che si coglie nel viso di ogni
La Voce dell’Isola n. 23-24
Un momento della mostra
bambino, affinché ogni sorriso abbia le
stesse opportunità di crescita”. Ha poi sottolineato come la scelta delle foto, selezionate tra centinaia, abbia premiato l’espressione dei bambini e i significati trasmessi
attraverso le immagini, allestite in modo tale da permettere a chi le fruisce di attraversare immaginariamente la terra dal Perù
all’Indocina, da Occidente a Oriente. “Ringrazio lo spirito di solidarietà che ha caratterizzato l’apporto di tutti coloro che hanno
permesso di dar vita a questa splendida iniziativa – ha detto il presidente del consiglio
provinciale, Michele Mangiafico - che ci ricorda quanti diritti dei più piccoli siano ancora lontani dall’essere rispettati in questo
mondo”.
La mostra rimarrà aperta fino al 6 gennaio e potrà essere visitata tutti i giorni dal lunedì al sabato dalle 8 alle 13 e dalle 16 alle
20.
Roberto Mistretta
Un libro per ragazzi scritto dal giovanissimo Ninni Tralongo
Thomas Toppet, Tony Topolongo
e la fantastica Booker
I
libri salveranno il mondo dall'appiattimento e dal degrado, ecco il messaggio che il giovanissimo Ninni Tralongo (18 anni appena) vuole lanciare dalle
pagine di questo brioso libro per ragazzi
“Thomas Toppet, Tony Topolongo e la
fantastica Booker”.
Ninni frequenta l' ultimo anno del Liceo Classico “T. Gargallo” di Siracusa,
forse non è a conoscenza delle regole didattico- morali che a volte possono vincolare le libera creatività quando si scrive
letteratura per ragazzi, ma ci sono scrittori -come nel suo caso- che possiedono un
naturale istinto per il gusto del Bello, dell'avventura narrativa non priva di incoscienza, in definitiva della saggezza letteraria propria dei veri talenti.
Ci sono tutti i requisiti per accattivarsi
le simpatie del lettore in questo volumetto: ritmo, azione, fantasia, avventura, plot
da consumato autore che non conosce
pause e cedimenti. Accorgimenti che
Ninni Tralongo adopera con la malizia di
un veterano della scrittura, senza perdere
mai di vista entusiasmo e freschezza.
E infine emerge la magia, il sogno, il
mondo misterioso abitato da creature partorite dalle menti eccentriche, che intraprendono la loro sfida, si rincorrono, lottano per il
loro obiettivo, cadono e si rialzano, sempre
con levità e delicata ironia, come in tutte le
storie fantastiche che si rispettino. Riusciranno i nostri eroi- Toppet, Thomas, Tomix, Topovic, Trofus- a portare le giovani generazioni
lontano dai videogiochi, la televisione becera,
i video- games e tutti quei giochini elettronici
infernali che ottenebrano la loro mente? Riusciranno a condurli alla lettura di buoni libri?
Godetevi le pagine di questo gustosissimo testo
fino all'ultima per saperlo.
SAL. ZAP.
Ninni Tralongo (nella foto)
Thomas Toppet
Tony Topolongo e la fantastica Booker
Sampognaro&Pupi
pagg. 87, € 10,00
20 Dicembre 2009
22 Cultura
Interessante debutto di Michelle Moran con “La regina dell’eternità. Il romanzo di Nefertiti”
Potere e amori proibiti,
3.000 anni fa come oggi
di RITA CHARBONNIER
L
a regina dell’eternità. Il romanzo di Nefertiti, debutto
letterario della giovane scrittrice americana Michelle Moran, è
un successo internazionale. Uscito
negli USA nel 2007 e in Italia la
scorsa estate è stato pubblicato in
diverse altre lingue, tra le quali
spagnolo, francese, portoghese,
cinese. Incentrato sulla misteriosa
figura della regina Nefertiti, vissuta
tra il 1370 e il 1330 a.C., il romanzo
ricostruisce l’antico Egitto all’epoca
della XVIII dinastia. Si tratta di uno
dei periodi più intensi e complessi
della storia egiziana: il faraone
Akhenaton, marito di Nefertiti, fu
fautore di una riforma religiosa che
introdusse il monoteismo, incentrato
sul culto di Aton, una divinità solare. La riforma produsse grandi tensioni, poiché in Egitto la casta sacerdotale era la più potente e deteneva anche il potere politico. Nel
romanzo Nefertiti è ossessionata dal
voler dare alla luce un erede maschio al trono e assicurare così alla
propria famiglia una continuità nella
linea di sangue reale. Partorirà invece sei femmine e dovrà subire il fatto che l’erede sarà messo al mondo
da una concubina di Akhenaton: il
futuro sovrano Tutankhamon.
Michelle Moran vive in California. Prima di diventare una scrittrice
a tempo pieno è stata insegnante e
ha lavorato come archeologa volontaria in diversi Paesi, e da questa esperienza ha tratto l’ispirazione e la
motivazione necessarie a scrivere
romanzi storici. Dall’intervista che
le abbiamo fatto emerge una personalità intensa, solare e priva di mistificazioni: la personalità di una vincente.
Michelle, perché hai deciso di
raccontare la storia di una regina
egiziana vissuta più di 3.000 anni
fa?
La mia storia d’amore con l’antico Egitto è iniziata nell’estate del
1998, quando lavoravo in uno scavo
archeologico in Israele. La mia
squadra ritrovò casualmente uno
scarabeo sacro, che testimoniava
che gli egiziani si spinsero a nord,
forse per vendere abiti, incenso, o
l’oro di Nubia. Nell’osservare il
misterioso oggetto, sporco di terra,
che nessuno aveva toccato per
chissà quanti anni, ho avvertito un
interesse intenso e immediato. Non
molto tempo dopo mi sono ritrovata
a vagare per musei ed esposizioni
sull’antico Egitto a Los Angeles,
Londra e infine a Berlino, dove è
esposto il meraviglioso busto di Nefertiti: una delle donne più affascinanti e potenti dell’antichità. Anche
tremila anni dopo, quel busto suscita in chi lo osserva lo stesso timore
reverenziale che devono aver provato i cittadini di Amarna, nel posare
lo sguardo sulla regina.
Mi sono chiesta chi fosse stata
Nefertiti, quale fosse stata la sua
storia. Ho iniziato a svolgere
ricerche su di lei e sono rimasta stupefatta nel constatare che le sono
stati dedicati diversi testi scientifici
e siti Internet, ma che non esisteva
una sola opera di finzione dedicata
esclusivamente al suo regno, uno
dei più enigmatici della storia.
Spinta dal desiderio di scoprire
questa vicenda mai raccontata, due
20 Dicembre 2009
Michelle Moran
anni dopo ho visitato l’Egitto, raccogliendo testi e annotando impressioni. Quando tornai in America, infine, iniziai a svolgere una ricerca
più approfondita, studiando in diverse biblioteche e intervistando
varie personalità del mondo archeologico.
Quanto c’è di storicamente accertato e quanto di inventato, nel
tuo romanzo?
giungere alla versione definitiva che
è stata pubblicata. Generalmente si
pensa che un libro possa uscire
pochi mesi dopo che l’autore ha firmato il contratto con l’editore. Magari fosse così! In realtà, perlomeno
in America, il processo sembra
praticamente infinito. Il volume arriva in libreria in media un anno e
mezzo dopo la firma, o nove mesi se
l’autore è fortunato.
sviluppo, perché sei tu a creare le
scene.
Hai qualche consiglio da dare a
chi desidera vedere pubblicato un
proprio romanzo?
Uno solo: non smettere mai di
scrivere. Se in un qualunque momento io mi fossi fermata e avessi
detto a me stessa, che so, l’undicesimo libro che scrivo senza vederlo
pubblicato sarà l’ultimo, poi rinuncio… non sarei arrivata alla pubblicazione.
So bene che gli aspiranti scrittori
non amano sentirsi dire queste cose.
In passato, quando cercavo consigli
su Internet o su qualche manuale, se
avessi letto qualcosa del genere
avrei pensato: oh, è geniale, grazie
tante, non ci avevo proprio pensato!
Ma la dura verità è che non c’è modo di entrare nel mondo letterario
Il romanzo ricostruisce l’antico Egitto all’epoca della XVIII
dinastia. Si tratta di uno dei periodi più intensi e complessi
della storia egiziana: il faraone Akhenaton, marito di Nefertiti,
fu fautore di una riforma religiosa che introdusse il monoteismo,
incentrato sul culto di Aton, una divinità solare
I principali eventi noti sono riportati con scrupolosa accuratezza
storica, mentre mi sono concessa alcune libertà con personalità di minore importanza o su questioni
dall’interpretazione controversa. Ad
esempio, Nefertiti ebbe sei figlie con
il marito Akhenaton, ma per quanto
ne sappiamo non diede alla luce
delle gemelle, come invece io racconto nel romanzo.
Lo stesso fatto che Nefertiti abbia
regnato in proprio dopo la morte
del marito, che sia stata una donnafaraone, come io sostengo nel romanzo, non è accettato da tutti gli
studiosi. In casi come questi, dopo
aver analizzato le testimonianze
storiche e le diverse tesi, ho scelto
la strada che mi è sembrata più
plausibile.
Quanto tempo hai impiegato a
scrivere La regina dell’eternità?
Più di due anni, poi un altro anno
per la revisione e un quarto per
Hai sempre desiderato essere
una scrittrice?
Sì. Alcuni autori ci arrivano per
caso, altri molto dopo aver terminato gli studi o dopo aver svolto un altro lavoro. Io invece non ho mai
avuto dubbi su quale sarebbe stata
la mia carriera e credo che anche i
miei insegnanti di scuola ne fossero
convinti. Ricordo di essere stata severamente ripresa perché in classe
mi astraevo ed ero mentalmente assente.
Quando scrivo, la scena scorre
nella mia mente come un film, nel
quale la regista sono io. Riesco a
udire il dialogo tra i personaggi,
poi li prego di fermarsi, ricominciare, dire le stesse cose con altre parole, o assumere un atteggiamento
diverso. È chiaro che quando sei a
scuola questo può rappresentare un
problema, perché invece di imparare l’algebra guardi un film; ma è un
film che ha possibilità infinite di
se non avendo scritto un buon libro.
I buoni libri vengono acquistati dagli editori. E se il tuo libro non viene acquistato, scrivine un altro e riprova; e forse quando ti sarà andata bene potrai rielaborare i tuoi lavori precedenti e vederli finalmente
pubblicati, et voilà! I tuoi sforzi
passati non saranno stati inutili.
Oppure, al contrario, quando li rileggerai penserai: accidenti, avevano ragione a rifiutarli… oggi scrivo
molto meglio di così. (Anche la mia
scrittura è migliorata, nel tempo). E
allora nasconderai quei tuoi primi
undici libri in un cassetto, o in una
cartella del tuo computer ben protetta da password, così nessuno potrà mai trovarli.
Michelle Moran
“La regina dell’eternità.
Il romanzo di Nefertiti”
Newton Compton Editori
423 pag, € 14,90
I “fimmini”
di Pietrangelo
Buttafuoco
di ANNA PAPALIA
E
cco Pietrangelo Buttafuoco, giornalista, scrittore.
Un uomo fine, intelligente,
cordiale, pieno di verve, dalla parola facile, ma soprattutto, un uomo ragazzo che ha saputo chiudere dentro di se tutti quei valori
che, noi di una certa età, pensiamo siano stati dimenticati, soprattutto dai giovani. Un reazionario, si definisce lui, io direi una
grande guida per il mondo di oggi, pieno di tanti sofismi. Recentemente ha presentato il suo libro
“Fimmini” presso l’Aula “Santo
Mazzarino”del Monastero dei
Benedettini. È stato ascoltato da
tutti con grande entusiasmo e
consenso.
L’idea di questo romanzo, dice
Buttafuoco, è nata per caso, in
quanto l’autore si trovava in un
bar e vide salire, nella famosa
scalinata di Piazza di Spagna,
due belle donne: Carla Bruni e
Letitia Ortiz. Il suo primo istinto
da uomo del Sud fu quello di
esclamare: “mizzica che fimmini”! Però capì subito che questo
sarebbe stato un titolo un po’ malizioso, e così venne fuori “fimmini”.
Era giusto perseguire la strada
della bellezza, in quanto lo stile,
la poesia dell’immagine, sono
quelle doti che danno il senso del
compiuto. Così l’autore capì che
la vera forza del nostro mondo è
la donna, la fatica della donna, la
famiglia della donna, la dimenticanza della donna. Ma anche di
“fimmini” che mettono l’uomo in
tasca con un niente, perché un
niente è l’uomo davanti al fruscio
di una loro gonna.
È un libro affascinante, a tratti
quasi un romanzo d’amore, a
tratti saggio, a tratti diventa tuffo
nella storia di passioni lontane
nel tempo. Il titolo in lingua madre, la lingua del cuore, da solo,
dice tanto. La lingua siciliana in
una parola esprime un pensiero.
Buttafuoco in questo libro canta da buon cantore catanese, con
tanta grazia e con velata ironia,
un omaggio alle donne, anzi, alle
“fimmine”, sempre protagoniste
nel bene e nel male. La “fimmina” ha il dolce compito di captare
l’uomo, perché per legge di natura deve continuare la specie. Oggi con le pari opportunità, nessuno osa parlare di colpo di fulmine, di desiderio, a meno che non
faccia “radical chic”. Quanta ipocrisia! La vera “fimmina” quella
che nella sostanza non se n’è andata, sfugge alla parodia, affronta
i segni del tempo, senza i miracoli della chirurgia e, sempre più
“fimmina”, è il terremoto oggettivo, che si fa unico motore immobile della vita. L’uomo e la donna
non potranno mai essere uguali,
sia benedetta questa disparità!
Nelle pari opportunità c’erano
due strade: parità ed uguaglianza.
Ne abbiamo indovinata una e
sbagliata l’altra. Indovinato il
senso della parità ma sbagliato il
senso dell’uguaglianza. Quella
uguaglianza che non va, non solo
tra uomo e donna, ma tra padre e
figlio, tra maestro e discepolo, tra
generale e soldato.
Quello che è venuto meno è
l’istinto di volere organizzare tutto secondo un’idea organica, secondo quello che la natura ci impone. Ed è per questo che oggi,
terre remote, molto più semplici,
libere nei loro sentimenti, si preparano a scalzare mondi carichi
di storia.
Insomma, Buttafuoco, con le
sue grandi qualità di istrionico affabulatore, con i suoi spunti di riflessione, fa incrinare presenti
certezze.
La secolarizzazione dell’Occidente, ha prodotto un allontanamento delle nostre radici.
La Voce dell’Isola n. 23-24
Cultura 23
Il retaggio di una vita autentica e sensibile nell’opera di Lucia Arsì
L’anima del mito greco attraverso
l’introspezione dalla leggenda
di ANDREA ISAIA
È
già giunto alla sua seconda edizione
in meno di un mese il nuovo, appassionante e originale libro di Lucia Arsì, pubblicato dalla casa editrice Sampognaro&Pupi: a metà strada tra un romanzo e un
saggio L’anima del mito greco, è un piacevole e colto ricettacolo di storie narrate con
sapiente e ricercata maestria che vede nelle
sempre coerenti analogie con l’intramontabile mito greco il suo punto di forza.
Nell’opera dell’Arsì il mito greco abbandona la fine arte poetica fine a stessa e si dissocia dalle rivisitazioni che di esso ne ha fatto la
moderna psicoanalisi, abbracciando, invece, e
facendo sue, le inquietudini dei mitici personaggi della tragedia greca. Inquietudine che
diventa elemento catartico per la nostra quotidiana e problematica esistenza. L’anima del
mito greco rappresenta un’immersione nel mito e un’introspezione tramite la leggenda, affrontata però da un punto di vista assolutamente nuovo e inaspettato.
La Arsì affronta con la sua prosa sempre
scattante i più celebri miti greci. Da Medea alla siracusana Aretusa, da Afrodite, simbolo
dell’amore, della bellezza e della sensualità, a
Tiresia, lo sbarbato e svagato cacciatore, che
Atena rese cieco e a cui donò il potere della
profezia.
Una narrazione piacevole e incessante, ricca
di immagini bucoliche appartenenti a una vita
passata e oramai perduta. Una vita serena, pulita, reale, pura, avulsa dalla superficialità e
dalla artificiosità della contemporaneità. Una
lettura nella quale si avverte il retaggio di una
vita autentica e sensibile che, come mette
amaramente in evidenza l’autrice, è sempre
più un pallido ricordo.
Emerge, nelle pagine dell’Arsì, da decenni
ormai nel ruolo di docente, un accorato appello ai giovani, distratti dall’effimero e incapaci
di vedere le piccole cose, di osservare i particolari e che hanno disimparato ad ascoltare la
voce e il respiro della loro stessa anima.
L’anima del mito greco è una vibrante e
poetica rivisitazione del mito. Le fantasiose e
pertinenti analogie con le reali e mai banali
storie di vita quotidiana, di una modernità
smemorata che si sorprende a riflettersi nella
leggenda, non deludono il lettore che come
per incanto viene proiettato nel passato e poi
nuovamente nel moderno con agili e subitanei
cambi di fronte.
Un libro che non tralascia di indagare i sentimenti umani più nobili ma anche quelli più
truci. Come nel mito greco, l’amore moderno
diventa odio, diventa tragedia al contatto con
l’uomo che come sempre, ancora una volta, risulta inetto al cospetto dell’amore.
L’uomo visto dall’Arsì condivide molto con
l’uomo di Svevo e con quello di Capuana,
inetto alla vita, ai sentimenti, vacuo e inconsapevolmente crudele.
La donna, invece, è amore, e deve all’uomo
la consapevolezza, benché irraggiungibile,
dell’esistenza di questo straordinario sentimento. L’uomo percepisce l’amore ma non
può farlo suo, perché attanagliato dalla razionalità, dalla psiche, dalla morte, e per questo
è, ancora una volta, inadeguato.
Ma la morte ha un nemico ed è il ricordo, la
memoria. Nell’autunno che precede l’inverno
della morte, nel delirio degli ultimi istanti, la
mente ritorna fanciulla al seno materno.
I temi esistenziali della vita, della morte,
dell’amore, dell’eternità, dell’anima e del tempo trovano la via ora della poesia, ora della logica, ora della metafisica, ma in ogni caso ciò
che resta è una profonda riflessione, suscitata
da una vivace, spedita ed eloquente successioni di immagini.
Nulla è complicato nella prosa dell’Arsì. La
narrazione procede in maniera colloquiale e il
lettore viene coinvolto nei suoi intimi e lontani ricordi. Non mancano poi i curiosi e originali collegamenti tra il mito greco e il culto
La Voce dell’Isola n. 23-24
Lucia Arsi
cristiano. Quale analogia può mai unire Santa
Lucia al mito di Tiresia?
Una lettura per tutti i gusti su cui aleggia a
più riprese un sensuale e delicato erotismo.
Una lettura scattante e contaminante che
non può mancare dalle nostre librerie.
Un accorato appello ai giovani, distratti dall’effimero
e incapaci di vedere le piccole cose, di osservare
i particolari e che hanno disimparato ad ascoltare
la voce e il respiro della loro stessa anima
Instancabile animatrice del museo etnoantropologico di Floridia
Cetty Bruno manager al servizio della cultura
di SALVO ZAPPULLA
C
etty Bruno non è una donna di cui si
può dire che ami l'ozio, le sue molteplici attività ne hanno fatto un riferimento, un punto cardine per chi voglia promuovere attività culturali di qualità nel siracusano e oltre. Nata a Solarino nel 1961, vive
a Floridia dove coadiuva il padre Nunzio nella valorizzazione del museo etnoantropologico. Dopo le prime esperienze di natura organizzativa all'interno di una radio libera e la
fondazione nel 1986 della prima associazione
femminile con sede fissa, Cetty compie i primi passi in seno ai movimenti politici locali
degli anni 80 e volge i suoi interessi alla comunicazione sociale e alla promozione culturale.
Nel 1988 fonda il Centro artistico “Les Volants”, dando vita nella provincia aretusea a
una intensa stagione di attività: concerti, mostre d'arte, stagioni teatrali, presentazioni di
opere letterarie, circondandosi di collaboratori e referenti di altissimo livello. Nell'aprile
del 2001 viene nominata presidente dell'associazione Nazionale Donne Italiane (ANDIT),
sede di Floridia, che comporta un grande impegno in campo sociale, e fonda la rivista
“Le Floridiane”, un trimestrale di cultura, attività e realtà femminili, a colori con tiratura
di 1500 copie.
Nel novembre dello stesso anno è ideatrice
e direttore artistico della manifestazione “Imprendigiovani” svolta a Palazzolo Acreide e
organizzata con la collaborazione della Soc.
Coop. Anapos. Nel gennaio 2002, viene nominata vice-presidente regionale dell'Andit e
nell'ottobre dello stesso anno fonda “La Sici-
Cetty Bruno
lia è donna” associazione di promozione culturale e turistica. Ma intuendo quale immenso patrimonio artistico e storico costituisca il
Museo fondato dal padre Nunzio,
Cetty inizia a occuparsi di gestione di beni
culturali e consegue il titolo di esperto in gestione delle reti museali, frequenta stage formativi specialistici fino a diventare una vera
esperta in materia, con lo scopo di valorizzare e rendere fruibile la raccolta di reperti etnoantropologici realizzata nel corso di decenni di appassionante lavoro dal padre Nunzio.
La collezione, che costituisce il museo, nasce negli anni 60, e documenta la vita pastorizia, contadina e artigiana del nostro tempo
passato. È stato istituito a Floridia dalla Provincia Regionale di Siracusa e dal Comune di
Floridia. Viene inaugurato nel maggio 2004
nelle sale del vecchio carcere borbonico, in
Piazza Umberto I.
Voluto fortissimamente dal maestro Nunzio
Bruno, discepolo di Antonino Uccello, che
incessantemente ha svolto un lavoro di recupero e salvaguardia del materiale che attiene
alle nostre tradizioni. Cetty Bruno ne ha assunto la direzione con sistemi innovativi e
manageriali, offrendo degli itinerari insoliti
ed alternativi, puntando su un lavoro d'equipe, in collaborazione con altri musei della
provincia di Siracusa e Ragusa.
20 Dicembre 2009
24 Cultura
Sana concorrenza tra professionisti, chiave di lettura del futuro che verrà
Non confondere
la modestia
con l’umiltà
Giornalismo oggi e domani: M
deontologia nell’impresa
di AZZURRA FAETI
rati giornalisti tout court! E, vivaddio, non potrebbe essere altrimenti!
Infatti, verranno subito
a cadere gli alibi di
quanti
hanno
sempre usato le
manchevolezze
editoriali o le
manchevolezze
degli enti deputati al controllo
delle cose della
professione, per giustificare la propria incapacità di base; l’imperdonabile leggerezza di avere scambiato un mestiere che è anche una missione per una possibilità facile di tirare a campare. Sempre
me-
di RINA BRUNDU
L
eggo che negli Stati Uniti
d'America la deontologia
giornalistica, ovvero l’insieme delle norme comportamentali, il
codice etico proprio della professione, richiede un test di coerenza interna della notizia ed
almeno una sua controprova da fonte diversa prima che dalla
stessa si proceda a trarne conclusioni accettabili e dunque pubblicabili. A questo severo
processo di controllo
sembrerebbe non siano
sfuggiti neppure gli articoli scritti da Bob
Woodward e Carl Bernstein sul celeberrimo
scandalo Watergate.
Nutro dubbi sul fatto
che questo condivisibile modus operandi venga sempre applicato con
pedissequa determinazione nella terra dello zio Sam, ma l’evidenza di
questi tempi mi porta a concludere
che di una tale illuminata prassi procedurale non esista traccia in Italia.
Scopo di questo articolo non è comunque quello di tirare nuovamente
in ballo le note magagne del giornalismo italiano. Il target sarebbe piuttosto quello di tentare di identificare
un possibile futuro della professione, anche alla luce delle molte possibilità offerte dalle nuove tecnologie e dunque di capire quali strumenti possano aiutare nel tentativo
di costruire questo futuro possibile.
La mia tesi di fondo è che il domani del giornalismo, e dunque di
ogni giornalista del domani, sarà di
molto legato alla sua capacità imprenditoriale. Ne deriva che, in quel
tempo-che-verrà, la deontologia di
riferimento non sarà solo quella storicamente applicabile al mestiere,
ma dovrà gioco forza guardare ad
una più generale etica imprenditoriale che, a sua volta, potrà diventare pedina rilevante nel modellarne il
cammino.
Un primo importante vantaggio
nell’avere una figura di giornalistaimprenditore sarebbe infatti quello
di una maggiore “responsabilizzazione alla fonte”, quando la “fonte”
è il professionista stesso. I benefici
di una simile situazione non sarebbero pochi. Da un lato, ci sarebbe
certezza di una serietà di metodo e
di indagine che renderebbe pure meno pregnante la necessità della con-
20 Dicembre 2009
troprova di cui
si è già detto, dall’altro
verrebbe ridotta in maniera sensibile la “responsabilità” editoriale e
dunque la capacità dell’editore di
“pilotare” l’attività del giornalista.
Inoltre, dato che ogni buona avventura imprenditoriale riesce a sopravvivere, nel tempo, solamente
quando all’ottenimento di un risultato corrisponde anche una indiscussa competenza di fondo, nonché una
virtuosa gestione degli affari, l’av-
i l
talento
del mestierante in
questione
a
creare un bacino
d’utenza da portare in
Ogni nuova avventura editoriale
riuscirà a sopravvivere solo se
si accompagnerà a un’indiscussa
competenza di fondo e una virtuosa
gestione degli affari.
L’avvento del giornalista-imprenditore
darebbe garanzia di professionalista
soprattutto ai lettori
vento della figura del giornalistaimprenditore darebbe garanzia di
professionalità prima di tutto al lettore. Questo perché, come in ogni
business che si rispetti, sarà proprio
dono ad un qualsiasi editore disponibile a pubblicare il lavoro svolto.
Né più né meno!
Conseguenza delle cose sarà che
il futuro giornalista potrà essere tale
solamente se l'occupazione che si é
scelto coinciderà con le necessità
delle passioni di una vita. Anzi, sarà
proprio quell'interesse alle fondamenta a permettergli di superare
qualsiasi ostacolo e a guadagnarsi il
rispetto sul campo. Da non dimenticare vi é che un simile professionista in realtà non sarà mai solo.
Lui/lei potrà sempre contare sull’aiuto di ogni strumento normalmente a disposizione di un buon gestore per fare crescere in maniera
sana la sua impresa.
Di fatto, la concorrenza impedirà
qualsiasi deriva perniciosa, mentre
la necessità di tenere legato a sé il
cliente-lettore sarà la potentissima
arma di auto-controllo di quella possibile deriva. Diventare buoni-ottimi
giornalisti sarà quindi condizione
imprescindibile per venire conside-
glio
che lavorare,
appunto!
Quando
visto da questo prospettiva, il giornalismo del futuro
potrà contare dunque
su una task-force di professionisti assolutamente
affidabili, preparati, presenti
e determinati ad ottenere il miglior risultato con ogni mezzo lecito. Perché sarà pure la liceità del
mezzo usato a fare la differenza,
meglio ancora, la “liceità del mezzo” sarà davvero una conditio sine
qua non (del resto, non è proprio la
deontologia ad affermare che fini e
mezzi sono strettamente dipendenti
gli uni dagli altri, e dunque che un
fine giusto sarà il risultato dell'utilizzo di giusti mezzi?).
Non ci si dovrà stupire perciò se,
una sana concorrenza tra professionisti sarà la chiave di lettura del
giornalismo che verrà ed, in verità,
sarà la sola speranza di sopravvivenza del suo buon nome. Questo
perché, come in ogni avventura
umana o imprenditoriale che sia,
non mancheranno certamente le insidie e gli ostacoli da superare. Al
contrario, non meraviglierebbe se
gli stessi, nel futuro prossimo, si
presentassero moltiplicati rispetto
alle misere schermaglie del presente. Proprio per questo sarà dunque
necessario poter contare su professionisti capaci e deontologicamente
irreprensibili!
Non so quanto tempo dovrà trascorrere prima che questo prevedibile status quo-professionistico comincerà ad imporsi nella realtà dei
fatti, ma non ho dubbi che così sarà.
Sia perché alla realizzazione di un
simile - e altrimenti utopico - progetto darà una mano importante la
Rete, sia perché l’alternativa sarebbe data dall’azzeramento della dignità del singolo professionista a favore delle più oscure velleità di questo o quell’altro gruppo editoriale.
Dato che l’esperienza, anche di questi tempi, insegna che gli interessialtri tendono spesso ad essere più
forti ed impellenti della necessità
della bontà-della-notizia, inutile dire
che prima partirà questa rivoluzione
possibile, meglio sarà!
odestia: virtù che fa rifuggire dal riconoscimento o
dal vanto dei propri meriti
senza che questa condizione sia dettata da circostanze o motivi esteriori. È modesto chi non è ambizioso,
che è riservato, chi evita lo sfarzo.
C’è anche il falso modesto che desidera raccontare cose che gli fanno
onore e si giustifica premettendo
“modestia a parte”, o, “senza falsa
modestia”.
Non bisogna confondere la modestia con l’umiltà. Il modesto non fa
sfoggio delle proprie potenzialità.
L’umile, da humus (terra) quindi
propriamente basso, è conscio della
sua debolezza, riconosce e accetta
l’autorità altrui e si comporta con
rispettosa sottomissione.
Si definisce umile anche chi è di
grado poco elevato quanto a grado
sociale.
Di umili natali se di famiglia modesta va già un po’ meglio. Siamo
saliti di un gradino. Prima della II
guerra mondiale a Bologna c’erano
delle case popolari chiamate “case
degli umili”, erano assegnate a chi
possedeva il libretto di povertà.
Erano, indubbiamente inferiori, come qualità edilizia, alle altre, sempre popolari, abitate da operai e impiegati. La cosa straordinaria è che
le case degli umili non subirono
danni nemmeno con i bombardamenti. Sono state abbattute con le
ruspe!
Tempo addietro quando la modestia era ancora considerata una virtù
l’aggettivo modesto si incontrava
ogni tre righe di uno scritto.
«… Indossava un modesto vestitino di percolle a fiori. Il modesto
cappellino le conferiva un’aria dignitosa…» la ragazza modesta non
poteva mettersi in testa una bella
Pamela di paglia di Fircure perché
scontata non l’avrebbe potuta acquistare mai. Gli sconti stagionali
non c’erano. Lo sconto si otteneva
dopo trattative estenuanti, anche
perché da tempo a disposizione ce
ne era di più, e una volta ottenuto,
era anche cresciuta la fiducia e la
stima nel negoziante. Io indossai,
per anni un morbidissimo e caldo
cappotto grigio super scontato, ma
io, che avevo vent’anni, lo volevo
rosso magari anche più “modesto”.
Non ho mai letto di scarpe modeste, le scarpe dovevano essere robuste perché duravano una vita. Io,
che non ho tanta fantasia, continuo
a considerare modeste le scarpe di
tela dei ragazzi d’oggi anche se
constano 200 euro. Un paio di jeans
modesti non li indosserebbe nessuno, già si fa fatica ad accettarli non
firmati.
Una volta venivano molto sottolineate la modestia e l’onestà, si leggeva frequentemente … modesto
ma onesto come se il modesto dovesse essere per forza un malavitoso.
Che dire poi della modesta sepoltura, mi piacerebbe sapere se esiste
una sfarzosa sepoltura e se il defunto è più contento. Molti pensano
che la modestia sia una debolezza e
si stanno formando dei finti sicuri
di sé dominati dall’arroganza e dalla presunzione. Per fortuna ci sono
ancora persone che pur avendo
compiuti gesti eroici, o grandi sacrifici si comportano “modestamente”.
Nella mia esperienza di raccontatrice di fiabe nelle scuole, noto che
la modestia trova uno spazio “modesto” nell’immaginario infantile.
Si ricorda il protagonista quando diventa un eroe, quando compie gesti
eclatanti e se ne vanta.
I ragazzi apprezzano il carrierismo facile e ammirano che ha più
soldi. Ti guardano con un misto di
meraviglia e commiserazione se affermi che modesto non è colui che
non vale nulla ma è colui che pur
volendo evita enfasi e retorica per
non farsi notare.
La Voce dell’Isola n. 23-24
• 7 camere “Charme” nel corpo centrale & 5 “Mistral”
nella dependance, funzionali con le seguenti
caratteristiche e dotazioni:
Frigobar – Radiosveglia – TV – Asciugacapelli –
Telefono – Bagno con doccia – Presa Fax/ modem ISDN –
Riscaldamento ed aria condizionata – Cassetta di
sicurezza
• Due bar, uno nella hall ed uno nel ristorante – Sala TV –
Sala lettura - Accesso facilitato per disabili – Ascensore –
Parcheggio interno fruibile durante la stagione invernale
– Sala per riunioni e meeting da 90/100 posti dotata delle
più moderne attrezzature – Charter nautico e mini
crociere con barca a vela
• Servizio lavanderia - Parcheggio – Noleggio auto, moto,
barche – Escursioni guidate – Gite in barca – Servizio
transfert – Spiaggia privata
26 Cultura
Dal blasonato Barocco della ricostruzione al vivace Liberty dei viali del capoluogo
Gaetano D’Emilio racconta la vivacità
della dinamica comunità di Catania
di CORRADO RUBINO
L’autore che da molti anni ha vissuto la sua vita
cittadina in modo intenso e partecipativo,
sia come professionista sia come politico,
non decide di raccontare la sua città
senza prima aver superato i sentimenti
contrastanti che gli sono nati nell’animo
C
ertamente un uomo come Gaetano D’Emilio, che da molti
anni ha vissuto la sua vita cittadina in modo intenso e partecipativo, sia come professionista che come
politico, non decide di raccontare la
sua città senza prima aver superato i
sentimenti contrastanti che gli si sono
nati nell’animo. Scrivere qualcosa
che rimane a futura memoria è sempre emozionante. Ci si sente come all’inizio di un viaggio che si intraprende senza sapere bene dove ci porterà.
Ma, di contro, scrivere dopo una vita
passata “in trincea” è come tirare le
somme: un consuntivo insomma. E
quando si fanno consuntivi c’è il rischio di cadere nella melanconia, nel
dire il fatidico “ai miei tempi!”, come
se si fosse al capo linea della propria
esistenza. Errore che lo stimato ex
preside dell’Istituto Marconi non
compie proprio perché ha trascorso
gran parte della sua vita in mezzo ai
giovani e dai giovani ha assorbito la
vitalità e la voglia di affrontare il futuro.
Lo stesso D’Emilio scrive nella
prefazione del suo libro “Catania, dal
blasonato Barocco della ricostruzione al vivace Liberty dei viali, oggi
annodata va smagliata per ripartire”
edito da Edizioni Media snc Catania
di Mario Adorno, «Quando si è avuta
la fortuna di raggiungere un’età che
consente di guardare serenamente il
passato senza paura del futuro, si avverte la necessità di partecipare ad altri, prima che la memoria venga meno, avvenimenti vissuti o percepiti,
che aiutino a capire i luoghi, le persone e gli ambiti in cui si è stati parte
attiva.
Con la speranza di poter, in tal modo, contribuire a dare alla comunità,
attraverso l’esperienza maturata, ciò
che non si è riusciti, a suo tempo a
trasmettere, nonostante averlo desiderato.
Chi ha avuto la ventura, come chi
scrive, di venire a conoscenza di avvenimenti del XIX secolo, attraverso
i passaparola dei nonni, di avere vissuto intensamente il secolo successivo ed essersi affacciato nell’attuale, si
ritrova nell’opportunità di conoscere
avvenimenti contenuti in un arco
temporale di tre secoli, che aiutano
l’analisi della vivacità di una Comunità dinamica come quella della nostra Catania.
Se a questo si aggiunge il fatto di
essersi trovato, per lunghi anni, in osservatori privilegiati della vita della
Città e, per oltre tre decenni, in un
formativo contatto giornaliero con
migliaia di giovani, dai quali si riceve
più di quello che si dà, si giustifica il
desiderio di offrire alle nuove generazioni un contributo, attraverso il racconto di avvenimenti, quasi fossero
note di cronaca.
Apparentemente non meritevoli di
considerazione ed invece giudicati di
rilievo, grazie ad approfondimenti dei
rispettivi momenti storici in cui essi
sono avvenuti. Non solo per motivi
affettivi o nostalgici, in un’epoca in
cui la tecnologia con le sue accelerazioni accorcia tempi e distanze ed affievolisce sentimenti, ma per valutazioni obiettive che, col tempo, assumono rilevanza storica.
Al termine di ogni stagione avviene
la raccolta dei frutti, pochi o molti
che siano, poi la pianta si esaurisce
ma non muore, va in letargo per rinnovarsi, in una successiva stagione
con nuovi rami, foglie, frutti: un fenomeno di fotosintesi che si ripete infinitamente per perpetuare la vita terrena.»
A sinistra, sotto e nell’altra pagina
in basso: alcune delle vecchie foto
di Catania tratte dal libro
A destra: l’ing. Gaetano D’Emilio,
autore del libro con, alla sua
sinistra, Filippo Arriva, da sinistra
gli editori Adalgisa, Mario e Monica
Adorno
In basso a destra: il sindaco
di Catania Stancanelli col famoso
attore teatrale Gilberto Idonea
Un invito a ripensare una storia
che ci lasci in piedi: per decidere
di FILIPPO ARRIVA*
I
conti con la Storia di Catania li farete a ogni
passo, dopo aver percorso questo libro. Sorrisi, drammi e sospiri si sporgono da angoli e
strade, da vicoli e piazze. Li ritroverete nelle vostre passeggiate o nel traffico degli spostamenti
frettolosi di lavoro. La città vi affascinerà ancora. Di più. Con un linguaggio nuovo. Catania, la
città che parla.
Pagine in cui appare spesso silenziosa, seppur
portatrice di una passione che non esplode quasi
mai in urla mediterranee e si perde in sussurri
normanni, piacevolezze arabe, dolcezze etnee.
Le pagine trascrivono caratteri e umori, si soffermano su occasione mancate, ma ripetono l’invito ad andare avanti in una sana, continua, ricostruzione. Uomini e palazzi, umanità e strade.
Nel racconto di Gaetano D’Emilio spicca una
assenza di rassegnazione, un invito a ripensare
una Storia che ci lasci in piedi. Per decidere.
Sfugge all’autore solamente un ripiegamento
triste nell’inciso sulla “Milano del Sud”. Quelle
virgolette che traslano il significato sino a farlo
confinare con l’ironia. Occasione perduta. Ed
oggi brucia di più se vista quale occasione passata veloce, annunciata e non goduta, lanciata
nell’universo dell’economia come slogan (marketing, si direbbe oggi) mai concretizzato.
Certamente, ed è pensiero di chi scrive, è
mancanza di una classe politica che ieri come
oggi si è fatta temprare più dal trasformismo che
dal progresso. Così l’urbanistica è metafora di
una evoluzione che si blocca ai piedi degli Anni
20 Dicembre 2009
Cinquanta. Quando le esigenze dei cittadini e
della città passano in secondo piano.
Nel libro trovate, tra tanti, due esempi a mio
avviso particolarmente definiti e analizzati da
D’Emilio: il doloroso sventramento del percorso
ferroviario dentro la città, e la conseguente ferrovia, e il quartiere di San Berillo con un risanamento partito da lontano, metà del secolo scorso, e smarrito tra burocrazia e progetti.
Forse sbagliando avevo sempre pensato, con
l’occhio della memoria personale più che urbanistico, che San Berillo, il suo degrado, la prostituzione e le sue strade malsane e storte come
un destino senza uscita, fossero un momento di
follia, di irrazionalità in una città squadrata
quanto un quartiere dell’esercito romano. Mi
scuso, ma parte della mia infanzia è legata a via
Pistone e a quell’odore che arrivava dalla friggitoria Stella. Puoi pensare di risanare un quartiere, mai un ricordo.
D’Emilio mette in campo numerose ragioni e
illustra come e perché parte di quel quartiere dovesse necessariamente rinascere. E soprattutto
come e perché quella ricostruzione restasse
bloccata a metà degli Anni Cinquanta. Dire che
c’è amore in questo volume è scontato.
Ancor più c’è fiducia nella città, ed essa – nella penna di D’Emilio tra ricordi e saggezza d’ingegnere - non è un elemento astratto di case, palazzi e vie... Ma l’insieme (e lo scrive) di tutti
gli abitanti, poveri e ricchi, intelligenti e furbi,
sani e corrotti.
Quella fantastica miscela che descritta, pagina
dopo pagina, dà nerbo alla lettura. Il racconto è
della città e degli uomini che l’hanno fatta, dalla
fondazione a oggi. Non percorre l’autore (non
vuole) diatribe politiche di partiti, né scempi e
sacchi di vario genere (troppo spesso avvenuti).
Sarebbe troppo amaro e doloroso.
Così come ci si ferma davanti allo stallo dei
nostri giorni, ma attenzione perché quella incantata descrizione del Palazzo degli Elefanti, il
viaggio nel corpo di una delle sedi municipali
“tra le più accoglienti tra i Comuni italiani e,
meritatamente nella storia della democrazia, tra i
primi esempi di amministrazione partecipativa...”, è critica al malaffare e a chi quel Palazzo
ha offeso.
È in via Etnea che D’Emilio ci invita a fare
quattro passi. Una camminata lenta, dallo sguardo leggero. Via Etnea, la spina dorsale della città, la strada che sale verso l’infinito e ha in sé il
midollo dell’intelligenza, della creatività, della
bellezza. Ed il bello è un valore etico. L’autore
parla di negozi e di uomini, di bar e di eleganza.
La strada verso la montagna diventa un grande
palcoscenico: è Catania, la città spettacolo. Su
quel palcoscenico fatto di strade e mercati (almeno prima che l’UE rattristasse tutto) di quartieri popolari e cortili aristocratici, dei versi di
Tempio e Martoglio, con cittadini-attori di ogni
classe sociale. Tutti dal gesto facile, dalla battuta
pronta. È Catania, la città in cui anche le statue
gesticolano.
La passeggiata che propone D’Emilio, nel
cuore del libro, parte da Camastra e arriva ai
giorni nostri con i ritmi e i tempi dello “struscio”. Tocca gioiellerie, adunate fasciste, canta-
storie e giardini, carrozze del Sette-Ottocento,
tram a cavallo e automobili. C’è voglia di perdersi. Sino alla bellezza del negozio Barbisio e
un brancatiano, mitico nodo alla cravatta. C’è la
letteratura e l’architettura, c’è la durezza delle
pietra e la delicatezza della nostalgia.
La città silenziosa si anima e il rispecchiamento del destino nell’urbanistica catanese è
lungo di secoli (gran maestro il Vulcano). Un
gioco di rispecchiamenti e rimandi continui che
si frantumano, come un colorito e luminoso caleidoscopio, in tante storie che narrano una sola
Storia.
D’Emilio racconta. E ricorda. È lui il cantastorie. Lui viandante solitario, tra tanti personaggi meravigliosi, se la gode. Il mito corre più veloce della ragione. La descrizione della Civita ha
l’accento accorato; la panoramica sul barocco ha
i toni del giocoso. Gli spazi reali nascondo simboli e qui – tra queste pagine - si rivela tutto. Alla fine l’epifania urbanistica mostra una città
magmatica, che ha cambiato volto e storia per
colpa, e volere, del suo Vulcano. Mostra cittadini testardi che non si sono mossi di un centimetro dal loro passato, volendo ricostruire sempre
sul sito originario. È quindi Catania città che ha
nelle viscere se stessa, la propria Storia (come
solamente alle grandi città è dato): questa le dà
la forza di rinascere, questa le permette – ma
non so dire per quanto tempo ancora – di avere
un’utopia.
*Dalla presentazione del volume “Catania”,
di Gaetano D’Emilio
La Voce dell’Isola n. 23-24
27
La presentazione del volume di Gaetano D’Emilio
Un ritorno al passato
per preparare il futuro
di CORRADO RUBINO
È
sempre suggestivo entrare nelle
sale del Castello Ursino di Catania e in particolare salire fino
al Salone dei Parlamenti e, anche se
l’occasione è data dalla presentazione
del libro di Gaetano D’Emilio, quella
sensazione d’immergersi nel passato
ci prende inevitabilmente; ma è sempre romanticamente piacevole. Così
come è romanticamente piacevole
leggere le pagine di questo bel lavoro
dell’ingegnere D’Emilio; però, già
nel titolo del libro “Catania, dal blasonato barocco della ricostruzione al
vivace liberty dei viali, oggi annodata
va smagliata per ripartire”, s’intuisce
che in quelle pagine non ci sono solo
ricordi di un secolo di esperienze personali. La parola “ripartire” è in realtà la chiave di lettura di questa interessante avventura catanese.
Avevo appena dieci anni quando la
giornalista e scrittrice Camilla Cederna, su l’Espresso del 22 aprile 1962,
scriveva un lungo servizio su Catania.
Ovviamente lessi quell’articolo molti
anni dopo, quando ebbi la curiosità di
sapere chi si era inventata quell’etichetta di “Milano del Sud” che Catania si è portata appresso per decenni.
La Cederna stava svolgendo un’inchiesta sulla Sicilia i cui risultati le
fruttarono ben sei articoli e quello su
Catania era intitolato “Il volo del Catanese”.
Quindi fu proprio Camilla Cederna
a coniare, agli inizi degli Anni ’60,
quel parallelismo fra la città meneghina e la città etnea. Se mai aveste la
possibilità di rileggerlo restereste sorpresi come, per tanti versi, vi si possa
ancora riconoscere la Catania di oggi.
Ma mentre Milano ha imboccato seriamente la strada che l’ha portata a
divenire una metropoli europea, Catania ha perso l’occasione a causa della
mentalità provincialotta e per nulla
lungimirante della “classe dirigente”
cittadina.
A proposito del vecchio quartiere
di San Berillo pensate che quando a
Catania si aspettava la seconda visita
di Mussolini gli amministratori della
città si vergognarono a tal punto nel
far vedere le facciate degradate dei
palazzi del quartiere prospicienti la
stazione ferroviaria da cui sarebbe
uscito il corteo del duce per recarsi in
piazza Duomo, che innalzarono, davanti alle case, barriere di drappi e
bandiere come fossero quinte teatrali.
Ma il destino volle che prima dell’arLa Voce dell’Isola n. 23-24
Nel Salone dei Parlamenti del Castello Ursino
un incontro alla presenza di studiosi,
personalità politiche, e tanti giovani che sperano
in una Catania nuova che faccia tesoro
degli errori commessi a danno della città
rivo di Mussolini un forte vento lacerasse quei finti fondali che non impedirono così la visione di quelle misere
abitazioni. Negli Anni ’50 fu deliberato e approvato il risanamento del
quartiere San Berillo di Catania che si
concluse, nella prima metà degli Anni
’60, non con il “risanamento” del
quartiere ma radendo al suolo un’area
di circa trecentomila metri quadrati.
La vergogna era stata rasa al suolo e
trentamila persone erano state “deportate” in un nuovo quartiere, certamente più dignitoso ma, come poi
successe con Librino anni dopo, senza servizi, senza infrastrutture, senza
scuole.
Al posto del vecchio San Berillo
cosa si è realizzato? Dei ventiquattro
nuovi grandi edifici del progetto (tra
cui anche un grattacielo di venti piani
mai nato) se ne realizzarono solo otto
e soprattutto nel tratto di corso Sicilia. Il tratto di corso Martiri della Li-
bertà è tutt’oggi in gran parte non
edificato, ma la cosa che fa riflettere
è che buona parte dell’antico quartiere degradato è ancora al suo posto e
dalla metà degli Anni ’60 ad oggi ha
continuato la sua funzione di “location” della prostituzione cittadina. La
riflessione è la seguente: ma allora il
progetto di risanamento del quartiere
San Berillo è servito solo per unire la
stazione ferroviaria al centro della
città e per le speculazioni edilizie degli Istituti di Credito?
Si, “ripartire”! Proprio così ingegnere D’Emilio! Bisogna ripartire ripensando seriamente a cosa vuole fare da grande questa città, aldilà delle
apparenze. È impellente prima di tutto ricreare le condizioni per cominciare una seria politica economica per
attirare lavoro (lavoro produttivo e
non speculativo) per la città ed il suo
interland (senza il quale non si può
pensare di progettare nulla). Si tratta
di creare “produzione a 360 gradi” a
costi concorrenziali così come hanno
fatto le nazioni emergenti nel mondo.
Certo, ci vogliono gli strumenti legislativi giusti (fiscalità di vantaggio,
zone franche, ecc…) e per fare questo
ci vuole che a Palazzo
degli Elefanti, a Palazzo
Minoriti, alla Prefettura,
a Palazzo di Giustizia,
alla Procura, alla Camera di Commercio, nelle
Sedi Sindacali, nel-
Una serata tutta all’insegna
di una riflessione su Catania
L
o scorso 12 dicembre, nella suggestiva cornice di Castello Ursino, si è svolta la presentazione del libro dell’ingegnere Gaetano
D’Emilio, dal titolo “Catania, dal blasonato barocco della ricostruzione al vivace liberty dei viali,
oggi annodata va smagliata per ripartire”. Per chi
non lo conoscesse Gaetano D’Emilio è stato assessore all’urbanistica del Comune di Catania,
presidente dell’Ordine degli Ingegneri della provincia di Catania e preside dell’Istituto tecnico
“Marconi”. Nell’affollato Salone dei Parlamenti si
è svolta una piacevole serata all’insegna di garbati
e piacevoli interventi dei relatori.
Erano presenti, oltre all’autore del volume, anche gli editori Mario Adorno e sua figlia Monica e
Filippo Arriva, giornalista, scrittore, critico televisivo e teatrale, nonché autore di testi teatrali.
Mario Adorno, che debutta in libreria con questo volume, ha alle spalle una carriera editoriale
ultra trentennale: si impone all’attenzione del lettore con una pubblicazione di alto prestigio.
La serata ha registrato anche l’intervento del
sindaco Raffaele Stancanelli che ha salutato gli intervenuti con parole di speranza per il futuro della
città ed ha preannunciato l’incontro, programmato
per il 19 dicembre, di tutte le rappresentanze delle
istituzioni, autorità, enti e associazioni cittadine
per affrontare in modo organico la “ripartenza” di
Catania.
Molto applaudito è stato anche l’intervento
dell’attore Gilberto Idonea che a sorpresa ha voluto ricordare la figura del grande e rimpianto Renzino Barbera recitando una sua splendida poesia.
Con l’appassionata esposizione di alcune parti
l’Università e, in somma, in tutti i
punti nevralgici della città, si abbia la
voglia di invertire la rotta di questa
città che diventa, sempre più, solo il
silenzioso crocevia di droga, affari loschi e riciclaggio di denaro sporco.
del suo libro, D’Emilio ci ha ricordato che Catania
fa i conti con la sua storia da ogni passo.
Da un lato i sorrisi, i drammi e i sospiri che si
possono scoprire lungo le strade, nei vicoli e nelle piazze e dagli angoli caratteristici della città;
dall’altro le soluzioni urbanistiche moderne ed
avanzate del dopo terremoto, e le successive occasioni mancate per dare a Catania uno sviluppo più
ordinato e metropolitano.
Conoscendola a fondo, come la conosce D’Emilio, la città ci parla. Tra una passeggiata frettolosa
fra i negozi ed uno spostamento da un punto all’altro per lavoro, la città tornerà ad affascinarci se
sapremo ritrovare la storia di quei luoghi.
(Edizioni Media snc, 184 pagine, euro 40,00)
C.R.
20 Dicembre 2009
Nell’elegante cornice del centro storico di Catania
l'esclusivo ristorante pizzeria “Primo Piano” vi offre,
grazie all’abilità dello Chef, la possibilità di assaporare una vasta gamma
di squisite pietanze ispirate alla cucina tradizionale,
oppure provare i piatti della cucina internazionale:
dall’orientale con il cous-cous alla Paella spagnola;
il tutto preparato con passione e professionalità,
ma soprattutto con la creatività che caratterizza l’elegante locale.
Aperto tutti i giorni - Pranzo: solo su prenotazione - Cena: dalle 19:45 alla 0:45
Per maggiori informazioni
Ristorante Primo Piano - Via A. De Curtis 8 - 95131 Catania
Tel./Fax 095 531028
www.ristoranteprimopiano.info
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