Stefania Gabriele n° matricola 3810130
Matematiche elementari da un punto di vista superiore1
Professore Giovanni Lariccia
Bruno de Finetti
un “matematico scomodo”
D: È stato
veramente difficile
riuscire ad ottenere
questa intervista.
R: Si, in effetti
questo per me è un
momento ricco di
impegni e di
soddisfazioni, ho
ricevuto da poco il
premio Toja
dall'INA, in
matematica
attuariale.
D: Congratulazioni! Immagino che lei sia orgoglioso del
premio ricevuto. Se lei è d’accordo, comincerei subito la
nostra intervista col chiederle in che cosa consista la
matematica attuariale?
R: La ringrazio molto. Rispondo subito alla sua domanda
dicendole che la matematica, sotto forma di calcolo della
probabilità, può essere applicata in un settore come quello
delle assicurazioni, in cui si voglia calcolare l’ eventualità che
una determinata condizione, nei confronti della quale si
intende assicurare un determinato bene, si verifichi.
L’attuario è colui che, applicando i principi della matematica,
si occupa di effettuare una valutazione dei rischi in ambito
assicurativo.
D: L'attuario, quindi, è colui che si occupa di calcolare la
possibilità che si verifichi un sinistro?
R: Esatto! Per un'assicurazione danni sugli incidenti stradali
l'attuario calcola la possibilità che l'incidente si verifichi.
D: Lei è noto in tutto il mondo per aver riformulato la
teoria delle probabilità, introducendo una originale
impostazione soggettivista. Vuole spiegarmi in che cosa
consiste?
R: Ha mai pensato, facendo una scommessa, che la sua speranza
che si verifichi una situazione favorevole dipenda da quanto
lei sia coinvolta emotivamente? Ogni decisione è nient'altro
che un processo soggettivo: nel valutare una possibilità, pur
tenendo conto delle informazioni che abbiamo in mano, siamo
influenzati dal "sentimento", dal grado di fiducia che ci
sentiamo di accordare a quella possibilità. Allora non
possiamo più pensare a verità assolute in generale, ma solo a
probabilità più o meno verosimili.
D: Quindi la probabilità non è più un concetto assoluto?
R: La probabilità, in termini assoluti, non esiste.
D: Allora, perché mai, se ne occupa?
R: Potrei anche dire, viceversa e senza contraddizione, che la probabilità
regna ovunque, che è, o almeno dovrebbe essere, la nostra ‘guida nel
pensare e nell’agire’, e che perciò mi interessa. Soltanto, mi sembra
improprio, e perciò mi urta, vederla concretizzata in un sostantivo,
‘probabilità’, mentre riterrei meglio accettabile e più appropriato che si
usasse soltanto l’aggettivo, ‘probabile’, o, meglio ancora, soltanto
l’avverbio, ‘probabilmente’. La probabilità è assegnata esclusivamente
all’individuo. Tutto ha origine dalle sensazioni che proviamo, e per fissare
le idee su di esse troviamo utile pensare a degli eventi da distinguere in
veri o falsi. Gli eventi simili fra loro portano poi a formalizzare i
concetti, mutevoli e in grado di assumere ogni volta un valore
strumentale, in base al loro scopo e alla loro utilità. Neppure il concetto
di verità sfugge a questa regola, anch'esso necessita di una
interpretazione a partire da ragioni empiriche.
D: Lei si è interessato anche di economia. In che modo questa
esaltazione del soggettivismo proveniente dalla statistica ha
influenzato l’economia e le scienze sociali?
R: La risposta è quasi scontata dal momento che l’economia è la
scienza sociale dove gli strumenti quantitativi trovano maggior
applicazione. La consapevolezza dei fattori aleatori ha permesso
l’abbandono del determinismo (secondo cui il mondo è un perfetto
meccanismo regolato da leggi rigide) a favore dello studio del
comportamento individuale di fronte all’incertezza. L’introduzione
dei concetti probabilistici come parte integrante delle scienze
sociali ha contribuito a ‘trasformarle’. Infatti l’analisi dei fattori
aleatori nelle realtà economiche ha permesso una trattazione più
adeguata sia nelle decisioni prese dai singoli individui, sia nella
contrattazione tra due o più individui, sia nelle decisioni che
coinvolgono una collettività intera.
D:Rimanendo sul tema dell’economia, so che sta elaborando
un nuovo progetto riguardo alla razionalizzazione della
pubblica amministrazione, di cosa si tratta?
R: Posso anticiparle che si tratta di un’idea sulla quale sto
ancora lavorando. Sicuramente i tempi non sono ancora
maturi, fin tanto ché gli amministratori continueranno a
distribuire “a pioggia” le risorse disponibili, con conseguente
sperpero di denaro pubblico, anziché farne un uso ragionato.
La mia idea è quella di adottare metodi elettronici per i
pagamenti e le operazioni bancarie. Sto pensando di
introdurre in Italia il codice fiscale, ma come ho detto ci
vorrà ancora del tempo.
D:Vorrei che raccontasse quello che può essere definito un
momento di svolta nella sua carriera universitaria. In
particolare quando dal Politecnico di Milano, corso di
Ingegneria, passa al neonato corso di laurea in
matematica applicata all'Università di Milano. Come è
stata presa questa decisione in famiglia?
R: Ho dovuto sostenere una “battaglia” con la mia amatissima
madre per spiegarle che la mia strada non era quella che
aveva intrapreso mio padre, cioè la laurea in ingegneria. A lei
non pareva vero che il suo Bruno avesse cambiato passione.
Forse temeva che volessi andare ad “acchiappar farfalle”
con la testa fra le nuvole come tutti i matematici, bravi nei
teoremi, ma incapaci di fare il conto della spesa. “Il mio
Bruno farà l’ingegnere come suo padre e come suo nonno e si
distinguerà anche lui come loro nel costruire ardite ferrovie
su per le montagne”. Questo deve aver pensato mia madre.
D: Lei, comunque, fa il passaggio dal Politecnico alla facoltà di
matematica. Come è riuscito a convincere sua madre?
R: Trovai a sostegno di questo mio desiderio mille ragioni: minor durata
dei corsi, miglior livello di apprendimento per l’esiguità del numero di
iscritti, orari migliori che mi avrebbero consentito di dare più lezioni
private e, dulcis in fundo, minori tasse da pagare. La verità è che mi
sentivo ormai portato agli studi matematici, non alle applicazioni
ingegneristiche.
D: Così, alla fine, sua madre acconsentì?
R: Mia madre non ne volle neanche sapere, anzi, la sua decisione fu
irremovibile. Il culto del marito ingegnere fu più forte di qualunque
altra ragione. Mi trovavo diviso fra l’amor filiale e la mia nuova
divorante passione. Alla fine le scrissi una lettera addirittura cattiva
in cui la accusavo apertamente di non capire nulla di quello che le
dicevo. “Dimostri una cosa sola: di non aver la più lontana idea di cosa
sia la matematica. Io sento, io so, io ti dico che quello per cui mi sono
deciso è l’unico campo per cui mi sento adatto.”
D: Vedo che rievocare questi ricordi le suscitano ancora
oggi forti emozioni. A proposito di passione, secondo lei,
come andrebbe insegnata la matematica nelle scuole?
R: Io raccomando di liberare la matematica da schemi rigidi,
per farne un’attività capace di aprire la mente dello
studente e stimolarne l’immaginazione. Le diverse branche
della matematica non devono essere viste in modo settoriale,
ma secondo una visione d’insieme che evidenzi i legami fra le
diverse discipline.
D: Qual è la funzione del docente nel veicolare tale
insegnamento?
R: Il docente deve stimolare il dibattito tra gli alunni, sui
principi matematici esistenti favorendone così, in modo
critico, lo sviluppo e l’applicazione.
D: La sua idea di insegnamento è condivisibile, ma è anche vero
che agli alunni, oggi, venga richiesto di cimentarsi con regole,
formule, assiomi…. A scuola la matematica viene vista come un’
attività volta alla risoluzione di problemi.
R: È qui che si sbaglia. Le formule vengono dopo. Prima bisogna capire
le questioni di fondo, bisogna arrivarci con la testa. Per me la
matematica è fatta di ragionamenti, di idee, di scorciatoie
illuminanti. Si può arrivare al risultato senza fare calcoli, e quando
ci riesco sono felice. Per me è tutto o quasi tutto terribilmente
ovvio. Quando poi vedo che le vie dell’ovvietà sono sbarrate, allora,
solo allora, ricorro alle formule, ai calcoli, insomma a quella che
tutti chiamano la matematica. Le formule non sono che uno
strumento ausiliare per precisare un po’ quegli stessi ragionamenti
che si eseguono normalmente con il semplice buon senso.
D: Sono entusiasta dell’intervista che lei ha voluto concedermi.
Prima di lasciarci, quale messaggio manderebbe a tutti quei
bambini della scuola primaria che si apprestano ad avere un
primo approccio didattico con la matematica?
R: Il mio augurio è che a ciascun bambino venga data la possibilità di
avvicinarsi alla matematica, avendo l’ opportunità di sperimentare la
propria modalità personale di ragionamento, libera da schematismi
presenti, sotto forma di regole, all’interna della disciplina.
D: Grazie ….
R: … alla prossima.
Di scienziati come Bruno de Finetti ne nascono uno ogni cent’anni.
Come i grandi della musica, come i grandi pittori, come i poeti.
Che fortuna la mia aver incontrato questo strano signore
claudicante che io spero un giorno verrà considerato un gigante del
pensiero scientifico.
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Il profilo di un grande matematico