euro 2,50 APRILE 2012 n. 4 MENSILE DI POLITICA E CULTURA Una Rai da salvare La caduta di Bossi Maritain e Severini ZOWART Alberto Angela Ambasciatore UNICEF Foto: Andrea Sabatello Ogni giorno muoiono 22.000 bambini per cause prevenibili. Vogliamo arrivare a zero. La morte di un bambino è la tragedia più grande, soprattutto quando può essere evitata. Io sto con l'UNICEF, che lavora ogni giorno per salvare la vita dei bambini attraverso vaccinazioni dal costo di pochi centesimi, cure mediche, acqua potabile, alimenti terapeutici, zanzariere antimalaria. Ogni giorno muoiono 22.000 bambini. È inaccettabile. Io voglio che questo numero arrivi a zero. E tu? Dona su www.unicef.it o chiama il numero verde: 800 745 000 Fotografa il codice QR con il tuo smartphone per guardare il video Vogliamo zero. APRILE 2012 n.4 ANNO II MENSILE DI POLITICA E CULTURA 9 Moleskine 12 Diapason di GIUSEPPE FIORONI #twitternews 15 di LUCIO D’UBALDO POLITICA 19 Toniolo, l’Abramo del cattolicesimo politico italiano 52 80 64 37 35 22 di GIUSEPPE SANGIORGI 22 Nicola Mancino, l’esperienza e la passione di G.S. 29 Monti, la sfida a una società più equa di 35 IMMO SACCO Bossi scende dal Carroccio di M.S. 37 No al partito Raidicale di LUCIO D’UBALDO 38 Il servizio pubblico nella società che cambia IL DOMANI D’ITALIA LEGGILO ANCHE SU IPAD di LORENZA LEI 41 Un’altra Rai è possibile di MAURO CERUTI 46 Dopo l’Italia salviamo gli Italiani di GERO GRASSI 49 Ridare speranza ai giovani per rimettere in moto l’economia di TIZIANO TREU 52 Riflessioni su concorso esterno in associazione mafiosa di DONATELLA FERRANTI ISCRIZIONE AL REGISTRO DEGLI OPERATORI DI COMUNICAZIONE N. 19596 NUMERO 4 -APRILE 2012 ANNO II 56 di LUCIANA PEDOTO DIRETTORE POLITICO LUCIO D’UBALDO DIRETTORE RESPONSABILE GIUSEPPE SANGIORGI CONDIRETTORI FILIPPO LA PORTA T , PIO CEROCCHI MIMMO SACCO REDAZIONE GABRIELE PA P PINI BEAT A RICE NENCHA AMILCARE BORI OSCAR GASPA P RI GIOVA V NNA MONTA T NUCCI MARIO SIRIMARCO SEDE RIVISTA T PIAZZA COLA DI RIENZO, 85 00192 ROMA TEL. 06 36004654 06.36001296 (fax) PROGETTO GRA R FICO DANIELA TOCCACELI (ART DIRECTOR) STA T MPA P E DISTRIBUZIONE STR PRESS SRL VIA CARPI, 19 00040 POMEZIA (ROMA) CHIUSA IN REDAZIONE IL 11 APRILE 2012 ESTERI 60 SOCIETA’ EDITRICE Il Domani d’Italia soc. coop piazza Cola di Rienzo, 85 00192 Roma 64 Chiesa e America Latina Un continente pieno di speranza di GIANPA P OLO SALV L INI 69 Romney e la decisiva caccia agli indipendnti di TOMMASO MONTESANO 73 La corsa a ostacoli di Obama di M.S. 75 Il nuovo Iraq e la speranza della pace Intervista a Saywan Barzani di PA P OLA BRIANTI (PRO)MEMORIA 79 Il silenzio di una comunista di BEATRICE NENCHA COSTUME & SOCIETÀ 80 Visioni e suoni sulla via della seta di GENNY DI BERT SPECIALE 85 PRESIDENTE Gero Grassi Il filosofo e l’artista. Le affinità elettive di due maestri del Novecento di PIERO VIOTTO CONSIGLIERE DELEGATO Salvatore Turano COMITA TATO EDITORIALE GIUSEPPE FIORONI (PRESIDENTE) Una certa idea d’Europa di ENRICO FARINONE SITO WEB WWW.ILDOMANIDITA T LIA.COM ABBONAMENTI BOLLETTINO POSTA T LE INTESTA TATO A: SOCIETÀ EDITRICE ROMANA SRL PIAZZA COLA DI RIENZO, 85 - 00192 ROMA C/C POSTA T LE N. 16423006 ABBONAMENTO ANNUALE EURO 50,00 ABBONAMENTO ORDINARIO EURO 100,00 ABBONAMENTO SOSTENITORE ABBONAMENTI ON LINE [email protected] 06.36004654 06.36001296 (fax) CONCESSIONARIA CONCESSIONARIA ESCLUSIVA V PER LA PUBBLICITÀ PER L’ITA T LIA E L’ESTERO: POLITA T LIA SRL VIA FELICE CASAT A I, 17 20124 MILANO TEL. 02.20203111 Salute. Fit not fat 94 RUBRICHE CHIAMA IL NUMERO VERDE 800.901.050 ENEL SOLE METTE IN LUCE LA MAGIA DELLA NOTTE. ARCHILEDE, PIÙ LUCE E MENO CONSUMI PER IL TUO COMUNE. Enel Sole, leader del mercato dell’illuminazione pubblica e artistica, da sempre punta sull’innovazione per offrirti servizi e prodotti di qualità. Per questo è nato Archilede, un sistema ideale che garantisce un'ottima qualità dell’illuminazione e permette un’elevata flessibilità di regolazione a costi contenuti. Già 950 città lo hanno scelto riducendo i consumi di energia e abbattendo costi ed emissioni di CO2. Punta anche tu su Archilede, dai nuova luce alla tua città. Chiama 800.901.050 oppure se chiami dal cellulare, 199.28.29.31. www.enelsole.it M@LESKINE m@leskine Il Punto di vista di Lucio D’Ubaldo LA STRANA GUERRA DI LIBIA. COSA RIMANE? - non ne parliamo più. Forse le immagini atroci della eliminazione di Gheddafi hanno rimosso nella coscienza collettiva degli europei l'avventura bellica in Libia. Doveva essere una guerra breve e salvifica: è stata solo breve. Senza avvertirne l'urto, è in corso attorno confini libici un sommovimento di guerriglia che scardina assetti delicati e fragili. Una nazione tenuta a guinzaglio, grazie a metodi dittatoriali spavaldi e crudeli, dopo la "liberazione" stenta a trovare un assetto dignitoso e plausibile. L'Italia si difende come può, avendo messo in sicurezza le forniture di petrolio per i prossimi anni. Tuttavia l'instabilità politica non si cancella con protocolli commerciali o peripezie diplomatiche. Con il viaggio di Monti in Medio Oriente risorge dalle ceneri del berlusconismo il tratto migliore della nostra politica mediterranea. Ma non sarà facile, dopo le scorribande di poco ingegno e nessuna prudenza, riprendere il posto che ci spetta nel complicato scacchiere della regione. In ogni caso, all'Italia più che ad altre nazioni compete esercitare un ruolo prezioso di equilibrio e di pace. Per questo dobbiamo seguire con premura la tormentata vicenda della Libia, ponendola all'attenzione degli alleati e dei partner europei prima che la dura realtà dei fatti s'imponga sulle rappresentazioni di comodo. Cosa rimane di una guerra tanto carica di ragioni umanitarie e promesse di democrazia? L'ITALIA E I GIOVANI AMERICANI - i giovani americani non declassano l'Italia. Nel sondaggio che ogni anno la Loyola University of Chicago e la Fondazione Italia-Usa predispongono sulla base di un qualificato campione di studenti si conferma l'attrazione per il nostro Paese. Se ne è parlato lunedì 16 Aprile nella Sala del Mappamondo a Monte Citorio proprio in occasione della presentazione dei risultati del questionario. Accanto ai ricorrenti apprezzamenti sullo stile di vita degli italiani, cos'è che stavolta colpisce di più? Intanto un sorprendente dato di fiducia sulle "vacanze in Italia" anche dopo il disastro della Concordia: ben tre giovani su quattro, malgrado tutto, si dichiarano pronti a imbarcarsi per una crociera nel Mediterraneo. Sembra di capire che Oltreoceano non passi l'equazione - almeno tra le nuove generazioni - secondo la quale una sventura intrisa d'imperizia e presunta fellonia trascini con sé il giudizio sulle qualità di un popolo o di una nazione. Invece, su un altro piano, sorprende leggere che gli stessi studenti considerano più importante per l'Italia che non per gli Usa l'accordo tra Fiat e Chrysler; come pure, laddove si domanda quale sia la sede preferibile per il quartier generale della nuova compagnia automobilistica, essi non temano di apparire in controtendenza rispetto ai precetti della globalizzazione indicando la soluzione di Detroit. Evidentemente l'amore per l'Italia non oscura il senso di appar- 9 M@LESKINE TOCQUEVILLE, CRISI MORALE E PARTITO NUOVO: LA GIOVANE SINISTRA tenenza a una patria che, nonostante la crisi di questi anni, si percepisce in possesso di un storico primato di potenza economica e militare sul mondo intero. Con il declino della Monarchia orleanista, Tocqueville ravvia la ri- L'ORIGINALE ESPERIENZA DEI BASISTI - Maria Chiara Mattesini ha scritto un libro interessante sulla sinistra di base (La Base - Un laboratorio di idee per la Democrazia cristiana, Edizioni Studium, 2012), la corrente che vide uniti nell'impresa di modernizzazione del "partito cristiano" uomini come Pistelli, Marcora, Granelli, Misasi, Galloni e De Mita. Molti sono i documenti presi in considerazione, altrettante le testimonianze raccolte: l'autrice compie uno sforzo non indifferente per armonizzare i diversi materiali in una sintesi che sembra ad ogni istante venir meno. Benché lo studio affronti solo i primi cinque anni (1953-1958) della esperienza basista, si condensano in questo arco di tempo i motivi di originalità e complessità di questa "corrente non corrente", forte della sua inclinazione a pensare se stessa come forma di una politica valida per tutto il partito. E' dunque la storia di una minoranza che non si chiude nella difesa delle proprie ragioni, ma opera in funzione di un disegno più ampio e condiviso. L'apertura a sinistra, ovvero il superamento del centrismo e quindi l'alleanza con i socialisti, rappresenta il cuore della iniziativa interna ed esterna di questa giovane e agguerrita componente politica. I basisti elaborano il discorso sulla nuova alleanza attraverso un'operazione raffinata e nient'affatto scontata. Sebbene fossero stretti nella morsa di forti personalità che incarnano il nuovo corso post-degasperiano, essi non rinunciano a definire una linea politica autonoma e intransigente. Alla fine, sarà Moro a costituirsi come interlocutore privilegiato proprio nella prospettiva della scelta storica del centro-sinistra sancita definitivamente nel congresso di Napoli del 1962. Scorrendo le pagine di questo volume s'intravede, per altro, quanto faticosa ed eccezionale sia stata la trasformazione del sistema politico italiano nella seconda metà degli anni '50. E' dunque merito della Mattesini - già nota per la cura dei discorsi di Luigi Granelli - l'aver dissodato un terreno di studi ancora troppo affidato alla memorialistica di questo o quel leader democristiano, aprendo un percorso di indagine sulla "sinistra politica" della Democrazia cristiana, a cui occorrerà prestare in futuro maggiore attenzione in termini di approfondimento e valutazione critica. ne del 1848. Gli sforzi da lui compiuti vengono indirizzati alla for- flessione sui guasti del sistema politico del tempo e individua gli elementi di crisi destinati immancabilmente a provocare la Rivoluziomazione di un nuovo partito - la "Jeune Gauche" - che purtroppo stenterà a prendere forma e consistenza. E' interessante notare come per il grande pensatore francese la "questione morale" rappresenti l'innesco obbligato di una proposta di rinnovamento a tutto campo. Lo stralcio che qui si propone costituisce l'incipit di una bozza di documento elaborato tra la fine del 1846 e gli inizi del 1847. "E' evidente che nello stato di disorganizzazione e di anarchia in cui si trovano tutti i vecchi partiti, nello stato di discredito in cui sono caduti i loro capi, di sofferenza morale in cui si trova il paese, di disgusto che esso prova pur lasciandosi condurre dalla pura astuzia politica, insomma, in un tempo in cui vi sono pochissime cose nuove e grandi che si possano tentare ragionevolmente in politica, in cui inoltre non vi sono per così dire passioni politiche che servano da legame, né divergenze di opinioni o d'interessi da coltivare in seno al paese legale; è evidente, dico, che la base più nuova, più onorevole e tutto sommato più utile che si possa trovare per la creazione di un nuovo partito, è un richiamo energico e pratico alla moralità politica. Tale partito avrebbe per sé innanzi tutto gli uomini realmente onesti. Attirerebbe gli uomini stanchi dei legami dei loro vecchi partiti o animanti da un'ambizione non frettolosa, ai quali darebbe un asilo onorevole e una sorta di terreno neutro sul quale poter rimanere in attesa, senza rompere definitivamente con alcuna frazione della Camera, poiché l'obiettivo di questo partito sarebbe piuttosto quello di usare in modo diverso le istituzioni che già abbiamo piuttosto che di crearne di nuove." 10 [tratto da: Alexis de Tocqueville, Scritti, note e discorsi politici, 18391852, a cura di Umberto Coldagelli, Bollati Boringhieri, 1994, p. 71] DIAPASON UNIRE tutti i riformisti La crisi non si supera in un batter d’occhi. Sulla riforma del mercato del lavoro è stato raggiunto un accordo soddisfacente. Ora la questione morale, con la discesa agli inferi della Lega, tocca livelli di pericolosità. Serve una stagione di riforme per restituire credibilità al sistema dei partiti. Alle amministrative il possibile crollo del vecchio centrodestra: che faranno i riformisti? Il Partito democratico deve andare oltre se stesso per favorire una nuova alleanza di governo I di Giuseppe Fioroni 12 n questa congiuntura bisogna mantenere i nervi saldi. lo adeguato di coesione sociale. Per questo, anche se strana, si è for- Ogni In questa congiuntura bisogna mantenere i nervi mata una maggioranza parlamentare. Se non ci fosse, il Paese sa- saldi. Monti sta procedendo con serietà e autorevolez- rebbe costretto a fare i conti con il caos. Sulla madre di tutte le rifor- za lungo la strada che il Parlamento e le forze politiche, me, quella del mercato del lavoro, alla fine si è trovata una mediazione in ossequio alle preoccupazioni del Capo dello Stato, han- intelligente. Non è detto che siano scomparse le tensioni, ma di cer- no tracciato all’indomani della caduta del governo Ber- to sembra scongiurato il pericolo di un’aspra deriva conflittuale. Mi lusconi. Non ha senso speculare, di tanto in tanto, sugli andamenti sono battuto, insieme agli amici della Cisl e tanti altri, affinché un ac- di borsa e le oscillazioni dello spread. Bisogna abbattere il debi- cordo ragionevole fosse trovato: ci siamo riusciti perché lo spirito di to, anche con misure straordinarie, altrimenti i discorsi sulla cre- crociata, con l’animo sempre rivolto al diniego preventivo, non por- scita evaporano nel nulla. Le riforme devono essere portate avan- tava da nessuna parte. Adesso, qualora nel dibattito alle Camere si ti con coraggio e lungimiranza, senza perdere di vista l’esigenza aprisse lo spazio per qualche ulteriore correzione, potremmo sere- di equità che specialmente nei periodi di crisi garantisce un livel- namente valutarne la consistenza e l’opportunità. L’importante è non forzare la mano con proposte destinate solo a riaprire il conten- cessa di rappresentare un orizzonte politico credibile. Per questo, zioso tra le parti sociali: non ce lo possiamo permettere. con ogni probabilità, le elezioni amministrative decreteranno fra qualche settimana il cedimento strutturale della vecchia coalizione di cen- IL RISANAMENTO DELLA POLITICA - urge al tempo stesso un’o- trodestra. Magari a questo esito si giungerà con l’esplosione dell’a- pera di risanamento della politica. Come si può concepire un gra- stensionismo. Se così fosse, dovremmo valutarne bene le conse- do di fiducia così basso verso il cosiddetto sistema dei partiti? La guenze. Sull’onda del successo i riformisti potrebbero incorrere nel- democrazia è un bene prezioso. Ai cittadini occorre restituire la cer- l’errore di chiudersi in se stessi, immaginando di controllare le leve tezza che la rappresentanza elettiva abbia la propria legittimazio- del futuro. Ciò nondimeno, l’elettorato che da sempre si manifesta ne diretta nelle scelte di ogni singolo elettore. I partiti non posso- refrattario alle lusinghe di una sinistra a intonazione socialisteggiante no essere strumenti al servizio di oligarchie senza controllo, né fun- potrebbe come non mai ricostruire in breve tempo un consenso am- zionare come semplici macchine per la gestione del consenso. Ci pio attorno a una ipotesi neo-moderata e conservatrice. E’ già avvuole il ripristino di un sano rapporto tra ispirazione ideale e pras- venuto tra la fine del 1993 e la primavera del 1994. si quotidiana. Un certo pragmatismo, associato a disinvoltura o spregiudicatezza, ha trasformato la vita di partito nel semplice eser- IL FUTURO IMPONE AI DEMOCRATICI DI “FARSI CENTRO” DE- cizio di conquista e difesa del potere. A noi, cattolici democratici GLI INTERESSI POPOLARI - prefigurando gli scenari di un prose popolari, tutto questo non va bene. Anche la Lega è sprofon- simo avvenire, l’evoluzione del Partito democratico non può che condata nelle sabbie mobili della pubblica immoralità. Penso che il col- sistere in una nuova forma di organizzazione, più articolata e fles- po, di per sé durissimo, impedisca a Bossi e ai suoi fedelissimi di sibile, in grado di aderire alle dinamiche dell’elettorato. E’ inevitabiriprendere il posto di una volta. E’ finita l’esperienza di un partito le che per vincere – e soprattutto per convincere – il Partito demoche sapeva agitare le recriminazioni del profondo nord e ne tra- cratico debba “farsi centro” degli interessi e dei bisogni di ampi stra- duceva la spinta in un disegno radicale e corporativo, che orien- ti popolari. Solo rimettendosi in gioco, fino alla sua stessa trasfor- tava la condotta dell’intera maggioranza di centrodestra. Inizia da mazione, il soggetto nato per incarnare le ragioni del nuovo riformismo questo momento una fase nuova, interessante per tutti perché l’e- potrà dare all’Italia una prospettiva di stabilità e buongoverno. Il diventuale distacco dalla mitologia padana potrebbe conferire alla segno politico, sorto con Monti e con lui destinato a svilupparsi, eviLega una fisionomia di partito autonomista, ma non secessioni- denzia la necessità di armonizzare le diverse componenti di un riforsta per cupo spirito antiromano, inserendola in un circuito di ritrovata mismo diffuso alle quali, tuttavia, il bipolarismo artificiale di questi ultimi vent’anni ha imposto l’obbligo della separazione e della reciproca autorevolezza e affidabilità politica. diffidenza. I NUOVI ORIZZONTI DELLA LEGA - certamente l’asse con il Pdl Siamo alla vigilia di decisioni importanti. I COGENERATORI DEL CENTRO RIFORMATORE L'Italia è bipolare fin dall'epoca dei guelfi e ghibellini. Addirittura nella Firenze di Dante, spariti i guelfi, presto si formarono due fazioni contrapposte: i Bianchi e i Neri. Questa è la nostra storia. Dal 1945 ad oggi, nel corso di due distinti cicli politici, il bipolarismo ha funzionato ininterrottamente, ma con analoghe malformazioni. Nel primo caso, il difetto consisteva nella impossibilità di promuovere l'alternanza di governo a causa della Guerra Fredda e dei rischi legati alla natura filo-sovietica del Partito comunista; nel secondo, l'alternanza ha fatto leva sulla cancellazione di qualsiasi barriera verso le estreme, riproducendo nelle coalizioni di governo un'aliquota elevata di instabilità. Venendo all'oggi, la scommessa ruota attorno alla ipotesi che proporzionalismo e bipolarismo non siano inconciliabili. Lo sono infatti se manca una dialettica - di tipo europeo - tra partiti a forte caratura programmatica e chiara impronta ideale. E' decisivo cambiare meccanismo di voto, tenendo comunque conto che alla "bozza Violante" bisogna apportare correzioni a maggiore tutela della sovranità del cittadino elettore. Occorre garantire la facoltà di scelta differenziata tra lista di collegio e di circoscrizione, il recupero dei resti a livello nazionale, lo sbarramento e il premio di governabilità entro limiti ragionevoli onde, nel complesso di un ampio disegno democratico, non manchi al pluralismo della rappresentanza parlamentare l'ossigeno necessario. Nessuno avrebbe da temere aggressioni alla propria identità. Ma soprattutto Partito democratico e Terzo Polo sarebbero spinti a fare da cogeneratori di un nuovo "centro riformatore" a forte vocazione maggioritaria. [IL DOMANI D’ITALIA] Al centro dei tuoi progetti. CORSI ACCADEMICI DI PRIMO E SECONDO LIVELLO Diplomi equipollenti alle lauree triennali e magistrali Design Graphic Design Cinema Scenografia www.unirufa.it Accademia di Belle Arti Legalmente riconosciuta dal MIUR Via Benaco, 2 - 00199 Roma tel/fax +39.06.85865917 [email protected] Pittura Scultura numero 2 2012 /twitternews Sollers Uomo pubblico, coperto da pseudonimo e riottoso alla politica spettacolo, talvolta arcaico per la critica corrente, prono nonostante tutto alla information technology. Amante del ciclismo, si definisce a riguardo un "nostalgico gimondiano" POSIZIONE Roma, Italia WEB page under construction Remo Gaspari visse giorni tristi nel crepuscolo della Prima Repubblica. Il Vescovo Bruno Forte oggi ne tesse gli elogi. Fece tanto - dice - per il suo Abruzzo e morì dove aveva sempre vissuto: a Gissi, in un appartamento al secondo piano di una casa senza Alemanno contesta che vi resti la tom- ascensore. ba di De Pedis. Non c'è pace per il boss della Magliana. A Roma, duemila Nel suo Viaggio in Italia, Goethe parla di Palermo e ne descrive le strade anni fa, valeva il "parce sepulto". disseminate d'immondizia. A conIn direzione nazionale Bersani invoca fronto, Napoli era un esempio di buola disciplina di partito. Ignazio Marino, na amministrazione. Ma il tempo apdopo tre giorni, non vota la fiducia. E piana tutto. nessuno tira fuori il cartellino rosso! Si tenta di legiferare sul gioco d'azDispiace per "Il Riformista". Ma di- zardo. Facile? Ludovico Muratori, spiace ancor più che abbia sospeso grande erudito e prolifico scrittore, di le pubblicazioni per mancanza di let- tutto si occupò meno che di questo. Rifiutò di farlo perché, a suo dire, del tori. Il riformismo è senza popolo? gioco si avvantaggiava il Principe. In mano ai privati la riscossione coat- Ah...la prudenza! tiva dei Comuni. Con le nuove imposte locali il piatto è diventato ricco. Oc- Il 25 aprile è festa che suscita sempre corre istituire una regia pubblica a li- qualche polemica. Monti da tecnico cosa farà? Tacere non può. Non è vello nazionale. Altrimenti è caos. #Fidel Castro confida a Papa Ratzinger di aver "tifato" per la beatificazione di Madre Teresa e Giovanni Paolo II. Dittatore sì, ma sempre capace di stupire. Sant'Apollinare non è extraterritoriale. escluso che colga l'occasione per ritagliarsi uno spazio originale di antifascista e di repubblicano. Magari con respiro europeo. Sarkozy fu eletto anche con i voti dei socialisti. Tra questi, alcuni decisero poi di proseguire nella collaborazione. Adesso, al contrario, Chirac dichiara di votare per Hollande. La chiarezza francese è proverbiale! Cina rallenta. A spaventare è la bolla immobiliare cresciuta negli anni dello sviluppo a doppia cifra. Dunque? Se l'Occidente non consuma, Pechino non esporta. La crisi rivela al mondo - Padania inclusa - l'interdipendenza delle economie. Il gas cambierà la geopolitica mondiale. Ormai lo si estrae a basso prezzo. Tra America e Russia, tra Occidente e Paesi Opec, si riapre dunque la partita. Pure l'Italia deve darsi una strategia che tenga conto dei nuovi scenari. 15 GIUSEPPE TONIOLO L’ABRAMO DEL CATTOLICESIMO POLITICO ITALIANO di Giuseppe Sangiorgi L’ATTUALITÀ DEL SUO PENSIERO SI FONDA SUL PRINCIPIO DELLA DIGNITÀ DELLA PERSONA CHE ANTICIPA, NELLA STORIA DEL CATTOLICESIMO DEMOCRATICO, LA VISIONE POLITICA DEI “PADRI” DELLA DC, DA STURZO A DE GASPERI i iniziative d Promuove o cattolico nd o m el d risveglio alla Fuci ia: dà vita in tutta Ital ttoliche, ca e nn o d e all’Unione ttimane sociali se ciato istituisce le viene minac cattoliche, gitatore “a e m co non d’arresto istiano” ma socialista cr se ne cura s arà festa grande il 29 aprile nella basilica romana di San Paolo fuori le Mura per la beatificazione di Giuseppe Toniolo. Non si contano in tutto il Paese i circoli di studio e di formazione politica a lui intitolati. In tempi di incerta idealità, rievocare la sua figura è un ritorno alle radici ma anche una lezione per l’oggi. Toniolo può essere considerato l’Abramo del cattolicesimo politico italiano a partire dall’unità del Paese. Prima di lui altre personalità, pensiamo a Vincenzo Gioberti con “Il primato morale e civile degli italiani”, avevano avuto una visione politica e istituzionale del Paese di matrice cattolica, ma è con Toniolo che prende a svilupparsi, nella seconda metà dell’Ottocento, un filone organico di pensiero politico e insieme di azione, di iniziative concrete in campo economico e sociale, che anticipano molti temi della “Rerum Novarum”, con tutto ciò che a questa grande enciclica è seguito nel Novecento È Toniolo a compiere il primo tentativo di fare uscire i cattolici italiani dalla marginalità politica che derivava loro dalla “questione romana”. Viene prima di Murri, Meda, Sturzo e De Gasperi e continua tuttora a seguire. È Toniolo a compiere il primo tentativo di fare uscire i cattolici italiani dalla marginalità politica che derivava loro dalla “questione romana”. Lui viene prima: prima di Romolo Murri, di Filippo Meda, di Luigi Sturzo, di Alcide De Gasperi, degli altri grandi del Pantheon di questa storia. L’attualità di Toniolo sta nel doppio registro della sua vita: egli è uomo di studio e insieme uomo d’azione. Insegna all’università, è autore di molti testi scientifici di sociologia, di economia, di storia economica, ma è anche un infaticabile operatore sociale e politico. Scrive manifesti di impegno dei democratico-cristiani, concepisce le unioni professionali di soli lavoratori, fonda l’Unione cattolica per gli studi sociali, elabora il programma di Milano del 1894 dei cattolici di fronte al socialismo, anima la sezione economica dell’Opera dei congressi, promuove iniziative di risveglio del mondo cattolico in tutta Italia, dà vita alla Fuci e all’Unione donne cattoliche, istituisce le settimane sociali cattoliche, viene minacciato d’arresto come “agitatore socialista cristiano” ma non se ne cura. È certamente vero che, figlio del suo tempo, resta sempre nella sua vita e nella sua attività dentro lo schema di obbedienza assoluta alla gerarchia ecclesiastica che era proprio del cattolicesimo liberale ottocentesco. All’inizio del Novecento rompe con Romolo Murri proprio su questo. Lo racconterà lo stesso Murri in modo drammatico molti anni dopo: “Il dissenso tra me e Toniolo era antico e grave. Io, prete, difendevo una giusta autonomia del laicato nelle cose civili; ed egli, laico, difendeva un rigido e totalitario intervento dell’autorità religiosa”. Ma neppure Murri riuscirà a compiere questo salto. Per le sue idee, anzi, sarà prima sospeso “a divinis” e poi scomunicato. Sarà Sturzo con il Partito popolare a compiere il passaggio dal cattolice- 19 simo liberale a quello democratico. Ma l’attualità politica di Toniolo si misura su altro: sul principio della dignità della persona umana come pietra angolare del rapporto tra società e istituzioni. Questo è l’ingrediente base dell’impegno politico cattolico che mantiene una costante coerenza nel tempo. Lo Stato, afferma Toniolo nella seconda metà dell’Ottocento, non conferisce, non delega l’autonomia degli ordinamenti propri a ciascuna società intermedia; lo Stato semplicemente la riconosce e ne fa un organico coordinamento. Alcuni decenni dopo Luigi Sturzo, al congresso del 1923 a Torino del Partito popolare, è sulla stessa identica lunghezza d’onda: “Lo Stato non sopprime, non annulla, non crea i diritti naturali dell’uomo, della famiglia, della classe dei comuni, della religione; soltanto li riconosce, li tutela, li coordina nei limiti della propria funzione politica”. E Dossetti, nel suo ordine del giorno durante la discussione sugli articoli due e tre della Costituzione afferma nel 1947: “La visione da affermare è quella che riconosca la precedenza sostanziale della persona umana rispetto allo Stato e la destinazione di questo al servizio di quella… Riconosca la necessaria socialità di tutte le persone le quali sono chiamate a completarsi a vicenda mediante una reciproca solidarietà, in varie comunità intermedie disposte secondo una naturale gradualità: comunità familiari, territoriali, professionali, religiose…”. È una straordinaria continuità di cultura civile. Toniolo è il portatore di una visione antropologica, non economicistica, della politica. Non che non lo interessino gli aspetti economici. Ma egli li declina lungo il versante dell’etica. “L’elemento etico quale fattore intrinseco dell’e- conomia” è il titolo della tesi con la quale consegue la libera docenza in economia politica. E subito dopo il principio di sussidiarietà come chiave di volta di un sistema sociale ed economico che metta insieme profitto e solidarietà. Una volta definita questa identità e dopo averla tradotta in opzioni politiche, si pone il problema delle alleanze. In quale modo? Toniolo, quando a Zurigo, nell’agosto del 1897, si svolge il primo congresso internazionale dei rappresentanti per la protezione operaia che vede insieme socialisti e sindacalisti che si affiancano sul terreno comune della legislazione operaia, commenta: “Marciare separati, pugnare uniti!”. E Sturzo, al congresso di Torino del 1923, pur contrapponendo il suo popolarismo al socialismo e al comunismo, afferma pragmaticamente che essere alternativi “dal punto di vista teorico ed etico, politico ed economico, non vuol dire che parecchi postulati sociali non possono essere comuni a vari partiti e quindi a noi e ai socialisti, come il postulato delle otto ore di lavoro, dell’istituzione del consiglio superiore del lavoro, quello delle assicurazioni sociali e la tutela delle donne e dei fanciulli nel lavoro”. Nasce da queste antiche convinzioni, prima di Toniolo, poi di Sturzo, quella concezione che De Gasperi aveva della Democrazia cristiana come di “un partito di centro che guarda a sinistra”. Resta questa la direzione di marcia. “Il dissenso tra me e Toniolo era antico e grave. Io, prete, difendevo una giusta autonomia del laicato nelle cose civili; ed egli, laico, difendeva un rigido e totalitario intervento dell’autorità religiosa” (Romolo Murri) 20 SIMONE, CONTROLLO QUALITÀ. La sua fiducia bisogna meritarsela. PERSONE CHE FANNO GRANDE LA RISTORAZIONE Da oltre 60 anni, Camst è l’azienda leader della ristorazione in Italia. Con attenzione e dinamismo, ogni giorno è vicina ai suoi clienti per offrire soluzioni personalizzate e flessibili. Per questo Camst fa grande la ristorazione: perché è fatta di persone che non rinunciano alle regole e garantiscono a clienti, lavoratori e studenti qualità e sicurezza. www.camst.it L’intervista Nicola Mancino l’esperienza e la passione AVVISO AI PARTITI: SBRIGATEVI A CAMBIARE. LE PROSSIME ELEZIONI POLITICHE BANCO DI PROVA DEL RINNOVAMENTO. E MONTI TENGA SALDO IL RAPPORTO CON IL PARLAMENTO di GIUSEPPE SANGIORGI* Nicola Mancino, ministro dell’Interno, presidente del Senato, vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura: un capitano di lungo corso della politica italiana dai tempi della Democrazia cristiana. Il Paese intorno a noi è pieno di problemi e di contraddizioni. Si ha l’impressione di essere prigionieri di un labirinto, che va trasformato in un percorso possibile di uscita dalla crisi. Per farlo c’è bisogno di esperienza e di saggezza. Iniziamo dal governo Monti, che è stato chiamato in tanti modi diversi: governo tecnico, governo delle larghe intese, governo del presidente… Lei come lo definisce? Per me è un governo di competenze, composto da professionisti che nella società hanno ben operato ed hanno avuto un largo consenso. Si occupano in 22 prevalenza di problemi economici, ma sono questi, oggi, la grande questione del Paese. Naturalmente il governo si deve rapportare al suo referente istituzionale più diretto che è il Parlamento. Ritenerlo solo “tecnico”, senza tenere conto che anche le intuizioni di carattere tecnico-scientifico hanno bisogno di un supporto di carattere parlamentare, sarebbe un errore: è un governo che ha grande volontà di operare in direzione del risanamento economico e anche etico di questo Paese, ma ha bisogno del Parlamento. Un Parlamento che sta vivendo una condizione di difficoltà… Il Parlamento è frastagliato perché si è rotto il centro destra e giorno dopo giorno registreremo sempre di più una divaricazione tra il Pdl e la Lega. La loro alleanza ha avuto il sostegno del corpo elettorale, vincendo le elezioni sia pure sulla base di un pessimo sistema elettorale, da loro stessi definito Porcellum, ma ora questa alleanza non c’è più. C’è un centro, che si è mosso per recuperare autonomia e indipendenza rispetto allo schieramento di cui faceva parte e cioè il centrodestra. Nel Paese c’è grande bisogno di partiti politici ispirati al moderatismo, non alla conservazione, e anche di un grande partito politico riformista. Mi riferisco al Pd, fino a ieri all’opposizione mentre oggi sostiene il governo e nei sondaggi è divenuto il primo partito del Paese. Un po’ tutti gli attuali schieramenti parlamentari hanno al loro interno componenti, uomini, idee, riferimenti di valore che si rifanno alle precedenti tradizioni politiche del Paese. E non sempre è facile la loro composi- ontà di operare in il governo ha vol mico isanamento econo direzione del r farlo per Paese, ma ed etico di questo rlamento ha bisogno del Pa zione in una nuova sintesi politica. Il Paese soffre soprattutto per due difficoltà: una riguarda i democratici cristiani e l’altra l’ex Partito comunista, cioè le due antiche anime su cui si reggeva il precedente sistema politico tra contrapposizioni anche aspre, ma con dialoghi sul piano parlamentare che portavano a convergenze che hanno fatto il bene del Paese. Dopo la caduta del Muro di Berlino lo sbandamento è stato notevole per tutti. Lo è stato per la sinistra e anche per la Democrazia cristiana, che pure aveva vinto una grossa battaglia di carattere ideologico ma si era illusa di potere governare più pacificamente. La Dc non si è resa conto che sarebbe stato più difficile anche per lei continuare a reggere a lungo il governo del Paese senza quella stampella che era costituita dall’opposizione del Pci. L’errore compiuto dalla Dc e dal Pci è stato che nessuno dei due partiti ha approfondito le ragioni della sconfitta, la Dc nel 1993-1994 e il Pci nel 1989. È mancata una riflessione di livello culturale per capire come la Dc e il Pci declinavano dalle rispettive egemonie: un errore che non è stato rimosso neppure quando c’è stata la convergenza del Partito popolare e dell’ex Partito comunista nel Pd. Le difficoltà attuali di equilibrio politico del Paese derivano ancora in larga misura da questa mancata elaborazione di che cosa è avvenuto a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta. Rispetto a questo quadro della situazione, non occorre renderci conto che siamo alla fine di un ciclo, economico, istituzionale, politico? E che c’è bisogno di una discontinuità con il passato, dando segnali veri di questa discontinuità? Prendiamo il Parlamento. Da anni si discute di una modifica del bicameralismo e di una riduzione del numero dei suoi componenti. Nel dicembre 2009 al Senato furono approvate due mozioni. In una si indicava la prospettiva del Senato federale, nell’altra si immaginava la riduzione del numero dei NATO ALLA POLITICA COME ESPONENTE DELLA DC CAMPANA (per due volte ha presieduto la giunta regionale)Nicola Mancino è stato eletto Senatore per la prima volta nel 1976. Ministro dell’Interno dal 1992 al 1994, anno in cui, dopo lo scioglimento della Dc, ha aderito al Partito popolare. Presidente del Senato dal 1996 al 2001. Dal 2006 al 2010 è stato vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura. parlamentari. Sono passati tre anni e non se ne è fatto nulla. Adesso è stata avanzata una nuova proposta di riduzione del numero dei parlamentari che ricalca esattamente quella di tre anni fa: da 630 a 508 deputati e da 315 a 254 senatori. Il numero dei deputati e dei senatori è fissato dalla Costituzione e per fare questa modifica occorre una legge Costituzionale. La fine della legislatura è a primavera del 2013: si fa in tempo ad approvare una simile riforma? Quando c’è grande consenso tra le forze politiche i tempi per una modifica della Costituzione non sono necessariamente lunghi. Ma il problema è appunto quello dell’adesione politica ai cambiamenti. Ricordiamo il paradosso che avvenne nel 1970 con la nascita delle regioni. Il centro non amava questa 23 L’intervista stituente si era frapposto perché non venisse realizzata mentre chi a suo tempo l’aveva combattuta, come il Pci, era diventato il portabandiera del regionalismo. La Dc non teneva conto che il sistema delle autonomie era il punto di forza della sua ispirazione e della cultura sturziana che si portava dietro: fin dall’inizio della vita repubblicana sembrò anzi accantonare più di un fondamento di quella dottrina. Il punto è che la riduzione del numero dei parlamentari va fatta con il consenso di quelli che devono votarla. Se questa riduzione fosse drastica si cor- concreto, in quale direzione si potrebbe lavorare per arrivare a un risultato entro questa legislatura? Mi auguro che sulla base di un riferimento istituzionale autorevole come quello del Presidente della Repubblica, e sulla base di una qualche neutralità attiva del governo tecnico nel favorire i miglioramenti possibili, si trovi la strada giusta. Il rischio da evitare è che ci sia una parte che si contrappone e un’altra che invece spinge verso la riforma. Deve esserci intesa, e qui entra in gioco la disponibilità del Pdl, rispetto alla quale c’è però qual- Nel Paese c’è bisogno di partiti politici ispirati al moderatismo, non alla conservazione, e di un grande partito politico riformista come il Pd di natura elettorale, di bilancio, ma senza tener conto che si sono fatti alcuni decreti attuativi del federalismo, e questi implicano la presenza preponderante delle regioni in una delle due assemblee e quindi nel Senato. In queste condizioni è difficile che il federalismo possa essere attuato a breve. Un altro test politico per eccellenza è quello della legge elettorale. Le ultime proposte tornano a parlare di un sistema un po’ alla tedesca, con uno sbarramento iniziale del 5% e con l’idea di un sistema di premi per chi superi una seconda soglia, quella dell’11%, quindi un sistema che incentivi o che privilegi i gruppi maggiori rispetto a quelli L’errore compiuto dalla Dc e dal Pci è stato che nessuno dei due partiti ha approfondito le ragioni della sconfitta, la Dc nel 1993-1994 e il Pci nel 1989 rerebbe il rischio di una ribellione dei deputati e dei senatori. Ci sono state nel passato proposte di legge, una per esempio di Gerardo Bianco che limitava il numero a 400 deputati e 200 senatori, e c’è stata anche una mia proposta analoga, che però non sono state mai prese seriamente in considerazione. La verità è che queste grandi riforme spesso sono più desiderate che concretamente sostenute. Insomma ci vuole gradualità. In 24 che riserva. Il Pdl sosteneva, infatti, una riforma della Costituzione drastica: il premierato assoluto, combattuto soprattutto dai partiti di centro sinistra. Oggi c’è una nuova occasione per portare avanti le riforme costituzionali, ma quello che vedo nelle proposte in circolazione crea anche un motivo di preoccupazione. Davvero il Senato deve rispondere a un bicameralismo virtuale? Cioè il disegno di legge ti arriva solo se ne fai richiesta, salvo per quelli di natura costituzionale, minori. Considerata l’attuale situazione politico-parlamentare, una proposta del genere è in grado di arrivare a conclusione in vista delle prossime elezioni e quindi diventare la nuova legge elettorale? Credo che un meccanismo sulla base di quello tedesco possa essere preso come punto di riferimento, anche se le diversità di sistema politico complessivo e le diversità dal punto di vista culturale, economico e sociale tra noi e la Germania ci sono. Il problema è ave- La riduzione del numero dei parlamentari va fatta con il consenso di quelli che devono Quando c’è consenso tra le forze politiche i tempi per una modifica della gjghjghj Costituzione non sono lunghi. Il problema votarla, quindi non può essere troppo drastica è l’adesione politica ai cambiamenti re coerenza nell’impostazione di una legge elettorale: consentire, cioè, da una parte la più larga base di rappresentanza del corpo sociale, e dall’altra fornire alla maggioranza il sostegno necessario a diventare governo di coalizione e quindi essere governo di legislatura. C’è anche chi invoca il semplice ritorno a un sistema proporzionale puro… Guai a immaginare di poter fare una legge elettorale che ci proietti all’indietro, quando nessuno sapeva che cosa sarebbe accaduto dopo le elezioni e con quali forze politiche formare i governi. È necessario che ci sia una proposta politica programmatica che consenta di mettere insieme quelli che sono meno distanti rispetto ai rispettivi programmi; ed è necessario avere programmi che siano sostenuti dalla coalizione che riceve la maggioranza dei voti dal corpo elettorale. Il rischio di ripetere l’esperienza negativa del 2006-2008 non può non fare aprire gli occhi ai “costituenti”: non possiamo ricercare le diversità più etero- genee pur di vincere, abbiamo bisogno di culture che si confrontino e convergano su una linea programmatica, soprattutto da parte di quelle forze politiche che hanno abbandonato l’ideologismo. I protagonisti di tutta la vicenda politica e istituzionale di cui stiamo parlando restano comunque i partiti. In questa fase storica i partiti hanno un gradimento molto basso agli occhi dei cittadini, credo per ragioni fondate. Lei condivide l’idea di una ripartenza dell’organizzazione dei partiti dall’articolo 49 della Costituzione? La disciplina dell’articolo 49 è sempre stata considerata un rischio da parte di tutti i partiti usciti dalla Resistenza. Ritengo però che una disciplina in termini di trasparenza e di legalità sia utile. L’articolo 49 della Costituzione per essere attuato ha bisogno di una legge che obblighi i partiti ad avere comportamenti coerenti, leggibili all’esterno e a praticare una selezione di classe dirigente che non sia affidata agli abusi e al condizionamento da parte del centro rispetto alle tante realtà periferiche presenti sul territorio. In vista delle prossime elezioni amministrative il Partito democratico ha dato il via a una fase di primarie che alle volte hanno finito con il creare maggiori difficoltà di quelle che erano chiamate a risolvere. È un problema di regolamentazione del meccanismo, o sono le primarie in sé da ripensare? Qui c’è la doppia cultura: accettare le primarie significa accettarle in tutte le loro implicazioni, e quindi anche una disciplina che ne regolamenti lo svolgimento. Tuttavia se le primarie servono per selezionare il candidato appartenente a una forza politica è un conto, se servono per un candidato di coalizione è un altro conto. Si obietta che c’è il rischio di un’alterazione dei risultati. Io penso che non ci si debba allarmare troppo: il partito di maggioranza relativa che forma una coalizioUna legge elettorale “alla tedesca” può essere presa come riferimento, nonostante le diversità politiche, culturali e sociali tra noi e la Germania 25 L’intervista ne può fare l’intero bottino – programma e candidato – o realizzare preventivamente, come a me pare giusto, un accordo programmatico e poi dare spazio a quelli che si candidano per gestirlo. Se sono primarie, per scegliere il candidato di un solo partito, bisogna dare maggiore libertà senza invadenze centralistiche. Se uno adotta il metodo delle primarie, salvo ragioni morali, etiche, diciamo di opportunità dovute a circostanze ben precisate, tutti vi possono partecipare. Le primarie devono dare alla periferia la possibilità di poter esprimere il meglio che quel territorio può offrire in termini di classe dirigente, come assunzione di responsabilità di vertice. E quando sono primarie di coalizione? In questo caso il problema si sposta perché per vincere senza nulla togliere a eventuali altri aspiranti, il candidato della coalizione non può non impegnare i partiti dei quali è espressione. Qui molto dipende dalla capacità di mediazione dei partiti. Ritengo che i partiti oggi vivano una grande difficoltà al loro interno: pensare che tutto sia addebitabile al vertice e dei partiti è un errore. Nessuno prende atto, ad esempio, mpio, che i partiti oggi sono organizzati ati più in modo televisivo che non sul terri-torio. Uno parla a Roma perché hé in-tenda Sassari, Bari, Palermo. Ma a non può essere la televisione a selezionare onare le classi dirigenti. Non si può diventare entare importanti solo perché si va in televisione; bisogna andare in televisione perché si è diventati importanti: questa logica si è rovesciata. E per diventare importanti bisogna sapere che cosa succede sul territorio. I partiti prima c’erano sul territorio mentre oggi non ci sono più. Ritenere che di tanto in tanto, in occasioni come quelle delle primarie debba comparire a sostegno qualche leader politico a mio avviso è un errore. La sua presenza può anche apparire una insopportabile interferenza e infatti molte volte il territorio rivendica anche polemicamente l’autonomia, basta vedere le ultime esperienze negative. Siamo partiti dal governo, torniamo per concludere al governo. Che consigli darebbe a Monti per concludere efficacemente l’anno di lavoro che ancora gli resta fino alla primavera del 2013? Non devo dare consigli a Monti, ma ritengo che il presidente del Consiglio essendo al vertice di una coalizione, deve discutere all’interno di essa e arrivare poi con una sola voce al tavo- L’articolo 49 per o di una legge che essere attuato ha bisogn obblighi i partiti ad avere comportamenti all’esterno coerenti, trasparenti e leggibili 26 lo del confronto con le forze sociali del Paese. Non sono in discussione bravure, capacità e professionalità dei singoli ministri: i provvedimenti devono passare dal Parlamento e non si può sempre fare ricorso al voto di fiducia. Il governo Monti gode di un grandissimo credito perché ha fatto uscire il Paese dal rischio del precipizio. C’è anche da tenere conto che le forze politiche che potevano mirare alle elezioni anticipate vi hanno rinunciato. Penso al Partito democratico che poteva tranquillamente spingere in quella direzione di fronte al fallimento del centro destra. A me fa meraviglia sentire il Pdl quando sostiene che questo governo non sta facendo nulla di meno e nulla di più di quello che stava facendo il precedente governo: se fosse così saremmo esattamente in quel precipizio dal quale Monti ci sta portando fuori. Ci ha salvati Monti e anche il senso di responsabilità del Pd e dell’Udc nel sostenere, come stanno facendo, scelte di governo dure nel loro impatto popolare, ma necessarie per uscire dalla crisi e creare le premesse di un nuovo sviluppo. Monti a d i f s la Una società più equa IL MONITO LANCIATO . dal premier alle forze politiche SULL’ARTICOLO 18 indica un cambio di strategia nei rapporti tradizionali tra governo e parti sociali. La stampa estera tra elogi e interrogativi di MIMMO SACCO IL VIAGGIO IN ASIA È STATO UN SUCCESSO: DAL PRESIDENTE CINESE HU JINTAO MONTI HA INCASSATO LA PROMESSA DI MAGGIORI INVESTIMENTI IN ITALIA 29 primo piano Una proposta di riforma dell’articolo 18 è stata individuata nell’adozione del “modello tedesco” per i licenziamenti motivati da ragioni economiche 30 Sono sotto gli occhi di tutti i risultati positivi conseguiti, in pochi mesi, dal governo di “impegno nazionale” sul piano delle riforme e della ritrovata credibilità internazionale. Ma, al tempo stesso, il pre- mier tiene ad avvertire che “l’emergenza non è finita, non si risolve in un anno”. La direzione di marcia sembra, comunque, quella giusta per far fronte a una preoccupante recessione che ci colpirà per tutto il 2012 con risvolti negativi sull’occupazione. Ma la strada per il governo, finora sostanzialmente piana e confortata comunque da un ampio consenso sta assumendo in parte la fisionomia di un sentiero molto stretto e accidentato. Si prevedeva che la riforma del lavoro, e in particolare l’articolo 18, sarebbe stato un passaggio difficile e tale si sta rivelando. Questo articolo, che riguarda i licenziamenti per motivi eco- nomici, è entrato con una irruzione fragorosa nella scena politica interna. Ha in sostanza ege- monizzato i media, l’opinione pubblica e il dibattito politico con un impeto potenzialmente devastante. Su questo terreno, insidioso e minato, va registrato l’esplicito avvertimento di Monti: “Se il Paese non è pronto a queste riforme – alias se i partiti fanno resistenza passiva – sono pronto a lasciare”. È un avviso ai naviganti molto chiaro e che non va sottovalutato. Quest’affermazione del premier, infatti, rispecchia il suo modus operandi, e al tempo stesso la si può leggere anche in filigrana come funzione pedagogica che l’esecutivo ritiene di dover esercitare in questa fase, affinché la riforma “non finisca su un binario morto”. L’esigenza di inviare un messaggio di collaborazione distensiva a Monti ha spinto la maggioranza a raggiungere una prima intesa sulla riforma elettorale, da Napolitano subito apprezzata. E il premier ha ricambiato l’attenzione. Di fronte, soprattutto, alle forti preoccupazioni del Pd e dei sindacati, ha annunciato: “Voglio unire, non dividere. Voglio trovare soluzioni che facciano avanzare il Paese, non creare problemi che spacchino partiti o parti sociali”. E poi la “communis opinio” fa giustamente osservare che, non essendoci un’alternativa all’attuale equilibrio, questo dovrebbe incoraggiaL`AVVENTO re a raggiungere un’intesa. Ma tra godei “montiani” verno e partiti non ha rivoluzionato servono reciproci gli schemi della toni di sfida. L’impecomunicazione gno comune va ripolitica nel volto piuttosto al Paese: sono bene del Paese, cioè pragmatici, alla coesione nazioprendono nale. “Chi gode di decisioni forza e credibilità ocrapide, corre che tenti di artalvolta monizzare il carattenon condivise re dei cittadini e conma durli senza timore concrete verso il meglio… sapendo che è piuttosto laborioso il cambiamento delle moltitudini”, ammoniva Plutarco. Osservatori politici attenti fanno notare che l’avvento dei “montiani” ha rivoluzionato gli schemi della comunicazione: sono pragmatici, prendono decisioni rapide, magari talvolta sbagliate o non condivise ma Obama ha elogiato il nostro premier per le riforme strutturali e per “il ruolo importante dell’Italia in Europa” Tra governo e partiti non servono reciproci toni di sfida. L’impegno comune va rivolto al bene del Paese, cioè alla coesione nazionale concrete, con le quali è difficile polemizzare se non contrapponendo tesi altrettanto concrete. L’articolo 18 comporterà ulteriori giornate roventi. In una situazione di grave crisi economica costituisce, indubbiamente, un nodo non facile da sciogliere ma ritengo vadano evitati toni ultimativi, con contrapposizioni laceranti che denunciano una sorta di chiusura dogmatica. Non giovano e possono sfociare in esiti politicamente disastrosi. La soluzione di questa dialettica, se si è saggi e lungimiranti, non può non portare alla sintesi che in politica vuol dire mediazione. Tutti noi dovremmo essere consapevoli che “quos Deus fuori strada, scuotendo così la stabilità del governo. Servirà anche l’intelligenza pragmatica di Monti. Se tutti gli uomini di buona volontà remeranno nella stessa direzione riusciremo, spero presto, a lasciarci alle spalle questi giorni burrascosi. In una fase difficile come questa nessuno può stravincere. Napolitano, come grande regista dell’“operazione Monti” si adopera con la sua “moral suasion” a contrastare una pericolosa spirale politica di scontro, raccomandando “moderazione e attenzione”. Il capo dello Stato ritiene fondamentale la riforma del lavoro per ridare slancio alla crescita dell’economia e all’occupazione dei tivati da ragioni economiche. In questi casi, il magistrato del lavoro può annullare il licenziamento – ordinando il reintegro – o stabilire un congruo indennizzo. Nella nostra società il concetto di lavoro ha, giustamente, acquistato un significato che va al di là dei suoi indicatori economici. La liberalizzazione del lavoro è indubbiamente un concetto positivo ma questo non va tradotto in libertà indiscriminata di licenziamento. In quest’ottica si colloca l’intervento della Cei, che tiene a sottolineare che “il lavoratore non è una merce, non lo si può trattare come un prodotto da eliminare per motivi di bilancio”. E questo spiega per- giovani. Da Napolitano è venuto un forte monito: “Le nuove generazioni non devono essere penalizzate da ingiustificate precarietà o da forme inammissibili di sfruttamento”. Sulla riforma del lavoro è inoltre arrivato un significativo riconoscimento da parte dell’Ocse, che la considera “un passo positivo nella giusta direzione”. Una via d’uscita, da più parti proposta o sollecitata, è stata individuata sostanzialmente nell’adozione del modello tedesco per i licenziamenti mo- LA CEI Da Napolitano è arrivato un forte monito: “Le nuove generazioni non devono essere penalizzate da ingiustificate precarietà o da forme inammissibili di sfruttamento” perdere vult, prius…”. In tale contesto mi viene spontaneo riportare una celebre riflessione di Moro che mantiene tutta la sua attualità: “Oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità. Si tratta di essere coraggiosi e fiduciosi al tempo stesso, si tratta di vivere il tempo che ci è dato di vivere con tutte le sue difficoltà”. Ora che della materia è chiamato a occuparsi il Parlamento, sta alle forze politiche evitare di provocare pericolosi sbandamenti, con il rischio di uscire ha sottolineato che “il lavoratore non è una merce, non lo si può trattare come un prodotto da eliminare per motivi di bilancio” ché Monti ha offerto un segnale di attenzione dettato dal realismo, ovvero si agirà “per impedire abusi dagli imprenditori”. Va detto, però, che gli investimenti esteri nel nostro Paese non sono solo frenati dall’articolo 18, ben- 31 primo piano Per l’Ue le misure strutturali adottate dall’Italia vanno nella direzione giusta e ci si aspetta un ulteriore sforzo per la crescita sì dalla burocrazia, dalla corruzione e dalla criminalità organizzata. Va infine segnalato un altro aspetto di primo piano: l’azione del premier sul piano internazionale. Con stile e passo cadenzato, Monti si sta muovendo su uno scenario molto vasto, seguendo una road map che lo ha portato prima in Europa, poi negli Usa con Obama e, nelle scorse settimane, in Cina, Giappone e Corea del Sud. Lo scopo è stato quello di convincere l’importante mercato asiatico dell’affidabilità del 32 nostro Paese. La sua missione si è rivelata fruttuosa. Dal presidente cinese Hu Jintao Monti ha incassato la promessa di maggiori investimenti in Italia. E da Obama – al vertice di Seul – ancora un elogio per le riforme e per “il ruolo importante dell’Italia in Europa”. Con il suo recente viaggio di quattro giorni (Libano, Israele, Palestina ed Egitto) Monti ha mostrato un cambio di sensibilità e cioè molta più attenzione del passato per la posizione europea sulla vicenda delicata e complessa del Mediterraneo. Sul piano europeo Monti ha sempre tenuto a illustrare ai suoi interlocutori, a partire da Bruxelles, le riforme adottate. “Vogliamo dimostrare” ha spiegato recentemente “che non solo abbiamo fatto i compiti a casa, ma siamo pure saliti in cattedra”. E in questa affermazione è trasparente il giusto scatto di orgoglio nazionale di chi non vuole che il nostro Paese continui a essere considerato come un pigro e recalcitrante scolaretto. E i risultati si sono visti. Sul piatto della bilancia, infatti, vanno posti gli unanimi riconoscimenti europei. Per l’Ue, le misure strutturali adottate vanno nella direzione giusta e “ora ci si aspetta un ulteriore sforzo per la crescita”. Una notazione finale sull’uomo Monti. Il “Wall Street Journal” ha paragonato recentemente il premier italiano alla Thatcher. Accostamento, mi pare, improprio e frettoloso. Dalla Iron Lady si può dire che sia lontano per formazione personale e culturale. Va ricordato infine che il mitico Raffaele Mattioli, suo zio, era un banchiere umanista. Il Caso | Lega Siamo di fronte ad una brutale nemesi storica verso chi gridava “Roma ladrona” ponendosi come aspro censore del malcostume politico altrui La devastante bufera giudiziaria che ha colpito il Carroccio ha travolto il Capo indiscusso e non solo lui. Bossi si è dimesso da segretario e, con uno scatto di orgoglio, ha riconosciuto: “chi sbaglia deve pagare”. Costretto alle dimissioni anche il figlio Renzo. Il simbolo del cesarismo carismatico ha deposto lo scettro, dopo una lunga stagione durata 23 anni (la Lega è il più antico partito italiano). Il crollo è avvenuto sotto il peso di un’accusa esplicita. Uso Calderoli e Dal Lago è chiamato a guidare il partito fino al Congresso federale, previsto per giugno. Maroni, che si è affrettato a chiedere “pulizia”, si è indubbiamente rafforzato e oggi appare come il po e sul “Domani d’Italia” ho avuto modo di registrarli puntualmente. Bossi ha perso lo sfascio del Carroccio di Mimmo Sacco Maroni, che si è affrettato a chiedere “pulizia”, si è rafforzato e oggi appare come il successore naturale di Bossi La caduta di Umberto Bossi segna il drammatico epilogo della “rivoluzione” leghista. Potrà esserci una rinascita? privato da parte della sua famiglia di denaro pubblico (rimborsi elettorali). Questo emerge dall’inchiesta di tre Procure – Milano, Napoli, Reggio Calabria – che indagano in modo coordinato e che vedono coinvolto l’ex tesoriere Francesco Belsito, che è stato espulso dal Carroccio. La reazione della base è stata immediata: sconcerto, delusione e rabbia. Il sofferto gesto del Senatur segna il drammatico epilogo della “rivoluzione” leghista, un partito fondato su una forte caratterizzazione ideologica e identitaria, e questo avviene alla vigilia di elezioni amministrative che – ritengo – segneranno per il movimento un duro contraccolpo in termini di consenso. Dopo lo scandalo, un triumvirato con Maroni, successore naturale. Ma Maroni non ha fretta, anche perché ci sono preoccupanti ferite aperte da rimarginare: c’è chi lo considera un “traditore” ma Bossi, che da tempo fiuta il vento, lo difende. E poi l’ex ministro non cerca affatto lo showdown con Bossi (lo dimostra la sua nomina a Presidente del partito). Piuttosto attende la resa dei conti con il “cerchio magico” – i fedelissimi del Capo – che sono ormai un mito infranto. I segni premonitori del declino del Senatur si avvertivano da tem- sempre più il contatto con il vasto mondo dei ceti produttivi del Nord. Questo, in estrema sintesi, il quadro desolante che offre, oggi, il Carroccio. Siamo di fronte ad una brutale nemesi storica verso chi gridava “Roma ladrona”, ponendosi come aspro censore del malcostume politico altrui. E ormai sembra fuori tempo massimo un loro eventuale ricorrere ancora al rito “purificatore”, in quelle sorgenti magiche del Dio Po, immagine plastica di un paganesimo localista. 35 Le crisi e le trasformazioni del servizio pubblico televisivo hanno un collegamento diretto con i cambiamenti del sistema educativo e questo si riflette nei gusti dei telespettatori In nome della lotta all'occupazione dei partiti si gioca attorno alla Rai una partita a scacchi tra vari potentati. Spesso si fatica a capire dove corra la linea di difesa del servizio pubblico o come si articoli una proposta di cambiamento. E' vero, ogni nuovo ciclo politico porta allo scoperto la volontà d'imprimere una svolta nel governo del sistema televisivo. Tuttavia in questa dinamica si scorgono sovente i riflessi della polemica strumentale, come nello spirito e nella modalità di certi attacchi al Direttore generale. I riformisti devono dotarsi di una strategia lucida e coerente, intanto non fornendo copertura a quella specie di "partito raidicale" che nasconde nelle A favore del Gop, pieghe dell'oltranzismo l'indomito spila recente rito di gioca corporazione. redistribuzione causata Monti faccia quel che deve, visto che ha dal censimento decenin mano le carte per introdurre i camnale, che haProponga aumentato il biamenti necessari. la nomipeso dei territori del sud na di un Presidente all'altezza dei nuocome Texas, Florida, Arivi compiti e dia mandato al futuro Conzona, Carolina del Sud, siglio di amministrazione d'investire Georgia, Nevada e Utah, sulla forza della Rai, anzitutto facendo più favorevoli al Partito leva sulle riconosciute professionalità inrepubblicano terne. Occorre rivedere la filosofia e l'organizzazione dei programmi, rinnovare l'attenzione e la cura per il pluralismo, valorizzare le identità sociali e territoriali, promuovere forme e modelli d'interpretazione di un'Italia che ha bisogno come tutti avvertiamo - di rispecchiarsi in uno slancio corale di rinnovamento culturale, civile e politico. Buon lavoro! (L. D.) seco c ndo il dire r tt ttore r della BBC John Re R ith la t v pubblic a è la che parla alla NO nazione Nazione al partito Raidicale 37 specialerai La TV pubblica deve costituire un modello di eccellenza editoriale per tutti gli operatori del mercato a prescindere dalla loro mission specifica Il mercato radiotelevisivo non è in grado di assicurare la produzione e l’offerta di contenuti che abbiano la capacità di soddisfare l’interesse generale: di qui la necessità di un servizio pubblico Una nuova concezione del servizio pubblico da parte della Rai può innescare una fase di rilancio dell’azienda e di costruzione di una sua nuova centralità nel sistema La funzione di servizio pubblico radiotelevisivo è di grande importanza perché esercita un forte impatto sulla popolazione. L’aggiornamento del suo effettivo contenuto rispetto ai mutamenti che hanno caratterizzato la società contemporanea e il mercato della comunicazione complessivamente inteso, devono essere l’obiettivo prioritario del “broadcaster” di servizio pubblico. Perché un servizio pubblico radiotelevisivo rinnovato deve e può divenire un importante fattore di riequilibrio delle dinamiche di mutamento sociali in atto in tutto l’Occidente postindustriale. Affinché questo Il servizio pubblico nella società che cambia La Rai deve possedere una propria cifra editoriale e stilistica, diversa dagli altri competitor e in grado di rappresentare il Paese nelle sue trasformazioni di Lorenza Lei* ruolo possa essere svolto nella sua pienezza, è necessario che si avvii una seria riflessione su come la funzione in sé debba essere strutturata e declinata nel nuovo contesto sociale e competitivo e, una volta chiarito questo elemento, occuparsi delle soluzioni di indirizzo, di controllo, di governo e di finanziamento con esso coerenti. Non solo il contesto sociale sta cambiando, anche l’assetto competitivo è in veloce trasformazione e una nuova concezione di servizio pubblico, accompagnato da una nuova modalità di suo esercizio da parte della Rai, possono innescare una fase di rilancio dell’azienda e di costruzione di una sua nuova centralità nel sistema. Perché la Rai non può permettersi di non essere centrale. La veloce crescita di penetrazione dei vettori di offerta di contenuti audiovideo su internet a banda larga consente l’ingresso nel mercato da parte di nuovi attori di dimensione internazionale, che tendono a insidiare il posizionamento che tradizionalmente hanno fino ad oggi occupato i broadcaster. YouTube, Apple, Netflix ma anche i grandi produttori di televisori e di terminali digitali (televisivi e non) come Samsung, Sony, Philips, la stessa Microsoft stanno sempre di più sviluppando la tendenza a giocare il ruolo degli aggregatori di contenuti video da offrire direttamente e in prima persona all’utente finale. Anche in un mercato che cambia e si struttura su nuovi equilibri fondati sull’ingresso di nuovi attori di dimensione sempre più sovranazionale, la Rai deve poter giocare un ruolo da protagonista in forza del rinnovamento della propria missione e della propria capacità di esercitarla correttamente. QUALE “MISSION” PER LA NUOVA RAI? La verità è che il mercato in quan- 8 383 Obiettivo: saper garantire al tempo stesso qualità e specificità del prodotto e un livello adeguato di fruizione dello stesso da parte dei cittadini L’azienda deve agire da mediatore culturale in forza delle proprie competenze professionali e del ruolo che il Governo le affida to tale non è in grado di assicurare la produzione e l’offerta di contenuti che abbiano la capacità di attrarre e soddisfare l’interesse generale. Questa è la ragione dell’esistenza degli operatori di servizio pubblico, anche nell’ambito di contesti competitivi e di mercato. E questa deve essere la ragion d’essere della Rai e la sua mission principale. Gli estremi di fondo che la descrivono potrebbero essere: 1) rappresentare il Paese in tutte le sue componenti, nazionali, territoriali e locali; 2) fungere da unificatore del paese favorendo la comunicazione fra i cittadini e fra le comunità nelle quali si articola la cittadinanza; 3) agire da mediatore culturale in forza della propria competenza professionale e del ruolo che il governo le affida, rappresentando il senso dello Stato e facilitando la possibilità che i cittadini si riconoscano in esso; 4) ridisegnare il proprio ruolo di editore “universale”, in grado di presidiare tutta la catena del processo editoriale, a partire dall’ideazione dei conte- nuti, dalla loro produzione e dalla loro armonizzazione nelle varie tipologie di offerta; 5) garantire l’accesso ai propri contenuti a tutti i cittadini attraverso le varie soluzioni che l’evoluzione delle tecnologie della comunicazione consentono; 6) fungere da polo di riferimento e modello di eccellenza editoriale per tutti gli operatori del mercato indipendentemente dalla loro mission specifica; 7) rappresentare l’Italia nel mondo aprendo al tempo stesso la conoscenza del mondo ANCHE CON L’INGRESSO nel mercato televisivo di nuovi attori di dimensioni sempre più sovranazionali, la Rai deve poter giocare un ruolo da protagonista nel sistema agli italiani; promuovere la produzione audiovisiva nazionale anche utilizzando al meglio le capacità produttive locali e favorire l’innovazione tecnologica in tutti i settori di attività; 8) essere un bacino di formazione di nuove professionalità, anche sviluppando sinergie con strutture e istituzioni esterne (università, scuole e aree di formazione) innescando una nuova cultu- 39 specialerai Garantire la ricezione a tutti i cittadini attraverso le varie soluzioni che le moderne tecnologie consentono L’azienda deve essere in grado di presidiare tutta la catena del processo multimediale: dall’ideazione dei contenuti alla loro produzione e alla veicolazione dell’offerta È POSSIBILE coniugare una programmazione di qualità, costi contenuti e risultati significativi di share 40 ra del prodotto e creando nuove occasioni occupazionali. LA CIFRA EDITORIALE DEL PRODOTTO RAI - va, infine, resa il più possibile chiara ed identificabile da parte della cittadinanza la corrispondenza tra l’offerta televisiva Rai e la funzione di servizio pubblico. La Rai deve possedere una propria cifra editoriale e stilistica, nettamente distinguibile da quella degli altri operatori del mercato e nello stesso tempo in grado di rappresentare il Paese nella sua complessità. Esistono delle modalità di declinazione editoriale del prodotto televisivo in grado di assicurare il compimento della funzione pubblica che alla Rai compete, senza per questo restringere il bacino di utenti a cui si riferisce, trasfor- mandolo in una nicchia o in un segmento marginale. È proprio nel raggiungimento di questo equilibrio che si deve misurare la mediazione professionale dell’operatore di servizio pubblico, che deve saper garantire al tempo stesso qualità e specificità del prodotto da un lato e, dall’altro, un livello adeguato di fruizione dello stesso da parte dei cittadini. Questo deve essere il percorso per riconquistare la centralità che la Rai ha sempre avuto nel sistema e che ora non può rischiare di perdere. Una centralità fatta di eccellenza e autorevolezza di prodotto e di identità e riconoscibilità dello stesso, indipendentemente dal mezzo di diffusione e di fruizione dei contenuti utilizzati. *LORENZA LEI, Direttore generale della Rai Al di là delle molteplici identità individuali e collettive, nella nazione è in atto quel “plebiscito di tutti i giorni” che, secondo la definizione di Ernest Renan, esprime la volontà del vivere insieme Oltre alla decisiva unificazione linguistica, il servizio pubblico nei primi decenni della sua storia ha esercitato una funzione formativa, innescando sviluppi culturali di grande originalità La finalità del servizio pubblico oggi è fornire ai cittadini i mezzi per orientarsi consapevolmente in un mondo sempre più complesso, plurale, multiculturale ALLA BASE DEL SERVIZIO PUBBLICO: IL RAPPORTO TV-NAZIONE - voglio prendere le mosse dalla definizione classica di servizio pubblico televisivo, formulata da John Reith, storico direttore della BBC: “La nazione che parla alla nazione”. Qui, la nazione che parla è una nazione al singolare. Ciò significa che, al di là delle sue divisioni, essa riesce a parlare come un’unità ben integrata, in nome della coesione derivante dal patriottismo costituzionale. Ma anche la nazione alla quale viene rivolta la parola è una nazione al singolare. E ciò significa che, al di là delle molteplici identità individuali e collettive, nella nazione è in atto quel “plebiscito di tutti i giorni” che, secondo la definizione di Ernest Renan, esprime la volontà di vivere insieme. Negli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, quando la televisione divenne uno strumento di comunicazione di massa nei vari Paesi europei, non era difficile parlare di nazione al singolare. Oggi parlare di nazio- ne al singolare è sempre più messo in dubbio sia dalle condizioni multiculturali del nostro continente, sia dalla crescente diversificazione dei progetti di vita dei singoli cittadini. Ma proprio per questo l’obiettivo della coesione nazionale è sempre più urgente. Solo che oggi la necessità primaria è quella di creare un’idea di cittadinanza condivisa da individui e da gruppi “uguali ma differenti”, per dirla con Alain Touraine. La nostra società è inve- ro a un punto di biforcazione: può evolvere verso una condizione di semplice giustapposizione fra culture differenti, oppure verso una matura società interculturale, in cui i gruppi e le culture si trasformino vicendevolmente. Penso che i media, e in particolare il servizio pubblico televisivo, non si possano sottrarre alla responsabilità di prendere partito consapevole in questa incombente biforcazione. LA FUNZIONE PEDAGOGICA DELLA RAI, DALL’ALFABETIZZAZIONE DI MASSA ALLA MULTIMEDIALITÀ - queste note possono valere Un’altra Rai è possibile di Mauro Ceruti* Gli ultimi 20 anni hanno visto il servizio pubblico inseguire obiettivi commerciali, di audience e mercificazione della cultura. La prima azienda editoriale del Paese non può per tutte tuttte le le nazioni naziionii europee. euro r p Ma il abdicare al suo ruolo particolare, caso italiano è part r icolar data la particolarità della funzione qui esercitata dalla televisione nei decenni del secondo dopoguerra. In Italia, la diffusione di una lingua nazionale condivisa da tutti gli strati della popolazione è avvenuta molto tardi. A differenza dalla gran parte delle nazioni europee, questo processo si è prolungato fino alla se- 41 specialerai conda metà del Novecento e il suo compimento si è avuto proprio grazie all’azione della televisione. E, oltre a questa decisiva funzione linguistica, il servizio pub- La trasmissione televisiva del cinema e del teatro li ha resi patrimonio “unitario” del Paese, simboli di una identità culturale comune nonostante la diversità di forme ed espressioni 42 blico della televisione italiana nei primi decenni della sua storia ha esercitato una funzione formativa a spettro assai ampio, innescando sviluppi culturali di grande originalità. Pensiamo, ad esempio, allo spazio riservato alla grande tradizione del teatro regionale e dialettale italiano – con Eduardo de Filippo, Gilberto Govi, Cesco Baseggio, Erminio Macario, tanto per fare alcuni nomi – presentato a ragione nelle sue “diversità” come patrimonio “unitario” della nazione: ciò ha contribuito a elaborare l’idea che la cultura e la nazione italiane trovano la loro unità attraverso e nonostante la loro costitutiva molteplicità e diversità di forme e tradizioni culturali. Pensiamo anche alla forma tipica del- lo “sceneggiato” come strumento di diffusione, e non già di volgarizzazione, di pilastri narrativi della cultura letteraria europea e anche non europea, secondo i più vari registri, da Dostoevskij a Simenon. Oggi, in un’età assai diversa, le crisi e le trasformazioni del servizio televisivo pubblico hanno un notevole parallelo con le crisi e le trasformazioni del sistema educativo pubblico: della scuola e dell’università. La moltiplicazione dei saperi e delle tecnologie della comunicazione ha relativizzato e ridotto il peso formativo della scuola nei percorsi di vita dei giovani. Oggi la scuola è solo una parte delle esperienze formative dei giovani, spesso nemmeno la più importante. Ma proprio in virtù della moltiplicazione disordinata dei contenuti e delle forme dei saperi, l’importanza e la responsabilità di una funzione strategica del sistema educativo pubblico si ac- cresce sempre di più. Al sistema educativo pubblico spetta un ampio spettro di compiti: organizzare i contenuti, le informazioni e i saperi molteplici ai quali ogni persona accede sin dalla più tenera età; elaborare “mappe cognitive” capaci di orientare in un oceano sterminato di informazioni e conoscenze; insegnare l’autonomia cognitiva, cioè ad apprendere ad apprendere nell’universo di saperi, di competenze e di tecnologie in rapido e tumultuoso mutamento. Le analogie con la crisi e la possibile metamorfosi del sistema pubblico televisivo sono notevoli, perché la finalità è la stessa: fornire ai cittadini i mezzi per orientarsi consapevolmente in un mondo sempre più comIL SERVIZIO plesso, plurale, mulPUBBLICO tilinguistico. Anche la funzione del servizio televisivo deve pubblico televisivo, essere una come quella del sinicchia stema educativo, si è strategica: relativizzata e ristretquesto ruolo ta: è diventata solo può rendere una parte di un tutto fecondi televisivo molto più i rapporti ampio e variegato; e con gli altri a maggior ragione, media, è diventata una parvecchi te di un tutto mediae nuovi tico ancora più ampio e variegato. Ma il fatto è che, se di semplice parte, se di nicchia si tratta, non può che essere una parte, una nicchia strategica, di un grado di generalità – e non di vago “gene- La necessità primaria per il nostro Paese è creare un’idea di cittadinanza condivisa da individui e da gruppi sociali “uguali ma differenti” come diceva Alain Touraine In Italia la diffusione di una lingua nazionale condivisa è avvenuta in ritardo rispetto al resto d’Europa e il suo compimento si è avuto grazie all’azione della tv pubblica ralismo” – di livello differente. Qui è in gioco, appunto, non tanto l’apprendere, ma l’apprendere ad apprendere. In gioco non è tanto l’informazione, ma l’apprendimento del modo di orientarsi nelle informazioni e di selezionare le informazioni. Dobbiamo qui sgombrare il terreno da un possibile fraintendimento. Per il servizio pubblico non vale l’opposizione fra informazione e formazione. Dire che il servizio pubblico debba dare informazioni in forma neutra e oggettive è un nonsenso: informazioni neutre e oggettive semplicemente non esistono. Le informazioni fanno sempre parte di narrazioni influenti, la scelta e la condivisione di informazioni ha sempre un valore formativo. Ma formazione non equivale a indottrinamento. Il valore del servizio pubblico non ha nulla a che vedere con una qualche forma di indottrinamento o di controllo dettata da questa o quella parte politica di volta in volta liana. Non è questa la sede per cercare di riflettere su ciò che ci unisce. Vorrei solo ribadire che la nazione è un’unità nella diversità e una diversità nell’unità delle sue varie componenti storiche, culturali, sociali; e che a sua volta la nazione è parte integrante di unità molteplici – “unitas multiplex” – ancora più articolate, quale l’Europa e il contesto globale nel suo complesso. E queste relazioni fra l’unità e la diversità, e fra le nostre differenti patrie (Italia, Europa, Terra) di generalità differente – ma ormai pienamente radicate nella no- ma” e vi sono innumerevoli occasioni di gossip. Si ha accesso a contributi scientifici autorevoli, ma anche a opinioni e a pseudo informazioni false e fuorvianti. Ci si può aprire all’immensa varietà del mondo e ci si può chiudere nell’autoreferenzialità delle proprie ossessioni. Il più delle volte, nonostante l’esaltazione della “navigazione” nell’oceano di internet, l’utente abituale non abbandona i suoi pochi presìdi confortanti perché non dispone di una guida affidabile che gli consenta di aprirsi al nuovo senza affogare in esso. La La privatizzazione non sfocia necessariamente in maggiore efficienza, in maggiore qualità e in un quadro economico più confortante, soprattutto se non viene riequilibrata da una presenza pubblica prevalente. Qui l’unica parte politica in gioco è quella della nazione, non vagamente, retoricamente o romanticamente intesa: quella della nazione segnata dalla nascita di un nuovo patriottismo costituzionale, nel mondo dei 150 anni dell’unità ita- stra – possono essere rapt vita it quotidiana tidi presentate, comprese e narrate a partire dalle notizie di tutti i giorni, a partire dalla vita quotidiana. Il servizio pubblico televisivo deve essere una “nicchia strategica”: questo suo ruolo può rendere fecondi i suoi rapporti con gli altri media, vecchi e nuovi. Prendiamo il caso di internet. Il suo spettro informativo è enorme: attraverso internet passano messaggi raffinati e vuote ovvietà, informazioni indispensabili e “rumori di fondo”. Vi è un “alto di gam- scuola dovrebbero aiutare a l e l’l’università i ità d bb sviluppare elementi di un orientamento anche nei confronti dei LA SCELTA nuovi media: ma e la spesso non ce la condivisione fanno, o non lo tendelle tano nemmeno. Una informazioni finalità del sistema ha pubblico televisivo sempre dovrebbe essere un valore quella di aiutare formativo questa abilitazione 43 Speciale rai L’azienda dovrebbe sviluppare sul modello del servizio diplomatico o della Banca d’Italia, competenze e professionalità capaci di esprimere la pluralità delle voci della Nazione ai nuovi media. Ma l’esigenza profonda di un’alleanza tra il servizio pubblico televisivo e i sistemi di formazione non finisce qui. Non dovrebbe soltanto aiutare a dar senso e ordinamento alla valanga di informazioni che ogni giorno fluiscono da ogni dove e in ogni dove: dovrebbe anche aiutare a dar senso e ordinamento alle molteplici esperienze quotidiane di ogni persona, che nella nostra società è stretta fra molteplici tendenze e controtendenze, fra tensioni e conflittualità, fra incerte coerenze e apparenti contraddizioni. Tali questioni di metodo sono fondamentali: ma non meno importante è riflettere sulle carenze contenutistiche dell’attuale sistema dei media in Italia, che vanno ben al di là delle carenze del sistema televisivo. E comunque: la questione dei contenuti è indissociabile dalla questione del metodo. Non può non colpire, tanto per Una funzione essenziale della politica in una società complessa è quella di elevare la qualità della vita e della conoscenza dei propri cittadini: la Rai è parte integrante di questa funzione In gioco non è tanto l’informazione dei cittadini ma una nuova capacità di orientarsi e di selezionare le informazioni 44 fare un solo esempio, il grande solco che c’è fra la pochezza del riferimento ai contesti internazionali da parte di tutti i media italiani e, per converso, il grande ruolo di terra di mediazione e di relazione fra le varie culture e le varie aree d’Europa e del mondo che l’Italia potrebbe svolgere nel momento attuale, a causa della sua nuova oggettiva collocazione geopolitica. Questa è un’opportunità, è una vocazione, è una responsabilità a cui l’Italia è chiamata per identità, per storia, per cultura, per collocazione geografica. E, invece, l’informazione sui contesti internazionali oscilla fra la superficialità e la drammatizzazione. Il servizio pubblico soffoca ed è soffocante per la sua asfissia culturale, per eccesso di autoreferenzialità, che contribuisce a provincializzarci e a marginaliz- zarci in sede internazionale. SUPERARE IL DUOPOLIO E REALIZZARE IL PLURALISMO, GLI OBIETTIVI DELLA “NUOVA RAI”- per concludere, vorrei solo indicare alcuni punti che meriterebbero discussione e sviluppo. La riforma del sistema pubblico televisivo è inscindibile dall’attuazione delle altre riforme istituzionali, oggi ineludibili nell’agenda politica. Tutte richiedono la definizione di nuove regole, più adeguate all’attuale sviluppo del Paese e dei contesti globali. E tutte queste riforme sono intrecciate a un necessario rilancio del patriottismo costituzionale. Questo patriottismo costituzionale deve rinnovare il legame con le radici della nostra repubblica, nata dalla prospettiva di un’Europa dei diritti in net- ta opposizione all’Europa dei totalitarismi; ma nello stesso tempo ha bisogno di una sua evoluzione coerente con la nostra nuova età multipolare e multipatriottica (nazionale, europea, globale). La riforma del servizio pubblico televisivo deve essere parte integrante di questo processo. È una tappa essenziale per il progetto di una nazione nello stesso tempo coesa, plurale e aperta al mondo, a cui tutti siamo chiamati. La riforma del sistema televisivo deve avere come linea conduttrice la realizzazione di un compiuto pluralismo. In questa direzione vanno già oggi le grandi opportunità offerte dal digitale e dal satellitare. Ma queste opportunità richiedono supporti e nuovi modelli normativi, e ci impongono ancor di più di affrontare le due grandi questioni macroscopiche che incom- L’informzione da stadio sui fatti internazionali oscilla spesso fra superficialità e sensazionalismo E quindi contribuisce a provincializzarci come cittadini e come Paese nelle sedi e nei contesti internazionali bono: superare l’attuale duopolio del si- fessionali nell’attuale servizio pubblico. Ad stema televisivo nel suo complesso per mi- esempio, si è detto da più parti che in Itarare a un modello policentrico; reinter- lia manca la figura dell’anchorman, cioè La riforma del sistema televisivo deve mirare alla realizzazione di un pluralismo compiuto OCCORRE colui che dà senso e guida narrativa alla caoticità delle notizie. Ma in fondo, ciò significa che il servizio pubblico televisivo dovrebbe sviluppare, un po’ come fa o dovrebbe fare il servizio diplomatico o la Banca d’Italia, competenze e professionalità che siano capaci di esprimere la pluralità delle culture e delle voci della nazione. Solo un dibattito approfondito su queste precondizioni può dare un senso alle varie proposte di riforma del sistema pubblico. Certo, possono essere percorse diverse strade: la costituzione di una o più reti o parti di reti senza pubblicità con l’eventuale privatizza- un’integrazione delle relazioni tra news e web partendo dal successo di un modello riuscito come quello di Rai News 24 pretare l’esigenza di un reale pluralismo del p servizio pubblico, non intendendolo come s moltiplicazione e giustapposizione delle m vvoci politiche rappresentate in parlamento, ma come pluralismo degli attori sociali to e delle voci creative del Paese. Nei seminari promossi da Sergio Zavoli sul servin zio z pubblico televisivo vi sono state interessanti notazioni sulla carenza di ruoli pror re zione del settore commerciale; un’estensione dell’autonomia e della quantità dei contributi regionali in vista di una “rete federale”; un approfondimento delle relazioni tv-internet partendo dalla riuscita di un modello come quello di Rai News 24. Ma il senso complessivo delle riforme sta nelle finalità che vogliamo darle. Per questo non dovremmo essere prigionieri di una visione ideologica della privatizzazione e della concorrenza a tutti i costi. La privatizzazione non sfocia necessariamente in maggiore efficienza, in maggiore qualità e in un quadro economico più confortante, soprattutto se non viene equilibrata da una presenza pubblica che – quali che siano le scelte dettagliate – non può non interessare il sistema televisivo, così strategico – abbiamo detto – per il sistema Paese. Gli ultimi vent’anni sono stati una testimonianza drammatica del degrado che ha portato il servizio pubblico a inseguire obiettivi puramente commerciali, di audience, di spettacolarità e di mercificazione della cultura. Il problema è che in questo modo si è innescato un gioco al ribasso, e il calo di qualità dei prodotti dichiaratamente commerciali ha avviato un calo di qualità anche di quei settori che avrebbero dovuto restare autonomi e anche rispettosi della propria tradizione. L’urgenza è di cambiare segno a questo processo e di trovare regole che sappiano instaurare un circolo finalmente virtuoso: l’aumento di qualità del servizio pubblico può innescare un aumento di qualità complessivo del sistema televisivo e del sistema dei media nel nostro Paese. Una funzione fondamentale della politica in una società complessa è proprio quella di elevare la qualità complessiva della vita e della conoscenza dei propri cittadini. E il governo del sistema televisivo è un elemento decisivo in questo progetto. *MAURO CERUTI, senatore 45 lavoro a i l a t I ’ l o dop amo gli i v l a s i n a i l a It Lettera aperta al presidente del Consiglio su una emergenza diffusa nel Paese: un quarto degli italiani è a rischio povertà. E i tagli si riflettono sul menu delle famiglie di GERO GRASSI* 46 Illustrissimo Presidente Monti, scrivo a Lei questa lettera perché ho il forte bisogno di denunciare una situazione che è sotto gli occhi di tutti e per la quale abbiamo il dovere di intervenire. I dati Istat in merito alla “nuova povertà” sono allarmanti. Non servono i dati per capire in quale situazione versano molte famiglie italiane. Basta farsi un giro nei supermercati per capire come è cambiata la spesa di moltissimi cittadini. I legumi hanno sostituito la carne. Le verdure, che prima erano solo un contorno, fungono adesso da seconda pietanza e per quel che riguarda la frutta, ci si reca ai mercatini rionali ad acquistare quel che resta in ora tarda, con prezzi bassi e qualità ancora più bassa. Il pesce fresco non compare più nei menu di molte famiglie, sostituito, ormai, da surgelati d’importazione. I costi del pane, lievitati alle stelle, hanno determinato una riduzione drastica dei consumi e ci si accontenta degli avanzi del pranzo, per garantirsi la cena. Acquistare alimenti anche per la sera, per molti cittadini è un lusso che non possono permettersi. I dati dichia- rano che un quarto degli italiani è a rischio povertà. Abbiamo il tasso di disoccupazione giovanile più alto d’Europa dopo la Spagna, e una donna su due è senza lavoro. Gli anziani vivono una condizione indicibile. La pensione di anzianità non è sufficiente neppure a garantire le cure necessarie, data l’età. Devono poi acquistare gli alimenti, pagare le bollette e il fitto di casa, quando non è di proprietà. Vivo in Puglia e i dati ribadiscono che il “rischio povertà” si concentra soprattutto nel Mezzogiorno dove sfiora il 39%. Signor Presidente, sono molto preoccupato perché non vedo segnali di crescita. Allarmanti sono anche i dati che riguardano l’occupazione giovanile. Si calcola che nel 2011 si siano persi 80 mila posti di lavoro tra i giovani. Non vanno meglio le cose per l’occupazione femminile, sempre più precariato e meno offerte lavorative, soprattutto nel Sud. Non ho mai pensato di essere un privilegiato, ho sempre lavorato onestamente e non ho fatto mancare nulla alla mia famiglia. Oggi, invece, penso che tutti quelli che, come me, possono Ci sono cittadini, specialmente al Sud, che non possono più mangiare: sono anziani, disoccupati, ma anche famiglie con più figli e monoreddito Abbiamo il tasso di disoccupazione giovanile più alto d’Europa dopo la Spagna e una donna su due è senza lavoro: un’autentica piaga sociale garantire un futuro ai propri figli, senza dover negare loro cure e adeguata alimentazione, sono dei privilegiati. A moltissimi cittadini questo non è più consentito. I servizi sociali delle nostre città sono collassati dalle richieste di aiuto che non riescono a soddisfare a causa della mancanza di fondi, determinata in gran parte dalla crisi e dal patto di stabilità che sta “mummificando” i Comuni. Signor Presidente, se non mettiamo in atto una strategia tesa a salvaguardare le fasce più deboli ci troveremo presto a dover fronteggiare un’emergenza che non appartiene ai paesi occidentali e industrializzati. Mi riferisco all’insorgenza di patologie causate da una dieta alimentare povera di vitamine e proteine. Non esagero quando affermo che ci sono cittadini che “non possono più mangiare”: mi riferisco agli anziani, ai disoccupati, ma anche alle famiglie con più figli e monoreddito. A ottobre è prevista una nuova stangata sulle famiglie. Si parla già dell’Iva che dovrebbe passare dal 21% al 23% per il “Decreto Salva Italia”. Mi chiedo, come possiamo pensare di salvare l’Italia se non salviamo gli italiani? Provo un grande disagio nel vedere professionisti, insegnanti e lavoratori che hanno dato tanto al Paese e che oggi, nella condizione di “pensionati”, faticano a garantirsi il minimo per vivere dignitosamente. Provo un grande disagio quando apprendo che a molti bambini non è concesso praticare uno sport o peggio curarsi i denti o cambiare gli occhiali, perché i genitori non possono far fronte neppure alle spese correnti. Provo un grande disagio quando vedo alla cassa del supermercato dei cittadini lasciare alimenti perché il costo della spesa supera le proprie disponibilità. Provo il disagio di non poter far nulla per loro. Provo il disagio di appartenere alla classe politica, che ha il dovere di intervenire in favore delle classi più deboli. Presidente Monti, a Lei l’Italia deve molto. È stato capace di un miracolo: ci ha ridato dignità e credibilità in Italia e all’estero. Ora le chiedo di salvare gli italiani e ridarci la fiducia che ci è stata strappata. *GERO GRASSI, deputato IL “GRANDE EQUIVOCO” DEL MERCATO Il mercato è un’entità astratta che di volta in volta assume le sembianze della Borsa, delle grandi banche americane, degli “hedge fund”, delle agenzie di rating e degli spread. In questi ultimi venti anni ci siamo avvitati in una ragnatela di ambiguità e contraddizioni: il mercato ci è piaciuto quando faceva schizzare al rialzo i tassi dei Bot all’epoca di Mani Pulite e nei precedenti anni di dissesto economico. Ma è un guaio se per placare quello stesso mercato bisogna offrire come vittime sacrificali pesanti tagli alle pensioni, alla sanità, ai fondi per il trasporto pubblico, alla ricerca, quando non addirittura ai generi di prima necessità. È il dilemma che la “grande contrazione” iniziata nel 2008 ci ripropone con prepotenza nel 2012: non solo a noi, ma a tutto il continente europeo, mentre gli Stati Uniti sembrano aver imboccato la via della ripresa, riuscendo a coniugare crescita e rigore. Nella loro anonima e impersonale crudeltà, i mercati sono come termometri sociali: la febbre che segnalano è sempre il sintomo di una malattia sottostante. Non importa se dietro le palpitazioni dei mercati si agitano anche delle “trame”: la speculazione esiste ma si comporta come le iene che attaccano l’animale più debole del branco, quello che non regge la velocità di corsa degli altri. Dunque il verdetto dei mercati ci aiuta a capire che siamo ancora sotto osservazione, ma guai ad affidare a loro anche la cura. La Borsa segnala che il saldo netto tra quello che lo Stato spende e quello che incassa non è sostenibile nel lungo termine: ma il modo per far quadrare i conti e la ripartizione dei costi tra le categorie sociali spetta soltanto a noi. 47 Lavoro La disoccupazione giovanile ha raggiunto il record drammatico del 30%, con oltre 2 milioni di ragazzi né occupati né in formazione. La ricetta di Treu: flexsecurity, istruzione & innovazione di TIZIANO TREU* Ridare speranza @ La crisi economica tuttora in atto ha colpito tutti i Paesi e tutte le fasce di popolazione; ma ha avuto un impatto particolarmente grave in Italia per i giovani. L’emergenza giovani è senza precedenti: è un’intera generazione a rischio. Nel recente rapporto Istat la diagnosi sulla situazione dell’occupazione nel nostro Paese è severa, ma il capitolo dedicato ai giovani è particolarmente drammatico. Non è sempre stato così. Nel recente passato il mercato del lavoro dei giovani italiani aveva mostrato segni di miglioramento. Negli anni Novanta aveva partecipato, sia pure in maniera parziale, alla crescita generale dell’occupazione sostenuta dalle politiche attive di quel periodo (in particolare incentivi di vario genere all’occupazione). Il miglioramento ha però riguardato più il calo della disoccupazione che il tasso di occupazione: questo resta, anche prima della crisi, ampiamente al di sotto della media europea: al 39,6% contro il 55,5% della media dell’Europa dei 15. La crisi ha aggravato la situazione con effetti in parte comuni ai vari Paesi, accentuando i dualismi del mercato del lavoro a danno dei giovani. La disoccupazione giovanile ha raggiunto il record drammatico del 30%, con oltre 2 milioni di giovani né occupati né in formazione. Il tasso di occupazione, già basso, è sceso di oltre 5 punti dal 2008 al 2010 contro una diminuzione di quasi 4 punti della media europea. Non solo i giovani italiani lavorano poco, ma sono sempre più impiegati con contratti temporanei di vario genere (contratti a termine, collaborazione, ecc). Occorre reagire a questa situazione. Le AI GIOVANI per rimettere in moto l’economia 49 lavoro 50 migliori prassi europee e i risultati ottenuti sono illustrati in una ricerca dell’Arel pubblicata a a nel at volume del Mulino “Giovani senza futuro?” o?” (a ( cura di C. Dell’Aringa e T. Treu). Le esperienerienze raccolte mostrano che il futuro dei giovani non è compromesso, a condizione però r che rò si attuino urgentemente le politiche necessaessarie da parte del governo e delle parti sociali. ociali. In Germania la crisi del mercato del lavoro voro r è già risolta e anche i giovani hanno riguadagnato agnat ao le posizioni che occupavano prima della la crisi globale. Da noi, purtroppo, finora sono mancate non solo politiche utili ma anche l’attena tenat zione al problema. L’orizzonte è quello indicato dicat ao dall’Unione Europea, ovvero di arrivare e a un tasso di occupazione del 75%; mentre noi oi siamo inchiodati al 57%. Nella riforma del merr cato del lavoro proposta dal ministro Forneornee ro ci sono alcune iniziative utili: la lotta alla prea pre r carietà, alle false collaborazioni e alle false e parr tite Iva che colpiscono soprattutto i giovani; ni; una prima estensione degli ammortizzatori sociali per dare un sostegno al reddito e servizi zi per l’impiego ai precari finora sprovvisti di tutela. utela. C’è anche la valorizzazione dell’apprendistadistato, che in Germania è stato la via maestra ra per aiutare l’entrata dei giovani nel mercato del lavoro, con una vera integrazione fra formaziomazione scolastica e formazione professionale; ale; e sono stati previsti incentivi alle aziende che as-he as a sumono a tempo indeterminato. Ma occorre ccorre r continuare. La premessa indispensabile le per qualsiasi intervento è riattivare il processo sso di crescita del Paese. È bene ripeterlo: un Paese che non cresce non dà occupazione a nessuno, ma in primo luogo tiene fuori i nuovi arrivati, cioè i nostri ragazzi. Una seconda criticità da affrontare riguarda l’istruzione. La qualità dell’istruzione e le modalità con cui essa interagisce con il mondo del lavoro sono par- te integrante delle politiche del lavoro. I giovani sono quelli che risentono più direttamente del deficit formativo. Sono troppi quelli che non finiscono il ciclo di scuola di base che l’Europa colloca a 18 anni (i “drop out”); e troppo pochi quelli che proseguono fino a completare i cicli dell’educazione terziaria. L’Europa pone l’obiettivo di garantire un’educazione terziaria al 40% di giovani perché i cambiamenti del mercato del lavoro richiederanno posizioni di lavoro con crescenti contenuti di conoscenza. Servono poi misure specifiche di emergenza; non incentivi generici e indifferenziati. Le migliori esperienze straniere, raccolte nel libro dell’Arel, indicano la necessità di concentrare gli interventi sulle categorie di giovani più esposte: quelli da più tempo disoccupati, gli inoccupati e quelli intrappolati in contratti precari. Interventi di questo tipo, definiti “outreach programes” (Nord Europa, Usa, Uk, Francia), sono spesso svolti per iniziativa congiunta di diversi attori privati e pubblici, per sfruttare le relative capacità; e combinano gli aiuti finanziari alle imprese con un mix di azioni nel campo della formazione, dell’assistenza nell’orientamento e anche di socializzazione propedeutica al lavoro, con l’obbligo dei giovani di impegnarsi nello sfruttare attivamente le possibilità offerte. La gestione di questi interventi, per essere attiva, richiede un rafforzamento dei sistemi dei servizi all’impiego e una loro configurazione specifica con interventi e sportelli dedicati all’occupazione giovanile. Il governo Monti ha avviato la fase di risanamento e impostato regole per un mercato del lavoro più efficiente. Ora è atteso a una prova decisiva: ridare slancio all’economia e alla società italiana. Cominciando a ridare speranza ai giovani. *TIZIANO TREU, senatore In Italia il miglioramento ha riguardato più il calo della disoccupazione che il tasso di occupazione: questo resta, anche prima della crisi, al 39,6% contro il 55,5% della media dell’Europa dei 15 L’Europa pone l’obiettivo di garantire un’educazione terziaria dei giovani almeno al 40% perchè i cambiamenti nel mercato del lavoro richiedono professionalità con crescenti contenuti di conoscenza, esperienze all’estero e padronanza delle lingue straniere Giustizia riflessioni su concorso esterno in associazione mafiosa di DONATELLA FERRANTI* La giurisprudenza ha individuato confini netti per queste figure delittuose che riguardano non soltanto le associazioni mafiose. La sentenza Dell’Utri potrebbe rimettere tutto in gioco… Il recente processo in cassazione che vede imputato Marcello Dell’Utri per concorso esterno in associazione mafiosa, i toni forse un po’ troppo forti e critici di alcuni passi della requisitoria del sostituto procuratore generale presso la Corte di Cassazione e l’annullamento con rinvio della sentenza della Corte di Appello di Palermo del 20 ottobre 2010 hanno riaperto la diatriba “pro” e “contro” l’istituto del concorso esterno; in particolare, sulla necessità o meno di un intervento legislativo ad hoc attraverso un’espressa tipizzazione legislativa dei comportamenti che integrano la vicenda del concorso esterno in associazione mafiosa e, più in generale, sulla riconduzione al paradigma associativo delle forme di contiguità all’organizzazione. La elaborazione giurisprudenziale, da ultimo la storica sentenza del 12 luglio 2005 della Corte di Cassazione a Sezioni unite sul caso Mannino, ha ormai individuato parametri e confini assai netti per 52 queste figure delittuose che hanno riguardato non solo le associazioni mafiose ma, prima ancora, quelle sovversive e terroristiche e che in sostanza sono volte a punire quei soggetti che “pur restando estranei all’organizzazione criminale, apportino un concreto e consapevole contributo causalmente rilevante alla conservazione, al rafforzamento e al conseguimento degli scopi dell’organizzazione criminale o di sue articolazioni settoriali, sempre che sussista la consapevolezza della finalità perseguita dall’associazione a vantaggio della quale è prestato il contributo”. La magistratura con il concorso esterno ha inteso colpire le condotte di contiguità realizzate nell’esercizio di attività imprenditoriali, il patto politica-mafia, l’aggiustamento dei processi. Certo tutto questo ha rappresentato un grosso passo avanti sul piano della lotta alla criminalità organizzata, anche se le frequenti pronunce sul tema della Corte di Cassazione a Sezioni unite te- Con il concorso esterno la magistratura ha inteso colpire L’impiego di categorie giuridiche come i principi fondamentali del concorso esterno di persone nel gjghjghj reato di associazione mafiosa resta una soluzione estremamente lungimirante ed efficace le condotte di contiguità realizzate nell’esercizio di attività imprenditoriali, il patto politica-mafia, l’aggiustamento dei processi: è stato un grosso passo avanti sul piano della lotta alla criminalità organizzata stimoniano lo sforzo e l’esigenza dei giuristi di superare l’estrema fluidità degli intrecci economici, politici, sociali, che costituiscono la trama della contiguità, ancorandoli a elementi oggettivi riscontrabili. Uno sforzo concreto sintetizzabile nella finalità di restaurare la legalità in tutte quelle “zone grigie” che corrispondono – per usare un’ espressione di Rosario Livatino – a “quei reati che per tradizione o per costume o per altro nel passato erano raramente perseguiti”. La legittimazione dell’intervento giudiziario si fonda sulla capacità di reagire ai nuovi fenomeni criminali con il metro della certezza del diritto e della uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge: l’impiego di categorie giuridiche di applicazione generale come i principi fondamentali del concorso di persone nel reato di associazione mafiosa resta una soluzione estremamente lungimirante ed efficace. Sulla materia del concorso esterno in associazione mafiosa convergono, da un lato, l’esigenza di non lasciare prive di adeguata risposta sanzionatoria le condotte di contiguità che rappresentano una risorsa fondamentale per le associazioni mafiose; dall’altro lato, il bisogno di garantire a ciascun cittadino la prevedibilità delle conseguenze delle proprie azioni, in conformità ai principi dello stato di diritto. Si tratta di esigenze solo apparentemente antitetiche: a ben vedere, l’effettività dell’intervento penale e le ragioni del garantismo sono, in questo come in altri settori, due facce della stessa medaglia. Proposte di una tipizzazione legislativa, in termini di fattispecie incriminatrice autonoma del concorso esterno nell’associa- zione mafiosa, sono state formulate dalla Commissione Fiandaca, che aveva suggerito la seguente definizione: “416-quater concorso esterno in associazione mafiosa: 1. Chiunque, fuori dei casi previsti dall’articolo 416-bis del codice penale e salvo che il fatto costituisca più grave reato, eccedendo i limiti del legittimo esercizio di un’attività politica, economica, professionale o di altra natura, ovvero abusando dei poteri o violando i doveri inerenti a una pubblica funzione o a un pubblico servizio – o alla qualità di ministro di un culto – protegge o comunque agevola un’associazione di tipo mafioso al fine di trarne in cambio vantaggi, è punito… 2. La pena può essere diminuita nei casi di agevolazione di minima importanza”. Anche nell’ambito dei lavori della Commissione Grosso, la sottocommissione che aveva esaminato i problemi relativi alla disciplina del concorso di persone nel reato e ai reati associativi aveva optato per una tipizzazione delle condotte punibili a titolo di concorso esterno in associazione mafiosa, prospettando una formulazione secondo cui “fuori dei casi di partecipazione all’associazione” le pene stabilite dai vari commi dell’art. 416-bis c.p. “sono applicabili, altresì, a chi fornisce un rilevante contributo consapevole e volontario al conseguimento dei fini dell'associazione o alla sua conservazione e stabilità”. In realtà non è facile individuare una soluzione idonea a cristallizzare efficacemente i risultati dell’elaborazione compiuta dalle Sezioni unite della Cassazione, e a togliere i dubbi circa la punibilità di condotte di contiguità particolarmente insidiose, mascherate dietro una patina di apSul fronte della giustizia, non possiamo rischiare una tipizzazione legislativa eccessivamente riduttiva, che renda meno forte ed efficace l’attività di contrasto del fenomeno mafioso Giustizia È necessario il rispetto dei rigorosi parametri individuati dalla Cassazione, che consentono di realizzare l’esigenza di garanzia di uguaglianza e certezza del diritto per il cittadino parente legittimità. Si pensi, ad esempio, al magistrato che, accogliendo le pressioni criminali finalizzate a ottenere la scarcerazione di un importante boss mafioso, decida – proprio e soltanto in quel caso – in controtendenza rispetto alla consolidata interpretazione giurisprudenziale di una determinata norma; oppure al politico che accetti le richieste di Cosa Nostra volte a ottenere l’inserimento nella lista elettorale di alcuni parenti di “uomini d’onore”, destinati a divenire precisi punti di riferimento a livello istituzionale per gli interessi dell’organizzazione delittuosa; l’avvocato che piega la sua professione al servizio del gruppo criminale; l’amministratore che presta la propria funzione pubblica alle esigenze dell’organizzazione criminale, magari in una cornice apparentemente regolare. Oggi, in un contesto in cui gli equilibri politici sono ancora instabili, soprattutto sul fronte della giustizia, a mio parere non possiamo rischiare di realizzare una tipizzazione legislativa eccessivamente riduttiva, che renda meno forte ed efficace l’attività di contrasto del fenomeno mafioso, non possiamo permettercelo nemmeno a livello di immagine. Certo è necessario il serio rispetto, sia in sede di investigazione che di giudizio, dei rigorosi parametri individuati dalla Cassazione, che come ha affermato di recente anche il professor Grosso consentono di attuare un’applicazione omogenea dell’istituto e quindi di realizzare l’esigenza di garanzia, di uguaglianza e di certezza del diritto per il cittadino: il concorrente mafioso è tale perché fa un intervento che si evidenzia come risolutivo per la sopravvivenza o il vantaggio o il rafforzamento dell’organizzazione criminale e tale intervento deve essere valu- Sulla tipologia di rapporti di un soggetto con le organizzazioni criminali è necessaria una specifica attività di formazione e di aggiornamento professionale di magistrati e forze di polizia 54 tato ex post proprio nel suo contributo causale sulla base dell’esperienza. Non bastano la frequentazione di un circolo, l’amicizia di infanzia, la partecipazione a un battesimo. Non è rilevante dal punto di vista penale la condotta moralmente riprovevole e sintomatica solo di malcostume politico: occorrono contestazioni e imputazioni nette, che consentano l’esercizio del diritto di difesa e siano la traccia della motivazione della sentenza. Questi aspetti devono essere sicuramente valorizzati mediante la messa a punto di un’adeguata e specifica attività di formazione e di aggiornamento professionale di magistrati e forze di polizia. Quello che è certo è che in un contesto storico-politico come quello attuale, in cui il nostro Paese ha pagato a caro prezzo, in termini di deficit di bilancio oltre che di scadimento dei valori etici e del rispetto della legalità, il dilagante intreccio tra corruzione, evasione fiscale, criminalità mafiosa e istituzionale, non possiamo rischiare che rimangano impuniti comportamenti magari non tipizzati né tipizzabili, occasionali o non abituali, che siano però, anche per un solo episodio, risolutivi o comunque di rafforzamento per le organizzazioni criminali. *DONATELLA FERRANTI, deputato Secondo l’Ocse 500 milioni di persone nel mondo sono grasse, nonostante i programmi di educazione alla salute. E in Italia è allarme per l’obesità infantile: oversize di LUCIANA PEDOTO* un bimbo su tre “Stringere la cinghia” sembra più un’espressione metaforica che la fotografia della realtà, visto che un individuo su due dovrebbe perdere peso 56 Salute: A livello psicologico, l’obesità può stravolgere la vita di una persona: chi è sovrappeso spesso si sente isolato e sottoposto a una stigmatizzazione da parte di chi è “normale” Fit not Fat Nel mondo gli effetti della crisi economica si fanno sentire: determinano le scelte politiche, fanno traballare le poltrone, eppure la popolazione mondiale continua a essere in sovrappeso. Insomma, “stringere la cinghia” sembra più un’espressione metaforica, che la fotografia della realtà, visto che un italiano su due dovrebbe perdere peso. I dati forniti dall’Ocse nel mese di febbraio non lasciano spazio a dubbi: 500 milioni di persone, nei Paesi più sviluppati del mondo, hanno un indice di massa corporea superiore a 30, sono cioè obese. Nel 1980, solo un cittadino su dieci presentava condizioni patologiche di sovrappeso, oggi nella metà dei Paesi Ocse un cittadino su due è in lotta con la bilancia. E questo nonostante negli ultimi anni siano stati attivati un po’ ovunque programmi di prevenzione e di educazione alla salute. Ma nel report Ocse emerge un aspetto inatteso: contrariamente a quanto previsto nel 2010, la crisi economica degli ultimi due anni non ha inciso significativamente sui dati dell’obesità. Questo significa che, nei Paesi aderenti all’Ocse, la crisi non ha spinto i cittadini a cambiare in peggio la propria alimentazione, e che dunque non è cresciuto il consumo del cibo spazzatura in sostituzione di prodotti più sani, ma forse anche più costosi. Il primato degli oversize resta saldamente in mano agli Stati Uniti, dove la percentuale di obesità ha ormai superato il 35%, sul podio a breve distanza c’è il Messico, che deve fare i conti con i bambini più grassi del mondo. I piccoli mes- 57 sicani obesi sono infatti il 28% tra i 5 e i 9 anni, e la cifra sale al 38% tra i ragazzi tra i 10 e i 19. Da noi le cose vanno meglio, visto che l’Ocse ci inserisce tra i Paesi (insieme a Svizzera, Norvegia e Ungheria e Gran Bretagna), in cui negli ultimi tre anni c’è stata una stabilizzazione del numero degli obesi, ma comunque non possiamo permetterci di cantare vittoria, visto che gli adulti obesi sono quasi 5 milioni, il 9-10% del totale, e che i nostri bambini sono tra i più grassi d’Europa. In Italia, se il numero degli obesi è rimasto stabile, è in aumento costante il dato che riguarda le persone in soprappeso, che rappresentano il 45% del totale. Una tendenza simile si registra anche in Francia (dove gli obesi sono il 15%) e Gran Bretagna, in cui il valore è stabile al 22% da diversi anni, mentre è sempre più pesante il dato del sovrappeso. I Paesi più “leggeri” restano Corea e Giappone, dove l’obesità non colpisce più del 4% dei cittadini. L’Ocse ancora una volta ricorda che l’obesità si lega quasi sempre al livello economico e culturale delle persone. Già la rilevazione del 2010 (Ocse, “Fit not Fat”) spiegava che sono le donne con basso livello d’istruzione ad avere una probabilità di essere sovrappeso 2 o 3 volte di più rispetto a quelle con maggiore educazione. Queste differenze sono molto più attenuate, o del tutto inesistenti, tra gli uomini. Questa situazione determina anche una serie di svantaggi sociali: oltre il 40% di coloro oltre una certa soglia di obesità non lavorano, e questo dato pesa sul 30% delle donne. Negli Stati Uniti, una persona obesa guadagna mediamente il 18% in meno di un normopeso. È il motivo è facilmente intuibile: un obeso probabilmente ha bisogno di cure per patologie correlate e per questo perde giornate lavorative; inoltre questo comporta un calo nel livello di produttività rispetto a un lavoratore normopeso. Nei Paesi nord europei, dove le politiche di welfare sono particolarmente accentuate, gli obesi hanno una probabilità fino a tre volte superiore di ricevere una pensione d’invalidità in età lavorativa, mentre negli Stati Uniti è stato calcolato che gli oversize hanno un rischio di soffrire di brevi periodi di disabilità del 76% più elevato rispetto a persone di peso normale. L’Ocse, sulla base di calcoli forniti dal governo Usa, ha spiegato che sommando ai numeri dell’assistenza sanitaria le perdite di produttività, l’obesità ha un costo complessivo che supera l’1% del Pil del Paese. 58 Il Mezzogiorno ha un problema serio di peso infantile e adulto. Ma i tagli alle scuole, ai comuni, le ristrettezze economiche delle famiglie non migliorano la situazione Questa situazione impone alla politica un’azione più incisiva. Già due anni fa, l’Organismo ha chiesto ai Paesi di agire con programmi di prevenzione e di promozione della salute. Ridurre i livelli di sovrappeso salverebbe migliaia di persone: in Italia almeno 75 mila l’anno. Sappiamo che in Italia, il livello di obesità infantile è allarmante, tra i più elevati nei paesi Ocse, con un bambino su tre patologicamente sovrappeso. Molti programmi regionali e alcuni piani nazionali hanno affrontato il problema, cercando di informare le famiglie e sensibilizzando i medici di medicina generale e i pediatri. Un bambino obeso diventerà un adulto obeso se non si riesce a intervenire con un’alimentazione appropriata e attività sportive adatte. L’adolescente in forte sovrappeso rischia di sviluppare precocemente fattori di rischio di natura cardiovascolare (ipertensione, malattie coronariche, tendenza all’infarto) e condizioni di alterato metabolismo, come il diabete di tipo 2 o l’ipercolesterolemia. A livello psicologico, l’obesità può stravolgere completamente la vita di una persona: chi è obeso spesso si sente isolato e sottoposto a una stigmatizzazione da parte di chi è “normale”, che rende difficile qualunque tipo di socialità. In particolare, i bambini in sovrappeso tendono infatti a sviluppare un rapporto difficile con il proprio corpo e con i propri coetanei, con conseguente isolamento che spesso si traduce in Sommando ai numeri dell’assistenza sanitaria le perdite di produttività, l’obesità ha un costo complessivo che supera l’1% del Pil di un Paese industrializzato Bisognerebbe pensare a “pacchetti” di misure quali: programmi educativi per le famiglie, i a incentivi i medici e la scuola unit per l’industria e sanzioni fiscalignerebbe pensare a “pacchetti” di misure anti obesità con azioni coor- alimentare ulteriori abitudini sedentarie. Al sovrappeso si abbinano poi rischi fortissimi di sviluppare disordini alimentari: comportamenti bulimici o anoressici. Tutt’oggi non abbiamo dati che ci aiutino a comprendere gli effetti concreti delle politiche che agiscono sugli stili di vita. Probabilmente sarà necessaria una regolamentazione più severa sulla composizione degli alimenti in vendita, oltre a misure incentivanti per i produttori abbinate a sanzioni e appesantimento fiscale per chi produce junk food. Queste politiche sono già state avviate in alcuni Paesi: per esempio, la Danimarca ha applicato una tassa sui grassi saturi, che ha fatto schizzare il prezzo del burro che costa il 30% in più. Da noi, una tassa del genere comporterebbe l’aumento vorticoso del prezzo dell’olio, che è un grasso saturo, e potrebbe rivelarsi un boomerang per l’economia e per la politica. La gente probabilmente non ne capirebbe la funzione educativa, ma la interpreterebbe come un ennesimo assalto al portafoglio. La Francia ha già tassato di 7,2 centesimi per litro i soft drink e si aspetta di incassare 280 milioni all’anno e la stessa cosa ha fatto la Finlandia, che ha tassato anche le caramelle. Largo dunque alla fantasia, purché questi introiti siano poi reinvestiti in prevenzione e non rappresentino solo un ulteriore giogo per i cittadini. Probabilmente biso- dinate che prevedano programmi educativi per le famiglie, i medici e la scuola uniti a incentivi e sanzioni fiscali per l’industria alimentare. Un investimento che porterebbe risparmi al sistema sanitario. Il programma Guadagnare Salute, con l’approfondimento “Okkio alla Salute” effettuato sui bambini delle scuole elementari, attivato nel 2007 dal Ministero della Salute e dal Miur, ha evidenziato con chiarezza le ombre del nostro Paese riguardo all’educazione alimentare. Le regioni del Sud più di quelle del Nord hanno un problema serio di obesità infantile e adulta. Ma nel frattempo i tagli alle scuole, ai comuni, le ristrettezze economiche delle famiglie non avranno migliorato la situazione. Sappiamo poi che il 22% dei bambini pratica sport per non più di un’ora a settimana. La metà ha la tv in camera, il 38% guarda la tv o gioca con i videogiochi per tre o più ore al giorno e solo un bambino su quattro si reca a scuola a piedi o in bicicletta. Questo significa che i genitori sottovalutano il problema del sovrappeso: infatti il 48% dei ragazzi consuma quotidianamente bevande zuccherate e gassate. Le cifre freddamente raccontano di un mondo che oscilla tra l’emergenza sovrappeso e l’emergenza dei conti pubblici, e non è una novità che la spesa maggiore per il sistema sanitario è rappresentato dalle malattie cardiovascolari e dalle alterazioni del metabolismo, diabete mellito in testa. Su questo occorre riprendere in mano le redini del cambiamento, con programmi innovativi e con azioni concrete per invertire la rotta. *LUCIANA PEDOTO, deputato 59 Esteri | Europa “Quel che l’Europa unita ci porta è la pace” come ricorda Helmut Kohl, che nel novembre 1989 ha saputo comprendere quanto la Storia gli stava proponendo: la rinnovata unità tedesca una certa idea Il continente sembra aver perso la vocazione politica delle origini e appare oggi ai suoi cittadini come un controllore inflessibile, devoto al credo della stabilità finanziaria di ENRICO FARINONE* 60 Helmut Kohl ci ha recentemente ricordato il motivo più profondo che condusse i padri nobili dell’idea di Europa unita – personalità dello spessore di De Gasperi, Schuman, Monnet ma anche Churchill e Adenauer – a immaginare un obiettivo così pregnante: “mai più la guerra!”. “Quel che l’Europa unita ci porta è la pace”, ammonisce il grande leader tedesco che seppe comprendere con immediatezza quanto la Storia, in quel novembre del 1989, gli stava proponendo: la rinnovata unità tedesca. È bene, in questi mesi così difficili MEMORANDUM SULL’EUROPA D’EUROPA per l’Unione Europea, ritornare alle riflessioni di fondo che la generarono perché rimanendo imbrigliati nel solo dibattito finanziario dominante è chiaro che quel progetto non origina più alcun pensiero positivo, alcuna prospettiva orientata al domani, alcuna speranza. Quell’idea d’Europa sorta per reazione vigorosa e dignitosa alla assurdità e alla tragicità della guerra aveva in sé, fin dal primo momento, la consapevolezza che il disegno si sarebbe realizzato compiutamente solo se avesse raggiunto, in un futuro non eccessivamente lontano, un suo profilo politico e non meramente mercantile. L’Unione avrebbe cioè dovuto coinvolgere il popolo. I popoli d’Europa e non solo le élite politiche e intellettuali. Essa avrebbe così poggiato la propria dimensione politica sulla dimensione sociale, sull’unitarietà nell’affrontare i problemi comuni: ieri la guerra, un domani, a quel tempo indefinito, la crisi economica o l’emergenza ambientale. Questa visione “politica” dell’Europa stava alla base anche del Manifesto di Ventotene, scritto da Altiero Spinelli durante il confino cui lo aveva condanna- Il Partito democratico perde la sua anima se sceglie di irrigidire ideologicamente il messaggio d’innovazione che gli compete. E la perde, ancora più concretamente, se smentisce il suo ancoraggio alle grandi intuizioni di politica estera nelle quali vive il retaggio della straordinaria tradizione dell’umanesimo e del cosmopolitismo italiano. È in questa cornice che i padri dell’Europa, da De Gasperi a Spinelli, hanno pensato e promosso il modello federale europeo come nuovo orizzonte di pace, di sviluppo e crescita civile. Oggi, dopo averne sempre rivendicato il prezioso fattore d’ispirazione, al Partito democratico si chiede di rinnovare questo modello, mostrando coraggio e intelligenza nel proseguire a testa alta sulla strada della progressiva integrazione europea. Sotto questo profilo può riproporsi il valore e la bellezza di un peculiare vincolo esterno, di natura eminentemente politica, che nasce e si sviluppa in base alla volontà di partiti, movimenti sociali e culturali, settori qualificati della pubblica opinione; un vincolo che offre l’opportunità di armonizzare nel perimetro di solide politiche sovranazionali le iniziative volte a contrastare i rischi di declino incombenti sulle società e gli ordinamenti dei singoli Stati. L’europeismo, in ogni caso, non può agire a rimorchio di logiche e schemi prefabbricati. Quando si proiettano su scala più ampia le dinamiche politiche nazionali, emerge la conferma di quanto possa valere e pesare la scelta del riformismo “coniugato al futuro”, come noi amiamo dire. Le appartenenze del Novecento assomigliano a dagherrotipi ingialliti. Prodi e Amato, insieme ad altre personalità del mondo intellettuale e politico, hanno indicato con il loro appello pubblicato di recente sulla stampa “il sogno di una società europea solidale, giusta e democratica”; ma nel loro proposito non sussiste l’ancoraggio a una qualche pregiudiziale ideologica, men che meno di tipo socialista. D’altronde, in Francia, Bayrou dimostra di avere più determi......segue Esteri | Europa HENRY KISSINGER potrebbe oggi telefonare all’Unione ma risponderebbe inevitabilmente “Mrs Ashton who?” e così si esprimerebbero pure gli altrii leader delle e potenze emergenti Non si è voluto associare alle restrizioni nella gestione dei conti pubblici una visione prospettica che desse un valore ideale ai sacrifici che le manovre sui bilanci producono agli europei to il regime fascista. Era, quella, un’Europa che si immaginava terra d’una democrazia sociale imperniata sul libero mercato generatore di sviluppo economico e – ovvero insieme, congiuntamente, e non dopo – su una relativamente equa distribuzione della ricchezza creata, attraverso le istituzioni del welfare. Ora, la crisi, proprio fra il popolo, dell’idea d’Europa deriva dalla totale assenza di anche solo un vago richiamo a questa visione. Dalla primavera del 2009 i cittadini europei hanno sentito parlare come non mai di Europa, e ciò progressivamente ha fatto crescere l’interesse nei suoi confronti (prima invece confinato nel remoto di una caricatura tecnocratica lontana e impalpabile). Ma è di un’Europa solo finanziaria che si è parlato. Debito, deficit, regolamentazioni sempre più stringenti e controlli sempre più occhiuti. Non si è vo- luto, cioè, associare alle inevitabili e giuste restrizioni nella gestione dei conti pubblici una visione prospettica che desse un valore ideale ai sacrifici che le manovre sui bilanci avrebbero prodotto presso le popolazioni del continente. Allontanandosi pertanto ancor più dall’obiettivo politico unitario per regredire a quello meramente monetario, andando così a impattare – inevitabilmente, a quel punto – con le contraddizioni insite in una moneta unica priva di uno Stato, e in una Banca centrale priva di un governo sovranazionale con il quale rapportarsi, e priva altresì della possibilità di stampare moneta. L’Europa è apparsa pertanto ai suoi cittadini come un controllore, freddo e impassibile, unicamente intento a definire parametri finanziari e devoto a un solo credo, quello del contenimento del debito. Il rimborso del quale – ha scrit- to giustamente Laurent Joffrin, direttore del “Nouvel Observateur”, nel dibattito promosso qualche tempo fa sulle colonne di “Repubblica” – non può essere un obiettivo politico che incarna un’idea statuale. Anche in altri settori cruciali l’Europa ha preferito il basso profilo, laddove avrebbe esattamente dovuto alzare lo sguardo ed ergersi nel nuovo mondo globale dal quale rischia d’essere emarginata. Non per caso i padri fondatori avevano osato l’inimmaginabile – un esercito comune europeo – consci che esso avrebbe ulteriormente allontanato i Un’Europa intergovernativa torna a dare spazio ai nazionalismi, ovvero a quei sentimenti che portati all’estremo hanno causato guerre infinite fra i popoli del continente e che l’idea unitaria intendeva ridimensionare 62 ......continua Il progetto dei padri fondatori non origina più alcuna speranza di futuro: è necessario coinvolgere la società europea nel suo insieme, non solo le élite politiche e intellettuali fantasmi della guerra fratricida e avrebbe al contempo elevato l’autonomia e il rilievo mondiale dell’Europa. Medesima timidezza si è espressa nel cruciale ambito della politica estera, vitale come non mai nel mondo multipolare tanto diverso da quello definito a Yalta ormai molto tempo fa. Qui pure le piccole convenienze dei governanti nazionali hanno prevalso, individuando una personalità di secondo livello per un ruolo (l’Alto Rappresentante previsto dal Trattato di Lisbona) che al contrario richiede carisma e prestigio per mettere l’Europa al posto che le compete nel mondo. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Kissinger potrebbe oggi telefonare all’Unione, perché il numero adesso c’è, ma risponderebbe, inevitabilmente, “Mrs Ashton who?” e così si esprimerebbero pure gli altri leader delle potenze emerse ed emergenti del nuovo ordine mondiale delineatosi con la globalizzazione esplosa nel nuovo secolo. Non solo. Un’Europa intergovernativa torna a dare spazio ai nazionalismi, ovvero proprio a quei sentimenti che nella loro esasperata assolutizzazione hanno causato guerre infinite fra i popoli europei. Quei nazionalismi che con l’idea unitaria si era al contrario voluto porre sotto controllo e ricondurre alla loro giusta dimensione. Non esiste alternativa all’Europa, insiste Kohl, grande vecchio per ora senza eredi, ultimo leader di una generazione che ha conosciuto la distruzione apportata dalla guerra e le fatiche – ma anche lo spirito positivo di rinascita – della ricostruzione. “L’Europa è il nostro futuro”. Se Kohl ha ragione, e ce l’ha, occorre che la classe politica – se ambisce a essere qualcosa di più d’una semplice amministratrice della decadenza – a partire dai legami che la moneta unica impone sappia su di essi far leva per suscitare la volontà generatrice d’una più grande unione, politica e non solo monetaria. Un’idea-forza capace di recuperare la “visione” dei padri nobili dell’Europa unita e, con questa, di coinvolgere i cittadini in un grande progetto, degno di qualche sacrificio. *ENRICO FARINONE, deputato nazione e più tenuta nella difesa della politica d’integrazione europea. Sicché appare incongruo che il Partito democratico ‒ aderente al Gruppo dei Socialisti e Democratici nel Parlamento europeo, ma non al Partito socialista europeo (Pse) ‒ debba adottare a senso unico una sorta di “solidarietà internazionalista” e dunque affidarsi totalmente alle rituali formule di sostegno al candidato socialista all’Eliseo. Qual è il motivo di questa solidarietà, quando nel programma di Hollande vi è un ritorno al primato di Parigi come motore politico di una Europa concepita e disegnata in relazione a un prevalente ruolo di coordinamento degli Stati nazionali? Il nostro europeismo non si armonizza completamente con una visione ‒ Hollande non corregge la linea vetero-gollista di Sarkozy ‒ che indebolisce o addirittura offusca i progressi compiuti in questi anni per fare delle istituzioni comunitarie la casa dei cittadini europei, non la semplice camera di compensazione delle volontà e delle scelte dei diversi Stati membri. A noi preme evidenziare, in conclusione, la necessità che il Partito democratico non disperda nel labirinto di presunti obblighi di vicinanza nel campo progressista il credito accumulato come forza riformatrice, aperta alla sperimentazione di nuove formule politiche, impegnata a tradurre in programmi e comportamenti conseguenti la sua limpida vocazione europeistica. Dobbiamo difendere la nostra autonomia, specialmente se con essa possiamo difendere un punto di vista più avanzato nell’orizzonte di una rinnovata prospettiva europeistica. PRIMI FIRMATARI (IN ATTESA DI ALTRE ADESIONI) Giuseppe Fioroni Marco Follini (Senatori) Carlo Chiurazzi, Lucio D’Ubaldo, Anna Rita Fioroni, Maria Pia Garavaglia (Deputati) Gianluca Benamati, Enrico Farinone, Giampiero Fogliardi, Tommaso Ginoble, Gero Grassi, Luciana Pedoto, Giovanni Sanga, Rodolfo Viola Esteri Sull’America Latina si appuntano e della Chiesa buona parte delle speranz universale, ma la Chiesa latinoamericana non è ancora a porzionalmente rappresentata a Rom pro CHIESA E AMERICA LATINA Un continente pieno di speranza La visita di Benedetto XVI in Messico e a Cuba ha messo in luce la vitalità e il dinamismo del cattolicesimo latinoamericano, ma anche le sue questioni irrisolte di GIANPAOLO SALVINI* Di America Latina e Chiesa si parla in questi mesi per una serie di motivi: il Papa ha voluto celebrare solennemente in San Pietro, il 12 dicembre 2011 – festa della Madonna di Guadalupe, patrona ideale di tutta la parte latina del continente – il bicentenario dell’indipendenza di quella parte delle Americhe, anche se in realtà l’anno esatto varia da Paese a Paese. La maggioranza di essi la ottenne tra il 1816 e il 1841. La Basilica in quel giorno si è riempita di bandiere nazionali, cosa molto insolita, anche se il Papa ha inteso dare un significato religioso, e certo non politico, all’avvenimento, accolto però con molto favore nei Paesi latinoamericani. Recentemente poi Benedetto XVI si è recato in visita in Messico e a Cuba, seguito dall’attenzione di tutto il mondo, specialmente per cogliere in quell’occasione segni di mutamento nell’isola dei Caraibi, unico Stato rimasto, in America Latina, a regime marxista, almeno dal punto di vista politico, o per assistere addirittura a un’improbabile conversione di Fidel Castro, il Lider Máximo, molto malato da tempo. Per America Latina si intende tutta la parte del continente americano ad eccezione di Stati Uniti e Canada. Essa comprende 34 Stati, di cui 14 insulari, nei Caraibi (o Antille). Vi sono anche 15 aree soggette alla sovranità di altri Stati. In 19 Paesi si parla lo spagnolo (ma molti latinoamericani preferiscono dire il castigliano) e in altri 12 l’inglese. In Brasile il portoghese. In 25 di queste nazioni (tra cui tutte le maggiori) la maggioranza è cattolica, in altre 9 è prote- 64 stante, ma non mancano né culti diversi né lingue minori. Dei 900 milioni di abitanti delle Americhe, circa 530 vivono nell’America Latina. Ma di questa parte del continente americano si parla anche per lo sviluppo accelerato di alcuni dei suoi Paesi, in particolare Brasile (ormai uno dei nuovi protagonisti della scena mondiale, i Brics), Cile, ma anche Messico e Argentina; sviluppo che sembra aver fatto uscire una notevole parte del continente da una condizione di sottosviluppo cronico a cui, ancora qualche decennio fa, sembrava condannata. Purtroppo di America Latina si parla anche per la violenza endemica, non più di tipo politico, ma legata in particolare al narcotraffico, che ne affligge varie regioni, come la Colombia, il Messico ecc. Con la fine dei Paesi comunisti (con l’eccezione appunto di Cuba) a cominciare dal Paese leader, l’Unione Sovietica, è scomparsa la paura che il comunismo contagiasse anche quel continente. Così è venuto meno anche l’appoggio degli Stati Uniti alle numerose dittature locali, che sembravano garantire meglio la lotta al comunismo, e gli Stati latinoamericani hanno ritrovato la via della democrazia e di una vita politica più rispettosa dei diritti umani, anche se con modalità reali assai diverse. LA CHIESA IN AMERICA LATINA La grande maggioranza delle popolazioni latinoamericane è cristiana e la componente di gran lunga prevalente è cattolica. Il cattolicesimo latinoamericano, al di là delle statistiche, è mol- Se il Brasile vince la sfida educativa to vitale e “giovane”, non soltanto per la forte presenza delle generazioni più giovani rispetto alla vecchia Europa, ma anche per la creatività e il dinamismo di molte delle sue Chiese, benché non manchino differenze anche accentuate da Paese a Paese. È un continente che si crea ancora, mentre l’Europa sembra alle volte un continente che difende ciò che ha creato, anche in campo religioso ed ecclesiastico. Anche se la battuta attribuita a Pablo Neruda sul fatto che “l’America Latina venne evangelizzata a colpi di crocifisso” è esagerata, è certo che il cristianesimo arrivò in quei Paesi insieme ai colonizzatori, spagnoli e portoghesi, e non conobbe quindi il processo di nascita “dal basso” come avvenne ai tempi della Chiesa primitiva nell’Impero Romano, che perseguitò a lungo il cristianesimo. Questo ha fatto sì che, anche se vescovi e missionari scrissero pagine bellissime in difesa degli indios e della loro dignità, la religione venisse identificata con le classi dominanti pur essendo diffusa in ogni classe sociale. Non per nulla uno dei Paesi dove la fede è più intensa e vissuta con ardore convinto è il Messico, che ha conosciuto negli anni Venti del secolo scorso una sanguinosa persecuzione religiosa a opera di governi dominati da una Massoneria fortemente anticlericale. Ma di molte popolazioni si può dire che vennero battezzate ma non sufficientemente evangelizzate e questo può spiegare la sopravvivenza di molti elementi di religioni afroamericane e, in parte, il successo delle sette pentecostali – il cui dinamismo non è di- La “Casa dei Figli della Luce” di Rio de Janeiro è un piccolo miracolo della società civile. Dietro c’è un benefattore celebre, lo scrittore Paulo Coelho, ma ci sono anche molti cittadini anonimi che contribuiscono regolarmente con piccole donazioni. La scuola ha un’impronta marcatamente religiosa, che può far storcere il naso alle nostre latitudini ma che non stupisce nessuno in Brasile, dove la Chiesa cattolica convive con il candomblè animista africano ed entrambi risentono della presenza degli evangelici. Quello che conta è il risultato: centinaia di bambini strappati alle favelas e accompagnati dall’asilo nido all’università. Il Brasile sta vincendo la sfida educativa: allontanare i più piccoli dalla miseria e dalla delinquenza, per ridurre le disuguaglianze sociali e programmare il futuro. Basti pensare che nella scuola hanno una biblioteca di 20 mila volumi, un teatro da 400 posti, palestre, ambulatori e mense: perfino insegnanti specializzati nell’assistenza ai bambini con handicap gravi. Va da sé che il Brasile non è la Svezia e resta un Paese con un alto tasso di criminalità e una corruzione endemica, ma è uno dei pochi Stati nel mondo in cui l’indice di Gini, che misura la distanza tra ricchi e poveri di una nazione, diminuisce regolarmente da 8 anni. Non si può dire altrettanto del Venezuela di Chavez o della Bolivia di Morales. sinteressato, per distogliere dal sociale – nell’ultimo cinquantennio. Il fenomeno della secolarizzazione, legato a tanti aspetti della vita moderna, imitata e importata dal resto dell’Occidente, si diffonde ormai anche nelle città latinoamericane, specialmente nei Paesi tradizionalmente più “laici”, come l’Uruguay. Ma il continente resta profondamente religioso e profondamente fedele alla Chiesa e al Papa e non soltanto in occasione delle manifestazioni oceaniche durante le visite degli ultimi Pontefici che vi si sono ripetutamente recati: una volta Paolo VI, diciotto volte Giovanni Paolo II e due volte Benedetto XVI. In America Latina vive oltre il 40% di 65 Esteri Il viaggio del Papa è stato diretto anche a incoraggiare il clero locale ad occuparsi della propria patria nonostante l’ateismo diffuso tutti i cattolici del mondo. Il Messico è la nazione di lingua spagnola con più cattolici nel mondo, mentre il Brasile è il Paese che conta più cattolici in assoluto e il maggior numero di diocesi. Inutile dire perciò che sull’America Latina si appuntano buona parte delle speranze della Chiesa universale, anche se la Chiesa latinoamericana non è ancora proporzionalmente rappresentata nel governo centrale della Chiesa a Roma. Non per nulla da territorio di missione, il continente si è trasformato in territorio che invia missionari altrove. Il discorso in proposito in realtà è più complesso in quanto molti sacerdoti lasciano l’America Latina anche perché trovano maggiori mezzi e situazioni più gratificanti nei Paesi europei o del Nord America. Questo vale in particolare per alcuni Paesi, come Cuba, dove essere preti richiede notevoli sacrifici e impone disagi. Il viaggio del Papa è stato certamente diretto anche a incoraggiare il clero locale ad occuparsi della propria patria e a rimanervi nonostante l’ateismo ormai ampiamente diffuso. Con il Vaticano II, la “Populorum Progressio” di Paolo VI (1967) e il suo “prolungamento” per l’America Latina, rappresentato simbolicamente dalla Conferenza dell’episcopato latinoamericano di Medellín (Colombia, 1967), proseguita poi in quella di Puebla (Messico, 1979) e nelle successive – note in tutto il mondo anche perché hanno visto la presenza dei Papi regnanti al momento – si è avuto un cambiamento. La parte più viva e impegnata della Chiesa in America Latina ha cominciato a interrogarsi sul fatto che cinque secoli di cristianesimo non fossero riusciti a impedire che il continente avesse strutture sociali così ingiuste e così emarginanti per intere popolazioni, tanto da far valere per esse l’espressione della “sollicitudo rei socialis”: “strutture di peccato”. Il Brasile era il Paese del mondo dove il reddito era distri- 66 buito in modo più disuguale. Ne sono scaturite lotte sociali (che spesso coincidevano con le lotte contro le dittature di turno) in cui i credenti si impegnarono affinché la fede contribuisse a dare un volto più umano e degno alla società. Non sono mancati i martiri, icona dei quali si può considerare monsignor Oscar Romero, arcivescovo di San Salvador, assassinato nel 1980 per la sua difesa degli oppressi, che si spera di vedere presto sugli altari. Se molti furono mossi da motivazioni religiose e sociali ben conciliabili con la classica dottrina sociale cristiana, come appunto monsignor Romero, altri sognarono una forma di socialismo anche con connotati marxisti (era d’altronde l’unica alternativa esistente realmente al momento a cui ispirarsi) che inquietarono profondamente la Gerarchia e Roma. Lo stesso arcipelago della “teologia della liberazione” ha conosciuto autori perfettamente in linea con l’ortodossia e altri che rischiavano di sostituire la lotta sociale all’evangelizzazione. Paolo VI ne diede una splendida chiarificazione concettuale nell’esortazione apostolica “Evangelii nuntiandi” (1975), non casualmente poco compresa all’epoca della sua pubblicazione. Ma l’“opzione preferenziale per i poveri”, di cui parla il documento finale di Puebla, è stata ripresa e sostenuta anche dai Pontefici e rimane uno dei leitmotiv della Chiesa latinoamericana, il cui sforzo di evangelizzazione conosce forme nuove e originali che lasciano ben sperare per tutta la Chiesa universale. Non per nulla Benedetto XVI nel suo recente viaggio ha invocato maggiore libertà per i cubani ma anche un’attenzione costante ai poveri e agli emarginati. *GIANPAOLO SALVINI S.J. direttore emerito della “Civiltà Cattolica” Oltre il 40% di tutti i cattolici del mondo vive in America Latina. Il Messico è la nazione di lingua spagnola con più cattolici al mondo, mentre il Brasile conta il maggior numero di diocesi ROMNEYe la decisiva caccia agli indipendenti Esteri | USA Conquistare l’elettorato “di centro” può rivelarsi la carta decisiva per l’ex GOVERNAT A ORE DEL MASSACHUSETTS M A R IU S C IR À A SCALDARE L’ANIMA DEL GOP? di TOMMASO MONTESANO* Le tre sconfitte consecutive incassate all’inizio di aprile in Wisconsin, Washington DC e Maryland, unite ai problemi di salute della figlia di tre anni Bella, che soffre di una grave malattia genetica fin dalla nascita, hanno spinto il candidato ultraconservatore Rick Santorum a sospendere la campagna elettorale per le Primarie repubblicane. La mossa dell’ex senatore della Pennsylvania, fino a quel momento lo sfidante più agguerrito di Mitt Romney sulla strada per ottenere la nomination del Grand old party, spiana così la strada all’ex governatore del Massachussets in vista della convention di Tampa, in Florida, che a fine agosto incoronerà ufficialmente lo sfidante di Barack Obama alle Presidenziali del prossimo 6 novembre. E tra i candidati repubblicani che dall’inizio dell’anno si stanno dando battaglia, Romney è di gran lunga l’avversario più temibile per il presidente uscente. Non solo per la quantità di denaro su cui l’ex governatore, grazie al patrimonio personale e al meccanismo dei SuperPac, i comitati di azione politica che possono raccogliere fondi per i can- 69 Solo in un’occasione didati, è in grado di contare. Secondo le ricerche più recenti, infatti, tra gli sfidanti di Obama Romney è l’unico in grado di fare concorrenza all’inquilino della Casa Bianca tra i cosiddetti elettori indipendenti: quella porzione di americani che, di volta in volta, decide come votare non in base al principio dell’appartenenza partitica, ma in virtù dei programmi. A guardare gli esiti delle ultime presidenziali, solo in un’occasione gli “indipendenti”, quello che in Italia chiamiamo “centro”, non sono stati decisivi: nel 2004, quando a George W. Bush, grazie alla sapienza di Karl Rove, fu sufficiente mobilitare la base repubblicana alla propria destra per garantirsi la conferma alla Casa Bianca. Ma allora gli Stati Uniti erano in piena “guerra al terrorismo”, tre anni prima c’erano stati gli attentati dell’11 settembre e la strategia aggressiva dell’amministrazione repubblicana in politica estera aveva polarizzato il corpo elettorale americano. Quindi fu naturale, per Bush, cavalcare temi di “destra” come la lotta all’”asse del male”, in tempi di guerra (Afghanistan e Iraq), per ottenere il secondo mandato. Gli indipendenti, viceversa, sono stati decisivi nel 1980 e nel 1984, quando Ronald Reagan vinse con il contributo dei “Reagan Democrat”; nel 1988, con la piattaforma moderata di George H.W. Bush, e nelle due elezioni che videro trionfare Bill Clinton, il candidato democratico più centrista del secolo scorso. E Obama, nel 2008, riuscì ad avere ragione di John McCain grazie al concorso decisivo delle donne, che rappresentano il 53% del totale del corpo elettorale americano, e di Stati tendenzialmente repubblicani come Florida, Colorado, North Carolina, Ne- vada e Virginia. La strategia di Romney per conquistare la Casa Bianca a novembre si fonda proprio sulla mappa politica uscita dalle presidenziali di quattro anni fa: tenere il Sud conservatore e la “Bible Belt” conquistati da McCain, tradizionale bacino elettorale repubblicano, e riconquistare gli Stati strappati di misura da Obama al Grand Old Party (Gop) nel 2008. Nonostante le difficoltà palesate finora da Romney nei territori dove è più forte l’influenza religiosa, che non a caso a lui avevano preferito il conservatore Santorum, è facile prevedere che i settori più tradizionali del partito, che pure non amano Romney per la sua origine aristocratica e il passato da imprenditore, siano pronti a votarlo lo stesso. Turandosi il naso in base al principio “chiunque è meglio di Obama”. Ecco, così, che diventano determinanti gli Stati che, seppur più vicini ai repubblicani, nell’ultima tornata elettorale hanno scelto i democratici. Secondo le rilevazioni più aggiornate a cura del sito www.realclearpolitics.com, attualmente nella battaglia per la conquista della Casa Bianca i repubblicani possono contare da un minimo di 181 a un massimo di 195 voti dei “grandi elettori” (a 270 si ottiene il pass per Pennsylvania Avenue). Poiché il numero dei voti assegnati a ciascuno Stato è determinato in proporzione alla popolazione, a favore del Gop gioca anche la recente redistribuzione causata dal censimento decennale, che ha aumentato il peso dei territori del Sud come Texas, Florida, Arizona, Carolina del Sud, Georgia, Nevada e Utah, più favorevoli al Partito repubblicano, a scapito di quelli dell’area del nordest come Illinois, Michigan, New Jersey e Pennsylvania, dove invece sono i democra- gli “indipendenti” non sono stati decisivi: nel 2004 quando a Bush bastò mobilitare la base repubblicana alla sua destra per riconfermarsi alla Casa Bianca. Ma allora gli Stati Uniti erano in piena “guerra al terrore” Obama nel 2008 riuscì a battere McCain grazie al concorso decisivo delle donne, che rappresentano il 53% del totale del corpo elettorale Usa, e di Stati tendenzialmente repubblicani come Florida, Colorado, North Carolina, Nevada e Virginia tici ad avere maggiore seguito. Inoltre a dare speranza a Romney, il candidato con il profilo più indicato a intercettare gli indecisi, è la lista degli Stati considerati “toss up”, ovvero in bilico. Nell’elenco ci sono Florida, North Carolina, Ohio, Virginia, Colorado e Indiana, tutti conquistati da Obama, ma con uno scarto di pochi punti percentuali rispetto a McCain. Se Romney riuscisse a ribaltare la situazione, ovvero a riportare questi Stati nella casella repubblicana, dov’erano sotto George W. Bush, per il presidente uscente la rielezione sarebbe a rischio. Prendendo per buona la base di partenza meno favorevole ai repubblicani, 181 voti certi, con il recupero dei sei Stati “ribelli” Romney arriverebbe a 265. Ossia ad appena cinque voti elettorali dalla vittoria. Un margine troppo esiguo per consentire a Obama di dormire sonni tranquilli. *TOMMASO MONTESANO, giornalista I settori più tradizionali del partito, che non lo amano per la sua origine aristocratica e il passato da imprenditore, sono pronti a votarlo, sia pure turandosi il naso, in base al principio chiunque è meglio di Obama 70 La strategia di Romney si fonda sulla mappa politica delle presidenziali di 4 anni fa: tenere il Sud conservatore e la Bible Belt, tradizionale bacino elettorale repubblicano e riconquistare gli Stati strappati di misura da Obama al Gop nel 2008 L’armonia che nasce da un legame solido resiste alle intemperie della vita. Dalla ricerca Mapei due sistemi che assicurano l’isolamento termico a cappotto, sia con finiture murali (Mapetherm System) sia con l’applicazione di piastrelle in ceramica a spessore sottile (Mapetherm Tile System). Benessere e risparmio energetico, in accordo con le norme vigenti. Mapei. 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Queste porte, però, oggi tendono a essere meno aperte. Due, in estrema sintesi, i motivi. L’aumento del prezzo della benzina – la cui responsabilità i repubblicani fanno ricadere sul Presidente – e la riforma sanitaria a rischio. Sulla benzina Obama si è affrettato a correre ai ripari chiedendo al Congresso di cancellare le agevolazioni fiscali dei petrolieri: “Usia- mo i fondi per le energie verdi”, la proposta. Ma il Senato ha bocciato la nuova legge. Va iscritto a suo merito, però, l’aver creduto nel settore auto. Mentre i candidati repubblicani volevano abbandonare Detroit al suo destino. Obama, poi, rischia di perdere la sua scommessa più grande e ambiziosa, la riforma sanitaria. Secondo un sondaggio del “New York Times”, la maggioranza degli americani è contraria alla legge. Sotto accusa l’obbligo di possedere l’assicurazione. La sentenza della Corte Suprema che deve pronunciarsi sulla sua costituzionalità, e che rischia di spaccare il Paese, è attesa per giugno. Sarà decisivo il voto del giudice Kennedy, considerato conservatore “aperto”. Nella campagna per le presidenziali Obama guarda con interesse alla grande comunità ispano-americana, preziosa perché consistente serbatoio di voti. Come pure vanno seguite le mosse del movimento Occupy Wall street, che ha aperto la campagna di primavera. Una grande manifestazione è prevista per il primo maggio. Obama, possiamo esserne certi, attingerà anche questa volta al suo noto pragmatismo per volgere a suo favore gli eventi. 73 58765214:&.942;-7.43,654 =<;:98765438210:0502/.29855896298-42:465,+2983/85.(6,6'23452&6/,8 %638:6-62(452/4,,8:42(4.2/4:&.$.'26,,:6&4:/82#362%5#:.433654 4/%4:.43$6'2.3"6,,.'2562!8/,:62;$.43(6294:962(.2:./%83(4:426556 9:4/943,42(8-63(62(.2#32-4:96,82.32983,.3#624&85#$.834' 9832-4$$.242:./8:/42#-63429 42/.2-#8&8382.32983,4/,.2(. &4:/.'29 42/.2:.&85838262,6:4,24(2#,43$42(.283.2434:40 =6238/,:62189.4,+24,,62542%:8%:.4276/.29832.52/4,,8:42(.2.434 ;-7.43,654'214:&.$.2(.2#5.$.6'2163.".96$.834242./.3"4$.8342;- 7.43,654'2 ./.3"4/,6$.8342424:6,,.$$6$.83429 42(.&4::+2345. 633.2/#994//.&.2.52%#3,82(.2%6:,43$62&4:/823#8&4242%.298- %54//426,,.&.,+298-425<6""4:-6$.8342345258765214:&.9424234. 14:&.$.2189.8/63.,6:.'26#/.5.6:.24(2.3"4:-.4:./,.9.0 =<.3,4:6$.8342.32#362%5#:65.,+2(.296-%.2425<4/.43$62(.24//4:4265 %6//829832#362/89.4,+29 4296-7.62-629 42/4-%:42%.23494/ /.,+2(.24,.96242(.2%:8"4//.8365.,+2/8382.2%#3,.296:(.342/#.2#65. 56238/,:626,,.&.,+2/.2"83(6242/.2-#8&42345562#8,.(.63.,+0 =<;:98765438210:0502:.&854242"8:3./942.2%:8%:.2/4:&.$.242562%:8 %:.624/%4:.43$626(23,.2#775.9.242:.&6,.2/#2,#,,82.52,4::.,8:.8 36$.8365429832#3<#3.962/4(42943,:6542429832/4(.2(./5896,4' &85,4262"6:2/29 42.32:4/%83/67.5.2.3258982%8//6382"6:2":83,4 ,4-%4/,.&6-43,42423452-.5.8:42(4.2-8(.262,#,,42542:.9 .4/,4 425424/.43$424/%:4//42(655628--.,,43$60 362/,:#,,#:624:6:9 .96'2"6,,62(.2988:(.36,8:.'2:4/%83/67.5.' 983/#543,.265,6-43,42#65.".96,.242%4:/836542"8:-6,82983 98:/.2(.2"8:-6$.8342427:.4".32/&85,.2983296(43$62/4-4/,:654' 98-%54,6382562!8/,:6298-%6.342/89.4,6:.6'2639 4242/8 %:6,,#,,823452:./%4,,82(4554238:-6,.&42.32-6,4:.62(.2/.9#:4$$6 /#5256&8:8242#65.,+212294:,.".96,62(6243,4269 9:4(.,6,80 #,,82#4/,8242-85,8265,:826398:62/6:+256276/4242562/%.3,6 &4:/82#3<6-%.62(.&4:/.".96$.8342(45.287.4,,.&.242(455426,,.&.,+ "#,#:4'29 42/.2%:4/43,4:63382429 42/6:63382#326::.99 .-43,8 %:8"4//.836542%:4$.8/82%4:2562189.4,+0 .62899828$$.'2 8-6 45022 602 6:98765430/:5,./965.0., Esteri | l’intervita Con Saddam al potere, il Kurdistan ha pagato il prezzo più alto: stragi indiscriminate della sua popolazione e distruzioni sistematiche dei villaggi comandate dal regime di Bagdad Da quando Gheddafi è scomparso, non ci sono più terroristi libici in Iraq, spesso reclutati da Al Qaeda per disperazione o per fame. La diffusione della democrazia allontana il terrorismo Il nome dell’ambasciatore è illustre e impegnativo. La storia contemporanea del Kurdistan si identifica infatti con la lotta per l’indipendenza della regione guidata dal generale Mustafa Barzani, protagonista della scena politica curda per oltre trent’anni e feroce nemico del partito Baath, al potere in Iraq dal 1958 fino alla fine di Saddam Hussein. L’ostilità del leader curdo contro il governo centrale era giustificata. Dopo una guerra contro il Kurdistan che aveva distrutto quasi interamente la regione e svuotato le casse del governo, e dopo che era risultata inutile la condanna a morte del leader, nel 1963 Bagdad aveva messo sulla testa di Barzani una taglia di centomila dinari, pari a circa due milioni di euro attuali. Con questi precedenti familiari, non sorprende che Saywan Barzani, Il nuovo Iraq e la speranza della pace di Paola Brianti* In Iraq le etnie sono rappresentate in proporzione al numero della popolazione. Il rispetto delle minoranze è rigorosamente osservato. Le donne, per esempio, coprono il 25 per cento della Assemblea Intervista a Saywan Barzani, ambasciatore dell’Iraq in Italia ambasciatore dell’Iraq presso lo Stato italiano, manifesti senza reticenze la sua soddisfazione per la fine del dittatore di Bagdad e la sua riconoscenza per “i liberatori americani”. Quarant’anni, un francese perfetto attestato dalla laurea in Legge conseguita all’Università di Orléans e dal master in Scienze politiche ottenuto all’Università di Parigi, Barzani è a Roma da due anni. Gli orrori del passato regime − che secondo l’ambasciatore superano di gran lunga la tragedia della guerra appena conclusa, e che anzi la giustificano − debbono adesso lasciare il posto alle speranze di un nuovo Iraq. Barzani è giovane e ottimista. In Iraq si continua a morire, gli attentati si susseguono, ma alla fine anche il terrorismo si dovrà esaurire. La gente vuole vivere, il Paese vuole risorgere. Proprio mentre parlavamo, a Bagdad esplodeva l’ennesima bomba, vicino all’ambasciata dell’Iran, ai limiti della controllatissima zona verde, pochi minuti prima che iniziasse il vertice della Lega Araba. Ambasciatore, nove anni fa iniziava l’invasione dell’esercito americano in Iraq. Abbiamo assistito a massacri e violenze inimmaginabili e adesso, forse, si apre una pagina nuova per il suo Paese. Ma in realtà, com’è oggi la situazione dell’Iraq? L’Iraq adesso è libero e la libertà non ha prezzo. Voi europei ne sapete qualcosa, 75 Esteri | l’intervita “Credo davvero che se gli arabi riusciranno a conquistare la democrazia, il terrorismo scomparirà” sto prezzo, oggi, è stato pagato tutto? No, non ancora. Vede, in Iraq convivono quattro etnie. Non è facile metterle tutte d’accordo. visto che avete affrontato una guerra mondiale per liberarvi dalle dittature. Per quanto riguarda la popolazione dell’Iraq, forse ancora non è a tutti nota la tragedia che il Paese è stato costretto a subire da quando il partito Baath ha preso il potere. Il Kurdistan, in particolare, ha pagato il prezzo più alto, un prezzo terribile, con le stragi indiscriminate della sua popolazione, le distruzioni sistematiche dei villaggi comandate dal regime di Bagdad. Il Kurdistan è notoriamente una regione ricca di petrolio. La produzione è tornata a livelli normali? Come vengono distribuiti i redditi che derivano dallo sfruttamento 76 E però adesso mi sembra che fate pagare ai sunniti un prezzo molto alto per la lunga detenzione del potere mantenuta da loro nel passato. Non crede che siano un po’ troppo emarginati? Assolutamente no. Nell’esecutivo e nell’Assemblea le etnie sono rappresentate in proporzione al numero della popolazione. Sono sunniti il vice presidente, il presidente dell’Assemblea e il vice primo ministro. Il rispetto delle minoranze dei pozzi? È prevista una autonomia è rigorosamente osservato. Le donne, amministrativa in questo settore? per esempio, coprono il 25 per cento Nel Kurdistan vengono estratti attual- dell’Assemblea. mente 180 mila barili di greggio al giorno. L’aspettativa è di arrivare a 2 milio- Com’è ora la presenza dei cristiani in ni, ma per le riserve esistono ragionevoli Iraq? Secondo diverse fonti attendiprevisioni per una produzione molto più bili, una gran parte di loro era fuggita vasta. Non abbiamo finora una legge che dall’Iraq durante la guerra. riguardi specifi- Non dall’Iraq, da Bagdad. La maggior “NOI catamente la parte, si era rifugiata in Kurdistan. CoVOGLIAMO produzione del munque, adesso stanno tornando e il la pace e se la greggio e pos- loro numero si aggira intorno al milione. lega Araba siamo fare riferi- Sono attestati nella pianura di Ninive che dichiara mento soltanto è la loro zona tradizionale e, ancora, nel che la pace alla Costituzione, Kurdistan. comporta la normalizzazione che affida al godei rapporti con verno federale la Come sta Tarek Aziz? Israele, siamo gestione delle ri- Tarek Aziz è in prigione e, per tutti i crisorse e l’ammini- mini che ha commesso, è fortunato a pronti ad strazione dei red- stare in prigione. avviare le relazioni diti. Diversi sa- Eh, voi europei vi preoccupate tanto per diplomatiche” ranno i provve- lui e forse non sapete che è un criminale dimenti per le e della peggiore specie. zone minerarie ancora inesplorate e per Lo sa che la metà dei cristiani iracheni zon i nuovi giacimenti di greggio, la gestio- era contro di lui? Lo sa che ha distrutnu ne d dei quali verrà affidata ai governi re- to 280 chiese in Kurdistan e che ha ucgionali. Gli introiti, però, saranno sem- ciso migliaia e migliaia di cattolici? Cigio fre alla mano, sono pronto a dimostrapre e comunque gestiti da Bagdad. re quello che sto dichiarando. Ambasciatore, lei mi parlava del Ecco, se dovessi dare un consiglio a TaAm prezzo che una popolazione è tenuta rek Aziz, gli direi di confessarsi, ne ha pre ap pagare per ottenere la libertà. Que- proprio bisogno. Il numero dei cristiani in Iraq si aggira intorno al milione. Sono attestati nella pianura di Ninive che è la loro zona tradizionale e nel Kurdistan Il terrorismo resta ancora una piaga profonda e colpisce soprattutto i pellegrini che si recano nelle città sante sciite di Najaf e Karbala. Prevede una soluzione in tempi ragionevoli? Diciamo la verità. Più si afferma la democrazia, più il terrorismo scompare. Da quando Gheddafi è scomparso, non ci sono più terroristi libici in Iraq e così per quanto riguarda l’Egitto e gli altri paesi che erano sotto dittatura. Guardi, di tutti i terroristi catturati in Iraq, l’82 per cento erano arabi di altra provenienza, reclutati da Al Qaeda per disperazione, per fame, perché privi di ogni risorsa per vivere. Purtroppo il problema non è ancora stato risolto e, se pure la nostra Costitu- zione prevede la libertà di religione, la realtà è diversa. Ma io credo davvero che se gli arabi riusciranno a conquistare la democrazia, il terrorismo scomparirà. Prevede che in un prossimo futuro verranno normalizzate le relazioni tra l’Iraq e Israele? Noi vogliamo la pace e se la lega Araba dichiara che la pace comporta la normalizzazione dei rapporti con Israele, con il quale peraltro non abbiamo frontiere in comune, noi siamo pronti a stabilire le relazioni diplomatiche. Comunque, ci adegueremo sempre alle decisioni della Lega Araba. *PAOLA BRIANTI, giornalista NESSUNO TOCCHI AZIZ la moratoria f irmata da centinaia di parlamentari E’ un’odissea giudiziaria quella vissuta da Tarek Aziz, condannato a morte dalla giustizia irachena il 26 ottobre 2010 (mediante impiccagione) per il ruolo che avrebbe rivestito nelle persecuzioni della comunità sciita a partire dagli anni ’80. A sottoscrivere la moratoria contro l’esecuzione dell’ex vicepremier ed ex ministro degli esteri iracheno, accusato di “crimini contro l’umanità”, sono stati parlamentari, premi Nobel e personalità di tutto il mondo. Tra le firme, quelle dei senatori Bonino, D’Ubaldo, Rutelli, Ichino, Poli Bortone, Ghedini, Chiti, Ceruti, Bianco, Bosone, Ferrante. Nel testo della mozione si riconosce che i crimini di cui Aziz è imputato insieme ad altri «rappresentano gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale». Ma si evidenzia come il processo «non pare esser stato condotto nel pieno rispetto di tutte le garanzie internazionalmente riconosciute di imparzialità e equità, apparendo invece l'azione giudiziaria più come la giustizia dei vincitori sui vinti o la vendetta delle vittime nei confronti del loro carnefice». L'appello internazionale “Moratoria universale sulla pena di morte, anche per Tareq Aziz” è stato promosso da “Nessuno Tocchi Caino” e dal partito Radicale Nonviolento, Transnazionale e Transpartito per chiedere la difesa del diritto e della verità, della legalità e della giustizia in Iraq. I CRISTIANI IN MEDIO ORIENTE Può essere difficile per un occidentale comprendere la mentalità islamica e il delicato equilibrio dei rapporti millenari fra musulmani e cristiani in Medio Oriente. I cristiani sono consapevoli che il mondo islamico li associa all’Occidente, presupponendo che questo sia ancora tutto cristiano. Da quando, molti secoli fa, la religione islamica è divenuta dominante nella regione mediorientale, i cristiani sono stati relegati alla condizione di “dhimmi”, ovvero di cittadini di secondo ordine, da cui hanno sempre cercato di riscattarsi attraverso l’istruzione e il lavoro. Il loro isolamento e la necessità di dover continuamente cercare nuovi equilibri per farsi rispettare, hanno sedimentato forme di alienazione e di sfiducia. Organizzati in piccole comunità, i cristiani sono stati spesso in una condizione di assedio fisico e psicologico, con il pregiudizio religioso per la loro non appartenenza alla “umma”, la comunità islamica. In tale contesto, hanno continuato a testimoniare la loro fede con coraggio. Oggi cristiani e musulmani in diversi Paesi si confrontano con problemi comuni: le guerre, il terrorismo, l’emigrazione dei giovani, la crisi economica globale. E non c'è altra strada che cercare di costruire un futuro comune in Iraq come nel resto della regione, in Oriente come in Occidente. 77 GUIDA ANCI PER L’AMMINISTRAZIONE LOCALE diretta da Franco Pizzetti -Angelo Rughetti -Veronica Nicotra - Maurizio Delfino Disponibile Disponi bil anche ON LINE! L L’OPERA PREVEDE: t VOLUME 1 Osservatorio riforme 2012: a che punto siamo? t VOLUME 3 La gestione dei servizi degli enti locali t VOLUME 2 L’ordinamento istituzionale delle autonomie locali t CD-Rom (Pro)memoria Il silenzio di una comunista Mancherà a tutti la sua capacità di sorprendere, mescolando nella scrittura e con la parola il rigore della professionista e la passione della militante UNA RAGAZZA con la battuta sempre pronta che usava la penna come un’arma per difendere le idee in cui credeva Ho un bel ricordo di Miriam Mafai giornalista, sorridente e combattiva, vista da “dietro le quinte”. Era il mio secondo anno di stage nella redazione Spettacoli di Repubblica, se non erro nel 2005. Il grande quotidiano fondato da Eugenio Scalfari si era appena trasferito, con molte resistenze, nel- la nuova e modernissima sede di Largo Fochetti. Nella grande sala riunioni, dove ogni mattina si riuniscono i capi servizio insieme al direttore Ezio Mauro per impostare il timone del giornale, spesso una sedia era occupata dalla Mafai. Che non veniva a proporre i suoi articoli né a farsi ve- dere. Come opinionista e firma di punta, non aveva alcuna necessità di “perdere” due ore del suo tempo ad ascoltare la “lista della spesa” (spesso lunga), ovvero le proposte di ogni settore del giornale. Miriam Mafai veniva per il piacere di ascoltare i suoi colleghi, e veniva per discutere i fatti salienti della politica con il direttore Mauro (è l’unica che ho visto, bonariamente, correggerlo) e i suoi vice. Repubblica, si vedeva, era una cosa che le stava a cuore, o nel cuore. Senza essere sofisticata come la Aspesi, che pure ogni tanto faceva capolino in sala con la sua eleganza d’altri tempi, della Mafai si coglieva subito la grande passione per il dibattito franco, per la provocazione che genera discussione, ma anche una modernità di linguaggio e una lucidità di visione, soprattutto politica, che sorprendeva noi stagisti. Della Mafai ricordo, sempre da dietro le quinte, i capelli corti sbarazzini, le maglie a collo alto e un’aria solo apparentemente severa. In realtà una “ragazza” focosa, con la battuta sempre pronta a sciogliersi in un sorriso, che usava la penna (e la lingua) come un’arma per difendere le idee in cui credeva. B.N. 79 Arte | costume e società Una mostra sull’Azerbaigian, il paese più grande del Caucaso, tra testimonianze di un passato ancestrale, scenari selvaggi di incomparabile bellezza e prodotti della creatività dell’uomo di GENNY DI BERT* Visioni e suoni arcobaleni ottici della comunicazion contemporanea 80 sulla via della Seta TRA LE MERAVIGLIE DELLA MOSTRA UN’ INCISIONE ROMANA DEL I° SEC D.C. Presso il Museo della Civiltà Romana all’Eur è in corso una interessante esposizione “Azerbaigian. La terra dei fuochi sulla Via della Seta”, che offre lo spunto per scoprire uno speciale Stato, che sta affacciandosi con sempre maggiore forza sul palcoscenico internazionale. Si tratta dell’Azerbaigian, il più vasto paese dell’area caucasica, situato al crocevia fra l’Asia occidentale e l’Europa orientale, confinante con la Russia a nord, la Georgia a nordovest, l’Iran a sud e bagnato dal mar Caspio. La Repubblica democratica dell’Azerbaigian è indipendente dal 1991 e da allora ha fatto registrare sensibili miglioramenti di tutti i principali indicatori economici, raggiungendo un alto livello di sviluppo sociale. Grazie a questi progressi, il governo è attualmente molto impegnato non soltanto nel miglioramento della qualità della vita degli oltre nove milioni di abitanti, sparsi su un territorio di oltre 86.000 chilometri quadrati, ma anche nella riscoperta delle radici del popolo e nella valorizzazione del suo importante patrimonio naturale e culturale. La mostra, aperta fino alla fine di aprile, è ambientata nel suggestivo museo dell’antica Roma, realizzando un connubio storico impareggiabile, testimoniato dall’autografo, inciso su una roccia nell’area di Gobustan, di Lucio Giulio Massimo, centurione della XII Legione romana, presente con i suoi uomini in quella regione verso la fine del I secolo d.C., quando l’imperatore a Roma era Domiziano. L’esposizione parte da un passato ancestrale attraverso la visione di una serie di incisioni rupestri, che testimoniano la presenza della vita dell’uomo sul territorio nazionale fin da centinaia di migliaia di anni fa. L’area descritta è quella del Grande Parco Nazionale del Gobustan, una meraviglia naturale di incomparabile bellezza, caratterizzata da un paesaggio selvaggio con massi ciclopici che si ergono sul terreno brullo, creando forme architet- 81 Arte | costume e società La Repubblica democratica dell’Azerbaigian è indipendente dal 1991 e ha raggiunto un alto livello di sviluppo sociale. Il governo è molto impegnato nella riscoperta delle radici del popolo e nella valorizzazione dell’importante patrimonio naturale e culturale toniche incredibili. Su migliaia di queste rocce appaiono sorprendenti messaggi dal passato: i “petroglifi”, la più antica e poderosa raccolta di metalfabeti della terra, che, nelle loro forme sintetiche, tracciano i profili di un’epoca lontana e ci rimandano all’esistenza in quell’area, fin dagli albori della civiltà, di comunità “illuminate”. I petroglifi vanno dal Paleolitico ai nostri giorni e testimoniano l’esistenza di un giacimento culturale di inestimabile valore e ampiamente meritevole di essere conosciuto, visitato e studiato anche per approfondire le ancora poco conosciute relazioni tra est e ovest, nonché gli straordinari mutamenti morfologici subiti dal nostro pianeta. Da quei tempi lontanissimi, le frequentazioni di popoli diversi in quel territorio sono continuate con il fluire inarrestabile dei secoli, transumanze di genti di varie razze e origini, che hanno lasciato tracce della loro presenza e hanno contribuito alla nascita e al consolidamento di una popolazione locale. Ittiti, Achei, Medi, Persiani, Elleni, Macedoni, Romani…. tutti portatori di proprie culture e tradizioni, che, con attenta lettura, si possono riscoprire nella società locale. Le protoscritture sono forse l’annuncio di un destino già tracciato nel grande libro della storia dell’Uomo e consacrato definitivamente nell’immutabile tracciato della millenaria Via della Seta, che fece di questo territorio il costante punto di passaggio. L’esposizione continua, mostrandoci gli incredibili scenari di fiamme emergenti dal terreno per la presenza di giacimenti di gas e petrolio a cielo aperto. Fenomeno che, nell’antichità, deve aver dato a quei luoghi un carattere sacrale. Non a caso, il simbolo del fuoco è stato oggi ripreso dallo Stato con l’inserimento nel proprio sigillo di una fiamma delimitata da cerchi concentrici e inserita in una stella a otto punte. Singolare il campionario Singolare il campionario di splendidi tappeti manufatti nelle varie regioni del Paese: sono il simbolo della casa, della famiglia e della ancestrale ospitalità di questo Stato 82 di splendidi tappeti manufatti nelle varie regioni del Paese, dal nodo gordiano alessandrino, tra i quali spiccano un superbo esemplare di “kuba” e due magnifici “sumak”. Tappeti, simbolo della casa, della famiglia e della ancestrale ospitalità. Prodotto a metà fra l’arte e l’artigianato, sempre in bilico fra le due opere dell’uomo, pronto a ricadere nell’una o nell’altra in funzione del grado di creatività dell’artefice, che nel paese è tradizionalmente altissimo. Infine, spazio alla musica. Una serie di bellissimi strumenti musicali creano una magica atmosfera nell’ultima sala. La musica può considerarsi parte integrante e fondamentale della cultura del paese, essa ha caratterizzato nei secoli la storia, tramite coinvolgenti suoni e melodie in grado di sprigionare la fantasia del popolo e accompagnare i versi più significativi dei poeti. La musica ha ispirato e continua a ispirare ed educare centinaia di generazioni, di cui forma il corpo e lo spirito. L’amore per la musica ha guidato, nel tempo, le mani di abilissimi artigiani e musicisti nel creare strumenti in grado di soddisfare la vista e l’udito, primo fra tutti il leggendario “tar”, definito strumento musicale nazionale, simbolo tramandato di generazione in generazione. Giunti al termine del percorso espositivo, i sensi, ormai immersi nel mondo dell’Azerbaigian, superano l’impatto visivo e, attraverso un facile sistema di digitazione, con virtuali suoni emessi dai vari strumenti musicali (a corda, a fiato e a percussione) s’impossessano anche dell’udito. *GENNY DI BERT, critico d’arte speciale IL FILOSOFO E L’ARTISTA le affinità elettive di due maestri del ‘900 Il racconto di un’amicizia attraverso la corrispondenza tra Jacques Maritain e Gino Severini di PIERO VIOTTO* Un rinnovato interesse si è creato intorno all’estetica di Jacques Maritain. Essa costituisce una parte fondamentale della riflessione filosofica del pensatore francese, cui la moglie Raissa, poetessa e appassionata di arte, ha dato un contributo importante. L’apertura del pensiero di Maritain all’estetica è già presente nella sua opera “Arte e scolastica” del 1920, approfondita successivamente in “L’intuizione creativa nell’arte e nella poesia” del 1953. Nelle pagine seguenti pubblichiamo il racconto di un’amicizia, quella tra il filosofo francese e l’artista Gino Severini, attraverso le lettere che le due personalità si sono scambiate nel corso degli anni. Autore post cubista e tendente a una più profonda spiritualità, Severini scrive più volte che si ritrova completamente nell’estetica di “Arte e scolastica”. È importante ricordare come i molti contatti e le profonde amicizie che Maritain ha coltivato con grandi artisti del suo tempo, scrittori, musicisti, pittori – Georges Rouault, Marc Chagall, Julien Green, Jean Cocteau, François Mauriac, Eric Satie, Arthur Lourié e Igor Stravinsky – abbiano inciso sulla sua innata sensibilità per l’arte arricchendo i canoni della sua estetica, senza dimenticare che il pensiero del filosofo francese ha a sua volta influenzato il percorso di vita e l’espressione artistica di queste personalità. Per comprendere la filosofia dell’arte bisogna visitare i musei, per comprendere l’e- stetica di Jacques Maritain bisogna leggere le sue numerose corrispondenze con gli artisti e con i poeti, basti ricordare quelle con Jean Cocteau e Marc Chagall, quelle con Julien Green e William Congdon, ma la corrispondenza con Gino Severini, pubblicata dal Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, in doppia edizione francese e italiana, è la più importante (Olschki editore, Firenze, 2011, pp. 296). Non solo per l’estensione temporale di questo carteggio che va dal 1923 al 1966, con le 128 lettere dei Severini e le 75 lettere dei Maritain, ma per le vicende che i due protagonisti raccontano, quasi in presa diretta: la vita bohémien degli artisti a Parigi, il fascismo in Italia, la Seconda guerra mon- 85 speciale Severini diventa “l’ambasciatore” di Maritain: lo introduce a poeti come Ungaretti e Papini e ad artisti come Soffici, Carrà, Tullio Garbari che trovano nell’estetica maritainiana le motivazioni più profonde della loro opera diale, e soprattutto per gli argomenti che discutono tra di loro, la natura della creazione artistica, la libertà e l’autonomia dell’artista, la religiosità dell’arte e l’arte sacra. La curatrice dell’opera, Giulia Radin, non solo ha catalogato e tradotto questa monumentale corrispondenza, ma ha arricchito ogni lettera di note molto precise, che permettono al lettore di comprendere le questioni discusse, di individuare le persone di cui si parla, di valutare i fatti narrati. Maritain, che conosceva l’opera del pittore perché aveva ammirato la “Danseuse obsédante” alla Galleria Bernheim Jeune nel 1912 e ne aveva parlato nella prima edizione di “Arte e scolastica”, nel 1920, un giorno viene direttamente coinvolto nella vita dell’artista. Severini, che aveva sposato con il solo rito civile Jeanne Fort, figlia del poeta Paul Fort, incontra l’abate Gabriel Sarraute nello studio di Maurice Denis, che lo riavvicina alla fede e nel 1923 lo porta al ma- trimonio religioso. Poco dopo, Sarraute, dovendo per motivi di ministero lasciare Parigi, affida Severini a Maritain, che aiuta il pittore allora in difficoltà prestandogli, in maniera anonima, una somma di denaro per aprire un studio in cui poter dare lezioni a giovani allievi. Maritain scrive all’artista: “Pregiatissimo Signore, sono appena stato dall’amico di cui Le ho parlato. Spero che un giorno lo conoscerà; per il momento mi ha detto che preferisce restare nell’anonimato. Mi ha consegnato 1.000 franchi per aiutarLa a fondare la Sua accademia, aggiungendo che questo denaro mi era dato ‘per l’amore di Dio e per il tramite della Santa Vergine’. Mi voglia dire se devo spedirLe questa somma per posta o se preferisce venirla a prendere a Meudon, per esempio domenica prossima, dandomi così il piacere di conoscerLa di persona, e di riferirLe a voce alcuni dettagli sul mio amico”. Nasce un’amicizia: Severini, che trascorre il suo tempo e lavora in parte in Francia e in parte in Italia, diventa una sorta di ambasciatore di Maritain, perché lo fa conoscere a poeti come Giuseppe Ungaretti e Giovanni Papini, che inviano a Maritain i loro scritti per la traduzione in francese, e a artisti come Ardengo Soffici, Carlo Carrà, Tullio Garbari, che trovano nell’estetica maritainiana le motivazioni profonde del loro lavoro creativo. Una sera, a Roma a casa di Severini, lo scrittore Corrado Pavolini traccia un interessante ritratto del filosofo, che Giovanni Papini pubblica ne “Il frontespizio” (1937): “Un tipo dinoccolato e arguto intorno ai sessanta; con una punta appena di universitario, e insieme la scioltezza dell’artista. Ha i capelli quasi candidi, ma folti ancora. La prima cosa che colpisce in lui è la sua umanità trasparente; si offre intero, vibra con te subito, è tutt’anima. Ma nulla ha del mistico convenzionale. È un uomo affabile, semplice, né troppo magro né trop- 86 L’amicizia tra Maritain e Severini ha solide basi intellettuali e si sviluppa in una continua riflessione sulla natura del bello e della creazione artistica “La prima cosa che colpisce in Maritain è la sua umanità trasparente. È un uomo affabile, semplice, non si indovinerebbe il filosofo; fa pensare piuttosto a un pittore, all’ultimo degli impressionisti, a un dipinto cominciato da Cézanne e finito da Renoir” po florido. Non si indovinerebbe il filosofo; fa pensare piuttosto a un pittore; che so, l’ultimo superstite degli impressionisti: invisibili il cavalletto pieghevole, la cassetta dei colori a tracolla, la pipa nell’angolo della bocca. La sua testa ha una struttura forte, dalla plastica risentita; molto alta e prominente la fronte; ma l’incarnato è roseo e giovanile. Fa pensare così a un dipinto incominciato da Cézanne e finito da Renoir”. Severini, grazie all’interessamento di Maritain e del pittore Alexandre Cingria, lavora a grandi decorazioni murali in Svizzera, affrescando e mosaicando prima le chiesette di Semsales e di La Roche, poi la chiesa di Saint Pierre a Friburgo e la chiesa Notre Dame a Losanna. Nel 1932 Severini, insieme a Marc Chagall, Pablo Gargallo, André Beaudin, Ivan Denis collabora con il gruppo “Esprit” di Emmanuel Mounier. Questi artisti sono incaricati di stendere un manifesto personalista per l’arte. Dopo una prima bozza di Courthion è proprio Severini che elabora il manifesto. Nel 1934 Raissa Maritain scrive “L’angelo della Scuo- la”, una biografia di san Tommaso d’Aquino per ragazzi, che Severini illustra con molti disegni; volume che sarà tradotto in inglese, in italiano, e anche in giapponese. Quando i Maritain sono negli Stati Uniti perché Jacques ha una cattedra di filosofia alla Princeton University, i Severini dal 1946 al 1952 abitano nella loro casa a Meudon, e Gino in una lettera del 22 novembre 1952 scrive a Jacques: “Caro Jacques, ieri abbiamo dato le chiavi della casa alla signora Grunelius. Così Meudon non esiste più. Tuttavia credo che la grande attività dispiegata in questi muri non sia perduta, perché niente si perde, ma devo confessarti, senza fare del sentimentalismo, che sono e che siamo tutti terribilmente tristi. Nel tuo atelier, caro Jacques, ho lavorato molto e meditato. Credo di avervi migliorato tutto ciò che costituisce una personalità artistica, chiarezza nelle idee, progresso tecnico; ho eseguito lassù i miei migliori mosaici, ho realizzato 97 quadri (dietro alle tele ho segnato ‘Meudon’, perché questo periodo del mio lavoro sia ben distinto), senza contare le nu- merose composizioni decorative, tra le quali il grande mosaico per la chiesa di Saint Pierre e quello per l’Università di Friburgo”. Sulla base di questi riferimenti biografici si può dividere il carteggio in tre periodi. Il primo 1923-1928 riguarda le decorazioni nella Svizzera romanda, il volume di Severini “Dal cubismo al classicismo” (1921) e alcune drammatiche vicende familiari. Il secondo 1928-1948, quando i Severini risiedono a Roma e Parigi, riporta interessanti notizie sul fascismo e sulla ricostruzione in Italia, ma soprattutto gli approfondimenti che Severini apporta alla sua poetica nel volume “Ragionamenti sulle arti figurative” (1936). L’ultimo periodo 1948-1966 quando il filosofo e l’artista non hanno più modo di incontrarsi di persona, vivendo Maritain prima negli Stati Uniti e poi, dopo la morte di Raissa, a Tolosa tra i Piccoli Fratelli di Gesù, la corrispondenza ruota intorno al problema dell’arte informale e alla contrapposizione tra la Scuola di Parigi e la Scuola di New York. 1923-1928 GLI ANNI DI MEUDON E DEL LAVORO IN SVIZZERA - la curatrice Giulia Radin riporta questa testimonianza di Severini tratta dall’autobiografia “Vita di un pittore” (1946). “Conoscevo appena di nome questo filosofo e non avrei mai pensato di conoscerlo personalmente un giorno. Non sono note le vie per le quali la Provvidenza ci conduce dove si deve arrivare: è però certo che al momento opportuno ho sempre trovato la persona che le circostanze esigevano. Il mio incontro con Maritain segna 87 speciale un punto importante della mia vita. Andai subito a Meudon e fui ricevuto con cordialità e con semplicità in un salotto che mi rammentava certi interni di Degas. Vi erano molte persone, fra cui lo scrittore Henri Ghéon e poi la moglie del filosofo, una piccola signora bruna con due immensi occhi da cui si sprigionava una vita di una intensità formidabile. Jacques Maritain era un uomo piuttosto alto e magro, con una capigliatura ribelle, sempre in battaglia, e due occhi vivacissimi a cui non si accordava sempre il permesso di essere interamente aperti”. Questo ricordo non è che una reminiscenza letteraria di una amicizia, che ha solide basi intellettuali, che si sviluppa in una continua riflessione sulla natura del bello e sulla creazione artistica, come si può leggere in una lettera: “Ella mi ha dato con grande semplicità un libro, il Suo ‘Arte e Scolastica’, che mi è infinitamente prezioso. E mi giunge in un momento in cui avverto la necessità di osservare l’arte dallo stesso punto di vista. Appena un mese fa scrivevo a Benedetto Croce a proposito del ruolo secondario, benché importante, che rivestono i mezzi pra- 88 “ “Nel tuo atelier, caro J Jacques, ho lavorato molto e meditato. Credo di avervi m migliorato tutto ciò che costituisce una per personalità artistica, ch chiarezza nelle idee, pro progresso tecnico. Ho ese eseguito lassù i miei migliori mosaici, ho realizzato 97 quadri e dietro alle tele ho segnato ‘Meudon’, perché questo periodo del mio lavoro sia ben distinto” tici nell’arte, e che in se stessi essi non sono niente; insomma ho trovato nel Suo libro la conferma delle mie ultime conclusioni e il modo di approfondire questo aspetto della questione artistica. Ella si dimostra perfettamente al corrente di tutto quanto è stato fatto e tentato, e ne parla con una profondità e un tatto e un buon senso che non ho mai riscontrato in altri critici moderni. La ringrazio di avermi dato un libro che, come ripeto, arriva al momento giusto. Mi resta da leggere il capitolo sull’arte cristiana, che è per me di grande interesse, perché, pur non avendo eseguito opere religiose, ho una mia idea dell’arte cristiana, e su questo punto non mi trovo molto d’accordo con Maurice Denis, del quale ammiro tuttavia le teorie”. Per meglio comprendere questa influenza di Maritain su Severini bisogna leggere la lettera che l’artista scrive a Soffici. “La mia evoluzione di pensiero la devo molto al lavoro, perché come tu sai, per noi pittori fare e pensare sono inseparabili, ma anche molto all’amicizia e alla frequentazione di un uomo che ho sempre desiderato di farti conoscere e che è Jacques Maritain. Forse avrai sentito parlare di lui, perché in questi ultimi tempi la sua notorietà si è molto estesa, e la sua influenza negli ambienti artistici moderni, anzi modernissimi, è sempre più profonda. Maritain è un filosofo, e si definisce lui stesso filosofo tomista, non si occupa dunque dell’arte come potrebbe farlo un critico. La definizione della sua filosofia ti dice già qual è la sua linea; quanto alla gratuità dell’arte le sue idee coincidono spesso con quelle di Croce, ma come Croce si appoggia a Hegel, Maritain è per così dire un continuatore di san Tommaso e di Aristotele. Come, secondo il modo degli scolastici, egli cerchi di stabilire una metafisica della poesia e dell’arte moderna, lo vedrai da te nel libro che ti mando, ‘Arte e Scolastica’, che è una riedizione; la prima volta uscì in forma modestissima nel 1920; ebbe un successo ‘en profondeur’, gli artisti se ne accorsero poco, ma da allora le cose sono cambiate, la conversione di Jean Cocteau e altre han- no molto impressionato, e venivano già in un momento di grandi e serie aspirazioni verso la spiritualità. Quanto a me, prima di conoscere Maritain, avevo già compreso che non si poteva parlare di spiritualità senza considerare Dio centro spirituale dell’essere, e sono rivenuto gradualmente alla fede che avevo da ragazzo. A me sembra il libro più completo e più vero che si possa scrivere su tale materia, restando nei limiti dei puri principi, in accordo, inoltre con le nostre aspirazioni”. Nella corrispondenza su questo periodo è interessante il giudizio che Maritain esprime sull’arte moderna: “Che Picasso abbia fregato tutti, come Le diceva Modigliani, è certo possibile, e forse perché è un grande pittore. Ha potuto permettersi delle cose, bric-à-brac, eclettismo, battuta triste, che hanno guastato il nostro tempo. Capita spesso che un grande artista sia un cattivo maestro, ed è sicuramente il suo caso. Anche se ha portato tanti elementi preziosi, che però sono solo materia e che avvelenano, se ci si abbandona a essi. È il caso di dire con David: ‘Se non ve ne fregate della pittura, essa fregherà voi’. È chiaro che ora non è possibile progredire senza essersi prima affrancati da Picasso. Non creda, caro Gino, che io giudichi con troppo ottimismo l’arte mo- dre ne farà un ritratto nella figura del bimbo Gesù in braccio alla Madre nel grande affresco di “Notre Dame du Valentin” a Losanna. Nella corrispondenza diverse lettere seguono questa tragedia, riporto qualche frammento. “Carissimo Jacques, il bimbo sta malissimo, lottiamo disperatamente per salvarlo, ma le sue condizioni sono davvero troppo gravi. Preghi per noi, Jacques, non siamo mai stati così infelici, mai tante prove si sono accumulate sulle mie spalle. Non ne posso più, va tutto male, appena faccio un passo mi trovo davanti una montagna. La mia povera Jeanne lotta con coraggio, ma anche lei è allo stremo delle forze”. Jacques risponde: “Carissimo Gino, siamo uniti con tutto il cuore alla Nel 1934 vostra tristezza, alle vostre angosce, Raissa Maritain alle vostre preghiere. Che dolore sapervi in una crisi del genere! Se non foscrive “L’angelo della ste così lontani, correremmo da voi. Mi Scuola”, una biografia di tenga al corrente, forse il male sarà san Tommaso d’Aquino per scongiurato ancora una volta. Deve essere orrendo veder soffrire così il poragazzi, che Severini vero, piccolo Jacques. Qualunque cosa accada, Gino, non si scoraggi. Se illustra. Il volume sarà il bimbo fosse portato in Cielo, lui satradotto in inglese, in rebbe felice. E nel suo terribile strazio, sarebbe comunque certo di aver geitaliano e anche in nerato per l’eternità un figlio raggiangiapponese te di gloria. Alla Sua cara moglie e a Lei il nostro affetto fraterno. La abbraccio derna. Vedo le stesse tare che vede Lei. Ma con tutto il cuore”. Sarebbe interessante riè compito del critico, e non del filosofo, forportare anche qualche brano dallo scammulare e spiegare tutti i giudizi espressi nel bio di corrispondenza sui lavori di Severitempo. Di tutto questo in ‘Arte e Scolastini, ma mi limito a qualche riga da una letca’ dovevo considerare solo ciò che potetera dell’artista nella quale riassume il suo va riguardare una dottrina universale delpercorso creativo: “epoca futurista: distrul’arte. D’altra parte, credo che l’arte moderna zione assoluta di quanto era stato fatto e apdebba essere liberata. Non è essa a essepreso nelle epoche precedenti; esaltazione re marcia, al contrario, in quanto arte è piedell’intuizione individuale; arte considerata na di ricchezze e orientata verso una cercome ritmo risultante dallo scontro tra le ta purezza. È la spiritualità dell’artista a escose e i sensi; esaltazione del soggetto ecc. sere pervertita dallo scetticismo di cui Lei Epoca cubista: limito le mie aspirazioni per parla così giustamente, e da tanti altri veritrovare i mezzi relativi alla pittura. Ricerca leni morali”. È tanta la stima dell’artista per quasi esclusiva di costruzione, di compoMaritain che Severini nel 1925 dà a suo fisizione e di mestiere. Vaga tendenza alla spiglio il nome di Jacques, un figlio che purritualità. Epoca post-cubista: disgusto per troppo morirà dopo qualche anno, e il pail bric-à-brac e per l’accademismo che il cu- 89 speciale L’elogio di Mussolini che Severini fa a Maritain è un documento che dimostra come molti intellettuali cattolici di rilievo ritenessero di poter collaborare con il fascismo bismo aveva in sé; ricerca più intensa di costruzione e tendenza più definita verso una vera spiritualità; desiderio di raggiungere i classici attraverso la via onesta e non le apparenze”. 1928-1949 TRA ROMA E PARIGI - in questo periodo abbondano i riferimenti alla vita politica, perché Severini per il suo lavoro si trova coinvolto con il regime fascista, e passa da un certo entusiasmo per il regime alla delusione e alla critica. L’artista desidererebbe che Maritain incontrasse Mussolini e gli scrive: “Se sarà il caso, vedrò Mussolini, quest’autunno, ma credo che, dal punto di vista pratico, qui ci siano poche speranze per me. Soffici mi scrive da Firenze che ha ricevuto ‘Primato dello spirituale’ e Come Croce si appoggia a Hegel Maritain è un continuatore di san Tommaso e di Aristotele. Secondo il modo degli scolastici, egli cerca di stabilire una metafisica della poesia e dell’arte moderna che ne è entusiasta; gli è stato molto utile per un articolo sulla ‘questione romana’ (non mi dice se in Francia o in Italia). Quell’articolo è stato approvato da Mussolini, cui ha suggerito la lettura di ‘Primato dello spirituale’, elogiando molto il volume. Soffici dice che un suo viaggio a Roma, quando ci sarò anch’io, sarebbe una bella occasione per stabilire certi contatti intellettuali, Mussolini sarebbe sicuramente felice di conoscerLa. Faccia il possibile per realizzare questo progetto, di cui mi ha lasciato intravvedere una realizzazione non del tutto impossibile. Mussolini è prudente, ma ha già fatto molto per ridare alla religione il posto che le è dovuto nella società. Quando si entra nel Colosseo, adesso, si è colpiti dalla grande croce che ha fatto ricollocare e che domina tutto. Sulla base c'è scritto ‘Ave Crux Spes unica’. Il Colosseo è diventato quasi una chiesa perché, grazie alla croce e a quelle parole, il ricordo dei martiri che in quello stesso posto hanno dato la vita per la nostra religione diventa vivo e presente più di quanto si possa dire. Inoltre Mussolini ha vietato la bestemmia e le parolacce, che erano correnti nella lingua italiana. Credo davvero che quell’uomo sia il più grande capo di Stato del nostro tempo, nonostante certi esibizionismi dei quali egli si rende certamente conto ma ai quali è costretto per tutta una serie di ragioni di ordine estrinseco”. Non credo che Maritain, che in “Religione e cultura” (1930) per non temporalizzare la religione in una data cultura condanna ogni forma di nazionalismo “in spirituali bus”, abbia mai pensato di incontrare Mussolini, ma questa lettera è un documento di come molti intellettuali cattolici pensassero di potere collaborare con il fascismo. Maritain segue con preoccupazione l’artista, lo mette in guardia e gli scrive: “Conoscevo alcuni delle frasi di Mus- solini che mi ha citato. La frase: ‘tutto è nello Stato e nulla di umano o spirituale esiste, e tanto meno ha valore, fuori dello Stato’ è una frase terribile, in cui è condensato tutto l’errore filosofico del fascismo. Essa dimostra che c’è latente nel fascismo una filosofia a mio avviso incompatibile con il cristianesimo, anche se esso riconosce Dio e la Chiesa. Ciò che si può davvero dire è che Mussolini è troppo furbo per sacrificare troppe cose a questa filosofia, così che le realizzazioni pratiche, sociali, del fascismo valgono più della sua ideologia”. Severini continua a informare Maritain sulla situazione italiana e di Mussolini scrive: “È veramente il migliore di tutti, domina la situazione, ma quante stupidaggini in suo nome. Il filosofo ufficiale del fascismo, Giovanni Gentile, è andato a Ginevra a tenere una conferenza su Giordano Bruno, di cui pare abbia fatto un’apologia. Nell’idealismo di Gentile mi sembra di intravvedere un certo spirito anticattolico che mi infastidisce, soprattutto quando penso che egli è il filosofo ufficiale. E davvero molto spiacevole. E il fantasma di Hegel è sempre presente”. Maritain è perfettamente consapevole che in Italia il fascismo sia un pericoloso regime dittatoriale, ma è prudente nei rapporti con i suoi amici italiani, come annota e documenta in nota la curatrice. Nel 1936 il filosofo è a Buenos Aires, per una serie di conferenze, e incontra Ungaretti in occasione del congresso della Organizzazione intellettuale della Società delle Nazioni. Scrive Giulia Radin: “Ungaretti intervenne polemicamente in diversi momenti della comunicazione di Maritain, a difesa del fascismo, anche se il filosofo aveva preso la parola premettendo: ‘Parlerò del fascismo con prudenza per non far soffrire o irritare il mio amico Ungaretti’. In questa occasione il poeta dichiarò: ‘Oggi il fascismo è il solo movimento politico che ridia onore con tutte le sue forze al cristianesimo. Le sue dottrine e le sue opere sono qui a provarlo’; ma non mancò di sottolineare ‘tutte le sue ri- serve’ sul carattere cristiano della dottrina fascista”. Concludo questa parentesi politica con alcuni frammenti di una lettera di Severini dopo la caduta del fascismo: “Dal 1937 e anche prima le cose tra me e i fascisti non sono andate affatto bene; ero venuto in Italia soprattutto per realizzare la mia idea di un’arte parietale (mosaici e affreschi) che mi pareva dover succedere alla pittura da cavalletto, arrivata il più in alto possibile. Ma mi sono terribilmente sbagliato. E ho completamente mancato il mio obiettivo. Un’arte di questo genere può dare buoni risultati solo con un consenso collettivo, in un contesto di civiltà e di cultura molto elevato. Si era molto lontani da questo in Italia, e gli eventi lo hanno dimostrato. Le mie idee hanno procurato lavoro a tutti i conformisti del regime, pittori di poco talento e di scrupoli ancora minori”. Poi alcune osservazioni sulla stampa cattolica in una Roma da poco liberata: “Qui ci sono tre giornali cattolici: l’‘Osservatore Romano’, che nei primi tempi della guerra è stato sorprendente, ma che ora è davvero mediocre; il ‘Quotidiano’, ottimo, nutrito di molte idee, collaborazioni di uomini colti; e infine il ‘Popolo’, giornale del partito ‘Democrazia cristiana’. È un buon giornale, ma spesso il suo livello culturale è piuttosto basso. Una volta ho dovuto richiamarlo all’ordine con una lettera privata perché si erano permessi di parlare di te senza il rispetto che ti è dovuto. Ti accusavano di ‘dialetticismo’ – che sarebbe come accusare Cézanne di essere neo-classico – e, più in generale, erano scontenti dell’ambiente di intellettuali cattolici che avevi creato a Parigi. Mi sono permesso di scrivere una parolina al direttore, con educazione, e da allora, anche quando si occupano di te, lo fanno con educazione”. Infine una conclusione desolante: “E io? Io non sono di qui, caro Jacques. Non rinnego il Paese in cui il buon Dio mi ha fatto nascere, ma quando si Maritain è perfettamente è vissuti per 30 anni in un alconsapevole che in Italia il tro Paese si è piuttosto di lì. fascismo sia un pericoloso Aiutami, caro Jacques, quanregime dittatoriale ma è do potrai, a tornare a Parigi, dove voglio finire i miei giormolto prudente nei rapporti con i suoi amici italiani, tra cui Giuseppe Ungaretti 91 speciale ni. Basta ora, o ti scrivo un libro. Vi abbraccio forte tutti e tre, amici miei carissimi. E naturalmente anche Jeanne. il vostro Gino”. 1948-1966 GLI ANNI DELLA LONTANANZA - dopo il periodo di Jacques ambasciatore di Francia presso la Santa Sede (10 maggio 1945-6 giugno 1948) i Maritain si trasferiscono negli Stati Uniti. Severini scrive a Jacques: “Non posso abituarmi all’idea che lasciate Roma e l’Europa per tornare in America; ho l’impressione di qualcosa di ingiusto, di non logico, di cui tutti a gradi differenti, siamo più o meno responsabili. Questo mi dà una grande tristezza. Non posso confidarmi con nessuno; ognuno vive ormai in una solitudine spaventosa. Spesso sprofondo in una buia collera contro i cretini che guidano i destini dei nostri Paesi, soprattutto in Europa. Ecco che ora si lascia che gli arabi massacrino gli ebrei, dopo essersi impietositi sulle crudeli persecuzioni di cui sono stati oggetto da parte dei nazisti. C’è da vergognarsi di vivere in un’epoca di un tale cinismo. Perdona la mia irritazione, aumentata dal fatto che un uomo del tuo valore debba andarsene in America, proprio nel momento in cui la tua prepr senza in Europa, a Parigi, è più che se Sono interessanti le S lettere nelle quali Severini insiste affinché Maritain convinca l’amico Chagall a donare un Ch quadro alla Collezione di Arte Moderna che Pio XII intende aprire nei Musei Vaticani 92 necessaria”. La corrispondenza di questo periodo permette al filosofo e all’artista di riflettere sull’arte contemporanea nella loro corrispondenza confrontando l’arte europea con l’arte americana. Maritain tiene sei conferenze alla National Gallery of Art di Washington, che raccoglie nel volume “L’intuizione creativa nell’arte e nella poesia” (1953) illustrandolo con fotografie di opere d’arte, tra cui la monumentale tela “Geroglifico dinamico del Bal Tabarin” che Severini aveva dipinto nel 1912 durante il periodo futurista. Dopo avere letto il libro, l’artista gli scrive: “Con il tuo libro ‘L’intuition créatrice’ sei sempre vicino a me. In fondo sono le medesime basi di ‘Art et Scolastique’ e di ‘Situation de la poésie’, riassunte però e sviluppate con una tale ampiezza da costituire una risposta a tutte le questioni che può porsi un artista di oggi”. Severini espone a New York e Jacques scrive alla moglie Jeanne: “Ho visto l’esposizione di Gino a New York. Le tele erano presentate molto bene. Quelle che mi sono piaciute di più sono le opere più vecchie – dico questo a Lei, preferisco non dire niente a Gino – ma c’era una profusione di tele ‘non-figurative’, trattate d’altra parte con una mirabile perfezione di mezzi; ricorderà le nostre conversazioni di Meudon non credo che con l’arte astratta di oggi sia nella sua strada. Alla Galleria mi è stato detto che l’esposizione era un successo”. È proprio su questa tematica che i due protagonisti di questa corrispondenza discutono. Severini in una lettera afferma: “A mio avviso la questione del figurativo e del nonfigurativo è secondaria; il problema, invece, è nell’espressività e nel significato delle forme, ovvero nel loro contenuto, contenuto che non può essere raggiunto ed espresso senza la conoscenza o intuizione creativa, che dipende, a sua volta, da un contatto col mondo esistenziale”. Ho interpretato l’espressione “mondo esistenziale” nel senso di aspetto materiale e aspetto spirituale delle cose, aspetto esteriore e inte- da sinis L. Russ tra: C. Carr olo T. Mari à U. Bocc netti G. Seve ioni rini riore, nascosto, misterioso, con il quale l’artista, il poeta si mette in contatto con l’intuito, con il subcosciente a volte, ma una subcoscienza spontanea e vera, e non simulata come quella di certi surrealisti che ne hanno fatto una teoria. Entrambi non condividono l’estetica surrealista: l’inconscio in cui germina l’opera d’arte non è l’inconscio-subconscio istintuale di André Breton, il teorico del surrealismo, ma l’inconscio-sovraconscio spirituale di Platone. In questo concordano con Marc Chagall, allora in America, e sono interessanti le lettere nelle quali Severini insiste affinché Maritain convinca Chagall a donare un quadro alla Collezione di Arte Moderna, che Pio XII intende aprire nei Musei Vaticani. Severini è preoccupato per l’influenza perniciosa della Scuola di New York anche tra gli artisti europei, e in una lunga lettera a Maritain scrive: “Perché alcuni equivoci, e anche errori, venissero a seminare confusione nella Scuola di Parigi, non c’era bisogno degli americani. Il dramma personale di Malevitč, e quello di Mondrian, e il decorativismo musicale di Kandinsky provengono da mentalità nordiche e non mediterranee. Interessanti ciascuna presa in sé, queste manifestazioni non hanno avuto il tempo di amalgamarsi con quelle mediterranee, perché certi mercanti ci sono saltati addosso e ne hanno fatto una fonte di speculazione”. Poi rileva a proposito di una grande mostra parigina del 1939: “Un’altra ultimo viaggio in Svizzera: “Ho rivisto tuttavia con piacere il mio grande affresco dedicato alla Vergine nella chiesa del Valencosa grave, da un altro punto di vista, è che tin, conservatosi perfettamente. Ho anche vengono difesi e spinti sul mercato ameririvisto Semsales, vicinissima a qui; tu sai cano e internazionale alcuni pittori americosa rappresenti per me quel lavoro, per il cani, non tutti quelli che hanno talento, solo quale ho lasciato Parigi e un mercante inquelli che, come Pollock, hanno ridotto il sopportabile, che però comprava e vendeva quadro a una superficie piana uniformei miei dipinti. Anche i lavori fatti in quella chiemente scarabocchiata, in cui non si vede più sa si sono conservati bene. Inoltre ho rivila minima traccia della Scuola di Parigi, da sto un giovane, figlio del mio architetto, che cui essi pure provengono. Nell’esposizione mi ha aiutato nel lavoro dai cappuccini di parigina del gennaio 1959 non era presenSion (un affresco di san Francesco). Alla fine te nessuno dei pittori che avevi citato nel tuo del lavoro mi disse che intendeva prendelibro. re gli ordini dai domenicani. In effetti iniziò Questo dimostra la decisione di sostenere subito gli studi e, al momento di dire la prisolo ciò che viene chiamato la Nuova pitma messa, ha voluto che fossi il suo padre tura americana, a capo della quale è stato spirituale e che lo accompagnassi all’altapiazzato Pollock. Questa tendenza è stata re. È stata una cerimonia commovente, di definita anche: Scuola di New York, o cui conservo un profondo ricordo. Sono staScuola del Pacifico, in opposizione alla to felice di rivederlo. Insomma, ho ripreso Scuola di Parigi”. E conclude: “È drammai contatti con il mio periodo della pittura patico dover osservare come l’assenza di lirietale”. In Severini l’uomo e l’artista coinbertà in Russia e l’eccessiva libertà degli occidono, il suo “mestiere” è una vocazione, cidentali abbiano portato allo stesso risulperché ha imparato da Maritain che la beltato: uccidere l’arte. Ma questo eccesso di lezza è lo splendore della verità. In quell’anno libertà è diventato redditizio per il genio comesce ancora a Parigi un libro di Severini “Témerciale”. Concludo con una delle ultime moignages, 50 ans de réflexion”, un esemlettere dell’artista, nella quale racconta il suo plare porta questa dedica: “A Jacques Maritain la cui probità, la comprensione in tutto (Arte, Poesia, Pensiero) guidano la “A Jacques Maritain la cui mia vita da 40 anni. Con afprobità, la comprensione in fetto fraterno. Gino Severini”. tutto (Arte, Poesia, Pensiero) *PIERO VIOTTO, guidano la mia vita da 40 Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano anni. Con affetto fra Gino Severini” terno. 93 di F ILIPPO LA PORTA RITRATTI D isorganici 94 CHRISTOPHER LASCH In questi miei ritratti disorganici mi piace qualche volta scompigliare le categorie consuete di destra e sinistra. Non per dispetto ma perché sono convinto che si tratta di categorie al tempo stesso indispensabili e bisognose di una rilettura critica. È stato proprio attraverso Augusto Del Noce, filosofo di destra, che nel 1980 scoprii un aureo libretto: “La cultura del narcisismo” di Cristopher Lasch (del quale ricordo anche “Il Paradiso in terra” e “La rivolta delle élite”). L’autore, proveniente dalla New Left americana, tentava una interpretazione della società attraverso un concetto freudiano nato in ambito clinico. Nella sua visione il narcisista non è tanto l’egoista (o egocentrico), ma un tipo umano profondamente insicuro di sé, alla ricerca di continue conferme della sua stessa esistenza (ha bisogno di sentirsi invidiato più che di essere stimato) caratterizzato da superficialità e ironia difensiva, apatia programmatica e strategie di sopravvivenza, disimpegno emotivo e incapacità di accettare il limite dell’esistenza (vecchiaia, precarietà, sofferenza, morte…). Il narcisista non si ama e non si stima e perciò ha disperatamente bisogno di vedersi rispecchiato negli altri, si impegna tutto il tempo a gestire l’immagine, a fare colpo, a sedurre, ecc. Il destino di Lasch è quello di fare un discorso di sinistra, impegnato cioè a criticare l’ideologia dominante dei consumi, della pubblicità, del successo, dentro però un involucro concettuale “antiprogressista”. All’ottimismo progressista, basato sulla negazione dei limiti che la natura pone all’uomo, contrappone un’idea tragica della storia che però recupera meraviglia e fiducia nella bontà della vita. Si schiera con la tradizione populista americana degli artigiani e coltivatori (probabilmente un mito oggi anacronistico), e poi con una tradizione culturale alternativa, da Emerson a William James. Ma soprattutto si identifica con il senso comune della classe medio-bassa, con il suo scetticismo verso l’onnipotenza della tecnologia, la sua diffidenza verso le immagini glamour dei varietà televisivi, il suo primato della “vocazione” sulla carriera. L’ideale del narcisista è non dipendere da nessuno. Questa paura-avversione verso la dipendenza porta a una sostanziale aridità affettiva, mentre la maturità dovrebbe consistere nel semplice riconoscimento di avere bisogno degli altri. Per Lasch la “salvezza” non ci viene dalla cura psicanalitica ma dalla capacità di recuperare una civiltà “del limite”: “Nel Ventunesimo secolo l’uguaglianza implicherà un riconoscimento dei propri limiti estranea alla tradizione del progressismo…”. Lasch ci aiuta a decostruire le nuove, irresponsabili classi dirigenti del pianeta (e le élite di massa a esse corrispondenti), con le loro velleità cosmopolite, la loro ansia di aggiornamento, le loro identità sempre mobili e fluide, e anche con il loro disprezzo per la gente comune, arretrata, retriva nei gusti culturali, ecc. Potremmo dire che i romanzi di Umberto Eco costituiscono la lettura più congeniale a quelle élite di massa: privi di radici e di memoria, scettici sulla possibilità di distinguere il vero dal falso, inclini a ridurre qualsiasi cosa a intrattenimento. Lasch insiste sul fatto che oggi non disponiamo più di una “cultura”, la quale non è solo un “modo di vivere”, ma un modo di vivere capace di porre divieti, di stabilire che alcune cose sono “sacre”, di indicare scelte che siano in qualche misura obbliganti ecc. Nell’approccio all’opera di Lasch non ne vanno edulcorati gli aspetti più “scandalosi” per il conformismo progressista. La sua critica all’ideologia liberal si spinge in zone politicamente scorrette. Nella polemica con le femministe (favorevoli all’aborto) della classe medio-alta scrive che il loro rifiuto di una concezione biologica della natura umana “esprime insofferenza verso le limitazioni biologiche di qualsiasi tipo e fiducia nel fatto che la tecnologia moderna ha liberato l’umanità da queste limitazioni” (con i rischi relativi di ingegneria genetica). Anche se poi lo stesso Lasch protestava contro l’appropriazione strumentale da parte dei repubblicani dei valori di quel populismo ottocentesco che gli sta così a cuore (etica dei limiti, lealtà e fedeltà alle istituzioni, patriottismo…). La sua Middle America – composta da artigiani, piccoli coltivatori e piccoli proprietari, agricoltori, ecc. – rappresenta l’ultimo grande mito sociale della cultura critica che ci viene da oltreoceano. 95 libri Ciampi ci ricorda il valore delle virtù civili che le generazioni devono trasmettersi se vogliamo restituire un senso al nostro vivere comune sono decrittare il nostro orizzonte. Rivolgendosi a un giovane del nostro tempo, pieno di timori per il suo futuro, Ciampi indica un cammino che non è automaticamente un modello alternativo di sviluppo a quello che ci ha portato a una crisi uguale, se non superiore, a quella del 1929, quanto piuttosto un invito all’impegno per interrogarsi “sulla possibilità di modelli di sviluppo meno rapaci per assistere a manifestazioni spontanee di solidarietà, di disinteressata partecipazione a tragedie che colpiscono città, valli, colline, coste”. Raccontando la sua testi- UN DOMANI migliore per i giovani di GABRIELE PAPINI I giovani di oggi, forse per la prima volta nella storia, si vedono concretamente privati della speranza di un futuro migliore. È questa la grande differenza rispetto a chi ha vissuto in giovane età esperienze drammatiche come la guerra, l’8 settembre, la lotta di liberazione, ma ha sempre confidato in una possibilità di rinascita. Il libro di Ciampi è la contro-testimonianza di quanto oggi si pensa – a differenza di quanto si è ritenuto per secoli – cioè che dai “vecchi” non può arrivare alcun suggerimento per l’avvenire: solo la scienza e la tecnologia – in realtà divenuti dei mostri senza guida – pos- 96 monianza nell’impegno per la ricostruzione dopo il secondo conflitto mondiale e la volontà di cambiamento della generazione del 1968, in cui “il ruolo dei giovani nell’ampliare la sfera delle libertà e dei diritti, soprattutto della persona, fu decisivo”, Ciampi vuole sottolineare che le crisi – accanto ad aspetti negativi – possono veicolarne anche di positivi a patto che si miri a un governo reale dei cambiamenti sociali. Di fronte al momento difficile che stiamo attraversando, l’autore non intende offrire modelli da seguire né appellarsi all’esperienza, quella maschera “inespressiva e impenetrabile” spes- so indossata dagli adulti. Per superare un crollo globale che ha messo in luce responsabilità, limiti e contraddizioni della nostra società, la bussola indicata da Ciampi sono “i principi di libertà, di solidarietà ed equità, il rispetto dovuto alla dignità di ogni uomo, indipendentemente dalla razza, dal colore della pelle, dalla religione professata: sono i valori alla base della civiltà occidentale”. Su questi principi l’autore invita a riflettere ogni giovane italiano e tutti coloro che intendono operare in difesa del bene comune: non si tratta di idee di cui i “vecchi” hanno l’esclusiva ma di virtù civili che le generazioni devono trasmettersi, se vogliamo restituire un senso al nostro vivere comune. La crisi attuale – insiste Ciampi – non è stata adeguatamente governata. In passato la moneta era al servizio dell’economia reale, oggi è alla mercé della “sovranità finanziaria” apparentemente inafferrabile ma che ha nomi e cognomi ben precisi. La politica – che ha colpevolmente aperto le porte a una globalizzazione finanziaria senza controllo – ha abdicato alle sue prerogative di governo e ha lasciato che montasse la rabbia dalla società civile, trasformandosi in antipolitica. Il rapporto Delors, già nei primi anni Novanta, aveva evidenziato che la moneta unica europea avrebbe avuto bisogno di una governance politica ben definita. In realtà la “casa comune” europea che i grandi leader politici del dopoguerra avevano progettato è stata lasciata a metà. Oggi la dimensione globale dei mercati ha reso tutto molto più complesso e la società contemporanea ha creato un solo idolo: la ricchezza individuale a scapito dei costi per la comunità. A questo proposito scrive l’autore: “Il liberalismo economico ha prodotto un’ideologia che rifiuta qualunque modello sociale che affidi allo Stato interventi per programmare le sue scelte al fine di distribuire più equamente beni e oneri all’interno della collettività”. Sarebbe utile allora – sostiene l’autore – come individui e come collettività dell’emisfero privilegiato del mondo, sottoporre a un esame di coscienza i nostri stili di vita, i valori che li hanno ispirati, i modelli ai quali abbiamo finito per conformare convinzioni, scelte, desideri, obiettivi, chiedendoci anche quale sia il nostro grado di permeabilità al “comandamento” imperante del possedere, del consumare e dell’apparire. L’invito di Ciampi è quello di provare a “riportare l’impegno al centro della vita personale e collettiva che nasce dall’essere e dal sentirci vicini tra gli uomini” nello spirito di quella che Aristotele chiamava “amicizia civica”. È stato un altro novantenne, Stéphane Hessel, l’ultimo membro vivente che ha redatto la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, con il suo recente pamphlet “Indignatevi!”, divenuto il libretto rosso delle ultime generazioni e best seller mondiale, a esortare i giovani a indignarsi di fronte a una società che sta perdendo pezzi di umanità a ogni angolo di strada. Ciampi scrive che questo appello “ci accomuna”. È il bisogno di scuotere le coscienze dei giovani di fronte a situazioni ritenute inaccettabili. Dovevano essere due novantenni a tentare di far rinsavire gli squali del nostro tempo e a dare fiducia ai giovani che una rivoluzione, sia pur non violenta, è possibile? Carlo Azeglio Ciampi A un giovane italiano Rizzoli, 2012, 150 pag. 14 euro URBANO VI. IL PAPA CHE NON DOVEVA ESSERE ELETTO di Mario Prignano Marietti, 2011, 296 pagine, 25 Euro r Il conclave dominato dai cardinali francesi lo elesse credendo, erroneamente, che fosse un Papa facilmente manovrabile È un libro avvincente, quello scritto dall’autore Mario Prignano, vice caporedattore del TG1 e lontano parente del protagonista dell’opera ovvero l’arcivescovo di Bari Bartolomeo Prignano. Alla morte di Gregorio XI, nel marzo del 1378, il grande problema nella Chiesa è l’incognita del ritorno della sede papale da Avignone ‒ dove era stata per settant’anni ‒ alla città eterna. Il Papa appena defunto, francese anche lui come i suoi sei predecessori, è sì ritornato a Roma, ma tutto fa pensare che la cosa possa non durare. Lo lascia presagire soprattutto il fatto che ben 12 dei 16 cardinali chiamati a eleggere il nuovo Papa sono francesi, che preferiscono senza dubbio le rive del Rodano a quelle del Tevere. Ma il popolo di Roma, ovviamente, non è dello stesso avviso; il Papa era tornato in c città e il suo successore non doveva neppure pensarci ad andarsene di nuovo; “Il p nuovo pontefice deve essere romano o aln manco italiano” chiedeva a gran voce il pom polo di Roma. Le pressioni sui cardinali rip tiratisi in conclave sono pesanti e spesso t violente. Alla fine risulta eletto un arcivev scovo che non è neppure cardinale: Bars tolomeo Prignano, appunto, che prende il t nome di Urbano VI il quale, precedenten mente, era stato un funzionario della corte m avignonese. I cardinali lo elessero credena do, d erroneamente, che fosse facilmente manovrabile. Il suo papato, durato in tutto unn dici anni, fu drammatico per le circostanze d in cui ebbe inizio e ancor più terribile per i come si è svolto. Nel giro di poche settimane c dalla sua elezione Urbano VI riesce a inid micarsi gran parte del collegio cardinalizio che lo aveva eletto. Iniziò a sorpresa un’opera di demolizione del potere dei cardinali che gli si ribellarono apertamente e, adducendo irregolarità nell'elezione, dichiararono Urbano VI usurpatore del soglio petrino, provvedendo all’elezione di un altro Papa, evento che provocò lo Scisma d’Occidente. Personalmente due riflessioni mi hanno accompagnato nella lettura. La prima è la constatazione che veramente la Chiesa cattolica deve avere un fondamento ben più stabile della capacità umana degli uomini che la compongono per resistere a bufere come quella verificatasi durante il pontificato di Urbano VI. Se tradimenti, errori di valutazione, crudeltà, simonia e nepotismo non hanno potuto far affondare la barca di Pietro, ci deve essere veramente una protezione divina che la sorregge. L’altra considerazione riguarda il fatto che Urbano VI si è fidato molto, e giustamente, della santità di Caterina da Siena. È sorprendente che un Papa accetti i consigli di una donna non ancora trentenne, le ubbidisca, la chiami addirittura a predicare alla sua corte. È altrettanto impressionante che poi il Papa faccia delle mosse e compia delle enormi sconsideratezze che la santa di Siena avrebbe certo condannato. Non basta aver a fianco un santo per vivere da santi. Tobia Morandi 97 lettere scarl te ROMA CAPITALE at QUESTA GRANDE (riforma) incompiuta ESSERE STATA PER ORMAI QUATTRO ANNI ASSESSORE DELLA PROVINCIA DI ROMA È STATO SENZA DUBBIO UN PRIVILEGIO. AMMINISTRARE IL PROPRIO TERRITORIO, METTERSI AL SER- 98 VIZIO DEI CITTADINI È, FUORI DA OGNI RETORICA, UN ONORE OLTRE CHE UNA GRANDE RESPONSABILITÀ. NON SONO MANCATI I MOMENTI DIFFICILI, MA, ANCHE SE È ANCORA PRESTO PER I BILANCI, SICURAMENTE L’IMPEGNO QUOTIDIANO NEL CONTRIBUIRE AD AMMINISTRARE LA PROVINCIA ha rappresentato il lato piacevole di un incarico gravoso di responsabilità. Ma al di là di tutto ciò, lo scenario che va ad aprirsi con la consiliatura provinciale che si avvia a entrare nell’ultimo anno di mandato insieme a quella comunale, rischia davvero di regalarci un’immagine del nostro territorio completamente diversa da quella che oggi conosciamo. Mi riferisco alla riforma di Roma Capitale, il cui secondo decreto è stato licenziato il 6 aprile dal Consiglio dei Ministri. Su quello che dovrebbe essere un nuovo ente locale mi vengono in mente alcune considerazioni. Tutte le grandi città italiane, e la Capitale in particolar modo, sembrano sentire l’esigenza di dare compiuta attuazione alla Città Metropolitana, un ente locale previsto espressamente dalla Costituzione dopo la riforma del Titolo V introdotta dalla legge costituzionale 3 del 2001, ma oggi ancora non compiutamente attuato. O meglio, per nulla attuato, come del resto l’intero nuovo assetto degli enti locali così come delineato dagli articoli 114 e 117 della legge fondamentale. Lo scollamento esistente da dieci anni tra Costituzione formale e Costituzione “sostanziale” è diventata una patologia della nostra democrazia rappresentativa cui il legislatore dovrà prima o poi trovare una cura. Ecco, la riforma di Roma Capitale poteva rappresentare una cura per trovare un nuovo equilibrio tra Campidoglio, Provincia di Roma e Regione Lazio. Se, infatti, nelle grandi città italiane come Milano o Napoli la necessità di dare compiuta attuazione alla Città Metropolitana è sentita come un’esigenza ormai non più procrastinabile, a Roma tale esigenza è elevata a potenza. La ridefinizione delle competenze e del rapporto tra i diversi livelli di governo locale poteva davvero trovare una soluzione che rispondesse meglio ai principi di prossimità e sussidiarietà previsti dalla Carta. L’impressione è che la montagna abbia prodotto il classico topolino. Il testo, portato in Parlamento dal senatore del Pdl Mauro Cutrufo e implicitamente dal sindaco di Roma Gianni Alemanno, sembra lacunoso, nonostante gli sforzi compiuti dalla commissione bicamerale che ne ha emendato i dodici articoli. Preoccuparsi del destino di Eur SpA piuttosto che delle specifiche problematiche del rapporto tra il nuovo ente locale e gli enti di livello superiore ne è un esempio. Per non parlare poi dell’arroganza con la quale si voleva far passare l’idea di un sindaco “alla Marchionne” legittimato a disapplicare il contratto del pubblico impiego per i dipendenti capitolini, un’aberrazione scongiurata solo grazie allo sforzo della commissione e al buon senso del ministro Patroni Griffi. Sancire poi per legge che Roma Capitale è una Città Metropolitana senza ridefinirne il rapporto con la Provincia, senza tenere conto delle relazioni degli altri Comuni che non rientrano nella riforma e con la manifesta volontà della Regione di non voler portare in Consiglio regionale la legge di trasferimento dei poteri, la dice lunga su quanto la riforma nasca già zoppa. Per non parlare dell’incertezza che regna ancora proprio attorno alle Province, oggi declassate dal ciclone dell’antipolitica a enti inutili, ma che in tante zone del Lazio e d’Italia, e in tanti Comuni dell’hinterland romano, rivestono un ruolo addirittura fondamentale. Il loro destino, legato alla trasformazione in enti di secondo livello, non appare convincente. I risparmi sono tutti da dimostrare, come pure la maggiore efficienza e utilità. I cittadini hanno bisogno di altro: di amministratori che sappiano snellire il peso della burocrazia, di enti locali che sappiano essere davvero enti di prossimità e di governo locale, di efficienza amministrativa. La riforma non dà alcuna risposta in tal senso. Certifica solo l’incapacità di una classe politica e di un centrodestra che stanno vivendo ormai il proprio crepuscolo. [SERENA VISINTIN]