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Con il patrocinio del
COMUNE DI CASTELFRANCO VENETO
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Stampa:
Cartocontabile - Blu Office
Castelfranco V. - 0423 723033
www.cartocontabile.it
Foto di copertina:
Il Patronato, di Giuseppe Perin
Disegni:
Giuseppe Perin
Prima edizione:
Ottobre 2010
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Le nostre storie.
Il Patronato nel 1910
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Prefazione
Come il Gymnasium nella Magna Grecia e la
Palestra nell’antica Roma o il Campus negli Stati
Uniti e il College in Gran Bretagna, il Patronato
Pio X , a Castelfranco Veneto, è il “luogo” dove,
da sempre, si forma la “meglio gioventù” per
diventare persona adulta e responsabile, senza
perdere la lieta spensieratezza giovanile e senza
rinunciare alla prospettiva di una famiglia e di una
presenza attiva per il “bene comune”.
In Patronato ci si educa in quell’ ”umanesimo integrale” e globale che il
Vangelo chiama ”uomo nuovo” e che il Concilio Vaticano 2° definirà
“laico cristiano”.
“Laico cristiano”costituito nel Popolo di Dio e reso partecipe dell’ufficio
sacerdotale, profetico e regale di Cristo, capace di coniugare le realtà
terrestri con la testimonianza apostolica e missionaria. (S.G. 30-36).
”Uomo nuovo” come cittadino della Chiesa e cittadino della società e del
mondo, in una sola sintesi vitale, per iscrivere il mistero dell’incarnazione
di Cristo perché il mondo diventi la “casa comune”, nel rispetto della
dignità e della diversità di ogni persona (G.S. 43).
Un altro aspetto è da sottolineare: come il Patronato ha saputo
accompagnare i cambiamenti sociali e culturali interpretando i “segni dei
tempi”.
Negli anni 1916-1918, nel nobile Palazzo Preti (forse nel nome aveva la
vocazione), don Ernesto Bordignon, Cappellano dell’Ospedale e la
maestra Oliva Bonaldo, che fonderà le Figlie della Chiesa, due grandi
figure carismatiche, preoccupati per i molti orfani di guerra, aprono un
Orfanotrofio.
Si trasferirà in Borgo Vicenza nel 1929.
Durante il fascismo, in Patronato si insegna il valore della libertà e si
preparano molti giovani alla Resistenza, alla lotta di liberazione e alla
partecipazione politica e democratica.
Dal 1945, nel dopoguerra, per la grande emigrazione, vengono
organizzati sui rischi e le “novità” da affrontare in Canada, Australia.
Nel “rinascimento castellano”, una stagione memorabile per
l’industrializzazione, la ricostruzione, il benessere e la democrazia, il
Patronato partecipa alle molte iniziative formative dell’on. Sartor, di
Pacifico Guidolin e di don Giuseppe Carretta: educazione degli adulti
(Tono Cortese), scuola dell’alternanza (Maison familiare), scuola di base
di don Umberto Miglioranza, nascita della cooperazione rurale, sindacato
e ACLI, incontri di teologia con i testi del Concilio Lumen Gentium e
Gaudium et Spes, presenza all’assistenza con la San Vincenzo, Azione
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Cattolica, volontariato, ritiri di preghiera e di ascolto della parola di Dio,
doposcuola.
Molto importanti le testimonianze di alcuni personaggi del nostro tempo:
Lazzati, Balducci, Turoldo, mons. Riboldi, Mazzolari, Zanottelli, ecc..
Dopo i tempi d’emergenza, nascono iniziative del tempo libero:
Teatro (Guido Negri), campi scuola, gite nei monti, sport (Vigor), coro,
centro studentesco, gruppo famiglie, colonia Giorgione, ecc..
Con l’amicizia e la guida di molti preti-extra, capaci di pregare, studiare
(q.b.) e stare assieme in allegria, Questa raccolta, nella diversità dei
caratteri tipografici e dei generi letterari, tra storia e cronaca, con
riflessioni spirituali e prediche, esperienza goliardiche e racconti
rusticani, motti di spirito più o meno spiritosi e i gustosi ricordi in dialetto
del nonno Piero con l’aria degli antichi filò, è uno strumento prezioso di
conoscenza e di memorie per salutare e ricordare tutti “dalla piccola
Russia ai sioreti dea Piassa” e “no butar via gnente”!
Grazie a Bepi Perin e ai collaboratori per la pazienza nel raccogliere
documenti del passato e per la speranza di rinnovare le glorie del nostro
Patronato Pio X, che uno di loro cantò (pag. 33):
“luogo di sano ristoro e gioviale accoglienza
animato dai giovani in assidua frequenza
assistiti e seguiti dal solerte assistente,
maturano e formano il corpo e la mente”.
Don Silvio Favrin
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Cari amici, gli anni passano inesorabili, modificano le nostre fisionomie e
allontanano tanta parte dei nostri ricordi, soprattutto quelli negativi, ma i più
belli, vissuti negli anni della nostra giovinezza, hanno lasciato un segno
indelebile nella nostra vita.
Ora il tema è: Ricordare! È sostanzialmente facile, per chi ha frequentato
gruppi, oppure fatto parte di associazioni, scuole, campeggi, ricordare il volto, il
nome, i caratteri di vecchi amici, sperando che qualcuno abbia un giorno il
desiderio, il tempo e l’estro, di raccogliere quelle memorie.
Frugando nei cassetti suoi e degli amici, per avere testimonianze verbali e
fotografiche; mettere insieme le storie, le avventure, i momenti più significativi,
vissuti in Patronato, (che resta sempre il punto di riferimento e luogo della nostra
formazione dagli anni ‘40 in poi) e riuscire a realizzare un libro, con il titolo: “IL
NOSTRO PATRONATO”...MEMORIE..!, è la mia attuale fatica .
Questa è la prima pagina di un simpatico e affascinante lavoro di ricerca di
com’è nato e com’era la vita, l’attività e lo spirito del Patronato; come punto
d’incontro e di riferimento per i giovani di Castelfranco Veneto e soprattutto per
i ragazzi della Parrocchia della Pieve.
La prima parte descrive l’inizio dell’attività del Patronato, dal 1938, con le
vicissitudini e le fatiche di Don Ernesto Bordignon, dal 1921, protese a
sviluppare ed attuare l’Idea proposta da Suor Maria Oliva Bonaldo, nel 1919.
Prosegue con la parte storica, dove i protagonisti sono i giovani e i loro
Assistenti, con tutta una serie di fatti, immagini, persone e percorsi e
approfondimenti spirituali vissuti in quegli anni.
La seconda parte riguarda l’attività dei Gruppi:
Le Conferenze della “San Vincenzo”, come aiuto ai poveri.
Il Volontariato, attuato in Italia e all’estero dai nostri giovani.
Le ACLI, il Centro studentesco, i Gruppi Famiglie, il coro, ecc.
La terza parte mostra i momenti allegri, le attività di svago gioco e
divertimento. Il calcio: La grande passione e i campeggi in montagna.
E’ una carrellata di fatti, immagini, situazioni che risvegliano la memoria dei
più anziani, stuzzicano la curiosità dei più giovani quando si racconta, in modo
sintetico, com’erano i giochi, le riunioni e le varie attività, con accenni, racconti
di episodi seri e faceti, che hanno animato e divertito molti ragazzi. Monologhi
gustosi. Serate memorabili trascorse insieme.
E’ una sfida alla memoria, che riproduce situazioni ed episodi successi tra 50
e 60 anni fa, ma ancora vivi nei nostri ricordi..
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Ricco di nomi di tanti giovani, che hanno fatto parte viva delle squadre di
calcio e altri giochi e ricordano i momenti più belli delle vittorie, lamentando
con una smorfia, anche le sconfitte, facendo considerazioni da grandi tifosi, nel
rapportare le loro sfide leali, con il gioco attuale.
Nel libro, molto spazio è riservato ai momenti formativi e ai profili di amici
che hanno guidato la nostra associazione, con senso di responsabilità e
dedizione, dimostrando con l’esempio i principi morali e sociali da seguire.
Il nostro Gruppo 60 anni fa contava circa centocinquanta ragazzi, che
diventarono trecentocinquanta nei dieci anni successivi.
Ora l’elenco si ferma a sessanta, più altri trenta emigrati o lontani dal paese.
Un terzo elenco ricorda gli amici che ci hanno lasciato.
Un quarto elenco ricorda i nostri Assistenti, succedutisi negli anni, con i quali
non si sono persi i contatti, a testimonianza di stima, riconoscenza ed amicizia.
In appendice ci sono i dodici racconti, in dialetto veneto, di Pierluigi
Zamperin. Storie di vita vissuta, ambientate nel quartiere di Borgo Padova, nella
zona delle Sabbionare. Ricordi descritti con ironico e simpatico lirismo.
Il racconto di Danilo Berton, che descrive i momenti belli e traumatici del suo
soggiorno in colonia a Piniè di Vigo, dal titolo:”Puniamo il Fanciullo”.
Aiutate a valutare il lavoro presentato, suggerendo eventuali correzioni od
aggiunte, invitandovi a partecipare con qualche vostro scritto, essendo il libro
sempre aperto.
Delle tre parti programmate del libro, per motivi tecnici ed organizzativi,
presento in prima edizione quella centrale, che spazia dall’anno 1938 al 1986.
I nostri due amici: Gianni Marin e Beppi Antonello, con i quali ho collaborato
nella stesura di queste memorie, hanno sviluppato l’attività Scout e le fasi
interessanti dell’attività sportiva.
Hanno pronte le loro bozze e sono state anche parzialmente pubblicate.
È auspicabile possano essere inserite prossimamente, nella seconda edizione.
Un libro è finito, quando si stampa integralmente.
L’eventuale ristampa è una decisione da considerare, insieme!
E’ molto importante anche un giudizio, un suggerimento, un vostro racconto
ed anche un sostegno morale.
Giuseppe Perin
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PARTE PRIMA
Inizio dell’attività del Patronato
dal 1938
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Il Patronato.
Incontrarci per ricordare e rivivere
la nostra gioventù.
Non è dietrologia nè facile retorica dire ”... AI NOSTRI TEMPI…!”.
Il periodo degli anni quaranta ha lasciato veramente il segno a chi da giovane
lo ha vissuto, sia dal punto di vista umano (della fatica e probabilità di
sopravvivere), che da quello giocoso e scanzonato ed infine, da quello intimo e
spirituale.
Troppe cose e tanti avvenimenti per i giovani, in quegli anni, dove guerra e
stravolgimenti di stato, hanno fatto crescere in fretta una generazione togliendo i
tempi per godere con serenità la fase della giovinezza.
Nonostante tutto, come avremo ora l’occasione di scambiarci i ricordi, ci sono
molti momenti, di ore passate insieme, ricchi di aneddoti, storie e fatti, che
dimostrano la grande voglia di organizzarsi nello sport, di ridere e far festa
insieme, di essere solidali tra compagni, di partecipare alla vita di parrocchia e di
Patronato, di preparare il proprio futuro nel lavoro, nello studio e nel seguire gli
avvenimenti politici.
Queste evoluzioni hanno avuto un esito positivo ed è merito della famiglia
ma, anche dei giovani sacerdoti e degli amici più anziani di noi.
Finita la guerra è iniziata l’esigenza di costruire, in Italia e nei nostri comuni,
una nuova forma di governo democratico e partecipato, sono venuti nei Patronati
e nelle Parrocchie ad attingere nuove energie umane che hanno aiutato a
compiere il cammino di ricostruzione.
I giovani hanno prontamente e positivamente risposto.
Questo fa onore a chi ha creduto in loro.
Sono passati oltre 50 anni da allora, ma dalla freschezza dei racconti i fatti
narrati sembrano avvenuti solo ieri.
Sono le nostre memorie; reminiscenze che ci gratificano se pensiamo alle
opere lodevoli compiute.
Forse strappano qualche sorriso malizioso, le piccole mascalzonate e i vivaci
scherzetti combinati
Ai nostri figli ed ai nipoti lasciamo queste testimonianze, anche se
sicuramente, nel leggerle, ci guarderanno con simpatica ironia e forse un po’
d’invidia.
Ora giocano e godono in modo diverso, con più mezzi e con nuove ed
elaborate fantasie, sicuramente, negli anni futuri avranno anche loro qualcosa di
interessante da ricordare e da unire alle nostre memorie.
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I giovani e i luoghi d’incontro.
Il Patronato in Borgo Pieve, nel 2010
Lungo il Borgo Pieve (a Castelfranco Veneto),
sono distribuiti diversi luoghi d’incontro degli
abitanti della Parrocchia ed in particolare dei giovani.
Dopo la chiesa, a destra, ci sono le scuole
parrocchiali (ex Istituto Canossiano), poi l’Asilo
Umberto I° (Comunale) e, sul finire del Borgo Pieve
c’è la Piazzetta, contornata di palazzi storici, Villa
Corner (ora Chiavacci) e Cà Duodo
(ora Bernardi-Cattani), che porta all’entrata del
Patronato.
Le strutture e le dimensioni della piazzetta
d’entrata del cortile e degli stabili del Patronato non
hanno subito cambiamenti, dal tempo dei nostri anni
giovanili ma, alcune variazioni d’uso.
La Parrocchia ha concesso alla Provincia l’uso di
diversi locali per la Scuola Alberghiera ed il
Ginnasio Giorgione. Alla sera ospita i corsi di una
scuola privata per il conseguimento del diploma di
Ragionere.
I locali al pianterreno con il Bar e le sale-giochi, il
cortiletto ed il campetto di pallacanestro e pallavolo
sono a disposizione dei giovani della Parrocchia
della Pieve e quelli della Città.
La piazzetta del Patronato.- Pur ridimensionati
nello spazio, con l’occupazione del cortile concesso a
parcheggio, è ora ricco di presenze. Sono molte le
attività che le nuove generazioni di giovani e le
famiglie programmano e svolgono durante l’anno.
Tempi ormai lontani. Negli gli anni ’40 io abitavo in
Via San Giorgio e i mezzi di trasporto si limitavano a
qualche bicicletta. I vari percorsi: da casa alla
Chiesa, alla Scuola, al Patronato, si facevano a piedi,
due-tre volte al giorno, con slancio ed entusiasmo,
insieme agli amici del Borgo Padova, superando i
timori e le paure che la guerra ci presentava, con i
bombardamenti ed i mitragliamenti aerei,
specialmente al momento di attraversare la ferrovia.
I racconti e le memorie, in questo libro, partono da quegli anni e ricordano
fatti ed attività svolte per più decenni; con la mia collaborazione attiva in
Patronato assieme a molti amici, nominati nei racconti, fino agli anni ’80.
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“Angoli del Patronato Pio X”
Il cortile interno, l’ex- Chiesetta (ora sala riunioni) e la torretta
L’entrata del Patronato. Il Musonello.
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A destra: Mappa del 1799
A sinistra, Casa Preti ( il Patronato) nel 1910
Il palazzo identificato ora come sede del Patronato, ha una
storia legata ad antichi casati presenti nel 1425, ancor oggi nella memoria dei
castellani ed è segnato nelle mappe del 1799, è nato in quella casa il famoso
architetto Francesco Maria Preti. Era l’ultimo erede della sua famiglia. Era
imparentato con altre famiglie importanti a Castelfranco che ricoprivano vari
ruoli sociali, attività imprenditoriali ed erano molto attivi e presenti nello
sviluppo culturale del paese. Molti nomi sono ricordati nell’elenco delle Ville e
dei Palazzi che contornano la Città: “Soranzo, Corner, Guidozzi, Colonna,
Morosini, Miani, Gaggio, Rinaldi, Novello, Preti”….! La seta, la lana, il lino. le
pelli, erano i prodotti trattati da molte di queste famiglie e per questo lavoro
c’era bisogno di molta acqua e della sua forza motrice. Nella ricerca, si evidenzia
l’importanza del Musonello, nel percorso che da Castello di Godego compie fino
a Resana. Il tratto del Musonello che c’interessa, va dal Vicolo Musonello fino al
Borgo Pieve, dove si divide, a sinistra diventa Musoncello e sfocia nel Dese, a
destra continua il Musonello e si fonde nel Marzenego.
Castelfranco è sempre stata interessata a controllare i corsi d’acqua per le forti
ed improvvise piene. Il Musonello, (denominato, in questo tratto, Avenale)
doveva essere condizionato, in occorrenza, da boe e punti d’uscita; due di queste
servivano a far funzionare i molini e le tratture del Borgo Pieve. E’ interessante
il sistema del circuito dell’acqua nel giro delle fosse, perché non ristagni e mandi
odori sgradevoli; arrivata di ritorno sul ponte Duodo, trova sbarramento s’infila
nel senso contrario, attraverso un sifon, passa sotto il letto dell’Avenale, percorre
25 metri, sotto il vicolo Musonello e va a servire la ruota del mulino.
La famiglia Morosini gestiva il primo mulino, (ultimamente di Trevese) ed era
proprietaria di tutto il complesso di case, all’interno dei corsi d’acqua che
contornavano l’attuale Patronato. Nel 1525, Fausto Emiliani era proprietario di
quel complesso, denominato ”Cà Bianca”. Nel 1652 la proprietà passò alla
Famiglia Morosini. Arrivò alla famiglia Preti attraverso linee femminili. I Miani,
i Gaggio, i Gavo, i Guidozzi, la cui figlia Vicenza, sposando Nicolò Preti, padre
di Francesco, si portava in dote il palazzo del Patronato. Nel corso degli anni
fecero dei restauri, delle trasformazioni e alcune migliorie. F.M. Preti visse in
quel palazzo fino alla morte, che avvenne nel 1774. Non aveva eredi, adottò il
pronipote Odorico Colonna, il quale nel 1784, la scelse come residenza della
famiglia, nel 1850 subentrò Angela Preti e nel 1883, Lorenzo Preti; fino al 1920,
quando Anteo Preti, la cedette alla Fondazione dell’Orfanotrofio. Ideata e voluta
dalla Beata Maria Oliva Bonaldo, essa invitò e convinse a gestirla, Don Ernesto
Bordignon, a quel tempo Cappellano dell’Ospedale, il quale iniziò, con
infaticabile ed ammirabile dedizione, l’accoglienza degli Orfani, (molti di loro,
per cause di guerra). Nel 1938 l’orfanotrofio si spostò in Borgo Vicenza ed il
palazzo fu ceduto alla Parrocchia della Pieve, che lo adibì a sede giovanile.
Iniziò così l’avventura dei giovani del Patronato.
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Don Ernesto Bordignon e Maria Oliva
Bonaldo, due personaggi che negli anni ’20 hanno
messo le premesse sul futuro del Patronato con le
loro scelte e i loro ideali.
Don Ernesto, arrivato a Castelfranco nel 1912,
da Noale, dov’era Cappellano, aveva 32 anni ed
era stato nominato Cappellano degli Istituti Pii
(Ospedale e Casa di Riposo), ma nel suo animo
sognava il recupero di orfani e bambini indigenti
che riempivano le strade mostrando la loro
miseria in quegli anni martoriati da guerre, fame
ed ignoranza.
Maria Oliva Bonaldo,nata a Castelfranco nel 1893 e
morta nel 1976, abitava in Borgo Pieve, dove suo padre
gestiva un’antica osteria, ed era una maestra che
insegnava nella scuola di Campigo. Anche lei, dopo
l’esperienza mistica vissuta durante la processione del
Corpus Domini in Piazza Giorgione nel 1913, era spinta
dal desiderio di realizzare il suo sogno: recuperare le
ragazze in difficoltà, dar loro aiuto ed ospitalità.
Tutti due, dovettero lottare contro i veti e le
incomprensioni.
Nel mondo e nella mentalità di cento anni fa loro
erano modernisti profondamente cristiani aperti a nuove
riforme, pronti all’accoglienza, alla difesa, all’aiuto,
all’emancipazione dei più poveri e dei più deboli.
Sono stati, a loro modo, anello di congiunzione tra le
confraternite e l’associazionismo cattolico; compreso lo
sviluppo sociale.
Erano tempi in cui il cattolico doveva destreggiarsi
tra il liberalismo imperante ed il socialismo nascente. E
pensare che un cristianesimo vissuto come quello di Don
Ernesto e di Madre Oliva avrebbe risolto tutte le
rivoluzioni e guerre che si stavano preparando nel
mondo.
La storia c’insegna che il tempo fa giustizia e gratifica chi ha operato e
sofferto per il bene di tutti.
Il 6 giugno 1919, la maestra Maria Oliva Bonaldo, con l’aiuto del Parroco
della Pieve don Giovanni Pastega e del cappellano Don Antonio Campion,
istituirono il”PATRONATO PRO-INFANZIA”, nei locali del Patronato.
Nel 1920 fu nominato direttore Don Ernesto Bordignon e qualche anno dopo,
nel1928, come aiuto, nominarono Don Arcangelo Favaro.
Era stato costituito un Comitato che per la gestione di questa iniziativa
rappresentato da: “Paolo Viganò, Angelo Sartori, Ruggero Pirollo, Elia Favero,
Aldo Genovese, Leopoldo Passazi, Luigi Tabacchi e le madrine Emilia Barisani,
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Emma Finazzi, Mary Passazi”. Un grande benefattore fu anche Attilio
Marnati.La prima orfanella fu una bambina e qualche giorno dopo erano già più
di 20. Il 5 maggio
1921 la prima crisi. I locali del Patronato non bastavano più, cercò dei posti
nell’ex-Casa di Riposo in Via Cazzaro, poi acquistò il terreno
e costruì l’orfanotrofio in borgo Vicenza.
Nel 1925 il Patronato pro.infanzia era una realtà già difficile da gestire.
Lo frequentavano più di 250 ragazzi, con tante aule e locali per le varie
attività scolastiche, d’Arti e Mestieri e la Scuola di Musica.
I costi si moltiplicavano e i debiti crescevano. Le Parrocchie temevano la sua
concorrenza ed inoltre, le istituzioni fasciste, pretendevano di gestire
l’educazione dei ragazzi e fare del Patronato la casa del Balilla.
Fu ventilata anche la cessione all’Istituto dei Padri di Don Orione.
A salvare il Patronato fu la proposta di don Bruno Franceschini, (cappellano
della Pieve), che convinse Don Ernesto a rilevare locali e debiti. Era il giorno
della Madonna del Rosario, nell’anno 1929.
Ancora una volta il Comitato e tante persone generose lo aiutarono a pagare e
lui si rimise di lena a trasformarlo in una vera Scuola.
E’ il 1929 l’anno di fondazione del Patronato come Scuola, fino al Ginnasio,
continuando a gestire i corsi d’Arti e
Mestieri e la scuola di Musica,
compreso il doposcuola di sostegno
per i ragazzi esterni ed interni.
Questa è la sintesi della storia dei
due grandi personaggi che ci hanno
preceduto: Madre Maria Oliva
Bonaldo (ora Beata) e Don Ernesto
Bordignon. Il 1° luglio 1938 ha
segnato l’inizio dell’attività del
Patronato attuale, con la consegna
dello stabile da parte di Don Ernesto,
su invito del Vescovo Mons. Antonio
Mantiero, alle Parrocchie della Pieve e
del Duomo.
Nel frattempo l’orfanotrofio era già
stato costruito in borgo Vicenza; ad
inaugurarlo c’era, in quel momento un
solo orfano: Carmelo Marchetti.
A questo punto inizia la nostra
storia,
ricordando,
però
con
gratitudine, chi ha messo l’IDEA, il
seme, il lavoro, il sudore, il pensiero, perché il PATRONATO nascesse.
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Il Vescovo Mons. Antonio Mantiero con
Don Ernesto Bordignon, in visita
all’officina dell’orfanotrofio
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1928 o… 1938 ?
La scelta di prendere in considerazione la data
dell’anno 1938, dalla quale partire per raccontare del
nostro Patronato, ha sorpreso due amici (più anziani),
Rino Cecchetto e Piero Squizzato, che hanno aggiunto i
loro ricordi: Rino (classe 1921), ricorda che il Patronato
era una realtà già negli anni ’20 e che la sua prima
Comunione l’ha ricevuta nella Chiesetta nel 1928, con
Don Antonio Campion Piero (classe 1924), riferisce che
all’inizio degli anni’30, la S. Messa domenicale per i
giovani, era celebrata nella chiesetta del Patronato, annunciata dal suono della
“CAMPANELLA”, situata in un’edicola sopra il portone dell’entrata.Si prova un
certo piacere constatare quanto siano ricchi di ricordi e desiderosi di partecipare
con le loro memorie, gli amici più anziani, tante da riempire molte pagine di vita
vissuta in questo luogo d’incontri: il Patronato.Resteremo ligi alla data prescelta,
ma nulla vieta di aggiungere qualche episodio più significativo, che ricordi
anche periodi precedenti.A tal proposito è giusto menzionare quel gruppo
d’insegnanti che tanti meriti hanno avuto nella preparazione formativa sociale,
cristiana, dei bambini di 7-8-9 anni, le fiamme Bianche, Verdi, Rosse; che
precedevano l’iscrizione al gruppo Aspiranti. Ricordiamo le “Signorine”:
Carlottina Zalla, Lina Pillan, Elia Zaccarelli, Carolina Muraro, ecc. che per tanti
anni hanno operato in loro favore, alle quali va il nostro pensiero
riconoscente.Proprio a quell’età avveniva la scelta dei giovani da preparare al
compito impegnativo di chierichetto.Dovevano prepararsi a servire la S. Messa,
assistere il sacerdote nelle varie funzioni celebrative e soprattutto rispondere, in
latino, al salmodiare del celebrante.Il sacerdote ai piedi dell’altare, senza
microfono, iniziava il suo dialogo ritmato e veloce col chierichetto-assistente,
iniziando con:
“INTROIBO AD ALTARE DEI” fino a ”ITE MISSA EST”.
Il compito di istruirli era demandato alle Suore dell’Asilo (Suor Giovanna e
Suor Luisa), sotto la vigile direzione di Don Giovanni Cagnin.Questa scuola
permetteva di avere costantemente un cospicuo gruppo di chierichetti a servizio
nelle varie Messe (lette o cantate), battesimi, matrimoni, funerali, vesperi e
processioni. Un impegno abbastanza gravoso per i chierichetti. Comportava
anche il turno di presenza settimanale alle Messe feriali delle sei del mattino
(una levataccia).
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Un altro gruppo“scelto ed intonato”, era chiamato a far parte del coro
parrocchiale di voci bianche (soprani e contralti), dato che alle donne non era
permesso di partecipare alle funzioni sull’altare, semmai rispondevano
partecipando ai canti, organizzate sui primi banchi
Tutte queste attività parallele, facevano riferimento ai gruppi di Azione
Cattolica e Scout, in Patronato.
Ricordiamo che queste fasi di crescita sociale e cristiana dei nostri ragazzi,
così importanti e belle, avvenivano nel momento più brutto e più insidioso della
guerra (bombardamenti e mitragliamenti verso i treni e la ferrovia) con le
difficoltà di chi abitava a sud della ferrovia, significa mettere in risalto la loro
abnegazione e la presenza attiva e costante della famiglia, degli insegnanti, dei
presbiteri. Tensioni e paure si sono trascinate per diversi anni anche nel dopoguerra.
La pulizia della chiesetta e dei suoi arredi, per molti anni, è stata curata
dalla signorina Sara Trevese, (tuttora vivente), con assidua, puntuale e generosa
dedizione. La sua presenza silenziosa e utile, in Patronato, è compresa nei nostri
ricordi.
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Leggendo le memorie di Don Ernesto Bordignon, dove descrive il gravoso
impegno assunto dopo aver accolto la proposta di Don Bruno Franceschini, nel
famoso giorno della Madonna del Rosario del 1919:Doveva rimettere a posto il
Patronato, rendere abitabile il piano terra ed il cortile, per poter ospitare gli
orfanelli Egli racconta: ”Io solo, col mio piccone, mordevo lentamente i ciotoli e
la terra, per far posto al sogno di poter posare un marciapiede di marmo”.Prima
il cortile era tutto giardino. Con la presenza dell’orfanotrofio,il marciapiede
serviva a non infangare le nuove stanze.Erano passati poco più di 20 anni e le
nuove generazioni avevano trasformato il cortile in campetto per giocare a
calcio. Era diventata una consuetudine consolidata: tutti i pomeriggi e le sere
delle riunioni, i ragazzi giocavano per diverse ore. Quante scarpe consumate su
quei sassi (in quegli anni erano autarchiche, di cartone), quante gambe, caviglie e
braccia rotte. Cosa fare ? Ci fu un dibattito che si trascinò per diverso tempo.
I sostenitori della demolizione del marciapiede: causa prima di tutti gli
incidenti in cortile, insistevano perché il problema andasse risolto con urgenza.
La voce contraria sosteneva che un manufatto del genere non doveva essere
distrutto; oltre al servizio che svolgeva aveva anche un valore storico ed
affettivo. Sentite, discusse e messe a confronto le due tesi,con la presenza del
Parroco, prevalse la ragione dei giovani e quella della loro incolumità Una sera
d’inverno la squadra del Patronato iniziò i lavori di smantellamento Pochi giorni
dopo il cortile era spianato e coperto di ghiaia fine. Non era un’ottima soluzione,
ma si poté giocare con più divertimento e meno pericolo.
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La traccia dell’ex-marciapiede”!?
Il nuovo campo di Pallacanestro, Pallavolo, Calcetto.
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Plastico del nuovo Patronato, progetto presentato dall’architetto Luciano Gemin (Treviso).
Nelle sere d’estate la presenza dei giovani in Patronato dava l’opportunità agli
organizzatori di programmare molte attività sia di carattere sportivo sia sociale,
creando anche l’opportunità di incontrarsi, discutere, pensare, programmare
iniziative proiettate nel futuro.
Seduti, all’esterno del bar, gustando un ghiacciolo, il gruppo degli anziani
(che amavano chiamarsi “giovani sposi), prendevano in considerazione le nuove
esigenze dei locali del Patronato. A quel tempo erano in piena attività molte
iniziative: riunioni, incontri mandamentali, giochi pomeridiani, la nuova mensa
Centinaia di persone di varia età frequentavano con assiduità i locali e i cortili.
Gino Sartor, Gino Martin, Gino Genovese, Giacomo Rossato, Florio
Menegon, partecipavano assieme a noi alla discussione, fantasticando l’idea di
proporre la costruzione di un nuovo fabbricato che risolvesse le esigenze di spazi
razionali dei quali il Patronato potesse aver bisogno.
Schizzi, misurazioni, calcoli, elenchi d’attuali e future attività riempivano i
tavolini del bar stuzzicando l’interesse e la curiosità dei presenti.
Sale riunioni, sale giochi, sale studio, tanti spazi per varie attività.
Tutti facevano la loro proposta sostenendone il pregio.
Convinti della validità dell’idea fu esposta al Parroco don Bruno Franceschini
il quale si consultò con il tecnico, l’architetto Luciano Gemin di Treviso che
pochi mesi dopo presentò il progetto ed il plastico di un nuovo stabile da
edificare nel centro del cortile.
A quel punto sorsero le prime perplessità: il cortile del Patronato era l’anima,
il polmone, la vivibilità, la vita sportiva dell’istituzione, non poteva essere
sacrificato.Era più funzionale, forse, costruirlo nell’orto, oltre il fosso!
Il progetto fu messo in soffitta assieme al plastico ed il cortile fu salvo.
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1969Non ancora ultimata ma, il camino sta già fumando.
Da qualche anno era finita la guerra del 1940-45, Castelfranco Veneto, come
tante altre città, duramente colpita nel suo territorio, con la popolazione
traumatizzata dai sinistri eventi e dalla carenza di generi di prima necessità, si
apprestava a reagire cercando nuovi percorsi e progetti di ricostruzione;
presupposti necessari per un nuovo sistema di vita.Ricostruire le case,
riconvertire le fabbriche, dare lavoro ai giovani che tornavano dalla guerra,
riproporre nuove amministrazioni e nuovi servizi: “Un mondo da rifare”.
L’impegno di tutti ha dato grandi risultati!Negli anni successivi si è cercato di
dare qualcosa in più alle famiglie e specialmente ai bambini che più avevano
patito e che dovevano migliorare la loro salute. Esistevano già le colonie marine
e montane ma erano destinate solo a pochi fortunati.Erano troppo poche perché
potessero soddisfare le richieste e i bisogni di tanti ragazzi. A Castelfranco
Veneto l’iniziativa di pensare ad una colonia montana partì da Don Giuseppe
Carretta nella primavera del 1946, che fu stimolato dall’invito di Pio XII di
“Salvare il Fanciullo”.Nacque così l’omonimo “Comitato” al quale aderirono
molti parrocchiani.Già nell’estate fu affittata una modesta casa ad Enego (su
indicazione del dott. Dalla Palma), dove per due anni furono ospitati molti
bambini. Nel 1948 il Comitato individuò una nuova sistemazione in una casa, in
Cadore, a Piniè di Vigo (Auronzo), che arredò con il contributo di Enti e privati
cittadini,disposti a fare anche molto volontariato. Per tredici stagioni diede un
ottimo e confortevole soggiorno a molti turni di ragazzi.Nel 1952 l’Italia si stava
sollevando dalle miserie del dopoguerra. S’intravide la possibilità di
programmare la costruzione di una nuova e capiente colonia.Fu acquistato il
terreno (con un’offerta del cav. Filippo Larizza) l’interessamento dell’On.
Domenico Sartor, l’aiuto del Sindaco Gino Sartor, del cav. Abele Lago, del prof.
Paolo Mùller e del rag. Gino Genovese, intestandolo al Parroco della Pieve Don
Bruno Franceschini, garante e usufruitore di possibili contributi.
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Passarono diversi anni prima di
realizzare il progetto.
Bisognava trovare i fondi necessari e le
varie autorizzazioni.
Negli anni ’60 era ormai una realtà.
Gruppi di cento e più ragazzi per turno si
alternano tuttora nel periodo estivo per
godere una salubre e spensierata vacanza.
Un ruolo importante è stato svolto dalla
squadra operativa, composta da giovani
volonterose guidate dalla mitica e generosa
maestra Èlia Zaccarelli.
Altri gruppi di varie Parrocchie
prenotano la loro presenza. Si ritagliano
uno spazio anche i Gruppi Famiglie, tutte
1976 Bambini in colonia
coppie di amici che dedicano il tempo di
(Flavio, Fabrizio, Giorgio)
vacanza non solo a rilassare lo spirito ma
e genitori in visita
anche
a
ritoccare, rimediare e abbellire la nostra colonia
dagli eventuali depauperamenti del tempo e
dell’assalto dei giovani.
Anche queste forme di volontariato aggiunto
fanno parte del modo di essere attivi nel nostro
Patronato.
Rifugio Carducci (2297 m)
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28
29
Questa fotografia mi è stata consegnata da un” ragazzo” del gruppo:
ANGELO FABIAN (classe 1922), con la preghiera di pubblicarla e di
ricordarne anche i nomi. Seguendo la cronologia dei numeri segnati sul
negativo, possiamo ricordare e riconoscere i nostri amici e fratelli
maggiori: 1 Guido Zanibellato, 2 Bruno Zanolli, 3 ….Fabrin, 4 Toni
Trevese, 5 Bruno Sagui, 6 Primo Rebellato, 7 Eugenio Rebellato, 8 Carlo
Sasso, 9 Ubaldo Menegotto, 10 Carlo Magoga, 11 Angelo Ballan, 12
“Natte” Andretta, 13 Bruno Campanaro, 14 Eduino Zanibellato, 15 Don
Gino Gomiero, 16 Gino Sartor, 17 Tullio Sartor, 18 Lino Sartor, 19 Doris
Benetti, 20 …….Alessio, 21 Don Bruno Martignon, 22 Rino Tiotto, 23
Bruno Bordignon, 24 Carlo Cimador, 25 Vittorino Viola, 26 Bruno Bendo,
27 Rino Magoga, 28 Angelo Fabian, 29 Eugenio Mazzolenis, 30 Dino
Scola, 31 Rino Bordignon, 32 Giuseppe Salomon, 33 Luigi Prior, 34 Cesio
Fabbian, 35 Nildo Comacchio, 36 …..……, 37 Vittorio Bressan, 38 Dino
Gomierato, 39 Campagnolo, 40 Bruno Tiotto, 41 Toni Squizzato, 42
Alberto Navarra, 43 Gino Baggio, 44 Angelo Favaron.
Molti di questi ragazzi li troviamo nelle foto successive (1942-1943), erano i
nostri fratelli maggiori. La guerra li ha divisi; i più anziani al servizio militare, i
più giovani a studiare o al lavoro. Negli anni successivi ognuno poi ha scelto la
propria strada, ma tra noi è sempre presente l’amicizia e la stima.
L’esperienza maturata in questi Gruppi ha segnato positivamente la vita di chi
ha frequentato il Patronato, ne testimonia, in questo suo breve sonetto, Angelo
Fabian (classe 1922):
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IL PATRONATO
Luogo di sano ritrovo e gioviale accoglienza,
animato dai giovani in assidua frequenza,
assistiti e seguiti dal solerte assistente,
maturano e formano il corpo e la mente.
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Uomini Cattolici e famiglie in congresso.
Sono presenti molti sacerdoti, tra i quali il vescovo Mons. Longhin ed il
cappellano della Pieve: Don Bruno Franceschini. (1932 ?)
1932- Uomini Cattolici nel giardino della canonica, con Don Bruno Franceschini.
1939. Patronato. Don Gino Gomiero con un gruppo di aspirantini:
Carlo Acoleo, Armando Berton, Urbano Ballan, Flavio Giacomazzi,
Bartolomeo Sorge (nascosto), Sergio Bragagnolo, Marcello Stocco.
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1942. Il gruppo- Aspiranti, e Don Gino Gomiero.
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Questo gruppo di giovani sono i primi protagonisti dei nostri racconti. E’ la
nostra storia dei momenti vissuti in Patronato.
Dal basso: Angiolo Sorge, Renato Sguardo, Renzo Tieppo, Giuseppe Perin,
Carlo Acoleo, Don Gino Gomiero, Sergio Bragagnolo, Armando Berton,
Francesco Barichello, Flavio Giacomazzi, Rino Bortolotto, Sandro Marcon,
Gianni Marin. Paolo Marcon, Franco Stradiotto, Marcello Stocco, Urbano
Ballan, Silvano Basso, Luigi Concolato, Gianni Pavan, Gino Giacometti,
Giovanni Girotto. Piero Squizzato, Rino Magoga, Rino Alessio, Bruno Sagui,
Nino Acoleo, Bartolo Sorge, Beppino Bressan, Angelo Favaron, Alfonso
Marcon, Danilo Concolato, Albino Marcon, Enrico Lerrabongio, Bruno
Giacomazzi.
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Il gruppo dei giovani del Patronato nel 1943: il Direttore: Don Giovanni
Cagnin e Paolo Marcon. Insieme a noi, i tre futuri Padri (Sacerdoti):
“Bartolomeo Sorge, Luciano (Santo) Benedetti, Luigi Trevisan”
1947. Possagno. Villa Sacro Cuore. Tre giorni di studio per Dirigenti di
Azione Cattolica Relatori: Dino De Poli, Antonio Mazzarolli, Angelo Trevisan.
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Possiamo riconoscere: Monsignor Mattarucco, (Parroco del Duomo). Don
Bruno Franceschini, (Parroco della Pieve), Don Giovanni Brotto, (Assistente).
Piero Squizzato, Giovanni Girotto, il presidente: Cav. Vittorio Ferrazzi,
Giovanni Benedetti, Giuseppe Boldrin, Bruno Calvi, Bruno Campanaro, Emilio
Giacometti, Albino Marcon, “Ico” Baggio, Sandro Marcon, Giuseppe
Confortin, Antonio Frattin, Elso Pellizzari, ecc.
1942
Dietro il campanile della Pieve:
Armando Berton, Piero Squizzato, Nino
Acoleo, Carlo Magoga, Bruno Sagui,
Alberto Navarra.
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I Cresimati del 1959
I nomi dei Cresimati della classe 1948/49 il giorno della S. Cresima
Il Gruppo era seguito da Don Orlando Berti.
I loro nomi: Prior Danilo, Stefanetto Piero, Stefanetto Umberto, Giacomazzi
Giuliano, Giacomazzi Fabio, Marcon Giuliano, Chicco Bianco, Bressan Luciano,
Bressan “Ciccio”, Nogarotto Camillo, ……… Luciano, Ballan …..,
Calzavara……, Bacchin Giorgio, Loriano Aldo, Basso……, Tura Lamberto,
Bizzotto Lino, Stella Luciano, Ferlin Gastone, Ferlin Ivo, Fraccaro Paolo,
Pinaffo Federico, Pasqualetto Romeo, Crocetta Giorgio, Pillan Antonio,
Fiorentin Paolo, Chiminazzo Sergio, Broselli Loris, Ceccato ……
(mancano 12 nomi che non siamo riusciti ancora a recuperare)
37
F
Fiamme tricolori! (1950 ?)
I “cresimati” con la loro Assistente: Maestra Lina Pillan., ( Chi sono? In che anno?)
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Il campo di pallavolo e di pallacanestro, ricavato sul vecchio orto del Patronato nel
1958 Ha collaborato alla realizzazione Franco Simioni.
Lunedì dell’Angelo (Pasquetta), il primo gruppo misto in gita sul Monte Grappa.
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Don Angelo
Don Bruno
Don Orfeo
Don Adriano
Don Paolo
Don Gino
Don Giovanni
Don Raimondo
Don Piero
Don Luigi
Don Giovanni
Don Virginio
Don Giovanni
Don Umberto
Don Silvio
Don Orlando
Don Cesare
Don Giovanni
Don Luigi
Don Lino
Don Lino
Don Piergiorgio
Don Alessandro
Don Luigi
Don Renato
Don Silvio
Don Adriano
Don Luciano
Don Sergio
Don Mario
Don Luca
Don Francesco
Don Daniele
Baldan
Franceschini
Gasparini
Cevolotto
Marconato
Gomiero
Cagnin
Squizzato
Salvador
Sabbadin
Brotto
Toso
Gottardi
Miglioranza
Basso
Berti
Peretti
Pesce
Marconato
Pellizzari
Nichele
Bruffato
Dussin
Condotta
Marin
Favrin
Cevolotto
Marchioretto
Fraccaro
Rossetto
Vialetto
Guarise
Giacomin
Parroco
Parroco
Parroco
Parroco
Parroco
Cappellano
Direttore Patronato
Cappellano / Militare
Cappellano
“
“ (ACLI)
“
“
“ (ACLI)
“
“
“
“
“
“ (ACLI)
“
“ (ACLI)
“
“
“
Cappellano / Ospedale
Diacono / Cappellano
Cappellano
“
“
“
“
“
40
1936 - 1948
1948 - 1981
1981 - 2004
2004 – 2010
Dal 2010
1938 - 1943
1941 - 1947
1942 - 1943
1943 - 1949
1947 - 1954
1949 - 1954
1951
1954
1955 - 1966
1956
1958
1959
1964
1967
1980
1971
1972
1974
1974
1979
1959
1982
1986
1992
1995
1999
2003
2008
Il sentiero di:
FARO E GUIDA DEI GIOVANI
NEGLI ANNI ’1943-1950
La figura del giovane sacerdote, Don Piero Salvador,
resta emblematica e significativa, nei ricordi dei giovani
che frequentavano il Patronato e l’Azione Cattolica.
Conclusi gli studi in Seminario e nominato cappellano
nella nostra Parrocchia
il Parroco, Don Angelo Baldan, gli affidò l’incarico di
organizzare e guidare spiritualmente i giovani.
Con l’entusiasmo che lo caratterizzava, riunì attorno a sé un gruppo di ragazzi
tra i più intraprendenti. Non ha avuto difficoltà nella scelta perché il precedente
Assistente, Don Gino Gomiero, aveva preparato un meraviglioso gruppo (lo
possiamo vedere nella foto scattata nel 1944 davanti alla porta del Patronato, ed
anche nell’altra del 1943, ritratta col Direttore del Patronato Don Giovanni
Cagnin).
Don Piero fece del Patronato il fulcro di molte iniziative, compreso il
potenziamento del Gruppo SCAUT, che si era da poco formato.
Era tutto un fermento; tutti erano coinvolti, sia nelle varie riunioni sia in tante
varietà di giochi e passatempi.
In quei momenti emergeva la funzione e le qualità carismatiche del Sacerdote.
E’ mitica la passeggiata che Don Piero faceva sotto gli alberi lungo il cortile, con
i ragazzi.
La partita di calcio notturna s’infervorava( dopo la riunione di A.C. ) e nelle
sale si giocava a ping-pong, a calcetto, a scacchi, ecc.,lui approfittava per
accompagnare, a turno, i giovani a far quattro passi lungo quel “ sentiero”.
Tutti vedevano e, sicuri che a loro volta sarebbero stati chiamati per la
chiacchierata, commentavano con la frase, entrata nella storia:
“Adesso gli fa il sermone! ”noi la chiamavamo: “LA CARNE”, nel senso che,
ripassando insieme al ragazzo, le idee e le aspettative, suggeriva e indirizzava il
percorso migliore per il suo progetto di vita.
Questo rito era accettato positivamente da tutti noi.
Quando Don Piero organizzava gite e campeggi, per essere sicuro della buona
riuscita, coinvolgeva anche i membri della sua famiglia, fratelli e sorelle, che si
prestavano volentieri ad aiutarlo e molte volte programmavacon gli aspiranti, la
gita in bicicletta fino a Campretto (a casa sua) a mangiare la zucca, le mandoline,
l’uva e le frittelle, per tenerli uniti.
Sono stati per lui dieci anni d’intensa attività, e noi lo ricordiamo con simpatia
e riconoscenza.
La vita è stata fisicamente ingrata con Don Piero.
Dopo una lunga malattia, morì il 4 novembre 1972, a soli 54 anni.
E’ sepolto nel cimitero del suo paese: San Martino di Lupari.
41
L’angolo del cortile del Patronato, 60 anni dopo
42
Dal Patronato partirono per Roma:
Don Piero Salvador, Gianni Marin,
Renato Sguario, Giuseppe Perin,
Umberto Venturi, Armando Berton.
A guerra conclusa, con il voto
plebiscitario del 2 giugno 1946, l’Italia è diventata una Repubblica. Si è formato
il primo governo Costituente.
Il 1° gennaio 1948 è entrata in vigore la nuova Costituzione italiana.
Il 18 aprile 1948 i cittadini sono stati chiamati alle urne.
Era la prima volta, dopo il ventennio fascista.
C’era un’aria euforica e un desiderio di libertà.
A chi dare il voto?
Due schieramenti si fronteggiavano:
La nuova“Democrazia Cristiana”, nata dalle ceneri del Partito Popolare di
Don Luigi Sturzo e l’alleanza di sinistra, che aveva messo insieme due partiti:
Comunista e Socialista, guidati dai due Segretari, Palmiro Togliatti e Pietro
Nenni.
La sinistra aveva partecipato alla formazione del primo governo provvisorio
ed aveva dimostrato una fattiva collaborazione, però i legami di Togliatti con
Mosca potevano dimostrarsi pericolosi, per una futura democrazia.
In Italia un simile esperimento di governo, che dimostrava un forte
anticlericalismo, era un cattivo presagio.
La scelta era impegnativa, se vinceva la sinistra poteva comportare il pericolo
di essere inglobati nel sistema ideologico sovietico d’oltre “cortina”. Era un
momento di grande tensione.
Il 18 Aprile sancì la vittoria della Democrazia Cristiana.
La“Chiesa”, con la voce del Papa PIO XII, volle verificare e consolidare la
validità della scelta politica del popolo italiano, soprattutto incontrando i
giovani.
Con l’occasione dell’ottantesimo di fondazione dell’Azione Cattolica
(sostenuta dal Papa PIO X ), chiamò i giovani organizzati in quelle file, ad un
raduno a ROMA, nel settembre 1948.
Per otto giorni la città fu invasa da 600'000 “Baschi Verdi”
Era il segno di riconoscimento dei ragazzi di Azione Cattolica..
Il nostro gruppo fu ospitato da una famiglia nei pressi di Piazza Esedra.
Il momento più importante della manifestazione fu l’incontro in Piazza
S.Pietro con il Presidente dell’A.C. Carlo Carretto, e la S. Messa celebrata dal
Papa PIO XII (Eugenio Pacelli). E’ stata una lunga notte!
Una grande manifestazione, che diede la carica ai nuovi governi e ai giovani
stessi ad impegnarsi nella politica, con sani principi.
I giorni successivi sono stati dedicati alla visita di Roma: le chiese, i
monumenti, i musei, le catacombe, i palazzi e le piazze importanti.
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Per noi quei giorni furono di grande importanza nei rapporti nuovi col mondo
che si apriva a nuove problematiche, nella libertà di pensiero di azione, di
conoscenze, di ponderazione e coraggio nelle scelte.
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Questa foto rappresenta un momento di gioia “matura”: la presenza di Don
Piero, tornato per incontrarsi con i vecchi”giovani” del Patronato.
Una soddisfazione intima e incancellabile per tutta la compagnia.
Ha inizio, con questa festa, l’esodo verso scelte che impegnano la vita futura.
La professione, il matrimonio e perciò la futura famiglia.
Una speranza, un desiderio, certezze che si leggono nei loro occhi; la risposta
di un gruppo che dopo aver ricevuto il messaggio cristiano e una preparazione
seria per un inserimento costruttivo nella società, può camminare con passo
sicuro.
Grande merito anche a Don Piero che a loro ha molto dedicato, come
assistente spirituale, attenzioni, consigli ed indirizzi di vita.
Un’altra pagina felice che fa prezioso il nostro Patronato.
I nomi: Prima fila: Giuseppe Perin, Armando Berton, Rino Alessio, Don
Piero. Orfeo Milani, Alfonso Marcon, Aurelio Alessio, Gianni Marin, Carlo
Dallan.
Seconda fila: Cleto Trevisan, Gino Perin, Ugo Parisotto, Roberto Barbon,
Sergio Costeniero, Battista Fantin, Vittorio Parisotto, Egidio Alessio, il “Moro”
Bressan, il “Bianco” Calsina: (Gino Alessio), Albino Marcon, Francesco
Barichello.
Molti anni sono trascorsi, quasi due generazioni.
Tanti amici sono già nonni felici. Ci rivedremo con nostalgia ed un senso di
rinnovata amicizia e riconoscenza.
Una preghiera, un pensiero, agli amici che non sono più tra noi, ma presenti
nei nostri ricordi.
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Castelfranco Veneto 04/05/ 03
Patronato Pio X – Parrocchia della Pieve
Padre Luciano Benedetti
Carissimo Padre Luciano, (per noi, “Santo” è il tuo
nome). E’ stata una sorpresa gradita l’invito a
partecipare alla celebrazione di ringraziamento per
il tuo 50° di sacerdozio.
Presenti fisicamente ed ancor di più spiritualmente
all’avvenimento che rappresenta un punto d’arrivo
dell’attività pastorale ed un passaggio che invita a
ripensare al lavoro fatto in questi anni ed al lavoro
da fare ancora come saggio consulente.
Una foto di 60 anni fa immortala il gruppo di
giovani di Azione Cattolica attorno al suo assistente
spirituale (don Gino Gomiero) e un’altra foto con il
Direttore del Patronato, Don Giovanni Cagnin.
Sono i Giovani Aspiranti (11 anni), insieme con gli
Juniores (15-18 anni) e con i Senior (oltre i 18 anni). In questo gruppo
(s’intravedono in alto Bartolo Sorge, tu e Luigi Trevisan, i tre Padri futuri,
insieme con altri più giovani e più anziani) è stato il
nucleo attivo e preparato dal quale la futura
Democrazia Cristiana, i sindacati e le
organizzazioni sociali hanno attinto per iniziare
un’attività politica e amministrativa, nel comune di
Castelfranco e nei paesi limitrofi.
Intanto il Patronato rinforzava le presenze dei
giovani con l’aiuto di un altro bravo assistente
spirituale; don Piero Salvador.
Si sommano così 20 anni di lavoro con il Gruppo Giovanile.
Oggi, pur non essendo stato tra noi per tutto quel periodo,
poiché avevi già scelto la tua strada, ricordiamo, con te, le
attività di quegli anni, gli assistenti, i giovani che hanno dato
onore al Patronato, alla Parrocchia, al Paes.e Con il tuo 50° di
sacerdozio comprendiamo, onoriamo e festeggiamo anche
loro.Congratulazioni vivissime e auguri per la missione che
ancora ti attende.
Giuseppe Perin
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Duomo di Castelfranco Veneto.
Domenica 21 settembre 2008.
Padre Bartolomeo Sorge
Nel 50° di sacerdozio.
Carissimo amico, Padre Bartolomeo.
Da tanti anni seguiamo il percorso interessante della tua professione
sacerdotale ed oggi partecipiamo, con gioia, alla festa del tuo: 50° di
Sacerdozio, celebrato nella chiesa del Duomo di Castelfranco V. Vogliamo
ricordare, in sintesi, a tutti gli amici del “Patronato “ il motivo della poca
presenza tra noi, negli anni successivi il 1945. Dopo il Ginnasio, sono stati
i diciassette anni di studio, preparazione e formazione, nell’ordine dei
Gesuiti, ad eclissarti dagli amici. L’ordinazione Sacerdotale avvenne nel
1958. La prima S. Messa la celebrasti a Comillas, in Spagna, il 15 luglio
1958 e il 17 a Lourdes, dove la Madonna ti concesse la gioia di celebrare
la S. Messa, di fianco alla sua Grotta e poi nel Duomo di Castelfranco V.
Un impegno immediato ti aspettava, come Vice Direttore della rivista
“Civiltà Cattolica”, che onorasti dal 1958 al 1980 e da Direttore, fino al
1992. In seguito ti nominarono Direttore della Rivista “Aggiornamenti
Sociali”. Nel frattempo, nel 1986, a Palermo era nata la Scuola di Politica
Sociale “Padre Arrupe”. Una scuola di pratica politica, non teoria, (che
tanto ha disturbato la mafia). Hai accettato l’impegno di dirigerla,
soffrendo le minacce di morte e perciò di essere protetto dalla scorta, per
sette anni. La tua grande fede e l’amore per la Madonna, resta per noi
esempio di un cristianesimo vissuto da maestro e guida. E’ un grande
onore esserti amico. Congratulazioni per questo giorno ed un augurio per
altri importanti traguardi. Con affetto e stima, a nome di tutti gli amici del
Patronato.
Giuseppe Perin
47
Castelfranco Veneto 22 marzo 2006
Padre Luigi Trevisan.
Tra gli amici del Patronato, degli anni ’40, sei il
terzo che ha scelto la strada del sacerdozio.
Nella foto di Gruppo del 1942, con il Direttore
del Patronato Don Giovanni Cagnin, ti vediamo
insieme con gli altri due futuri seminaristi:
Bartolo Sorge e Santo (Luciano) Benedetti.
Dopo la vostra partenza, noi giovani, seguivamo
il vostro percorso di studi e di impegni Pastorali,
dai racconti dei fratelli e vostri, nei momenti di
vacanza.
Tutti e tre Missionari: Padre Bartolomeo Sorge,
dell’Ordine dei Gesuiti; Padre Luciano Benedetti,
dell’Ordine dei Carmelitani e Padre Luigi Trevisan,
dell’Ordine dei Verbiti.
Sono stati, per voi, molti anni di studi e di
preparazione, prima d’iniziare il lavoro in
missione. Tu hai studiato nel Seminario di Riva del
Garda (Varone), completando gli studi a Modling
(Vienna), iniziando poi la missione a San Paolo, (in
Brasile), dove sei rimasto per sette anni. Tornato a Varone, sei stato nominato
Rettore del Seminario, incarico durato alcuni anni, per passare poi in una
Parrocchia in Svizzera, a Laufen (Basilea). In quel paese hai svolto anche un
buon lavoro come interlocutore culturale, a vantaggio dei lavoratori italiani, nel
rapporto con il Governo Svizzero.
Nell’occasione del rientro in famiglia, a Castelfranco V.; arrivavi in Piazza ed
entravi nel mio negozio per chiedere notizie degli amici, t’informavi delle
attività del Patronato, rivivendo con gioia i ricordi giovanili.
La tua morte ha colto di sorpresa tutti noi e ne siamo molto dispiaciuti, hai
lasciato però un bel ricordo nel nostro Gruppo e la certezza del segno cristiano,
nell’opera che hai svolto.
Giuseppe Perin
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Domenica 4 Maggio 2003, nella Chiesa di S. Maria della Pieve alla S. Messa
delle 11.15, tutta la Parrocchia ha assistito alla celebrazione del 50° di
Sacerdozio di Padre LUCIANO BENEDETTI, erano presenti anche i suoi due
amici d’infanzia, Padre Bartolomeo Sorge e Padre Luigi Trevisan, venuti ad
onorare l’importante traguardo.
La cerimonia, toccante e partecipata, ha coinvolto specialmente il gruppo di
amici del Patronato del quale i tre Padri facevano parte, ma che la scelta di
entrare giovanissimi in Seminario li ha allontanati per molti anni.
Abbiamo un ricordo fotografico del 1943; sono trascorsi più di 60 anni.
Terminata la Messa è stato offerto un aperitivo nel cortile della Canonica per
dare l’opportunità a tutti di incontrarli, salutarli e, soprattutto, farsi riconoscere,
ricordare i episodi dei tempi passati ed ascoltare le loro impressioni Gli sviluppi
del dialogo sono continuati al pranzo nella trattoria “Alla Speranza”. Erano
presenti:
Armando Berton, Umberto Durante, Tarcisio Andretta, Iseo Marcon,
Giuseppe Perin, Albino e Alfonso Marcon, Sergio Bragagnolo, Luigi Confortin,
Rino Alessio, Rino Giacometti, il fratello Luigi con la moglie, Don Orfeo e Don
Francesco.
Padre Luciano ha ringraziato per la festosa accoglienza, si è trattenuto in
particolare con gli amici d’infanzia, più vicini per età e per ricordi e li ha invitati
a fargli visita nel Santuario di Mantova.
Padre Sorge ha pregato di salutare tutti gli amici del Patronato dei quali egli
serba un bellissimo ricordo.
Padre Luigi Trevisan ha riaffermato la sua soddisfazione per l’incontro e
felice di aver incontrato i suoi “colleghi” sacerdoti, ha potuto finalmente
rincontrare gli amici del Patronato.
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I tre futuri Sacerdoti
Padre Luciano Benedetti
Padre Bartolomeo Sorge
Padre Luigi Trevisan
1943: foto di gruppo in Patronato ( i tre futuri Padri )
Con l’Assistente Don Giovanni Cagnin.
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Padre Bartolomeo e Padre Luciano con gli amici.
Sergio Bragagnolo, Iseo Marcon, Antonio Confortin, Luigi Benedetti, Giuseppe Perin,
Alfonso Marcon, Padre Bartolomeo Sorge, Padre Luciano Benedetti.
(più una parente!)
51
I giovani del Patronato erano molto dispiaciuti, quell’autunno del 1949,
quando furono informati del trasferimento di Don Piero Salvador, il loro
Assistente, al quale erano molto affezionati.
Già, qualche anno prima, erano partiti altri due sacerdoti importanti, per i
gruppi giovanili precedenti: Don Giovanni Cagnin e Don Gino Gomiero.
Sette, otto anni, insieme, partecipando a tante attività formative, spirituali,
organizzative e ricreative, oltre a creare un gruppo d’amicizia, un ragazzino
diventa adulto e, pur amando le novità, il distacco, il cambiamento lo disorienta
L’avvicendamento dei sacerdoti Direttori del Patronato è sempre stata una prassi
normale. Il Patronato è stato da sempre la fucina d’iniziazione dei giovani
sacerdoti.
Dopo alcuni anni sono pronti ad assumere responsabilità maggiori.
Ai primi giorni dell’anno 1950 si è presentato, alla riunione del sabato sera, il
nuovo Assistente: Don Giovanni Brotto
Un giovane prete di bella presenza, dal sorriso accattivante ma, deciso.
Subito alle prime riunioni ha dato l’impressione di portare un “vento nuovo” e
questo i giovani l’hanno capito e accettato.
Raccoglieva l’eredità di un gruppo dinamico ed
effervescente pronto a seguirlo per continuare e
migliorare la via percorsa.
Erano anni difficili ma anche pieni di sogni e di
speranze; la macchina ”Italia” ripartiva.
Venne l’estate e, come di consuetudine, il modo
per dare un premio ai giovani ed avere la possibilità
di continuare il dialogo di preparazione e formazione
sui temi della vita, dello studio, del lavoro con
approfondimento spirituale personalizzato, era quello
di organizzare il campeggio in montagna.
Nel 1952 fu scelta la meta per il soggiornocampeggio in Val Giralba, ad Auronzo.
( nella foto: la Messa al campo)
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Una zona incantevole, contornata dalle
più belle cime del Cadore, un bellissimo
lago, tanto turismo “Castellano” e
“forestiero”,e grande voglia di godere in
serena e responsabile armonia.Per i giovani,
sono stati giorni da ricordare.
Don Giovanni amava organizzare anche
impegnative gite in bicicletta che sono ben
descritte nella parte sportiva del libro.
Alcuni anni dopo divenne Parroco di Paese. S’interessò molto dei problemi
degli agricoltori divenendo Assistente Generale dei Coltivatori Diretti.
Noi lo ricordiamo con simpatia e stima. Molti altri sacerdoti si sono
avvicendati a dirigere nel Patronato, i Giovani di Azione Cattolica, gli Scout e le
attività dei giovani. Tutti hanno lasciato il segno del lavoro spirituale svolto ed il
ricordo di una partecipata amicizia. Li possiamo nominare:
Don Luigi Sabbadin: arrivato nel1947, ancora adesso un nutrito gruppo di
giovani dell’epoca, (ora sessantenni), lo incontrano nel paese dov’è Parroco.
Don Giovanni Gottardi: arrivato nel 1954, per i giovani della generazione
successiva.
Don Virginio Toso: Inaugurò il Bar del Patronato.
Don Orlando Berti: lo vediamo nelle nostre fotografie, molto attivo con il
gruppo dei cantori.
Don Cesare Peretti: Ha ancora un’affezionato gruppo di giovani che ancora
lo ricordano.
Don Lino Nichele, appassionato del canto liturgico, ha animato il nostro coro.
Di lui si ricordano i nostri figli e lo vanno spesso a trovare a Nervesa della
Battaglia, dov’è Parroco.
Don Giovanni Pesce, ora Parroco nella chiesa del Sacro Cuore a Treviso.
Negli anni passati ha fatto un’esperienza di missione volontaria, in una
Parrocchia della periferia di Roma, a servizio dei più umili. E’ tornato molto
provato. In Patronato, si è dedicato alla formazione dei giovani studenti,
istituendo il Centro Studentesco in un momento difficile della tempestosa
contestazione studentesca del ’68. Aiutò i giovani a dare una risposta positiva a
quelle agitazioni. Quel gruppo lo ricorda con simpatia.
Don Umberto Miglioranza. Per le A.C.L.I.e i lavoratori è stato un simbolo.
La sua scuola di base ha dato a molti giovani una eccellente formazione.
Don Lino Pellizzari.Sostituì, nel 1966, Don Umberto e fu di grande aiuto
morale e psicologico per molti giovani in difficoltà.
Gli ultimi due Sacerdoti-Assistenti con domicilio in Patronato furono:
Don Luigi Condotta. Amato e stimato per la sua bontà ed il suo grande
carismo spirituale. Molto attivi e frequentati i suoi corsi di Teologia.
La sua morte prematura, dopo molti patimenti, ha commosso tutto la
popolazione castellana.
Don Alessandro Dussin. Si è distinto per aver coniugato la presenza dei
ragazzi in Patronato mantenendo un costante dialogo con i genitori.
A tutti i nostri Assistenti che si sono succeduti dagli anni ’40 il nostro grazie
ed un pensiero riconoscente per il dono di una presenza che sempre ricordi. In
occasione di un nostro auspicabile raduno gradiremmo incontrarli.
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PARTE SECONDA
L'attività dei Gruppi in Patronato,
negli anni 1946-1986.
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1965. Continua l’attività del Patronato. Una fucina d’idee. I giovani degli anni
’50 sono cresciuti, si sono sposati, sono diventati genitori.
I problemi e le esigenze sono cambiati: ci sono i figli, i rapporti di coppia,
l’educazione e la conoscenza, nei vari aspetti, dei problemi matrimoniali e
morali che vanno dibattuti, studiati e approfonditi.
Don Silvio Favrin, il dott.Giacomo Rossato, con l’apporto dello psicologo
dott. Normani, del sociologo Don Lino Pellizzari e di un gruppo di animatori
promossero il “GRUPPO DEI GIOVANI SPOSI”.
Parteciparono circa 40 coppie.
Ogni esperto esponeva il suo argomento, subito i partecipanti si dividevano in
gruppi di 5-6 coppie e con gli animatori, approfondivano i temi, ponendo dopo,
chiarimenti e domande al relatore, il quale suggeriva accorgimenti e soluzioni.
L’iniziativa è durata diversi anni (una generazione) ed è stata molto
apprezzata dalle coppie di sposi, che hanno frequentato a questi incontri. Ne
parliamo più dettagliatamente nel capitolo dei ”Mercoledì formativi”.
Nella foto, del 1995: le coppie del gruppo degli animatori.
Gianni e Sandra Boldrin, Giacomo e Antonietta Rossato, Giuseppe e Maria
Bruna Perin, Sergio e Leda Corletto, Paolo e Franca Pizzuti, Agostino e Maria
Porcellato, Piero e Paola Parolin, Paolo e Marisa Ceron. L’Assistente Don Silvio
Favrin.
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1986. Sono passati vent’anni dalla costituzione
del“Gruppo Giovani Sposi.
Sono nati i figli. Il Gruppo si è un po’ diradato. Molte
coppie, dei vari quartieri e delle frazioni vicine, hanno portato le esperienze
acquisite in altre realtà consimili.Resta sempre viva però la memoria dei nostri
incontri e dei temi trattati, che hanno lasciato un segno giusto nel modo di capire
e di attuare il senso di famiglia e stimolato nuove e durevoli amicizie.
Non si è perso però il desiderio di incontrarsi, di fare festa insieme.
Possiamo ammirare la fotografia qui riprodotta, scattata sui colli di
Crespignaga di Maser il 1°maggio del 1986; nell’occasione di un’avventurosa
gita in bicicletta, di genitori e figli, percorrendo la Via Aurelia, scortati dall’auto
di Renato Turresendi, avendo come meta, un antico casolare sui colli asolani.
I promotori erano Armando e Laura Berton. Avevano organizzato un vispo
pranzo ecologico a base d’erbe, fiori, radici e poi... ciliegie a volontà stomaco
non si riempiva mai. A menù terminato avevamo più fame di prima. Un
suggerimento lo diede il proprietario della fattoria, lasciandoci approfittare delle
ciliegie rimaste sugli alberi.Ne facemmo una grande scorpacciata.Solo a pancia
piena, giocando a spezzare le grosse e carnose marosticane abbiamo scoperto
che avevano tutte “un bel bianco e vivace vermetto”;(il bisso). Erano ecologiche.
Sembrava un atto di generosità, ma il padrone sapeva che in quei giorni le
ciliegie avrebbero avuto“il bianco abitante”.Gran sorpresa,qualche” smorfietta” e
tanta allegria! E’ stata una simpatica gita.
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Grande importanza, nello sviluppo del dialogo con i
giovani,i genitori ed in generale con le famiglie, le interessanti
riunioni del “mercoledì”che si tenevano nella sala grande del
Patronato negli anni ’ 80.
Molti erano i partecipanti dato l’interesse degli argomenti
trattati. Era autogestita, ognuno portava il contributo delle sue esperienze, se gli
argomenti lo esigevano venivano invitati degli esperti che chiarissero e dessero
risposte esaurienti, animando il dibattito.
L’iniziativa è stata promossa dal dott. Giacomo Rossato e dal Gruppo Giovani
Sposi. Questi alcuni temi esposti e i relatori:
Don Lino Pellizzari (sociologo):
Il matrimonio
Il carattere e la personalità dell’individuo
Il rapporto e l’armonia coniugale.
Sessualità umana (fisica e psichica).
Paternità e maternità responsabile.
Educazione morale e religiosa dei figli.
Autorità e autoritarismo.(indicazione di un modelldi vita)
Revisione di vita,(vedere, contemplare, ascoltare).
Don Gianni Moreschini (moralista):
Innamoramento (conoscersi,accettarsi, aiutarsi).
Matrimonio e generazione,(fidarsi,affidarsi,confidarsi).
Etica e Morale
Prof. Populin ((Psicologo e Neurologo):
“Conoscere i bambini”( da zero a quattordici anni).
Partecipazione alla vita attiva, gioco e apprendimento
Autorità, regole, desideri, presenza dei genitori.
Don Orfeo Gasparini (Parroco della Pieve):
“Concetto di fede e di rivelazione.
La partecipazione a molti di quegli incontri di Don Lino Pellizzari, sociologo
e attento osservatore dell’evoluzione dei comportamenti dei giovani, in un
momento particolare di grandi contestazioni (1968), che avrebbero spinto a
cambiamenti nel rapporto con le famiglie, con la scuola, con la società e nei
futuri orientamenti politici, entusiasmava l’uditorio.
Nella ricerca del proprio “IO”era sempre presente una visione cristiana della
vita, improntata in una morale onesta e altruista.
Molta attenzione era riservata al mondo che ci circondava, riferendosi ai primi
arrivi di immigrati del terzo mondo, di culture e confessioni diverse.
I dialoghi di Don Lino erano presentati, nella loro serietà, chiarezza e
importanza, in modo piacevole e scanzonato. (Un vero attore comico).
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Per dimostrare le difficoltà, per gli stranieri non cristiani, di capire e recepire
oltre alla lingua anche i nostri riti più importanti, come la Santa Messa,
raccontava la storiella della:
“BARETA”(il cappello a tricorno dei sacerdoti):
“Due amici stranieri, appena arrivati in Italia, passando davanti ad una Chiesa,
vedono che molte persone si affollano per entrare. Uno dei due dice: Voglio
andare a vedere cosa succede, tu aspettami al Bar.
Dopo circa un’ora torna dall’amico e racconta, con malcelata irritazione,
quello che ha visto e capito:
“Sono entrato in una sala grande piena di gente,erano tutti seduti e in
silenzio.Si notava, in fondo, una tavola preparata con la tovaglia e, forse, cose da
mangiare.
Suona una musica; da una porta entrano due persone, una grande vestitala da
festa, con in testa un cappello a tre corni ed un giovanetto vestito di bianco.
Tutta la gente si è alzata in piedi, abbiamo visto che l’uomo grande ha
consegnato al piccolo “la bareta”, che subito è andato a metterla dentro un
armadio.
Non deve essere piaciuta questa mossa al più grande, perché subito si sono
messi a discutere tra loro a voce alta. Io non capivo la loro lingua ma intuivo la
insistente domanda: “Dove zela la me“bareta”ed il piccolo rispondeva:
“No la go vista”.Allora si sono messi a cercare sopra e sotto la tavola, a
leggere sui libri dove potrebbero cercarla; niente da fare.
Si girava spesso verso la gente con le braccia alzate :”Gavio visto la me
“bareta?”, Noo!!!, dicevano. Ha fatto poi un lungo discorso sull’assoluto bisogno
della “bareta”e li ha invitati a prendere provvedimenti.
Allora si sono messi d’accordo di comprarne uno di nuovo.
Il più giovane è passato, con una borsa, a raccogliere i soldi.
Tutti erano contenti.,La borsa era piena. Si è inchinato e ha detto”Grazie”,
hanno risposto in coro:”prego”e si sono messi a cantare pieni di gioia.
Improvvisamente il giovane,con una mossa fulminea ha tolto il cappello
dall’armadio e lo ha consegnato al suo socio e con la borsa dei soldi e sono
spariti. Nessuno ha protestato, non si erano accorti dello scherzo.
Io che ho visto, ho considerato il fatto come un grande imbroglio.
I due prosegirono sconsolati. Sorrisero, quando chiesero spiegazioni e
capirono il senso ed il valore della cerimonia. Chissà come avremmo interpretato
noi i loro riti e le loro tradizioni? Sono passate quasi due generazioni, quanti
cambiamenti! L’Italia è diventata un crocevia del mondo.La presenza di
immigrati tocca, in Italia, la soglia dell’otto per cento.Tra qualche anno saranno
loro ad imporci le loro tradizioni...e..anche di più!L’esperienza degli incontri del
mercoledì è stata molto positiva, per chi li ha frequentati.
Un utile approfondimento in vista di scelte e problematiche future-
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Il Patronato, punto di riferimento di
tante attività associative a carattere
organizzativo, spirituale,
sportivo e ricreativo, negli anni 1940-’60 era tutto un
fermento d’iniziative che impegnavano giovani e
anziani. Gli anni del dopoguerra però mostravano segni
di malessere, sofferenza e difficoltà materiali,in una
parte della popolazione:gli ammalati e i poveri.
Sensibili a questo problema, un gruppo di persone che frequentavano il
Patronato e altre provenienti da diverse Parrocchie, istituirono le:
“CONFERENZE DI S. VINCENZO DE PAOLI”.
Il Santo e, tuttora moderno, Parroco francese, nato a Pouy nel 1581 e morto a
Parigi nel 1660, che dedicò la sua vita nell’assistenza e aiuto, agli innumerevoli
poveri di quel tempo, agli appestati, ai condannati al remo nelle galee, agli
ammalati e ai poveri a domicilio;egli fondò nel 1600, la Congregazione dei
Lazzaristi Missionari e le Dame di Carità. Il suo messaggio era:
“ Avete diritto di vivere e di vestirvi: tutto il resto appartiene ai poveri”.
Seguendo i suoi principi, Federico OZANAM (1813/1853), nel 1833, con altri
sette studenti Universitari, fondò la Società S. Vincenzo De’Paoli uomini e le
Dame di Carità. Lo stesso OZANAM, diventato poi scrittore e filantropo, lasciò
in un suo scritto il vero motivo di questa iniziativa:
”Si, indubbiamente, è troppo poco consolare l’indigente che soffre, giorno
dopo giorno. Bisogna mettere mano alla RADICE DEL MALE e tramite leggi e
riforme, ridurre le cause della miseria pubblica, prima in Francia, poi nel
mondo”.
Si può affermare che, oggi, in ogni Nazione è presente la Società di S.
Vincenzo De Paoli. In Italia iniziò i primi passi a ROMA nel 1842.
A Castelfranco fu costituita: il 26 Giugno 1941.
Il primo Presidente ( pro-tempore), fu il Pretore Francesco Boldon Zanetti.
Nella seconda riunione del 17 Luglio 1941, alla presenza dei Parroci del Duomo
(Don Mario Paccagnan) e della Pieve (Don Angelo Baldan); fu eletto Presidente,
per acclamazione, il Cav. Vittorio Ferrazzi, (direttore della locale Banca
Cattolica), un uomo di grande bontà, generosità e operosità.
Il Vice e il segretario furono rispettivamente: Bruno Campanaro e Luigi Prior.
Degli altri componenti ricordiamo: Carlo Magoga, Nino Acoleo Bruno Sagui,
Gimo Roncato, Mario Boni, Angelo Favaron, Achille Stradiotto, Evellio
Giacomazzi e tante altre persone generose e disponibili.
Tutti seguivano con costanza le riunioni del martedì sera, per coordinare gli
aiuti da dare alle famiglie e alle persone segnalate, organizzare con il gruppo
l’assistenza, le visite a domicilio, la consegna dei “buoni” da spendere, nei
negozi convenzionati per l’acquisto di generi di prima necessitPresso le Suore
Canossiane fu istituita anche la mensa del Povero e i pranzi per le feste più
significative, (S. Natale, S. Pasqua).
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La raccolta dei fondi necessari avveniva, ed è tuttora praticata, in vari modi:
Con donazioni di cittadini generosi, la raccolta annuale alle porte del cimitero
nei giorni dei Santi e dei Morti, (1 e 2 novembre); alle porte delle Chiese nelle
feste importanti e con l’offerta settimanale dei partecipanti alle riunioni, fatta in
forma anonima, passando la borsa di mano in mano.
Nei primi anni il gruppo era numeroso (fino a trenta persone), ora il numero è
diminuito, col sorgere di molte altre iniziative parallele, che hanno assorbito
forze giovani.
Questa spontanea, attiva, generosa e nascosta, forma di volontariato, negli
anni passati ed anche in questi tempi, ha dato aiuto e conforto a molte persone in
momenti di difficoltà.
Dai verbali del 1954 riportiamo un rinnovamento del gruppo dei partecipanti e
del direttivo:
Presidente, Bruno Campanaro. Segretario, Luigi Prior.
Tesoriere, cav. Vittorio Ferrazzi.
E i soci:”Antonio Schiavinato, Armando
Berton Giuseppe Antonello, Giuseppe Perin,
Gino Perin, Guido Ballan, Cleto Trevisan, Albino
Marcon, Egidio Guidolin, Ubaldo Menegotto,
Doris
Benetti,
Davide
Bortolin(Ginetti),
Armando Bazan, Romano Basso, Giancarlo
Bordignon, Bruno Acoleo, Egidio Alessio,
Giuseppe Parisotto, Bruno Calvi, Amelio Baroni,
Roberto Barbon”, e molti altri giovani. Fu un
periodo d’impegnata partecipazione e solidarietà.
I giovani del Patronato, assieme al Gruppo del
Duomo, sensibili ai problemi dei più deboli e
poveri, si distinsero anche in questo campo.
In questi ultimi anni l’attività e la partecipazione alle Conferenze della S.
Vincenzo De Paoli, sia maschile sia femminile, si è un po’ spenta, col
sovrapporsi della CARITAS, un organismo promosso dalla S. Sede e istituito in
Italia nel 1971 con lo scopo di organizzare aiuti a Paesi in gravi difficoltà di
natura economica, sociale e politica
Hanno proposto la fusione con le Dame di Carità; un tempo dirette dalla
signora Luisa Dalla Palma e coadiuvata dalle signore: Anna Maria e Sara
Rapisarda, Anna Maria Bianchi, Fausta Calzavara, Livia Giacomelli Barbiero,
Alice Calliari (ultima responsabile dopo la morte della Presidente) ed altre
signore.
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Idee, iniziative, attività, nate e cresciute in Patronato con
l’apporto generoso dei suoi giovani, hanno lasciato e tuttora
lasciano, un segno positivo nel paese. Il piccolo gruppo
rimasto, guidato fino a qualche tempo fa, con grande
dedizione, dal geom. Armando Bazan,
collaboravano con lui: Guglielmo Campalani,
Giorgio Tonietto e pochi altri. Nell’attesa di
ristrutturarsi, ora chiamano a partecipare
nuovi volonterosi
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Rino Alessio, in “Centro--Africa”.
Gigi Marise, nei Monasteri d’Italia.
Dott. Giacomo Rossato, in Brasile.
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I Volontari all’estero, 1990 - 2006
Il“Patronato”, fucina d’idee, di formazione, d’iniziative
generose e altruiste realizzate dai ragazzi e uomini che lo
frequentano.Tutto lo slancio e l’ardore che nella giovinezza
era dedicato e speso nello sport: scalate in montagna, gite in
bicicletta e nelle impegnate riunioni formative, di
riflessioni, si è tramutato per molti, in desiderio di donare
tempo e professionalità a chi ne ha più bisogno, ritagliando il
tempo delle ferie o qualche ora libera.
Molte sono le attività alle quali donano il loro tempo, la loro professionalità
con grande spirito di servizio. Tante sono le persone che dovremmo nominare e
ringraziare per questa dedizione.La maggior parte lo svolge in Parrocchia,in
Patronato,nel quartiere,in qualche città d’Italia, ma qualcuno sceglie di portare il
proprio contributo in qualche villaggio sperduto del mondo dove i Missionari
operano e ritengono prezioso un aiuto qualificato.I racconti dei nostri amici che
hanno svolto quest’ammirevole servizio ci stimola a considerare con realismo la
loro generosità e trovare anche noi il tempo per donare qualche ora al nostro
prossimo più in difficoltà.
E’interessante il racconto di Rino Alessio (classe 1929),presente in Patronato,
con noi,da quando è iniziata la nostra storia(nel 1938) e già protagonista come
sportivo nella squadra di calcio.Lo ricordiamo nel ruolo di ala sinistra dallo
scatto bruciante e dal tiro micidiale da posizioni impossibili come gli angoli del
cortile pieni di sassi e buche
Un forte e bravo muratore. Una vita spesa per la famiglia. Una presenza attiva
nella società e con gli
amici,sempre disponibile a
dare il suo aiuto. Ancor più
dopo il pensionamento.
La vita non si ferma; è
arrivato il tempo di dare di
piSi guarda attorno, sente che
qualcuno chiama:
”Vieni ad aiutarmi?”.
Lui risponde: Si!
Sentiamo il suo racconto:
La Cattedrale di Buar.
Centro Africa. “La voce è
arrivata attraverso un articolo
del “Gazzettino”, nel 1990, da parte dei Padri Cappuccini di Genova (Casa
Madre). Cercavano muratori per costruire una Cattedrale in Africa.
Dopo una riunione in famiglia e un ponderato calcolo della spesa,(il costo del
viaggio e delle varie incombenze sanitarie era di circa 600.000 lire), decisi di
partire.Otto giorni di viaggio e tre mesi di permanenza.
La meta era la Repubblica di Centro Africa (ex Congo Francese) nella
Missione di Bouar sede del Vescovo Armando Gianni.
65
La Cattedrale da costruire era un edificio ottagonale di circa
2500 mq, un lavoro abbastanza impegnativo, da eseguire con
mezzi ancora primitivi rispetto ai nostri, col personale pieno di
buona volontà ma una carente preparazione; inoltre bisognava
farsi capire più con i gesti e con la dimostrazione materiale dell’esecuzione del
lavoro, dato che il loro dialetto è incomprensibile e la lingua ufficiale è il
francese. Nonostante le tante difficoltà, il risultato è stato ottimo.
L’anno dopo mi fu destinata la Missione di Malgarò. Dovevamo costruire una
scuola. Il parroco ha molto apprezzato il nostro
lavoro cosicché essendo nominato Vescovo di
Berberati, (una zona di assoluta povertà), ci
invitò ogni anno nel suo villaggio. Un anno
venne anche mia moglie Sofia, si è resa molto
utile in quella comunità.
Molte persone generose, sensibili ai miei
racconti ed alle testimonianze fotografiche,
contribuirono con offerte cospicue in aiuto dei
più poveri. In quel paese la paga è di
due”sefa”al giorno (pari a tre Euro), ma chi ha
il lavoro è contento perché per gli altri è
miseria
Il mio gruppo di lavoro era formato da dodici uomini.
Mi sono adoperato affinché imparassero l’arte del muratore ed ho avuto la
soddisfazione di vedere tre miei operai diventare imprenditori.Per dodici anni
sono andato in Africa e ancora adesso ne provo nostalgia.Abbiamo costruito tre
chiese, una scuola femminile, il vescovado, l’ospedale e visitati villaggi e savane
aiutando e consigliando gli abitanti più indifesi.Abbiamo avuto anche le nostre
avventure, per curiosare nella foresta.Un giorno ci ha inseguito un elefante;
fortunatamente la guida ci ha fatti fuggire con tempestività.Porto nel cuore dei
bellissimi ricordi, un’esperienza positiva in un paese povero ma dove la
popolazione è laboriosa, intelligente e riconoscente
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Rino Alessio e i lavori in corso a Berberati
Otto giorni di viaggio per arrivare a Berberati.
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E’ stata una sorpresa, o di volontariato con Luigi
Marcon, (per noi Gigi Marise), sapere che lui
assieme ad altri tre amici, da 25 anni stanno
facendo volontariato in giro per l’Italia, mettendo a
disposizione ognuno la loro professionalità di
idraulico, elettricista, muratore, falegname.
Uno staff d’intervento al completo.
Alla domanda di come programmano i loro
aiuti,chi li propone,dove si svolgono, lui spiega:
“Il nostro gruppo di lavoro, stabilito il tempo
disponibile, lo comunica ai richiedenti che stanno attendendo il nostro aiuto.
Da qualche tempo siamo chiamati ad operare nelle Certose Benedettine.
Suor Rosanna,(una suora di origine friulana), dalla Certosa di Dego di Savona
ci ha invitati sia a Savona che nella Certosa di San Bruno in Calabria ed anche
nella Certosa di Vedana nel bellunese. Abbiamo risolto molti problemi, riparato
guasti, proposto soluzioni migliorative con tempestività, dedizione col preciso
desiderio d’essere utili, senza pensare a riconoscimenti, gratificazioni o forme
pubblicitarie.
L’affiatamento, l’amicizia, le motivazioni che ci accomunano danno un senso
più completo alla nostra visione del modo di vivere e di dare a chi ha bisogno.
Rappresentiamo un po il Veneto perché siamo di Castelfranco V°, Mestre,
Feltre e Fonzaso
Il Priore di Dego ci ha richiesto la possibilità d’altre prestazioni volontarie che
noi molto presto onoreremo.
E’ bello constatare le reazioni positive, quando raccontiamo agli amici le
nostre esperienze.Sono iniziative contagiose; un gruppo di castellani ci ha
chiesto di unirsi a noi per essere utile e dare il loro contributo.
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Ci sono tante persone, nelle
nostre contrade, che si dedicano
all’assistenza
ai
malati,
ai
poveri,agli
handicappati,
agli
infelici, ai bambini abbandonati e a
chi chiede aiuto. Un mondo
sommerso meraviglioso di volontariato. Ma ci sono Paesi e
Nazioni nel mondo che soffocano e muoiono nell’indigenza, nella miseria, nella
fame e dalle più banali malattie dovute alla carente igiene e alle malsane
abitazioni.Molte organizzazioni mondiali sono interessate a questo
problema.Tante persone si sono rese disponibili, specialmente missionari, suore,
medici, infermiere e volontari, per un periodo di servizio nei posti più lontani e
disserviti del mondo. I loro racconti sono pieni di situazioni allucinanti, di supine
accettazioni, di attese d’aiuto e soprattutto di stimolo a fare di più.
Una contagiosa frenesia di aiutare i più miseri a risollevarsi.Uno dei nostri
amici, tra i tanti che potremmo citare, che stimolato dalle numerose
testimonianze dei missionari, si è interessato ed ha agito con generosa
professionalità è il dott. Giacomo Rossato.
I primi aiuti furono verso la vicina Albania, negli anni più difficili di quello
Stato dopo lo sfascio del comunismo cinese che lì imperava.Il contatto era dato
dalle suore di Valona che chiedevano medicine, strumenti, finanziamenti e,
possibilmente la presenza di qualche medico.
Interessando le case farmaceutiche, le ditte produttrici, le persone più sensibili
e generose; partirono i primi carichi delle preziose e attese richieste,
accompagnate dalla sua partecipata presenzaUn’assistenza che ancor oggi si
ripete.Nel tempo, un altro angolo del mondo pieno di bisogno, amore concreto e
carità efficiente, chiama dal nord-est del Brasile e il Dott. Rossato parte e và.Per
capire e saperne di più sui motivi di questa scelta chiediamo
Brasile. Nord-est. Tramonto sul mare.
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- Come mai hai scelto di andare in missione in Brasile?
“L’esperienza brasiliana è stata fortuita. Un amico e coetaneo, Missionario in
Brasile, Don Luigi Cecchin di Galliera Veneta, nel 1999 ha celebrato il 50° di
Sacerdozio e per l’occasione mi ha invitato nella sua missione nel nord-est del
Brasile a Limoeiro (Pernambuco) una cittadina di 60.000 abitanti a 120 km da
Recife, la capitale, che si trova nella costa.Un mondo tutto nuovo, da
sperimentare. A parte i disagi del viaggio per arrivare sul posto
Il clima diverso, l’ambiente infelice, l’impressione maggiore fu,quando don
Luigi mi portò a visitare le case (.. si fa per dire..) di alcuni bambini che
frequentavano il “Centro di Formazione per Minori” da lui diretto e che allora
accoglieva più di 500 bambini e ragazzi fino a 18 anniUna realtà sconvolgente, è
il caso di dire: cose dell’altro mondo!Terre ingrate, poco piovose, senza acqua da
bere, la portano con i camion, le case nella favela sono fatiscenti, una grande
povertà ma, ospitali e generosi”.
-Un impatto traumatico, pur nella festa, poi però sei tornato?“Non avrei mai
pensato di tornare, se don Luigi non mi avesse parlato di un altro Missionario,
Padre Enzo Rizzo (nativo di Tribano- Padova), parroco di Tamandarè, distante
qualche decina di km. da Limoeiro.Si trovava all’ospedale italiano, gravemente
ammalato, per aver contratto una malattia infettiva. Fu assistito dalle suore che
dirigevano un asilo secondo il “Progetto di Solidarietà, voluto da Padre Enzo.
A gennaio del 2000 morì, lasciando la Parrocchia ad un Diacono: Padre
Marcos. Padre Luigi mi chiamò, invitandomi a dare una mano a quella comunità
Nel frattempo in Italia un
gruppo di familiari e amici di
Padre Enzo costituirono un
comitato per sponsorizzare il
“Centro di Solidarietà P.
Enzo Le donazioni, le
adozioni a distanza, i
contributi delle banche,
servirono a far partire i
progetti di costruzione del
Centro d’accoglienza per
400 ragazzi”.
Limoeiro - Un gruppetto di volontari con Padre Luis:
Paola e Piero Parolin, Antonietta, la cuoca,
la direttrice del Centro e il dott. Giacomo Rossato.
- Sei partito da solo?
“Per grazia di DIO si unirono altri amici del Patronato, altri castellani e
persone dei dintorni, anche coppie per aiutare, sia sotto il profilo sanitario che
organizzativo, economico gestionale, per la preparazione del personale e per l’
insegnamento della lingua italiana (molto richiesta).
I risultati, pur sudati, furono entusiasmanti e gratificanti.
Un mese di gran lavoro proficuo.
70
Riuscire a sottrarre in qualche modo e per un po’ di tempo, una moltitudine di
bambini e adulti dalla denutrizione, dalla cattiva igiene,dalle infezioni e dalle
infestazioni che una grande povertà dei “senza terra”, drammatizzata dalla scelta
delle multinazionali di automatizzare il taglio della canna da zucchero, unica
fonte di lavoro per gli uomini, aiutandoli a sopravivere è già una cosa grande ma
è come una goccia nel mare”.
- Questo lo avete fatto in un mese e gli altri undici mesi cosa mangiano ,
come si curano?
“E’ una domanda alla quale rispondo con un senso di soddisfazione.
Con l’arrivo delle suore a dirigere il Centro siamo riusciti a convincere la
Prefettura locale ad organizzare la presenza gratuita di medici della zona,
assicurando il servizio per tutto l’anno.
Questa esperienza ci ha coinvolto ed entusiasmati convincendoci di tornare
per diversi anni. Tutti sono concordi che è stato fatto un gran lavoro per quei
bambini, ma tanto ne resta da fare perché quella comunità si renda
autosufficiente.
Donare tempo professionalità ed affetto è un atto d’amore.
Ricordando la gratitudine dei
bambini, i componenti del gruppo
del Volontariato li pensano con
nostalgia.
Nelle Scuole dei Centri,
bambini e ragazzi studiano e
lavorano nei laboratori di cucito,
falegnameria,
meccanica,
computer con la guida di Padre
Luis e i suoi assistenti. Trovano
anche il tempo di preparare
piccoli lavoretti da offrire ai
turisti in cambio di pochi “Real”.
71
Il grande cambiamento in Italia, dopo la fine della guerra,
1940/45, hposto nel tappeto i grandi problemi della
ricostruzione sia materiale che politica, psicologica e mentale degli italiani.
Finito l’impegno gravoso e senza futuro degli anni del servizio militare per i
giovani e la produzione d’armi e attrezzature per la guerra nelle varie fabbriche,
bisognava programmare la produzione di prodotti e servizi per gli anni di pace,
prospettando un nuovo futuro da scoprire, studiare,copiando ed imparando dai
paesi emergenti.
Deprogrammare le fabbriche, inventare posti di lavoro creando futuri bisogni.
Ci furono vent’anni di grande vitalità produttiva (anche se non sufficiente a dare
lavoro a tutti, ecco il motivo della grande emigrazione degli anni ’50-60).
Grandi masse di lavoratori si spostarono sia nel nostro territorio sia verso
l’estero. L’Italia risanò le sue ferite per la forte volontà di tutti.
Si lavorava dall’alba al tramonto; non contando le ore.
Sfruttando quest’ansia di lavorare, per vivere e crearsi una vita migliore, si
finiva, a volte, di sconfinare nello sfruttamento del lavoratore o quantomeno
nell’ingiusto salario
Non esistevano contratti adeguati, rispetto dei tempi lavorativi,norme sulla
sicurezza, certezza di continuità di lavoro:arrivarono i primi scioperi organizzati
dal sindacato. Lotta al capitalismo)
Allo sfruttamento! Al diritto al lavoro!
Dal 1945 il Sindacato Unitario era composto da lavoratori di diversa
espressione sociale: comunisti e cattolici, insieme.
Nel 1948 avvenne la scissione e fu costituita la CISL, composto in buona
parte da iscritti e attivisti del Movimento delle ACLI, poi accettato anche dalla
Chiesa.
Il problema si presentò più come approfondimento, studio e preparazione ai
diritti e ai doveri delle due parti, operai e datori di lavoro,che della protesta per
rompere i rapporti con la controparte.
Già nel 1945 era sorto il movimento dei lavoratori cattolici chiamato A.C.L.I.
(Associazione Cattolica Lavoratori Italiani), in un periodo burrascoso della storia
italiana. Era il primo tentativo, organizzato dai cattolici italiani, per risolvere i
problemi sociali alla luce della dottrina cristiana.
Tra i vari movimenti che si svilupparono allora, l’A.C.L.I. ha scelto, come
scopo fondamentale, quello di formare la dignità dell’uomo operaio,
indirizzandolo con idee, esperienze, coraggio, verso una maggior
consapevolezza del proprio stato, dei diritti e doveri, visti sotto una luce morale
cristiana.
Inizialmente dimostrarono una grande forza, convincendo i lavoratoricristiani
ad aderire al nuovo sindacato, subito il movimento diede vita a forme
cooperative ed attività che aprisse a nuova mentalità d’azione.
-Questo è successo in Italia, ma a Castelfranco quale ruolo ha avuto il
movimento A.C.L.I. Quali rapporti esso aveva con il Patronato?.
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Erano trascorsi alcuni anni dalla proposta di Don Giuseppe Carretta,
promotore del nuovo movimento nel mandamento di Castelfranco.
Sostenuta dall’On. Domenico Sartor e con l’apporto importante di un gruppo
impegnato di giovani del Patronato, (ricordiamo Angelo Favaron, Armando
Bazan, Carlo Brustolon, Albino Marcon, Pericle Graziotto, Egidio Guidolin e
tanti altri). Lo spirito che animava l’associazione ebbe slancio nel 1950 con il
nuovo assistente, Don Giovanni Brotto, che iniziò un lavoro di organizzazione e
programmazione. La strada scelta era importante e sentita.
L’arrivo nel 1955 di Don Umberto Miglioranza, nella sua figura di
Cappellano del lavoro ed assistente spirituale, con chiare idee e grande carisma,
diede vita a nuove iniziative, alle quali molti giovani aderirono.
Per capire le motivazioni che hanno convinto Don Umberto a scegliere questa
strada impegnativa; citiamo alcuni brani del capitolo”Le ACLI Castellane 1955”,
tolte libro”Vedelago” del prof. Lorenzo Morao.
“Nel 1952 il Papa Pio XII, parlando della pace e della ricostruzione del
mondo, pone dei problemi sulla società democratica e propone delle direttive:
“Scuotere ogni torpore che ci avvolge, impregnando di senso cristiano tutti i
campi della nostra vita”.
La Chiesa è dalla parte dei lavoratori. Ci vuole un nuovo sviluppo economico
europeo.
“La lotta di classe non serve gli interessi dei lavoratori”.
Invita perciò a preparare dei preti per inviarli tra gli operai affinché possano
promuovere una pastorale adatta a quegli ambienti.
La Diocesi di Treviso, nel settembre del 1955, mise a disposizione tre preti,
tra i quali Don Umberto Miglioranza ( da mons. Giuseppe Mattara di Vedelago),
che fu assegnato nella zona di Castelfranco.
Racconta Don Umberto: ”A quel tempo ero cappellano a Salvatronda e mons.
Mattara veniva, con l’autobus, a trovarmi e poi preferiva che lo accompagnassi a
piedi fino a Vedelago, per parlare dei problemi futuri che riguardavano non solo
gli operai ma anche le cooperative, i locali per incontri e ricreazione; tutto in
funzione dell’uomo cristiano, non solo nella Chiesa, anche nella società e nella
politica.
Uscire dalla Canonica e dalla sacrestia, andare in mezzo al popolo.
Uomini tra uomini. Per dare un segno che tutti erano amati.
Una strada nuova da percorrere, da affrontare.
Da quest’obiettivo sono nate tante iniziative.
I laici pretendono un Magistero autonomo. Il miraggio socialista ha il suo
fascino e ci sono anche i delusi dell’esperienza politica dei cristiani
.E’compito delle ACLI svolgere una grande azione informativa ed
educativanella realtà sindacale e politica, aiutando a trovare la strada della
solidarietà e della cooperazione
Si è sentito il bisogno non solo di salire sul treno della gente ma anche di
guidarlo”.
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In quel periodo (1956/69) il Dott. Giacomo Rossato ricoprì la carica di
Presidente. Chiediamo, nel ricordo, il suo pensiero:
- Dottor Rossato, com’erano le A.C.L.I in quegli anni ?
Nate in un ambiente rurale rapidamente cambiato in società operaia, con tutte
le implicazioni che via-via emergevano: I rapporti in azienda, con l’ autorità,
l’istruzione, il sindacato, l’incertezza del lavoro, la congiuntura, le condizioni
dell’agricoltura, ecc.
Ricordo di essere stato invitato dal geom. Armando Bazan a partecipare agli
incontri dei soci nel 1956; allora lavoravo come anestesista nel vecchio ospedale.
Gli incontri avvenivano in una stanzetta un po’ misera, vicino al Duomo ma,
ricca spiritualmente. Don Umberto era un vulcano d’idee, di iniziative alle quali
non si poteva dire di no, dato che si trattava di portare l’operaio ad essere
consapevole sia della sua azione che della sua dignità.
Mi resi conto che a Castelfranco il gruppo ACLI era l’associazione più
organizzata, più aggiornata nei problemi formativi della società operaia e della
persona. Discorsi difficili da accettare in fabbrica, erano considerate cose da
preti, una specie di “Azione Cattolica”.
- Essere movimento di pressione, verso quali
ambienti?
- Quali argomenti trattavano, nella” Scuola di
base”?
Premesso che la nostra preoccupazione maggiore era
che prima di tutto, l’iscritto, avesse le idee chiare sulle
finalità del movimento.
Solo così potevamo essere, nel mondo del lavoro,
punto di riferimento ed aiutare a risolvere i loro problemi.
Un’azione di vero apostolato.
Naturalmente il lavoro più impegnativo era nei
confronti dei giovani per aiutarli prima a crescere
moralmente e intellettualmente affinché potessero diventare adulti e uomini
liberi, capaci di ragionare con la loro testa ed essere preparati all’inserimento
nel movimento Sindacale,nella Comunità, nelle Amministrazioni Comunali e,
con maggior consapevolezza, nel loro mondo del lavoro.
Per questo è maturata l’idea di una scuola di formazione dove riportare i
problemi più difficili, farne oggetto di studio,di ascolto di riflessione.
Per raggiungere quest’obiettivo era urgente realizzare la proposta che
riguardava l’organizzazione interna, interessando le persone più sensibili, sentita
la base, per il rinnovo delle cariche sociali.Era l’anno 1964, in quelle riunioni
importanti e decisive molti furono i partecipanti; tra i presenti ricordiamo:
Giacomo Rossato, Armando Bazan, Vittorio Stangherlin, Eugenio Lazzaron,
Armando Berton, Angelo Favaron, Renato Turresendi, Albino Marcon, Livio
Frattin, Maria Antonello, Sergio Corletto, Umberto Durante, Piero Guizzon,
Florio Menegon, Bruno Campanaro, Gianfranco Corletto, Vittorio Sarfati, Bruno
Brunello, Sergio Concolato, Luigi Prior, Gino Perin, Guido Ballan, Luigi Ballan,
Giuseppe Baggio,..e tanti altri!
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I primi undici di quest’elenco furono eletti e formarono il Consiglio Direttivo
che si riunì e distribuì gli incarichi:
- G. Rossato: (Presidente). Scuola e Gruppo giovanile.
- A. Bazan: (Vice). Famiglie.
- A. Favaron, B. Brunello: Gruppo di lavoro per la Zona.
- F. Menegon, A. Berton: Zona e scuola.
- E. Lazzaron: Nuclei di fabbrica.
- A. Marcon, Turresendi: Gruppo giovanile.
- V. Stangherlin, M. Antonello: Gruppo femminile.
- Sergio Corletto, Don Umberto Miglioranza: Segretario
Con il novo Consiglio iniziarono gli approcci con i vari circoli di Zona, in
risposta agli accordi fatti già nel 1961.
Iniziò così il primo
corso della Scuola di
Base, nel 1964/65, con
il programma che sotto,
esponiamo.In seguito il
Consiglio prese la
decisione di riprendere
la pubblicazione del
giornale “L’Uomo nel
suo lavoro” che era
stato sospeso per otto
anni dalla Presidenza
Provinciale per farne
uno d’interesse più
allargato con risultato
non soddisfacente. Pubblichiamo qui anche qualche articolo dei giornali delle
ACLI femminili (Problemi Nostri).
- 1966. E’ l’anno che ricorda la partenza di Don Umberto. Perché?
Don Umberto fu nominato Parroco di Spinea dal Vescovo Mons. Mistrorigo.
Per tutti noi fu un momento difficile. Lo ritenevamo un punto di riferimento
fondamentale, nel mondo operaio della nostra Zona e della Provincia.
Tante cose cambiarono, pur mantenendo vive tutte le iniziative.
Certamente anche per lui il distacco fu molto doloroso.
Lo ricorda una lettera che mi scrisse dopo la sua partenza.
- Arrivò il nuovo Assistente “Don Lino Pellizzari”, quale fu l’impatto?
Bisogna ammettere che inizialmente ci fu uno sconcerto; lui aveva un altro
tipo di personalità che non conoscevamo, ma soprattutto perché non era
introdotto nel mondo operaio, come Don Umberto. Indubbiamente era un
personaggio di grande talento.
La sua impostazione apostolica era molto legata alla specializzazione in
psicologia e quindi di formazione del singolo. Molti giovani furono da lui aiutati
con dialoghi e consigli importanti per loro. Con il suo carattere allegro e la
battuta arguta, da vero attore, suscitava attrazione ed interesse in tutti gli incontri
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ai quali era invitato; nelle scuole, nei corsi di orientamento, con i fidanzati, con
gli sposi. In tutta la Diocesi. Merita leggere la sua lettera di presentazione scritta
nel nostro giornale, con la sua foto: Don Lino Pellizzari, operò tra i giovani fino
al 1970, poi Don Piergiorgio Bruffato e Don Luigi Condotta con Don Alessandro
Dussin. Sono stati dieci anni di vera scuola formativa. Nel tempo questa scuola
ha risposto con equilibrio ai problemi dei lavoratori che l’hanno frequentata.
(circa 200 giovani ogni anno ). Studiavano, discutevano, proponevano temi
attuali, in un prospetto di società che guardava al futuro. I temi trattati
riguardavano: La famiglia, la società, le istituzioni, il lavoro, gli amici e colleghi,
le ragazze ed anche l’intrattenimento, (gite, animazioni, visite istruttive), attività
che aiutavano a socializzare.
L’azione della scuola ebbe riscontri positivi e diede i suoi frutti. Molti di quei
ragazzi si sono distinti nel mondo del lavoro diventando capi, delle istituzioni,
come Sindaci, Consiglieri Comunali, nel Sindacato, negli Enti Pubblici ed hanno
assunto posti di responsabilità con conoscenza e coscienza etica e morale.
Una pagina significativa è stata scritta dal Patronato Acli.
Un ufficio che per molti anni ha curato tutte le pratiche d’assistenza dei
lavoratori, aiutandoli a districarsi nel ginepraio della burocrazia.
Molto merito va alla signora Marta Dallan, moglie di Luigi Tiatto, che ha
svolto , in quegli anni, molto bene il suo compito.
Nel 1970 lasciai l’incarico di Presidente delle ACLI per un insieme di varie
difficoltà, ma soprattutto per l’impegno della mia professione medica. Quel
periodo, vissuto intensamente in modo proficuo,con tanti amici, in un mondo di
problematiche nuove, lo ricordo con nostalgia.
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1953. Aclisti e sindacalisti castellani
a convegno a Treviso.
Questi alcuni nomi del gruppo: Gigi Prior,Ivo De Luca, Carlo Tiotto, Toni
Ballan, Ermanno Baldan, Egidio Guidolin, : Angelo Favaron, Albino Marcon,
Mario Bordin, Toni Ongarato,Orfeo Milani,
Sandro Marcon, Sandro
Pasqualetto, Lino Polenzan. Iginio Guidolin, Carlo Brustolon, Giuseppe
Antonello Pericle Graziotto.
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Un po’ di storia delle ACLI di Maria Antonello
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I pochi anni di vita di questa brillante iniziativa
(dal 1965 al 1970), sono nel ricordo dei giovani protagonisti di
quel burrascoso ma, interessante periodo, come una pietra miliare
della loro formazione cristiana, umana, sociale e politica.
Tutto ebbe inizio, nel 1964, con la nomina di
Don Giovanni Pesce ad Assistente dei giovani in Patronato. Rispondendo alle
loro richieste, costituì un nuovo Gruppo:
“Il Centro Studentesco”. Si aggiunse a quelli già presenti in Patronato, quali
l’Azione Cattolica, gli Scout, le Acli, Giovani Sposi, il Gruppo Famiglie, ecc.,
ma si differenziava per la tipologia dei soggetti.
Era formato dagli studenti delle Scuole Superiori e da universitari.
Pochi erano allora gli studenti delle superiori e dell’università.
La frequenza d’obbligo era limitata alle scuole elementari.
Molti frequentavano le Scuole medie inferiori.
Per una grande percentuale l’esigenza primaria era: “il lavoro”.
Nel 1960 esistevano a Castelfranco Veneto le due classi del Ginnasio e le
Magistrali private, (l’Istituto Maria Assunta).
Nel 1961 arrivarono le prime sezioni del Liceo e di Ragioneria.
Quel gruppo di giovani studenti frequentava il Patronato ad ore insolite, per i
normali lavoratori, erano in cerca di un momento d’evasione, desiderosi di
confrontarsi in discussioni ed anche,qualche volta, di contestare.
Don Giovanni, culturalmente preparato, sensibile ai problemi di questi
giovani, si interessò e ne radunò un gruppetto, (una ventina) ed iniziò il dialogo,
che portò alla creazione del sunnominato“Gruppo Studentesco”.
Questi alcuni loro nomi: Mario Volpato, Sandra Dal Ben, Maria Magoga,
Paolo Rossi, Giorgio Gobbato, Giacomo Massarotto, Ennio Bianco, Maria Rosa
Fracarro, Maria Teresa (Zizi) Narduzzo, Riccardo Baggio, Augusto Cusinato,
Gianpaolo Titta, Maria Gomierato ed altri.
Cercavano un punto di riferimento, un luogo in cui incontrarsi e confrontarsi.
La scuola, la famiglia, la politica, i problemi personali, nuove idee e nuove
tendenze, erano oggetto di dibattiti e continue discussioni.
Egli fu di grande aiuto ad interpretare i tempi, analizzare i temi, per poi farne
sintesi. Cercando di dare delle risposte concrete.
Era un modo vero di fare formazione.
Molti furono gli esperti invitati alle loro riunioni.
Tanti erano gli interessi sia morali sia scientifici, ma anche politici.
Per questo chiamarono i rappresentanti dei vari partiti, (di tutte le tendenze).
Furono organizzate anche uscite-studio collettive.
La prima fu a Pianezze di Valdobbiadene.
Si discuteva anche di scioperi per protestare contro le prove atomiche
sull’atollo Bikini, di contestazioni per le guerre nel mondo e le prepotenze delle
multinazionali.
A metà degli anni ’60 arrivò, prima in America poi in Francia, l’onda del
“Movimento Studentesco” che, ancora oggi è definito, i moti del”’68”.
Essi partivano dal disagio che la Scuola pativa e dal modo autoritario in cui
era gestita.
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I giovani intendevano riappropriarsi del loro ruolo,
prendendo lo spazio e la gestione, in forma diretta.
Le voci-guida del dissenso partivano da lontano:
Herbert Marcuse: il filosofo tedesco della Scuola di
Francoforte con la critica del” sistema”sia capitalistico che
democratico-autoritario.Martin Luther king: il Pastore
Battista, difensore dei diritti dei negri americani,attraverso la lotta non violenta.
Don Lorenzo Milani: della Scuola di Barbiana; difensore dei più poveri, per
riscattarli dall’ignoranza attraverso la cultura.
Mao Tse-Tung: col suo “Libretto rosso”, che sanciva la “Rivoluzione
culturale proletaria” e la critica al sistema borghese.
Questi Maestri hanno influenzato i vari”Movimenti”,degli Studenti
Universitari e dei ragazzi degli Istituti Superiori.
L’onda del dissenso arrivò in Italia, quando nel mondo era già in fase
regressiva.
Il Movimento aveva perso la spontaneità, la gestione della base fu messa in
discussione nel passaggio successivo, dalla Scuola alla società, avendo bisogno
di strutturarsi in forme organizzative più tradizionali:
“I Partiti”, le gerarchie, i loro Capi.
Si formarono molti nebulosi movimenti politici di varie sigle.
Il “ Movimento Studentesco” fu inglobato da loro e sparì.
A distanza di quarantanni, il gruppo castellano, concorda che nel tempo,
qualcuno si è allontanato dalla Chiesa, ma forte degli insegnamenti e della
formazione ricevuta in Patronato, sono rimasti indelebili i valori morali e
l’amicizia, pur nella diversità delle scelte.
Don Giovanni ha lasciato un ricordo positivo, per la serietà, l’equilibrio e la
maturità con cui ha guidato questo gruppo, che si sciolse con la sua partenza da
Castelfranco Veneto, nel 1970. Resta vivo il pensiero e ancora adesso molti
mantengono i contatti, andando a trovarlo, nella Parrocchia del Sacro Cuore a
Treviso, dove è Parroco.
A distanza di tempo ricordando i motivi del loro discutere e contestare, si
ritengono i precursori dei moti del sessantotto, però nel senso buono e
costruttivo.Il Gruppo aveva anche il suo giornale: PROMOZIONE, del quale
pubblichiamo qualche articolo.
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17 Marzo 1984
Un significativo incontro
degli Amici del Patronato.
La presenza degli ex-giovani del Patronato, anche oltre gli anni ottanta,
testimonia il loro desiderio di mantenere il rapporto d’amicizia e la disponibilità
a collaborare con l’istituzione nella quale sono cresciuti e si sono formati. Sono
continuati gli incontri con questi giovani, ormai oltre quarantenni, sul tema della
famiglia e dei figli, che a loro volta frequentavano il Patronato e ponevano ai
genitori nuove problematiche per un modo più aggiornato di fare “Patronato”.
Fu organizzata una cena speciale, con la presenza dei Parroci: Don Bruno
Franceschini e Don Orfeo Gasparini.
Il gruppo di amici, con le rispettive
consorti (più di sessanta persone),
chiesero al Preside (Prof. Bruno
Brunello) dell’Istituto Alberghiero, che
in quegli anni gestiva i locali del
Patronato, l’utilizzo del salone,
Incaricarono il giovane studente
dell’Istituto Gerardo Giacometti il quale
nella richiesta incluse la possibilità di
usare l’attrezzatura e farsi aiutare da
alcuni allievi per preparare il menù e
servirlo. (vedi lettera a lato).
Alla cena, dopo i convenevoli, i saluti
e aver ricordato gli amici lontani o
defunti, il più anziano e autorevole della
nostra compagnia, Gino Sartor, fece gli
onori di casa, complimentandosi con i
ragazzi per il menù ed il servizio
lasciando spazio alla discussione dei
problemi suesposti, molto dibattuti.
Fu una delle tante testimonianze della
presenza e continuità di rapporto e di
dialogo con le generazioni più giovani
convinti del valore morale e sociale del
nostro Patronato.
(Il nostro giovane amico Gerardo, conclusi gli studi in quella scuola è entrato
in Seminario diventando un bravo Sacerdote. Attualmente è assistente nella
Parrocchia di S.Agnese a Treviso ed ha un’incarico importante nell’ambito della
catechesi Diocesana).
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I cantori che…“contavano”!
In piedi: Tarcisio Confortin, Bressan, Luigi Piccolo, Domenico Piccolo
Agostino Guardiero, ?, Giuseppe Confortin.
Seduti: Mino Piccolo, Arturo Giacomazzi, ? , Romeo Zandonà,
Attilio Giacometti, “Ico” Baggio, Piero Zanon gruppo corale parrocchiale
della Pieve era composto di un folto numero di cantori. Il maestro organista era
Giuseppe Silvestri (affettuosamente chiamato Polo.
Il direttore era Attilio Giacometti.
C’era molto interesse che la scuola di canto funzionasse bene: esisteva amore
per i canti figurati, per quelli popolari e per i salmi.Era un punto d’onore e
soddisfazione eseguire ed ascoltare brani musicali di Bach, Schubert, Mozart,
Palestrina e le Messe di Perosi, Viadana, ecc. Tutti canti a 3 e 4, voci dispari,
(con la presenza dei bambini come soprani e contralti). La Messa più importante,
dove il coro si esibiva era quella domenicale delle nove, la messa cantata in terzo
(con tre celebranti).I cantori provenivano da famiglie note per le loro doti
musicali: i Giacometti, i Confortin, i Piccolo, i Bressan, gli Alessio, i Caon, gli
Stocco, i Binotto, i Magoga, i Perin, Varo, Zanon, Zandonà, e poi tanti altri,
assidui alle prove e interessati ad imparare ed eseguire nuovi e più impegnativi
canti.C’era il piacere dell’ascolto e anche della critica che s’ infervorava dopo la
Messa, sul sagrato con i parrocchiani più ”esperti”che spiluccando sulle
sfumature vocali degli accordi, degli attacchi, stuzzicavano, suggerivano e
animavano la discussione, stimolando così a migliorare la prossima esecuzione.
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Anni ’60. Il coro in gita sui monti
Anni ’60. Ancora in gita. I Cantori con gli estimatori
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Negli anni successivi, (dopo il 1970), con l’arrivo di don Lino Nichele, il coro
si è ulteriormente arricchito, con l’inserimento delle voci femminili.
8 Maggio. 1981.
Il Coro della Pieve dopo la messa cantata, in occasione della Cresima.
1991. Concerto di Natale.
Coro della Pieve.
All’organo: Luca Arpa.
Dirige: Renzo Ceccato.
Presenta: Giuseppe Perin
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I complimenti e le congratulazioni del Parroco:
Don Orfeo Gasparini.
2005. Continuano i servizi del coro, nella chiesa della Pieve
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Ore 1830 del 31 Dicembre 2005.
Il coro canta il” Te Deum”, di ringraziamento.
La “Schola Cantorum” Parrocchiale è in un momento di transizione.
Il Gruppo corale ora è chiamato a guidare e sostenere il canto del popolo nella
sua partecipazione attiva, con musiche e testi, noti, che possono favorire la
preghiera comunitaria.
I suggerimenti della Sacra Congregazione dei Riti, considera il canto, un
momento solenne e festoso, specialmente nelle sacre celebrazioni, dove
l’assemblea esprime la sua pietà e la fede.
E’ un servizio che si deve potenziare e programmare affinché, nello svolgere
con diligenza il suo compito possa svilupparsi ed esprimere la sua potenzialità ed
efficienza, studiando e proponendo musiche e canti sacri, più complessi e
gratificanti, atti a stimolare anche presenze di nuovi cantori.
Si devono trovare i tempi e le modalità celebrative, per presentarsi al popolo
come momento di gioiosa crescita culturale e soddisfazione dei coristi.
Aggiungiamo anche altre difficoltà: “Cercare un bravo organista, maestro di
coro e dare efficienza allo strumento della Chiesa, ” l’organo”.
Saprà la nostra comunità promuovere e sostenere queste iniziative, superando
le difficoltà di carattere burocratico, culturale, mentale ed economico?
In sostituzione ci accontenteremo di una voce-guida al microfono e di un
moderno nastro registrato che, sostituendo l’organo, diffonde di suoni e di canti
programmati, ogni rito, risolvendo il problema.
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Si è celebrato oggi, 8 aprile 2006, il funerale del M° Primo Beraldo nella
chiesa della Pieve. Aveva 82 anni e da qualche mese era infermo.
Anni prima, un ictus cerebrale, gli aveva provocato una paresi alla parte destra
del corpo. Ha prontamente reagito continuando ad insegnare e suonare con una
sola mano, tanta era la sua passione per la musica.
La nostra storia, che è quella del Coro inizia con l’incontro e la conoscenza
del giovane Maestro di musica più di cinquant’anni fa, quando è arrivato a
Castelfranco dal suo paese, Monastier (TV); aveva ottenuto una cattedra per
l’insegnamento della musica nelle scuole Medie e nell’Istituto Maria Assunta.
Ha avuto, nel frattempo anche l’incarico d’organista della Chiesa della Pieve.
Appassionato di musica liturgica e polifonica del 1600, interessò con entusiasmo
il gruppo corale ad entrambi i generi musicali, servendo la liturgia col primo e
costituendo un nuovo Coro, per sviluppare il secondo. Al nuovo Coro impose il
nome di”Agostino Steffani”, in memoria del musicista e Vescovo, nato a
Castelfranco Veneto nel 1654 che visse in Germania come diplomatico e Nunzio
Apostolico a Düsseldorf ed Hannover, trovando il tempo per comporre Cantate
ed Opere come il Tassilone, eseguito a Castelfranco in occasione del Festival
della Musica, nel settembre 1975.
Un nome prestigioso che molti anni dopo (nel 1980) fu adottato dal nostro
Conservatorio Musicale, quando divenne autonomo, nel 1969 era nato come
sezione staccata del Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia.
Il Coro “Agostino Steffani” ha un ricco curriculum d’attività e concerti, li ha
elencati nel suo Albo d’Oro iniziando dal 17 febbraio 1957.
Gli autori musicali erano P.L. Palestrina, M.A. Ingegneri, Benedetto Marcello,
J.S.Bach, G.Gabrieli, G.F.Haendel, O.Vecchi, A. Banchieri, A. Vivaldi ecc.
Molto attivo, il Coro era composto di 44 elementi e si preparava ad affrontare un
traguardo più arduo: Il concorso Interregionale di canto polifonico di Prima
Categoria a Milano.
Il 23 maggio 1957, all’esame di concorso si è classificato al 2° posto, con
medaglia d’argento. Un grande merito per il Maestro che acquisì un ottimo
punteggio per la sua carriera d’insegnamento, si rivelerà un po’fatale per il Coro
che , qualche anno dopo, perse la sua disponibilità..
Molto interessanti furono i concerti fatti alle Messe degli Artisti nella Chiesa
di S. Fantin a Venezia, di fronte alla Fenice, nelle domeniche da giugno 1959 a
marzo 1960.
L’Albo d’Oro porta le firme dei vecchi Artisti che si congratulavano per le
belle esecuzioni e per averli onorati con i canti graditi.
Rivedendo le pagine dei concerti, scopriamo che il nostro Coro è stato
l’iniziatore delle Quaresime Musicali, con il primo concerto del Mercoledì Santo
nella Chiesa di S. Giacomo, il 13 aprile 1960.
Nel frattempo continuava la preparazione dei coristi per lo studio di nuove
partiture e generi musicali diversi, come i cori dalle Opere Liriche e i Madrigali
del 1500 che furono eseguiti nei vari “Palii”del Settembre Castellano.Si
distinsero anche i coristi più dotati e preparati che si esibirono come solisti.
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Era nata da poco (1959) la Scuola di Musica della Fondazione Morello e
Castelfranco si preparava a diventare un polo d’importante attrazione per i
giovani interessati alla musica.
Com’era prevedibile, il 12 novembre 1962, nell’Albo d’Oro, abbiamo letto il
saluto di commiato del M° Beraldo, aveva ottenuto la Cattedra d’insegnamento
al Conservatorio di Cagliari.
Senza la sua guida i componenti del coro si dispersero, chi nel Coro di
Salvarosa, chi nel coro Valcanzoi e altri nei cori del Duomo e della Pieve.
Passarono gli anni, dopo Cagliari ebbe incarichi importanti in altri
Conservatori, finchè potè godere gli anni della pensione e tornò al suo
Coro.Con rinnovata energia iniziarono le prove della sua nuova Opera:
l’Oratorio in onore della Beata Maria Oliva Bonaldo. Un’Opera molto bella e
complessa,composta per ricordare il momento mistico che ispirò la sua
vocazione, avvenuta il giorno del Corpus Domini del 1913. Lo studio delle varie
partiture, suddivise nei vari cori e strumenti, era già a buon punto. Aveva
programmato di presentarla già nel 1998.
Si ammalò e l’opera rimase ineseguita.
L’incontro di oggi con tanti suoi allievi, sia
musicisti che coristi, ha dato la tangibile
dimostrazione del grande carisma e stima che tutti
avevano per lui, a testimonianza del lavoro svolto in
cinquant’anni per la Cultura Musicale nella
Castellana.Attorno alla sua bara hanno cantato sei
Cori: il coro del Duomo, della Pieve, di Villarazzo,
di Vallà, le Soldanelle e il Valcanzoi.
Tutte composizioni o armonizzazioni sue, in una
emozionante e vibrante cerimonia di commiato al
“MAESTRO”
Da destra Il M° Primo Beraldo,
Attilio Giacometti. Giuseppe Perin
,(sul fondo: Orlando Binotto)
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I menestrelli del Palio di Castelfranco, cantano, sul sagrato del Duomo.
Il coro Agostino Steffani:
Dopo il concerto nella Chiesa di S. Anna. (Asolo)
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Oh! Quant’è bello, seder qui insieme
e caldo e polvere lasciare ai gonzi;
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Ottobre 2000. Galliera Veneta. Il Coro A. Steffani ha cantato alle nozze di Antonella
Bertoncello, corista e solista del coro.
La canzone della “Luna Ciara”,
della valle del Sarca (Tn)
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Insieme: In allegria.
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Svaghi e divertimenti in Patronato
Lo sport e specialmente il calcio, impegnava la maggioranza dei
giovani, alcuni però erano interessati ad altri giochi con
animazioni varie e si divertivano ad organizzare il teatro, cabaret,
musica, proposte nuove, addii al celibato, uscite in bicicletta, gite
collettive, giochi da tavolo e in cortile.
Un gruppo di lavoro che ha animato tante serate impegnando molti
ragazzi in queste attività ricreative e formative.
Ho ricordato la recita di”Giulietta e Romeo”, ma se ne devono aggiungere
altre, come quella concordata, con tutti i gruppi della Parrocchia, per festeggiare
l’onomastico del Parroco Don Bruno Franceschini.
Era un pomeriggio domenicale, del 6 ottobre 1961, nella sala del Patronato.
Sono state presentate otto simpatiche scenette, che hanno visto impegnati un
folto gruppo di bambini e ragazzi delle varie Associazioni Parrocchiali.
Fa piacere ricordare alcuni nomi, dei piccoli attori e raccontare l’ultima scena,
recitata da Orlando Mezzabotta e Luigino Pinarello, (due ragazzi che hanno
continuato a fare teatro per molti anni), hanno molto impressionato il folto
pubblico e il Parroco:
Con il saluto augurale è arrivato il piccolo postino, Diego Bassani, che ha
aperto la festa con il suo messaggio speciale, poi i cinque petali di margherita
danzanti: Maria Pia Rossi (Dal Sasso), Bruno Beraldo, Anna Maria Baggio,
Emanuela Andreatta, Elena Fraccaro. Gli Scout, con i canti e le danze russe.
L’allegra fisarmonica, di Romeo Zandonà, ha accompagnato le canzoni d’epoca:
Piemontesina, Chitarra romana, e la più recente, 24.000 baci, tutte cantate dalla
sorella Maria Rosa.
La scena finale, travolgente e orrida, mostrava due bare, disposte sull’orlo del
precipizio che porta all’Inferno e nell’interno due malandrini aspettavano i
dannati del girone degli avari, per derubarli dei soldi che avevano in borsa.
Da parecchi giorni non passava nessuno. Qualcuno lassù li salvava
convincendoli a fare piccole opere buone, interessarsi della gioventù, avere
comprensione, dolcezza, generosità e carità. Si sono detti :“Qui si muore di
fame; o andiamo a lavorare col diavolo, oppure torniamo sulla terra”.
L’ultimo assalto ad un personaggio noto: Dante Alighieri, ha fruttato un
magro bottino. Decisero di tornare, chiedere perdono e, con l’occasione, fare gli
auguri di buon onomastico al loro Arciprete.
Tanti sono stati gli applausi e le risate, dei giovani presenti e forti le critiche
della signorina Elia Zaccarelli, impressionata dalle lugubri e infernali scene.
La serata delle canzoni di San Remo, con le parole adattate, che denunciavano
le biricchinate di qualche ragazzo vivace, sulle note di: Buongiorno Tristezza, Tu
‘ ssi o guaglione, Io mammete e tu, Musica Proibita e tante altre.
La farsa: “ HO UCCISO”
con personaggi, scenografia e costumi adeguati:
IL COMICO: Mario Trivoletti.
IL COMMISSARIO: Vittorio Parisotto.
IL BRIGADIERE: Guido Ballan.
106
L’atto comico “IL POLIGLOTTA” con i personaggi e interpreti:
CARLO PITONI: Antonio Tonietto.
Franz: Roberto Barbon
Giovanni (l’albergatore): Amelio Baroni.
ANDREA (cameriere ): Gino Perin.
Max (padre di Franz ): P. Luigi Zamperin.
Commissario di P.S.: Vittorio Parisotto.
Tre GUARDIE: Cechetto, Vettor e Gigè.
Il seguito, fatto di scherzi, sfide e bravure:
“Due ragazzi bendati che si danno da mangiare l’uovo sbattuto”.
La gara della pastasciutta:
Cuocevano un chilo di pasta e divisa tra quattro concorrenti; un premio a chi
finisce prima.
Poi altre sfide entusiasmanti animavano la festa.
Un altro diversivo era l’ascolto delle Opere Liriche e degli spassosi
intrattenimenti ascoltati alla Radio (la Bisarca) in una saletta del primo piano.
Al sabato sera il Patronato si riempiva di giovani che trovavano, nelle attività
proposte formazione e giusto sfogo alla loro esuberanza.
Nel 1953-54, con l’inizio delle trasmissioni televisive, il Patronato divenne il
punto d’incontro dei giovani e delle famiglie per assistere a questa nuova
formula di spettacolo. Nelle sere d’estate in cortile, e d’inverno nel salone.
Un regalo delle Radioindustrie Fracarro. Lo ricorda Lorenzo Viola (l’amico
pittore) che a quel tempo lavorava in quell’Industria.
A rendere interessante ed esplosivo l’interesse di tutta la Città arrivò lo
spettacolo che la coinvolse per parecchie settimane:”CAMPANILE SERA”Molti
castellani parteciparono: Gli esperti, Nicola Negro e L. Xiccato, i campioni di
bocce Ferraro e Gobbato, il coro Agostino Steffani ed il gruppo dei pensatori e
suggeritori posizionati nel Caffè Grande in Piazza Giorgione.
107
Iniziarono con i primi tre in CASA PERIN, Orfeo, Egidio e Rino. Gli altri
dodici in cortile. Era arrivato il tempo di concludere il periodo spensierato della
vita, per iniziare un impegno più serio, per una nuova famiglia.Anche la gita a
VENEZIA, in bicicletta, del gruppo Aspiranti, per visitare il delegato Armando,
operato al menisco per causa del famigerato marciapiede e ricoverato
all’ospedale S. Giovanni e Paolo, fu un’avventura. Era il 1° Maggio del 1949, le
nuvole nere minacciavano brutto tempo, ma i venti ragazzi affrontarono il
viaggio. Bella è stata la gita, anche con tanta la pioggia.
Ricordiamo anche la gita in barcone sulle Isole dell’Estuario di VENEZIA e
la caduta di una borsa (sembrava), di fronte all’isola di San Giorgio, dove il
barcaiolo si tuffò e ripescò un ragazzino di quattro anni della nostra comitiva.
Era Giulio Berton.
Tanti altri racconti e aneddoti si
possono aggiungere, se voi li ricordate,
li metteremo nel repertorio.
Come vedete, l’attività del Patronato,
dagli anni quaranta agli anni settanta e
stata piena di messaggi e motivazioni.
Tutti i ragazzi hanno tratto vantaggi
sia nell’approfondimento dei temi
spirituali, formativi e sociali che di
attività sportive e di divertimento.
Questo era il nostro modo di fare: “
PATRONATO”.
1950. Aspiranti in gita nella Villa Sacro Cuore a Possagno.
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1974.L’ultimo discorso del Moro Bressan... e di Albino Marcon!
A pranzo, (con le mogli), nel ristorante “Caon - Alessio” in Borgo Padova a
Castelfranco Veneto.
109
“Sarò anca Presidente de nessun, ma intanto i me ciama: Presidente”;
Questo diseva el nostro Presidente.
A dirla tuta, co tute e riserve del caso, na sc’ianta de spusseta, soto soto,
sta frase a sconde.
E se vardemo ben el Moro Bressan, el nostro Presidente, na sc’ianta de
spusseta soto el naso, quando chel gera in veste ufficiale, la gavea, no
podemo non dirlo,.Intanto, quando chel partia co una dee so omelie, el
montava sora na carega.
Vero o no ?
E da sora a carega el ne vardava tuti dall’alto.
Dall’alto de na carega, ma dall’alto!
Discorso, discorso, diseimo tuti noaltri e lu nol spetava altro.
El ghe tegnea.
Se ghe gavì fato caso, el gavea anca sempre vissin el so assistente.
Come che se convien a un Presidente de rispeto, paraltro.
Soto de lu, se sentava sempre Gino Sartor. El fasea e funsion del
sugeritore.
El ghe dava l’imbeccata e po’ el Moro sviluppava el concetto.
E non e gera mai banalità. Sempre discorsi impegnati.
D’altra parte Gino gera avocato e lu un Presidente. O no ?
El Moro, gera uno con un apetito de fero. Na caratteristica che gavea tanti
de a nostra generasion: la fame, tanta fame patia nell’infansia, co i ani, co
el migliorar dee condision economiche se xe trasformada in apetito.
Ani tristi i nostri ani 1950/60, tanta migrasion.
Un bel pochi de noialtri, xe finii in Canada, Australia, Argentina, ma anca
Piemonte. Dove che ghe gera lavoro.
El ritorno de qualcun de questi nostri amisi, definitivo o anca par pochi
giorni, xe sempre sta occasion de na “rimpatriada”, come che a ciama
Bepi Perin; de na magnada par dirla giusta.
Primo piato: pasticcio, rigorosamente de carne, bondante.
Na slepa de pasticcio.
Al Moro , che come Presidente vegnia servio par primo, rivava sempre un
“consommè” . Na squeeta de brodeto caldo.
Giusto par metarse a posto el stomego, disea lu, tranquio. Si parchè sta
solfa se ripetea ogni volta e el fator sorpresa el gera morto e sepeìo.
Malgrado tuto a andava vanti, par dir dea fantasia sfrenata dei nostri
organizzatori.
Mi el Moro me o vedo ancora col careto, a tirar su foie drio a strada del
Santo, co a so motoreta a caricar cartoni o fero vecio, ma ghe xe do
episodi che voria ricordar.
El Moro, come che ben savì, el sonava a fisarmonica. Ogni tanto a so
performance vegnia intacada da qualche “sgambaro”: el saltava qualche
nota.
110
No gera mancansa de concentrasion, gera che el gavea i dei dee man
grossi come museti e gera fasie chel strucasse tre tasti al colpo
Questa sua abilità suonatoria, xe vegnua bona na volta ala Madona del
Covolo a Grespan da Don Chiavacci.
Gerimo la par far i esercizi spirituai. In cesa ghe gera un organo a
mantice.
Ghe xe qualcuno in grado de sonarlo?, domanda Don Chiavacci .
El Moro, el Moro.
Si, ma se me o metì in pìe, par traverso, come a tastiera dea fisarmonica.
Me par giusto.
A proposito de apetito.
No me ricordo de preciso l’ano, ma me par chel fuse el 64.
L’esercito italiano ga deciso de richiamar tuta a riserva.
Anca el Moro xe sta richiamà soto le armi: destinasione in mezo ai campi
visin a Brusaporco.
Rivai sul posto, a domenega de matina presto, el primo rancio xe rivà zoba
verso sera.
Gera autunno e a ua, gera fata.
No so dirve quante piantae che ghe n’ha fato fora el Moro.
Visin ghe gera na casa de contadini e in corte girava ignara, na pai.
El Moro a vardava e ghe vegnea e lagrime.
Un bel dì el ciapa el coraio a doman.
“Parona me a vendarissea ?
“Parchè no.
“Ma bisognaria che a cusinasse.
“Lessa ?
“Va ben lessa.
Tuta d’un fià . El ghe ga ciucià anca i ossi.
E del brodo cosa fasso ?
Un bronzin de consommè xe spario zo par el gargatolo.
Ciao Moro.
Pierluigi Zamperin
111
Incontrare un vero amico, nella prima giovinezza, per
un ragazzo assetato di novità, aperto e pronto a vivere
nuove avventure, con un gruppo di ragazzi, guidati da un
bravo Assistente, è una vera fortuna.
L’Assistente era Don Gino Gomiero, il Gruppo di
ragazzi era formato dagli “Aspiranti” di Azione Cattolica
(ragazzi tredicenni), l’amico nuovo era Armando
Berton, allora diciassettenne, denominato il “Vice”, per
il suo incarico di vice-delegato,
Insieme al delegato, Paolo Marcon, un giovane
studente diciannovenne, ricco di entusiasmo e carisma,
entrambi dedicavano il loro tempo libero organizzando
riunioni formative, attività culturali (letture, teatro, musica), giochi e passatempi.
La guerra sempre più vicina e minacciosa, dopo l’otto settembre 1943,
imperversava con continue e pericolose impennate. Malgrado ciò, noi ragazzi
cercavamo di vivere i giorni con serena e spensierata allegria, regolando le ore di
studio a casa con le attività di gruppo ed il gioco, in Patronato, alternato da
improvvise fughe per l’allarme aereo, i mitragliamenti ed il coprifuoco.
La continua presenza ed assistenza del nostro “Vice” ci dava certezza e
sicurezza. Tra il numeroso gruppo di ragazzi, alcuni erano scelti per la loro
disponibilità e preparazione, come futuri capi squadra, pronti ad aiutare i
delegati. Terminata la guerra, gli incontri s’intensificarono e si consolidarono le
amicizie; la vita di Patronato riprese vivace impegnata e giocosa.
I giovani crebbero in età, statura, impegno e preparazione.
Paolo, il delegato, partì per Milano e poi si spostò a Roma per finire gli studi.
Gli successe Armando ed io divenni il suo vice, anche se tutti, ormai,
continuarono a chiamarlo il”Vice”.
In coppia con lui, continuammo ad elaborare nuove idee per interessare i
giovani nelle varie attività di formazione di gruppo; quella personale era curata
dall’Assistente, Don Gino, fino al 1943, poi da Don Piero Salvador fino al 1949.
Nello sport: con partite di calcio, di pallavolo,giochi in cortile e in sala.
Nel Grest (Gruppo Estivo), con cacce al tesoro, giochi di gruppo, discussioni
su temi che interessavano i giovani.
Organizzando il Teatro-satira,facendo recitare molti giovani, anche se poco
dotati. Era curata anche la preparazione organizzativa dei campeggi estivi, in
montagna e incontri formativi, nella Villa del Sacro Cuore a Possagno.
Più di dieci anni di attività con i ragazzi, insieme.
Amava lo sport, specialmente il calcio, nel quale era noto il suo guizzo ed il
tocco spiazzante per il difensore. Quasi ottantenne, si divertiva fino a poco
tempo fa, a giocare in Patronato con i giovani il “calcio a cinque”.
Ama le lunghe gite in bicicletta, anche all’estero, in coppia con Laura, sua
moglie. La sua amicizia ha lasciato un segno positivo a chi l’ha avuto come
amico. E’ stato ed è tuttora un “ragazzo” meraviglioso.
112
Le feste di carnevale in Patronato, anni ’60.
La dolorosa istoria del Povero soldato
Stasera si recita l’ultimo atto di:
GIULIETTA E ROMEO.
Personaggi e attori:
ROMEO (Arturo) e
GIULIETTA (Pasquale)
Seguirà la farsa drammatica della:
Personaggi:
Il Colonnello:(Armando)
Il Comandante
del plotone: (Pierluigi)
1° Soldato (Mario )
2° Soldato (Romeo)
Tra le varie attività in Patronato c’erano anche le prove per una forma di
teatro comico. Non tutti scendevano di corsa in cortile per la fatidica partita a
calcio notturna, dopo la riunione di Azione Cattolica del sabato sera. Per chi se
ne stava in disparte, senza interesse per nessun gioco, si doveva inventare
qualcosa che creasse desiderio e impegno, nelle sere invernali, in preparazione
delle feste di carnevale. Nel salone del primo piano era stato preparato il
palcoscenico; così io e Armando, pensammo di far recitare una piccola parte, del
momento finale del dramma “GIULIETTA e ROMEO”, ai due ragazzi più schivi
e introversi. ARTURO e PASQUALE.Il primo non parlava mai. A lui bastava
essere presente. Un Romeo sofferente, triste! Il secondo parlava per…sette.!; era
un tipo ”estroverso” e il suo modo di muoversi era aggraziato: Era proprio giusta
la nostra impareggiabile Giulietta innamorata!.La storia si può così riassumere
Due famiglie, i Capuleti (Verona), i Montecchi (Mantova) sono in lotta e sì
odiano. I loro figli, Giulietta Capuleti e Romeo Montecchi, sì incontrano e sì
innamorano. I sospiri di Romeo e le lacrime di Giulietta non commuovono i
genitori che già hanno scelto il giovane Paride come futuro
sposo.Fra Lorenzo escogita un piano di morte apparente, per
Giulietta e convince Romeo a recarsi in cimitero e appena
l’amata Giulietta, si svegliava, fuggire insieme.E’ il momento
del dramma finale. Bisognava preparare il testo per la recita.
Poche parole per “Romeo”, tante per “Giulietta. Lei doveva
implorare: “Oh! Romeo se mi ami tanto, ripudia il tuo nome di
Montecchi ed io, per essere tua, non sarò più una Capuleti”.
Per Pasquale era facile, ma per Arturo anche due parole erano
troppe.
Durante le tante prove, tutti venivano furtivamente a curiosare perché era uno
spasso, si rideva a crepapelle, dove Pasquale dava spettacolo per il suo impegno
loquace e suadente e Arturo diventava sempre più cupo, quasi presagisse il
dramma della povera Giulietta.La sera del debutto, la sala era strapiena di
ragazzi che conoscendo gli attori si preparavano già a godere.La scena era
terrificante; sul palcoscenico c’era tutto l’apparatfunereo.Bepi Ballan, il
113
sacrestano, aveva portato i candelabri, il tappeto
nero, le lampade ed il baldacchino, (l’attrezzatura
completa dei funerali).Distesa sulla cassa,
Giulietta, vestita di bianco, con la cuffietta
annodata e il viso coperto di borotalco, stava
immobile come morta.Romeo, vestito di scuro, con
una candela in mano e con voce tremante
sussurrava
bofonchiando:
“GIULIETTA,
cespuglio del mio cuore, svegliati”.E’ bastato
questo per scatenare il pubblico; non sapevano
perché, ma ridevano in modo parossistico.Giulietta
intanto aprendo mezzo occhio aspettava che si
calmassero per dire la sua battuta. Finalmente ci fu silenzio.Lei, alzando un po’
il capo, declamò: ”Romeo, amore mio quanto sei…moro..! Sei pallido? stai
male? Come sei combinato? Hai bevuto il veleno?Stai per morire? Oh! Amore
mio, dammi il tuo pugnale, morirò con te!
A questo punto Romeo non ha più capito niente e, implorando un aiuto,
guardava verso le quinte cercando la via per uscire dalla scena.
Fremente, Giulietta lo supplicava sottovoce di recitare la sua parte, intanto,
per l’agitazione, il borotalco scendeva dal suo viso e si vedevano i peli della
barba.
Un disastro, Romeo e Giulietta dovevano morire e non lo fecero, erano nella
totale e drammatica euforica e umoristica disperazione. ” Giù il sipario!”, e non
si chiuse. Spegnete le luci!. Nel buio s’intravedevano i morituri in fuga, cosicché
si verificò lo spettacolo nello spettacolo.Il salone rimbombava di urli e risate.
Perfino uno spettatore d’eccezione, il Parroco Don Bruno Franceschini, rideva
di gusto. Dopo mezzora di sospensione perché tornasse la calma, dovevano
uscire gli attori comprimari per la scena finale della pace tra le due famiglie.La
regia decise di tagliarla: era impossibile far recitare quei due soggetti, nel palco.
Meglio passare subito alla farsa tragica, del ”POVERO SOLDATO”.
Gli attori, in questa storia, hanno dato il meglio di se stessi, per serietà ed
impegno riuscendo a strappare solenni risate per indisciplina, intempestività e
troppa passione militaresca. Alla fine tutti furono felici per il lieto epilogo.
Resta però nella memoria e nel cuore la recita di Arturo e Pasquale, perché i
presenti risero e soffrirono con loro, che si vergognarono d’aver fatto finire
l’impegnativo dramma, in farsa.
114
Una festa di carnevale in pace.!.
Con i giovani A.C.
Febbraio 1947. La guerra era finita da poco più di un anno; il paese si stava
leccando le ferite. Case distrutte, strade sconvolte, disoccupazione; ancora tanta
fame. Funzionava ancora l’obbligo delle tessere alimentari, ma l’Italia e gli
italiani avevano tanta voglia di rimettersi a lavorare per ricostruire ed anche un
po’ a divertirsi dopo tante costrizioni. Per i giovani non occorreva tanta fantasia
per far festa: un campetto di gioco, un pallone, qualche frittella e un po’
di…biscotti!Ecco perché, quel carnevale del ’47 è ricordato da noi tutti come un
momento d’euforia, pur in quelle difficoltà e ristrettezze.Alla riunione del sabato
sera, fu annunciato a tutti i giovani:
“Martedì, ultimo giorno di Carnevale, faremo festa, nella sala grande”.
Cosa prepariamo? È stata la domanda.È scattata la generosità.Le famiglie
Ballan, di San Giorgio si sono offerte di preparare le frittelle e i crostoli.Le
famiglie Alessio, del Piagnon si sono proposte di offrire il vino e il pane Le
famiglie Basso e Concolato salami e casatte (formaggio).I Perin (dal negozio)
hanno fornito vermouth e biscotti “OSWEGO”.Risultato: Due grandi tavolate,
ben fornite per 150 ragazzi.Mancava la musica e lo spettacolo teatrale; saranno
proposti qualche anno dopo. Le feste iniziavano con un momento di
ringraziamento al Buon Dio ed una riflessione sui nuovi motivi per godere e
partecipare alla novità del nuovo modo di gestire l’allegria.Si aprirono le porte
del salone e tutti scelsero il posto a sedere. Sui piatti era già preparato il salame
ed il formaggio, in mezzo ai tavoli le frittelle, i crostoli, i biscotti, l’acqua, il
vino, il vermouth. Uno spettacolo che durò poco.Dopo un quarto d’ora la tavola
è ripulita, nulla restava del pranzo.In un angolo della sala, due fratelli, gracilini,
stavano mangiando a quattro mani, tutti i biscotti alla loro portata. Non
sapevamo se fosse stata fame o sete di novità.
Si ride, si scherza, appena finito tutto, si torna giù in cortile. Bisogna correre e
saltare per smaltire l’ingozzata. I due fratelli (Cecchetto) però non si sentono
bene.Vanno a sedersi su una panchina sotto gli ippocastani. Gli amici li vedono
impallidire, poi ad un tratto, fortunatamente, si liberano dal nodo allo stomaco,
ma stanno male.
Tra i più anziani, c’erano degli studenti di medicina poco più che ventenni
(Franco Stradiotto, Nino Acoleo); consigliarono di portarli a casa subito e
somministrargli una limonata calda.
Qualcuno ha procurato il carrettino di Trevese, a due ruote, da trainare con la
bicicletta. Li hanno portati a casa in Via Malvolta ed in breve tempo si sono
rimessi.
Eravamo impressionati per la voracità mostrata nell’ingoiare i biscotti senza
bere. Più tardi, nella panchina qualcuno ha intravisto, tra i resti dei biscotti, la
parvenza della scritta “OSWEGO”. Questo fatto ha dato lo spunto al nostro
amico Ginetti, che lo ha inserito nei suoi fantastici e fioriti racconti. Per tutti è
stato lo stesso, veramente una bel CARNEVALE.
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116
LA SERENATA DI “ GINETTI “,
diventa l’inno del Patronato.
Nel dopoguerra è arrivato dalla parrocchia del Duomo, un giovanotto dal
piacevole aspetto e dalla parlantina arguta e brillante, con un gran desiderio
d’amicizia, aperto al dialogo e a tutte le iniziative.
Il suo nome è Davide Bortolin detto GINETTI. E’ stato accolto con
entusiasmo e subito conquistò la stima di tutti noi. Abbiamo scoperto che aveva
una bella voce tenorile e che era molto sensibile alle grazie femminili. Noi
eravamo più distratti; ma lui, ad ogni incontro del sabato sera, raccontava nuove
“viste”ed incontri con belle ragazze. Una delle “penultime” (in tutto, da un suo
calcolo, ne aveva conosciute 106), abitava in Borgo Pieve, di fronte alle suore
Canossiane. Dovendo trovare il modo di richiamare la sua attenzione, progettò
con noi un’uscita “musicale” notturna. Era pieno di risorse; come arma segreta
aveva in serbo una serenata dal titolo:
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”IL CIELO E’ UNA COPERTA
RICAMATA”.
Era previsto l’accompagnamento di chitarra e mandolino.
Un sabato sera, dopo l’incontro in patronato, verso le 23.00,
un piccolo corteo s’avvicina furtivo sul punto prestabilito;
dopo due accordi musicali la voce dell’innamorato Ginetti
intona la serenata:
Il cielo è una coperta ricamata
La luna con le stelle fan la spia
Io son venuto a far la serenata
Con la chitarra e con la compagnia.
Mentre tu dormi, fanciulla mia
Non so che sia mi sento un non so che,
sarà la smania d’averti accanto
amore santo, non farmi più soffrir
Il cielo è una coperta ricamata
La luna con le stelle fan la spia
Io son venuto a far la serenata
Con la chitarra e con la compagnia.
Tutto tace, passa un cane,
si aprono altri minacciosi balconi.
Ma, lui insiste a seconda strofa:
Con i capelli sparsi sul cuscino
Ed io li accarezzavo pian pianino,
Tu stavi riposando sul tuo letto
e ti dicevo amor, amor, diletto
Mentre tu dormi, fanciulla mia…!!!
(Ritornello..)
Il cielo è una coperta ricamata..!
A questo punto la luce si accese e la finestra si aprì…il corteo si dileguò, restò
solo lo spasimante a far valere le sue doti “CIRANESCHE “.
La simpatica ed effervescente serata lasciò il segno, nei ragazzi del Patronato.
Quella serenata diventò l’INNO DEI GIOVANI e Ginetti diventò l’idolo del
gruppo.
Non finiva mai di stupire e quando ci vedeva tutti intorno ad ascoltarlo,
animava e fioriva ancor più gli allegri racconti delle sue mirabolanti, numerose
e imprevedibili avventure amorose.
Era un vero piacere averlo in compagnia
Con lui non regnava la noia e la depressione.
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Al Ciclamino, grande richiamo d’evasione, per chi amava il ballo!
121
Musica e spettacolo
Il Complesso Mandolinistico Castellano,
negli anni ’50.
Il piacere di fare musica insieme. Il colonello Zucchermaglio, proveniente da
Bolzano, dove con suo fratello suonava per Radio-Bolzano, è riuscito a mettere
insieme un’orchestra mandolinistica.
Dopo un breve periodo di preparazione e prove si esibiva nei teatri e nelle sale
parrocchiali dei paesi circostanti (Castelfranco, Resana, Riese, Castello di
Godego, Galliera Veneta, ecc.) tante volte come intermezzo delle loro recite.
Suonavano pezzi scelti da musiche popolari di varie regioni.
Gli spettatori apprezzavano molto il programma musicale e la dolcezza del
suono dei romantici strumenti. L’unica difficoltà era la mancanza degli
amplificatori perciò risultava un poco problematico ottenere il massimo silenzio,
sentire e gustare il suono e le melodie che il complesso proponeva.
L’orchestra mandolinistica, diretta dal Col. Zucchermaglio. Gli strumenti: 4
mandolini, 2 mandole, 3 chitarre, 1 contrabasso.
I suonatori: Attilio Bresolin, Umberto Baldan, Silvio Perizzolo, Antonio
Viola, Primo Stangherlin, Angelo Carraro, Bruno Libralato, Giovanni Fracarro,
Giuseppe Perin.
Il gruppo si sciolse dopo la morte del maestro.
122
“..da un monologo recitato nel
Teatrino, a Carnevale..”
(Vecio capelan de Lovari; el xe de poche paroe,e dal latin nostran ..)
Dovì saver che, el Piovan, el xe ‘ndà a predicare a la sagra de S. Andrea.
Par no lassarme a boca suta, el me ga comandà de dirve quatro busarade
sul Vangelo. Credìo forse che mi sia un bon da gnente; che sia montà sul
pulpito par vardar i candelieri?
Dunque, sté atenti:
El Vangelo de stamattina el canta cussì:
“ Beatus vir qui audit verbum Dei, et custodit in illo “.
Che in lengua nostra el vol dir: « Sarà beati tuti quei che scoltarà la
parola de Domine Dio e che la tegnarà ben dentro la succa ».
Credìo valtri, de esser in grassia de Dio? Par de qua !
A Lovari, che el fogo me bruxe, no ghi ne uno de beato !. Tute canaie!
E parcossa no sìo beati? Parché no vegnì a dottrina, a le riunion, e ve
stufé de sentir la spiegasion del Santo Vangelo!.
Dovaressi vegnèr più spesso, a sentir la vose canarina, del vostro Piovan.
Sentì San Luca:
”Beatus vir qui verbum Dei”! Gavìo capìo el latinorum ?
Ma valtri cossa faxio invesse de vegner in Ciesa ?
Stèo ogni festa a pettegolar in piassa ? A slenguonar la zente ? A batar
carte in ostaria ? Cussì perdì fin l’ultimo sentesimo, che el ve ‘ndaria
tanto ben par impenir el bussolotto del sal, o par comprar el lardo, par
mettarlo sò la minestra.
Invese ‘ndé a casa co do” lavari”che i someia quei del musso de
Brugnera; co la borsa voda, co la meona piena de “vinasso”; a trovar da
dir co’ la femena, par bastonarla; questa se vendica, co’ le marachee dei
tosi e xe finia la paxe in fameia.
Voialtri “omenassi”, co’ vegnì dentro in Ciesa, sensa rispeto, come che a
fosse ‘na stala, ve inzenociè co’ un zenocio solo, come se ciapassi la mira
par tirarghe al Santissimo. Zele maniere!!! Anca se el Signor, adesso, nol
dize gnente, al giorno del giudizio nol vardarà in faccia a nessun.
E valtri:Pàri e Màri, che mandè i vostri tosi e le vostre tose a spasso
insieme!. Spalanchè ben i oci, stè atenti..!. Lori, i tira so’ l’ombra, soto i
stropari, i castagnari, i onari, e i lassa le bestie a pascolar su queo dei
altri e intanto cossa fali?.
Chi qua, chi là, i se rodola al scuro, come serpenti.
123
Zelo uno spettacolo che i dà, sti canaioti, busaroni, figure porche,
scalmanai!.
Pàri e Màri, se no trové rimedi, andé sicuramente a trovar el Diavolo co
la testa in zò.
Cioh! Femenasse! Sganassèo parchè digo la verità! Buzarone!.
Faxì le bigote in Ciesa, inzenociae, co’ un rosario longo tre brassi: ci. ci.
ci.! pissi. pissi.! Come che mastegassi croste; par aver santi e miracòi.
E fora.! solo superbia e cattiveria.
Santificietur in Ciesa e demoni in casa.
Verzì i oci, insemenii de omeni! Stèghe drìo ae vostre femene!
E voialtri zovanotti, dove buttèo tuti i schei; co’ le morose, su le feste da
balo o comprèo recini, nastri de seda, pendacùi e altre stupidae, par parer
bon? I ve domandarà de conto; sentirì che gusto farse spènzar zò da’na
vis-cia de fogo.
E valtri Omeni del Comune; cossa credìo de esser?. Sindaci! Consiglieri!
che ‘ndé in rapesentansa, in vacanza, a spasso; rosegando so’ le spale de
tuti e no’ faxì gnente pa la nostra Ciesa, pal canpanìe.
La xe tuta crepada, co’ i balconi roti, i banchi consumai, i pavimenti
sbusai. Bele maniere, par tocar el cuor de nostro Signor!
Dunque, cara a me zente ,bisogna redimarse, cambiar vita, far penitenza.
El dixe Cristo nel vangelo:
“Nemo penitenza angariaveritis,omnis simul peveritis”! Che vol dir:
”Bisogna far penitenza dei vostri pecati, se voemo ‘ndar in Paradiso”!
Fazemola, fin che sèmo in tempo, parché vegnarà el giorno del Giudizio:
“Quatro angeli sonarà la trombetta, so’ i quatro cantoni del mondo.
“Surgite mortis, venite ad judizj”
E noialtri tornaremo a ciapar su el nostro corpo, ‘ndà in farina, e
dopo..via de corsa so la Valle de Josafate; che la xe cossì granda,che i
Prai de Godego e de San Piero in Gù, li xe gombine.
I angeli ne dividerà: i beati a destra, i dannati a sinistra e mi, poareto??
Me metarò so’ un canton come un” selgaro”, tuto squinternà..
E po’, quando che el Signor me ciamarà, el me dirà:
“ Don Piero! Cossa ghèto fato ti, par i to parochiani?”.Ghe dirò:
“ Signor, pòri insemenii e testardi te me i ghe dati, pori insemenii e
testardi te i torno”. E scamparò, de corsa, a destra de Nostro Signor.
Cossa dirìo, quea volta là?
Vedìo, che figura che me fè far, co’ e vostre canaiae?
Par ancuò basta.
Dunque tegnì a mente:
“Beato qui audit Verbum Dei, et qui custodit in illo!
Amen!
124
1946. S’avvicinava la data del 2 giugno; il popolo italiano
era chiamato a votare per scegliere tra “Repubblica” e ”Monarchia”
Tutti andavano in Piazza per sentire, per capire. C’era una gran confusione
nella testa degli elettori; il voto era una novità ed una responsabilità. Ogni
“fazione” dava i suoi consigli. L’amico ANGELO FAVARON, da attore
consumato, (era un componente della filodrammatica “Guido Negri”);
raccontava che più di un parroco si era messo ’impegno, per essere d’aiuto,
semplificando ai parrocchiani gli astrusi indirizzi politici.
Questo è uno degli esempi:
-Il Parroco di S.Floriano, Don Piero Battocchio, ha spiegato così con
convinzione la sua teoria, in un affollato incontro parrocchiale:
“Carissimi, oggi voglio illuminarvi e farvi chiarezza su un argomento
complicato ma, che vi semplificherò e tutti voi lo capirete.
Dobbiamo scegliere tra Repubblica e Monarchia, non conosciamo bene il
motivo ed il significato di questo voto, ma ascoltate: cerco di spiegarvi bene qual
è la differenza.
La Monarchia è come la “scrofa” (luia) che, legata con la catena al paletto sul
campo:
la”ruspa”, la”frassa”, la”sgrugna”e, fa danni solo attorno al palo.
La Repubblica invece è una “scrofa”, libera, in mezzo al campo;
la”ruspa”, la”frassa”, la “sgrugna” e, fa danni su tutto il campo.
Conclusione: nel paese ha vinto la Monarchia!
Angelo amava molto l’arte del recitare, sapeva far sorridere in modo
intelligente, con i suoi monologhi; (vedi:.”farla, bisogna farla”!).
Aveva un grande carisma, una forte personalità nella sua semplicità.
Noi lo stimavamo, godendo molto della sua compagnia.
125
Negli anni ’50 esisteva una netta divisione tra ragazzi e
ragazze che frequentavano le associazioni cattoliche. I maschi
in Patronato e le femmine dalle Suore Canossiane.
Per gli adulti, la Messa ed il Vespero era un motivo di
preghiera e di riflessione, per i giovani era anche motivo di
furtive occhiate indagatrici.
Un po’ di chiasso sul sagrato e i due gruppi si dividevano, ognuno andava
nella propria sede. I tempi cambiavano rapidamente, certe rigidità sembravano
sempre più anacronistiche e i giovani ultraventenni premevano per far
partecipare alla vita associativa anche le “tose” (ragazze).
Il più sensibile a creare un dibattito su questo tema era il nostro amico:
LUCIANO (CIANO) PASQUALETTO
Era un giovane laureando in Scienze Agrarie, di qualche anno più anziano di
noi e Presidente della nostra associazione, molto benvoluto e ascoltato dai
giovani per la sua affabilità, gentilezza, formazione cristiana e desiderio di dare
amicizia.Aveva già la fidanzata (Piera, che poi è diventata sua moglie), dirigente
delle ragazze di”Azione Cattolica” e si lamentava che gli orari delle riunioni,
coincidendo, non concedessero mai il tempo sufficiente per incontrarsi. Così si
fece promotore del nuovo:
PARTITO “Z.A.E.” (Zovani Amorosi Entusiasti)
Alla prima festa di carnevale riempì il salone di stemmi e proclami, tutti i
ragazzi avevano una coccarda (vedi disegno sopra), che riportava lo slogan:
“Vota Z.A.E., per un” futuro più rosa”.
Portabandiera-sandwich, era il giovane ISEO Marcon (detto anche ZAE).Da
lui ha preso il nome del Partito. Fu un tripudio per i maggiorenni, con la
partecipazione chiassosa e, per il momento inconsapevole, dei più giovani. Si
fece un grande comizio; si fecero proposte e
petizioni al Parroco. Come prima iniziativa
fu organizzata una gita assieme alle ragazze,
sul Montegrappa il Lunedì dell’Angelo,il
giorno dopo Pasqua.
Citare quest’aneddoto e le fiorite
motivazioni, ci riempie di gioia e ci dà
l’occasione di ricordare la figura
meravigliosa del nostro caro amico
LUCIANO, (sempre Ciano, per noi).
126
Era ormai consuetudine, nei periodi di carnevale, di fine anno e
alla conclusione annuale dei nostri incontri festeggiare insieme, in
Patronato, in felice e spensierata compagnia.
Gli anni passarono e i “ragazzi” diventarono “uomini”, cosicché dopo gli
anni’50, gli incontri cambiarono significato, arrivarono i primi annunci di
matrimonio e con loro le prime proposte di:
“ ADDIO AL CELIBATO”
I primi inviti furono Orfeo Milani, Egidio Alessio e Rino Giacometti.
Ritenendo giusto non coinvolgere le strutture del Patronato per una festa
privata e non volendo troppo ufficializzarla in luogo pubblico decidemmo di
farla nel cortile di casa PERIN. Erano i primi approcci ad un modo nuovo di
festeggiare i futuri sposi.
Un messaggio importante per gli amici partecipanti. Il grande passo, era
doveroso accompagnarlo con brindisi e urla beneaugurati.
La festa fu un successo e considerammo un’ottima scelta consolidare il
sistema con le prossime richieste.
Furono una quindicina e tutte ben riuscite.
A fare coreografia c’era una botte di crema marsala (per il negozio), ma che
ha dato lo spunto, in piena euforia, a copiosi assaggi e adorazioni soprattutto da
parte di Amelio Baroni e Sergio Costeniero, e ai festeggiati, che per pegno
dovevano gustarla abbondantemente. A quel tempo, come finale, potevamo
permetterci di andarci a sedere in cerchio, a mezzanotte, sul crocevia di Borgo
Padova; a quell’ora passavano rari autoveicoli. Feste semplici chiassose, in
attesa di un rito importante come il matrimonio e che tutti noi ricordiamo
volentieri.
127
Il manifesto
Il 10 maggio 1972. Gianni Boldrin annuncia: Mi sposo! Bisognava
festeggiare e avvertire il poveraccio a quale grave pericolo stava andando
incontro. Come? Con le lacrime agli occhi, ma: Mangiando e bevendo!
Felici e contenti
partecipano:
Gianni Boldrin
Bepi Perin
Gino Perin
“Feio” Bragagnolo
Rino Giacometti
Luigi Ballan
Guido Ballan
Gastone Ballan
Adone Ballan
Egidio Alessio
Orfeo Milani
Armando Berton
Bepi C elotto
Albino Marcon
Alfonso Marcon
Iseo Marcon
Piero Zamperin
Amelio Baroni
Roberto Barbon
Paolo Schiavinato
Sergio Costeniero
Toni Campagnolo
Olivo (Moro) Bressan
Gino Stocco
Gigi
Marcon
Ferruccio Marcon
Luciano Miglioranza
128
1954. La Televisione in Patronato!
Musica,
Sport, Intrattenimento,
Informazione, Educazione
In Patronato, nella saletta a sinistra del primo piano, c’era una vecchia radio.
Molti ragazzi, dopo la riunione, andavano volentieri ad ascoltare musica, pezzi
d’opera, teatro ed anche le notizie dall’Italia e dal mondo.
Erano più attratti però dalla trasmissione di cabaret: “La Bisarca”.
Seduti attorno al tavolo, dov’era disposto l’apparecchio, ascoltavano divertiti;
pronti ad accogliere le battute dei comici, con grandi risate e, all’indomani,
raccontarle agli amici.
Era appena finita la guerra; il mondo apriva al nuovo modo di formare ed
informare anche attraverso le varie forme di comunicazione, tra le quali la radio.
Non più sotto controllo repressivo del regime, negli anni di guerra, che inibiva
gli ascolti dei nemici di allora” (Inglesi e Americani), i quali diffondevano i
famosi messaggi speciali in codice da Radio Londra, ai partigiani della
resistenza italiana; ordini e movimenti, preceduti dal segnale:”dum, dum, dum,
dum..!”, la radio iniziava ad animare ed interessare la popolazione.
Passati gli anni cinquanta, l’Italia rapidamente progrediva nel lavoro e
nell’emancipazione. Presto arrivarono i primi segnali di una grande novità,
che entusiasmò e sconvolse il nostro piccolo universo:”La TELEVISIONE”.
Il 13 gennaio 1954 la” RAI” ( Radio televisione italiana ) di Torino inaugurò
il primo canale. I precursori furono gli Stati Uniti e la Svizzera ci ha preceduto
solo di un anno. Una grande macchina organizzativa si era subito messa in
moto per preparare e selezionare nuovi programmi di: ”Informazione,
educazione, sport, intrattenimento”.
Il teatro-quiz del venerdì sera fu la premessa.
Presentatori, conduttori, attori, vallette, nomi nuovi. Spettacoli importanti
furono proposti all’interessato pubblico, che si ammassava nei locali dei cinema,
nei Bar e nelle case private, dove i fortunati abbienti che avevano acquistato la
nuova invenzione, volentieri ospitavano gli amici, in quelle serate speciali.
Grande era l’attesa per i nuovi spettacoli:
Lascia e raddoppia, condotto da Mike
Bongiorno, ha fatto storia
Di forte attrazione fu: Campanile sera,
(1958), gioco a cadenza settimanale, condotto
da Enzo Tortora.
Grande era l’entusiasmo, nelle numerose
serate, trasmesse dalla nostra Città di
Castelfranco Veneto.
L’evento coinvolse molta popolazione del
comprensorio.
129
Era importante non sfigurare, sia nelle domande di cultura e di sport, sia nelle
dimostrazioni di abilità nei giochi.
Come esperto per la cultura fu scelto Luciano Xiccato e, come esperto per lo
sport, Nicola Negro. Per la sfida sportiva fu richiesta, contro l’avversario di
turno, una partita al gioco delle bocce. Gli atleti designati furono: Antonio
Ferraro e Mario Gobbato.
Era coinvolto anche il coro Agostino Steffani, diretto dal Maestro Primo
Beraldo. Presentava l’introduzione musicale dello spettacolo, con canti classici e
maggiolate. Il comitato di studio era composto da un gruppo di persone esperte e
preparate in molti argomenti, pronte a suggerire ai concorrenti, le soluzioni per
vincere la sfida.
La manifestazione aveva come”teatro”, la nostra bella Piazza Giorgione.
Castelfranco V. ben figurò aggiudicandosi quel gioco per più settimane.
Molti altri programmi si susseguirono e attrassero l’interesse del pubblico:
Il Festival della canzone di San Remo; il Musichiere, con Mario Riva; opere
liriche , teatrali, nei vari dialetti regionali; film e sceneggiati.
Poi la prima pubblicità:” Carosello”, che addirittura regolava gli orari del
riposo notturno dei più piccoli con lo spot:“
Dopo Carosello, tutti a nanna”.
Lo Sport: Calcio,ciclismo e atletica. Il programma educativo:” Non è mai
troppo tardi” che insegnava a leggere e scrivere a chi era analfabeta.
Un mondo d’interessi nuovi, di grandi affari, immenso.
Era arrivato il consumismo
Nel 1954, la televisione contava 24.000 abbonati.
Nel 1965, erano già 6.000.000.
In Patronato, una simile novità era molto attesa, ma il costo era proibitivo.
La sorpresa, per il nostro Patronato, arrivò dalla ditta FRACARRO
RADIOINDUSTRIE,(l’importante fabbrica di antenne televisive e di prodotti
elettrici di CastelfrancoV.), nel 1954:
“L’omaggio di un nuovo e grande apparecchio televisivo”.
Sapevamo che l’ing. Bruno Fracarro,in contatto con l’America, seguiva lo
sviluppo di quella scoperta, già dal 1936. Quel gesto di generosità fu molto
apprezzato e noi ancora lo ricordiamo, con senso di gratitudine.
Anche il nostro amico”Lorenzo Viola, (ora noto pittore), immortalò
l’avvenimento con due disegni e ricorda che in quegli anni era un giovane
dipendente dell’Industria Fracarro RadioIndustrie, aiutò a portare ed istallare
l’apparecchio in Patronato. Ha voluto testimoniare con una lettera, quel giorno:
130
La prima televisione al Patronato.
(Lettera di Lorenzo Viola )
Nel 1953 con l’arrivo della televisione in Italia, la Ditta Fracarro
Radioindustrie; industria del commercio elettrico, diede inizio, per prima
in Italia, alla produzione di antenne ed apparecchiature per la ricezione
dei programmi televisivi.
La ditta fece arrivare i primi modelli di televisori dall’America.
Il parroco della parrocchia della Pieve, al tempo don Bruno Franceschini,
aperto alle novità ed attivo per la comunità, era in amicizia con i signori
Fracarro (ing. Bruno e Giovanni), andava regolarmente in fabbrica ad
acquistare materiale elettrico per la chiesa e quindi una sera fu invitato a
vedere la televisione.
Entusiasta dell’innovazione, dopo una proficua conversazione, nacque
l’idea di estendere la visione serale a tutti i castellani e così, grazie alla
generosità dei fratelli Fracarro, fu installato il primo apparecchio
televisivo in Patronato Pio X.
Fu un successo di partecipazione.
Vecchi e giovani arrivavano numerosissimi da Castelfranco e dintorni ad
affollare d’inverno il grande salone interno del patronato e d’estate il
cortile esterno, tanto che era necessario prendere posto almeno con
un’ora di anticipo.
131
L’importante ricordo di Lorenzo Viola, scritto e illustrato,rapportato ad oggi
ci fa riflettere e considerare il grande cambiamento avvenuto negli ultimi 50
anni .Un progresso impensabile per la generazione passata.
La Televisione, oggi, presente nella totalità delle famiglie, è vista a tutte le ore
del giorno e parte della notte.Svolge un servizio di grande importanza, con i suoi
programmi d’informazione, di storia, d’arte e cultura.
Ha contribuito a diffondere ed unificare la lingua italiana parlata, (pur
rispettando i vari dialetti). E’ un’ottima compagnia, per i bambini, per gli anziani
e per le persone non in grado di uscire da casa.
Si può considerare indispensabile, ma è come la medicina: va presa nella
giusta dose.
132
Un’iniziativa del Gruppo del Patronato. Avviando un
percorso di presenza e sostegno per i giovani, fece nascere
una scuola.
L’inverno del 1966 era piuttosto freddo, piovoso e
nevoso.I disagi dei giovani, dei paesi limitrofi, che
frequentavano le scuole Castellane, erano tanti ed ancora
più evidenti per chi, nell’intervallo del mezzogiorno, non
aveva la possibilità di trovare un posto per consumare la colazione e difendersi
dalle intemperie.I giovani del patronato osservando la presenza nella piazza,
lungo le vie, nei giardini pubblici, di molti ragazzi che, usciti dalle scuole,
cercavano una panchina, un muretto per sedersi e mangiare qualcosa, hanno
avuto l’idea di proporre alla Commissione del Patronato un modo per aiutarli:
”Mettere a disposizione dei locali, preparare qualche pietanza e dare assistenza”.
A quel tempo la scuola e l’Amministrazione Comunale non avevano avvertito
quest’esigenza. La decisione di agire comportò, per il Comitato composto di un
gruppo di giovani tra i quali i fratelli Giuseppe e Gino Perin, Augusto Cusinato,
Gianni Boldrin, con il supporto attivo di Gino Sartor, Gino Martin, Giacomo
Rossato, Guglielmo Campalani, un’offerta volontaria per il fondo cassa.
Fu attrezzato il salone con tavole, sedie e stoviglie, recuperato un fornello, (da
casa Perin), alcune pentole ed una cuoca volontaria, la signora Maria Ferraro.
Il posto di ristoro era pronto.
L’inizio del servizio presentava delle perplessità sul numero di future
presenze, cosicché il primo giorno tutto il comitato si presentò a pranzo, paganti,
per consumare le pietanze e constatarne la bontà.
I timori sono svaniti con la risposta entusiasta dei ragazzi, che hanno
raggiunto, in poco tempo, fino a 150 presenze.
Divenne imperativa l’assunzione di una persona fidata e capace per gestire
efficientemente il servizio. Iseo Marcon era da poco tornato dal Canada.
Alla richiesta di accettare quell’impegno aderì con entusiasmo, fidandosi della
serietà del comitato. Don Orlando ci aiutò a convincere il Parroco, Don Bruno
Franceschini, della bontà dell’iniziativa. Fu programmato il servizio e quattro
tipi di pietanze, i biglietti di quattro colori indicavano la scelta ed il prezzo,
ognuno consumava in base alla sua disponibilità.
Questi erano i costi proposti: Un abbondante piatto di pastasciutta 150 lire, la
bistecca 150 lire, patate fritte e verdura 50 lire, il dolce o gelato30.
L’organizzazione funzionò perfettamente con la cuoca, Maria Ferraro, in cucina
e Iseo Marcon in sala. Il servizio si rivelò un’opera meritoria.
Ci furono due anni d’impegno serio anche dei responsabili del Comitato.
L’aria contestatrice del ’68, sull’onda delle nuove ideologie statunitensi e
francesi, entrò goliardicamente con alcuni giovani anche in Patronato.
Sventolarono il famoso “Libretto Rosso di Mao”, contestando la gestione rigida
delle attività da parte del Direttore, facendo un po’ di chiasso.
133
Non era così grave la protesta, visto che già da un paio d’anni, quel gruppo di
giovani discuteva e dibatteva il problema della contestazione, con l’Assistente,
Don Giovanni Pesce, anticipando, dialogando e chiarendo i motivi internazionali
della rivolta.
Qualche critica ingiustificata, del nuovo Direttore del Patronato, Don Luigi
Marconato, già ostile alle forme di protesta, la rivolse contro la presenza dei
giovani della mensa, chiudendo le porte del Patronato. Questo atto convinse il
Comitato a chiudere la contabilità e consegnare al Parroco un sostanzioso saldo
attivo, (380.000 lire). Si chiuse con dispiacere, nel 1969, la presenza dei laici
gestori di quella interessante esperienza. L’attività della mensa continuò ancora
un anno, gestita dal Direttore. Nel 1970, con un bilancio in passivo, chiuse i
battenti, lasciando i giovani nuovamente sulla strada.
Gino Sartor, allora Sindaco di Castelfranco, assunse Iseo in Comune a
servizio dei giovani nello sport, dove per molti anni si distinse per le sue capacità
e serietà. Il Prof. Bruno Brunello, a quel tempo Preside dell’Istituto Agrario e
membro del Consiglio Comunale, con incarico ai servizi sociali, ritenne
l’iniziativa della mensa un’idea da non perdere ma, da mantenere e sviluppare.
Organizzò le strutture nell’ex orfanotrofio di Don Ernesto Bordignon,
aumentando la ricettività ed il servizio.
Cercò cuochi e camerieri ma si dovette accontentare di personale non
preparato. Maturò così l’idea di organizzare un percorso scolastico.
Era stato messo il seme ed era cresciuto con buone prospettive d’ingrandirsi.
La richiesta di una Scuola Professionale trovò consensi anche al Ministero.
Nacque e fiorì l’attuale Istituto Alberghiero “ MAFFIOLI”.
Ora ricco di 700 alunni, da quest’anno ospita anche un triennio Universitario
specialistico nella nostra Città. Ci piace pensare, in modo virtuoso, che un’idea
nata in Patronato abbia cambiato il percorso di vita ad Iseo e messo il seme per
la nascita di una grande Scuola Alberghiera.
134
Un vero amico, con il quale abbiamo vissuto tutte le
storie raccontate in questo libro e, per il Patronato, negli
ultimi quarantanni, è diventato un’istituzione.
I suoi fratelli maggiori, che frequentavano il patronato,
hanno fatto con onore da battistrada al giovane Iseo.
Sandro, il primo, è arrivato ad essere Presidente dei
Giovani di Azione Cattolica. Albino e Alfonso erano due
ragazzi disponibili a collaborare in tutte le incombenze
che riguardavano le attività logistiche a sportive dei
ragazzi.
Tutti e quattro partecipavano con passione ai vari
giochi, sia in cortile, ( calcio, pallavolo, atletica, bandiera
vecchia, ecc.) che in sala, ( ping- pong, bigliardino, a carte,).
Per Iseo, la passione più grande era il gioco del calcio, dove il suo fisico
esprimeva tutta la sua potenza, anche il gusto di costruire un intelligente e
partecipato gioco di squadra. Era molto apprezzato e richiesto.
A metà degli anni cinquanta egli raggiunse, in Canada, il fratello Sandro che,
partito qualche anno prima, lo aspettava.
La sua lontananza durò pochi anni. Tornato a Castelfranco fu assunto alla
Fervet, come falegname.
Il Patronato divenne ancora il terzo punto d’incontro, dopo la casa ed il
lavoro.
Come abbiamo già raccontato, nel capitolo della mensa in Patronato, le
proponemmo la sua assunzione, in Parrocchia, come responsabile della gestione
della mensa dell’andamento logistico e sportivo del Patronato.
Ben presto, si riempi di giovani del mandamento ed oltre, accolti con
amorevole fervore e serio controllo, per un frugale pasto ed un gioco come
diversivo, nei tempi vuoti della scuola,
C’era una Commissione, della quale anche Iseo faceva parte, che si
preoccupava del buon andamento dei servizi e dei programmi.
Per diversi anni, in Patronato ci fu una meravigliosa animazione. Iseo era il
fulcro ed il riferimento. Don Orlando Berti, Assistente responsabile, era
soddisfatto. A rompere l’idillio ci pensarono i moti del ’68 e l’irruente agitazione
di un gruppo di studenti, pronti a copiare le bravure francesi, sobillati da cattivi
consiglieri. Nel frattempo ci fu il cambio di assistente: arrivò Don Luigi
Marconato, che mal sopportò quella che lui chiamò la banda maoista, chiuse le
porte ai liceali e…alla mensa!
Partecipava alla vita del Patronato anche l’Avv. Gino Sartor, in quel tempo
Sindaco di Castelfranco e componente della nostra Commissione, non perse
tempo e propose l’assunzione di Iseo in Comune.
Con la soluzione del problema, non indifferente, della perdita del lavoro, ci fu
un grosso vantaggio per ambedue.
Iseo seppe farsi onore e continua con slancio la sua opera di presenza attiva in
Patronato. Anche in Parrocchia e pronto a dare una mano a chi ha bisogno.
135
Ecco come ricorda Iseo, il giovane giornalista, Alessandro Ruscello, in un
articolo del giornale: “Abitare”, di novembre 1991:
136
Frequentare il Patronato significava anche avere opportunità di realizzare
iniziative, frutto d’idee nuove supportate dagli amici più anziani pronti a
sperimentare e insegnare ai più giovani qualcosa che li appassiona, dedicando il
loro tempo libero. Era nata, nel 1951,una piccola
scuola di aeromodellismo su iniziativa di un
gruppo di amici guidati da Gimo Barea; con lui
c’erano Danilo De Santi, Orlando Favaro, Bruno
Pasetti, Franco Carniato, Paolo Rainati, Alberto
Dall’Oglio. (Alberto è diventato poi campione
mondiale di “aereomotomodelli” ed ora, da
pensionato, riproduce i ricercatissimi piccoli
motori d’epoca). Un percorso affascinante, sia di
lavoro tecnico che manuale, artigianale, ricco di
libertà inventiva ma soggetto a regole precise
sulla tecnica di volo. Estrema era la cura e forte la
passione e la dedizione. I risultati furono brillanti.
La piccola squadra ha partecipato a molte gare, anche nazionali. I campi di
prova iniziarono dal cortile del Patronato, poi nel campetto della Pieve e con i
modelli più grandi sui “Prai de Godego”. Con un raro modello del 1937 hanno
entusiasmato gli appassionati e preparati tecnici friulani, nel campo d’aviazione
di Campoformido. Ancora oggi, a distanza di 50 anni, curiosando nel laboratorio
di Danilo De Santi, in Vicolo Musonello, appesi nel soffitto, possiamo ammirare
molti modelli di varie grandezze e tipi, costruiti in quei tempi e conservati con
amore, a ricordo delle belle esperierienze.Molti giovani si sono interessati a
quest’iniziativa. La passione del volo ha stimolato i dirigenti dell’Università
Popolare a promuovere un corso per ottenere il brevetto di pilota di 1° grado,
(aerei da turismo), coordinato dall’ing.
Luigi Lucca e tenuto da professionisti
del Comando dell’Aeronautica, al
Teatro Accademico.(1958/60)
Ne va fiero Enzo De Santi che,
insieme ad altri amici, dopo aver
superato l’esame e ottenuto il brevetto,
ha volato molto nei fine settimana e
nei momenti liberi
Modello acrobatico con motore Wetza Mach 1(diesel)
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