euro 2,50
APRILE 2012 n. 4 MENSILE DI POLITICA E CULTURA
Una Rai da salvare
La caduta di Bossi
Maritain e Severini
ZOWART
Alberto Angela
Ambasciatore UNICEF
Foto: Andrea Sabatello
Ogni giorno
muoiono 22.000 bambini
per cause prevenibili.
Vogliamo arrivare a zero.
La morte di un bambino è la tragedia più grande, soprattutto quando può essere evitata.
Io sto con l'UNICEF, che lavora ogni giorno per salvare la vita dei bambini attraverso
vaccinazioni dal costo di pochi centesimi, cure mediche, acqua potabile, alimenti terapeutici,
zanzariere antimalaria.
Ogni giorno muoiono 22.000 bambini. È inaccettabile.
Io voglio che questo numero arrivi a zero. E tu?
Dona su www.unicef.it o chiama il numero verde: 800 745 000
Fotografa il codice QR
con il tuo smartphone
per guardare il video
Vogliamo zero.
APRILE 2012 n.4 ANNO II MENSILE DI POLITICA E CULTURA
9
Moleskine
12
Diapason di GIUSEPPE FIORONI
#twitternews
15
di LUCIO D’UBALDO
POLITICA
19
Toniolo, l’Abramo del cattolicesimo politico italiano
52
80
64
37
35
22
di GIUSEPPE SANGIORGI
22
Nicola Mancino, l’esperienza e la passione
di G.S.
29
Monti, la sfida a una società più equa
di
35
IMMO SACCO
Bossi scende dal Carroccio
di M.S.
37
No al partito Raidicale
di LUCIO D’UBALDO
38
Il servizio pubblico nella società
che cambia
IL DOMANI
D’ITALIA
LEGGILO
ANCHE
SU IPAD
di LORENZA LEI
41
Un’altra Rai è possibile
di MAURO CERUTI
46
Dopo l’Italia salviamo gli Italiani
di GERO GRASSI
49
Ridare speranza ai giovani
per rimettere in moto l’economia
di TIZIANO TREU
52
Riflessioni su concorso esterno
in associazione mafiosa
di DONATELLA FERRANTI
ISCRIZIONE AL REGISTRO DEGLI OPERATORI
DI COMUNICAZIONE N. 19596
NUMERO 4 -APRILE 2012 ANNO II
56
di LUCIANA PEDOTO
DIRETTORE POLITICO
LUCIO D’UBALDO
DIRETTORE RESPONSABILE
GIUSEPPE SANGIORGI
CONDIRETTORI
FILIPPO LA PORTA
T ,
PIO CEROCCHI
MIMMO SACCO
REDAZIONE
GABRIELE PA
P PINI
BEAT
A RICE NENCHA
AMILCARE BORI
OSCAR GASPA
P RI
GIOVA
V NNA MONTA
T NUCCI
MARIO SIRIMARCO
SEDE RIVISTA
T
PIAZZA COLA DI RIENZO, 85
00192 ROMA
TEL. 06 36004654
06.36001296 (fax)
PROGETTO GRA
R FICO
DANIELA TOCCACELI (ART DIRECTOR)
STA
T MPA
P E DISTRIBUZIONE
STR PRESS SRL
VIA CARPI, 19
00040 POMEZIA (ROMA)
CHIUSA IN REDAZIONE
IL 11 APRILE 2012
ESTERI
60
SOCIETA’ EDITRICE
Il Domani d’Italia soc. coop
piazza Cola di Rienzo, 85
00192 Roma
64
Chiesa e America Latina
Un continente pieno di speranza
di GIANPA
P OLO SALV
L INI
69
Romney e la decisiva caccia
agli indipendnti
di TOMMASO MONTESANO
73
La corsa a ostacoli di Obama
di M.S.
75
Il nuovo Iraq e la speranza della pace
Intervista a Saywan Barzani
di PA
P OLA BRIANTI
(PRO)MEMORIA
79
Il silenzio di una comunista
di BEATRICE NENCHA
COSTUME & SOCIETÀ
80
Visioni e suoni sulla via della seta
di GENNY DI BERT
SPECIALE
85
PRESIDENTE
Gero Grassi
Il filosofo e l’artista. Le affinità
elettive di due maestri del Novecento
di PIERO VIOTTO
CONSIGLIERE DELEGATO
Salvatore Turano
COMITA
TATO EDITORIALE
GIUSEPPE FIORONI (PRESIDENTE)
Una certa idea d’Europa
di ENRICO FARINONE
SITO WEB
WWW.ILDOMANIDITA
T LIA.COM
ABBONAMENTI
BOLLETTINO POSTA
T LE INTESTA
TATO A:
SOCIETÀ EDITRICE ROMANA SRL
PIAZZA COLA DI RIENZO, 85 - 00192 ROMA
C/C POSTA
T LE N. 16423006
ABBONAMENTO ANNUALE
EURO 50,00 ABBONAMENTO ORDINARIO
EURO 100,00 ABBONAMENTO SOSTENITORE
ABBONAMENTI ON LINE
[email protected]
06.36004654
06.36001296 (fax)
CONCESSIONARIA
CONCESSIONARIA ESCLUSIVA
V
PER LA PUBBLICITÀ
PER L’ITA
T LIA E L’ESTERO:
POLITA
T LIA SRL
VIA FELICE CASAT
A I, 17 20124 MILANO
TEL. 02.20203111
Salute. Fit not fat
94
RUBRICHE
CHIAMA IL NUMERO VERDE 800.901.050
ENEL SOLE METTE IN LUCE
LA MAGIA DELLA NOTTE.
ARCHILEDE, PIÙ LUCE E MENO CONSUMI PER IL TUO COMUNE.
Enel Sole, leader del mercato dell’illuminazione pubblica e artistica, da sempre punta
sull’innovazione per offrirti servizi e prodotti di qualità. Per questo è nato Archilede, un
sistema ideale che garantisce un'ottima qualità dell’illuminazione e permette un’elevata
flessibilità di regolazione a costi contenuti. Già 950 città lo hanno scelto riducendo i consumi di
energia e abbattendo costi ed emissioni di CO2. Punta anche tu su Archilede, dai nuova luce
alla tua città. Chiama 800.901.050 oppure se chiami dal cellulare, 199.28.29.31. www.enelsole.it
M@LESKINE
m@leskine
Il Punto
di vista
di Lucio D’Ubaldo
LA STRANA GUERRA DI LIBIA. COSA RIMANE? - non ne parliamo
più. Forse le immagini atroci della eliminazione di Gheddafi hanno rimosso
nella coscienza collettiva degli europei l'avventura bellica in Libia. Doveva
essere una guerra breve e salvifica: è stata solo breve. Senza avvertirne l'urto, è in corso attorno confini libici un sommovimento di guerriglia
che scardina assetti delicati e fragili. Una nazione tenuta a guinzaglio, grazie a metodi dittatoriali spavaldi e crudeli, dopo la "liberazione" stenta a
trovare un assetto dignitoso e plausibile. L'Italia si difende come può, avendo messo in sicurezza le forniture di petrolio per i prossimi anni. Tuttavia l'instabilità politica non si cancella con protocolli commerciali o peripezie diplomatiche. Con il viaggio di Monti in Medio Oriente risorge dalle ceneri del berlusconismo il tratto migliore della nostra politica mediterranea. Ma non sarà facile, dopo le scorribande di poco ingegno e nessuna prudenza, riprendere il posto che ci spetta nel complicato scacchiere della regione. In ogni caso, all'Italia più che ad altre nazioni compete esercitare un ruolo prezioso di equilibrio e di pace. Per questo dobbiamo seguire con premura la tormentata vicenda della Libia, ponendola
all'attenzione degli alleati e dei partner europei prima che la dura realtà
dei fatti s'imponga sulle rappresentazioni di comodo. Cosa rimane di una
guerra tanto carica di ragioni umanitarie e promesse di democrazia?
L'ITALIA E I GIOVANI AMERICANI - i giovani americani non declassano l'Italia. Nel sondaggio che ogni anno la Loyola University of Chicago
e la Fondazione Italia-Usa predispongono sulla base di un qualificato campione di studenti si conferma l'attrazione per il nostro Paese. Se ne è parlato lunedì 16 Aprile nella Sala del Mappamondo a Monte Citorio proprio in occasione della presentazione dei risultati del questionario. Accanto ai ricorrenti apprezzamenti sullo stile di vita degli italiani, cos'è che
stavolta colpisce di più? Intanto un sorprendente dato di fiducia sulle "vacanze in Italia" anche dopo il disastro della Concordia: ben tre giovani
su quattro, malgrado tutto, si dichiarano pronti a imbarcarsi per una crociera nel Mediterraneo. Sembra di capire che Oltreoceano non passi l'equazione - almeno tra le nuove generazioni - secondo la quale una sventura intrisa d'imperizia e presunta fellonia trascini con sé il giudizio sulle
qualità di un popolo o di una nazione. Invece, su un altro piano, sorprende
leggere che gli stessi studenti considerano più importante per l'Italia che
non per gli Usa l'accordo tra Fiat e Chrysler; come pure, laddove si domanda quale sia la sede preferibile per il quartier generale della nuova
compagnia automobilistica, essi non temano di apparire in controtendenza rispetto ai precetti della globalizzazione indicando la soluzione di
Detroit. Evidentemente l'amore per l'Italia non oscura il senso di appar-
9
M@LESKINE
TOCQUEVILLE, CRISI MORALE E PARTITO NUOVO: LA
GIOVANE SINISTRA
tenenza a una patria che, nonostante la crisi di questi anni, si percepisce in possesso di un storico primato di potenza economica e militare
sul mondo intero.
Con il declino della Monarchia orleanista, Tocqueville ravvia la ri-
L'ORIGINALE ESPERIENZA DEI BASISTI - Maria Chiara Mattesini ha
scritto un libro interessante sulla sinistra di base (La Base - Un laboratorio di idee per la Democrazia cristiana, Edizioni Studium, 2012), la corrente che vide uniti nell'impresa di modernizzazione del "partito cristiano" uomini come Pistelli, Marcora, Granelli, Misasi, Galloni e De Mita. Molti sono i documenti presi in considerazione, altrettante le testimonianze
raccolte: l'autrice compie uno sforzo non indifferente per armonizzare i
diversi materiali in una sintesi che sembra ad ogni istante venir meno. Benché lo studio affronti solo i primi cinque anni (1953-1958) della esperienza
basista, si condensano in questo arco di tempo i motivi di originalità e
complessità di questa "corrente non corrente", forte della sua inclinazione a pensare se stessa come forma di una politica valida per tutto il
partito. E' dunque la storia di una minoranza che non si chiude nella difesa delle proprie ragioni, ma opera in funzione di un disegno più ampio
e condiviso. L'apertura a sinistra, ovvero il superamento del centrismo
e quindi l'alleanza con i socialisti, rappresenta il cuore della iniziativa interna ed esterna di questa giovane e agguerrita componente politica. I
basisti elaborano il discorso sulla nuova alleanza attraverso un'operazione
raffinata e nient'affatto scontata. Sebbene fossero stretti nella morsa di
forti personalità che incarnano il nuovo corso post-degasperiano, essi
non rinunciano a definire una linea politica autonoma e intransigente. Alla
fine, sarà Moro a costituirsi come interlocutore privilegiato proprio nella
prospettiva della scelta storica del centro-sinistra sancita definitivamente
nel congresso di Napoli del 1962. Scorrendo le pagine di questo volume s'intravede, per altro, quanto faticosa ed eccezionale sia stata la trasformazione del sistema politico italiano nella seconda metà degli anni
'50. E' dunque merito della Mattesini - già nota per la cura dei discorsi
di Luigi Granelli - l'aver dissodato un terreno di studi ancora troppo affidato alla memorialistica di questo o quel leader democristiano, aprendo un percorso di indagine sulla "sinistra politica" della Democrazia cristiana, a cui occorrerà prestare in futuro maggiore attenzione in termini
di approfondimento e valutazione critica.
ne del 1848. Gli sforzi da lui compiuti vengono indirizzati alla for-
flessione sui guasti del sistema politico del tempo e individua gli elementi di crisi destinati immancabilmente a provocare la Rivoluziomazione di un nuovo partito - la "Jeune Gauche" - che purtroppo
stenterà a prendere forma e consistenza. E' interessante notare come
per il grande pensatore francese la "questione morale" rappresenti l'innesco obbligato di una proposta di rinnovamento a tutto campo. Lo stralcio che qui si propone costituisce l'incipit di una bozza
di documento elaborato tra la fine del 1846 e gli inizi del 1847.
"E' evidente che nello stato di disorganizzazione e di anarchia in
cui si trovano tutti i vecchi partiti, nello stato di discredito in cui
sono caduti i loro capi, di sofferenza morale in cui si trova il paese, di disgusto che esso prova pur lasciandosi condurre dalla pura
astuzia politica, insomma, in un tempo in cui vi sono pochissime
cose nuove e grandi che si possano tentare ragionevolmente in
politica, in cui inoltre non vi sono per così dire passioni politiche
che servano da legame, né divergenze di opinioni o d'interessi
da coltivare in seno al paese legale; è evidente, dico, che la base
più nuova, più onorevole e tutto sommato più utile che si possa
trovare per la creazione di un nuovo partito, è un richiamo energico e pratico alla moralità politica.
Tale partito avrebbe per sé innanzi tutto gli uomini realmente onesti. Attirerebbe gli uomini stanchi dei legami dei loro vecchi partiti o animanti da un'ambizione non frettolosa, ai quali darebbe
un asilo onorevole e una sorta di terreno neutro sul quale poter
rimanere in attesa, senza rompere definitivamente con alcuna frazione della Camera, poiché l'obiettivo di questo partito sarebbe
piuttosto quello di usare in modo diverso le istituzioni che già abbiamo piuttosto che di crearne di nuove."
10
[tratto da: Alexis de Tocqueville, Scritti, note e discorsi politici, 18391852, a cura di Umberto Coldagelli, Bollati Boringhieri, 1994, p. 71]
DIAPASON
UNIRE
tutti i riformisti
La crisi non si supera in un batter d’occhi. Sulla riforma del mercato del lavoro
è stato raggiunto un accordo soddisfacente. Ora la questione morale, con la discesa agli
inferi della Lega, tocca livelli di pericolosità. Serve una stagione di riforme
per restituire credibilità al sistema dei partiti. Alle amministrative il possibile crollo
del vecchio centrodestra: che faranno i riformisti? Il Partito democratico deve andare
oltre se stesso per favorire una nuova alleanza di governo
I
di Giuseppe Fioroni
12
n questa congiuntura bisogna mantenere i nervi saldi.
lo adeguato di coesione sociale. Per questo, anche se strana, si è for-
Ogni In questa congiuntura bisogna mantenere i nervi
mata una maggioranza parlamentare. Se non ci fosse, il Paese sa-
saldi. Monti sta procedendo con serietà e autorevolez-
rebbe costretto a fare i conti con il caos. Sulla madre di tutte le rifor-
za lungo la strada che il Parlamento e le forze politiche,
me, quella del mercato del lavoro, alla fine si è trovata una mediazione
in ossequio alle preoccupazioni del Capo dello Stato, han-
intelligente. Non è detto che siano scomparse le tensioni, ma di cer-
no tracciato all’indomani della caduta del governo Ber-
to sembra scongiurato il pericolo di un’aspra deriva conflittuale. Mi
lusconi. Non ha senso speculare, di tanto in tanto, sugli andamenti
sono battuto, insieme agli amici della Cisl e tanti altri, affinché un ac-
di borsa e le oscillazioni dello spread. Bisogna abbattere il debi-
cordo ragionevole fosse trovato: ci siamo riusciti perché lo spirito di
to, anche con misure straordinarie, altrimenti i discorsi sulla cre-
crociata, con l’animo sempre rivolto al diniego preventivo, non por-
scita evaporano nel nulla. Le riforme devono essere portate avan-
tava da nessuna parte. Adesso, qualora nel dibattito alle Camere si
ti con coraggio e lungimiranza, senza perdere di vista l’esigenza
aprisse lo spazio per qualche ulteriore correzione, potremmo sere-
di equità che specialmente nei periodi di crisi garantisce un livel-
namente valutarne la consistenza e l’opportunità. L’importante è non
forzare la mano con proposte destinate solo a riaprire il conten-
cessa di rappresentare un orizzonte politico credibile. Per questo,
zioso tra le parti sociali: non ce lo possiamo permettere.
con ogni probabilità, le elezioni amministrative decreteranno fra qualche settimana il cedimento strutturale della vecchia coalizione di cen-
IL RISANAMENTO DELLA POLITICA - urge al tempo stesso un’o-
trodestra. Magari a questo esito si giungerà con l’esplosione dell’a-
pera di risanamento della politica. Come si può concepire un gra-
stensionismo. Se così fosse, dovremmo valutarne bene le conse-
do di fiducia così basso verso il cosiddetto sistema dei partiti? La
guenze. Sull’onda del successo i riformisti potrebbero incorrere nel-
democrazia è un bene prezioso. Ai cittadini occorre restituire la cer-
l’errore di chiudersi in se stessi, immaginando di controllare le leve
tezza che la rappresentanza elettiva abbia la propria legittimazio-
del futuro. Ciò nondimeno, l’elettorato che da sempre si manifesta
ne diretta nelle scelte di ogni singolo elettore. I partiti non posso-
refrattario alle lusinghe di una sinistra a intonazione socialisteggiante
no essere strumenti al servizio di oligarchie senza controllo, né fun-
potrebbe come non mai ricostruire in breve tempo un consenso am-
zionare come semplici macchine per la gestione del consenso. Ci pio attorno a una ipotesi neo-moderata e conservatrice. E’ già avvuole il ripristino di un sano rapporto tra ispirazione ideale e pras- venuto tra la fine del 1993 e la primavera del 1994.
si quotidiana. Un certo pragmatismo, associato a disinvoltura o
spregiudicatezza, ha trasformato la vita di partito nel semplice eser-
IL FUTURO IMPONE AI DEMOCRATICI DI “FARSI CENTRO” DE-
cizio di conquista e difesa del potere. A noi, cattolici democratici GLI INTERESSI POPOLARI - prefigurando gli scenari di un prose popolari, tutto questo non va bene. Anche la Lega è sprofon- simo avvenire, l’evoluzione del Partito democratico non può che condata nelle sabbie mobili della pubblica immoralità. Penso che il col-
sistere in una nuova forma di organizzazione, più articolata e fles-
po, di per sé durissimo, impedisca a Bossi e ai suoi fedelissimi di sibile, in grado di aderire alle dinamiche dell’elettorato. E’ inevitabiriprendere il posto di una volta. E’ finita l’esperienza di un partito le che per vincere – e soprattutto per convincere – il Partito demoche sapeva agitare le recriminazioni del profondo nord e ne tra-
cratico debba “farsi centro” degli interessi e dei bisogni di ampi stra-
duceva la spinta in un disegno radicale e corporativo, che orien-
ti popolari. Solo rimettendosi in gioco, fino alla sua stessa trasfor-
tava la condotta dell’intera maggioranza di centrodestra. Inizia da mazione, il soggetto nato per incarnare le ragioni del nuovo riformismo
questo momento una fase nuova, interessante per tutti perché l’e- potrà dare all’Italia una prospettiva di stabilità e buongoverno. Il diventuale distacco dalla mitologia padana potrebbe conferire alla segno politico, sorto con Monti e con lui destinato a svilupparsi, eviLega una fisionomia di partito autonomista, ma non secessioni- denzia la necessità di armonizzare le diverse componenti di un riforsta per cupo spirito antiromano, inserendola in un circuito di ritrovata mismo diffuso alle quali, tuttavia, il bipolarismo artificiale di questi ultimi vent’anni ha imposto l’obbligo della separazione e della reciproca
autorevolezza e affidabilità politica.
diffidenza.
I NUOVI ORIZZONTI DELLA LEGA - certamente l’asse con il Pdl
Siamo alla vigilia di decisioni importanti.
I COGENERATORI DEL CENTRO RIFORMATORE
L'Italia è bipolare fin dall'epoca dei guelfi e ghibellini. Addirittura nella Firenze di Dante, spariti i guelfi, presto si formarono due fazioni contrapposte: i Bianchi e i Neri. Questa è la nostra storia. Dal 1945 ad oggi, nel corso di due distinti cicli politici, il bipolarismo ha funzionato ininterrottamente, ma con analoghe malformazioni. Nel primo caso, il difetto consisteva nella impossibilità di promuovere l'alternanza di governo a causa della
Guerra Fredda e dei rischi legati alla natura filo-sovietica del Partito comunista; nel secondo, l'alternanza ha fatto leva sulla cancellazione di qualsiasi barriera verso le estreme, riproducendo nelle coalizioni di governo un'aliquota elevata di instabilità. Venendo all'oggi, la scommessa ruota attorno alla ipotesi che proporzionalismo e bipolarismo non siano inconciliabili. Lo sono infatti se manca una dialettica - di tipo europeo - tra partiti a
forte caratura programmatica e chiara impronta ideale. E' decisivo cambiare meccanismo di voto, tenendo comunque conto che alla "bozza Violante" bisogna apportare correzioni a maggiore tutela della sovranità del cittadino elettore. Occorre garantire la facoltà di scelta differenziata tra lista di collegio e di circoscrizione, il recupero dei resti a livello nazionale, lo sbarramento e il premio di governabilità entro limiti ragionevoli onde, nel
complesso di un ampio disegno democratico, non manchi al pluralismo della rappresentanza parlamentare l'ossigeno necessario. Nessuno avrebbe da temere aggressioni alla propria identità. Ma soprattutto Partito democratico e Terzo Polo sarebbero spinti a fare da cogeneratori di un nuovo "centro riformatore" a forte vocazione maggioritaria. [IL DOMANI D’ITALIA]
Al
centro
dei
tuoi
progetti.
CORSI
ACCADEMICI
DI PRIMO
E SECONDO
LIVELLO
Diplomi
equipollenti
alle lauree
triennali
e magistrali
Design
Graphic Design
Cinema
Scenografia
www.unirufa.it
Accademia di Belle Arti
Legalmente riconosciuta dal MIUR
Via Benaco, 2 - 00199 Roma
tel/fax +39.06.85865917
[email protected]
Pittura
Scultura
numero 2 2012
/twitternews
Sollers
Uomo pubblico,
coperto da
pseudonimo e
riottoso alla politica
spettacolo, talvolta
arcaico per la critica
corrente, prono
nonostante tutto alla
information
technology.
Amante del ciclismo,
si definisce a riguardo
un "nostalgico
gimondiano"
POSIZIONE
Roma, Italia
WEB
page under
construction
Remo Gaspari visse giorni tristi nel
crepuscolo della Prima Repubblica. Il
Vescovo Bruno Forte oggi ne tesse gli
elogi. Fece tanto - dice - per il suo
Abruzzo e morì dove aveva sempre
vissuto: a Gissi, in un appartamento
al secondo piano di una casa senza
Alemanno contesta che vi resti la tom- ascensore.
ba di De Pedis. Non c'è pace per il
boss della Magliana. A Roma, duemila Nel suo Viaggio in Italia, Goethe parla di Palermo e ne descrive le strade
anni fa, valeva il "parce sepulto".
disseminate d'immondizia. A conIn direzione nazionale Bersani invoca fronto, Napoli era un esempio di buola disciplina di partito. Ignazio Marino, na amministrazione. Ma il tempo apdopo tre giorni, non vota la fiducia. E piana tutto.
nessuno tira fuori il cartellino rosso!
Si tenta di legiferare sul gioco d'azDispiace per "Il Riformista". Ma di- zardo. Facile? Ludovico Muratori,
spiace ancor più che abbia sospeso grande erudito e prolifico scrittore, di
le pubblicazioni per mancanza di let- tutto si occupò meno che di questo.
Rifiutò di farlo perché, a suo dire, del
tori. Il riformismo è senza popolo?
gioco si avvantaggiava il Principe.
In mano ai privati la riscossione coat- Ah...la prudenza!
tiva dei Comuni. Con le nuove imposte locali il piatto è diventato ricco. Oc- Il 25 aprile è festa che suscita sempre
corre istituire una regia pubblica a li- qualche polemica. Monti da tecnico
cosa farà? Tacere non può. Non è
vello nazionale. Altrimenti è caos.
#Fidel Castro confida a Papa Ratzinger di aver "tifato" per la beatificazione
di Madre Teresa e Giovanni Paolo II.
Dittatore sì, ma sempre capace di stupire. Sant'Apollinare non è extraterritoriale.
escluso che colga l'occasione per ritagliarsi uno spazio originale di antifascista e di repubblicano. Magari con
respiro europeo.
Sarkozy fu eletto anche con i voti dei
socialisti. Tra questi, alcuni decisero
poi di proseguire nella collaborazione.
Adesso, al contrario, Chirac dichiara
di votare per Hollande. La chiarezza
francese è proverbiale!
Cina rallenta. A spaventare è la bolla immobiliare cresciuta negli anni dello sviluppo a doppia cifra. Dunque?
Se l'Occidente non consuma, Pechino non esporta. La crisi rivela al
mondo - Padania inclusa - l'interdipendenza delle economie.
Il gas cambierà la geopolitica mondiale. Ormai lo si estrae a basso
prezzo. Tra America e Russia, tra
Occidente e Paesi Opec, si riapre
dunque la partita. Pure l'Italia deve
darsi una strategia che tenga conto
dei nuovi scenari.
15
GIUSEPPE TONIOLO
L’ABRAMO DEL CATTOLICESIMO
POLITICO ITALIANO
di Giuseppe Sangiorgi
L’ATTUALITÀ DEL SUO PENSIERO SI FONDA SUL
PRINCIPIO DELLA DIGNITÀ DELLA PERSONA CHE
ANTICIPA, NELLA STORIA DEL CATTOLICESIMO
DEMOCRATICO, LA VISIONE POLITICA DEI “PADRI”
DELLA DC, DA STURZO A DE GASPERI
i
iniziative d
Promuove
o cattolico
nd
o
m
el
d
risveglio
alla Fuci
ia: dà vita
in tutta Ital
ttoliche,
ca
e
nn
o
d
e all’Unione ttimane sociali
se
ciato
istituisce le
viene minac
cattoliche,
gitatore
“a
e
m
co
non
d’arresto
istiano” ma
socialista cr
se ne cura
s
arà festa grande il 29 aprile nella basilica romana di San Paolo fuori le Mura per la beatificazione di Giuseppe Toniolo.
Non si contano in tutto il Paese i circoli di
studio e di formazione politica a lui intitolati. In tempi di incerta idealità, rievocare la
sua figura è un ritorno alle radici ma anche
una lezione per l’oggi. Toniolo può essere
considerato l’Abramo del cattolicesimo
politico italiano a partire dall’unità del Paese. Prima di lui altre personalità, pensiamo
a Vincenzo Gioberti con “Il primato morale e civile degli italiani”, avevano avuto una
visione politica e istituzionale del Paese di
matrice cattolica, ma è con Toniolo che
prende a svilupparsi, nella seconda metà
dell’Ottocento, un filone organico di pensiero politico e insieme di azione, di iniziative concrete in campo economico e sociale, che anticipano molti temi della “Rerum Novarum”, con tutto ciò che a questa
grande enciclica è seguito nel Novecento
È Toniolo a compiere il primo tentativo di fare
uscire i cattolici italiani dalla marginalità politica
che derivava loro dalla “questione romana”. Viene
prima di Murri, Meda, Sturzo e De Gasperi
e continua tuttora a seguire. È Toniolo a compiere il primo tentativo di fare uscire i cattolici italiani dalla marginalità politica che derivava loro dalla
“questione romana”. Lui viene prima: prima di Romolo Murri, di Filippo Meda, di Luigi Sturzo, di Alcide De Gasperi, degli altri
grandi del Pantheon di questa storia. L’attualità di Toniolo sta nel doppio registro della sua vita: egli è uomo di studio e insieme
uomo d’azione. Insegna all’università, è autore di molti testi scientifici di sociologia, di
economia, di storia economica, ma è anche un infaticabile operatore sociale e politico. Scrive manifesti di impegno dei democratico-cristiani, concepisce le unioni
professionali di soli lavoratori, fonda l’Unione
cattolica per gli studi sociali, elabora il programma di Milano del 1894 dei cattolici di
fronte al socialismo, anima la sezione economica dell’Opera dei congressi, promuove iniziative di risveglio del mondo cattolico in tutta Italia, dà vita alla Fuci e all’Unione
donne cattoliche, istituisce le settimane sociali cattoliche, viene minacciato d’arresto
come “agitatore socialista cristiano” ma non
se ne cura. È certamente vero che, figlio del
suo tempo, resta sempre nella sua vita e
nella sua attività dentro lo schema di obbedienza assoluta alla gerarchia ecclesiastica che era proprio del cattolicesimo liberale ottocentesco. All’inizio del Novecento
rompe con Romolo Murri proprio su questo. Lo racconterà lo stesso Murri in modo
drammatico molti anni dopo: “Il dissenso
tra me e Toniolo era antico e grave. Io, prete, difendevo una giusta autonomia del laicato nelle cose civili; ed egli, laico, difendeva
un rigido e totalitario intervento dell’autorità religiosa”. Ma neppure Murri riuscirà a
compiere questo salto. Per le sue idee, anzi,
sarà prima sospeso “a divinis” e poi scomunicato. Sarà Sturzo con il Partito popolare a compiere il passaggio dal cattolice-
19
simo liberale a quello democratico. Ma l’attualità politica di Toniolo si misura su altro:
sul principio della dignità della persona umana come pietra angolare del rapporto tra società e istituzioni. Questo è l’ingrediente
base dell’impegno politico cattolico che
mantiene una costante coerenza nel tempo. Lo Stato, afferma Toniolo nella seconda metà dell’Ottocento, non conferisce, non
delega l’autonomia degli ordinamenti propri a ciascuna società intermedia; lo Stato
semplicemente la riconosce e ne fa un organico coordinamento. Alcuni decenni
dopo Luigi Sturzo, al congresso del 1923
a Torino del Partito popolare, è sulla stessa identica lunghezza d’onda: “Lo Stato non
sopprime, non annulla, non crea i diritti naturali dell’uomo, della famiglia, della classe dei comuni, della religione; soltanto li riconosce, li tutela, li coordina nei limiti della propria funzione politica”. E Dossetti, nel
suo ordine del giorno durante la discussione
sugli articoli due e tre della Costituzione afferma nel 1947: “La visione da affermare è
quella che riconosca la precedenza sostanziale della persona umana rispetto
allo Stato e la destinazione di questo al servizio di quella… Riconosca la necessaria socialità di tutte le persone le quali sono chiamate a completarsi a vicenda mediante una
reciproca solidarietà, in varie comunità intermedie disposte secondo una naturale
gradualità: comunità familiari, territoriali, professionali, religiose…”. È una straordinaria
continuità di cultura civile. Toniolo è il portatore di una visione antropologica, non economicistica, della politica. Non che non lo
interessino gli aspetti economici. Ma egli li
declina lungo il versante dell’etica. “L’elemento etico quale fattore intrinseco dell’e-
conomia” è il titolo della tesi con la quale
consegue la libera docenza in economia politica. E subito dopo il principio di sussidiarietà come chiave di volta di un sistema
sociale ed economico che metta insieme
profitto e solidarietà. Una volta definita questa identità e dopo averla tradotta in opzioni
politiche, si pone il problema delle alleanze. In quale modo? Toniolo, quando a Zurigo, nell’agosto del 1897, si svolge il primo congresso internazionale dei rappresentanti per la protezione operaia che
vede insieme socialisti e sindacalisti che si
affiancano sul terreno comune della legislazione operaia, commenta: “Marciare
separati, pugnare uniti!”. E Sturzo, al congresso di Torino del 1923, pur contrapponendo il suo popolarismo al socialismo e al
comunismo, afferma pragmaticamente
che essere alternativi “dal punto di vista teorico ed etico, politico ed economico, non
vuol dire che parecchi postulati sociali
non possono essere comuni a vari partiti e
quindi a noi e ai socialisti, come il postulato delle otto ore di lavoro, dell’istituzione del
consiglio superiore del lavoro, quello delle
assicurazioni sociali e la tutela delle donne
e dei fanciulli nel lavoro”. Nasce da queste
antiche convinzioni, prima di Toniolo, poi di
Sturzo, quella concezione che De Gasperi aveva della Democrazia cristiana come di
“un partito di centro che guarda a sinistra”.
Resta questa la direzione di marcia.
“Il dissenso tra me e Toniolo era antico e grave. Io, prete, difendevo una giusta autonomia
del laicato nelle cose civili; ed egli, laico, difendeva un rigido e totalitario intervento dell’autorità
religiosa” (Romolo Murri)
20
SIMONE, CONTROLLO QUALITÀ.
La sua fiducia bisogna
meritarsela.
PERSONE CHE FANNO
GRANDE LA RISTORAZIONE
Da oltre 60 anni, Camst è l’azienda leader della ristorazione in Italia.
Con attenzione e dinamismo, ogni giorno è vicina ai suoi clienti per
offrire soluzioni personalizzate e flessibili. Per questo Camst fa grande
la ristorazione: perché è fatta di persone che non rinunciano alle regole
e garantiscono a clienti, lavoratori e studenti qualità e sicurezza.
www.camst.it
L’intervista
Nicola
Mancino
l’esperienza e la passione
AVVISO AI PARTITI: SBRIGATEVI A CAMBIARE. LE PROSSIME ELEZIONI POLITICHE BANCO DI PROVA
DEL RINNOVAMENTO. E MONTI TENGA SALDO IL RAPPORTO CON IL PARLAMENTO
di GIUSEPPE SANGIORGI*
Nicola Mancino, ministro dell’Interno, presidente del Senato, vicepresidente del Consiglio Superiore
della Magistratura: un capitano di
lungo corso della politica italiana dai
tempi della Democrazia cristiana. Il
Paese intorno a noi è pieno di problemi e di contraddizioni. Si ha l’impressione di essere prigionieri di un
labirinto, che va trasformato in un
percorso possibile di uscita dalla
crisi. Per farlo c’è bisogno di esperienza e di saggezza. Iniziamo dal
governo Monti, che è stato chiamato
in tanti modi diversi: governo tecnico, governo delle larghe intese,
governo del presidente… Lei come
lo definisce?
Per me è un governo di competenze,
composto da professionisti che nella società hanno ben operato ed hanno avuto un largo consenso. Si occupano in
22
prevalenza di problemi economici, ma
sono questi, oggi, la grande questione
del Paese. Naturalmente il governo si
deve rapportare al suo referente istituzionale più diretto che è il Parlamento.
Ritenerlo solo “tecnico”, senza tenere
conto che anche le intuizioni di carattere
tecnico-scientifico hanno bisogno di
un supporto di carattere parlamentare,
sarebbe un errore: è un governo che ha
grande volontà di operare in direzione
del risanamento economico e anche etico di questo Paese, ma ha bisogno del
Parlamento.
Un Parlamento che sta vivendo una
condizione di difficoltà…
Il Parlamento è frastagliato perché si è
rotto il centro destra e giorno dopo giorno registreremo sempre di più una divaricazione tra il Pdl e la Lega. La loro
alleanza ha avuto il sostegno del corpo
elettorale, vincendo le elezioni sia pure
sulla base di un pessimo sistema elettorale, da loro stessi definito Porcellum,
ma ora questa alleanza non c’è più. C’è
un centro, che si è mosso per recuperare autonomia e indipendenza rispetto allo schieramento di cui faceva parte e cioè il centrodestra. Nel Paese c’è
grande bisogno di partiti politici ispirati al moderatismo, non alla conservazione, e anche di un grande partito politico riformista. Mi riferisco al Pd, fino
a ieri all’opposizione mentre oggi sostiene il governo e nei sondaggi è divenuto il primo partito del Paese.
Un po’ tutti gli attuali schieramenti
parlamentari hanno al loro interno
componenti, uomini, idee, riferimenti
di valore che si rifanno alle precedenti tradizioni politiche del Paese. E
non sempre è facile la loro composi-
ontà di operare in
il governo ha vol
mico
isanamento econo
direzione del r
farlo
per
Paese, ma
ed etico di questo
rlamento
ha bisogno del Pa
zione in una nuova sintesi politica.
Il Paese soffre soprattutto per due difficoltà: una riguarda i democratici
cristiani e l’altra l’ex Partito comunista, cioè le due antiche anime su cui
si reggeva il precedente sistema politico tra contrapposizioni anche aspre,
ma con dialoghi sul piano parlamentare che portavano a convergenze che
hanno fatto il bene del Paese. Dopo
la caduta del Muro di Berlino lo sbandamento è stato notevole per tutti. Lo
è stato per la sinistra e anche per la
Democrazia cristiana, che pure aveva vinto una grossa battaglia di carattere ideologico ma si era illusa di
potere governare più pacificamente.
La Dc non si è resa conto che sarebbe stato più difficile anche per lei continuare a reggere a lungo il governo
del Paese senza quella stampella che
era costituita dall’opposizione del
Pci. L’errore compiuto dalla Dc e dal
Pci è stato che nessuno dei due partiti ha approfondito le ragioni della
sconfitta, la Dc nel 1993-1994 e il Pci
nel 1989. È mancata una riflessione di
livello culturale per capire come la Dc
e il Pci declinavano dalle rispettive
egemonie: un errore che non è stato
rimosso neppure quando c’è stata la
convergenza del Partito popolare e
dell’ex Partito comunista nel Pd. Le
difficoltà attuali di equilibrio politico del
Paese derivano ancora in larga misura da questa mancata elaborazione di
che cosa è avvenuto a cavallo tra gli
anni Ottanta e Novanta.
Rispetto a questo quadro della situazione, non occorre renderci
conto che siamo alla fine di un ciclo, economico, istituzionale, politico? E che c’è bisogno di una discontinuità con il passato, dando
segnali veri di questa discontinuità? Prendiamo il Parlamento. Da
anni si discute di una modifica del
bicameralismo e di una riduzione
del numero dei suoi componenti.
Nel dicembre 2009 al Senato furono approvate due mozioni. In una
si indicava la prospettiva del Senato federale, nell’altra si immaginava la riduzione del numero dei
NATO ALLA POLITICA COME ESPONENTE DELLA DC CAMPANA
(per due volte ha presieduto la giunta regionale)Nicola Mancino è stato eletto Senatore per la prima volta nel 1976. Ministro dell’Interno dal 1992 al 1994, anno in cui, dopo lo
scioglimento della Dc, ha aderito al Partito popolare. Presidente del Senato dal 1996 al 2001. Dal 2006 al 2010 è stato
vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura.
parlamentari. Sono passati tre anni e
non se ne è fatto nulla. Adesso è
stata avanzata una nuova proposta di
riduzione del numero dei parlamentari che ricalca esattamente quella
di tre anni fa: da 630 a 508 deputati e
da 315 a 254 senatori. Il numero dei
deputati e dei senatori è fissato dalla
Costituzione e per fare questa modifica occorre una legge Costituzionale. La fine della legislatura è a primavera del 2013: si fa in tempo ad
approvare una simile riforma?
Quando c’è grande consenso tra le
forze politiche i tempi per una modifica
della Costituzione non sono necessariamente lunghi. Ma il problema è appunto quello dell’adesione politica ai
cambiamenti. Ricordiamo il paradosso
che avvenne nel 1970 con la nascita delle regioni. Il centro non amava questa
23
L’intervista
stituente si era frapposto perché non
venisse realizzata mentre chi a suo
tempo l’aveva combattuta, come il Pci,
era diventato il portabandiera del regionalismo. La Dc non teneva conto
che il sistema delle autonomie era il
punto di forza della sua ispirazione e
della cultura sturziana che si portava
dietro: fin dall’inizio della vita repubblicana sembrò anzi accantonare più
di un fondamento di quella dottrina. Il
punto è che la riduzione del numero
dei parlamentari va fatta con il consenso di quelli che devono votarla. Se
questa riduzione fosse drastica si cor-
concreto, in quale direzione si potrebbe lavorare per arrivare a un risultato entro questa legislatura?
Mi auguro che sulla base di un riferimento istituzionale autorevole come
quello del Presidente della Repubblica, e sulla base di una qualche neutralità attiva del governo tecnico nel favorire i miglioramenti possibili, si trovi la strada giusta. Il rischio da evitare è che ci sia una parte che si contrappone e un’altra che invece spinge
verso la riforma. Deve esserci intesa,
e qui entra in gioco la disponibilità del
Pdl, rispetto alla quale c’è però qual-
Nel Paese c’è bisogno di partiti politici
ispirati al moderatismo, non alla
conservazione, e di un grande partito
politico riformista come il Pd
di natura elettorale, di bilancio, ma
senza tener conto che si sono fatti alcuni decreti attuativi del federalismo,
e questi implicano la presenza preponderante delle regioni in una delle
due assemblee e quindi nel Senato. In
queste condizioni è difficile che il federalismo possa essere attuato a breve.
Un altro test politico per eccellenza
è quello della legge elettorale. Le
ultime proposte tornano a parlare
di un sistema un po’ alla tedesca,
con uno sbarramento iniziale del
5% e con l’idea di un sistema di
premi per chi superi una seconda
soglia, quella dell’11%, quindi un
sistema che incentivi o che privilegi
i gruppi maggiori rispetto a quelli
L’errore compiuto dalla Dc e dal
Pci è stato che nessuno dei due
partiti ha approfondito le
ragioni della sconfitta, la Dc
nel 1993-1994 e il Pci nel 1989
rerebbe il rischio di una ribellione dei
deputati e dei senatori. Ci sono state
nel passato proposte di legge, una per
esempio di Gerardo Bianco che limitava il numero a 400 deputati e 200 senatori, e c’è stata anche una mia proposta analoga, che però non sono state mai prese seriamente in considerazione. La verità è che queste grandi riforme spesso sono più desiderate che concretamente sostenute.
Insomma ci vuole gradualità. In
24
che riserva. Il Pdl sosteneva, infatti,
una riforma della Costituzione drastica: il premierato assoluto, combattuto soprattutto dai partiti di centro sinistra. Oggi c’è una nuova occasione
per portare avanti le riforme costituzionali, ma quello che vedo nelle proposte in circolazione crea anche un
motivo di preoccupazione. Davvero il
Senato deve rispondere a un bicameralismo virtuale? Cioè il disegno di legge ti arriva solo se ne fai richiesta, salvo per quelli di natura costituzionale,
minori. Considerata l’attuale situazione politico-parlamentare, una
proposta del genere è in grado di
arrivare a conclusione in vista delle
prossime elezioni e quindi diventare la nuova legge elettorale?
Credo che un meccanismo sulla base
di quello tedesco possa essere preso
come punto di riferimento, anche se le
diversità di sistema politico complessivo e le diversità dal punto di vista culturale, economico e sociale tra noi e
la Germania ci sono. Il problema è ave-
La riduzione del numero dei
parlamentari va fatta con il
consenso di quelli che devono
Quando c’è consenso tra le forze
politiche i tempi per una modifica della
gjghjghj
Costituzione non sono lunghi. Il problema
votarla, quindi non può essere
troppo drastica
è l’adesione politica ai cambiamenti
re coerenza nell’impostazione di una
legge elettorale: consentire, cioè, da
una parte la più larga base di rappresentanza del corpo sociale, e dall’altra fornire alla maggioranza il sostegno
necessario a diventare governo di
coalizione e quindi essere governo di
legislatura.
C’è anche chi invoca il semplice ritorno a un sistema proporzionale
puro…
Guai a immaginare di poter fare una
legge elettorale che ci proietti all’indietro, quando nessuno sapeva che
cosa sarebbe accaduto dopo le elezioni e con quali forze politiche formare
i governi. È necessario che ci sia una
proposta politica programmatica che
consenta di mettere insieme quelli
che sono meno distanti rispetto ai rispettivi programmi; ed è necessario
avere programmi che siano sostenuti
dalla coalizione che riceve la maggioranza dei voti dal corpo elettorale. Il rischio di ripetere l’esperienza negativa
del 2006-2008 non può non fare aprire gli occhi ai “costituenti”: non possiamo ricercare le diversità più etero-
genee pur di vincere, abbiamo bisogno
di culture che si confrontino e convergano su una linea programmatica,
soprattutto da parte di quelle forze politiche che hanno abbandonato l’ideologismo.
I protagonisti di tutta la vicenda politica e istituzionale di cui stiamo
parlando restano comunque i partiti. In questa fase storica i partiti
hanno un gradimento molto basso
agli occhi dei cittadini, credo per
ragioni fondate. Lei condivide l’idea di una ripartenza dell’organizzazione dei partiti dall’articolo 49
della Costituzione?
La disciplina dell’articolo 49 è sempre
stata considerata un rischio da parte
di tutti i partiti usciti dalla Resistenza.
Ritengo però che una disciplina in termini di trasparenza e di legalità sia utile. L’articolo 49 della Costituzione per
essere attuato ha bisogno di una legge che obblighi i partiti ad avere comportamenti coerenti, leggibili all’esterno e a praticare una selezione di
classe dirigente che non sia affidata
agli abusi e al condizionamento da parte del centro rispetto alle tante realtà
periferiche presenti sul territorio.
In vista delle prossime elezioni amministrative il Partito democratico
ha dato il via a una fase di primarie
che alle volte hanno finito con il
creare maggiori difficoltà di quelle
che erano chiamate a risolvere. È
un problema di regolamentazione
del meccanismo, o sono le primarie
in sé da ripensare?
Qui c’è la doppia cultura: accettare le
primarie significa accettarle in tutte le
loro implicazioni, e quindi anche una
disciplina che ne regolamenti lo svolgimento. Tuttavia se le primarie servono per selezionare il candidato appartenente a una forza politica è un
conto, se servono per un candidato di
coalizione è un altro conto. Si obietta
che c’è il rischio di un’alterazione dei
risultati. Io penso che non ci si debba
allarmare troppo: il partito di maggioranza relativa che forma una coalizioUna legge elettorale
“alla tedesca” può essere
presa come riferimento,
nonostante le diversità
politiche, culturali e
sociali tra noi e la
Germania
25
L’intervista
ne può fare l’intero bottino – programma e candidato – o realizzare
preventivamente, come a me pare giusto, un accordo programmatico e poi
dare spazio a quelli che si candidano
per gestirlo.
Se sono primarie, per scegliere il
candidato di un solo partito, bisogna
dare maggiore libertà senza invadenze centralistiche. Se uno adotta il metodo delle primarie, salvo ragioni morali, etiche, diciamo di opportunità dovute a circostanze ben precisate, tutti vi possono partecipare. Le primarie
devono dare alla periferia la possibilità di poter esprimere il meglio che
quel territorio può offrire in termini di
classe dirigente, come assunzione
di responsabilità di vertice.
E quando sono primarie di coalizione?
In questo caso il problema si sposta
perché per vincere senza nulla togliere
a eventuali altri aspiranti, il candidato della coalizione non può non impegnare i partiti dei quali è espressione. Qui molto dipende dalla capacità di mediazione dei partiti. Ritengo
che i partiti oggi vivano una grande
difficoltà al loro interno: pensare che
tutto sia addebitabile al vertice
e dei
partiti è un errore.
Nessuno prende atto, ad esempio,
mpio,
che i partiti oggi sono organizzati
ati più
in modo televisivo che non sul terri-torio. Uno parla a Roma perché
hé in-tenda Sassari, Bari, Palermo. Ma
a non
può essere la televisione a selezionare
onare
le classi dirigenti. Non si può diventare
entare
importanti solo perché si va in televisione; bisogna andare in televisione
perché si è diventati importanti: questa logica si è rovesciata. E per diventare importanti bisogna sapere
che cosa succede sul territorio. I partiti prima c’erano sul territorio mentre
oggi non ci sono più. Ritenere che di
tanto in tanto, in occasioni come
quelle delle primarie debba comparire a sostegno qualche leader politico
a mio avviso è un errore. La sua presenza può anche apparire una insopportabile interferenza e infatti molte volte il territorio rivendica anche polemicamente l’autonomia, basta vedere le ultime esperienze negative.
Siamo partiti dal governo, torniamo per concludere al governo.
Che consigli darebbe a Monti per
concludere efficacemente l’anno di
lavoro che ancora gli resta fino alla
primavera del 2013?
Non devo dare consigli a Monti, ma ritengo che il presidente del Consiglio
essendo al vertice di una coalizione,
deve discutere all’interno di essa e arrivare poi con una sola voce al tavo-
L’articolo 49 per
o di una legge che
essere attuato ha bisogn
obblighi i partiti ad avere comportamenti
all’esterno
coerenti, trasparenti e leggibili
26
lo del confronto con le forze sociali del
Paese. Non sono in discussione bravure, capacità e professionalità dei
singoli ministri: i provvedimenti devono passare dal Parlamento e non si
può sempre fare ricorso al voto di fiducia. Il governo Monti gode di un
grandissimo credito perché ha fatto
uscire il Paese dal rischio del precipizio. C’è anche da tenere conto che
le forze politiche che potevano mirare alle elezioni anticipate vi hanno rinunciato. Penso al Partito democratico che poteva tranquillamente spingere in quella direzione di fronte al fallimento del centro destra. A me fa meraviglia sentire il Pdl quando sostiene
che questo governo non sta facendo
nulla di meno e nulla di più di quello che
stava facendo il precedente governo:
se fosse così saremmo esattamente in
quel precipizio dal quale Monti ci sta
portando fuori. Ci ha salvati Monti e anche il senso di responsabilità del Pd e
dell’Udc nel sostenere, come stanno facendo, scelte di governo dure nel loro
impatto popolare, ma necessarie per
uscire dalla crisi e creare le premesse
di un nuovo sviluppo.
Monti
a
d
i
f
s
la
Una società più equa
IL MONITO
LANCIATO
.
dal premier
alle forze politiche
SULL’ARTICOLO
18 indica un
cambio di
strategia nei
rapporti
tradizionali tra
governo e parti
sociali. La
stampa estera
tra elogi e
interrogativi
di MIMMO SACCO
IL VIAGGIO IN ASIA È STATO UN SUCCESSO: DAL PRESIDENTE CINESE HU JINTAO
MONTI HA INCASSATO LA PROMESSA DI MAGGIORI INVESTIMENTI IN ITALIA
29
primo piano
Una proposta
di riforma
dell’articolo 18
è stata
individuata
nell’adozione
del “modello
tedesco” per i
licenziamenti
motivati da ragioni economiche
30
Sono sotto gli occhi di tutti i risultati positivi conseguiti, in pochi mesi, dal governo di “impegno nazionale” sul piano
delle riforme e della ritrovata credibilità internazionale. Ma, al tempo stesso, il pre-
mier tiene ad avvertire che “l’emergenza non è finita, non si risolve in un
anno”. La direzione di marcia sembra, comunque, quella giusta per far fronte a una
preoccupante recessione che ci colpirà
per tutto il 2012 con risvolti negativi sull’occupazione. Ma la strada per il governo, finora sostanzialmente piana e
confortata comunque da un ampio consenso sta assumendo in parte la fisionomia di un sentiero molto stretto e accidentato. Si prevedeva che la riforma del
lavoro, e in particolare l’articolo 18, sarebbe stato un passaggio difficile e tale
si sta rivelando. Questo articolo, che riguarda i licenziamenti per motivi eco-
nomici, è entrato
con una irruzione
fragorosa nella scena politica interna.
Ha in sostanza ege-
monizzato i media, l’opinione pubblica e
il dibattito politico con un impeto potenzialmente devastante. Su questo terreno, insidioso e minato, va registrato l’esplicito avvertimento di Monti: “Se il Paese non è pronto a queste riforme – alias
se i partiti fanno resistenza passiva –
sono pronto a lasciare”. È un avviso ai naviganti molto chiaro e che non va sottovalutato. Quest’affermazione del premier, infatti, rispecchia il suo modus
operandi, e al tempo stesso la si può leggere anche in filigrana come funzione pedagogica che l’esecutivo ritiene di dover
esercitare in questa fase, affinché la
riforma “non finisca su un binario morto”.
L’esigenza di inviare un messaggio di collaborazione distensiva a Monti ha spinto la maggioranza a raggiungere una prima intesa sulla riforma elettorale, da Napolitano subito apprezzata. E il premier
ha ricambiato l’attenzione. Di fronte,
soprattutto, alle forti preoccupazioni del
Pd e dei sindacati, ha annunciato: “Voglio unire, non dividere. Voglio trovare soluzioni che facciano avanzare il Paese,
non creare problemi che spacchino partiti o parti sociali”. E poi la “communis
opinio” fa giustamente osservare che,
non essendoci un’alternativa all’attuale
equilibrio, questo dovrebbe incoraggiaL`AVVENTO re a raggiungere
un’intesa. Ma tra godei “montiani”
verno e partiti non
ha rivoluzionato
servono reciproci
gli schemi della
toni di sfida. L’impecomunicazione
gno comune va ripolitica nel
volto piuttosto al
Paese: sono
bene del Paese, cioè
pragmatici,
alla coesione nazioprendono
nale. “Chi gode di
decisioni
forza e credibilità ocrapide,
corre che tenti di artalvolta
monizzare il carattenon condivise
re dei cittadini e conma
durli senza timore
concrete
verso il meglio… sapendo che è piuttosto laborioso il cambiamento delle moltitudini”, ammoniva Plutarco. Osservatori
politici attenti fanno notare che l’avvento dei “montiani” ha rivoluzionato gli
schemi della comunicazione: sono pragmatici, prendono decisioni rapide, magari
talvolta sbagliate o non condivise ma
Obama ha elogiato il nostro premier per le riforme strutturali e per “il ruolo importante
dell’Italia in Europa”
Tra governo e
partiti non
servono
reciproci toni
di sfida.
L’impegno
comune
va rivolto al
bene del
Paese, cioè
alla coesione
nazionale
concrete, con le quali è difficile polemizzare se non contrapponendo tesi altrettanto concrete. L’articolo 18 comporterà ulteriori giornate roventi. In una
situazione di grave crisi economica costituisce, indubbiamente, un nodo non facile da sciogliere ma ritengo vadano evitati toni ultimativi, con contrapposizioni
laceranti che denunciano una sorta di
chiusura dogmatica. Non giovano e
possono sfociare in esiti politicamente disastrosi. La soluzione di questa dialettica, se si è saggi e lungimiranti, non può
non portare alla sintesi che in politica vuol
dire mediazione. Tutti noi dovremmo
essere consapevoli che “quos Deus
fuori strada, scuotendo così la stabilità
del governo. Servirà anche l’intelligenza
pragmatica di Monti. Se tutti gli uomini
di buona volontà remeranno nella stessa direzione riusciremo, spero presto, a
lasciarci alle spalle questi giorni burrascosi. In una fase difficile come questa
nessuno può stravincere. Napolitano,
come grande regista dell’“operazione
Monti” si adopera con la sua “moral suasion” a contrastare una pericolosa spirale politica di scontro, raccomandando
“moderazione e attenzione”. Il capo dello Stato ritiene fondamentale la riforma
del lavoro per ridare slancio alla crescita dell’economia e all’occupazione dei
tivati da ragioni economiche. In questi
casi, il magistrato del lavoro può annullare il licenziamento – ordinando il reintegro – o stabilire un congruo indennizzo. Nella nostra società il concetto di lavoro ha, giustamente, acquistato un significato che va al di là dei suoi indicatori economici. La liberalizzazione del lavoro è indubbiamente un concetto positivo ma questo non va tradotto in libertà
indiscriminata di licenziamento. In quest’ottica si colloca l’intervento della Cei,
che tiene a sottolineare che “il lavoratore non è una merce, non lo si può trattare come un prodotto da eliminare per
motivi di bilancio”. E questo spiega per-
giovani. Da Napolitano è venuto un forte monito: “Le nuove generazioni non devono essere penalizzate da ingiustificate precarietà o da forme inammissibili di
sfruttamento”. Sulla riforma del lavoro è
inoltre arrivato un significativo riconoscimento da parte dell’Ocse, che la
considera “un passo positivo nella giusta direzione”. Una via d’uscita, da più
parti proposta o sollecitata, è stata individuata sostanzialmente nell’adozione del
modello tedesco per i licenziamenti mo-
LA CEI
Da Napolitano è arrivato
un forte monito:
“Le nuove generazioni
non devono essere
penalizzate da
ingiustificate precarietà
o da forme inammissibili
di sfruttamento”
perdere vult, prius…”. In tale contesto mi
viene spontaneo riportare una celebre riflessione di Moro che mantiene tutta la
sua attualità: “Oggi dobbiamo vivere, oggi
è la nostra responsabilità. Si tratta di essere coraggiosi e fiduciosi al tempo
stesso, si tratta di vivere il tempo che ci
è dato di vivere con tutte le sue difficoltà”.
Ora che della materia è chiamato a occuparsi il Parlamento, sta alle forze politiche evitare di provocare pericolosi
sbandamenti, con il rischio di uscire
ha sottolineato
che “il
lavoratore
non è una
merce, non lo
si può trattare
come un
prodotto da
eliminare per
motivi di
bilancio”
ché Monti ha offerto un segnale di attenzione dettato dal
realismo, ovvero si
agirà “per impedire
abusi dagli imprenditori”. Va detto,
però, che gli investimenti esteri nel
nostro Paese non
sono solo frenati
dall’articolo 18, ben-
31
primo piano
Per l’Ue le misure strutturali
adottate dall’Italia vanno nella direzione giusta e
ci si aspetta un ulteriore sforzo per la crescita
sì dalla burocrazia, dalla corruzione
e dalla criminalità organizzata. Va
infine segnalato un altro aspetto di
primo piano: l’azione del premier sul
piano internazionale. Con stile e passo cadenzato, Monti si sta muovendo
su uno scenario molto vasto, seguendo una road map che lo ha portato prima in Europa, poi negli Usa con Obama
e, nelle scorse settimane, in
Cina, Giappone e
Corea del Sud. Lo
scopo è stato
quello di convincere l’importante
mercato
asiatico
dell’affidabilità del
32
nostro Paese. La sua missione si è rivelata fruttuosa. Dal presidente cinese
Hu Jintao Monti ha incassato la promessa di maggiori investimenti in Italia. E da Obama – al vertice di Seul – ancora un elogio per le riforme e per “il
ruolo importante dell’Italia in Europa”.
Con il suo recente viaggio di quattro
giorni (Libano, Israele, Palestina ed
Egitto) Monti ha mostrato un cambio di
sensibilità e cioè molta più attenzione
del passato per la posizione europea
sulla vicenda delicata e complessa
del Mediterraneo. Sul piano europeo
Monti ha sempre tenuto a illustrare ai
suoi interlocutori, a partire da Bruxelles,
le riforme adottate. “Vogliamo dimostrare” ha spiegato recentemente “che
non solo abbiamo fatto i compiti a casa,
ma siamo pure saliti in cattedra”. E in
questa affermazione è trasparente il giusto scatto di orgoglio nazionale di chi
non vuole che il nostro Paese continui
a essere considerato come un pigro e
recalcitrante scolaretto. E i risultati si
sono visti. Sul piatto della bilancia, infatti, vanno posti gli unanimi riconoscimenti europei. Per l’Ue, le misure
strutturali adottate vanno nella direzione giusta e “ora ci si aspetta un ulteriore
sforzo per la crescita”. Una notazione
finale sull’uomo Monti. Il “Wall Street
Journal” ha paragonato recentemente
il premier italiano alla Thatcher. Accostamento, mi pare, improprio e frettoloso. Dalla Iron Lady si può dire che sia
lontano per formazione personale e culturale. Va ricordato infine che il mitico
Raffaele Mattioli, suo zio, era un banchiere umanista.
Il Caso | Lega
Siamo di fronte ad una brutale nemesi storica verso chi gridava “Roma ladrona”
ponendosi come aspro censore del malcostume politico altrui
La devastante bufera giudiziaria che ha colpito il Carroccio ha travolto il Capo indiscusso e non solo lui. Bossi si è dimesso da segretario
e, con uno scatto di orgoglio,
ha riconosciuto: “chi sbaglia
deve pagare”. Costretto alle
dimissioni anche il figlio Renzo. Il simbolo del cesarismo carismatico
ha deposto lo scettro, dopo una lunga
stagione durata 23 anni (la Lega è il più
antico partito italiano). Il crollo è avvenuto
sotto il peso di un’accusa esplicita. Uso
Calderoli e Dal Lago è chiamato a guidare
il partito fino al Congresso federale, previsto per giugno. Maroni, che si è affrettato a chiedere “pulizia”, si è indubbiamente rafforzato e oggi appare come il
po e sul “Domani
d’Italia” ho avuto
modo di registrarli
puntualmente.
Bossi ha perso
lo sfascio
del Carroccio
di Mimmo Sacco
Maroni,
che si è
affrettato a
chiedere
“pulizia”, si
è rafforzato
e oggi
appare
come il
successore
naturale
di Bossi
La caduta di Umberto Bossi segna il
drammatico epilogo della “rivoluzione”
leghista. Potrà esserci una rinascita?
privato da parte della sua famiglia di denaro pubblico (rimborsi elettorali). Questo emerge dall’inchiesta di tre Procure
– Milano, Napoli, Reggio Calabria – che
indagano in modo coordinato e che vedono coinvolto l’ex tesoriere Francesco
Belsito, che è stato espulso dal Carroccio. La reazione della base è stata immediata: sconcerto, delusione e rabbia.
Il sofferto gesto del Senatur segna il drammatico epilogo della “rivoluzione” leghista, un partito fondato su una forte caratterizzazione ideologica e identitaria, e
questo avviene alla vigilia di elezioni
amministrative che – ritengo – segneranno per il movimento un duro contraccolpo in termini di consenso. Dopo lo
scandalo, un triumvirato con Maroni,
successore naturale. Ma Maroni non ha
fretta, anche perché ci sono preoccupanti
ferite aperte da rimarginare: c’è chi lo considera un “traditore” ma Bossi, che da
tempo fiuta il vento, lo difende. E poi l’ex
ministro non cerca affatto lo showdown
con Bossi (lo dimostra la sua nomina a
Presidente del partito). Piuttosto attende
la resa dei conti con il “cerchio magico”
– i fedelissimi del Capo – che sono ormai
un mito infranto. I segni premonitori del
declino del Senatur si avvertivano da tem-
sempre più il contatto con il vasto mondo dei ceti produttivi del Nord. Questo,
in estrema sintesi, il quadro desolante che
offre, oggi, il Carroccio. Siamo di fronte
ad una brutale nemesi storica verso chi
gridava “Roma ladrona”, ponendosi
come aspro censore del malcostume politico altrui. E ormai sembra fuori tempo
massimo un loro eventuale ricorrere ancora al rito “purificatore”, in quelle sorgenti
magiche del Dio Po, immagine plastica
di un paganesimo localista.
35
Le crisi e le trasformazioni del
servizio pubblico televisivo hanno un
collegamento diretto con i cambiamenti
del sistema educativo e questo si
riflette nei gusti dei telespettatori
In nome della lotta all'occupazione dei
partiti si gioca attorno alla Rai una partita a scacchi tra vari potentati. Spesso
si fatica a capire dove corra la linea di
difesa del servizio pubblico o come si articoli una proposta di cambiamento.
E' vero, ogni nuovo ciclo politico porta
allo scoperto la volontà d'imprimere una
svolta nel governo del sistema televisivo. Tuttavia in questa dinamica si scorgono sovente i riflessi della polemica
strumentale, come nello spirito e nella
modalità di certi attacchi al Direttore generale. I riformisti devono dotarsi di una
strategia lucida e coerente, intanto non
fornendo copertura a quella specie di
"partito raidicale" che nasconde nelle
A favore del Gop,
pieghe dell'oltranzismo l'indomito spila recente
rito di gioca
corporazione.
redistribuzione
causata
Monti faccia quel che deve,
visto che ha
dal
censimento
decenin mano le carte per introdurre
i camnale,
che haProponga
aumentato
il
biamenti
necessari.
la nomipeso
dei
territori
del
sud
na di un Presidente all'altezza dei nuocome
Texas,
Florida,
Arivi compiti
e dia
mandato
al futuro
Conzona,
Carolina
del
Sud,
siglio di amministrazione d'investire
Georgia,
Nevada
e Utah,
sulla forza
della Rai,
anzitutto
facendo
più favorevoli al Partito
leva sulle riconosciute professionalità inrepubblicano
terne. Occorre rivedere la filosofia e l'organizzazione dei programmi, rinnovare
l'attenzione e la cura per il pluralismo,
valorizzare le identità sociali e territoriali,
promuovere forme e modelli d'interpretazione di un'Italia che ha bisogno come tutti avvertiamo - di rispecchiarsi in uno slancio corale di rinnovamento culturale, civile e politico.
Buon lavoro!
(L. D.)
seco
c ndo il dire
r tt
ttore
r della BBC John Re
R ith
la t v pubblic a è la
che parla alla
NO
nazione
Nazione
al partito
Raidicale
37
specialerai
La TV
pubblica
deve costituire
un modello
di eccellenza
editoriale
per tutti
gli operatori
del mercato
a prescindere
dalla loro
mission
specifica
Il mercato radiotelevisivo non è in grado di assicurare la produzione e l’offerta di contenuti
che abbiano la capacità di soddisfare l’interesse generale: di qui la necessità di un servizio
pubblico
Una nuova concezione del servizio pubblico da parte della Rai può innescare una fase di
rilancio dell’azienda e di costruzione di una sua nuova centralità nel sistema
La funzione di servizio pubblico radiotelevisivo è di grande importanza perché
esercita un forte impatto sulla popolazione. L’aggiornamento del suo effettivo
contenuto rispetto ai mutamenti che
hanno caratterizzato la società contemporanea e il mercato della comunicazione complessivamente inteso, devono
essere l’obiettivo prioritario del “broadcaster” di servizio pubblico. Perché un
servizio pubblico radiotelevisivo rinnovato deve e può divenire un importante fattore di riequilibrio delle dinamiche di
mutamento sociali in atto in tutto l’Occidente postindustriale. Affinché questo
Il servizio pubblico
nella società che cambia
La Rai deve possedere una propria cifra editoriale
e stilistica, diversa dagli altri competitor e in grado
di rappresentare il Paese nelle sue trasformazioni
di Lorenza Lei*
ruolo possa essere svolto nella sua pienezza, è necessario che si avvii una seria
riflessione su come la funzione in sé
debba essere strutturata e declinata nel
nuovo contesto sociale e competitivo e,
una volta chiarito questo elemento, occuparsi delle soluzioni di indirizzo, di
controllo, di governo e di finanziamento
con esso coerenti. Non solo il contesto
sociale sta cambiando, anche l’assetto
competitivo è in veloce trasformazione e
una nuova concezione di servizio pubblico, accompagnato da una nuova modalità di suo esercizio da parte della Rai,
possono innescare una fase di rilancio
dell’azienda e di costruzione di una sua
nuova centralità nel sistema. Perché la Rai
non può permettersi di non essere centrale. La veloce crescita di penetrazione
dei vettori di offerta di contenuti audiovideo su internet a banda larga consente l’ingresso nel mercato da parte di nuovi attori di dimensione internazionale,
che tendono a insidiare il posizionamento che tradizionalmente hanno fino ad
oggi occupato i broadcaster. YouTube,
Apple, Netflix ma anche i grandi produttori di televisori e di terminali digitali (televisivi e non) come Samsung, Sony,
Philips, la stessa Microsoft stanno sempre di più sviluppando la tendenza a giocare il ruolo degli aggregatori di contenuti
video da offrire direttamente e in prima
persona all’utente finale. Anche in un mercato che cambia e si struttura su nuovi
equilibri fondati sull’ingresso di nuovi attori di dimensione sempre più sovranazionale, la Rai deve poter giocare un ruolo da protagonista in forza del rinnovamento della propria missione e della
propria capacità di esercitarla correttamente.
QUALE “MISSION” PER LA NUOVA
RAI? La verità è che il mercato in quan-
8
383
Obiettivo: saper garantire al tempo stesso qualità e
specificità del prodotto e un livello adeguato di
fruizione dello stesso da parte dei cittadini
L’azienda
deve
agire da
mediatore
culturale in
forza delle
proprie
competenze
professionali
e del ruolo
che il Governo
le affida
to tale non è in grado di assicurare la
produzione e l’offerta di contenuti che
abbiano la capacità di attrarre e soddisfare l’interesse generale. Questa è la ragione dell’esistenza degli operatori di
servizio pubblico, anche nell’ambito di
contesti competitivi e di mercato. E questa deve essere la ragion d’essere della Rai e la sua mission principale. Gli
estremi di fondo che la descrivono potrebbero essere:
1) rappresentare il Paese in tutte le sue
componenti, nazionali, territoriali e locali;
2) fungere da unificatore del paese favorendo la comunicazione fra i cittadini e fra le comunità nelle quali si articola
la cittadinanza;
3) agire da mediatore culturale in forza
della propria competenza professionale e del ruolo che il governo le affida,
rappresentando il senso dello Stato e facilitando la possibilità che i cittadini si
riconoscano in esso;
4) ridisegnare il proprio ruolo di editore “universale”, in grado di presidiare
tutta la catena del processo editoriale, a partire dall’ideazione dei conte-
nuti, dalla loro produzione e dalla loro
armonizzazione nelle varie tipologie di
offerta;
5) garantire l’accesso ai propri contenuti
a tutti i cittadini attraverso le varie soluzioni che l’evoluzione delle tecnologie
della comunicazione consentono;
6) fungere da polo di riferimento e modello di eccellenza editoriale per tutti gli
operatori del mercato indipendentemente dalla loro mission specifica;
7) rappresentare l’Italia nel mondo
aprendo al tempo
stesso la conoscenza del mondo
ANCHE CON
L’INGRESSO
nel mercato
televisivo di
nuovi attori di
dimensioni
sempre più
sovranazionali,
la Rai deve
poter giocare
un ruolo da
protagonista
nel sistema
agli italiani;
promuovere la produzione audiovisiva
nazionale anche utilizzando al meglio le
capacità produttive locali e favorire
l’innovazione tecnologica in tutti i settori di attività;
8) essere un bacino di formazione di
nuove professionalità, anche sviluppando sinergie con strutture e istituzioni
esterne (università, scuole e aree di formazione) innescando una nuova cultu-
39
specialerai
Garantire
la ricezione
a tutti
i cittadini
attraverso le varie
soluzioni che
le moderne
tecnologie
consentono
L’azienda deve essere
in grado di presidiare tutta la catena del processo
multimediale: dall’ideazione dei contenuti
alla loro produzione e alla veicolazione dell’offerta
È POSSIBILE
coniugare una
programmazione
di qualità,
costi
contenuti
e risultati
significativi
di share
40
ra del prodotto e creando nuove occasioni occupazionali.
LA CIFRA EDITORIALE DEL PRODOTTO RAI - va, infine, resa il più possibile chiara ed identificabile da parte
della cittadinanza la corrispondenza tra
l’offerta televisiva Rai e la funzione di
servizio pubblico. La Rai deve possedere una propria cifra editoriale e stilistica, nettamente distinguibile da quella degli altri operatori del mercato e nello stesso tempo in grado di rappresentare il Paese nella sua complessità.
Esistono delle modalità di declinazione editoriale del prodotto televisivo in
grado di assicurare il compimento della funzione pubblica che alla Rai compete, senza per questo restringere il bacino di utenti a cui si riferisce, trasfor-
mandolo in una nicchia o in un segmento marginale. È proprio nel raggiungimento di questo equilibrio che si
deve misurare la mediazione professionale dell’operatore di servizio pubblico, che deve saper garantire al tempo stesso qualità e specificità del prodotto da un lato e, dall’altro, un livello
adeguato di fruizione dello stesso da
parte dei cittadini. Questo deve essere
il percorso per riconquistare la centralità che la Rai ha sempre avuto nel sistema e che ora non può rischiare di
perdere. Una centralità fatta di eccellenza e autorevolezza di prodotto e di
identità e riconoscibilità dello stesso, indipendentemente dal mezzo di diffusione e di fruizione dei contenuti utilizzati.
*LORENZA LEI,
Direttore generale della Rai
Al di là delle molteplici identità individuali e collettive, nella nazione è in atto quel “plebiscito di
tutti i giorni” che, secondo la definizione di Ernest Renan, esprime la volontà del vivere insieme
Oltre alla decisiva unificazione linguistica, il servizio pubblico nei primi decenni della sua storia ha
esercitato una funzione formativa, innescando sviluppi culturali di grande originalità
La finalità
del servizio
pubblico oggi
è fornire
ai cittadini i
mezzi per
orientarsi
consapevolmente in un
mondo
sempre più
complesso,
plurale,
multiculturale
ALLA BASE DEL SERVIZIO PUBBLICO:
IL RAPPORTO TV-NAZIONE - voglio
prendere le mosse dalla definizione classica di servizio pubblico televisivo, formulata da John Reith, storico direttore della BBC: “La nazione che parla alla nazione”. Qui, la nazione che parla è una nazione al singolare. Ciò significa che, al di
là delle sue divisioni, essa riesce a parlare come un’unità ben integrata, in nome
della coesione derivante dal patriottismo
costituzionale. Ma anche la nazione alla
quale viene rivolta la parola è una nazione al singolare. E ciò significa che, al di là
delle molteplici identità individuali e collettive, nella nazione è in atto quel “plebiscito di tutti i giorni” che, secondo la definizione di Ernest Renan, esprime la volontà di vivere insieme. Negli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, quando la televisione divenne uno strumento
di comunicazione di massa nei vari Paesi europei, non era difficile parlare di nazione al singolare. Oggi parlare di nazio-
ne al singolare è sempre più messo in dubbio sia dalle condizioni multiculturali del nostro continente, sia dalla crescente diversificazione dei progetti di vita dei singoli cittadini. Ma proprio per questo l’obiettivo della coesione nazionale è sempre più urgente. Solo che oggi la necessità primaria è quella di creare un’idea di
cittadinanza condivisa da individui e da
gruppi “uguali ma differenti”, per dirla con
Alain Touraine. La nostra società è inve-
ro a un punto di biforcazione: può evolvere verso una condizione di semplice giustapposizione fra culture differenti, oppure
verso una matura società interculturale, in
cui i gruppi e le culture si trasformino vicendevolmente. Penso che i media, e in particolare il servizio pubblico televisivo, non
si possano sottrarre alla responsabilità di
prendere partito consapevole in questa incombente biforcazione.
LA FUNZIONE PEDAGOGICA DELLA RAI, DALL’ALFABETIZZAZIONE DI MASSA ALLA
MULTIMEDIALITÀ
- queste note
possono valere
Un’altra Rai è possibile
di Mauro Ceruti*
Gli ultimi 20 anni hanno visto il servizio pubblico inseguire
obiettivi commerciali, di audience e mercificazione della
cultura. La prima azienda editoriale del Paese non può
per tutte
tuttte le
le nazioni
naziionii europee.
euro
r p
Ma il
abdicare al suo ruolo
particolare,
caso italiano è part
r icolar data la
particolarità della funzione qui esercitata dalla televisione nei decenni
del secondo dopoguerra.
In Italia, la diffusione di una lingua
nazionale condivisa da tutti gli strati della popolazione è avvenuta
molto tardi. A differenza dalla gran
parte delle nazioni europee, questo
processo si è prolungato fino alla se-
41
specialerai
conda metà del Novecento e il suo compimento si è avuto proprio grazie all’azione della televisione. E, oltre a questa decisiva funzione linguistica, il servizio pub-
La trasmissione
televisiva del
cinema e del
teatro li ha resi
patrimonio
“unitario” del
Paese, simboli
di una identità
culturale comune nonostante la diversità
di forme ed
espressioni
42
blico della televisione italiana nei primi decenni della sua storia ha esercitato una funzione formativa a spettro assai ampio, innescando sviluppi culturali di grande originalità. Pensiamo, ad esempio, allo spazio riservato alla grande tradizione del teatro regionale e dialettale italiano – con
Eduardo de Filippo, Gilberto Govi, Cesco
Baseggio, Erminio Macario, tanto per
fare alcuni nomi – presentato a ragione nelle sue “diversità” come patrimonio “unitario” della nazione: ciò ha contribuito a
elaborare l’idea che la cultura e la nazione italiane trovano la loro unità attraverso
e nonostante la loro costitutiva molteplicità e diversità di forme e tradizioni culturali. Pensiamo anche alla forma tipica del-
lo “sceneggiato” come strumento di diffusione, e non già di volgarizzazione, di pilastri narrativi della cultura letteraria europea e anche non europea, secondo i più
vari registri, da Dostoevskij a Simenon.
Oggi, in un’età assai diversa, le crisi e le
trasformazioni del servizio televisivo pubblico hanno un notevole parallelo con le crisi e le trasformazioni del sistema educativo pubblico: della scuola e dell’università.
La moltiplicazione dei saperi e delle tecnologie della comunicazione ha relativizzato e ridotto il peso formativo della
scuola nei percorsi di vita dei giovani. Oggi
la scuola è solo una parte delle esperienze formative dei giovani, spesso nemmeno la più importante. Ma proprio in virtù
della moltiplicazione disordinata dei contenuti e delle forme dei saperi, l’importanza
e la responsabilità di una funzione strategica del sistema educativo pubblico si ac-
cresce sempre di più. Al sistema educativo pubblico spetta un ampio spettro di
compiti: organizzare i contenuti, le informazioni e i saperi molteplici ai quali ogni
persona accede sin dalla più tenera età;
elaborare “mappe cognitive” capaci di
orientare in un oceano sterminato di informazioni e conoscenze; insegnare l’autonomia cognitiva, cioè ad apprendere ad
apprendere nell’universo di saperi, di
competenze e di tecnologie in rapido e tumultuoso mutamento. Le analogie con la
crisi e la possibile metamorfosi del sistema pubblico televisivo sono notevoli,
perché la finalità è la stessa: fornire ai cittadini i mezzi per orientarsi consapevolmente in un mondo sempre più comIL SERVIZIO plesso, plurale, mulPUBBLICO tilinguistico. Anche la
funzione del servizio
televisivo deve
pubblico televisivo,
essere una
come quella del sinicchia
stema educativo, si è
strategica:
relativizzata e ristretquesto ruolo
ta: è diventata solo
può rendere
una parte di un tutto
fecondi
televisivo molto più
i rapporti
ampio e variegato; e
con gli altri
a maggior ragione,
media,
è diventata una parvecchi
te di un tutto mediae nuovi
tico ancora più ampio e variegato. Ma il
fatto è che, se di
semplice parte, se di
nicchia si tratta, non
può che essere una
parte, una nicchia
strategica, di un grado di generalità – e
non di vago “gene-
La necessità primaria per il nostro Paese è creare un’idea di cittadinanza condivisa da individui e da gruppi sociali
“uguali ma differenti” come diceva Alain Touraine
In Italia
la diffusione di
una lingua
nazionale
condivisa è
avvenuta in
ritardo rispetto
al resto
d’Europa e il
suo compimento si è
avuto grazie
all’azione della
tv pubblica
ralismo” – di livello differente. Qui è in gioco, appunto, non tanto l’apprendere, ma
l’apprendere ad apprendere. In gioco
non è tanto l’informazione, ma l’apprendimento del modo di orientarsi nelle informazioni e di selezionare le informazioni.
Dobbiamo qui sgombrare il terreno da un
possibile fraintendimento. Per il servizio
pubblico non vale l’opposizione fra informazione e formazione. Dire che il servizio
pubblico debba dare informazioni in forma neutra e oggettive è un nonsenso:
informazioni neutre e oggettive semplicemente non esistono. Le informazioni fanno sempre parte di narrazioni influenti, la
scelta e la condivisione di informazioni ha
sempre un valore formativo. Ma formazione non equivale a indottrinamento. Il valore del servizio pubblico non ha nulla a che
vedere con una qualche forma di indottrinamento o di controllo dettata da questa o quella parte politica di volta in volta
liana. Non è questa la sede per cercare di
riflettere su ciò che ci unisce. Vorrei solo
ribadire che la nazione è un’unità nella diversità e una diversità nell’unità delle sue
varie componenti storiche, culturali, sociali;
e che a sua volta la nazione è parte integrante di unità molteplici – “unitas multiplex” – ancora più articolate, quale l’Europa e il contesto globale nel suo complesso. E queste relazioni fra l’unità e la diversità, e fra le nostre differenti patrie (Italia, Europa, Terra) di generalità differente
– ma ormai pienamente radicate nella no-
ma” e vi sono innumerevoli occasioni di
gossip. Si ha accesso a contributi scientifici autorevoli, ma anche a opinioni e a
pseudo informazioni false e fuorvianti. Ci
si può aprire all’immensa varietà del mondo e ci si può chiudere nell’autoreferenzialità delle proprie ossessioni. Il più delle volte, nonostante l’esaltazione della “navigazione” nell’oceano di internet, l’utente abituale non abbandona i suoi pochi
presìdi confortanti perché non dispone di
una guida affidabile che gli consenta di
aprirsi al nuovo senza affogare in esso. La
La privatizzazione non sfocia necessariamente in maggiore
efficienza, in maggiore qualità e in un quadro economico più confortante,
soprattutto se non viene riequilibrata da una presenza pubblica
prevalente. Qui l’unica parte politica in gioco è quella della nazione, non vagamente, retoricamente o romanticamente intesa: quella della nazione segnata dalla nascita di un nuovo patriottismo costituzionale, nel mondo dei 150 anni dell’unità ita-
stra
– possono essere rapt vita
it quotidiana
tidi
presentate, comprese e narrate a partire
dalle notizie di tutti i giorni, a partire dalla
vita quotidiana. Il servizio pubblico televisivo deve essere una “nicchia strategica”:
questo suo ruolo può rendere fecondi i
suoi rapporti con gli altri media, vecchi e
nuovi. Prendiamo il caso di internet. Il suo
spettro informativo è enorme: attraverso
internet passano messaggi raffinati e
vuote ovvietà, informazioni indispensabili e “rumori di fondo”. Vi è un “alto di gam-
scuola
dovrebbero
aiutare a
l e l’l’università
i
ità d
bb
sviluppare elementi di un orientamento anche nei confronti dei
LA SCELTA
nuovi media: ma
e la
spesso non ce la
condivisione
fanno, o non lo tendelle
tano nemmeno. Una
informazioni
finalità del sistema
ha
pubblico televisivo
sempre
dovrebbe essere
un valore
quella di aiutare
formativo
questa abilitazione
43
Speciale rai
L’azienda dovrebbe sviluppare sul modello del servizio diplomatico
o della Banca d’Italia, competenze e professionalità
capaci di esprimere la pluralità delle voci della Nazione
ai nuovi media. Ma l’esigenza profonda di
un’alleanza tra il servizio pubblico televisivo e i sistemi di formazione non finisce
qui. Non dovrebbe soltanto aiutare a dar
senso e ordinamento alla valanga di informazioni che ogni giorno fluiscono da
ogni dove e in ogni dove: dovrebbe anche
aiutare a dar senso e ordinamento alle molteplici esperienze quotidiane di ogni persona, che nella nostra società è stretta fra
molteplici tendenze e controtendenze,
fra tensioni e conflittualità, fra incerte
coerenze e apparenti contraddizioni. Tali
questioni di metodo sono fondamentali:
ma non meno importante è riflettere sulle carenze contenutistiche dell’attuale sistema dei media in Italia, che vanno ben
al di là delle carenze del sistema televisivo. E comunque: la questione dei contenuti è indissociabile dalla questione del
metodo. Non può non colpire, tanto per
Una funzione essenziale della politica in una società complessa è quella di elevare la qualità
della vita e della conoscenza dei propri cittadini: la Rai è parte integrante di questa funzione
In gioco
non è tanto
l’informazione
dei cittadini
ma una nuova
capacità
di orientarsi
e di
selezionare
le informazioni
44
fare un solo esempio, il grande solco che
c’è fra la pochezza del riferimento ai contesti internazionali da parte di tutti i media
italiani e, per converso, il grande ruolo di
terra di mediazione e di relazione fra le varie culture e le varie aree d’Europa e del
mondo che l’Italia potrebbe svolgere nel
momento attuale, a causa della sua nuova oggettiva collocazione geopolitica.
Questa è un’opportunità, è una vocazione, è una responsabilità a cui l’Italia è chiamata per identità, per storia, per cultura,
per collocazione geografica. E, invece,
l’informazione sui contesti internazionali
oscilla fra la superficialità e la drammatizzazione. Il servizio pubblico soffoca ed è
soffocante per la sua asfissia culturale, per
eccesso di autoreferenzialità, che contribuisce a provincializzarci e a marginaliz-
zarci in sede internazionale.
SUPERARE IL DUOPOLIO E REALIZZARE IL PLURALISMO, GLI OBIETTIVI DELLA “NUOVA RAI”- per concludere, vorrei solo indicare alcuni punti che meriterebbero discussione e sviluppo. La riforma del sistema pubblico televisivo è inscindibile dall’attuazione delle altre riforme istituzionali, oggi ineludibili nell’agenda politica. Tutte richiedono la definizione
di nuove regole, più adeguate all’attuale
sviluppo del Paese e dei contesti globali. E tutte queste riforme sono intrecciate
a un necessario rilancio del patriottismo
costituzionale. Questo patriottismo costituzionale deve rinnovare il legame con le
radici della nostra repubblica, nata dalla
prospettiva di un’Europa dei diritti in net-
ta opposizione all’Europa dei totalitarismi;
ma nello stesso tempo ha bisogno di una
sua evoluzione coerente con la nostra nuova età multipolare e multipatriottica (nazionale, europea, globale). La riforma del
servizio pubblico televisivo deve essere
parte integrante di questo processo. È una
tappa essenziale per il progetto di una nazione nello stesso tempo coesa, plurale e
aperta al mondo, a cui tutti siamo chiamati.
La riforma del sistema televisivo deve avere come linea conduttrice la realizzazione
di un compiuto pluralismo. In questa direzione vanno già oggi le grandi opportunità offerte dal digitale e dal satellitare.
Ma queste opportunità richiedono supporti
e nuovi modelli normativi, e ci impongono ancor di più di affrontare le due grandi questioni macroscopiche che incom-
L’informzione
da stadio
sui fatti
internazionali
oscilla
spesso fra
superficialità e
sensazionalismo
E quindi
contribuisce a
provincializzarci
come
cittadini e
come Paese
nelle sedi
e nei
contesti
internazionali
bono: superare l’attuale duopolio del si- fessionali nell’attuale servizio pubblico. Ad
stema televisivo nel suo complesso per mi- esempio, si è detto da più parti che in Itarare a un modello policentrico; reinter- lia manca la figura dell’anchorman, cioè
La riforma del sistema televisivo deve mirare alla
realizzazione di un pluralismo compiuto
OCCORRE
colui che dà senso e guida narrativa alla caoticità
delle notizie. Ma in
fondo, ciò significa che il servizio
pubblico televisivo dovrebbe sviluppare, un po’
come fa o dovrebbe fare il servizio diplomatico
o la Banca d’Italia, competenze
e professionalità che siano capaci di
esprimere la pluralità delle culture e delle voci della nazione. Solo un dibattito
approfondito su queste precondizioni
può dare un senso alle varie proposte di
riforma del sistema pubblico. Certo, possono essere percorse diverse strade: la costituzione di una o più reti o parti di reti senza pubblicità con l’eventuale privatizza-
un’integrazione
delle
relazioni
tra
news e
web
partendo
dal
successo
di un modello
riuscito
come
quello
di Rai News 24
pretare l’esigenza di un reale pluralismo del
p
servizio
pubblico, non intendendolo come
s
moltiplicazione
e giustapposizione delle
m
vvoci politiche rappresentate in parlamento, ma come pluralismo degli attori sociali
to
e delle voci creative del Paese. Nei seminari promossi da Sergio Zavoli sul servin
zio
z pubblico televisivo vi sono state interessanti
notazioni sulla carenza di ruoli pror
re
zione del settore commerciale; un’estensione dell’autonomia e della quantità dei
contributi regionali in vista di una “rete federale”; un approfondimento delle relazioni
tv-internet partendo dalla riuscita di un modello come quello di Rai News 24. Ma il
senso complessivo delle riforme sta nelle finalità che vogliamo darle. Per questo
non dovremmo essere prigionieri di una visione ideologica della privatizzazione e della concorrenza a tutti i costi. La privatizzazione non sfocia necessariamente in
maggiore efficienza, in maggiore qualità
e in un quadro economico più confortante, soprattutto se non viene equilibrata da una presenza pubblica che –
quali che siano le scelte dettagliate –
non può non interessare il sistema televisivo, così strategico – abbiamo detto – per il sistema Paese. Gli ultimi
vent’anni sono stati una testimonianza
drammatica del degrado che ha portato
il servizio pubblico a inseguire obiettivi puramente commerciali, di audience, di
spettacolarità e di mercificazione della cultura. Il problema è che in questo modo si
è innescato un gioco al ribasso, e il calo
di qualità dei prodotti dichiaratamente
commerciali ha avviato un calo di qualità
anche di quei settori che avrebbero dovuto
restare autonomi e anche rispettosi della propria tradizione. L’urgenza è di cambiare segno a questo processo e di trovare regole che sappiano instaurare un
circolo finalmente virtuoso: l’aumento di
qualità del servizio pubblico può innescare un aumento di qualità complessivo del sistema televisivo e del sistema dei media nel nostro Paese. Una funzione fondamentale della politica in una società complessa è proprio quella di elevare
la qualità complessiva della vita e della conoscenza dei propri cittadini. E il governo
del sistema televisivo è un elemento decisivo in questo progetto.
*MAURO CERUTI, senatore
45
lavoro
a
i
l
a
t
I
’
l
o
dop amo gli
i
v
l
a
s
i
n
a
i
l
a
It
Lettera aperta
al presidente
del Consiglio
su una
emergenza
diffusa nel
Paese: un
quarto degli
italiani è a
rischio povertà.
E i tagli si
riflettono sul
menu delle
famiglie
di GERO GRASSI*
46
Illustrissimo Presidente Monti,
scrivo a Lei questa lettera perché ho il forte bisogno di denunciare una situazione
che è sotto gli occhi di tutti e per la quale abbiamo il dovere di intervenire. I dati
Istat in merito alla “nuova povertà” sono
allarmanti. Non servono i dati per capire in quale situazione versano molte famiglie italiane. Basta farsi un giro nei supermercati per capire come è cambiata
la spesa di moltissimi cittadini. I legumi
hanno sostituito la carne. Le verdure, che
prima erano solo un contorno, fungono
adesso da seconda pietanza e per quel
che riguarda la frutta, ci si reca ai mercatini rionali ad acquistare quel che resta in ora tarda, con prezzi bassi e qualità ancora più bassa. Il pesce fresco non
compare più nei menu di molte famiglie,
sostituito, ormai, da surgelati d’importazione. I costi del pane, lievitati alle stelle, hanno determinato una riduzione
drastica dei consumi e ci si accontenta
degli avanzi del pranzo, per garantirsi la
cena. Acquistare alimenti anche per la
sera, per molti cittadini è un lusso che
non possono permettersi. I dati dichia-
rano che un quarto degli italiani è a rischio povertà. Abbiamo il tasso di disoccupazione giovanile più alto d’Europa dopo la Spagna, e una donna su due
è senza lavoro. Gli anziani vivono una
condizione indicibile. La pensione di
anzianità non è sufficiente neppure a garantire le cure necessarie, data l’età. Devono poi acquistare gli alimenti, pagare
le bollette e il fitto di casa, quando non
è di proprietà. Vivo in Puglia e i dati ribadiscono che il “rischio povertà” si
concentra soprattutto nel Mezzogiorno
dove sfiora il 39%. Signor Presidente,
sono molto preoccupato perché non
vedo segnali di crescita. Allarmanti sono
anche i dati che riguardano l’occupazione
giovanile. Si calcola che nel 2011 si siano persi 80 mila posti di lavoro tra i giovani. Non vanno meglio le cose per
l’occupazione femminile, sempre più
precariato e meno offerte lavorative, soprattutto nel Sud. Non ho mai pensato di
essere un privilegiato, ho sempre lavorato
onestamente e non ho fatto mancare nulla alla mia famiglia. Oggi, invece, penso
che tutti quelli che, come me, possono
Ci sono
cittadini,
specialmente
al Sud, che
non possono
più mangiare:
sono anziani,
disoccupati,
ma anche
famiglie con
più figli e
monoreddito
Abbiamo il tasso di disoccupazione giovanile più alto d’Europa dopo la
Spagna e una donna su due è senza lavoro: un’autentica piaga sociale
garantire un futuro ai propri figli, senza
dover negare loro cure e adeguata alimentazione, sono dei privilegiati. A moltissimi cittadini questo non è più consentito. I servizi sociali delle nostre città
sono collassati dalle richieste di aiuto che
non riescono a soddisfare a causa della mancanza di fondi, determinata in gran
parte dalla crisi e dal patto di stabilità che
sta “mummificando” i Comuni. Signor
Presidente, se non mettiamo in atto una
strategia tesa a salvaguardare le fasce più
deboli ci troveremo presto a dover fronteggiare un’emergenza che non appartiene ai paesi occidentali e industrializzati.
Mi riferisco all’insorgenza di patologie
causate da una dieta alimentare povera
di vitamine e proteine. Non esagero
quando affermo che ci sono cittadini che
“non possono più mangiare”: mi riferisco
agli anziani, ai disoccupati, ma anche alle
famiglie con più figli e monoreddito. A ottobre è prevista una nuova stangata
sulle famiglie. Si parla già dell’Iva che dovrebbe passare dal 21% al 23% per il
“Decreto Salva Italia”. Mi chiedo, come
possiamo pensare di salvare l’Italia se
non salviamo gli italiani? Provo un grande disagio nel vedere professionisti, insegnanti e lavoratori che hanno dato tanto al Paese e che oggi, nella condizione
di “pensionati”, faticano a garantirsi il minimo per vivere dignitosamente.
Provo un grande disagio quando apprendo che a molti bambini non è concesso praticare uno sport o peggio curarsi i denti o cambiare gli occhiali, perché i genitori non possono far fronte neppure alle spese correnti. Provo un grande disagio quando vedo alla cassa del
supermercato dei cittadini lasciare alimenti perché il costo della spesa supera le proprie disponibilità. Provo il disagio di non poter far nulla per loro. Provo
il disagio di appartenere alla classe politica, che ha il dovere di intervenire in favore delle classi più deboli.
Presidente Monti, a Lei l’Italia deve molto. È stato capace di un miracolo: ci ha
ridato dignità e credibilità in Italia e all’estero. Ora le chiedo di salvare gli italiani e ridarci la fiducia che ci è stata
strappata.
*GERO GRASSI, deputato
IL “GRANDE EQUIVOCO”
DEL MERCATO
Il mercato è un’entità astratta che di
volta in volta assume le sembianze
della Borsa, delle grandi banche
americane, degli “hedge fund”, delle agenzie di rating e degli spread. In
questi ultimi venti anni ci siamo avvitati in una ragnatela di ambiguità e
contraddizioni: il mercato ci è piaciuto quando faceva schizzare al
rialzo i tassi dei Bot all’epoca di
Mani Pulite e nei precedenti anni di
dissesto economico. Ma è un guaio
se per placare quello stesso mercato bisogna offrire come vittime sacrificali pesanti tagli alle pensioni, alla
sanità, ai fondi per il trasporto pubblico, alla ricerca, quando non addirittura ai generi di prima necessità. È
il dilemma che la “grande contrazione” iniziata nel 2008 ci ripropone con
prepotenza nel 2012: non solo a
noi, ma a tutto il continente europeo,
mentre gli Stati Uniti sembrano aver
imboccato la via della ripresa, riuscendo a coniugare crescita e rigore. Nella loro anonima e impersonale crudeltà, i mercati sono come termometri sociali: la febbre che segnalano è sempre il sintomo di una
malattia sottostante. Non importa
se dietro le palpitazioni dei mercati si
agitano anche delle “trame”: la speculazione esiste ma si comporta
come le iene che attaccano l’animale più debole del branco, quello che
non regge la velocità di corsa degli
altri. Dunque il verdetto dei mercati
ci aiuta a capire che siamo ancora
sotto osservazione, ma guai ad affidare a loro anche la cura. La Borsa
segnala che il saldo netto tra quello
che lo Stato spende e quello che incassa non è sostenibile nel lungo termine: ma il modo per far quadrare i
conti e la ripartizione dei costi tra le
categorie sociali spetta soltanto a noi.
47
Lavoro
La disoccupazione giovanile ha raggiunto il
record drammatico del 30%, con
oltre 2 milioni di ragazzi né
occupati né in formazione.
La ricetta di Treu:
flexsecurity, istruzione
& innovazione
di TIZIANO TREU*
Ridare speranza
@
La crisi economica tuttora in atto ha colpito tutti i
Paesi e tutte le fasce di popolazione; ma ha avuto un impatto particolarmente grave in Italia per
i giovani. L’emergenza giovani è senza precedenti:
è un’intera generazione a rischio. Nel recente
rapporto Istat la diagnosi sulla situazione dell’occupazione nel nostro Paese è severa, ma
il capitolo dedicato ai giovani è particolarmente
drammatico. Non è sempre stato così. Nel recente passato il mercato del lavoro dei giovani italiani aveva mostrato segni di miglioramento. Negli anni Novanta aveva partecipato, sia pure in maniera parziale, alla crescita generale dell’occupazione sostenuta dalle politiche attive di quel periodo (in
particolare incentivi di vario genere all’occupazione). Il miglioramento ha però
riguardato più il calo della disoccupazione
che il tasso di occupazione: questo resta, anche prima della crisi, ampiamente al di sotto della media europea: al
39,6% contro il 55,5% della media dell’Europa dei 15. La crisi ha aggravato la
situazione con effetti in parte comuni ai
vari Paesi, accentuando i dualismi del mercato del lavoro a danno dei giovani. La disoccupazione giovanile ha raggiunto il record drammatico del 30%, con oltre 2 milioni di giovani né occupati né in formazione. Il tasso di occupazione, già basso, è sceso di oltre 5 punti dal 2008 al 2010 contro una
diminuzione di quasi 4 punti della media europea. Non solo i giovani italiani lavorano poco, ma
sono sempre più impiegati con contratti temporanei di vario genere (contratti a termine, collaborazione, ecc). Occorre reagire a questa situazione. Le
AI GIOVANI
per rimettere
in moto l’economia
49
lavoro
50
migliori prassi europee e i risultati ottenuti sono
illustrati in una ricerca dell’Arel pubblicata
a a nel
at
volume del Mulino “Giovani senza futuro?”
o?” (a
(
cura di C. Dell’Aringa e T. Treu). Le esperienerienze raccolte mostrano che il futuro dei giovani non è compromesso, a condizione però
r che
rò
si attuino urgentemente le politiche necessaessarie da parte del governo e delle parti sociali.
ociali.
In Germania la crisi del mercato del lavoro
voro
r è
già risolta e anche i giovani hanno riguadagnato
agnat
ao
le posizioni che occupavano prima della
la crisi globale. Da noi, purtroppo, finora sono mancate non solo politiche utili ma anche l’attena tenat
zione al problema. L’orizzonte è quello indicato
dicat
ao
dall’Unione Europea, ovvero di arrivare
e a un
tasso di occupazione del 75%; mentre noi
oi siamo inchiodati al 57%. Nella riforma del merr
cato del lavoro proposta dal ministro Forneornee
ro ci sono alcune iniziative utili: la lotta alla
prea pre
r carietà, alle false collaborazioni e alle false
e parr
tite Iva che colpiscono soprattutto i giovani;
ni; una
prima estensione degli ammortizzatori sociali
per dare un sostegno al reddito e servizi
zi per
l’impiego ai precari finora sprovvisti di tutela.
utela.
C’è anche la valorizzazione dell’apprendistadistato, che in Germania è stato la via maestra
ra per
aiutare l’entrata dei giovani nel mercato del lavoro, con una vera integrazione fra formaziomazione scolastica e formazione professionale;
ale; e
sono stati previsti incentivi alle aziende che
as-he as
a
sumono a tempo indeterminato. Ma occorre
ccorre
r
continuare. La premessa indispensabile
le per
qualsiasi intervento è riattivare il processo
sso di
crescita del Paese. È bene ripeterlo: un Paese che non cresce non dà occupazione a nessuno, ma in primo luogo tiene fuori i nuovi arrivati, cioè i nostri ragazzi. Una seconda criticità da affrontare riguarda l’istruzione. La
qualità dell’istruzione e le modalità con cui essa
interagisce con il mondo del lavoro sono par-
te integrante delle politiche del lavoro. I giovani sono quelli che risentono più direttamente
del deficit formativo. Sono troppi quelli che non
finiscono il ciclo di scuola di base che l’Europa
colloca a 18 anni (i “drop out”); e troppo pochi quelli che proseguono fino a completare
i cicli dell’educazione terziaria. L’Europa pone
l’obiettivo di garantire un’educazione terziaria al 40% di giovani perché i cambiamenti del
mercato del lavoro richiederanno posizioni di
lavoro con crescenti contenuti di conoscenza. Servono poi misure specifiche di emergenza; non incentivi generici e indifferenziati. Le migliori esperienze straniere, raccolte nel
libro dell’Arel, indicano la necessità di concentrare gli interventi sulle categorie di giovani
più esposte: quelli da più tempo disoccupati, gli inoccupati e quelli intrappolati in contratti
precari. Interventi di questo tipo, definiti “outreach programes” (Nord Europa, Usa, Uk,
Francia), sono spesso svolti per iniziativa congiunta di diversi attori privati e pubblici, per
sfruttare le relative capacità; e combinano gli
aiuti finanziari alle imprese con un mix di azioni nel campo della formazione, dell’assistenza nell’orientamento e anche di socializzazione
propedeutica al lavoro, con l’obbligo dei giovani di impegnarsi nello sfruttare attivamente le possibilità offerte. La gestione di questi
interventi, per essere attiva, richiede un rafforzamento dei sistemi dei servizi all’impiego e
una loro configurazione specifica con interventi e sportelli dedicati all’occupazione giovanile. Il governo Monti ha avviato la fase di
risanamento e impostato regole per un mercato del lavoro più efficiente. Ora è atteso a
una prova decisiva: ridare slancio all’economia e alla società italiana. Cominciando a ridare speranza ai giovani.
*TIZIANO TREU, senatore
In Italia
il miglioramento ha
riguardato più il
calo della
disoccupazione
che il tasso di
occupazione:
questo resta,
anche prima della
crisi, al 39,6%
contro il 55,5%
della media
dell’Europa dei 15
L’Europa pone
l’obiettivo di
garantire
un’educazione
terziaria dei giovani
almeno al 40%
perchè i
cambiamenti
nel mercato
del lavoro
richiedono
professionalità
con crescenti
contenuti
di conoscenza,
esperienze
all’estero e
padronanza
delle lingue
straniere
Giustizia
riflessioni
su concorso esterno
in associazione mafiosa
di DONATELLA FERRANTI*
La giurisprudenza ha individuato
confini netti per queste figure delittuose
che riguardano non soltanto le associazioni
mafiose. La sentenza Dell’Utri potrebbe
rimettere tutto in gioco…
Il recente processo in cassazione che vede imputato Marcello Dell’Utri per concorso esterno in associazione mafiosa, i toni forse un po’ troppo forti e critici di alcuni passi della requisitoria del sostituto procuratore generale presso la
Corte di Cassazione e l’annullamento con rinvio della sentenza della Corte di Appello di Palermo del 20 ottobre 2010
hanno riaperto la diatriba “pro” e “contro” l’istituto del concorso esterno; in particolare, sulla necessità o meno di un
intervento legislativo ad hoc attraverso un’espressa tipizzazione legislativa dei comportamenti che integrano la vicenda del concorso esterno in associazione mafiosa e, più
in generale, sulla riconduzione al paradigma associativo delle forme di contiguità all’organizzazione. La elaborazione giurisprudenziale, da ultimo la storica sentenza del 12 luglio 2005
della Corte di Cassazione a Sezioni unite sul caso Mannino, ha ormai individuato parametri e confini assai netti per
52
queste figure delittuose che hanno riguardato non solo le
associazioni mafiose ma, prima ancora, quelle sovversive
e terroristiche e che in sostanza sono volte a punire quei soggetti che “pur restando estranei all’organizzazione criminale,
apportino un concreto e consapevole contributo causalmente
rilevante alla conservazione, al rafforzamento e al conseguimento degli scopi dell’organizzazione criminale o di sue
articolazioni settoriali, sempre che sussista la consapevolezza della finalità perseguita dall’associazione a vantaggio
della quale è prestato il contributo”. La magistratura con il
concorso esterno ha inteso colpire le condotte di contiguità
realizzate nell’esercizio di attività imprenditoriali, il patto politica-mafia, l’aggiustamento dei processi. Certo tutto questo ha rappresentato un grosso passo avanti sul piano della lotta alla criminalità organizzata, anche se le frequenti pronunce sul tema della Corte di Cassazione a Sezioni unite te-
Con il concorso esterno la
magistratura ha inteso colpire
L’impiego di categorie giuridiche come i principi
fondamentali del concorso esterno di persone nel
gjghjghj
reato di associazione mafiosa resta una soluzione
estremamente lungimirante ed efficace
le condotte di contiguità
realizzate nell’esercizio di
attività imprenditoriali, il
patto politica-mafia,
l’aggiustamento dei processi: è
stato un grosso passo avanti
sul piano della lotta alla
criminalità organizzata
stimoniano lo sforzo e l’esigenza dei giuristi di superare l’estrema fluidità degli intrecci economici, politici, sociali, che costituiscono la trama della contiguità, ancorandoli a elementi
oggettivi riscontrabili. Uno sforzo concreto sintetizzabile nella finalità di restaurare la legalità in tutte quelle “zone grigie”
che corrispondono – per usare un’ espressione di Rosario Livatino – a “quei reati che per tradizione o per costume o per
altro nel passato erano raramente perseguiti”.
La legittimazione dell’intervento giudiziario si fonda sulla capacità di reagire ai nuovi fenomeni criminali con il metro della certezza del diritto e della uguaglianza di tutti i cittadini di
fronte alla legge: l’impiego di categorie giuridiche di applicazione generale come i principi fondamentali del concorso
di persone nel reato di associazione mafiosa resta una soluzione estremamente lungimirante ed efficace. Sulla materia del concorso esterno in associazione mafiosa convergono, da un lato, l’esigenza di non lasciare prive di adeguata
risposta sanzionatoria le condotte di contiguità che rappresentano una risorsa fondamentale per le associazioni mafiose;
dall’altro lato, il bisogno di garantire a ciascun cittadino la prevedibilità delle conseguenze delle proprie azioni, in conformità ai principi dello stato di diritto. Si tratta di esigenze solo
apparentemente antitetiche: a ben vedere, l’effettività dell’intervento penale e le ragioni del garantismo sono, in questo come in altri settori, due facce della stessa medaglia. Proposte di una tipizzazione legislativa, in termini di fattispecie
incriminatrice autonoma del concorso esterno nell’associa-
zione mafiosa, sono state formulate dalla Commissione Fiandaca, che aveva suggerito la seguente definizione: “416-quater concorso esterno in associazione mafiosa: 1. Chiunque,
fuori dei casi previsti dall’articolo 416-bis del codice penale e salvo che il fatto costituisca più grave reato, eccedendo i limiti del legittimo esercizio di un’attività politica, economica, professionale o di altra natura, ovvero abusando dei
poteri o violando i doveri inerenti a una pubblica funzione o
a un pubblico servizio – o alla qualità di ministro di un culto
– protegge o comunque agevola un’associazione di tipo mafioso al fine di trarne in cambio vantaggi, è punito… 2. La pena
può essere diminuita nei casi di agevolazione di minima importanza”. Anche nell’ambito dei lavori della Commissione
Grosso, la sottocommissione che aveva esaminato i problemi
relativi alla disciplina del concorso di persone nel reato e ai
reati associativi aveva optato per una tipizzazione delle condotte punibili a titolo di concorso esterno in associazione mafiosa, prospettando una formulazione secondo cui “fuori dei
casi di partecipazione all’associazione” le pene stabilite dai
vari commi dell’art. 416-bis c.p. “sono applicabili, altresì, a chi
fornisce un rilevante contributo consapevole e volontario al conseguimento dei fini dell'associazione o alla sua conservazione e stabilità”. In realtà non è facile individuare una soluzione idonea a cristallizzare efficacemente i risultati dell’elaborazione compiuta dalle Sezioni unite della Cassazione, e a togliere i dubbi circa la punibilità di condotte di contiguità particolarmente insidiose, mascherate dietro una patina di apSul fronte della
giustizia, non possiamo
rischiare una
tipizzazione legislativa
eccessivamente riduttiva,
che renda meno forte ed
efficace l’attività di
contrasto del fenomeno
mafioso
Giustizia
È necessario il rispetto dei rigorosi parametri
individuati dalla Cassazione, che consentono di
realizzare l’esigenza di garanzia di uguaglianza e certezza
del diritto per il cittadino
parente legittimità. Si pensi, ad esempio, al magistrato che,
accogliendo le pressioni criminali finalizzate a ottenere la
scarcerazione di un importante boss mafioso, decida – proprio e soltanto in quel caso – in controtendenza rispetto
alla consolidata interpretazione giurisprudenziale di una determinata norma; oppure al politico che accetti le richieste di Cosa Nostra volte a ottenere l’inserimento nella lista elettorale di alcuni parenti di “uomini d’onore”, destinati
a divenire precisi punti di riferimento a livello istituzionale per gli interessi dell’organizzazione delittuosa; l’avvocato che piega la sua professione al servizio del gruppo
criminale; l’amministratore che presta la propria funzione pubblica alle esigenze dell’organizzazione criminale,
magari in una cornice apparentemente regolare. Oggi, in
un contesto in cui gli equilibri politici sono ancora instabili, soprattutto sul fronte della giustizia, a mio parere non
possiamo rischiare di realizzare una tipizzazione legislativa eccessivamente riduttiva, che renda meno forte ed
efficace l’attività di contrasto del fenomeno mafioso, non
possiamo permettercelo nemmeno a livello di immagine.
Certo è necessario il serio rispetto, sia in sede di investigazione che di giudizio, dei rigorosi parametri individuati
dalla Cassazione, che come ha affermato di recente anche il professor Grosso consentono di attuare un’applicazione omogenea dell’istituto e quindi di realizzare l’esigenza di garanzia, di uguaglianza e di certezza del diritto per il cittadino: il concorrente mafioso è tale perché
fa un intervento che si evidenzia come risolutivo per la sopravvivenza o il vantaggio o il rafforzamento dell’organizzazione criminale e tale intervento deve essere valu-
Sulla tipologia di rapporti di un
soggetto con le organizzazioni criminali è necessaria
una specifica attività di formazione e di aggiornamento
professionale di magistrati e forze di polizia
54
tato ex post proprio nel suo contributo causale sulla base
dell’esperienza. Non bastano la frequentazione di un circolo, l’amicizia di infanzia, la partecipazione a un battesimo. Non è rilevante dal punto di vista penale la condotta
moralmente riprovevole e sintomatica solo di malcostume politico: occorrono contestazioni e imputazioni nette, che consentano l’esercizio del diritto di difesa e siano la traccia della motivazione della sentenza. Questi
aspetti devono essere sicuramente valorizzati mediante
la messa a punto di un’adeguata e specifica attività di formazione e di aggiornamento professionale di magistrati
e forze di polizia. Quello che è certo è che in un contesto storico-politico come quello attuale, in cui il nostro
Paese ha pagato a caro prezzo, in termini di deficit di bilancio oltre che di scadimento dei valori etici e del rispetto
della legalità, il dilagante intreccio tra corruzione, evasione
fiscale, criminalità mafiosa e istituzionale, non possiamo
rischiare che rimangano impuniti comportamenti magari non tipizzati né tipizzabili, occasionali o non abituali, che
siano però, anche per un solo episodio, risolutivi o comunque di rafforzamento per le organizzazioni criminali.
*DONATELLA FERRANTI, deputato
Secondo l’Ocse 500 milioni di persone nel mondo sono grasse, nonostante
i programmi di educazione alla salute. E in
Italia è allarme per l’obesità infantile: oversize
di LUCIANA PEDOTO*
un bimbo su tre
“Stringere la cinghia” sembra più un’espressione
metaforica che la fotografia della realtà, visto
che un individuo su due dovrebbe perdere peso
56
Salute:
A livello psicologico, l’obesità può stravolgere la vita
di una persona: chi è sovrappeso spesso si sente isolato e
sottoposto a una stigmatizzazione da parte di chi è “normale”
Fit not Fat
Nel mondo gli effetti della crisi economica si fanno sentire: determinano le scelte politiche, fanno traballare le poltrone, eppure
la popolazione mondiale continua a essere in sovrappeso. Insomma, “stringere la cinghia” sembra più un’espressione metaforica, che la fotografia della realtà, visto che un italiano su due
dovrebbe perdere peso. I dati forniti dall’Ocse nel mese di febbraio non lasciano spazio a dubbi: 500 milioni di persone, nei
Paesi più sviluppati del mondo, hanno un indice di massa corporea superiore a 30, sono cioè obese. Nel 1980, solo un cittadino su dieci presentava condizioni patologiche di sovrappeso,
oggi nella metà dei Paesi Ocse un cittadino su due è in lotta con
la bilancia. E questo nonostante negli ultimi anni siano stati attivati un po’ ovunque programmi di prevenzione e di educazione
alla salute. Ma nel report Ocse emerge un aspetto inatteso: contrariamente a quanto previsto nel 2010, la crisi economica degli ultimi due anni non ha inciso significativamente sui dati dell’obesità. Questo significa che, nei Paesi aderenti all’Ocse, la
crisi non ha spinto i cittadini a cambiare in peggio la propria alimentazione, e che dunque non è cresciuto il consumo del cibo
spazzatura in sostituzione di prodotti più sani, ma forse anche
più costosi. Il primato degli oversize resta saldamente in mano
agli Stati Uniti, dove la percentuale di obesità ha ormai superato il 35%, sul podio a breve distanza c’è il Messico, che deve
fare i conti con i bambini più grassi del mondo. I piccoli mes-
57
sicani obesi sono infatti il 28% tra i 5 e i 9 anni, e la cifra sale al 38%
tra i ragazzi tra i 10 e i 19. Da noi le cose vanno meglio, visto che l’Ocse ci inserisce tra i Paesi (insieme a Svizzera, Norvegia e Ungheria e
Gran Bretagna), in cui negli ultimi tre anni c’è stata una stabilizzazione
del numero degli obesi, ma comunque non possiamo permetterci di
cantare vittoria, visto che gli adulti obesi sono quasi 5 milioni, il 9-10%
del totale, e che i nostri bambini sono tra i più grassi d’Europa. In Italia, se il numero degli obesi è rimasto stabile, è in aumento costante il dato che riguarda le persone in soprappeso, che rappresentano il 45% del totale. Una tendenza simile si registra anche in Francia (dove gli obesi sono il 15%) e Gran Bretagna, in cui il valore è stabile al 22% da diversi anni, mentre è sempre più pesante il dato del
sovrappeso. I Paesi più “leggeri” restano Corea e Giappone, dove l’obesità non colpisce più del 4% dei cittadini. L’Ocse ancora una volta ricorda che l’obesità si lega quasi sempre al livello economico e
culturale delle persone. Già la rilevazione del 2010 (Ocse, “Fit not Fat”)
spiegava che sono le donne con basso livello d’istruzione ad avere
una probabilità di essere sovrappeso 2 o 3 volte di più rispetto a quelle con maggiore educazione. Queste differenze sono molto più attenuate, o del tutto inesistenti, tra gli uomini. Questa situazione determina anche una serie di svantaggi sociali: oltre il 40% di coloro oltre una certa soglia di obesità non lavorano, e questo dato pesa sul
30% delle donne. Negli Stati Uniti, una persona obesa guadagna mediamente il 18% in meno di un normopeso. È il motivo è facilmente
intuibile: un obeso probabilmente ha bisogno di cure per patologie
correlate e per questo perde giornate lavorative; inoltre questo comporta un calo nel livello di produttività rispetto a un lavoratore normopeso. Nei Paesi nord europei, dove le politiche di welfare sono particolarmente accentuate, gli obesi hanno una probabilità fino a tre volte superiore di ricevere una pensione d’invalidità in età lavorativa, mentre negli Stati Uniti è stato calcolato che gli oversize hanno un rischio
di soffrire di brevi periodi di disabilità del 76% più elevato rispetto a
persone di peso normale. L’Ocse, sulla base di calcoli forniti dal governo Usa, ha spiegato che sommando ai numeri dell’assistenza sanitaria le perdite di produttività, l’obesità ha un costo complessivo che
supera l’1% del Pil del Paese.
58
Il Mezzogiorno ha un problema serio di peso
infantile e adulto. Ma i tagli alle scuole, ai
comuni, le ristrettezze economiche delle famiglie
non migliorano la situazione
Questa situazione impone alla politica un’azione più incisiva.
Già due anni fa, l’Organismo ha chiesto ai Paesi di agire con programmi di prevenzione e di promozione della salute. Ridurre i livelli
di sovrappeso salverebbe migliaia di persone: in Italia almeno 75 mila
l’anno. Sappiamo che in Italia, il livello di obesità infantile è allarmante,
tra i più elevati nei paesi Ocse, con un bambino su tre patologicamente sovrappeso. Molti programmi regionali e alcuni piani nazionali hanno affrontato il problema, cercando di informare le famiglie
e sensibilizzando i medici di medicina generale e i pediatri. Un bambino obeso diventerà un adulto obeso se non si riesce a intervenire con un’alimentazione appropriata e attività sportive adatte. L’adolescente in forte sovrappeso rischia di sviluppare precocemente fattori di rischio di natura cardiovascolare (ipertensione, malattie
coronariche, tendenza all’infarto) e condizioni di alterato metabolismo, come il diabete di tipo 2 o l’ipercolesterolemia. A livello psicologico, l’obesità può stravolgere completamente la vita di una persona: chi è obeso spesso si sente isolato e sottoposto a una stigmatizzazione da parte di chi è “normale”, che rende difficile qualunque
tipo di socialità. In particolare, i bambini in sovrappeso tendono infatti a sviluppare un rapporto difficile con il proprio corpo e con i propri coetanei, con conseguente isolamento che spesso si traduce in
Sommando ai numeri dell’assistenza sanitaria le perdite di produttività, l’obesità ha un costo complessivo che supera
l’1% del Pil di un Paese industrializzato
Bisognerebbe
pensare a “pacchetti”
di misure quali: programmi
educativi per le famiglie,
i a incentivi
i medici e la scuola unit
per l’industria
e sanzioni fiscalignerebbe
pensare a “pacchetti” di misure anti obesità con azioni coor-
alimentare
ulteriori abitudini sedentarie. Al sovrappeso si abbinano poi rischi
fortissimi di sviluppare disordini alimentari: comportamenti bulimici o anoressici. Tutt’oggi non abbiamo dati che ci aiutino a comprendere gli effetti concreti delle politiche che agiscono sugli stili di
vita. Probabilmente sarà necessaria una regolamentazione più severa sulla composizione degli alimenti in vendita, oltre a misure incentivanti per i produttori abbinate a sanzioni e appesantimento fiscale per chi produce junk food. Queste politiche sono già state avviate in alcuni Paesi: per esempio, la Danimarca ha applicato una
tassa sui grassi saturi, che ha fatto schizzare il prezzo del burro che
costa il 30% in più. Da noi, una tassa del genere comporterebbe
l’aumento vorticoso del prezzo dell’olio, che è un grasso saturo, e
potrebbe rivelarsi un boomerang per l’economia e per la politica.
La gente probabilmente non ne capirebbe la funzione educativa, ma
la interpreterebbe come un ennesimo assalto al portafoglio. La Francia ha già tassato di 7,2 centesimi per litro i soft drink e si aspetta
di incassare 280 milioni all’anno e la stessa cosa ha fatto la Finlandia,
che ha tassato anche le caramelle. Largo dunque alla fantasia, purché questi introiti siano poi reinvestiti in prevenzione e non rappresentino solo un ulteriore giogo per i cittadini. Probabilmente biso-
dinate che prevedano programmi educativi per le famiglie, i medici e la scuola uniti a incentivi e sanzioni fiscali per l’industria alimentare.
Un investimento che porterebbe risparmi al sistema sanitario. Il programma Guadagnare Salute, con l’approfondimento “Okkio alla Salute” effettuato sui bambini delle scuole elementari, attivato nel 2007
dal Ministero della Salute e dal Miur, ha evidenziato con chiarezza
le ombre del nostro Paese riguardo all’educazione alimentare. Le regioni del Sud più di quelle del Nord hanno un problema serio di obesità infantile e adulta. Ma nel frattempo i tagli alle scuole, ai comuni, le ristrettezze economiche delle famiglie non avranno migliorato la situazione. Sappiamo poi che il 22% dei bambini pratica sport
per non più di un’ora a settimana. La metà ha la tv in camera, il 38%
guarda la tv o gioca con i videogiochi per tre o più ore al giorno e
solo un bambino su quattro si reca a scuola a piedi o in bicicletta.
Questo significa che i genitori sottovalutano il problema del sovrappeso: infatti il 48% dei ragazzi consuma quotidianamente bevande zuccherate e gassate. Le cifre freddamente raccontano di un
mondo che oscilla tra l’emergenza sovrappeso e l’emergenza dei
conti pubblici, e non è una novità che la spesa maggiore per il sistema sanitario è rappresentato dalle malattie cardiovascolari e dalle alterazioni del metabolismo, diabete mellito in testa. Su questo
occorre riprendere in mano le redini del cambiamento, con programmi
innovativi e con azioni concrete per invertire la rotta.
*LUCIANA PEDOTO, deputato
59
Esteri | Europa
“Quel che l’Europa unita ci
porta è la pace” come
ricorda Helmut Kohl, che nel
novembre 1989 ha saputo
comprendere quanto la
Storia gli stava proponendo:
la rinnovata unità tedesca
una certa idea
Il continente sembra aver perso
la vocazione politica delle origini
e appare oggi ai suoi cittadini come
un controllore inflessibile, devoto
al credo della stabilità finanziaria
di ENRICO FARINONE*
60
Helmut Kohl ci ha recentemente ricordato il motivo più profondo che condusse i padri nobili dell’idea di Europa unita – personalità dello spessore di De Gasperi,
Schuman, Monnet ma anche Churchill e
Adenauer – a immaginare un obiettivo così
pregnante: “mai più la guerra!”.
“Quel che l’Europa unita ci porta è la pace”,
ammonisce il grande leader tedesco che
seppe comprendere con immediatezza
quanto la Storia, in quel novembre del 1989,
gli stava proponendo: la rinnovata unità tedesca. È bene, in questi mesi così difficili
MEMORANDUM
SULL’EUROPA
D’EUROPA
per l’Unione Europea, ritornare alle riflessioni di fondo che la generarono perché rimanendo imbrigliati nel solo dibattito finanziario dominante è chiaro che quel progetto non origina più alcun pensiero positivo, alcuna prospettiva orientata al domani,
alcuna speranza. Quell’idea d’Europa sorta per reazione vigorosa e dignitosa alla assurdità e alla tragicità della guerra aveva in
sé, fin dal primo momento, la consapevolezza che il disegno si sarebbe realizzato
compiutamente solo se avesse raggiunto,
in un futuro non eccessivamente lontano,
un suo profilo politico e non meramente
mercantile. L’Unione avrebbe cioè dovuto
coinvolgere il popolo. I popoli d’Europa e
non solo le élite politiche e intellettuali. Essa
avrebbe così poggiato la propria dimensione politica sulla dimensione sociale, sull’unitarietà nell’affrontare i problemi comuni:
ieri la guerra, un domani, a quel tempo indefinito, la crisi economica o l’emergenza
ambientale. Questa visione “politica” dell’Europa stava alla base anche del Manifesto di Ventotene, scritto da Altiero Spinelli
durante il confino cui lo aveva condanna-
Il Partito democratico perde la sua anima se sceglie di irrigidire ideologicamente il messaggio d’innovazione che
gli compete. E la perde, ancora più concretamente, se smentisce il suo ancoraggio alle grandi intuizioni di politica
estera nelle quali vive il retaggio della
straordinaria tradizione dell’umanesimo
e del cosmopolitismo italiano. È in questa cornice che i padri dell’Europa, da
De Gasperi a Spinelli, hanno pensato
e promosso il modello federale europeo
come nuovo orizzonte di pace, di sviluppo e crescita civile. Oggi, dopo
averne sempre rivendicato il prezioso
fattore d’ispirazione, al Partito democratico si chiede di rinnovare questo
modello, mostrando coraggio e intelligenza nel proseguire a testa alta sulla strada della progressiva integrazione europea. Sotto questo profilo può
riproporsi il valore e la bellezza di un peculiare vincolo esterno, di natura eminentemente politica, che nasce e si sviluppa in base alla volontà di partiti, movimenti sociali e culturali, settori qualificati della pubblica opinione; un vincolo che offre l’opportunità di armonizzare nel perimetro di solide politiche
sovranazionali le iniziative volte a contrastare i rischi di declino incombenti
sulle società e gli ordinamenti dei singoli Stati. L’europeismo, in ogni caso,
non può agire a rimorchio di logiche e
schemi prefabbricati. Quando si proiettano su scala più ampia le dinamiche
politiche nazionali, emerge la conferma
di quanto possa valere e pesare la scelta del riformismo “coniugato al futuro”,
come noi amiamo dire. Le appartenenze del Novecento assomigliano a
dagherrotipi ingialliti. Prodi e Amato, insieme ad altre personalità del mondo
intellettuale e politico, hanno indicato
con il loro appello pubblicato di recente
sulla stampa “il sogno di una società
europea solidale, giusta e democratica”; ma nel loro proposito non sussiste l’ancoraggio a una qualche pregiudiziale ideologica, men che meno di
tipo socialista. D’altronde, in Francia,
Bayrou dimostra di avere più determi......segue
Esteri | Europa
HENRY KISSINGER
potrebbe oggi
telefonare all’Unione
ma risponderebbe
inevitabilmente
“Mrs Ashton who?”
e così si esprimerebbero
pure gli altrii
leader delle
e
potenze
emergenti
Non si è voluto associare alle restrizioni nella
gestione dei conti pubblici una visione prospettica
che desse un valore ideale ai sacrifici che le
manovre sui bilanci producono agli europei
to il regime fascista. Era, quella, un’Europa che si immaginava terra d’una democrazia sociale imperniata sul libero mercato
generatore di sviluppo economico e – ovvero insieme, congiuntamente, e non dopo
– su una relativamente equa distribuzione
della ricchezza creata, attraverso le istituzioni del welfare. Ora, la crisi, proprio fra il
popolo, dell’idea d’Europa deriva dalla
totale assenza di anche solo un vago richiamo a questa visione. Dalla primavera
del 2009 i cittadini europei hanno sentito
parlare come non mai di Europa, e ciò progressivamente ha fatto crescere l’interesse nei suoi confronti (prima invece confinato
nel remoto di una caricatura tecnocratica
lontana e impalpabile). Ma è di un’Europa
solo finanziaria che si è parlato. Debito, deficit, regolamentazioni sempre più stringenti
e controlli sempre più occhiuti. Non si è vo-
luto, cioè, associare alle inevitabili e giuste
restrizioni nella gestione dei conti pubblici una visione prospettica che desse un valore ideale ai sacrifici che le manovre sui bilanci avrebbero prodotto presso le popolazioni del continente. Allontanandosi pertanto ancor più dall’obiettivo politico unitario per regredire a quello meramente monetario, andando così a impattare – inevitabilmente, a quel punto – con le contraddizioni insite in una moneta unica priva di
uno Stato, e in una Banca centrale priva di
un governo sovranazionale con il quale rapportarsi, e priva altresì della possibilità di
stampare moneta. L’Europa è apparsa
pertanto ai suoi cittadini come un controllore, freddo e impassibile, unicamente intento a definire parametri finanziari e devoto
a un solo credo, quello del contenimento
del debito. Il rimborso del quale – ha scrit-
to giustamente Laurent Joffrin, direttore del
“Nouvel Observateur”, nel dibattito promosso qualche tempo fa sulle colonne di
“Repubblica” – non può essere un obiettivo politico che incarna un’idea statuale.
Anche in altri settori cruciali l’Europa ha preferito il basso profilo, laddove avrebbe esattamente dovuto alzare lo sguardo ed ergersi
nel nuovo mondo globale dal quale rischia
d’essere emarginata. Non per caso i padri
fondatori avevano osato l’inimmaginabile
– un esercito comune europeo – consci che
esso avrebbe ulteriormente allontanato i
Un’Europa intergovernativa torna a dare spazio ai nazionalismi, ovvero
a quei sentimenti che portati all’estremo hanno causato guerre infinite fra
i popoli del continente e che l’idea unitaria intendeva ridimensionare
62
......continua
Il progetto dei padri
fondatori non origina più
alcuna speranza di futuro: è
necessario coinvolgere la
società europea nel suo
insieme, non solo le élite
politiche e intellettuali
fantasmi della guerra fratricida e avrebbe
al contempo elevato l’autonomia e il rilievo mondiale dell’Europa. Medesima timidezza si è espressa nel cruciale ambito della politica estera, vitale come non mai nel
mondo multipolare tanto diverso da quello definito a Yalta ormai molto tempo fa. Qui
pure le piccole convenienze dei governanti
nazionali hanno prevalso, individuando
una personalità di secondo livello per un
ruolo (l’Alto Rappresentante previsto dal
Trattato di Lisbona) che al contrario richiede
carisma e prestigio per mettere l’Europa al
posto che le compete nel mondo. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Kissinger
potrebbe oggi telefonare all’Unione, perché
il numero adesso c’è, ma risponderebbe,
inevitabilmente, “Mrs Ashton who?” e così
si esprimerebbero pure gli altri leader delle potenze emerse ed emergenti del nuovo ordine mondiale delineatosi con la globalizzazione esplosa nel nuovo secolo. Non
solo. Un’Europa intergovernativa torna a
dare spazio ai nazionalismi, ovvero proprio
a quei sentimenti che nella loro esasperata assolutizzazione hanno causato guerre
infinite fra i popoli europei. Quei nazionalismi che con l’idea unitaria si era al contrario voluto porre sotto controllo e ricondurre alla loro giusta dimensione.
Non esiste alternativa all’Europa, insiste
Kohl, grande vecchio per ora senza eredi,
ultimo leader di una generazione che ha conosciuto la distruzione apportata dalla
guerra e le fatiche – ma anche lo spirito positivo di rinascita – della ricostruzione.
“L’Europa è il nostro futuro”. Se Kohl ha ragione, e ce l’ha, occorre che la classe politica – se ambisce a essere qualcosa di più
d’una semplice amministratrice della decadenza – a partire dai legami che la moneta unica impone sappia su di essi far
leva per suscitare la volontà generatrice
d’una più grande unione, politica e non
solo monetaria. Un’idea-forza capace di
recuperare la “visione” dei padri nobili
dell’Europa unita e, con questa, di coinvolgere i cittadini in un grande progetto,
degno di qualche sacrificio.
*ENRICO FARINONE, deputato
nazione e più tenuta nella difesa della
politica d’integrazione europea. Sicché
appare incongruo che il Partito democratico ‒ aderente al Gruppo dei Socialisti e Democratici nel Parlamento europeo, ma non al Partito socialista europeo (Pse) ‒ debba adottare a senso
unico una sorta di “solidarietà internazionalista” e dunque affidarsi totalmente
alle rituali formule di sostegno al candidato socialista all’Eliseo. Qual è il motivo di questa solidarietà, quando nel
programma di Hollande vi è un ritorno
al primato di Parigi come motore politico di una Europa concepita e disegnata in relazione a un prevalente ruolo di coordinamento degli Stati nazionali? Il nostro europeismo non si armonizza completamente con una visione ‒ Hollande non corregge la linea
vetero-gollista di Sarkozy ‒ che indebolisce o addirittura offusca i progressi compiuti in questi anni per fare delle istituzioni comunitarie la casa dei cittadini europei, non la semplice camera di compensazione delle volontà e
delle scelte dei diversi Stati membri. A
noi preme evidenziare, in conclusione,
la necessità che il Partito democratico
non disperda nel labirinto di presunti obblighi di vicinanza nel campo progressista il credito accumulato come forza
riformatrice, aperta alla sperimentazione
di nuove formule politiche, impegnata
a tradurre in programmi e comportamenti conseguenti la sua limpida vocazione europeistica. Dobbiamo difendere la nostra autonomia, specialmente se con essa possiamo difendere
un punto di vista più avanzato nell’orizzonte di una rinnovata prospettiva europeistica.
PRIMI FIRMATARI (IN ATTESA
DI ALTRE ADESIONI)
Giuseppe Fioroni
Marco Follini
(Senatori)
Carlo Chiurazzi, Lucio D’Ubaldo, Anna
Rita Fioroni, Maria Pia Garavaglia
(Deputati)
Gianluca Benamati, Enrico Farinone,
Giampiero Fogliardi, Tommaso Ginoble,
Gero Grassi, Luciana Pedoto, Giovanni Sanga, Rodolfo Viola
Esteri
Sull’America Latina si appuntano
e della Chiesa
buona parte delle speranz
universale, ma la Chiesa
latinoamericana non è ancora
a
porzionalmente rappresentata a Rom
pro
CHIESA E AMERICA LATINA
Un continente pieno di speranza
La visita di Benedetto XVI in Messico e a Cuba ha messo in
luce la vitalità e il dinamismo del cattolicesimo latinoamericano,
ma anche le sue questioni irrisolte
di GIANPAOLO SALVINI*
Di America Latina e Chiesa si parla in questi mesi per una serie di motivi: il Papa ha voluto celebrare solennemente in San
Pietro, il 12 dicembre 2011 – festa della Madonna di Guadalupe, patrona ideale di tutta la parte latina del continente – il bicentenario dell’indipendenza di quella parte delle Americhe, anche se in realtà l’anno esatto varia da Paese a Paese. La maggioranza di essi la ottenne tra il 1816 e il 1841. La Basilica in
quel giorno si è riempita di bandiere nazionali, cosa molto insolita, anche se il Papa ha inteso dare un significato religioso,
e certo non politico, all’avvenimento, accolto però con molto
favore nei Paesi latinoamericani.
Recentemente poi Benedetto XVI si è recato in visita in Messico e a Cuba, seguito dall’attenzione di tutto il mondo, specialmente per cogliere in quell’occasione segni di mutamento
nell’isola dei Caraibi, unico Stato rimasto, in America Latina, a
regime marxista, almeno dal punto di vista politico, o per assistere addirittura a un’improbabile conversione di Fidel Castro,
il Lider Máximo, molto malato da tempo. Per America Latina
si intende tutta la parte del continente americano ad eccezione di Stati Uniti e Canada. Essa comprende 34 Stati, di cui 14
insulari, nei Caraibi (o Antille). Vi sono anche 15 aree soggette
alla sovranità di altri Stati. In 19 Paesi si parla lo spagnolo (ma
molti latinoamericani preferiscono dire il castigliano) e in altri 12
l’inglese. In Brasile il portoghese. In 25 di queste nazioni (tra cui
tutte le maggiori) la maggioranza è cattolica, in altre 9 è prote-
64
stante, ma non mancano né culti diversi né lingue minori. Dei
900 milioni di abitanti delle Americhe, circa 530 vivono nell’America Latina. Ma di questa parte del continente americano si
parla anche per lo sviluppo accelerato di alcuni dei suoi Paesi, in particolare Brasile (ormai uno dei nuovi protagonisti della scena mondiale, i Brics), Cile, ma anche Messico e Argentina; sviluppo che sembra aver fatto uscire una notevole parte del continente da una condizione di sottosviluppo cronico
a cui, ancora qualche decennio fa, sembrava condannata. Purtroppo di America Latina si parla anche per la violenza endemica, non più di tipo politico, ma legata in particolare al narcotraffico, che ne affligge varie regioni, come la Colombia, il Messico ecc. Con la fine dei Paesi comunisti (con l’eccezione appunto di Cuba) a cominciare dal Paese leader, l’Unione Sovietica,
è scomparsa la paura che il comunismo contagiasse anche quel
continente. Così è venuto meno anche l’appoggio degli Stati
Uniti alle numerose dittature locali, che sembravano garantire
meglio la lotta al comunismo, e gli Stati latinoamericani hanno
ritrovato la via della democrazia e di una vita politica più rispettosa
dei diritti umani, anche se con modalità reali assai diverse.
LA CHIESA IN AMERICA LATINA
La grande maggioranza delle popolazioni latinoamericane è cristiana e la componente di gran lunga prevalente è cattolica. Il
cattolicesimo latinoamericano, al di là delle statistiche, è mol-
Se il Brasile vince la
sfida educativa
to vitale e “giovane”, non soltanto per la forte presenza delle
generazioni più giovani rispetto alla vecchia Europa, ma anche
per la creatività e il dinamismo di molte delle sue Chiese, benché non manchino differenze anche accentuate da Paese a Paese. È un continente che si crea ancora, mentre l’Europa sembra alle volte un continente che difende ciò che ha creato, anche in campo religioso ed ecclesiastico. Anche se la battuta attribuita a Pablo Neruda sul fatto che “l’America Latina venne
evangelizzata a colpi di crocifisso” è esagerata, è certo che il
cristianesimo arrivò in quei Paesi insieme ai colonizzatori, spagnoli e portoghesi, e non conobbe quindi il processo di nascita “dal basso” come avvenne ai tempi della Chiesa primitiva nell’Impero Romano, che perseguitò a lungo il cristianesimo. Questo ha fatto sì che, anche se vescovi e missionari scrissero pagine bellissime in difesa degli indios e della loro dignità, la religione venisse identificata con le classi dominanti pur essendo diffusa in ogni classe sociale. Non per nulla uno dei Paesi
dove la fede è più intensa e vissuta con ardore convinto è il Messico, che ha conosciuto negli anni Venti del secolo scorso una
sanguinosa persecuzione religiosa a opera di governi dominati
da una Massoneria fortemente anticlericale. Ma di molte popolazioni si può dire che vennero battezzate ma non sufficientemente evangelizzate e questo può spiegare la sopravvivenza di molti elementi di religioni afroamericane e, in parte, il
successo delle sette pentecostali – il cui dinamismo non è di-
La “Casa dei Figli della Luce” di Rio de Janeiro è un
piccolo miracolo della società civile. Dietro c’è un benefattore celebre, lo scrittore Paulo Coelho, ma ci
sono anche molti cittadini anonimi che contribuiscono
regolarmente con piccole donazioni. La scuola ha
un’impronta marcatamente religiosa, che può far storcere il naso alle nostre latitudini ma che non stupisce nessuno in Brasile, dove la Chiesa cattolica convive con il candomblè animista africano ed entrambi risentono della presenza degli evangelici. Quello
che conta è il risultato: centinaia di bambini strappati
alle favelas e accompagnati dall’asilo nido all’università. Il Brasile sta vincendo la sfida educativa: allontanare i più piccoli dalla miseria e dalla delinquenza, per ridurre le disuguaglianze sociali e programmare il futuro. Basti pensare che nella scuola
hanno una biblioteca di 20 mila volumi, un teatro da
400 posti, palestre, ambulatori e mense: perfino insegnanti specializzati nell’assistenza ai bambini con
handicap gravi. Va da sé che il Brasile non è la Svezia e resta un Paese con un alto tasso di criminalità
e una corruzione endemica, ma è uno dei pochi Stati nel mondo in cui l’indice di Gini, che misura la distanza tra ricchi e poveri di una nazione, diminuisce
regolarmente da 8 anni. Non si può dire altrettanto
del Venezuela di Chavez o della Bolivia di Morales.
sinteressato, per distogliere dal sociale – nell’ultimo cinquantennio. Il fenomeno della secolarizzazione, legato a tanti aspetti della vita moderna, imitata e importata dal resto dell’Occidente, si diffonde ormai anche nelle città latinoamericane, specialmente nei Paesi tradizionalmente più “laici”, come l’Uruguay. Ma il continente resta profondamente religioso e profondamente fedele alla Chiesa
e al Papa e non soltanto in occasione delle manifestazioni oceaniche durante le visite degli ultimi Pontefici che vi si sono ripetutamente recati: una volta Paolo VI, diciotto volte Giovanni Paolo
II e due volte Benedetto XVI. In America Latina vive oltre il 40% di
65
Esteri
Il viaggio
del Papa
è stato
diretto anche
a incoraggiare
il clero locale
ad occuparsi
della propria
patria
nonostante
l’ateismo
diffuso
tutti i cattolici del mondo. Il Messico è la nazione di lingua spagnola con più cattolici nel mondo, mentre il Brasile è il Paese
che conta più cattolici in assoluto e il maggior numero di diocesi. Inutile dire perciò che sull’America Latina si appuntano buona parte delle speranze della Chiesa universale, anche se la Chiesa latinoamericana non è ancora proporzionalmente rappresentata nel governo centrale della Chiesa a Roma. Non per nulla da territorio di missione, il continente si è trasformato in territorio che invia missionari altrove. Il discorso in proposito in realtà
è più complesso in quanto molti sacerdoti lasciano l’America
Latina anche perché trovano maggiori mezzi e situazioni più gratificanti nei Paesi europei o del Nord America. Questo vale in
particolare per alcuni Paesi, come Cuba, dove essere preti richiede notevoli sacrifici e impone disagi. Il viaggio del Papa è
stato certamente diretto anche a incoraggiare il clero locale ad
occuparsi della propria patria e a rimanervi nonostante l’ateismo ormai ampiamente diffuso. Con il Vaticano II, la “Populorum Progressio” di Paolo VI (1967) e il suo “prolungamento” per
l’America Latina, rappresentato simbolicamente dalla Conferenza dell’episcopato latinoamericano di Medellín (Colombia,
1967), proseguita poi in quella di Puebla (Messico, 1979) e nelle successive – note in tutto il mondo anche perché hanno visto la presenza dei Papi regnanti al momento – si è avuto un
cambiamento. La parte più viva e impegnata della Chiesa in
America Latina ha cominciato a interrogarsi sul fatto che cinque secoli di cristianesimo non fossero riusciti a impedire che
il continente avesse strutture sociali così ingiuste e così emarginanti per intere popolazioni, tanto da far valere per esse l’espressione della “sollicitudo rei socialis”: “strutture di peccato”. Il Brasile era il Paese del mondo dove il reddito era distri-
66
buito in modo più disuguale. Ne sono scaturite lotte sociali (che
spesso coincidevano con le lotte contro le dittature di turno) in
cui i credenti si impegnarono affinché la fede contribuisse a dare
un volto più umano e degno alla società. Non sono mancati i
martiri, icona dei quali si può considerare monsignor Oscar Romero, arcivescovo di San Salvador, assassinato nel 1980 per
la sua difesa degli oppressi, che si spera di vedere presto sugli altari. Se molti furono mossi da motivazioni religiose e sociali ben conciliabili con la classica dottrina sociale cristiana, come
appunto monsignor Romero, altri sognarono una forma di socialismo anche con connotati marxisti (era d’altronde l’unica alternativa esistente realmente al momento a cui ispirarsi) che inquietarono profondamente la Gerarchia e Roma. Lo stesso arcipelago della “teologia della liberazione” ha conosciuto autori perfettamente in linea con l’ortodossia e altri che rischiavano di sostituire la lotta sociale all’evangelizzazione. Paolo VI ne
diede una splendida chiarificazione concettuale nell’esortazione
apostolica “Evangelii nuntiandi” (1975), non casualmente
poco compresa all’epoca della sua pubblicazione. Ma l’“opzione
preferenziale per i poveri”, di cui parla il documento finale di Puebla, è stata ripresa e sostenuta anche dai Pontefici e rimane
uno dei leitmotiv della Chiesa latinoamericana, il cui sforzo di evangelizzazione conosce forme nuove e originali che
lasciano ben sperare per tutta la Chiesa universale. Non per
nulla Benedetto XVI nel suo recente viaggio ha invocato
maggiore libertà per i cubani ma anche un’attenzione costante ai poveri e agli emarginati.
*GIANPAOLO SALVINI S.J.
direttore emerito della “Civiltà Cattolica”
Oltre il 40% di tutti i cattolici
del mondo vive in America
Latina. Il Messico è la nazione di
lingua spagnola con più cattolici
al mondo, mentre il Brasile conta
il maggior numero di diocesi
ROMNEYe la decisiva
caccia agli indipendenti
Esteri | USA
Conquistare l’elettorato “di centro” può rivelarsi la carta
decisiva per l’ex
GOVERNAT
A ORE DEL
MASSACHUSETTS
M A R IU S C IR À A
SCALDARE
L’ANIMA DEL
GOP?
di TOMMASO MONTESANO*
Le tre sconfitte consecutive incassate
all’inizio di aprile in Wisconsin, Washington DC e Maryland, unite ai problemi di salute della figlia di tre anni Bella, che soffre di una grave malattia genetica fin dalla nascita, hanno spinto il
candidato ultraconservatore Rick Santorum a sospendere la campagna elettorale per le Primarie repubblicane. La
mossa dell’ex senatore della Pennsylvania, fino a quel momento lo sfidante
più agguerrito di Mitt Romney sulla strada per ottenere la nomination del Grand
old party, spiana così la strada all’ex governatore del Massachussets in vista
della convention di Tampa, in Florida,
che a fine agosto incoronerà ufficialmente lo sfidante di Barack Obama alle
Presidenziali del prossimo 6 novembre.
E tra i candidati repubblicani che dall’inizio dell’anno si stanno dando battaglia, Romney è di gran lunga l’avversario più temibile per il presidente uscente. Non solo per la quantità di denaro su
cui l’ex governatore, grazie al patrimonio personale e al meccanismo dei
SuperPac, i comitati di azione politica
che possono raccogliere fondi per i can-
69
Solo in un’occasione
didati, è in grado di contare. Secondo
le ricerche più recenti, infatti, tra gli sfidanti di Obama Romney è l’unico in grado di fare concorrenza all’inquilino della Casa Bianca tra i cosiddetti elettori indipendenti: quella porzione di americani
che, di volta in volta, decide come votare non in base al principio dell’appartenenza partitica, ma in virtù dei programmi.
A guardare gli esiti delle ultime presidenziali, solo in un’occasione gli “indipendenti”, quello che in Italia chiamiamo “centro”, non sono stati decisivi: nel
2004, quando a George W. Bush, grazie alla sapienza di Karl Rove, fu sufficiente mobilitare la base repubblicana
alla propria destra per garantirsi la conferma alla Casa Bianca. Ma allora gli
Stati Uniti erano in piena “guerra al terrorismo”, tre anni prima c’erano stati gli
attentati dell’11 settembre e la strategia
aggressiva dell’amministrazione repubblicana in politica estera aveva polarizzato il corpo elettorale americano.
Quindi fu naturale, per Bush, cavalcare temi di “destra” come la lotta all’”asse
del male”, in tempi di guerra (Afghanistan e Iraq), per ottenere il secondo
mandato. Gli indipendenti, viceversa,
sono stati decisivi nel 1980 e nel 1984,
quando Ronald Reagan vinse con il
contributo dei “Reagan Democrat”; nel
1988, con la piattaforma moderata di
George H.W. Bush, e nelle due elezioni che videro trionfare Bill Clinton, il candidato democratico più centrista del secolo scorso. E Obama, nel 2008, riuscì
ad avere ragione di John McCain grazie al concorso decisivo delle donne,
che rappresentano il 53% del totale del
corpo elettorale americano, e di Stati
tendenzialmente repubblicani come
Florida, Colorado, North Carolina, Ne-
vada e Virginia. La strategia di Romney
per conquistare la Casa Bianca a novembre si fonda proprio sulla mappa
politica uscita dalle presidenziali di
quattro anni fa: tenere il Sud conservatore e la “Bible Belt” conquistati da McCain, tradizionale bacino elettorale repubblicano, e riconquistare gli Stati
strappati di misura da Obama al Grand
Old Party (Gop) nel 2008. Nonostante le
difficoltà palesate finora da Romney nei
territori dove è più forte l’influenza religiosa, che non a caso a lui avevano preferito il conservatore Santorum, è facile prevedere che i settori più tradizionali
del partito, che pure non amano Romney per la sua origine aristocratica e il
passato da imprenditore, siano pronti a
votarlo lo stesso. Turandosi il naso in
base al principio “chiunque è meglio di
Obama”. Ecco, così, che diventano
determinanti gli Stati che, seppur più vicini ai repubblicani, nell’ultima tornata
elettorale hanno scelto i democratici.
Secondo le rilevazioni più aggiornate a
cura del sito www.realclearpolitics.com,
attualmente nella battaglia per la conquista della Casa Bianca i repubblicani possono contare da un minimo di 181
a un massimo di 195 voti dei “grandi
elettori” (a 270 si ottiene il pass per
Pennsylvania Avenue). Poiché il numero dei voti assegnati a ciascuno
Stato è determinato in proporzione alla
popolazione, a favore del Gop gioca anche la recente redistribuzione causata
dal censimento decennale, che ha aumentato il peso dei territori del Sud
come Texas, Florida, Arizona, Carolina
del Sud, Georgia, Nevada e Utah, più favorevoli al Partito repubblicano, a scapito di quelli dell’area del nordest come
Illinois, Michigan, New Jersey e Pennsylvania, dove invece sono i democra-
gli “indipendenti” non sono
stati decisivi: nel 2004
quando a Bush bastò
mobilitare la base
repubblicana alla sua destra
per riconfermarsi alla Casa
Bianca. Ma allora gli Stati
Uniti erano in piena “guerra
al terrore”
Obama nel 2008
riuscì a battere McCain
grazie al concorso
decisivo delle donne, che
rappresentano il 53%
del totale del corpo
elettorale Usa, e di Stati
tendenzialmente repubblicani
come Florida, Colorado, North
Carolina, Nevada
e Virginia
tici ad avere maggiore seguito. Inoltre a
dare speranza a Romney, il candidato
con il profilo più indicato a intercettare
gli indecisi, è la lista degli Stati considerati “toss up”, ovvero in bilico. Nell’elenco ci sono Florida, North Carolina,
Ohio, Virginia, Colorado e Indiana, tutti conquistati da Obama, ma con uno
scarto di pochi punti percentuali rispetto
a McCain. Se Romney riuscisse a ribaltare la situazione, ovvero a riportare questi Stati nella casella repubblicana, dov’erano sotto George W. Bush,
per il presidente uscente la rielezione sarebbe a rischio. Prendendo per buona
la base di partenza meno favorevole ai
repubblicani, 181 voti certi, con il recupero dei sei Stati “ribelli” Romney arriverebbe a 265. Ossia ad appena cinque voti elettorali dalla vittoria. Un margine troppo esiguo per consentire a
Obama di dormire sonni tranquilli.
*TOMMASO MONTESANO,
giornalista
I settori più tradizionali del partito, che non lo amano per la sua origine aristocratica e il passato da
imprenditore, sono pronti a votarlo, sia pure turandosi il naso, in base al principio chiunque è meglio di
Obama
70
La strategia di Romney si fonda sulla mappa politica delle presidenziali di 4 anni fa: tenere il Sud
conservatore e la Bible Belt, tradizionale bacino elettorale repubblicano e riconquistare gli Stati strappati
di misura da Obama al Gop nel 2008
L’armonia che nasce
da un legame solido
resiste alle intemperie della vita.
Dalla ricerca Mapei due sistemi che assicurano l’isolamento termico a cappotto, sia con finiture murali (Mapetherm
System) sia con l’applicazione di piastrelle in ceramica a spessore sottile (Mapetherm Tile System).
Benessere e risparmio energetico, in accordo con le norme vigenti.
Mapei. Dalla nostra esperienza tutte le soluzioni per voi.
approfondiamo insieme su: www.mapei.it
La community che ti somiglia,
postepay.it il sito che ti semplifica la vita:
informazioni sulle Postepay
ricariche e pagamenti
offerte per gruppi d'acquisto
ticketing cinema
download brani musicali e videogames
promozioni e concorsi
be easy, be smart, be postepay.it
www.postepay.it
Esteri | USA
La co
a
m
a
b
O
i
d
i
l
o
c
a
t
s
o
a
r sa
ria
a
t
i
n
a
s
a
m
r
o
f
i
r
,
e
l
l
e
t
s
e
l
l
a
a
e
t
n
i
n
z
e
n
d
e
i
s
B
e
r
P
l
e
d
e
d
i
f
s
e
l
:
s
o
d
a
n
e Indig
Obama guarda al consistente serbatoio di voti della comunità
ispano-americana, come al movimento Occupy Wall Street che
terrà una grande manifestazione il primo maggio di MIMMO SACCO*
Un sondaggio
del “New York
Times” rivela
che la
maggioranza
degli
americani è
contraria alla
riforma
sanitaria: sotto
accusa
l’obbligo di
avere
l’assicurazione
medica
Per Obama le porte della Casa Bianca
si erano praticamente spalancate, grazie alla ripresa economica – seppure
modesta – e alla diminuzione della disoccupazione (8,3%, il dato più basso
negli ultimi tre anni). Queste porte,
però, oggi tendono a essere meno
aperte. Due, in estrema sintesi, i motivi. L’aumento del prezzo della benzina
– la cui responsabilità i repubblicani fanno ricadere sul Presidente – e la riforma
sanitaria a rischio. Sulla benzina Obama si è affrettato a correre ai ripari chiedendo al Congresso di cancellare le
agevolazioni fiscali dei petrolieri: “Usia-
mo i fondi per le energie verdi”, la proposta. Ma il Senato ha bocciato la
nuova legge. Va iscritto a suo merito,
però, l’aver creduto nel settore auto.
Mentre i candidati repubblicani volevano abbandonare Detroit al suo destino.
Obama, poi, rischia di perdere la sua
scommessa più grande e ambiziosa, la
riforma sanitaria. Secondo un sondaggio del “New York Times”, la maggioranza degli americani è contraria alla legge. Sotto accusa l’obbligo di possedere l’assicurazione. La sentenza della Corte Suprema che deve pronunciarsi sulla sua costituzionalità, e che rischia di
spaccare il Paese, è attesa per giugno.
Sarà decisivo il voto del giudice Kennedy, considerato conservatore “aperto”. Nella campagna per le presidenziali
Obama guarda con interesse alla grande comunità ispano-americana, preziosa perché consistente serbatoio di
voti. Come pure vanno seguite le mosse del movimento Occupy Wall street,
che ha aperto la campagna di primavera. Una grande manifestazione è prevista per il primo maggio. Obama, possiamo esserne certi, attingerà anche
questa volta al suo noto pragmatismo
per volgere a suo favore gli eventi.
73
58765214:&.942;-7.43,654
=<;:98765438210:0502/.29855896298-42:465,+2983/85.(6,6'23452&6/,8
%638:6-62(452/4,,8:42(4.2/4:&.$.'26,,:6&4:/82#362%5#:.433654
4/%4:.43$6'2.3"6,,.'2562!8/,:62;$.43(6294:962(.2:./%83(4:426556
9:4/943,42(8-63(62(.2#32-4:96,82.32983,.3#624&85#$.834'
9832-4$$.242:./8:/42#-63429 42/.2-#8&8382.32983,4/,.2(.
&4:/.'29 42/.2:.&85838262,6:4,24(2#,43$42(.283.2434:40
=6238/,:62189.4,+24,,62542%:8%:.4276/.29832.52/4,,8:42(.2.434
;-7.43,654'214:&.$.2(.2#5.$.6'2163.".96$.834242./.3"4$.8342;-
7.43,654'2 ./.3"4/,6$.8342424:6,,.$$6$.83429 42(.&4::+2345.
633.2/#994//.&.2.52%#3,82(.2%6:,43$62&4:/823#8&4242%.298-
%54//426,,.&.,+298-425<6""4:-6$.8342345258765214:&.9424234.
14:&.$.2189.8/63.,6:.'26#/.5.6:.24(2.3"4:-.4:./,.9.0
=<.3,4:6$.8342.32#362%5#:65.,+2(.296-%.2425<4/.43$62(.24//4:4265
%6//829832#362/89.4,+29 4296-7.62-629 42/4-%:42%.23494/
/.,+2(.24,.96242(.2%:8"4//.8365.,+2/8382.2%#3,.296:(.342/#.2#65.
56238/,:626,,.&.,+2/.2"83(6242/.2-#8&42345562#8,.(.63.,+0
=<;:98765438210:0502:.&854242"8:3./942.2%:8%:.2/4:&.$.242562%:8
%:.624/%4:.43$626(23,.2#775.9.242:.&6,.2/#2,#,,82.52,4::.,8:.8
36$.8365429832#3<#3.962/4(42943,:6542429832/4(.2(./5896,4'
&85,4262"6:2/29 42.32:4/%83/67.5.2.3258982%8//6382"6:2":83,4
,4-%4/,.&6-43,42423452-.5.8:42(4.2-8(.262,#,,42542:.9 .4/,4
425424/.43$424/%:4//42(655628--.,,43$60
362/,:#,,#:624:6:9 .96'2"6,,62(.2988:(.36,8:.'2:4/%83/67.5.'
983/#543,.265,6-43,42#65.".96,.242%4:/836542"8:-6,82983
98:/.2(.2"8:-6$.8342427:.4".32/&85,.2983296(43$62/4-4/,:654'
98-%54,6382562!8/,:6298-%6.342/89.4,6:.6'2639 4242/8
%:6,,#,,823452:./%4,,82(4554238:-6,.&42.32-6,4:.62(.2/.9#:4$$6
/#5256&8:8242#65.,+212294:,.".96,62(6243,4269
9:4(.,6,80
#,,82#4/,8242-85,8265,:826398:62/6:+256276/4242562/%.3,6
&4:/82#3<6-%.62(.&4:/.".96$.8342(45.287.4,,.&.242(455426,,.&.,+
"#,#:4'29 42/.2%:4/43,4:63382429 42/6:63382#326::.99 .-43,8
%:8"4//.836542%:4$.8/82%4:2562189.4,+0
.62899828$$.'2
8-6
45022
602
6:98765430/:5,./965.0.,
Esteri | l’intervita
Con Saddam al potere, il Kurdistan ha pagato il prezzo più alto: stragi indiscriminate della sua
popolazione e distruzioni sistematiche dei villaggi comandate dal regime di Bagdad
Da quando Gheddafi è scomparso, non ci sono più terroristi libici in Iraq, spesso reclutati da Al
Qaeda per disperazione o per fame. La diffusione della democrazia allontana il terrorismo
Il nome dell’ambasciatore è illustre e impegnativo. La storia contemporanea del
Kurdistan si identifica infatti con la lotta
per l’indipendenza della regione guidata dal generale Mustafa Barzani, protagonista della scena politica curda per oltre trent’anni e feroce nemico del partito Baath, al potere in Iraq dal 1958 fino
alla fine di Saddam Hussein. L’ostilità del
leader curdo contro il governo centrale
era giustificata. Dopo una guerra contro
il Kurdistan che aveva distrutto quasi interamente la regione e svuotato le casse del governo, e dopo che era risultata inutile la condanna a morte del leader,
nel 1963 Bagdad aveva messo sulla testa di Barzani una taglia di centomila dinari, pari a circa due milioni di euro attuali. Con questi precedenti familiari,
non sorprende che Saywan Barzani,
Il nuovo Iraq e la speranza della pace
di Paola Brianti*
In Iraq le etnie
sono
rappresentate
in proporzione
al numero
della
popolazione.
Il rispetto
delle
minoranze è
rigorosamente
osservato.
Le donne, per
esempio,
coprono il 25
per cento
della
Assemblea
Intervista a Saywan Barzani,
ambasciatore dell’Iraq in Italia
ambasciatore dell’Iraq presso lo Stato italiano, manifesti senza reticenze la sua
soddisfazione per la fine del dittatore di
Bagdad e la sua riconoscenza per “i liberatori americani”. Quarant’anni, un
francese perfetto attestato dalla laurea in
Legge conseguita all’Università di Orléans
e dal master in Scienze politiche ottenuto
all’Università di Parigi, Barzani è a Roma
da due anni. Gli orrori del passato regime − che secondo l’ambasciatore superano di gran lunga la tragedia della
guerra appena conclusa, e che anzi la
giustificano − debbono adesso lasciare
il posto alle speranze di un nuovo Iraq.
Barzani è giovane e ottimista. In Iraq si
continua a morire, gli attentati si susseguono, ma alla fine anche il terrorismo
si dovrà esaurire. La gente vuole vivere,
il Paese vuole risorgere.
Proprio mentre parlavamo, a Bagdad
esplodeva l’ennesima bomba, vicino
all’ambasciata dell’Iran, ai limiti della
controllatissima zona verde, pochi minuti prima che iniziasse il vertice della
Lega Araba.
Ambasciatore, nove anni fa iniziava
l’invasione dell’esercito americano in
Iraq. Abbiamo assistito a massacri e
violenze inimmaginabili e adesso,
forse, si apre una pagina nuova per il
suo Paese. Ma in realtà, com’è oggi la
situazione dell’Iraq?
L’Iraq adesso è libero e la libertà non ha
prezzo. Voi europei ne sapete qualcosa,
75
Esteri | l’intervita
“Credo
davvero
che se
gli arabi
riusciranno
a conquistare
la democrazia,
il terrorismo
scomparirà”
sto prezzo, oggi, è stato pagato tutto?
No, non ancora. Vede, in Iraq convivono quattro etnie. Non è facile metterle tutte d’accordo.
visto che avete affrontato una guerra
mondiale per liberarvi dalle dittature. Per
quanto riguarda la popolazione dell’Iraq,
forse ancora non è a tutti nota la tragedia che il Paese è stato costretto a subire da quando il partito Baath ha preso il potere. Il Kurdistan, in particolare,
ha pagato il prezzo più alto, un prezzo
terribile, con le stragi indiscriminate della sua popolazione, le distruzioni sistematiche dei
villaggi comandate dal
regime di Bagdad.
Il Kurdistan è notoriamente
una regione ricca di petrolio. La produzione è tornata a livelli normali?
Come vengono distribuiti i redditi
che
derivano dallo
sfruttamento
76
E però adesso mi sembra che fate
pagare ai sunniti un prezzo molto alto
per la lunga detenzione del potere
mantenuta da loro nel passato. Non
crede che siano un po’ troppo emarginati?
Assolutamente no. Nell’esecutivo e nell’Assemblea le etnie sono rappresentate in proporzione al numero della popolazione. Sono sunniti il vice presidente,
il presidente dell’Assemblea e il vice primo ministro. Il rispetto delle minoranze
dei pozzi? È prevista una autonomia è rigorosamente osservato. Le donne,
amministrativa in questo settore?
per esempio, coprono il 25 per cento
Nel Kurdistan vengono estratti attual- dell’Assemblea.
mente 180 mila barili di greggio al giorno. L’aspettativa è di arrivare a 2 milio- Com’è ora la presenza dei cristiani in
ni, ma per le riserve esistono ragionevoli Iraq? Secondo diverse fonti attendiprevisioni per una produzione molto più bili, una gran parte di loro era fuggita
vasta. Non abbiamo finora una legge che dall’Iraq durante la guerra.
riguardi specifi- Non dall’Iraq, da Bagdad. La maggior
“NOI
catamente
la parte, si era rifugiata in Kurdistan. CoVOGLIAMO produzione del munque, adesso stanno tornando e il
la pace e se la greggio e pos- loro numero si aggira intorno al milione.
lega Araba
siamo fare riferi- Sono attestati nella pianura di Ninive che
dichiara
mento soltanto è la loro zona tradizionale e, ancora, nel
che la pace
alla Costituzione, Kurdistan.
comporta la
normalizzazione che affida al godei rapporti con verno federale la Come sta Tarek Aziz?
Israele, siamo gestione delle ri- Tarek Aziz è in prigione e, per tutti i crisorse e l’ammini- mini che ha commesso, è fortunato a
pronti ad
strazione dei red- stare in prigione.
avviare le
relazioni
diti. Diversi sa- Eh, voi europei vi preoccupate tanto per
diplomatiche” ranno i provve- lui e forse non sapete che è un criminale
dimenti per le e della peggiore specie.
zone minerarie ancora inesplorate e per Lo sa che la metà dei cristiani iracheni
zon
i nuovi
giacimenti di greggio, la gestio- era contro di lui? Lo sa che ha distrutnu
ne d
dei quali verrà affidata ai governi re- to 280 chiese in Kurdistan e che ha ucgionali.
Gli introiti, però, saranno sem- ciso migliaia e migliaia di cattolici? Cigio
fre alla mano, sono pronto a dimostrapre e comunque gestiti da Bagdad.
re quello che sto dichiarando.
Ambasciatore,
lei mi parlava del Ecco, se dovessi dare un consiglio a TaAm
prezzo
che una popolazione è tenuta rek Aziz, gli direi di confessarsi, ne ha
pre
ap
pagare per ottenere la libertà. Que- proprio bisogno.
Il numero
dei cristiani in
Iraq si aggira
intorno
al milione.
Sono attestati
nella pianura di
Ninive che
è la loro zona
tradizionale e
nel Kurdistan
Il terrorismo resta ancora una piaga
profonda e colpisce soprattutto i pellegrini che si recano nelle città sante
sciite di Najaf e Karbala. Prevede una
soluzione in tempi ragionevoli?
Diciamo la verità. Più si afferma la democrazia, più il terrorismo scompare. Da
quando Gheddafi è scomparso, non ci
sono più terroristi libici in Iraq e così per
quanto riguarda l’Egitto e gli altri paesi
che erano sotto dittatura.
Guardi, di tutti i terroristi catturati in Iraq,
l’82 per cento erano arabi di altra provenienza, reclutati da Al Qaeda per disperazione, per fame, perché privi di
ogni risorsa per vivere.
Purtroppo il problema non è ancora stato risolto e, se pure la nostra Costitu-
zione prevede la libertà di religione, la
realtà è diversa. Ma io credo davvero
che se gli arabi riusciranno a conquistare
la democrazia, il terrorismo scomparirà.
Prevede che in un prossimo futuro
verranno normalizzate le relazioni tra
l’Iraq e Israele?
Noi vogliamo la pace e se la lega Araba dichiara che la pace comporta la normalizzazione dei rapporti con Israele,
con il quale peraltro non abbiamo frontiere in comune, noi siamo pronti a stabilire le relazioni diplomatiche.
Comunque, ci adegueremo sempre alle
decisioni della Lega Araba.
*PAOLA BRIANTI,
giornalista
NESSUNO
TOCCHI AZIZ
la moratoria
f irmata da centinaia
di parlamentari
E’ un’odissea giudiziaria quella vissuta da Tarek Aziz,
condannato a morte dalla giustizia irachena il 26 ottobre
2010 (mediante impiccagione) per il ruolo che avrebbe
rivestito nelle persecuzioni della comunità sciita a partire
dagli anni ’80. A sottoscrivere la moratoria contro
l’esecuzione dell’ex vicepremier ed ex ministro degli esteri
iracheno, accusato di “crimini contro l’umanità”, sono
stati parlamentari, premi Nobel e personalità di tutto il
mondo. Tra le firme, quelle dei senatori Bonino, D’Ubaldo,
Rutelli, Ichino, Poli Bortone, Ghedini, Chiti, Ceruti, Bianco,
Bosone, Ferrante. Nel testo della mozione si riconosce
che i crimini di cui Aziz è imputato insieme ad altri
«rappresentano gravi e sistematiche violazioni dei diritti
umani e del diritto umanitario internazionale». Ma si
evidenzia come il processo «non pare esser stato
condotto nel pieno rispetto di tutte le garanzie
internazionalmente riconosciute di imparzialità e equità,
apparendo invece l'azione giudiziaria più come la giustizia
dei vincitori sui vinti o la vendetta delle vittime nei confronti
del loro carnefice». L'appello internazionale “Moratoria
universale sulla pena di morte, anche per Tareq Aziz” è
stato promosso da “Nessuno Tocchi Caino” e dal partito
Radicale Nonviolento, Transnazionale e Transpartito per
chiedere la difesa del diritto e della verità, della legalità e
della giustizia in Iraq.
I CRISTIANI IN
MEDIO ORIENTE
Può essere difficile per un occidentale comprendere la mentalità islamica e il delicato equilibrio dei rapporti millenari fra
musulmani e cristiani in Medio
Oriente. I cristiani sono consapevoli che il mondo islamico li
associa all’Occidente, presupponendo che questo sia ancora
tutto cristiano.
Da quando, molti secoli fa, la
religione islamica è divenuta
dominante nella regione mediorientale,
i cristiani sono stati relegati alla
condizione di “dhimmi”, ovvero
di cittadini di secondo ordine,
da cui hanno sempre cercato di
riscattarsi attraverso l’istruzione e il lavoro. Il loro isolamento
e la necessità di dover continuamente cercare nuovi equilibri per farsi rispettare, hanno
sedimentato forme di alienazione e di sfiducia. Organizzati in
piccole comunità, i cristiani
sono stati spesso in una condizione di assedio fisico e psicologico, con il pregiudizio religioso per la loro non appartenenza alla “umma”, la comunità
islamica. In tale contesto, hanno continuato a testimoniare la
loro fede con coraggio. Oggi
cristiani e musulmani in diversi
Paesi si confrontano con problemi comuni: le guerre, il terrorismo, l’emigrazione dei giovani, la crisi economica globale. E non c'è altra strada che
cercare di costruire un futuro
comune in Iraq come nel resto
della regione, in Oriente come
in Occidente.
77
GUIDA ANCI
PER L’AMMINISTRAZIONE LOCALE
diretta da
Franco Pizzetti -Angelo Rughetti -Veronica Nicotra - Maurizio Delfino
Disponibile
Disponi
bil anche ON LINE!
L
L’OPERA PREVEDE:
t VOLUME 1
Osservatorio riforme 2012: a che punto siamo?
t VOLUME 3
La gestione dei servizi degli enti locali
t VOLUME 2
L’ordinamento istituzionale delle autonomie locali
t CD-Rom
(Pro)memoria
Il silenzio
di una comunista
Mancherà a tutti la sua capacità di sorprendere,
mescolando nella scrittura e con la parola il rigore
della professionista e la passione della militante
UNA
RAGAZZA
con la
battuta
sempre
pronta che
usava la
penna
come un’arma
per difendere
le idee in cui
credeva
Ho un bel ricordo di Miriam Mafai giornalista, sorridente e combattiva, vista
da “dietro le quinte”. Era il mio secondo anno di stage nella redazione
Spettacoli di Repubblica, se non erro
nel 2005. Il grande quotidiano fondato da Eugenio Scalfari si era appena
trasferito, con molte resistenze, nel-
la nuova e modernissima sede di
Largo Fochetti. Nella grande sala riunioni, dove ogni mattina si riuniscono
i capi servizio insieme al direttore Ezio
Mauro per impostare il timone del
giornale, spesso una sedia era occupata dalla Mafai. Che non veniva a
proporre i suoi articoli né a farsi ve-
dere. Come opinionista e firma di
punta, non aveva alcuna necessità di
“perdere” due ore del suo tempo ad
ascoltare la “lista della spesa” (spesso lunga), ovvero le proposte di ogni
settore del giornale. Miriam Mafai
veniva per il piacere di ascoltare i suoi
colleghi, e veniva per discutere i fatti salienti della politica con il direttore Mauro (è l’unica che ho visto, bonariamente, correggerlo) e i suoi vice.
Repubblica, si vedeva, era una cosa
che le stava a cuore, o nel cuore. Senza essere sofisticata come la Aspesi,
che pure ogni tanto faceva capolino
in sala con la sua eleganza d’altri tempi, della Mafai si coglieva subito la
grande passione per il dibattito franco, per la provocazione che genera discussione, ma anche una modernità
di linguaggio e una lucidità di visione,
soprattutto politica, che sorprendeva
noi stagisti. Della Mafai ricordo, sempre da dietro le quinte, i capelli corti
sbarazzini, le maglie a collo alto e
un’aria solo apparentemente severa.
In realtà una “ragazza” focosa, con la
battuta sempre pronta a sciogliersi in
un sorriso, che usava la penna (e la
lingua) come un’arma per difendere le
idee in cui credeva.
B.N.
79
Arte | costume e società
Una mostra sull’Azerbaigian, il paese più grande
del Caucaso, tra testimonianze di un passato
ancestrale, scenari selvaggi di incomparabile
bellezza e prodotti della creatività dell’uomo
di GENNY DI BERT*
Visioni e suoni
arcobaleni ottici della
comunicazion contemporanea
80
sulla via della Seta
TRA LE MERAVIGLIE DELLA MOSTRA
UN’ INCISIONE ROMANA DEL I° SEC D.C.
Presso il Museo della Civiltà Romana all’Eur è in corso una interessante esposizione “Azerbaigian. La terra dei fuochi sulla Via della Seta”, che offre lo spunto per scoprire uno speciale Stato, che sta affacciandosi con sempre maggiore forza sul palcoscenico internazionale. Si tratta
dell’Azerbaigian, il più vasto paese dell’area caucasica, situato al crocevia fra l’Asia occidentale e l’Europa orientale, confinante con la Russia a nord, la Georgia a nordovest, l’Iran a sud e
bagnato dal mar Caspio. La Repubblica democratica dell’Azerbaigian è indipendente dal 1991
e da allora ha fatto registrare sensibili miglioramenti di tutti i principali indicatori economici, raggiungendo un alto livello di sviluppo sociale. Grazie a questi progressi, il governo è attualmente molto impegnato non soltanto nel miglioramento della qualità della vita degli oltre nove milioni di abitanti, sparsi su un territorio di oltre 86.000 chilometri quadrati, ma anche nella riscoperta delle radici del popolo e nella valorizzazione del suo importante patrimonio naturale e culturale.
La mostra, aperta fino alla fine di aprile, è ambientata nel suggestivo museo dell’antica Roma,
realizzando un connubio storico impareggiabile, testimoniato dall’autografo, inciso su una roccia nell’area di Gobustan, di Lucio Giulio Massimo, centurione della XII Legione romana, presente con i suoi uomini in quella regione verso la fine del I secolo d.C., quando l’imperatore a
Roma era Domiziano. L’esposizione parte da un passato ancestrale attraverso la visione di una
serie di incisioni rupestri, che testimoniano la presenza della vita dell’uomo sul territorio nazionale fin da centinaia di migliaia di anni fa. L’area descritta è quella del Grande Parco Nazionale del Gobustan, una meraviglia naturale di incomparabile bellezza, caratterizzata da un paesaggio selvaggio con massi ciclopici che si ergono sul terreno brullo, creando forme architet-
81
Arte | costume e società
La Repubblica democratica dell’Azerbaigian è indipendente dal 1991
e ha raggiunto un alto livello di sviluppo
sociale. Il governo è molto impegnato nella riscoperta delle radici
del popolo e nella valorizzazione dell’importante patrimonio naturale e culturale
toniche incredibili. Su migliaia di queste rocce appaiono sorprendenti messaggi dal passato: i “petroglifi”, la più antica e
poderosa raccolta di metalfabeti della terra, che, nelle loro forme sintetiche, tracciano i profili di un’epoca lontana e ci rimandano all’esistenza in quell’area, fin dagli albori della civiltà, di comunità “illuminate”. I petroglifi vanno dal Paleolitico ai nostri giorni e testimoniano l’esistenza di un giacimento
culturale di inestimabile valore e ampiamente meritevole di
essere conosciuto, visitato e studiato anche per approfondire le ancora poco conosciute relazioni tra est e ovest, nonché gli straordinari mutamenti morfologici subiti dal nostro pianeta. Da quei tempi lontanissimi, le frequentazioni di popoli
diversi in quel territorio sono continuate con il fluire inarrestabile
dei secoli, transumanze di genti di varie razze e origini, che
hanno lasciato tracce della loro presenza e hanno contribuito alla nascita e al consolidamento di una popolazione locale. Ittiti, Achei, Medi, Persiani, Elleni, Macedoni, Romani…. tutti portatori di proprie culture e tradizioni, che, con attenta lettura, si possono riscoprire nella società locale. Le protoscritture
sono forse l’annuncio di un destino già tracciato nel grande
libro della storia dell’Uomo e consacrato definitivamente nell’immutabile tracciato della millenaria Via della Seta, che fece
di questo territorio il costante punto di passaggio. L’esposizione continua, mostrandoci gli incredibili scenari di fiamme
emergenti dal terreno per la presenza di giacimenti di gas e
petrolio a cielo aperto. Fenomeno che, nell’antichità, deve aver
dato a quei luoghi un carattere sacrale. Non a caso, il simbolo del fuoco è stato oggi ripreso dallo Stato con l’inserimento
nel proprio sigillo di una fiamma delimitata da cerchi concentrici
e inserita in una stella a otto punte. Singolare il campionario
Singolare il campionario di splendidi
tappeti manufatti nelle varie regioni del Paese: sono
il simbolo della casa, della famiglia e della ancestrale
ospitalità di questo Stato
82
di splendidi tappeti manufatti nelle varie regioni del Paese, dal
nodo gordiano alessandrino, tra i quali spiccano un superbo esemplare di “kuba” e due magnifici “sumak”. Tappeti, simbolo della casa, della famiglia e della ancestrale ospitalità. Prodotto a metà fra l’arte e l’artigianato, sempre in bilico fra le
due opere dell’uomo, pronto a ricadere nell’una o nell’altra in
funzione del grado di creatività dell’artefice, che nel paese è
tradizionalmente altissimo. Infine, spazio alla musica. Una serie di bellissimi strumenti musicali creano una magica atmosfera nell’ultima sala. La musica può considerarsi parte integrante e fondamentale della cultura del paese, essa ha caratterizzato nei secoli la storia, tramite coinvolgenti suoni e melodie in grado di sprigionare la fantasia del popolo e accompagnare i versi più significativi dei poeti. La musica ha
ispirato e continua a ispirare ed educare centinaia di generazioni, di cui forma il corpo e lo spirito. L’amore per la musica ha guidato, nel tempo, le mani di abilissimi artigiani e musicisti nel creare strumenti in grado di soddisfare la vista e l’udito, primo fra tutti il leggendario “tar”, definito strumento musicale nazionale, simbolo tramandato di generazione in generazione. Giunti al termine del percorso espositivo, i sensi,
ormai immersi nel mondo dell’Azerbaigian, superano l’impatto
visivo e, attraverso un facile sistema di digitazione, con virtuali suoni emessi dai vari strumenti musicali (a corda, a fiato e a percussione) s’impossessano anche dell’udito.
*GENNY DI BERT, critico d’arte
speciale
IL FILOSOFO E L’ARTISTA
le affinità elettive di due maestri del ‘900
Il racconto di un’amicizia attraverso la corrispondenza
tra Jacques Maritain e Gino Severini
di PIERO VIOTTO*
Un rinnovato interesse si è creato intorno all’estetica di Jacques Maritain. Essa costituisce una parte fondamentale della riflessione filosofica del pensatore francese, cui
la moglie Raissa, poetessa e appassionata
di arte, ha dato un contributo importante.
L’apertura del pensiero di Maritain all’estetica è già presente nella sua opera “Arte e
scolastica” del 1920, approfondita successivamente in “L’intuizione creativa nell’arte e nella poesia” del 1953. Nelle pagine seguenti pubblichiamo il racconto di
un’amicizia, quella tra il filosofo francese e
l’artista Gino Severini, attraverso le lettere
che le due personalità si sono scambiate nel
corso degli anni. Autore post cubista e tendente a una più profonda spiritualità, Severini
scrive più volte che si ritrova completamente
nell’estetica di “Arte e scolastica”. È importante ricordare come i molti contatti e le
profonde amicizie che Maritain ha coltivato con grandi artisti del suo tempo, scrittori, musicisti, pittori – Georges Rouault,
Marc Chagall, Julien Green, Jean Cocteau,
François Mauriac, Eric Satie, Arthur Lourié
e Igor Stravinsky – abbiano inciso sulla sua
innata sensibilità per l’arte arricchendo i canoni della sua estetica, senza dimenticare
che il pensiero del filosofo francese ha a sua
volta influenzato il percorso di vita e l’espressione artistica di queste personalità.
Per comprendere la filosofia dell’arte bisogna visitare i musei, per comprendere l’e-
stetica di Jacques Maritain bisogna leggere le sue numerose corrispondenze con gli
artisti e con i poeti, basti ricordare quelle con
Jean Cocteau e Marc Chagall, quelle con
Julien Green e William Congdon, ma la corrispondenza con Gino Severini, pubblicata dal Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, in doppia edizione francese e italiana, è la più importante
(Olschki editore, Firenze, 2011, pp. 296).
Non solo per l’estensione temporale di questo carteggio che va dal 1923 al 1966, con
le 128 lettere dei Severini e le 75 lettere dei
Maritain, ma per le vicende che i due protagonisti raccontano, quasi in presa diretta: la vita bohémien degli artisti a Parigi, il
fascismo in Italia, la Seconda guerra mon-
85
speciale
Severini diventa “l’ambasciatore” di Maritain: lo introduce
a poeti come Ungaretti e Papini e ad artisti come Soffici,
Carrà, Tullio Garbari che trovano nell’estetica
maritainiana le motivazioni più profonde della loro opera
diale, e soprattutto per gli argomenti che discutono tra di loro, la natura della creazione artistica, la libertà e l’autonomia dell’artista, la religiosità dell’arte e l’arte sacra. La
curatrice dell’opera, Giulia Radin, non solo
ha catalogato e tradotto questa monumentale corrispondenza, ma ha arricchito
ogni lettera di note molto precise, che permettono al lettore di comprendere le questioni discusse, di individuare le persone di
cui si parla, di valutare i fatti narrati. Maritain, che conosceva l’opera del pittore
perché aveva ammirato la “Danseuse obsédante” alla Galleria Bernheim Jeune nel
1912 e ne aveva parlato nella prima edizione
di “Arte e scolastica”, nel 1920, un giorno
viene direttamente coinvolto nella vita dell’artista. Severini, che aveva sposato con il
solo rito civile Jeanne Fort, figlia del poeta
Paul Fort, incontra l’abate Gabriel Sarraute nello studio di Maurice Denis, che lo riavvicina alla fede e nel 1923 lo porta al ma-
trimonio religioso. Poco dopo, Sarraute, dovendo per motivi di ministero lasciare Parigi, affida Severini a Maritain, che aiuta il pittore allora in difficoltà prestandogli, in maniera anonima, una somma di denaro per
aprire un studio in cui poter dare lezioni a
giovani allievi. Maritain scrive all’artista: “Pregiatissimo Signore, sono appena stato
dall’amico di cui Le ho parlato. Spero che
un giorno lo conoscerà; per il momento mi
ha detto che preferisce restare nell’anonimato. Mi ha consegnato 1.000 franchi per
aiutarLa a fondare la Sua accademia, aggiungendo che questo denaro mi era dato
‘per l’amore di Dio e per il tramite della Santa Vergine’. Mi voglia dire se devo spedirLe questa somma per posta o se preferisce
venirla a prendere a Meudon, per esempio
domenica prossima, dandomi così il piacere
di conoscerLa di persona, e di riferirLe a
voce alcuni dettagli sul mio amico”. Nasce
un’amicizia: Severini, che trascorre il suo
tempo e lavora in parte in Francia e in parte in Italia, diventa una sorta di ambasciatore di Maritain, perché lo fa conoscere a
poeti come Giuseppe Ungaretti e Giovanni Papini, che inviano a Maritain i loro
scritti per la traduzione in francese, e a artisti come Ardengo Soffici, Carlo Carrà, Tullio Garbari, che trovano nell’estetica maritainiana le motivazioni profonde del loro lavoro creativo. Una sera, a Roma a casa di
Severini, lo scrittore Corrado Pavolini traccia un interessante ritratto del filosofo, che
Giovanni Papini pubblica ne “Il frontespizio”
(1937): “Un tipo dinoccolato e arguto intorno
ai sessanta; con una punta appena di universitario, e insieme la scioltezza dell’artista. Ha i capelli quasi candidi, ma folti ancora. La prima cosa che colpisce in lui è la
sua umanità trasparente; si offre intero, vibra con te subito, è tutt’anima. Ma nulla ha
del mistico convenzionale. È un uomo affabile, semplice, né troppo magro né trop-
86
L’amicizia tra Maritain e Severini ha solide basi intellettuali e si
sviluppa in una continua riflessione sulla natura del bello e della creazione artistica
“La prima cosa che
colpisce in Maritain è la
sua umanità trasparente.
È un uomo affabile,
semplice, non si
indovinerebbe il filosofo;
fa pensare piuttosto a un
pittore, all’ultimo degli
impressionisti, a un
dipinto cominciato da
Cézanne e finito da
Renoir”
po florido. Non si indovinerebbe il filosofo;
fa pensare piuttosto a un pittore; che so, l’ultimo superstite degli impressionisti: invisibili il cavalletto pieghevole, la cassetta dei
colori a tracolla, la pipa nell’angolo della
bocca. La sua testa ha una struttura forte,
dalla plastica risentita; molto alta e prominente la fronte; ma l’incarnato è roseo e giovanile. Fa pensare così a un dipinto incominciato da Cézanne e finito da Renoir”. Severini, grazie all’interessamento di Maritain
e del pittore Alexandre Cingria, lavora a
grandi decorazioni murali in Svizzera, affrescando e mosaicando prima le chiesette di Semsales e di La Roche, poi la chiesa di Saint Pierre a Friburgo e la chiesa Notre Dame a Losanna. Nel 1932 Severini, insieme a Marc Chagall, Pablo Gargallo,
André Beaudin, Ivan Denis collabora con il
gruppo “Esprit” di Emmanuel Mounier.
Questi artisti sono incaricati di stendere un
manifesto personalista per l’arte. Dopo
una prima bozza di Courthion è proprio Severini che elabora il manifesto. Nel 1934
Raissa Maritain scrive “L’angelo della Scuo-
la”, una biografia di san Tommaso d’Aquino per ragazzi, che Severini illustra con molti disegni; volume che sarà tradotto in inglese, in italiano, e anche in giapponese.
Quando i Maritain sono negli Stati Uniti perché Jacques ha una cattedra di filosofia alla
Princeton University, i Severini dal 1946 al
1952 abitano nella loro casa a Meudon, e
Gino in una lettera del 22 novembre 1952
scrive a Jacques: “Caro Jacques, ieri abbiamo dato le chiavi della casa alla signora Grunelius. Così Meudon non esiste più.
Tuttavia credo che la grande attività dispiegata in questi muri non sia perduta, perché niente si perde, ma devo confessarti,
senza fare del sentimentalismo, che sono
e che siamo tutti terribilmente tristi. Nel tuo
atelier, caro Jacques, ho lavorato molto e
meditato. Credo di avervi migliorato tutto ciò
che costituisce una personalità artistica,
chiarezza nelle idee, progresso tecnico; ho
eseguito lassù i miei migliori mosaici, ho realizzato 97 quadri (dietro alle tele ho segnato ‘Meudon’, perché questo periodo del mio
lavoro sia ben distinto), senza contare le nu-
merose composizioni decorative, tra le
quali il grande mosaico per la chiesa di Saint
Pierre e quello per l’Università di Friburgo”.
Sulla base di questi riferimenti biografici si
può dividere il carteggio in tre periodi. Il primo 1923-1928 riguarda le decorazioni nella Svizzera romanda, il volume di Severini
“Dal cubismo al classicismo” (1921) e alcune
drammatiche vicende familiari. Il secondo
1928-1948, quando i Severini risiedono a
Roma e Parigi, riporta interessanti notizie sul
fascismo e sulla ricostruzione in Italia, ma
soprattutto gli approfondimenti che Severini apporta alla sua poetica nel volume “Ragionamenti sulle arti figurative” (1936). L’ultimo periodo 1948-1966 quando il filosofo
e l’artista non hanno più modo di incontrarsi
di persona, vivendo Maritain prima negli Stati Uniti e poi, dopo la morte di Raissa, a Tolosa tra i Piccoli Fratelli di Gesù, la corrispondenza ruota intorno al problema dell’arte informale e alla contrapposizione tra
la Scuola di Parigi e la Scuola di New York.
1923-1928 GLI ANNI DI MEUDON E DEL
LAVORO IN SVIZZERA - la curatrice Giulia Radin riporta questa testimonianza di Severini tratta dall’autobiografia “Vita di un pittore” (1946). “Conoscevo appena di nome
questo filosofo e non avrei mai pensato di
conoscerlo personalmente un giorno. Non
sono note le vie per le quali la Provvidenza ci conduce dove si deve arrivare: è però
certo che al momento opportuno ho sempre trovato la persona che le circostanze esigevano. Il mio incontro con Maritain segna
87
speciale
un punto importante della mia vita. Andai
subito a Meudon e fui ricevuto con cordialità e con semplicità in un salotto che mi
rammentava certi interni di Degas. Vi erano molte persone, fra cui lo scrittore Henri Ghéon e poi la moglie del filosofo, una piccola signora bruna con due immensi occhi
da cui si sprigionava una vita di una intensità formidabile. Jacques Maritain era un
uomo piuttosto alto e magro, con una capigliatura ribelle, sempre in battaglia, e due
occhi vivacissimi a cui non si accordava
sempre il permesso di essere interamente
aperti”. Questo ricordo non è che
una reminiscenza letteraria di una
amicizia, che ha solide basi intellettuali, che si sviluppa in una continua
riflessione sulla natura del bello e sulla creazione artistica, come si può
leggere in una lettera: “Ella mi ha
dato con grande semplicità un libro,
il Suo ‘Arte e Scolastica’, che mi è infinitamente prezioso. E mi giunge in
un momento in cui avverto la necessità di osservare l’arte dallo stesso punto di vista. Appena un mese
fa scrivevo a Benedetto Croce a proposito del ruolo secondario, benché
importante, che rivestono i mezzi pra-
88
“
“Nel
tuo atelier, caro
J
Jacques,
ho lavorato
molto e meditato.
Credo di avervi
m
migliorato tutto ciò
che costituisce una
per
personalità
artistica,
ch
chiarezza nelle idee,
pro
progresso tecnico. Ho
ese
eseguito lassù i miei
migliori mosaici, ho
realizzato 97 quadri e
dietro alle tele ho
segnato ‘Meudon’,
perché questo periodo
del mio lavoro sia ben
distinto”
tici nell’arte, e che in se stessi essi non sono
niente; insomma ho trovato nel Suo libro la
conferma delle mie ultime conclusioni e il
modo di approfondire questo aspetto della questione artistica. Ella si dimostra perfettamente al corrente di tutto quanto è stato fatto e tentato, e ne parla con una
profondità e un tatto e un buon senso che
non ho mai riscontrato in altri critici moderni.
La ringrazio di avermi dato un libro che,
come ripeto, arriva al momento giusto. Mi
resta da leggere il capitolo sull’arte cristiana, che è per me di grande interesse, perché, pur non avendo eseguito opere religiose, ho una mia idea dell’arte cristiana, e
su questo punto non mi trovo molto d’accordo con Maurice Denis, del quale ammiro tuttavia le teorie”. Per meglio comprendere questa influenza di Maritain su Severini bisogna leggere la lettera che l’artista
scrive a Soffici. “La mia evoluzione di pensiero la devo molto al lavoro, perché come
tu sai, per noi pittori fare e pensare sono inseparabili, ma anche molto all’amicizia e alla
frequentazione di un uomo che ho sempre
desiderato di farti conoscere e che è Jacques Maritain. Forse avrai sentito parlare di
lui, perché in questi ultimi tempi la sua notorietà si è molto estesa, e la sua influenza
negli ambienti artistici moderni, anzi modernissimi, è sempre più profonda. Maritain
è un filosofo, e si definisce lui stesso filosofo
tomista, non si occupa dunque dell’arte
come potrebbe farlo un critico. La definizione della sua filosofia ti dice già qual è la
sua linea; quanto alla gratuità dell’arte le sue
idee coincidono spesso con quelle di Croce, ma come Croce si appoggia a Hegel,
Maritain è per così dire un continuatore di
san Tommaso e di Aristotele. Come, secondo il modo degli scolastici, egli cerchi di
stabilire una metafisica della poesia e dell’arte moderna, lo vedrai da te nel libro che
ti mando, ‘Arte e Scolastica’, che è una riedizione; la prima volta uscì in forma modestissima nel 1920; ebbe un successo ‘en
profondeur’, gli artisti se ne accorsero
poco, ma da allora le cose sono cambiate,
la conversione di Jean Cocteau e altre han-
no molto impressionato, e venivano già in
un momento di grandi e serie aspirazioni
verso la spiritualità. Quanto a me, prima di
conoscere Maritain, avevo già compreso
che non si poteva parlare di spiritualità senza considerare Dio centro spirituale dell’essere, e sono rivenuto gradualmente
alla fede che avevo da ragazzo. A me sembra il libro più completo e più vero che si
possa scrivere su tale materia, restando nei
limiti dei puri principi, in accordo, inoltre con
le nostre aspirazioni”. Nella corrispondenza su questo periodo è interessante il giudizio che Maritain esprime sull’arte moderna: “Che Picasso abbia fregato tutti,
come Le diceva Modigliani, è certo possibile, e forse perché è un grande pittore. Ha
potuto permettersi delle cose, bric-à-brac,
eclettismo, battuta triste, che hanno guastato il nostro tempo. Capita spesso che un
grande artista sia un cattivo maestro, ed è
sicuramente il suo caso. Anche se ha portato tanti elementi preziosi, che però sono
solo materia e che avvelenano, se ci si abbandona a essi. È il caso di dire con David:
‘Se non ve ne fregate della pittura, essa fregherà voi’. È chiaro che ora non è possibile progredire senza essersi prima affrancati
da Picasso. Non creda, caro Gino, che io
giudichi con troppo ottimismo l’arte mo-
dre ne farà un ritratto nella figura del bimbo Gesù in braccio alla Madre nel grande
affresco di “Notre Dame du Valentin” a Losanna. Nella corrispondenza diverse lettere seguono questa tragedia, riporto qualche
frammento. “Carissimo Jacques, il bimbo
sta malissimo, lottiamo disperatamente
per salvarlo, ma le sue condizioni sono davvero troppo gravi. Preghi per noi, Jacques,
non siamo mai stati così infelici, mai tante
prove si sono accumulate sulle mie spalle.
Non ne posso più, va tutto male, appena
faccio un passo mi trovo davanti una montagna. La mia povera Jeanne lotta con coraggio, ma anche lei è allo stremo delle forze”. Jacques risponde: “Carissimo
Gino, siamo uniti con tutto il cuore alla
Nel 1934
vostra tristezza, alle vostre angosce,
Raissa Maritain
alle vostre preghiere. Che dolore sapervi in una crisi del genere! Se non foscrive “L’angelo della
ste così lontani, correremmo da voi. Mi
Scuola”, una biografia di
tenga al corrente, forse il male sarà
san Tommaso d’Aquino per scongiurato ancora una volta. Deve essere orrendo veder soffrire così il poragazzi, che Severini
vero, piccolo Jacques. Qualunque
cosa accada, Gino, non si scoraggi. Se
illustra. Il volume sarà
il bimbo fosse portato in Cielo, lui satradotto in inglese, in
rebbe felice. E nel suo terribile strazio,
sarebbe comunque certo di aver geitaliano e anche in
nerato per l’eternità un figlio raggiangiapponese
te di gloria. Alla Sua cara moglie e a Lei
il nostro affetto fraterno. La abbraccio
derna. Vedo le stesse tare che vede Lei. Ma
con tutto il cuore”. Sarebbe interessante riè compito del critico, e non del filosofo, forportare anche qualche brano dallo scammulare e spiegare tutti i giudizi espressi nel
bio di corrispondenza sui lavori di Severitempo. Di tutto questo in ‘Arte e Scolastini, ma mi limito a qualche riga da una letca’ dovevo considerare solo ciò che potetera dell’artista nella quale riassume il suo
va riguardare una dottrina universale delpercorso creativo: “epoca futurista: distrul’arte. D’altra parte, credo che l’arte moderna
zione assoluta di quanto era stato fatto e apdebba essere liberata. Non è essa a essepreso nelle epoche precedenti; esaltazione
re marcia, al contrario, in quanto arte è piedell’intuizione individuale; arte considerata
na di ricchezze e orientata verso una cercome ritmo risultante dallo scontro tra le
ta purezza. È la spiritualità dell’artista a escose e i sensi; esaltazione del soggetto ecc.
sere pervertita dallo scetticismo di cui Lei Epoca cubista: limito le mie aspirazioni per
parla così giustamente, e da tanti altri veritrovare i mezzi relativi alla pittura. Ricerca
leni morali”. È tanta la stima dell’artista per
quasi esclusiva di costruzione, di compoMaritain che Severini nel 1925 dà a suo fisizione e di mestiere. Vaga tendenza alla spiglio il nome di Jacques, un figlio che purritualità. Epoca post-cubista: disgusto per
troppo morirà dopo qualche anno, e il pail bric-à-brac e per l’accademismo che il cu-
89
speciale
L’elogio di Mussolini che Severini fa a
Maritain è un documento che dimostra come
molti intellettuali cattolici di rilievo
ritenessero di poter collaborare con il
fascismo
bismo aveva in sé; ricerca più intensa di costruzione e tendenza più definita verso una
vera spiritualità; desiderio di raggiungere i
classici attraverso la via onesta e non le apparenze”.
1928-1949 TRA ROMA E PARIGI - in questo periodo abbondano i riferimenti alla vita
politica, perché Severini per il suo lavoro si
trova coinvolto con il regime fascista, e passa da un certo entusiasmo per il regime alla
delusione e alla critica. L’artista desidererebbe che Maritain incontrasse Mussolini e
gli scrive: “Se sarà il caso, vedrò Mussolini, quest’autunno, ma credo che, dal punto di vista pratico, qui ci siano poche speranze per me. Soffici mi scrive da Firenze
che ha ricevuto ‘Primato dello spirituale’ e
Come Croce si
appoggia a Hegel
Maritain è un
continuatore di
san Tommaso e di
Aristotele. Secondo
il modo degli
scolastici, egli
cerca di stabilire
una metafisica
della poesia e
dell’arte moderna
che ne è entusiasta; gli è stato molto utile
per un articolo sulla ‘questione romana’ (non
mi dice se in Francia o in Italia). Quell’articolo è stato approvato da Mussolini, cui ha
suggerito la lettura di ‘Primato dello spirituale’, elogiando molto il volume. Soffici dice
che un suo viaggio a Roma, quando ci sarò
anch’io, sarebbe una bella occasione per
stabilire certi contatti intellettuali, Mussolini sarebbe sicuramente felice di conoscerLa. Faccia il possibile per realizzare questo progetto, di cui mi ha lasciato intravvedere una realizzazione non del tutto impossibile. Mussolini è prudente, ma ha già
fatto molto per ridare alla religione il posto
che le è dovuto nella società. Quando si entra nel Colosseo, adesso, si è colpiti dalla
grande croce che ha fatto ricollocare e che
domina tutto. Sulla base c'è scritto ‘Ave
Crux Spes unica’. Il Colosseo è diventato
quasi una chiesa perché, grazie alla croce
e a quelle parole, il ricordo dei martiri che
in quello stesso posto hanno dato la vita per
la nostra religione diventa vivo e presente
più di quanto si possa dire. Inoltre Mussolini ha vietato la bestemmia e le parolacce,
che erano correnti nella lingua italiana.
Credo davvero che quell’uomo sia il più
grande capo di Stato del nostro tempo, nonostante certi esibizionismi dei quali egli si
rende certamente conto ma ai quali è costretto per tutta una serie di ragioni di ordine
estrinseco”. Non credo che Maritain, che in
“Religione e cultura” (1930) per non temporalizzare la religione in una data cultura
condanna ogni forma di nazionalismo “in
spirituali bus”, abbia mai pensato di incontrare Mussolini, ma questa lettera è un
documento di come molti intellettuali cattolici pensassero di potere collaborare con
il fascismo. Maritain segue con preoccupazione l’artista, lo mette in guardia e gli scrive: “Conoscevo alcuni delle frasi di Mus-
solini che mi ha citato. La frase: ‘tutto è nello Stato e nulla di umano o spirituale esiste,
e tanto meno ha valore, fuori dello Stato’ è
una frase terribile, in cui è condensato tutto l’errore filosofico del fascismo. Essa dimostra che c’è latente nel fascismo una filosofia a mio avviso incompatibile con il cristianesimo, anche se esso riconosce Dio e
la Chiesa. Ciò che si può davvero dire è che
Mussolini è troppo furbo per sacrificare troppe cose a questa filosofia, così che le realizzazioni pratiche, sociali, del fascismo
valgono più della sua ideologia”. Severini
continua a informare Maritain sulla situazione italiana e di Mussolini scrive: “È veramente il migliore di tutti, domina la situazione, ma quante stupidaggini in suo nome.
Il filosofo ufficiale del fascismo, Giovanni
Gentile, è andato a Ginevra a tenere una
conferenza su Giordano Bruno, di cui pare
abbia fatto un’apologia. Nell’idealismo di
Gentile mi sembra di intravvedere un certo spirito anticattolico che mi infastidisce,
soprattutto quando penso che egli è il filosofo ufficiale. E davvero molto spiacevole.
E il fantasma di Hegel è sempre presente”.
Maritain è perfettamente consapevole che
in Italia il fascismo sia un pericoloso regime dittatoriale, ma è prudente nei rapporti con i suoi amici italiani, come annota e documenta in nota la curatrice. Nel 1936 il filosofo è a Buenos Aires, per una serie di
conferenze, e incontra Ungaretti in occasione del congresso della Organizzazione
intellettuale della Società delle Nazioni.
Scrive Giulia Radin: “Ungaretti intervenne
polemicamente in diversi momenti della comunicazione di Maritain, a difesa del fascismo, anche se il filosofo aveva preso la
parola premettendo: ‘Parlerò del fascismo
con prudenza per non far soffrire o irritare
il mio amico Ungaretti’. In questa occasione il poeta dichiarò: ‘Oggi il fascismo è il solo
movimento politico che ridia onore con tutte le sue forze al cristianesimo. Le sue dottrine e le sue opere sono qui a provarlo’; ma
non mancò di sottolineare ‘tutte le sue ri-
serve’ sul carattere cristiano della dottrina fascista”. Concludo questa
parentesi politica con alcuni frammenti di una lettera di Severini dopo la
caduta del fascismo: “Dal
1937 e anche prima le
cose tra me e i fascisti non
sono andate affatto bene;
ero venuto in Italia soprattutto per realizzare la mia
idea di un’arte parietale
(mosaici e affreschi) che
mi pareva dover succedere alla pittura da cavalletto,
arrivata il più in alto possibile. Ma mi sono terribilmente sbagliato.
E ho completamente mancato il mio obiettivo. Un’arte
di questo genere può dare
buoni risultati solo con un
consenso collettivo, in un
contesto di civiltà e di cultura molto elevato. Si era molto lontani da
questo in Italia, e gli eventi lo hanno dimostrato. Le mie idee hanno procurato lavoro a tutti i conformisti del regime, pittori di
poco talento e di scrupoli ancora minori”.
Poi alcune osservazioni sulla stampa cattolica in una Roma da poco liberata: “Qui
ci sono tre giornali cattolici: l’‘Osservatore
Romano’, che nei primi tempi della guerra
è stato sorprendente, ma che ora è davvero
mediocre; il ‘Quotidiano’, ottimo, nutrito di
molte idee, collaborazioni di uomini colti; e
infine il ‘Popolo’, giornale del partito ‘Democrazia cristiana’. È un buon giornale, ma
spesso il suo livello culturale è piuttosto basso. Una volta ho dovuto richiamarlo all’ordine con una lettera privata perché si erano permessi di parlare di te senza il rispetto che ti è dovuto. Ti accusavano di ‘dialetticismo’ – che sarebbe come accusare
Cézanne di essere neo-classico – e, più in
generale, erano scontenti dell’ambiente di
intellettuali cattolici che avevi creato a Parigi. Mi sono permesso di scrivere una parolina al direttore, con educazione, e da allora, anche quando si occupano di te, lo fanno con educazione”. Infine una conclusione desolante: “E io? Io non sono di qui, caro
Jacques. Non rinnego il Paese in cui il buon Dio mi ha
fatto nascere, ma quando si
Maritain è perfettamente
è vissuti per 30 anni in un alconsapevole che in Italia il
tro Paese si è piuttosto di lì.
fascismo sia un pericoloso
Aiutami, caro Jacques, quanregime dittatoriale ma è
do potrai, a tornare a Parigi,
dove voglio finire i miei giormolto prudente nei
rapporti
con i suoi amici italiani, tra
cui Giuseppe Ungaretti
91
speciale
ni. Basta ora, o ti scrivo un libro. Vi abbraccio
forte tutti e tre, amici miei carissimi. E naturalmente anche Jeanne. il vostro Gino”.
1948-1966 GLI ANNI DELLA LONTANANZA - dopo il periodo di Jacques ambasciatore di Francia presso la Santa Sede
(10 maggio 1945-6 giugno 1948) i Maritain
si trasferiscono negli Stati Uniti. Severini scrive a Jacques: “Non posso abituarmi all’idea che lasciate Roma e l’Europa per tornare in America; ho l’impressione di qualcosa di ingiusto, di non logico, di cui tutti a
gradi differenti, siamo più o meno responsabili. Questo mi dà una grande tristezza. Non posso confidarmi
con nessuno; ognuno vive ormai in
una solitudine spaventosa. Spesso
sprofondo in una buia collera contro i cretini che guidano i destini dei
nostri Paesi, soprattutto in Europa.
Ecco che ora si lascia che gli arabi
massacrino gli ebrei, dopo essersi
impietositi sulle crudeli persecuzioni di cui sono stati oggetto da parte
dei nazisti. C’è da vergognarsi di vivere in un’epoca di un tale cinismo.
Perdona la mia irritazione, aumentata dal fatto che un uomo del tuo valore debba andarsene in America,
proprio nel momento in cui la tua prepr
senza in Europa, a Parigi, è più che
se
Sono interessanti le
S
lettere nelle quali
Severini insiste
affinché Maritain
convinca l’amico
Chagall a donare un
Ch
quadro alla
Collezione di Arte
Moderna che Pio XII
intende aprire nei
Musei Vaticani
92
necessaria”.
La corrispondenza di questo periodo permette al filosofo e all’artista di riflettere sull’arte contemporanea nella loro corrispondenza confrontando l’arte europea con
l’arte americana. Maritain tiene sei conferenze alla National Gallery of Art di Washington, che raccoglie nel volume “L’intuizione creativa nell’arte e nella poesia”
(1953) illustrandolo con fotografie di opere
d’arte, tra cui la monumentale tela “Geroglifico dinamico del Bal Tabarin” che Severini
aveva dipinto nel 1912 durante il periodo futurista.
Dopo avere letto il libro, l’artista gli scrive:
“Con il tuo libro ‘L’intuition créatrice’ sei sempre vicino a me. In fondo sono le medesime basi di ‘Art et Scolastique’ e di ‘Situation de la poésie’, riassunte però e sviluppate con una tale ampiezza da costituire una
risposta a tutte le questioni che può porsi
un artista di oggi”. Severini espone a New
York e Jacques scrive alla moglie Jeanne:
“Ho visto l’esposizione di Gino a New
York. Le tele erano presentate molto bene.
Quelle che mi sono piaciute di più sono le
opere più vecchie – dico questo a Lei, preferisco non dire niente a Gino – ma c’era una
profusione di tele ‘non-figurative’, trattate
d’altra parte con una mirabile perfezione di
mezzi; ricorderà le nostre conversazioni di
Meudon non credo che con l’arte astratta
di oggi sia nella sua strada. Alla Galleria mi
è stato detto che l’esposizione era un successo”.
È proprio su questa tematica che i due protagonisti di questa corrispondenza discutono. Severini in una lettera afferma: “A mio
avviso la questione del figurativo e del nonfigurativo è secondaria; il problema, invece,
è nell’espressività e nel significato delle forme, ovvero nel loro contenuto, contenuto
che non può essere raggiunto ed espresso senza la conoscenza o intuizione creativa, che dipende, a sua volta, da un contatto col mondo esistenziale”. Ho interpretato l’espressione “mondo esistenziale”
nel senso di aspetto materiale e aspetto spirituale delle cose, aspetto esteriore e inte-
da sinis
L. Russ tra:
C. Carr olo
T. Mari à
U. Bocc netti
G. Seve ioni
rini
riore, nascosto, misterioso, con il quale l’artista, il poeta si mette in contatto con l’intuito, con il subcosciente a volte, ma una
subcoscienza spontanea e vera, e non simulata come quella di certi surrealisti che
ne hanno fatto una teoria.
Entrambi non condividono l’estetica surrealista: l’inconscio in cui germina l’opera
d’arte non è l’inconscio-subconscio istintuale di André Breton, il teorico del surrealismo, ma l’inconscio-sovraconscio spirituale di Platone. In questo concordano con
Marc Chagall, allora in America, e sono interessanti le lettere nelle quali Severini insiste affinché Maritain convinca Chagall a
donare un quadro alla Collezione di Arte Moderna, che Pio XII intende aprire nei Musei
Vaticani. Severini è preoccupato per l’influenza perniciosa della Scuola di New York
anche tra gli artisti europei, e in una lunga
lettera a Maritain scrive: “Perché alcuni equivoci, e anche errori, venissero a seminare
confusione nella Scuola di Parigi, non c’era bisogno degli americani. Il dramma personale di Malevitč, e quello di Mondrian, e
il decorativismo musicale di Kandinsky
provengono da mentalità nordiche e non
mediterranee. Interessanti ciascuna presa
in sé, queste manifestazioni non hanno avuto il tempo di amalgamarsi con quelle mediterranee, perché certi mercanti ci sono saltati addosso e ne hanno fatto una fonte di
speculazione”. Poi rileva a proposito di una
grande mostra parigina del 1939: “Un’altra
ultimo viaggio in Svizzera: “Ho rivisto tuttavia con piacere il mio grande affresco dedicato alla Vergine nella chiesa del Valencosa grave, da un altro punto di vista, è che
tin, conservatosi perfettamente. Ho anche
vengono difesi e spinti sul mercato ameririvisto Semsales, vicinissima a qui; tu sai
cano e internazionale alcuni pittori americosa rappresenti per me quel lavoro, per il
cani, non tutti quelli che hanno talento, solo
quale ho lasciato Parigi e un mercante inquelli che, come Pollock, hanno ridotto il sopportabile, che però comprava e vendeva
quadro a una superficie piana uniformei miei dipinti. Anche i lavori fatti in quella chiemente scarabocchiata, in cui non si vede più sa si sono conservati bene. Inoltre ho rivila minima traccia della Scuola di Parigi, da sto un giovane, figlio del mio architetto, che
cui essi pure provengono. Nell’esposizione mi ha aiutato nel lavoro dai cappuccini di
parigina del gennaio 1959 non era presenSion (un affresco di san Francesco). Alla fine
te nessuno dei pittori che avevi citato nel tuo
del lavoro mi disse che intendeva prendelibro.
re gli ordini dai domenicani. In effetti iniziò
Questo dimostra la decisione di sostenere subito gli studi e, al momento di dire la prisolo ciò che viene chiamato la Nuova pitma messa, ha voluto che fossi il suo padre
tura americana, a capo della quale è stato spirituale e che lo accompagnassi all’altapiazzato Pollock. Questa tendenza è stata re. È stata una cerimonia commovente, di
definita anche: Scuola di New York, o cui conservo un profondo ricordo. Sono staScuola del Pacifico, in opposizione alla to felice di rivederlo. Insomma, ho ripreso
Scuola di Parigi”. E conclude: “È drammai contatti con il mio periodo della pittura patico dover osservare come l’assenza di lirietale”. In Severini l’uomo e l’artista coinbertà in Russia e l’eccessiva libertà degli occidono, il suo “mestiere” è una vocazione,
cidentali abbiano portato allo stesso risulperché ha imparato da Maritain che la beltato: uccidere l’arte. Ma questo eccesso di lezza è lo splendore della verità. In quell’anno
libertà è diventato redditizio per il genio comesce ancora a Parigi un libro di Severini “Témerciale”. Concludo con una delle ultime moignages, 50 ans de réflexion”, un esemlettere dell’artista, nella quale racconta il suo
plare porta questa dedica: “A Jacques
Maritain la cui probità, la
comprensione in tutto (Arte,
Poesia, Pensiero) guidano la
“A Jacques Maritain la cui
mia vita da 40 anni. Con afprobità, la comprensione in
fetto fraterno. Gino Severini”.
tutto (Arte, Poesia, Pensiero)
*PIERO VIOTTO,
guidano la mia vita da 40
Università Cattolica
del Sacro Cuore di Milano
anni. Con affetto fra
Gino Severini”
terno.
93
di F ILIPPO LA PORTA
RITRATTI
D
isorganici
94
CHRISTOPHER LASCH
In questi miei ritratti disorganici mi piace qualche volta scompigliare le categorie consuete di destra e sinistra. Non per dispetto ma perché sono convinto che si tratta di categorie al tempo stesso indispensabili e bisognose di una rilettura critica. È stato proprio attraverso Augusto Del Noce,
filosofo di destra, che nel 1980 scoprii un aureo libretto: “La cultura del narcisismo” di Cristopher
Lasch (del quale ricordo anche “Il Paradiso in terra” e “La rivolta delle élite”). L’autore, proveniente
dalla New Left americana, tentava una interpretazione della società attraverso un concetto freudiano nato in ambito clinico. Nella sua visione il narcisista non è tanto l’egoista (o egocentrico),
ma un tipo umano profondamente insicuro di sé, alla ricerca di continue conferme della sua stessa esistenza (ha bisogno di sentirsi invidiato più che di essere stimato) caratterizzato da superficialità e ironia difensiva, apatia programmatica e strategie di sopravvivenza, disimpegno emotivo e incapacità di accettare il limite dell’esistenza (vecchiaia, precarietà, sofferenza, morte…).
Il narcisista non si ama e non si stima e perciò ha disperatamente bisogno di vedersi rispecchiato
negli altri, si impegna tutto il tempo a gestire l’immagine, a fare colpo, a sedurre, ecc. Il destino
di Lasch è quello di fare un discorso di sinistra, impegnato cioè a criticare l’ideologia dominante dei consumi, della pubblicità, del successo, dentro però un involucro concettuale “antiprogressista”. All’ottimismo progressista, basato sulla negazione dei limiti che la natura pone all’uomo,
contrappone un’idea tragica della storia che però recupera meraviglia e fiducia nella bontà della vita. Si schiera con la tradizione populista americana degli artigiani e coltivatori (probabilmente
un mito oggi anacronistico), e poi con una tradizione culturale alternativa, da Emerson a William
James. Ma soprattutto si identifica con il senso comune della classe medio-bassa, con il suo
scetticismo verso l’onnipotenza della tecnologia, la sua diffidenza verso le immagini glamour
dei varietà televisivi, il suo primato della “vocazione” sulla carriera. L’ideale del narcisista è non
dipendere da nessuno. Questa paura-avversione verso la dipendenza porta a una sostanziale
aridità affettiva, mentre la maturità dovrebbe consistere nel semplice riconoscimento di avere
bisogno degli altri. Per Lasch la “salvezza” non ci viene dalla cura psicanalitica ma dalla capacità di recuperare una civiltà “del limite”: “Nel Ventunesimo secolo l’uguaglianza implicherà un
riconoscimento dei propri limiti estranea alla tradizione del progressismo…”. Lasch ci aiuta a
decostruire le nuove, irresponsabili classi dirigenti del pianeta (e le élite di massa a esse corrispondenti), con le loro velleità cosmopolite, la loro ansia di aggiornamento, le loro identità sempre mobili e fluide, e anche con il loro disprezzo per la gente comune, arretrata, retriva nei gusti culturali, ecc. Potremmo dire che i romanzi di Umberto Eco costituiscono la lettura più congeniale a quelle élite di massa: privi di radici e di memoria, scettici sulla possibilità di distinguere il vero dal falso, inclini a ridurre qualsiasi cosa a intrattenimento. Lasch insiste sul fatto
che oggi non disponiamo più di una “cultura”, la quale non è solo un “modo di vivere”, ma un
modo di vivere capace di porre divieti, di stabilire che alcune cose sono “sacre”, di indicare scelte che siano in qualche misura obbliganti ecc. Nell’approccio all’opera di Lasch non ne vanno
edulcorati gli aspetti più “scandalosi” per il conformismo progressista. La sua critica all’ideologia liberal si spinge in zone politicamente scorrette. Nella polemica con le femministe (favorevoli
all’aborto) della classe medio-alta scrive che il loro rifiuto di una concezione biologica della
natura umana “esprime insofferenza verso le limitazioni biologiche di qualsiasi tipo e fiducia
nel fatto che la tecnologia moderna ha liberato l’umanità da queste limitazioni” (con i rischi
relativi di ingegneria genetica). Anche se poi lo stesso Lasch protestava contro l’appropriazione strumentale da parte dei repubblicani dei valori di quel populismo ottocentesco che gli
sta così a cuore (etica dei limiti, lealtà e fedeltà alle istituzioni, patriottismo…). La sua Middle America – composta da artigiani, piccoli coltivatori e piccoli proprietari, agricoltori, ecc. –
rappresenta l’ultimo grande mito sociale della cultura critica che ci viene da oltreoceano.
95
libri
Ciampi ci ricorda il valore delle virtù civili che le generazioni devono
trasmettersi se vogliamo restituire un senso al nostro vivere comune
sono decrittare il nostro orizzonte. Rivolgendosi a un giovane del nostro
tempo, pieno di timori per il suo futuro, Ciampi indica un cammino che
non è automaticamente un modello alternativo di sviluppo a quello che ci ha
portato a una crisi uguale, se non superiore, a quella del 1929, quanto
piuttosto un invito all’impegno per interrogarsi “sulla possibilità di modelli di
sviluppo meno rapaci per assistere a
manifestazioni spontanee di solidarietà,
di disinteressata partecipazione a tragedie che colpiscono città, valli, colline, coste”. Raccontando la sua testi-
UN DOMANI
migliore per i giovani
di GABRIELE PAPINI
I giovani di oggi, forse per la prima volta nella storia, si vedono concretamente privati della speranza di un futuro migliore. È questa la grande differenza rispetto a chi ha vissuto in giovane età esperienze drammatiche
come la guerra, l’8 settembre, la lotta
di liberazione, ma ha sempre confidato in una possibilità di rinascita. Il libro
di Ciampi è la contro-testimonianza di
quanto oggi si pensa – a differenza di
quanto si è ritenuto per secoli – cioè
che dai “vecchi” non può arrivare alcun
suggerimento per l’avvenire: solo la
scienza e la tecnologia – in realtà divenuti dei mostri senza guida – pos-
96
monianza nell’impegno per la ricostruzione dopo il secondo conflitto
mondiale e la volontà di cambiamento della generazione del 1968, in cui “il
ruolo dei giovani nell’ampliare la sfera
delle libertà e dei diritti, soprattutto della persona, fu decisivo”, Ciampi vuole sottolineare che le crisi – accanto ad
aspetti negativi – possono veicolarne
anche di positivi a patto che si miri a
un governo reale dei cambiamenti sociali. Di fronte al momento difficile
che stiamo attraversando, l’autore non
intende offrire modelli da seguire né appellarsi all’esperienza, quella maschera “inespressiva e impenetrabile” spes-
so indossata dagli adulti. Per superare un crollo globale che ha messo in
luce responsabilità, limiti e contraddizioni della nostra società, la bussola indicata da Ciampi sono “i principi di libertà, di solidarietà ed equità, il rispetto
dovuto alla dignità di ogni uomo, indipendentemente dalla razza, dal colore della pelle, dalla religione professata: sono i valori alla base della civiltà
occidentale”. Su questi principi l’autore
invita a riflettere ogni giovane italiano
e tutti coloro che intendono operare in
difesa del bene comune: non si tratta
di idee di cui i “vecchi” hanno l’esclusiva ma di virtù civili che le generazioni
devono trasmettersi, se vogliamo restituire un senso al nostro vivere comune. La crisi attuale – insiste Ciampi – non è stata adeguatamente governata. In passato la moneta era al
servizio dell’economia reale, oggi è
alla mercé della “sovranità finanziaria”
apparentemente inafferrabile ma che
ha nomi e cognomi ben precisi. La politica – che ha colpevolmente aperto
le porte a una globalizzazione finanziaria senza controllo – ha abdicato alle
sue prerogative di governo e ha lasciato che montasse la rabbia dalla società civile, trasformandosi in antipolitica. Il rapporto Delors, già nei primi
anni Novanta, aveva evidenziato che la
moneta unica europea avrebbe avuto
bisogno di una governance politica ben
definita. In realtà la “casa comune” europea che i grandi leader politici del dopoguerra avevano progettato è stata lasciata a metà. Oggi la dimensione
globale dei mercati ha reso tutto molto più complesso e la società contemporanea ha creato un solo idolo: la
ricchezza individuale a scapito dei
costi per la comunità. A questo proposito scrive l’autore: “Il liberalismo
economico ha prodotto un’ideologia
che rifiuta qualunque modello sociale
che affidi allo Stato interventi per programmare le sue scelte al fine di distribuire più equamente beni e oneri all’interno della collettività”. Sarebbe
utile allora – sostiene l’autore – come
individui e come collettività dell’emisfero privilegiato del mondo, sottoporre
a un esame di coscienza i nostri stili di
vita, i valori che li hanno ispirati, i modelli ai quali abbiamo finito per conformare convinzioni, scelte, desideri,
obiettivi, chiedendoci anche quale sia
il nostro grado di permeabilità al “comandamento” imperante del possedere, del consumare e dell’apparire.
L’invito di Ciampi è quello di provare a
“riportare l’impegno al centro della
vita personale e collettiva che nasce
dall’essere e dal sentirci vicini tra gli uomini” nello spirito di quella che Aristotele chiamava “amicizia civica”. È stato un altro novantenne, Stéphane Hessel, l’ultimo membro vivente che ha redatto la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, con il suo recente
pamphlet “Indignatevi!”, divenuto il libretto rosso delle ultime generazioni e
best seller mondiale, a esortare i giovani a indignarsi di fronte a una società
che sta perdendo pezzi di umanità a
ogni angolo di strada. Ciampi scrive
che questo appello “ci accomuna”. È
il bisogno di scuotere le coscienze dei
giovani di fronte a situazioni ritenute
inaccettabili. Dovevano essere due
novantenni a tentare di far rinsavire gli
squali del nostro tempo e a dare fiducia ai giovani che una rivoluzione, sia
pur non violenta, è possibile?
Carlo Azeglio Ciampi
A un giovane italiano
Rizzoli, 2012,
150 pag. 14 euro
URBANO VI. IL PAPA
CHE NON DOVEVA
ESSERE ELETTO
di Mario Prignano
Marietti, 2011,
296 pagine, 25 Euro
r
Il conclave dominato dai
cardinali francesi lo elesse
credendo, erroneamente, che fosse
un Papa facilmente manovrabile
È un libro avvincente, quello scritto dall’autore Mario Prignano, vice caporedattore del TG1 e lontano parente del protagonista dell’opera ovvero l’arcivescovo di
Bari Bartolomeo Prignano.
Alla morte di Gregorio XI, nel marzo del
1378, il grande problema nella Chiesa è l’incognita del ritorno della sede papale da Avignone ‒ dove era stata per settant’anni ‒ alla
città eterna. Il Papa appena defunto, francese anche lui come i suoi sei predecessori,
è sì ritornato a Roma, ma tutto fa pensare
che la cosa possa non durare. Lo lascia presagire soprattutto il fatto che ben 12 dei 16
cardinali chiamati a eleggere il nuovo Papa
sono francesi, che preferiscono senza dubbio le rive del Rodano a quelle del Tevere.
Ma il popolo di Roma, ovviamente, non è
dello stesso avviso; il Papa era tornato in
c
città
e il suo successore non doveva neppure
pensarci ad andarsene di nuovo; “Il
p
nuovo
pontefice deve essere romano o aln
manco
italiano” chiedeva a gran voce il pom
polo
di
Roma. Le pressioni sui cardinali rip
tiratisi
in
conclave sono pesanti e spesso
t
violente.
Alla fine risulta eletto un arcivev
scovo
che
non è neppure cardinale: Bars
tolomeo
Prignano,
appunto, che prende il
t
nome
di
Urbano
VI
il quale, precedenten
mente,
era
stato
un
funzionario
della corte
m
avignonese.
I cardinali lo elessero credena
do,
d erroneamente, che fosse facilmente manovrabile.
Il suo papato, durato in tutto unn
dici
anni,
fu
drammatico per le circostanze
d
in
cui
ebbe
inizio e ancor più terribile per
i
come
si
è
svolto.
Nel giro di poche settimane
c
dalla
sua
elezione
Urbano VI riesce a inid
micarsi gran parte del collegio cardinalizio
che lo aveva eletto. Iniziò a sorpresa un’opera di demolizione del potere dei cardinali che gli si ribellarono apertamente e,
adducendo irregolarità nell'elezione, dichiararono Urbano VI usurpatore del soglio petrino, provvedendo all’elezione di
un altro Papa, evento che provocò lo Scisma d’Occidente. Personalmente due riflessioni mi hanno accompagnato nella
lettura. La prima è la constatazione che
veramente la Chiesa cattolica deve avere un fondamento ben più stabile della capacità umana degli uomini che la compongono per resistere a bufere come quella verificatasi durante il pontificato di Urbano VI. Se tradimenti, errori di valutazione, crudeltà, simonia e nepotismo non
hanno potuto far affondare la barca di Pietro, ci deve essere veramente una protezione divina che la sorregge. L’altra considerazione riguarda il fatto che Urbano VI
si è fidato molto, e giustamente, della santità di Caterina da Siena. È sorprendente che
un Papa accetti i consigli di una donna non
ancora trentenne, le ubbidisca, la chiami addirittura a predicare alla sua corte. È altrettanto impressionante che poi il Papa faccia
delle mosse e compia delle enormi sconsideratezze che la santa di Siena avrebbe
certo condannato. Non basta aver a fianco un santo per vivere da santi.
Tobia Morandi
97
lettere scarl
te
ROMA CAPITALE
at
QUESTA GRANDE
(riforma) incompiuta
ESSERE STATA PER ORMAI QUATTRO ANNI ASSESSORE DELLA PROVINCIA DI ROMA È STATO SENZA DUBBIO UN PRIVILEGIO. AMMINISTRARE IL PROPRIO TERRITORIO, METTERSI AL SER-
98
VIZIO DEI CITTADINI È, FUORI DA OGNI RETORICA, UN ONORE OLTRE CHE UNA GRANDE RESPONSABILITÀ.
NON SONO MANCATI I MOMENTI DIFFICILI, MA, ANCHE SE È ANCORA PRESTO PER I BILANCI, SICURAMENTE L’IMPEGNO QUOTIDIANO NEL CONTRIBUIRE AD AMMINISTRARE LA PROVINCIA ha rappresentato il lato piacevole di un incarico gravoso di responsabilità. Ma al di là di tutto ciò, lo scenario che va ad aprirsi con la consiliatura provinciale che si avvia a entrare nell’ultimo anno di mandato insieme a quella comunale, rischia davvero di regalarci un’immagine del nostro territorio completamente diversa da quella che oggi conosciamo. Mi riferisco alla riforma di Roma Capitale, il cui secondo decreto è stato licenziato il 6 aprile dal Consiglio dei Ministri. Su quello che dovrebbe essere un nuovo ente locale mi vengono in mente alcune considerazioni. Tutte le grandi città italiane, e la Capitale in particolar modo, sembrano sentire l’esigenza di dare compiuta attuazione alla Città Metropolitana, un ente
locale previsto espressamente dalla Costituzione dopo la riforma del Titolo V introdotta dalla legge costituzionale 3
del 2001, ma oggi ancora non compiutamente attuato. O meglio, per nulla attuato, come del resto l’intero nuovo assetto degli enti locali così come delineato dagli articoli 114 e 117 della legge fondamentale. Lo scollamento esistente
da dieci anni tra Costituzione formale e Costituzione “sostanziale” è diventata una patologia della nostra democrazia rappresentativa cui il legislatore dovrà prima o poi trovare una cura. Ecco, la riforma di Roma Capitale poteva rappresentare una cura per trovare un nuovo equilibrio tra Campidoglio, Provincia di Roma e Regione Lazio. Se, infatti, nelle grandi città italiane come Milano o Napoli la necessità di dare compiuta attuazione alla Città Metropolitana
è sentita come un’esigenza ormai non più procrastinabile, a Roma tale esigenza è elevata a potenza. La ridefinizione delle competenze e del rapporto tra i diversi livelli di governo locale poteva davvero trovare una soluzione che rispondesse meglio ai principi di prossimità e sussidiarietà previsti dalla Carta. L’impressione è che la montagna abbia prodotto il classico topolino. Il testo, portato in Parlamento dal senatore del Pdl Mauro Cutrufo e implicitamente dal sindaco di Roma Gianni Alemanno, sembra lacunoso, nonostante gli sforzi compiuti dalla commissione bicamerale che ne ha emendato i dodici articoli. Preoccuparsi del destino di Eur SpA piuttosto che delle specifiche problematiche del rapporto tra il nuovo ente locale e gli enti di livello superiore ne è un esempio. Per non parlare poi dell’arroganza con la quale si voleva far passare l’idea di un sindaco “alla Marchionne” legittimato a disapplicare il contratto del pubblico impiego per i dipendenti capitolini, un’aberrazione scongiurata solo grazie allo sforzo della commissione e al buon senso del ministro Patroni Griffi. Sancire poi per legge che Roma Capitale è una Città Metropolitana senza ridefinirne il rapporto con la Provincia, senza tenere conto delle relazioni degli altri Comuni che non rientrano nella riforma e con la manifesta volontà della Regione di non voler portare in Consiglio regionale la legge di trasferimento dei poteri, la dice lunga su quanto la riforma nasca già zoppa. Per non parlare dell’incertezza che regna
ancora proprio attorno alle Province, oggi declassate dal ciclone dell’antipolitica a enti inutili, ma che in tante zone
del Lazio e d’Italia, e in tanti Comuni dell’hinterland romano, rivestono un ruolo addirittura fondamentale. Il loro destino, legato alla trasformazione in enti di secondo livello, non appare convincente. I risparmi sono tutti da dimostrare,
come pure la maggiore efficienza e utilità. I cittadini hanno bisogno di altro: di amministratori che sappiano snellire
il peso della burocrazia, di enti locali che sappiano essere davvero enti di prossimità e di governo locale, di efficienza amministrativa. La riforma non dà alcuna risposta in tal senso. Certifica solo l’incapacità di una classe politica e
di un centrodestra che stanno vivendo ormai il proprio crepuscolo. [SERENA VISINTIN]
Scarica

Maritain e Severini Una Rai da salvare