1 Sommario Le Cento Città * Direttore Editoriale Mario Canti Comitato Editoriale Fabio Brisighelli Romano Folicaldi Giuseppe Oresti Giancarlo Polidori 3 “Che anno... quest’anno!”. Passato recente e futuro prossimo de Le Cento Città di Walter Scotucci 8 Direzione, redazione, amministrazione Associazione Le Cento Città [email protected] Direttore Responsabile Edoardo Danieli 11 Attualità Lisippo, il Tribunale accoglie il ricorso de Le Cento Città di Alberto Berardi 13 Storia e medicina Bartolomeo Eustachio e la tradizione delle sue Tavole Anatomiche di Mario Canti Spedizione in abb. post., 70%. - Filiale di Ancona Reg. del Tribunale di Ancona n. 20 del 10/7/1995 Stampa Errebi Grafiche Ripesi Falconara M.ma Portfolio La città di Folicaldi tra fantasia e sentimento di Alberto Pellegrino Prezzo a copia Euro 10,00 Abb. a tre numeri annui Euro 25,00 Editoriale 17 Enogastronomia Vincisgrassi di Leonardo Bruni 21 L’economia Mondo finanziario e mercato dell’arte: un connubio possibile? di Nicoletta Marinelli 25 Sede, Piazza del Senato 9, 60121 Ancona. Tel. 071/2070443, fax 071/205955 [email protected] www.lecentocitta.it 28 In copertina Xxxx Lo spettacolo Giovanni Battista Pergolesi: tre eventi di seduzione in musica di Fabio Brisighelli * Hanno collaborato a questo numero: Alberto Berardi, Fabio Brisighelli, Leonardo Bruni, Mario Canti, Catervo Cangiotti, Giovanni Danieli, Folco Di Santo, Mariano Guzzini, Nicoletta Marinelli, Giovanni Martinelli, Loretta Mozzoni, Enrico Paciaroni, Renato Pasqualetti, Alberto Pellegrino, Walter Scotucci La musica Suni d’organo per le Marche. Un festival per valorizzare il nostro patrimonio musicale di Giovanni Martinelli Periodico quadrimestrale de Le Cento Città, Associazione per le Marche 33 Libri ed eventi di Alberto Pellegrino 37 Il cordoglio Addio mamma dei Piceni di ...... Le Cento Città, n. 40 2 38 Vita dell’Associazione di Giovanni Danieli 15/40 l’Anniversario 44 Traguardo 40 di Mario Canti 46 Il traguardo dei quindici anni di Giovanni Danieli 52 Le Cento Città nel pensiero di Past President e Amici intellettuali di Alberto Pellegrino, Alberto Berardi, Catervo Cangiotti, Enrico Paciaroni, Folco Di Santo, Mariano Guzzini, Loretta Mozzoni, Renato Pasqualetti La pubblicazione de Le Cento Città avviene grazie al generoso contributo di Banca dell’Adriatico, Banca Marche, Carifano, Co.Fer.M., Fox Petroli, Gruppo Pieralisi, Proel, Santoni, TVS Le Cento Città, n. 40 Editoriale 3 “Che anno…quest’anno!” Passato recente e futuro prossimo delle Cento Città di Walter Scotucci Cari amici delle Cento città, quando ho assunto l’incarico di presidenza dell’Associazione, ho sentito il bisogno di ringraziare tutti voi per la fiducia che mi avete accordato e particolarmente i soci onorari, il senato dei past President e i membri del Consiglio Direttivo che stanno condividendo con me questa esperienza, ma non di meno lo staff organizzativo e quanti mi hanno già offerto la loro collaborazione in qualità di sostenitori esterni. Nell’accettare il gravoso compito ho proposto un motto che esprime la mia volontà di alleggerire il carico organizzativo: “Fit enim ad portandum facilis sarcina, quam multorum colla sustenant” (Ennodio, 342,4 H.) ossia, “Diventa un bagaglio facile da portare quello sorretto da molti colli”, convinto come sono che condivisione, partecipazione e dialogo debbano essere le parole chiave del mio mandato. Ogni evento avrà lo spazio di un’ampia discussione preventiva per un costruttivo confronto di idee e per il coinvolgimento di uno o più associati. Credo, infatti, che la nostra Associazione si debba caratterizzare per il forte senso di appartenenza, vada vissuta con sincero spirito di amicizia e finalizzata alla valorizzazione degli aspetti culturali e sociali della regione. Il programma proposto, sottoposto al vaglio e all’approvazione dell’assemblea dei soci, ha preso spunto dal Manifesto d’intenti che riconosce come elementi fondanti il rispetto dei valori etici, la conoscenza scientifica, la creatività, la professionalità e la cultura. I mezzi per realizzarlo sono, come sempre, la promozione d’incontri e di convegni, la partecipazione a mostre, l’organizzazione di iniziative volte alla formazione culturale dei soci, l’apertura di nuovi fronti di ricerca in relazione all’attualità dei temi e alle specifiche competenze degli associati. Nuove iniziative sono state già realizzate e mi auguro sia data loro la necessaria continuità. Non è stato trascurato il rafforzamento delle aree tradizionali tracciate dai grandi progetti strategici. Le linee guida sono rimaste finalizzazione ed esclusività dei progetti e la chiave del successo delle Cento Città ricercata nell’attaccamento alla sua storia, che dura ormai da quindici anni e nella vivace attenzione all’aggiornamento. Otto le missioni che spero di realizzare con il vostro sostegno: Allargare la presenza nelle Marche meridionali attraverso l’individuazione di nuovi soci che aggiungano altre competenze, ma non di meno favorire una maggiore presenza nell’area pesarese. Puntare l’attenzione su temi caldi che rendono più arduo il lavoro, ma danno valore alla nostra presenza proponendo sfide sempre al limite del possibile su tutti i fronti. Dare più attenzione all’Archeologia anche attraverso il rilancio del tema dei Parchi che ha visto in passato le Marche tra le regioni più avanzate nel settore. Allargare la partecipazione alle iniziative ad un pubblico più vasto, con conseguente maggiore presenza nei media. Risvegliare le istituzioni sul piano culturale e formativo, rivendicando la funzione di pungolo e il ruolo propositivo che storicamente ci caratterizza. Garantire un alto profilo culturale alla rivista, vissuta come luogo di confronto e di dibattito interno, ma anche come veicolo di comunicazione verso l’esterno. Informare e far conoscere le Marche ai nostri soci ma anche a tutti i marchigiani promuovendo la conoscenza di percorsi Le Cento Città, n. 40 poco conosciuti. Sviluppare la partecipazione dei soci all’uso della rete informatica perché mai come adesso si sente il bisogno di un lavoro di gruppo per un’azione efficace. Rappresentare un valido supporto ai grandi progetti presenti nel territorio regionale. Alcune riflessioni sulle iniziative già realizzate: Nel mese di settembre la visita a Serra San Quirico e alla mostra di Pasqualino Rossi (1639-1722) ha permesso di conoscere un quasi sconosciuto pittore di origine vicentina, attivo a Roma, che nelle Marche ha il più alto numero di opere conservate in edifici di culto tra Serra San Quirico, Fabriano e Cagli. La mostra a lui dedicata è stata allestita nel complesso monastico che comprende la chiesa di Santa Lucia, una delle più elevate espressioni dell’arte barocca marchigiana, che conserva il suo ciclo più rappresentativo. Il paese con le sue permanenze architettoniche di pregio, le chiese di San Filippo e San Quirico, le antiche mura ed il paesaggio ha contribuito a rendere indimenticabile la giornata che nel pomeriggio è stata dedicata alla conoscenza di due tra le più importanti testimonianze di architettura romanica nella valle dell’Esino, le chiese di san Vittore alle Chiuse e di sant’Elena. A ottobre un convegno a Caldarola ha affrontato il tema “Il collezionista tra buonafede e incauto acquisto”. Prendendo spunto dalla concomitante mostra di opere d’arte della dispersa collezione del Cardinal Giovan Battista Pallotta, ha tentato di mettere in luce le problematiche della tutela collegate alla figura del collezionista, spesso in evidente diffi- Editoriale coltà nonostante chiare normative di legge. Organizzato in collaborazione con il comune di Caldarola nella prestigiosa sede del teatro comunale, ha visto alternarsi relazioni brillantissime concluse dalla lettura magistrale di Vittorio Sgarbi che ha raccontato la sua esperienza di collezionista fornendo le motivazioni delle scelte personali. L’entusiasmante intervento, che rimarrà un capitolo indimenticabile nella storia della nostra associazione, è stato messo a disposizione dei soci in formato digitale. L’incontro è continuato con la visita alla mostra di palazzo Pallotta. Sempre nello stesso mese, nell’ambito delle celebrazioni dell’VIII centenario della Regola e della venuta di San Francesco nelle Marche, si è voluto sottolineare l’importanza della regione nella diffusione del francescanesimo, come attesta una delle più note fonti letterarie antiche, i Fioretti di San Francesco, già a partire dal suo autore, frate Ugolino da Montegiorgio. Un terzo di questo libro è interamente dedicato al territorio marchigiano ed in particolare alla Custodia fermana che ne rappresenta la divisione territoriale con il maggior numero di conventi e dalla quale provengono ben nove personaggi. Il testo, trascrizione latina derivata dai più antichi “Actus beati Francisci”, si è affermato come opera fortunatissima, essendo tra i più tradotti e citati nei repertori bibliografici di tutte le epoche, in tutto il mondo. Esso si pone per importanza rispetto alla letteratura medioevale, come il ciclo di Giotto ad Assisi per l’arte. Le Cento città hanno partecipato alla celebrazione organizzando due itinerari, uno a sud e l’altro (ancora da realizzare), a nord della regione. Il primo ha preso il via da Fermo con una lettura sull’architettura francescana e con la visita dell’antichissima chiesa conventuale. Si è spostato poi a Monterubbiano, nell’ex chiesa francescana, dove è stata inaugurata la mostra “I Fioretti di messer santo Francesco nella terra fermana ed il beato 4 Matteo da Monterubbiano” che raccoglieva quasi duecento diverse edizioni del volume dal Seicento ad oggi. Si è concluso a Montefiore dell’Aso nella chiesa conventuale da cui proviene il celebre polittico di Carlo Crivelli e che ancora conserva nel catino absidale il ciclo pittorico del Maestro di Offida. All’interno, la straordinaria sepoltura trecentesca dei genitori del cardinale Gentile Partino e quella dell’artista montefiorano Adolfo De Carolis, grande incisore, disegnatore e pittore del secolo scorso. A lui è stata dedicata una sezione della mostra dei Fioretti con illustrazioni eseguite in occasione del settimo centenario della morte del santo di Assisi. Corollario all’evento, a novembre, la prima dello spettacolo teatrale “Omaggio a San Francesco danze e recitazione” di Giovan Battista Paniccià al Pagani di Monterubbiano. Il tema sanitario ha da sempre rappresentato uno dei progetti strategici per le Cento città. Nel mese di novembre, il convegno di Ancona, giunto all’undicesima edizione, dedicato al tema “L’evoluzione del sistema sanitario nelle Marche” si è svolto presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia ed ha inteso esporre le aspettative socio sanitarie dei diversi territori marchigiani. I relatori, la cui giovane età era un chiaro segnale della volontà di rinnovamento, hanno presentato i mutamenti in corso e le prospettive dell’organizzazione ospedaliera indicando come una rete integrata di servizi omogenei per tutto il territorio rappresenti l’obiettivo da raggiungere per una completa tutela della salute della persona, posta al centro del sistema. L’attualità del tema è legata al momento cruciale nel quale la politica è chiamata a compiere importanti scelte per la futura organizzazione sanitaria regionale. Durante il periodo natalizio, a dicembre, è stata avviata una nuova sfida affrontando il tema musicale con l’organizzazione di “Suoni d’organo per le Marche”, una serie di concerti che si sono svolti nelle città di Le Cento Città, n. 40 Pesaro (chiesa di sant’Agostino), Jesi (chiesa Regina della Pace), Fermo (chiesa di santa Lucia), Ascoli Piceno (chiesa di san Cristoforo) e Tolentino (chiesa di santa Maria della Tempesta). Le Marche e la musica organistica rappresentano un binomio in crescita che parte da un’incredibile ricchezza di strumenti musicali antichi e rappresenta una grande opportunità di valorizzazione culturale. Le Cento città hanno voluto cogliere quest’ occasione per proporre, insieme al neonato network regionale di associazioni organistiche March&Organi, la prima edizione del Festival organistico marchigiano. Un cartellone con un concerto per ogni provincia: cinque località, cinque chiese, cinque preziosi strumenti restaurati, cinque organisti e cinque diverse realtà concertistiche per una variegata riscoperta di autori anche poco conosciuti e fonti locali non soltanto di musica sacra. Un primo tentativo di mettere in rete preziosi momenti di ascolto, magari inquadrandoli all’interno di una proposta musicale più ampia, per meglio conoscere e promuovere percorsi culturali alternativi. A gennaio, a Osimo, in collaborazione con l’Amministrazione e l’Istituto Campana, è stata organizzata la presentazione del volume curato da Mario Luni “Greci in Adriatico all’età dei kuroi”, con l’intervento di due prestigiose firme del panorama archeologico internazionale: il professor Andrée Laronde, accademico di Francia e docente alla Sorbona di Parigi, capo di molte missioni francesi in terra d’Africa e il professor Antonino Di Vita, accademico dei Lincei e direttore della missione archeologica italiana ad Atene. Grande interesse ha suscitato la sempre maggiore evidenza di una presenza greca micenea nel territorio regionale. Alla fine dello stesso mese, la visita ad Esanatoglia ha messo in luce la straordinaria ricchezza di un poco conosciuto centro della fascia pedemontana, che vanta Walter Scotucci un patrimonio culturale di tutto rispetto. Un borgo medioevale con architetture intatte, con l’interessante ciclo cortese cavalleresco di una delle più affascinanti residenze del diletto della corte varanesca e con notevoli esempi di archeologia industriale. Ma anche ceramiche medioevali di scavo ed un insospettato autore di musica sacra barocca, Carlo Milanuzzi, attivo a Venezia. Il momento più emozionante, la presentazione in anteprima del video “Casa Zampini e Ivo Pannaggi” del regista Massimo Angelucci. In questa cittadina, infatti, casa Zampini conserva traccia dell’arredo futurista di uno dei maggiori protagonisti dell’avanguardia artistica del Novecento. Pittore e artista poliforme, nato e morto a Macerata, creatore di scenografie, di costumi e di poesie, progettò nel 1926 gli arredi che risentono stilisticamente delle correnti artistiche europee più avanzate. La tradizione culturale del Carnevale, a febbraio, non poteva trovare migliore collocazione di Offida, dove è stato possibile immergersi in una festa dall’antico sapore pagano. Cena e veglione al Serpente aureo, sarabande carnascialesche al seguito delle Congreghe e tradizionale processione dei ‘Vlurd’(fasci di canne accese) hanno preceduto il tradizionale falò purificatore in piazza. Non è mancato un momento di approfondimento culturale con il convegno che ha messo a fuoco le tradizioni locali, la diffusione fin dall’antichità delle gare con i tori in tutto il contesto nazionale e l’utilizzo del costume tradizionale marchigiano “lu guazzarò” come veste sacrale e cerimoniale. Ultimo evento, nel mese di marzo a Macerata, preceduto dalla visita a palazzo Buonaccorsi restituito all’antico splendore, l’iniziativa riservata all’aggiornamento bibliografico “Freschi di stampa”, una selezione di volumi di storia, letteratura, arte, architettura e archeologia marchigiana. La presentazione in rapida successione di libri d’autore o tema marchigiano editi tra il 2008 e il 2009 si è 5 posta l’obiettivo di colmare una storica lacuna nel panorama editoriale regionale costituendo anch’essa una nuova proposta che ha visto alternarsi autori e presentatori in un divertito scambio di ruoli. Per la scelta dei volumi, operata dal Consiglio Direttivo supportato dai past President, è stato utilizzato il criterio di non favorire scritti molto conosciuti e già celebrati, ma di far emergere in particolare il lavoro e la produzione letteraria dei soci delle Cento città, anche se non in maniera esclusiva. Il carattere multidisciplinare che ne è derivato ha contribuito ad un risultato molto apprezzato che ha permesso di far conoscere l’Associazione, attiva non solo nel programma istituzionale, ma anche nell’incessante lavoro di studio e di ricerca di molti suoi associati. Alcune anticipazioni su quanto riserverà il futuro: Venerdì 26 marzo, imperdibile appuntamento istituzionale all’Hotel Federico II di Jesi sarà la celebrazione dei quindici anni di vita dell’Associazione e del numero quaranta della rivista. Il programma che si sta approntando prevede un momento commemorativo con il ricordo dei passaggi più significativi della lunga storia e si concluderà con un festoso raduno conviviale. Ad aprile, durante la settimana per i Beni culturali, in collaborazione con la Soprintendenza ai Beni archeologici delle Marche verrà avviata l’iniziativa “Marcheologia”, ossia la realizzazione di cinque eventi a tema archeologico, uno per provincia. A Fano, dopo il recente successo del ricorso giudiziario, ripartirà con un convegno la campagna di sensibilizzazione condotta dalle Cento città per il recupero dell’atleta di Lisippo oggi al Paul Getty Museum in Californa. Un’occasione da dedicare a Tullio Tonnini nel ricordo della precedente giornata di studi organizzata sullo stesso tema. Ad Ancona, offriremo la collaborazione all’inaugurazione della sezione ellenistica del Le Cento Città, n. 40 museo archeologico delle Marche di palazzo Ferretti. Ad Urbisaglia apriremo una mostra su studi inediti e pubblicazioni riguardanti il sito della città romana. A Belmonte Piceno presenteremo la ristampa del libro “Guida illustrata del Museo Nazionale di Ancona” di Innocenzo Dall’Osso, corredata da un interessante volume “Istruzioni per l’uso” di Milena Mancini e Marco Betti con indice dei nomi e dei luoghi a cura di Walter Monacchi che ne è l’editore, dove vengono presentati materiali di scavo inediti riguardanti la necropoli di Belmonte ed altre realtà del Piceno. A San Benedetto del Tronto, nel museo delle anfore, proporremo un momento di approfondimento sul tema del trasporto del vino per mare in epoca romana. Quanto ai viaggi, è in preparazione l’annuale gita del 24 e 25 aprile che ha come tema la continuazione ideale della recente mostra di Urbino sulla formazione del giovane Raffaello. Andremo nel triangolo tra Perugia, Siena e Roma, attraverso tappe che segnarono il percorso artistico iniziale del Sanzio, non trascurando momenti di conoscenza del territorio e delle sue tipicità. Come gite brevi, daremo vita al secondo itinerario francescano al nord della regione, a incursioni nell’ager cuprensis, tra Ripatransone Cupra Marittima, a una caccia ai tesori della valle dell’Aso con al centro il tempio ellenistico di Monterinaldo e alla scoperta delle realtà sotterranee di Osimo e Camerano. Il tema pedagogico sarà affrontato in un convegno che si pone l’obiettivo di indagare il rapporto tra istruzione ed educazione. Partendo dall’analisi dello stato sociale attuale valuteremo i riflessi della proposta di riforma scolastica sulla presente emergenza educativa. Contemporaneamente sarà allestita una mostra sulla storia dell’istruzione nelle provincie di Ascoli e Fermo dall’Unità d’Italia fino alla contestazione studentesca del ’68. Il 26 maggio è previsto il dodicesimo convegno annuale di Editoriale Facoltà di Medicina di Ancona che tratterà il tema delle “Donne nelle Marche dal Rinascimento all’età moderna”, visto sotto vari aspetti, quello del lavoro, della maternità, della letteratura e dell’arte. A giugno vivremo il fascino di una serata di animazione culturale tra arte ed intrattenimento, con sfilata di abiti di foggia rinascimentale, ricostruiti secondo canoni plausibili da modelli iconografici dei maggiori artisti. Dopo il clamore suscitato dal caso Meyer all’Ara Pacis raccoglieremo anche il guanto di un’altra sfida impegnativa con l’organizzazione di un convegno sul tema dei rapporti tra Archeologia ed Architettura contemporanea. Partendo da esempi storicamente molto conosciuti come quello del teatro Marcello a Roma analizzeremo caso per caso alcune delle soluzioni di copertura proposte in ambito nazionale in diversi contesti urbani e non: dall’Ara pacis, a Piazza Armerina, a piazza sant’Anna a Teramo, alla casa del chirurgo di Rimini e ai più recenti Santa Giulia a Brescia e 6 Arena di Verona, per arrivare a parlare di esempi marchigiani più o meno virtuosi. Tra questi il teatro la Fenice di Senigallia, il sito di piazza Stamira ad Ancona e il muro di sesto secolo della Facoltà di Economia e Commercio ad Urbino. Ed è proprio in questa città, architettura urbana ideale per eccellenza, che verrà organizzato l’appuntamento a luglio prima dell’assemblea estiva che concluderà il programma. Nonostante la molteplicità degli argomenti affrontati, molti obiettivi indicati inizialmente rimarranno da sviluppare e da discutere. Mi auguro di poterlo fare perlomeno attraverso le pagine della rivista o nei forum del nostro rinnovato sito internet che invito a frequentare con maggiore assiduità. Tra gli aspetti quasi del tutto inesplorati i temi della letteratura picena vernacolare e in lingua e quello più vasto della letteratura marchigiana dell’emigrazione all’estero, collegato all’altrettanto interessante argomento della letteratura straniera in Italia. L’affascinante dibattito sull’u- Le Cento Città, n. 40 bicazione dell’epopea omerica, inizialmente previsto come appuntamento teatrale in una sorta di “duello” sotto le mura di Troia tra Valerio Massimo Manfredi e Felice Vinci, troverà probabilmente ostacoli insormontabili nei numerosi impegni dei due protagonisti. La valorizzazione delle Accademie di Belle Arti marchigiane di Urbino e Macerata e il problema della scarsità dei luoghi riservati all’arte contemporanea nelle Marche, andrà dibattuto andando a conoscere due luoghi eccellenti come la pinacoteca francescana di Falconara e l’Alexarder Hotel Museum di Pesaro. Il tema del paesaggio, altra area strategica dell’associazione, andrà rilanciato con l’allestimento di una mostra di cartografia antica dedicata ai paesaggi urbani e alle rappresentazioni delle cento città marchigiane e dell’area adriatica. I dettagli si stanno ancora studiando. Per ora, rinnovo a tutti voi la mia più sincera gratitudine e l’augurio di un “Buon compleanno” alle Cento città! CO. FER. M. COMMERCIO ROTTAMI ACCIAIO INOSSIDABILE, FERROLEGHE, METALLI, FERRO . .. 60020 CAMERATA PICENA (Ancona) Via E. Fermi 5/7 Località Piane Tel. 071 946362 r.a. Fax 071 946365 [email protected] www.coferm.it Portfolio 8 La città di Folicaldi tra fantasia e sentimento di Alberto Pellegrino L’ultimo lavoro fotografico di Romano Folicaldi s’intitola La cavalcata dell’Assunta. Alba di macchine, lavoro, sabbia, un elegante volume impaginato da Francesca Folicaldi e pubblicato nel 2009 da Andrea Livi Editore per conto della Fondazione Cassa di Risparmio di Fermo. Folicaldi prende spunto dalla “Cavalcata dell’Assunta” che dal Medioevo ad oggi si svolge ogni anno a Fermo il 15 agosto, ma trascura l’aspetto storico folcloristico di questa manifestazione che coinvolge un grande numero di persone di ogni età e di tutti i ceti sociali. Numerosi cavalieri, vestiti dei colori delle varie contrade, partecipano con entusiasmo a questa festa di costume e, fra due ali di folla, spronano i cavalli per aggiudicarsi il Palio dell’Assunta. La fotografia di Folicaldi parte da una realtà appena accennata per parlare d’altro, calandosi in una dimensione onirica capace di trasmettere una carica di poesia leggera, quasi evanescente ma sicuramente in grado di arrivare e catturare la sensibilità del “lettore”. Uso a ragione questo temine perché il fotografo fermano è un maestro del racconto fotografico, secondo quella tradizione artistica che proprio a Fermo ha messo le sue radici teoriche e ha visto all’opera tanti autori impegnati ad usare la macchina fotografica al posto della penna. È logico quindi che nel suo commento Giancarlo Liuti si lasci coinvolgere in un parallelismo letterario, partendo dall’unica immagine in cui si vede un cavallo in corsa per ricordare i destrieri dell’Iliade e metterli a confronto con i potenti cavalli chiusi nei motori delle grandi macchine impegnate nei lavori di preparazione del ter- reno di gara, essi rappresentano la “identità diesel della tecnica, che conferma l’autorevolezza della sua presenza lasciando sulla sabbia le impronte profonde dei propri zoccoli di gomma”. A sua volta l’architetto Manuela Vitali si lascia catturare da queste immagini per riandare a rivivere la storia cittadina, quando alla fine dell’Ottocento veniva costruita la nuova strada destinata a diventare l’asse viario più importante per collegare la periferia con il cuore della città rappresentato dalla Piazza del Popolo. La Vitali, facendo ricorso al suo immaginario urbanistico, è riuscita a ripercorre con gli occhi e con la mente l’itinerario che da San Francesco porta al “salotto buono” della città come se, in questa incerta luce che segna il passaggio dalla notte al giorno, potesse rivivere la fatica di tanti uomini, donne e ragazzi che, con zappa e badile, con carriole e cesti portati sul capo, con carri trainati da cavalli o da buoi, hanno costruito un’arteria che ha segnato il passaggio dall’assetto urbanistico della Fermo medioevale all’apertura verso la modernità, attraverso il nuovo accesso carrabile verso la piazza. È questo un altro modo, diverso e suggestivo, di leggere il “racconto” di Folicaldi, il quale sa mettere in sequenza le immagini secondo una logica narrativa che risponde ad un preciso progetto che nasce a priori nella mente dell’autore prima di tradursi, a contatto della realtà, in quelle sue inquadrature capaci di interpretarla e nello stesso tempo superarla, conferendo ad esse una cifra di astrazione corrispondente a una concezione poetica del “vedere”. È lo stesso Folicandi, alla Le Cento Città, n. 40 fine del volume, a svelare il “mistero” della sua ispirazione, dicendo di aver dedicato questo suo racconto “agli uomini che all’alba, mentre la città era ancora addormentata, hanno cominciato a coprire con uno strato di sabbione di fiume tutta la Strada Nuova e che la sera, appena terminata la Cavalcata, si sono messi a ammassarlo e a caricarlo sui camion per lasciare la strada pulita…permettendo alle automobili, come nel riflusso di una marea che sale, di ritornare agli spazi da cui erano state allontanate”, ma di averlo anche dedicato “a una folla di uomini, di donne e di ragazzi che, tanti anni fa…hanno inciso la collina, hanno fatto riporti di terra e muri di sostegno per creare la nuova strada”. Non è la prima volta che la poetica fotografica di Folicaldi trova il suo fondamento espressivo di maggiore efficacia nella scala dei grigi, nelle morbide quasi sgranate tonalità di un quasi colore che diventa elemento cromatico talmente variegato da riuscire a rappresentare un mondo che scivola volutamente nel fantastico. Folicaldi sa cogliere quel momento del giorno in cui il buio della notte cede al primo chiarore dell’alba, quando, dice il Bardo, “la luce invidiosa a strisce orla le nubi che si sciolgono a oriente; le candele della notte non ardono più e il giorno in punta di piedi si sporge felice dalle cime nebbiose dei monti”. E’ l’ora dei sogni e Folicaldi racconta la fiaba di una città fantastica avvolta in un silenzio ovattato, priva di presenze umane, dove le strade urbane si sono trasformate in antichi tratturi di sabbia segnati da tracce profonde e misteriose, dove la superstite oscurità è forata dagli occhi di fuoco di mostri giganteschi e Alberto Pellegrino 9 Le Cento Città, n. 40 Portfolio terribili, che si rivelano poi essere giganti buoni condotti da gnomi altrettanto giganteschi che sanno trasformare in lavoro la loro terribile forza. Esiste volutamente uno iato temporale nel racconto di Folicaldi, al quale non interessa l’evento reale e superfotografato che si celebra ogni 15 agosto: la sua storia ha inizio poco prima dell’alba e termina con il ritorno delle cupe ombre 10 della sera, quando gli ultimi ritardatari ritornano lentamente verso casa, impugnando il Palio della contrada vincitrice, consapevoli che “la favola bella che oggi (li) illuse” è finita, perché tra poco gli uomini della notte ritorneranno con i loro “giganti buoni” per raccogliere la sabbia e riportare la città alla realtà quotidiana. Sulle strade è rimasta sospesa solo l’eco di quei cavalieri in Le Cento Città, n. 40 gara per la conquista del Palio: è come un “suono soffice, ovattato – dice Folicaldi – simile a quello di un grande sbuffo, che fanno in successione ritmica gli zoccoli sulla sabbia nel galoppo sfrenato, proiettando i cavalli sospesi nell’aria”. Caro Romano è “tempo di migrare”, i tratturi di sabbia stanno per ritornare comunissime strade urbane. Attualità 11 Lisippo, il Tribunale accoglie il ricorso de Le Cento Città di Alberto Berardi La lunga vicenda dell’Atleta di Fano pescato in mare da un battello da pesca di Fano in acque internazionali nel lontano 1964 si è temporaneamente conclusa con una ordinanza illuminata ed illuminante del GIP di Pesaro Lorena Mussoni. Ordinanza che impone la “confisca della statua (…) ovunque essa si trovi”. La nuova vicenda giudiziaria aveva avuto inizio con un esposto dell’Associazione “Le Cento Città” a firma del Presidente pro tempore avvocato Tullio Tonnini e dopo ll respingimento delle eccezioni presentate dai difensori del Getty Museum di Malibù in California , sulla competenza di un Tribunale italiano a giudicare in merito ha avuto un esito positivo. Ma la storia era cominciata molto prima, esattamente il 18.5.66 con l’assoluzione per insufficienza di prove presso il Tribunale di Perugia di quattro imputati ( gli eugubini Pietro, Fabio e Giacomo Barbetti ed il prete Giovanni Nagni).che erano entrati illecitamente in possesso della statua. A condannare i tre per ricettazione ed il Nagni per favoreggiamento fu invece la Corte d'Appello di Perugia il 27.1.67, sentenza annullata dalla Corte di Cassazione il 22.5.68 e seguita da una nuova assoluzione della Corte di Appello di Roma il 18.11.70 per la impossibilità di accertare l'interesse artistico, storico od archeologico del reperto. Il tutto avvenuto quando la statua era ancora nascosta in Italia. Mai accertata è la storia che fu "un antiquario milanese" nel 1971 a vendere la statua al tedesco Heinz Herzer , angoscianta è poi la versione che la statua lasciò Gubbio con una spedizione di forniture mediche mandate in Brasile presso una missione in cui operava un religioso parente dei Barbetti già riportata dal giornalista Bryan Rostron sulla Saturday Review del 31.3.79. Certo è che Herzer dichiarò di aver acquistato la statua per Tullio Tonnini e Alberto Berardi. “Artemis”, consorzio internazionale d’arte, "da una collezione sudamericana" e che nell'ottobre del 1971 la fece sottoporre ad analisi la statua presso il Doerner Institut in Barer Str. 29 di Monaco. Thomas Hoving, Direttore del Metropolitan Museum esaminò la statua nel 1972 a Monaco senza procedere al suo acquisto per i dubbi sulla legalità della sua provenienza come egli stesso dichiarò a Rostron. La statua fu invece acquistata dal Getty Museum per 3.950.000 dollari (purtroppo anche con l’avallo di Federico Zeri, allora uno dei consulenti del Getty Museum) dopo la morte del vecchio Getty che di fronte all’impossibilità di avere la documentazione sulla legittimità dell’esportazione dall’Italia aveva sempre rinviato l’operazione. E' infine certo che il Direttore generale dei Beni culturali nel 1990 segnalò al Ministero degli Esteri che in Italia era stato rinvenuto nel 1989 un frammento della concrezione marina che al momento del recupero ricopriva quasi interamente la statua. Esattamente quella concrezione Le Cento Città, n. 40 che personalmente feci consegnare, da colui che la deteneva, alla Procura della Repubblica di Pesaro retta allora dal dottor Savoldelli Pedrocchi. Era la prova provata che si cercava da anni. Nessuno da allora osò più sostenere che la statua del Getty non era la stessa recuperata dai pescatori fanesi. La concrezione marina si era staccata, dichiarò il signor Dario Felici, proprietario del terreno in cui la statua era stata temporaneamente seppellita , per un colpo di vanga da lui stesso inferto all'atto del dissotterramento "all'altezza di uno stinco". Quindi l’opera ripescata in mare durante una battuta di pesca “in acque internazionali”, come ha sempre sostenuto con me il capobarca Romeo Pirani, fu sbarcata a Fano dove rimase per un breve periodo, poi sotterrata in un campo di cavoli a Carrara ed infine trasferita a Gubbio presso i Barbetti. Da Gubbio per un lungo periodo di tempo della stessa si perdono le tracce. Certo è che, poiché non esiste nessun autorizzazione all’esportazione e gli avvocati del Getty pur sfidati a farlo dal sostitituto provuratore Attualità 12 Silvia Cecchi, dall’avvocato dello Stato Maurizio Fiorilli e dall’avvocato de “Le cento città” Tristano Tonnini si sono ben guardati dall’esibire qualsiasi documento, l’opera è uscita illegalmente dall’Italia, in altre parole, è uscita di contrabbando. Lo sosteniamo da trent’anni per una atavica fiducia nella Legge in opposizione alla “legge” ieri della forza ed oggi del denaro che per molte, troppo persone, è l’unico strumento che regola le cose del mondo. Siamo alle battute finali . L’impegno di pochi tra i quali alcuni validissimi servitori dello Stato: i carabinieri del Nucleo tutela patrimonio culturale guidati dal Capitano Salvatore Strocchia, l’avvocatura dello Stato, alcuni magistrati, qualche giornalista e “Le Cento Città” nel silenzio, lungo, troppo lungo, della politica nazionale, uniche eccezioni i già Ministri dei BBCC Buttiglione e Rutelli, è stato finalmente ripagato da coloro che hanno riportato nei suoi esatti termini una vicenda che se la cupidigia non avesse ottenebrato le menti non sarebbe neppure nata. La statua fa parte del patrimonio indisponibile dello Stato ed è uscita illegalmente dal nostro Paese, la Repubblica italiana ha non solo il diritto ma il dovere di confiscarla ovunque si trovi. Et de hoc satis. Attendiamo il suo ritorno con l’ottimismo della ragione. L’Atleta di Fano al centro del ricorso promosso dalla nostra Associazione. Le Cento Città, n. 40 Storia e Medicina 13 Bartolomeo Eustachio e la tradizione delle sue Tavole anatomiche di Stefania Fortuna Bartolomeo Eustachio (c. 151074), nato a San Severino Marche, è il medico e scienziato più famoso che la nostra Regione possa vantare, a cui è stato giustamente intitolato qualche anno fa l’edificio storico della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Politecnica delle Marche, a Torrette di Ancona. Eustachio è universalmente riconosciuto tra i fondatori dell’anatomia umana, insieme con altri medici del Cinquecento, primo fra tutti il grande rivale Andrea Vesalio (1514-64), anzi è considerato il padre dell’anatomia sottile, perchè con le sue osservazioni anatomiche si sarebbe spinto fino ai limiti della visibilità ad occhio nudo. Indagò infatti con straordinaria accuratezza strutture complesse del corpo umano e parti minute, come l’orecchio, i reni e il parenchima renale, i denti e l’embriologia dentale, il sistema vascolare e quello nervoso, e scoprì tra l’altro le ghiandole surrenali, la valvola della vena cava inferiore, il muscolo del martello, la tuba uditiva; di quest’ultima è eponimo non solo nel linguaggio scientifico. Nell’immaginario collettivo il nome di Bartolomeo Eustachio è principalmente legato alle tavole anatomiche. In una tela del pittore Mariano Piervittori (1817-88), originario di Tolentino, che è esposta con una certa suggestione in una sala del Palazzo Comunale di San Severino, Bartolomeo Eustachio è rappresentato seduto alla scrivania, mentre mostra le tavole anatomiche a studiosi ed allievi che gli sono accanto. Si tratta di un falso storico, che però contiene una parte di verità. Eustachio infatti non può aver mai tenuto tra le mani le proprie tavole anatomiche, perché furono pubblicate soltanto 140 anni dopo la sua morte, nel 1714, dal medico romano Giovanni Maria Lancisi (16541720). D’altra parte, una volta pubblicate, le tavole di Eustachio hanno un grande impatto nella comunità scientifica e fanno rinascere stima e considerazione per il loro autore che diventa attuale. Impressionano infatti per la loro precisione e complessiva superiorità rispetto alle tavole di Vesalio, che avevano dominato l’illustrazione anatomica fino ad allora, e sono subito investite da un vivace dibattito interpretativo che continua per tutto il Settecento ed oltre, e che coinvolge i protagonisti della medicina del tempo, tra gli altri Giovanni Battista Morgagni (1682-1771), Antonio Maria Valsalva (1661-1730), Herman Boerhaave (1668-1738), Albrecht von Haller (1708-77). Anche in seguito non si spegne l’interesse per le tavole anatomiche di Eustachio da parte di medici, scienziati e collezionisti, come il neurochirurgo americano Harvey Cushing (1869-1939), e la loro tradizione conserva ancora aspetti affascinanti e misteriosi nello stesso tempo. In questo articolo mi propongo d ricordare la vita e l’opera di Bartolomeo Eustachio e di ricostruire - per quanto oggi se ne sa la tradizione delle sue tavole anatomiche. Il fine è quello di richiamare l’attenzione su un personaggio importante e poco conosciuto delle Marche, di cui nessuno scritto è ancora disponibile in traduzione italiana. Sembra che sia quanto mai urgente anche perché di Eustachio, quest’anno, nel 2010, si festeggiano senza timore i 500 anni dalla nascita. Sappiamo con certezza che è nato a San Severino, perché Eustachio stesso lo ricorda nelle sue opere, ma non Mariano Piervittori (1817-88): Eustachio con le tavole anatomiche e gli studenti. Le Cento Città, n. 40 sappiamo con altrettanta certezza quando. In ogni caso il 1510 è la data comunemente accettata, che non deve essere troppo lontana dal vero. 1. Vita e opere Bartolomeo Eustachio nasce a San Severino intorno al 1510, e a San Severino nel 1539, forse subito dopo la laurea, riceve l’incarico della seconda condotta cittadina, che però non gli è rinnovato per l’anno successivo. Nello stesso periodo è chiamato dal duca Guidobaldo II della Rovere ad Urbino, a ricoprire il posto di medico di corte che era stato del padre Mariano prima e del fratello Fabrizio poi, scomparso prematuramente. Ad Urbino Eustachio diventa protomedico, amplia ed approfondisce la sua cultura nella biblioteca fondata da Federico da Montefeltro, studiando tra l’altro le matematiche e le lingue classiche, compresi sembra - arabo ed ebraico. Nel 1549 si trasferisce a Roma, al seguito di Giulio della Rovere, il fratello del duca nominato cardinale appena adolescente. A Roma Eustachio è presto un clinico ricercato da pazienti illustri, come Filippo Neri e Carlo Borromeo, insegna alla Sapienza, almeno nel decennio tra il 1555 e il 1565, e compie numerose dissezioni anatomiche sui cadaveri che gli sono forniti negli ospedali del Santo Spirito e della Consolazione. Il 9 agosto 1574, nonostante le precarie condizioni di salute, si mette in viaggio per portare soccorso al cardinale Giulio della Rovere, che si trova malato nella sua residenza estiva di Fossombrone. Eustachio ha difficoltà a procedere ed è costretto a rallentare e a fermarsi più volte lungo la Flaminia, anche con soste prolungate. Muore nei pressi di Fossato di Vico il 25 agosto 1574. Eustachio pubblica nel 1563/64 a Venezia, presso l’editore Vincenzo Luchino, gli Opuscula anatomica, una raccolta di cinque Storia e Medicina trattati di diversa dimensione o epistole, in cui espone i risultati che aveva raggiunti nelle sue ricerche anatomiche: Sui reni, Sull’orecchio (1562), Sulle ossa e il movimento del capo (1561), Sulle vene, Sui denti (1563). Il testo è accompagnato da otto tavole in quarto, che riguardano principalmente l’anatomia renale. Nel 1566 Eustachio pubblica inoltre a Venezia, presso l’editore Lucantonio Giunta, la traduzione latina con commento del Lessico di Ippocrate attribuito ad Eroziano, un oscuro grammatico greco del I sec. d.C., di cui aveva trovato un prezioso manoscritto nella Biblioteca Vaticana. Insieme pubblica un libretto intitolato De multitudine, sulla composizione del sangue. Ma da tempo Eustachio lavora ad un’opera più ambiziosa sull’anatomia umana, che comprenda grandi tavole anatomiche e un commento in cui siano discusse punto per punto le affermazioni di Andrea Vesalio, che nel 1543 aveva pubblicato il De humani corporis fabrica illustrato, attaccando per la prima volta l’anatomia di Galeno basata sugli animali e non sull’uomo. Eustachio è infatti un acerrimo avversario di Vesalio e un fedele sostenitore di Galeno, sebbene le sue ricerche rappresentino una revisione dell’anatomia di Galeno. Nella lettera prefatoria agli Opuscula anatomica, Eustachio annuncia la pubblicazione di quarantasei tavole, incise su rame, accompagnate da un trattato Sui dissensi e sulle controversie anatomiche, in cui sarebbero messe a confronto le opinioni dei medici antichi e moderni con le osservazioni anatomiche da lui fatte con l’aiuto dell’assistente Pietro Matteo Pini. Nella lettera introduttiva alla traduzione latina con commento del Lessico di Ippocrate di Eroziano, datata 1564, Eustachio ritorna sulle sue scoperte anatomiche e afferma che ormai da tempo aveva fatto incidere le tavole che vuole pubblicare. Nell’opera Sui reni scrive che le stesse tavole erano state incise nel 1552 (p. 68). Eustachio tuttavia muore senza riuscire a pubblicare le quarantasei grandi tavole con il commento. Forse in questo fu impedito - 14 come lui stesso scrive - dall’ingente impegno economico che un’opera del genere richiedeva, dall’età ormai troppo avanzata, dai dolori articolari che una malattia invalidante - sembra l’artrite reumatoide - sempre più spesso gli procurava, o dall’attesa di obiezioni da parte di altri anatomisti rivali che gli avrebbero fatto organizzare al meglio il testo, ma che non arrivarono, anche per la morte improvvisa di Andrea Vesalio nel 1564. 2. Le tavole anatomiche da Pini a Lancisi Bartolomeo Eustachio aveva un figlio Ferrante (m. 1594) che studiò medicina e poi la insegnò a Macerata e a Roma, ma, secondo le sue disposizioni testamentarie, il fedele assistente Pietro Matteo Pini è il beneficiario del suo lascito scientifico: libri, manoscritti, disegni, rami e strumenti. Dopo la morte di Eustachio, Pini cade in una profonda depressione, “dimenticandosi di se stesso e trascurando ogni studio”, come lui stesso racconta nella prefazione all’Indice delle opere di Ippocrate, che aveva preparato per ordine del suo maestro e che ora pubblica per onorarne la memoria presso l’editore Roberto Meietti di Venezia, nel 1597, quando è ormai a casa, ad Urbino, già da qualche tempo e si sente ristabilito. Nello stesso passo, Pini scrive che vorrebbe pubblicare le famose tavole anatomiche, incise su rame, che Eustachio gli aveva lasciato, se Dio l’assiste, ma muore senza riuscire a realizzare il proposito. In seguito, nel Seicento, medici e anatomisti ricercano le tavole anatomiche di Eustachio a Roma e a San Severino, nella convinzione che queste contengano importanti informazioni scientifiche. Per esempio lo fa, ma senza successo, il medico Marcello Malpighi (162894), che è il primo ad introdurre in Italia il microscopio nell’osservazione anatomica, e che ha una grande ammirazione per Eustachio, il quale - afferma Malpighi - avrebbe scoperto tutto quanto c’era da scoprire, se solo avesse avuto strumenti di osservazione più efficaci, il microscopio per l’appunto. Le Cento Città, n. 40 Filippo Bigioli (1798-1878): ritratto di Eustachio. Nel 1712 i rami delle tavole anatomiche di Eustachio sono ritrovate da Giovanni Maria Lancisi, che si rivela un investigatore straordinario. Conoscendo gli scritti di Eustachio e di Pini, Lancisi si convince che bisogna cercare le tavole ad Urbino, dove l’assistente di Eustachio che le possedeva aveva trascorso gli ultimi anni della sua vita. Con l’aiuto del papa Clemente XI, al secolo Gianfrancesco Albani (1649-1721), discendente di un’importante famiglia di Urbino, di cui Lancisi è amico, medico personale e archiatra, l’erede di Pietro Matteo Pini è presto identificato con il canonico Paolo Andrea de’ Rossi, suo pronipote per parte di madre. A casa di costui è in effetti conservata una cassa che era appartenuta a Pini, nella quale sono contenuti i rami delle tavole di Eustachio, ma non l’opera Sui dissensi e sulle controversie anatomiche che le avrebbe dovute accompagnare. Il Papa Clemente XI compra quindi i rami per 600 scudi e li mette a disposizione di Lancisi, che subito informa dell’entusiasmante ritrovamento i colleghi Antonio Vallisnieri (1661-1730), Giovanni Fantoni e Morgagni. Quest’ultimo è molto impressionato dalle tavole di Eustachio e scrive un lungo saggio sulle scoperte anatomiche, soprattutto riguardanti cervello e nervi, che sarebbero da attribuire ad Eustachio piuttosto che ad anatomisti successivi, come era avvenuto. Il 21 maggio 1714, in occasione dell’inaugurazione della biblioteca dell’ospedale del Santo Spirito Stefania Fortuna Ercole Rosa (1846-93): busto di Eustachio. - oggi nota come Biblioteca Lancisiana - a cui partecipano il papa Clemente XI, cardinali, prelati e nobili romani, nel momento culminante della cerimonia, è presentata l’edizione in folio delle tavole anatomiche di Bartolomeo Eustachio, con il commento che Giovanni Maria Lancisi aveva compilato giovandosi dell’aiuto dell’anatomista Antonio Pacchioni (1665-1730) e del giovane allievo Francesco Soldati, e anche con il citato saggio di Morgagni. Nel frontespizio è stampata un’acquaforte di Pietro Leone Ghezzi (1674-1755) che rappresenta Eustachio mentre dissezione un cadavere umano nel teatro anatomico; sopra, in caratteri cubitali, si legge il nome di Clemente XI, che aveva patrocinato sia il recupero dei rami sia la loro pubblicazione, e che è il dedicatario dell’edizione. Le tavole anatomiche di Eustachio pubblicate da Lancisi sono quarantasette. In una nota contenuta nella lettera a Giovanni Fantoni (p. viii), Lancisi afferma che c’è una tavola in più rispetto alle quarantasei citate da Eustachio, perché un ramo è inciso sui due lati. Tuttavia, le prime otto tavole pubblicate da Lancisi sono quelle sull’anatomia renale, in quarto, già apparse negli Opuscula anatomica. La serie delle grandi tavole non è quindi completa: sono trentanove, e ne mancano sette rispetto alle quarantasei di cui parlava Eustachio, che dove- 15 vano essere andate già perdute. Inoltre Francesco Soldati, rivolgendosi al lettore (p. xxxv), segnala che la numerazione delle grandi tavole, che segue quella delle piccole, è inconsueta e ci si aspetterebbe che la tavola IX sulle tre cavità fosse posta all’inizio, davanti a tutte le altre; ma questa numerazione - spiega Soldati - è quella che risale a Pini. Tuttavia è certo che i numeri delle grandi tavole furono aggiunti nel Settecento, subito dopo il loro ritrovamento. Non sappiamo se Lancisi fosse consapevole di tutte le difficoltà o inesattezze che la sua edizione contiene. Il suo intento era forse quello di presentare le tavole anatomiche di Eustachio quanto più possibile complete, originali e autorevoli, perché su queste poggiasse una grande tradizione anatomica romana, capace di competere con quella di qualsiasi altra università, Padova innanzi tutto, che da Eustachio giungesse fino allo stesso Lancisi, passando per il chirurgo Marco Aurelio Severino (1580-1656). Forse in nome di questo progetto Lancisi accettò che nell’edizione si tacesse su quanto - omissioni o interventi lo avrebbero indebolito. 3. Le tavole anatomiche dopo il 1714 Dopo la prima edizione, i rami delle tavole anatomiche di Bartolomeo Eustachio furono conservati alla Biblioteca Lancisiana. Ma in seguito, per intervento del cardinale Pietro Luigi Carafa, furono messi a disposizione del medico romano Gaetano Petrioli per la sua edizione del 1740. Nel 1750 Gaetano Petrioli afferma di aver letto sul retro del ramo XVII il nome del pittore Giulio Romano (1499-1546), allievo di Raffaello, e di Marcantonio Raimondi (1487-1534), famoso incisore del Cinquecento. Ma queste indicazioni pongono difficoltà cronologiche, perché le grandi tavole furono incise nel 1552, secondo quanto dice lo stesso Eustachio, molti anni dopo la scomparsa di entrambi gli artisti citati dal Petrioli. Quindi la testimonianza del Petrioli è da considerarsi falsa; si sono rivelate infondate Le Cento Città, n. 40 anche le altre proposte che sono state fatte nel tempo per identificare pittore o incisore delle grandi tavole, Tiziano compreso. Sembra piuttosto ragionevole pensare che per queste lo stesso Eustachio avesse preparato i disegni o lo avessero fatto dei pittori che lavoravano con lui, in stretta collaborazione; quanto all’incisione bisogna distinguere almeno due o tre mani diverse, tutte coeve: la tavola XXX non può essere stata incisa dalla stessa mano della tavola XXXV ! La storia dei rami di Eustachio successiva a Petrioli ci è nota soltanto in piccola parte. Sappiamo infatti che in seguito i rami furono acquistati da Andrea Massimini (1727-92), chirurgo all’ospedale romano della Consolazione, per la sua elegante edizione pubblicata nel 1783, con un nuovo commento, che però segue da vicino quello del Lancisi della prima edizione. Dei rami di Eustachio si perdono poi le tracce e attualmente non sembrano conservati, almeno in nessuna istituzione pubblica. Qual è la sorte dei disegni e dei manoscritti che Eustachio aveva lasciato in eredità a Pini, soprattutto l’opera Sui dissensi e sulle controversie anatomiche che avrebbe dovuto accompagnare le tavole ? Com’è possibile che nella cassa di Pini conservata ad Urbino, a casa del pronipote, non ci fosse altro materiale di Eustachio, oltre ai rami pubblicati dal Lancisi ? Nessuno si rassegna alla perdita. Lo stesso Lancisi, scrivendo a Fantoni, si augura che il commento di Eustachio possa essere ritrovato, con l’impegno del papa Clemente XI (p. xiv). Morgagni, scrivendo a Lancisi, chiede ardentemente, “oro te obtestorque”, che la ricerca non sia interrotta, perché il commento di Eustachio dovrebbe contenere molto di più di quanto le tavole mostrano (pp. xxix-xxxi), e suggerisce di continuarla proprio ad Urbino, presso gli eredi di Pini che custodivano le tavole. In qualche modo la ricerca non si ferma neppure nei secoli successivi e coinvolge l’altra sponda dell’Atlantico. Il 14 novembre 1928 l’editore e antiquario fiorentino Leo Olschki scrive una lette- Storia e Medicina Tavola XXXI: muscoli. ra ad Harvey Cushing, padre della neurochirurgia e grande collezionista, che allora era a Boston, alla Harvard University, proponendogli l’acquisto di un “meraviglioso” manoscritto, al prezzo di 1.000 dollari: sarebbe stato trovato nella casa degli eredi di Pini nel 1715, e conterrebbe 307 disegni anatomici con il commento autografo di Eustachio. Cushing non si lascia sfuggire l’occasione e compra il manoscritto, ma si accorge subito che non è l’autografo di Eustachio. In tre pagine dattiloscritte compila un lucido resoconto, datato 25 dicembre 1928, segnalando che i disegni sono copiati dalle opere anatomiche di Vesalio e di Giovan Battista Canani (1515-79), e che di entrambe rappresentano una semplificazione. Cushing nega che il manoscritto abbia lo stretto legame con Eustachio che Olschki gli aveva vantato, ma non evita di metterlo in qualche modo in relazione con lui, ritenendolo appunti raccolti da uno studente diligente, probabilmente Pini. Tuttavia la scrittura di Pini, che Cushing non conosceva, è diversa da quella che aveva vergato il manoscritto da lui acquistato, oggi conservato a New Haven, alla Medical Historical Library, Harvey Cushing Collection, n. 9, insieme con le note dello stesso Cushing (Iter Italicum V 293a). Nel 1972 Luigi Belloni, storico 16 della medicina di Milano, identifica nel manoscritto conservato a Siena, alla Biblioteca Comunale degli Intronati, C IX 17, l’opera tanto ricercata di Eustachio Sui dissensi e sulle controversie anatomiche, a partire da una segnalazione dell’Iter Italicum II 151. Il testo presenta due scritture, che sono certamente quelle di Eustachio e di Pini, come accade anche altrove. Eustachio era afflitto dall’artrite che gli causava forti attacchi, come “un migliajo di tratti di corda”; non riusciva neppure a scrivere e ricorreva quindi spesso all’aiuto di Pini. Il 7 gennaio 1971 Eustachio scrive al duca Guidobaldo II della Rovere: “o scritto questa letera con molta difficoltà, e non potrej scriverne un’altra”. Il testo inoltre tratta l’anatomia umana nel suo complesso, ossa, muscoli, nervi, vene, arterie, addome, torace e cranio, ed è organizzato per syngrammata e antigrammata, cioè citazioni di Vesalio, principalmente del De humani corporis fabrica, e successive obiezioni o confutazioni di Eustachio. Questa struttura appartiene anche al trattato Sulle vene, pubblicato negli Opuscula anatomica, che lo stesso Eustachio presenta come una sorta di estratto di quello più ampio, in preparazione, Sui dissensi e sulle controversie anatomiche (p. 262). Belloni pubblica subito la prefazione, interamente scritta da Eustachio, che contiene un elogio di Galeno contro gli anatomisti che negli ultimi tempi lo avevano ingiustamente attaccato, Vesalio prima di altri, e promette l’edizione di tutto il resto, che tuttavia continua ad essere un desideratum. Negli anni successivi, quasi per un decennio, Belloni pubblica diversi articoli su Eustachio, e nel 1981 l’indice dettagliato del manoscritto di Siena. Come avverte Belloni fin dal primo articolo, molti sono i fogli bianchi in questo manoscritto e il testo è largamente incompleto e provvisorio. Le citazioni di Vesalio, i syngrammata, sono state scritte, ma spesso mancano gli antigrammata di Eustachio, e anche quelli compilati, per esempio sulle vene, non sono definitivi, ma soltanto appunti da rielaborare, come si evince da un confronto Le Cento Città, n. 40 Tavola XXI: nervi. tra questi e il trattato Sulle vene pubblicato negli Opuscula anatomica. Si può ora aggiungere che mancano soprattutto le parti sul cervello e i nervi, da cui ci sia aspettava molto o di più, almeno stando alle tavole anatomiche, come già aveva dichiarato Morgagni. Difficile dire se ci sia un’altra versione del trattato Sui dissensi e sulle controversie anatomiche scritta da Eustachio, ma non sembra probabile. Quanto alla storia del manoscritto di Siena, è davvero molto oscura. Non ci sono note di possesso né indicazioni di provenienza. Neppure l’ingresso nell’attuale biblioteca si lascia in qualche modo datare sulla base dei cataloghi antichi, perché può essere avvenuto in qualsiasi momento, dalla metà dell’Ottocento fino a quella del secolo successivo. Molte domande quindi, per il momento, non hanno risposta. Si trovava il manoscritto di Siena nella cassa appartenuta a Pini, ad Urbino, fino al 1712 ? Ebbe una sua sorte diversa da quella delle tavole anatomiche anche prima del 1712 ? Fu mai nelle mani di Lancisi o di Clemente XI ? La sua esistenza fu allora tenuta nascosta da Lancisi e dai suoi collaboratori perché imbarazzante per l’eccessiva incompletezza ? In ogni caso, la storia della tradizione delle tavole anatomiche di Eustachio non sembra sia stata ancora completamente scritta. Enogastronomia 17 Vincisgrassi di Leonardo Bruni* È noto ed assodato che la gastronomia è parte integrante della cultura e dell’identità di una popolazione insieme alla letteratura, all’arte, ai riti religiosi, agli usi e costumi. Descriveremo nella nostra rivista tradizioni e ricette della cucina popolare marchigiana. I vincisgrassi Sono sostanzialmente delle lasagne al forno. È considerato il piatto simbolo della cucina marchigiana. Ancona e Macerata si contendono la primogenitura del piatto. Il primo documento su questo tipo di lasagna è del cuoco maceratese Antonio Nebbia 1784 che qualcuno considera il creatore dei Vincisgrassi. Anna Gosetti della Salda nel suo libro “Le Ricette Regionali Italiane” 1967 precisa quanto segue: i vincisgrassi sono di origine maceratese, le lasagne incassettate anconetana. Le lasagne dal greco laganon, dal latino laganum, dal medioevale lasanis fanno parte della antica cucina regionale italiana diffusa dalle Alpi al Lilibeo. Documentata presso gli etruschi, i greci, i romani e descritta nei ricettari medioevali. La parola lasagna è citata per la prima volta nel Liber de Coquina di un anonimo cuoco della corte angioina di Napoli alla fine del XIII secolo, scritto in tardo-latino De Lasanis Ad lasanas accipe pastam fermentatam (pasta per il pane ) et fac tortellum (sfoglia) ita tenuem sicut Posteris. Deinde divide per partes quadratas ad quantitatem trium digitorum: Postea, habeas acquas bullientem salsatam (salata) et pone ibi ad coquendum. Et quando erunt fortiter decocte, accipem caseum grattatum Oggi le lasagne si ricavano da un impasto di farina di grano duro o farina di grano tenero ed uova con l’aggiunta di poca acqua ed a volte di altre farine ed ingredienti. Dall’impasto, con il matterello, si “tira” la sfoglia. Dalla sfoglia si ricavano lunghe strisce chiamate in Puglia: lagane, al centroitalia fettuccine o tagliatelle, oppure rettangoli o quadrati di 8-15 cm di lato chiamate al Sud sagne ed al Nord lasagne. Ricette di lasagne si ritrovano in Piemonte condite con ragù a base di carni varie; a Genova con il pesto e non passate al forno, nel Friuli-Venezia Giulia con il burro zucchero e semi di papavero pestati; in Emilia, verdi con gli spinaci, condite con ragù di carne e salsa bianca (besciamella), a Napoli vengono chiamate: sagne imbuttite di Carnevale condite con mozzarella, uova sode, salsicce, polpettine di carne fritte; più o meno simili in Calabria le sagne chine in cui la mozzarella è sostituita dal caciocavallo e vengono aggiunte verdure come carciofi e piselli. La parola timballo di maccheroni che si usa in certe regioni è impropria essendo il timballo un “pasticcio” di maccheroni o riso o carne o verdure avvolto in una “crosta” di pasta sfoglia. La parola vincisgrassi utilizzata per definire le “lasagne marchigiane” ha avuto diverse interpretazioni. Una storia, d’origine anconetana, fa derivare la parola dal nome del generale austriaco Windschgratz che nel 1799, durante le campagne austriache contro Napoleone, comandava il parco artiglieria d’assedio dispo- *Accademico della cucina (delegazione di Ancona) Le Cento Città, n. 40 sto contro Ancona. Questo generale non avendo molto da fare passava molto tempo in tavola e amava mangiare grandi piatti di “lasagne” preparate da una cuoca del luogo. Non si sa come questo piatto della cucina ricca o delle feste prese il nome italianizzato del generale austriaco. I gastronomi marchigiani fanno risalire vincisgrassi a questa ricetta tratta dal “Cuoco Maceratese” di Antonio Nebbia stampato nel 1784: Salsa per il princisgras o lasagne di princisgras. Prendete una mezza libbra di prosciutto e fatelo a dadi piccoli e quattro once di tartufari fettati fini(1); dopo prendete una fojetta e mezza di latte(2) stemperatelo in una casseruola con tre once di farina, mettetela in un fornello insieme al prosciutto ed i tartufari e fatelo bollire maneggiando sempre (3) aggiungete mezza libbra di pana fresca (4)), maneggiando sempre per farla unire insieme: dopo fate una perna (5) per tagliolini)con due uova intere e quattro rossi; stendetela non tanto fina e, tagliatela ad uso dei mostaccioli di Napoli(6), non tanto larghi : cuoceteli con la metà di brodo e la metà di acqua, aggiustate con il sale; prendete il piatto che dovete mandare in tavola (7); potete fare intorno al detto piatto un bordo di pasta a frigé (8)per ritenere in esso piatto la salsa, acciocché non dia fuori quando la mette nel forno , mentre gli va fatto prendere un poco di brulì (9). Fate asciugare le lasagne su un panno . Sistematele nel piatto incasciatele col formaggio parmigiano, ricopritele con butirro e la salsa: fatene poi altri strati sino ad empire il piatto ; bisogna avvertire che al di sopra deve terminare con la salsa il butirro ed il formaggio parmigiano; mettetelo al forno per fargli fare il suo brulì. Leonardo Bruni Note Una libbra corrisponde a 330 g ed un oncia a 27.5 g 1) tartufi 2) poco più di mezzo litro 3 mescolando 4) panna di latte 5) in maceratese: sfoglia 6) in vecchi ricettari seicenteschi questo termine designa rombi di pasta lievitata da friggere, oltre che i noti dolci fatti con il mosto 7) qui si intende teglia da forno in ferro smaltato o in ceramica adatta per cuocere e portare in tavola. 8) brisé 9) far fare la crosta Facciamo notare che nel maceratese la P suona V; ad esempio: bella si pronuncia vella, babbo vabbo per cui da princisgras a vincisgrass il passo è breve. La s centrale di vincisgrassi sta per dissimilazione provocata dalle due ss finali. Alcuni gastronomi hanno interpretato la parola princisgras come pietanza opulenta che da vigore ai giovani “principi”. Tratto dal “Cuoco Perfetto Marchigiano” di Anonimo e stampato a Loreto nel 1897 riporto questa specie di lasagna in cui compare la parola: misgrasse il cui significato non ho trovato da nessuna parte Gattò di lasagne alla Misgrasse Si fa una sfoglia come quella dei tagliolini con la sola differenza che non dev’essere tanto sottile, e si n mette nella pasta un pezzo di butirro grosso come.una noce. Si tagliano le lasagne della lunghezza di quattro o sei dita riquadrate, si fanno cuocere con acqua bollente e sale, mettendole nell’acqua una per volta nel più forte del bollore, acciocchè non si ammassino. Quando saranno cotte si scolano, si rimettono prima nell’acqua fresca e sale, e poi sopra una tovaglia pulita. Si prende una casseruola imbutirrata bene e spolverizzata di mollica di pane grattato, si fa nel fondo una grande stella di fette di prosciutto; si distendono le lasagne nel fondo ed all’intorno della stessa casseruola in modo che sopravanzino alla sua altezza. si condisce strato per strato con 19 parmigiano grattato, pezzetti di butirro fresco, un poco di balsamella, qualche poco di ragù d’animelle( rigaglie di pollo) e tartufi ristretto, cannella fina, pepe schiacciato, noce moscata. Quando la casseruola sarà quasi piena, si ripiegano in dentro le lasagne che sono rimaste fuori del bordo, si condiscono egualmente, e si finisce col solo parmigiano e butirro. Si mette infine la casseruola al forno alquanto caldo, si versa il gattò in un piatto e si serve subito. Possiamo concludere che ogni ricerca sul significato di vincisgrassi è totalmente deludente, ma sulle origini atteniamoci a quanto ha scritto il cuoco marchigiano Tirabasso(1927): “I Vincisgrassi sono molto in uso nelle Marche, specie nella provincia di Macerata. Furono inventati dal cuoco Nebbia un secolo fa, ed è uno dei piatti preferiti della Regione Marchigiana” Cominciamo col descrivere la prima ricetta di vincisgrassi pubblicata sulla ”Guida in Cucina” di Cesare Tirabasso stampato a Macerata nel 1927 Vincisgrassi o Windsgreaz Per fare i vincisgrassi occorrono tre cose: la pasta speciale la besciamella la salsa pasticciata La Salsa pasticciata è difficile da fare e costosissima e quindi bisogna farla bene Dosi e proporzioni: 250 g di rigaglie di pollo 200 g di petto di pollo disossato 200 g di animelle di vitello lessate 100 g di filoni di manzo lessati (midollo spinale) 100 g di lombo di vitello 750 di salsa do pomodoro 100 g di panna di latte fresca Funghi freschi o secchi , sedano, cipolla , carota, burro Far soffriggere con il burro il trito di mezza cipolla , una carota ed un pezzo di sedano, mettete poi le rigaglie, il petto, il lombo ed iil prosciutto, il tutto tagliato a piccole fettine: lasciate andare a fuoco leggero per Le Cento Città, n. 40 20 minuti, girando con un mestolo di legno, stemperatelo con mezzo bicchiere di marsala , sale e pepe. Bagnate con un po’ di brodo, versate la salsa di pomodoro, unite le animelle, i funghi ed i filoni tagliati a piccole fettine. Portate a cottura e verso la fine aggiungete la panna. Deve essere né troppo densa, né troppo liquida. Preparate una pasta speciale nella seguente maniera (dosi per 12 persone) Farina 00 500 g, semolino 300 g, uova di gallina n ° 5, burro: 50 g, vino cotto o marsala 50 cc. Sciogliete in un tegamino il burro con il vino cotto. Disporre le farine a vulcano sulla spianatora versarvi burro e uova. Ammassate ed impastate bene, dividetela in due o tre parti e stendetela con il matterello in sfoglia sottile tagliatela poi a grosse lasagne (10X15 cm), lessatele in poca quantità in abbondante acqua bollente giusta di sale, levatele con una “scolarella , gettandole in un altro recipiente contenente acqua fredda, subito toglitele e mettetele su una tovaglia. Accomodatele poi su un “piatto” (teglia) proporzionato, di alluminio o ferro smaltato, confezionandole nella maniera seguente: Mettete nel fondo del piatto un po’ di “salsa pasticciata” * che avrete preparato in anticipo aggiungendo parmigiano grattugiato, fettine di tartufo (se ne avete) e pezzetti di burro.. ricoprite il fondo del piatto con uno strato di lasagne sopra indicate e già lessate ed asciugate. Rimettete sopra questo strato salsa pasticciata, formaggio, burro e tartufi, rimettete di nuovo altro strato di lasagne, recondite come il precedente , continuando così finché il piatto non è pieno. Ricoprite l’ultimo strato con salsa pasticciata e parmigiano grattugiato. Lasciate riposare alcune ore e poi ricoprite la superficie dei vincisgrassi uno strato di salsa besciamella. Mettete al forno a calore vivo e lasciate cuocere sino a che non abbia preso un Enogastronomia bel colore d’oro in superficie (circa 35 minuti Levate il piatto dal forno , lustrate la superficie con un poco di burro e servite ben caldo *a base di rigaglie di pollo, lombo macinato e prosciutto tagliato a dadini e cotti in pomodoro. Ora veniamo alla ricetta moderna che possiamo far risalire agli anni quaranta del millenovecento. E’ un piatto che non fa parte della cucina popolare marchigiana, quella tradizionale contadina, ma della cucina borghese. È comparso sulle tavole del popolo poco prima della seconda guerra mondiale in occasione di grandi feste o matrimoni. Trascrivo la ricetta dei Vincisgrassi Maceratesi come è stata codificata dalla delegazione di Macerata dell’Accademia Italiana della Cucina Ingredienti per 10/12 persone Besciamella: 750 g, Perna (la sfoglia ): 500 g di farina 00, 200 g di semolino, 5 uova, 50 g di burro fuso o olio d’oliva, mezzo bicchiere di vino cotto (in mancanza marsala secco o vino passito). Sugo: 3 o 5 rigaglie (maghetti) di pollo o di oca o anatra sbollentati e poi tritati, due animelle sbollentate e spellate e tagliate a dadini. Carni: vaccina a pezzetti o macinata. 400 g, 400 g di spalla d’agnello a pezzetti, due ossa con midollo, nervetti (tendini) e filoni (midollo spinale) Lardo di maiale macinato: 100g Sedano, carota, cipolla tritate; 750 g di salsa di pomodoro ed un cucchiaio di conserva Un bicchiere di vino bianco, sale e pepe Olio, burro, parmigiano grattugiato. Versare la farina a “vulcano” sulla spianatoia, aggiungere gli ingredienti ed impastare a lungo, far poi riposare coperta per un paio di ore, tirare la sfoglia piuttosto sottile, ricavarne rettangoli di 10X15 cm, lessarli per 2 minuti in acqua bollente salata, passarli nell’ acqua fredda, distenderli su una tovaglia. In un tegame di coccio mettere 20 Ho raccolto diverse ricette di nonne, zie e conoscenti sparse per ogni dove delle Marche e cercherò di codificare una ricetta che sia un giusto equilibrio delle varie proposte: Vincisgrassi marchigiani Per 8/10 persone Parmigiano grattugiato almeno 250 g Il sugo o ragù Lardo un etto Una carota , una cipolla media, il bianco di un sedano Magro di vitella e di maiale: 500 g , passato al tritacarne Rigaglie di almeno due polli o di papera scottare in acqua bollente. Le rigaglie sono una componente fissa ed essenziale per la preparazione dei vincisgrassi Nel fabrianese fanno il sugo con salsicce, carne d’agnello con l’osso e costarelle di maiale che poi riducono in piccoli pezzi gettando le ossa. Prosciutto a dadini: 250 g Funghi freschi: 200-300 g o secchi 25-30 g , se disponibile tartufo nero o scorzone Salsa di pomodoro o pomodori pelati: 500 g Un cucchiaio di conserva di pomodoro Olio d’oliva: tre cucchiai Chiodi di garofano, pepe, maggiorana In un tegame di coccio far rosolare nell’olio due mezze cipolle ingarofanate, il sedano e la carote tritati ed il macinato, bagnarlo con mezzo bicchiere di vino rosso, far evaporare, salare, impepare, un bel pizzico di maggiorana. Versare i pomodori. Far cuocere a fuoco lento e tegame incoperchiato, dopo aver aggiunto i funghi e le “rigaglie” di pollo tritate, per almeno 30/40 minuti; a fine cottura aggiungere i dadini di prosciutto e gli eventuali tartufi tagliati a fettine sottili. Salsa bianca o besciamella Latte: mezzo litro Farina: 4 cucchiai Burro: 50 g. Grattata di noce moscata, cannella. Far dorare il burro e poi aggiungere la farina in un tegamello su fuoco dolcissimo o meglio a bagno- maria e versare lentamente il latte caldo sempre girando con un cucchiaio di legno, addensare poco, profumare con la noce moscata e un poco di cannella. Nel fabrianese non usano la besciamella, ma versano un poco di latte insieme al sugo sulle lasagne La sfoglia Cinque uova, meglio quelle di oca o tacchino Farina 00: 700 g Un cucchiaio di olio d’oliva Mezzo bicchiere di vin cotto (tipico del maceratese , non delle altre province) Tirare la sfoglia come per le tagliatelle con spessori variabili da zona a zona: l’ottimale sui due millimetri. Dalla sfoglia ricavarne dei rettangoli di 10X15 o 15x18 cm , lessarli appena (non scuoteteli!) in abbondante acqua salata poi stenderli ad asciugare su una tovaglia. Prendere una teglia da forno, idonea alla quantità che avete predisposto, di alluminio o ceramica Coprire il fondo con un sottile strato di sugo, disporre sopra i rettangoli di pasta o lasagne, ricoprire con il sugo, un poco di salsa bianca e spolverare con parmigiano grattugiato. Ripetere l’operazione sino ad esaurimento delle lasagne. L’ultimo strato deve essere fatto con il sugo, la salsa bianca e tanto formaggio grattugiato. Vanno messe nel forno a 200° sino a quando non si sia formata una bella crosticina (circa 40 minuti). Le Cento Città, n. 40 L’economia 21 Mondo finanziario e mercato dell’arte: un connubio possibile? di Nicoletta Marinelli Il mondo della finanza e, più in generale, quello dell’economia sembrano negli ultimi anni mossi da un trasporto “eccezionale” per il mercato dell’arte. Ormai tutti i giornali di economia e di finanza dedicano uno spazio crescente ad articoli e rubriche che si occupano di arte ed economia; convegni e tavole rotonde in cui si dibattono i temi dell’arte e della finanza sono sempre più frequenti; corsi di laurea e master specialistici che hanno l’obiettivo di creare figure professionali legate al business dell’arte sono ormai attivi in tutte le maggiori università. Se, da un lato, l’interesse da parte del mondo economicofinanziario per l’arte sembra crescente, dall’altro, controverso è il giudizio sugli effetti che questo avvicinamento tra arte e finanza potrebbe avere sul futuro della creazione artistica. I fautori del connubio sostengono che l’interesse della finanza per il mercato dell’arte sia positivo, in quanto consentirebbe di veicolare nuove risorse a favore del settore e degli artisti, promuovendo per questa via una creazione artistica maggiore e favorendo l’affermarsi dell’eccellenza. I detrattori sottolineano, invece, come la ricerca del ritorno economico immediato, insita in alcune forme di transazione finanziaria, potrebbe inquinare l’originalità dell’espressione artistica; il timore è che gli artisti possano essere indotti a produrre generi ed opere d’arte non perché frutto della propria sensibilità, ma in quanto richiesti dal mercato. Con questo contributo non si ha la pretesa di esaurire un dibattito così ampio nelle motivazioni e così profondo nei contenuti, nella convinzione che la risoluzione di tale dibattito rimanga pur sempre nella sensibilità individuale di chi discute. L’obiettivo è piuttosto quello di gettar luce su alcuni temi principali rispetto ai quali le diverse posizioni si con- frontano: - la trasformazione dell’opera d’arte in attività finanziaria; - la determinazione del valore di un’opera e la formazione del prezzo; - le modalità di valorizzazione delle opere ed il ruolo degli intermediari finanziari. 1. Come prima cosa, è bene precisare cosa spieghi l’interesse del settore economico-finanziario per il mercato dell’arte e, dunque, quale legame possa esistere tra economia e finanza, da un lato, ed opere d’arte1, dall’altro. Il legame tra istituzioni finanziarie e mercato dell’arte passa, a nostro avviso, attraverso il concetto di attività finanziaria; più nello specifico, attraverso il concetto di attività finanziaria alternativa. Definire quest’ultima non è semplice; non esiste, infatti, un’accezione univoca del termine. In genere, si preferisce adottare una definizione residuale, che riassume all’interno degli investimenti alternativi tutte quelle forme di allocazione delle risorse finanziarie diverse dalle azioni e dalle obbligazioni. Si fa riferimento ad un insieme eterogeneo di investimenti, che comprende immobili, valute pregiate, metalli preziosi, beni di lusso, ma anche, a partire dagli ultimi anni, oggetti d’arte. Il ponte di collegamento tra mercato finanziario ed arte si manifesta, dunque, nel momento in cui gli oggetti artistici non vengono più visti semplicemente come un bene edonistico, ma come una vera e propria attività finanziaria, alternativa rispetto alle altre più tradizionali. Prescindendo da considerazioni di merito circa l’opportunità o meno di equiparare i beni artistici ad una classe di investimento, le opere d’arte presentano effettivamente alcune caratteristiche che, all’occhio esperto di studiosi ed operatori del mercato finanziario, le rendono particolarmente appetibili nelLe Cento Città, n. 40 l’insolita veste di investimenti alternativi. Oltre al “dividendo estetico” che ovviamente si percepisce e che non sarebbe altrimenti fruibile acquistando azioni od obbligazioni, l’andamento del mercato dell’arte sembra essere poco o affatto correlato con quello dei mercati finanziari tradizionali e questo rende le opere d’arte uno strumento di investimento efficace per diversificare il portafoglio e per stabilizzare i rendimenti complessivi; tanto più nelle attuali condizioni di mercato, in cui i mercati finanziari di tutto il mondo sono sempre più legati fra loro e trovare un fattore di decorrelazione risulta prezioso. Inoltre, è indubbio che le compravendite di opere d’arte risultino talvolta molto redditizie, consentendo rendimenti a due cifre che oramai da tempo non si vedono nei mercati finanziari2. Tuttavia, entusiasmi eccessivi vanno opportunamente ridimensionati, in quanto le opere d’arte non sono un’attività finanziaria “perfetta”. Le cautele sorgono, innanzitutto, considerando che per far fruttare un investimento in beni artistici occorre accettare un orizzonte temporale di lungo termine ed immobilizzare le risorse per molto tempo: spesso occorrono anni prima che un’opera possa essere convenientemente riproposta sul mercato e difficilmente si riesce ad ottenere una speculazione sul prezzo a breve termine. Inoltre, l’investimento in opere d’arte, a differenza di un investimento tradizionale, oltre al rischio di caduta del prezzo, comporta una serie di rischi aggiuntivi legati strettamente alla materialità dell’opera (rischio furto, incendio, etc.); ovviamente le opere d’arte possono essere coperte da tali rischi materiali attraverso la stipula di polizze assicurative, tuttavia, tali costi assicurativi devono essere tenuti in debita considerazione quando si formula una valutazione com- L’economia plessiva circa la convenienza economica dell’investimento. Infine, occorre ricordare che i circuiti del mercato delle compravendite in arte sono molto meno strutturati ed organizzati rispetto a quanto non accada nei mercati finanziari, con la conseguenza che non sempre risulta agevole ed immediato trovare una controparte conveniente per lo scambio; spesso i circuiti di compravendita sono anche molto esclusivi, prevedendo soglie di accesso estremamente elevate. Tutto ciò, come accennato poc’anzi, limitandoci ad osservazioni di carattere tecnico e prescindendo da qualsiasi giudizio in merito alla legittimità o meno di considerare le opere d’arte come un’attività finanziaria possibile. La considerazione di questo giudizio, a nostro avviso, può essere superata considerando che l’acquisto di un’opera d’arte può soddisfare bisogni diversi: un bisogno emozionale, tipico del collezionista, un bisogno di comunicazione, un bisogno di legittimazione culturale e sociale, ma anche un bisogno di investimento. La numerosità dei bisogni da soddisfare attraverso l’arte crea un mercato complesso e popolato da protagonisti profondamente diversi tra loro. Per un sottoinsieme di questi, l’arte rappresenta una forma di investimento, per la quale valgono i punti di forza e di criticità in termini di rendimento, di rischio e di liquidità discussi in precedenza. 2. Dando per chiarite le peculiarità e le prospettive che possono giustificare la trasformazione dell’opera d’arte in attività finanziaria, si ritiene utile dar voce a due soggetti del mondo dell’economia e della finanza che, pur partendo da presupposti diversi, si occupano entrambi di mercato dell’arte: da un lato, gli studiosi di economia e finanza, che con questo contributo ho l’onere e l’onore di rappresentare di fronte ai lettori; dall’altro, gli operatori del settore finanziario, che specie negli ultimi anni intervengono nel settore delle compravendite d’arte con modalità loro proprie. Con riferimento al primo gruppo di soggetti (gli studiosi di economia 22 SGARBI L’apertura del convegno di Caldarola dedicato ai beni culturali. Foto Romano Folicaldi. e finanza), un tema estremamente dibattuto, che ha visto anche il nostro gruppo di ricerca in prima linea, riguarda la formazione del prezzo delle opere d’arte. Infatti, se l’acquirente, oltre all’appagamento estetico, vuole ricercare un valore anche in termini di investimento finanziario, deve riconoscere e tenere in considerazione i fattori responsabili del processo di formazione del prezzo delle opere. Tali fattori possono essere suddivisi in fattori “fondamentali” e fattori “di mercato”. I fattori “fondamentali” includono: le caratteristiche dell’artista (nome, anno di nascita, se ancora in vita o meno); le caratteristiche fisico-tecniche dell’opera, legate alla realizzazione materiale della stessa (tecnica impiegata, supporto, dimensioni); le caratteristiche storico-artistiche dell’opera, indicative della rilevanza che l’opera assume all’interno del sistema complesso dell’arte (citazioni in letteratura, presenza di data, titolo, firma dell’autore, pubblicazione dell’opera in cataloghi o monografie, autenticazione da parte dell’artista o riconoscimento dell’autenticità da parte degli esperti, numero di mostre in cui l’opera è stata esposta, numero di proprietari precedenti). I fattori cosiddetti “di mercato” sono, invece, legati all’evento della vendita e prescindono dalle caratteristiche intrinseche dell’oggetto artistico; ad esempio, sono fattori “di mercato” la casa d’aste che cura la transazione, la piazza ed il luogo ove avviene la stessa, la stima che gli esperti Le Cento Città, n. 40 della casa d’aste esprimono circa il valore economico dell’opera, prima che l’offerta al pubblico incanto abbia luogo3. Il nostro studio ha avuto ad oggetto il mercato dell’arte contemporanea italiana. In particolare, sono stati selezionati i 21 artisti contemporanei italiani che presentano la cifra d’affari maggiore nelle aste internazionali; ciò al fine di trattare beni il più possibile omogenei, quindi, confrontabili tra loro. Di questi 21 autori, sono stati considerati esclusivamente i dipinti, mentre è stata esclusa la tipologia artistica dei disegni e quella delle stampe; in questi ultimi casi, infatti, la diversità del materiale impiegato e la riproducibilità dell’oggetto d’arte avrebbero determinato dinamiche di prezzo completamente differenti. Il campione analizzato si compone così di 2.817 prezzi di opere d’arte contemporanea italiana compravendute in asta nel periodo 1990-2006. Dall’analisi dei fattori che mostrano un’influenza sulla formazione del prezzo dei dipinti di arte contemporanea italiana, emerge come sovente il successo economico di un’opera dipenda da variabili non direttamente associate alle caratteristiche fondamentali dell’opera. Se, da un lato, le caratteristiche dell’artista, quelle fisico-tecnico e storicoartistiche dell’opera sembrano contare meno (dell’elenco copioso riportato in precedenza, le uniche che sembrano esercitare un’influenza positiva sulla facilità di vendita del dipinto e sul suo Nicoletta Marinelli prezzo finale sembrano essere il nome di alcuni autori, il fatto che l’autore sia ancora in vita, le dimensioni dell’opera ed il numero di esposizioni cui l’opera stessa ha partecipato), dall’altro, un ruolo primario è svolto da tutti i fattori “di mercato” associati all’organizzazione della vendita. Innanzitutto, la casa d’aste ove si realizza la vendita dell’opera influisce fortemente sia sull’esito della transazione (quadro venduto/invenduto), sia sul prezzo finale conseguito: le tre case d’aste più prestigiose per la corrente artistica considerata (Christie’s, Sotheby’s e Finarte) mostrano i tassi di invenduto più bassi e i prezzi battuti maggiori. Anche l’anno in cui avviene la vendita risulta un fattore discriminante: si coglie un effetto stagionale molto spiccato, tale per cui gli anni Novanta sono caratterizzati da un andamento dei prezzi al ribasso e da tassi di invenduto maggiori, mentre l’ultimo quadriennio di osservazione fa registrare prezzi sistematicamente al rialzo e vendite più agevoli. Infine, un risultato robusto dell’analisi è quello relativo alle stime degli esperti: esse sembrano influire in maniera significativa sia sull’esito dell’operazione in termini di venduto/invenduto, sia sul risultato economico conseguito. Da un lato, con riferimento all’esito della vendita, le stime degli esperti manifestano un effetto deterrente, nel senso che all’aumentare dei valori di stima, aumenta la probabilità che il quadro esca dall’asta invenduto. Dall’altro, il prezzo finale di vendita conseguito dal quadro in asta è influenzato positivamente dai valori di stima degli esperti: a stime di partenza maggiori, corrispondono prezzi totali di vendita più elevati. Alla luce dell’evidenza sopra riportata, si potrebbe suggerire che le valutazioni degli esperti rappresentino una sorta di “valore-soglia” per la vendita di un dipinto: quando il mercato è poco dinamico, esse fungono da barriera al di sotto della quale la transazione non è conclusa; qualora la competizione spinga le offerte verso l’alto, le stesse fungono da fattore orientativo delle negoziazioni. A corredo dei risultati ottenuti 23 attraverso il nostro studio, sembra interessante il paragone fatto da Angela Vattese nel suo libro “Ma questo è un quadro? Il valore nell’arte contemporanea” tra Jeff Koons e Haim Steinbach. Jeff Koons e Haim Steinbach sono diventati noti al grande pubblico in seguito alla mostra “Arte y su Doble” curata da Dan Cameron in Spagna nel 1986; entrambi gli artisti si sono proposti come protagonisti della cosiddetta “scultura oggettuale”. Tuttavia, Koons ha costruito con cura, negli anni, il proprio personaggio, passando da responsabile del reclutamento soci al MOMA, ad operatore di Wall Street, non facendo mai pubblicare sue foto se non approvate dallo staff e rendendo la sua stessa vita sentimentale una calibrata costruzione mediatica. Steinbach, invece, ha vissuto una vita tranquilla, divisa tra il suo studio a Brooklyn e frequenti viaggi, con poco “glamour”. Oggi i prezzi delle opere di Koons valgono cento volte quelle di Steinbach, nonostante la loro proposta artistica sia qualitativamente comparabile. Con queste osservazioni, non si vuole affermare che le quotazioni di arte contemporanea siano completamente svincolate dal valore artistico effettivo delle opere. Lo studio condotto tende semmai ad affermare il contrario: gli artisti con quotazioni maggiori sono quelli più apprezzati dagli ambienti artistici. Tuttavia, una volta acquisito il riconoscimento da parte del sistema dell’arte, la qualità artistica di un dipinto non è sufficiente a garantirne la credibilità economica: conta la promozione che viene condotta sulle opere e l’inserimento delle stesse all’interno dei canali di commercializzazione più consolidati. 3. Se gli studiosi di economia e finanza mettono a disposizione le loro conoscenze per “speculare” gli aspetti di mercato delle compravendite d’arte, nell’accezione originaria del termine, ossia per “indagare con l’intelletto”, gli operatori del settore, vale a dire gli intermediari finanziari, fanno il loro mestiere e “speculano” a loro volta, ma in termini di ingresso in nuovi segmenti di Le Cento Città, n. 40 business. In questa prospettiva, gli intermediati finanziari hanno creato business nel settore dell’arte attraverso due canali principali: da un lato, la consulenza in arte (tecnicamente definita art banking), dall’altro, la predisposizione di prodotti che consentono di investire in beni artistici (si tratta dei cosiddetti art investment fund). L’art banking è un servizio che gli istituti bancari rivolgono esclusivamente ad una fetta selezionata della clientela bancaria, caratterizzata da un patrimonio consistente e culturalmente disposta ad investire nell’acquisto di opere d’arte. Il servizio di art banking è guidato da un art advisor, che è un consulente super partes, in grado di unire competenze economicofinanziarie con la conoscenza dell’arte e del suo trend. In particolare, l’art advisor fornisce una gamma diversificata di servizi, che possono essere raggruppati in servizi di consulenza in senso stretto (valutazione di opere d’arte, perizie per successioni testamentarie o donazioni, consulenza fiscale, etc.) e servizi di supporto logistico (trasporto, assicurazione, manutenzione e conservazione delle opere, richiesta di licenza di esportazione, etc.). L’art banking nasce negli Stati Uniti negli anni Ottanta. In Italia, le esperienze bancarie si stanno muovendo in questa direzione solo da una decina di anni; la primissima banca italiana ad offrire al pubblico questo servizio è l’allora Banca Intesa, che avvia il business nel 1999. Oggi, le banche operative nel settore dell’art banking sono un numero non trascurabile; tuttavia, in genere, il servizio è erogato avvalendosi di collaborazioni con società di consulenza esterne, piuttosto che attraverso la predisposizione di strutture interne. L’art banking si presenta, in definitiva, come un servizio utile soprattutto per coloro che sono interessati a realizzare compravendite in dipinti, ma che non dispongono di un’esperienza consolidata nel settore, per cui preferiscono accedere al mercato non in maniera diretta, ma con una modalità mediata attraverso l’accompagnamento di un consulente. L’economia 24 Il Prof. Papetti durante l’intervento al convegno di Caldarola. Foto Romano Folicaldi. Gli art fund si presentano, invece, come prodotti finanziari specializzati nella compravendita di opere d’arte, con un funzionamento analogo a quello dei fondi comuni di investimento. Gli investitori sottoscrivono una quota di partecipazione al fondo; attraverso l’insieme delle quote si costituisce il patrimonio del fondo che serve per acquistare la collezione di beni d’arte; nel tempo e secondo un piano di disinvestimento programmato, la collezione viene venduta ed i proventi conseguiti con la vendita retrocessi agli investitori, al netto delle commissioni. Si tratta, in altre parole, di veicoli di investimento adatti per quegli acquirenti d’arte che sono interessati principalmente al valore monetario dell’opera e che attribuiscono importanza minore all’aspetto più strettamente collezionistico. Il primo esempio di art fund di cui si ha conoscenza risale agli inizi del secolo scorso; nel 1904, il finanziere francese Andrè Level convince dodici amici ed appassionati d’arte a partecipare ad un fondo, La Peau de l’Ours, al fine di acquistare opere d’arte contemporanea4. Da allora, diversi fondi di investimento in arte calcano le orme de La Peau de l’Ours. In Italia, il primo fondo in arte ufficialmente riconosciuto dalla Banca d’Italia prende il nome di Pinacotheca e prevede l’investimento in dipinti di pittori europei tra il Cinquecento e l’Ottocento, noti sul mercato. Il fenomeno dell’art banking e quello degli art fund rappresentano tuttora realtà di nicchia; tuttavia, con la loro operatività essi sono destinati a modificare la rete di funzionamento classica del mercato dell’arte, rafforzando quel connubio tra mercato dell’arte e mondo economico-finanziario che rappresenta l’incipit ed il filo conduttore di questo contributo. NOTE 1 In linea generale, le opere artistiche si dividono in produzioni figurative Le Cento Città, n. 40 (dipinti, sculture, fotografia, ecc.) e spettacoli dal vivo (lirica, danza, etc.). Questo contributo focalizza l’attenzione sulle prime; pertanto, nel prosieguo del lavoro, ogniqualvolta si utilizzerà l’espressione “opere d’arte” o termini similari si farà riferimento alle opere di carattere figurativo. 2 Un esempio per tutti è la compravendita del quadro di Pablo Picasso (1881-1973) “Yo Picasso”, ceduto nel 1989 per 47.8 milioni di dollari, di gran lunga al di sopra del prezzo di aggiudicazione conseguito nel 1981, pari a 5.8 milioni di dollari. 3 Prima che l’asta abbia inizio, gli esperti sono soliti esprimere una propria valutazione in merito al valore economico potenziale dell’opera d’arte. Tale valutazione viene espressa sotto forma di range, ossia come prezzo minimo e prezzo massimo presumibilmente raggiungibili dall’opera in asta. 4 Il nome dato al fondo era tratto dalla favola di La Fontane, L’Ours et les deux compagnos, in cui si suggeriva di “non vendere la pelle dell’orsa prima di averlo ucciso”, un consiglio certamente prezioso per i finanziatori di un’operazione altamente rischiosa come quella che i dodici investitori si preparavano ad intraprendere. La musica 25 Suoni d’Organo per le Marche Un festival per valorizzare il nostro patrimonio musicale di Giovanni Martinelli Suoni d’Organo per le Marche, un omaggio alla musica d’Organo, alla nostra Terra comune, alla grande tradizione musicale marchigiana. Una felice intuizione nata dalla collaborazione fra il neonato network regionale delle associazioni organistiche e Le Cento Città che ha proposto un cartellone regionale di concerti per organo. Il primo festival Organistico delle Marche: cinque appuntamenti, uno per provincia, alla tastiera di cinque strumenti storici e l’impegno a valorizzare le Marche “della musica” attraverso concertisti e compositori marchigiani. Una inziativa che ha avuto buon successo e che ha dimostrato come azioni di rete possano portare notevole valore aggiunto alla già presente qualità organizzativa locale. Le Marche sono tra le regioni più ricche di organi storici, circa 750 compresi tra la seconda metà del XVI sec. e l’inizio del XX, con prevalenza di opere setteottocentesche. Il restauro dell’organo Nacchini della Basilica della Misericordia di Sant’Elpidio a Mare (1974) può essere considerato, per la nostra Regione, il primo significativo atto di interesse verso il recupero filologico dell’organo storico inteso quale “bene culturale”. Tale azione, seguita in quegli anni da molti altri interventi mirati - e, soprattutto, la meritoria azione di catalogazione del patrimonio organario su base regionale promossa nel 1982 dal Centro Beni Culturali della Regione Marche - si è rivelata fondamentale veicolo per la diffusione di una moderna cultura organistica in Italia e nella nostra Regione, al pari di quanto, proprio in quegli anni accadeva nel nord Europa e, progressivamente, negli altri Paesi europei. Analogamente a quanto accade per la valorizzazione delle opere d’arte in così alto numero diffuse su tutto il territorio marchigiano, Matelica organo. si è cercato di dare voce e visibilità agli strumenti recuperati anche attraverso la realizzazione di vari Festival organistici. Il panorama attuale vede distribuiti sull’intero Serra San Quirico organo Le Cento Città, n. 40 territorio regionale diversi rinomati Festival, alcuni, come l’Accademia Organistica Elpidiense, con quasi quarant’anni di storia, altri di più recente La musica 26 Esanatoglia organo. istituzione. Alcuni di questi sono ora riuniti nel progetto di rete March&Organi, network regionale delle attività organistiche: Accademia Organistica Elpidiense, Associazione Organistica Vallesina, Associazione Organistica Picena, Associazione Organi Arti & Borghi, Laboratorio Armonico. Le Cento Città ha colto il valore di questa innovativa proposta e ne ha sollecitato una prima sintesi. “Suoni d’Organo alle Marche” è la sintesi di un progetto di valorizzazione musicale e, insieme, culturale e turistica, per riscoprire, attraverso la musica d’organo, non solo le fonti musicali, ma anche il pregio artistico degli strumenti e delle chiese che li ospitano, come pure il valore attrattivo delle tante località marchigiane e delle loro tipicità. Questo il programma della prima edizione, svoltasi fra il 28 e il 30 dicembre 2009: Pesaro, chiesa di Sant’Agostino, organo G. Callido 1776, organista Esanatoglia organo - particolare. Le Cento Città, n. 40 Maurizio Maffezzoli; Jesi, chiesa Regina della Pace, organo A. Callido 1828, organista Luca Scadali; Fermo, chiesa di Santa Lucia, organo Morganti (?) sex. XIX, organista Giovanna Franzoni; Ascoli Piceno, chiesa di San Cristoforo, organo G. Callido 1763, organista Giovannimaria Perrucci; Tolentino, chiesa di Santa Maria della Tempesta, organo G. Callido 1803, organista Gianluigi Spaziani. Lo spettacolo 28 Giovanni Battista Pergolesi: tre secoli di seduzione in musica di Fabio Brisighelli Costituisce resipiscenza sacrosanta il fatto che un compositore della caratura artistica di Giovanni Battista Pergolesi abbia ritrovato nei nostri anni aperta e adeguata udienza presso dotti studiosi e paludate istituzioni musicali d’Italia e finanche d’oltreoceano, ed è bello constatare che le iniziative promosse già da tempo dalla sua città natale, Jesi, negli anni ’80 in concomitanza col precedente anniversario (il 250° della morte) e ora quelle in corso per la ricorrenza trecentenaria della nascita, rappresentino a tutt’oggi - pregustando sin da ora le iniziative in cantiere per l’anno in corso da parte della Fondazione Pergolesi Spontini, di cui abbiamo già avuto un rassicurante assaggio - un appropriato e intelligente volano di conoscenza della personalità e delle opere di un talento musicale impossibilitato ad esprimersi appieno per il crudele destino di una fine precoce, la cui fama e considerazione oltretutto, ampie e diffuse nel secolo suo, andarono un po’ appannandosi nel prosieguo del tempo, fino all’inversione di tendenza attuata col recupero del personaggio e della sua opera a partire dalla seconda metà del secolo appena trascorso. E come sono numerosi e variegati gli enigmi irrisolti che costellano la storia della letteratura e del teatro in genere, anche musicale, enigmi che investono talora la stessa identità del soggetto in causa (si pensi soltanto alle scorie di dubbio circa l’esistenza fisica di “sommi” quali Omero e Shakespeare, da taluni inseriti nella categoria vichiana degli “universali fantastici”), così esiste (è esistito?) un affaire Pergolesi, più semplicemente connesso al numero esatto di opere da attribuirgli con certezza, posto che uno degli sport preferiti dai suoi chiosatori vec- chi (e nuovi) è stato quello di affardellare il suo già nutrito bagaglio di produzioni musicali (anche in considerazione del breve arco della sua esistenza protrattasi per soli 26 anni) con una ridda di apocrifi che con fatica si è cercato di smascherare. Per nostra buona sorte ci sono stati specie negli ultimi decenni studiosi di chiara fama, come Francesco Degrada e Dario della Porta in Italia, o come Barry S. Brook e Marvin E. Paymer all’estero, che si sono assunti con successo l’incarico di enucleare dal vasto catalogo delle attribuzioni pergolesiane quelle che senza ombra di dubbio costituiscono un parto sicuro della prodigiosa ispirazione del musicista. Poi, sul podio orchestrale, ci sono ora Abbado e Muti, tra i massimi direttori in attività, pronti a dare vigore in teatro e in disco alle sue note squisite: l’uno (già presente a Jesi lo scorso giugno e atteso di nuovo per il prossimo settembre) intento ad affrontare con convinzione parti significative del catalogo pergolesiano, l’altro a riferirlo più in generale a una “napoletanità” di compositori oggetto della sua attenzione esecutiva (a Salisburgo e a Ravenna, ad esempio), di quel Settecento durante il quale la capitale partenopea era tra i fari europei della musica e del melodramma. ………….. Pergolesi si colloca in una posizione mediana di cerniera tra le grandiose, auliche e paludate architetture sonore a lui precedenti (o coeve) di autori quali Bach e Händel, e altri grandi del tempo (come Vivaldi), e le classicheggianti, aggraziate e tenere movenze melodiche del “secolo dei lumi”, sublimate in Mozart, di cui lui è stato in qualche misura brillante anticipatore: e dopo Le Cento Città, n. 40 del quale ci sarà il ritorno (peraltro dallo stesso Wolfgang preannunciato) a un’altra forma di magniloquenza col titanico linguaggio sinfonico di Beethoven in odore di romantico sommovimento dello spirito. Come musicista, vive nella “zona di riposo tra le due profonde esplorazioni musicali del mondo e dell’anima umana” (secondo una calzante espressione di Massimo Bontempelli), che si traduce in una personale ispirazione fatta di ordinata e piena semplicità e naturalezza, di delicata e composta capacità di mozione degli affetti, di freschezza e spontaneità della fantasia melodica. Un’ispirazione, si badi bene, vivace e ricca di inventiva, capace di definire psicologicamente e di ammantare di un sorriso (timido e contenuto) di fresca e arguta comicità i personaggi dell’opera buffa, così come di conferire misurati ma efficacissimi fremiti “teatrali” e evidenza drammatica alle composizioni sacre, la cui tradizionale ripetitività polifonica e contrappuntistica il compositore seppe innovare, come nel celeberrimo Stabat Mater, mediante il ricorso a una monodia accompagnata di grande coinvolgimento emozionale. Ma è tempo di ripercorrere succintamente, di Pergolesi, più che la breve vita, la vicenda artistica. L’arco esistenziale di Giovanni Battista (Giambattista) Pergolesi si configura davvero breve, compreso com’è tra il 1710 della nascita a Jesi, da una famiglia di modeste condizioni, e il 1736 della morte a Pozzuoli di Napoli, a soli 26 anni per un’affezione tubercolare congenita. Certo se ne è andato troppo presto, ma in musica ha lasciato tanto, a dispetto delle false attribuzioni, e il più delle volte con il contrassegno del bello assoluto nei vari generi toccati, che spaziano dalla musica strumentale, sacra Fabio Brisighelli e drammatico-religiosa soprattutto, alla commedia sentimentale, all’opera seria e buffa. Napoli l’accolse già tredicenne quale sede prestigiosa dove poter affinare gli studi musicali (nella città natale si era dedicato allo studio del violino), presso il Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo e sotto la guida di maestri illustri quali Francesco Durante, Gaetano Greco e, seppur per breve tempo, Leonardo Vinci. Nell’ambito di un quinquennio (grosso modo dal 1731 al 1736) sono uscite dalla sua fluida e variegata penna compositiva i lavori che hanno fatto di lui uno dei geni musicali italiani d’ogni tempo, di cui provvediamo ora a stilare un saliente catalogo, dopo la prova d’esordio all’insegna dell’oratorio La fenice sul rogo, che annovera: il dramma sacro Li prodigi della Divina Grazia nella conversione di San Guglielmo d’Aquitania, seguito dall’opera teatrale Sallustia (1731); poi la sua prima opera buffa, Lo frate ‘nnammorato (1732) e ancora (1733-1734), sul versante del serio, Il prigionier superbo e Adriano in Siria, con l’esito trionfale dei due “intermezzi” inseriti nell’un dramma (La serva padrona) e nell’altro (Livietta e Tracollo). Nel Settecento c’era l’usanza di intercalare tra un atto e l’altro di un’opera seria dei brevi intermezzi (o intermedi) comici, che avevano lo scopo di sollevare gli spettatori dalle impressioni “forti” suscitate dalle tragiche vicende del testo rappresentato, offrendo loro un po’ di divertimento. In tal senso La serva padrona è modello incomparabile del genere, forse l’intermezzo più conosciuto tra quelli elevati a dignità d’arte, con una sua chiara autonomia espressiva, sottratta alla meccanicità di modalità esecutive legate alle maschere stereotipate della scena. Insomma, come la tragedia greca classica ebbe nascita dal ditirambo, cioè da un canto che veniva intonato in onore del dio Dioniso, quasi per un processo di emanazione, o meglio di dilatazione dal nucleo originario, si può dire che uno stesso 29 meccanismo sia stato alla base della formazione dell’opera buffa settecentesca, nata appunto da quei piccoli atti “d’evasione” inseriti nel dramma serio principale. Pergolesi ha offerto un contributo fondamentale al consolidamento del teatro musicale comico dopo la sua scomparsa, alla definizione in progress di quella “commedia di tipeggiatura” (per la caratterizzazione precisa e nitida dei personaggi) destinata in seguito a crescere con il binomio Goldoni-Galuppi prima, poi con gli esiti particolarmente felici, sul ripiano delle note, di Mozart e di Rossini. La serva padrona si configura in tale direzione come un preciso punto di riferimento da cui partire, per la felicemente delineata espressione artistica fatta di coerente e sapiente equilibrio tra umorismo e tenerezza, di vivida rappresentazione della psiche umana, le cui debolezze il compositore indaga con superiore bonarietà; di dialogo colorito e veristico, di eleganza gentile e delicata. Caratteristiche, queste, che già si riscontrano in una commedia musicale come Lo frate’nnammorato (peraltro munite di una superiore incisività drammatica) e successivamente ne Il Flaminio, l’ultima sua prova del genere (autunno 1735), dopo l’aulico e coturnato melodramma de L’Olimpiade (dell’inizio dello stesso anno). Due commedie in musica sostenute da una spontaneità ritmica che, nell’articolazione delle note, è forse la cifra più immediata dell’autore; che si “smarcano” dal dramma barocco e belcantistico ancora in auge, con i suoi canovacci fiabeschi o metastorici, con le sue arditezze espressive, con i suoi altisonanti virtuosismi vocali e strumentali funzionali alla cosiddetta “poetica della meraviglia” messa in atto per stupire il pubblico: per attingere invece a una quotidianità di ambienti popolari e piccolo-borghesi che è il segno premonitore dei tempi nuovi, di una nuova attenzione a realtà sociali fino ad allora tenute in un secolare subordine. L’aggraziata vena melodica Le Cento Città, n. 40 impronta di sé non solo l’opera “profana” del compositore jesino, ma presta tanto fascino anche alla musica sacra, in cui forme nuove convivono con quelle della tradizione. E qui il riferimento mirato è allo Stabat Mater, vero e proprio gioiello della particolare ispirazione religiosa di Giambattista, che con esso si rivelò innovatore nel sacro in virtù di un antesignano ricorso allo stile melodrammatico e al canto monodico accompagnato - a cui si accennava sopra - in luogo del tradizionale stile polifonico. Uno “sgarbo”, il suo, quello ovverosia di svincolarsi dal rigido contrappunto, che gli procurò le critiche (ingiuste) di alcuni “puristi” del suo tempo, come il noto teorico e storico della musica padre Martini, secondo il quale “ lo Stabat racchiudeva dei passaggi che meglio sarebbero stati in un’opera buffa (il riferimento era alla Serva padrona), anzi che in un canto di dolore”. E fu un errore quello del frate, di non comprendere che di vero e proprio canto di dolore esso invece si trattava, anzi di un esemplare “poema del dolore”, per usare l’espressione di Bellini riportata da Francesco Florimo in un saggio dedicato a Pergolesi, certamente filtrato però da una sensibilità tutta particolare dell’autore, che anche nella spontanea adesione al dramma della Croce rivela la sua disposizione a comunicare per il tramite di una vibrazione della corda sentimentale e patetica certo sentita e partecipe, ma fatta di un’espressività comunque sobria, moderata, dignitosa, ricca di quella “teatralità” melodrammatica tutta umana e “terrena”, di quei delicati accenti di mossa e melodica cantabilità tanto vituperati dal citato prelato. In Pergolesi del resto - nota ancora Bontempelli - “la malinconia può anche diventare dolore, ma senza strazio”. …………………….. La fama di Pergolesi assume i contorni della leggenda già dalla metà del suo secolo: su di lui, dopo “la prima” di Parigi della Serva padrona si accende la Lo spettacolo 30 Lo spettacolo nelle Grotte di Frasassi dedicato a Giovanni Battista Pergolesi. famosa “querelle des buffons” tra quanti sostenevano l’opera italiana (gli enciclopedisti in primis), e quanti invece l’opera francese (tra gli altri, Rameau). La sua spiccata personalità artistica è stata nei decenni successivi al centro di un’attenzione costante, anche se non in linea con una pari conoscenza delle sue opere, se si escludono La serva padrona e lo Stabat. Non è un caso che Stravinskij, nel primo Novecento, in uno dei suoi “ritorni” neoclassici (improntati alla categoria fondamentale della “parodia”, da intendersi non come caricatura burlesca, ma come travestimento a scopo di riappropriazione personale del passato con gli strumenti della modernità), abbia composto la suite Pulcinella su motivi appunto di Pergolesi. Sono passati trecento anni da quando Pergolesi è venuto al mondo: le celebrazioni dell’anniversario sono già iniziate, nella sua città natale e fuori. La Fondazione Pergolesi Spontini, che ne cura la “regia”, ha predisposto per l’anno corrente un programma indirizzato a proporne l’opera omnia. Gli appuntamenti, da questo marzo fino al gennaio prossimo (2011), tutti di stimolanti rilievo artistico, sono di quelli deputati ad elevare lo spirito e a rendere il ricordo di lui ancora più condiviso. Uno in particolare si confi- Le Cento Città, n. 40 gura come predestinato a sicura memoria: l’appuntamento del 25 settembre per lo Stabat Mater diretto da Claudio Abbado alla guida della sua splendida creatura, l’Orchestra Mozart. Pergolesi muore il 17 marzo 1736 e viene sepolto nella fossa comune della Cattedrale di Pozzuoli. In un contesto di concatenazione degli eventi fors’anche più drammatico, lo stesso Mozart tanti anni dopo sarà destinato a subire una similare sorte. Morto l’uno giovanissimo, l’altro ancor giovane, ti viene quasi di pensare che, come ci insegna il teatro greco, siano caduti vittime degli dei, la cui “invidia” colpisce l’ “ingiuria” Libri ed eventi 31 di Alberto Pellegrino Eventi L’opera nelle Marche. La grande lirica alle Muse La Stagione lirica 2010 del Teatro delle Muse di Ancona è stata inaugurata con due rare opere del Novecento. Un’idea originale e felice è stata quella di unire Hin und zuruck (Andata e ritorno) di Paul Hindemith e Marcellus Schiffer con L’heure espagnole(L’ora spagnola) di Maurice Ravel e FrancNohain, perché un fil rouge, fatto di tre elementi, lega i due lavori: l’ironia e il grottesco, il tema del tempo che scandisce le azioni umane; il tradimento che segna le due storie. Nel primo sketch con musica Helène sta facendo colazione, quando arriva il marito per portarle il regalo di compleanno. Una cameriera consegna una lettera alla donna, la quale si giustifica dicendo che è un biglietto della sarta per poi ammettere che è un messaggio del suo amante. Sconvolto dalla gelosia il marito la uccide, quindi divorato dai rimorsi si getta dalla finestra, mentre un medico e il suo assistente rimuovono il cadavere. E’una tragedia? Niente affatto, perché tutto si riavvolge e ritorna al punto di partenza, per ritornare al momento in cui il marito porge il suo dono ad Helène. Siamo nella Germania degli anni Venti e giustamente il giovane regista Stefano Poda, che ha curato l’intera messa in scena (regia, scene, costumi e coreografie) ha citato con elegante intelligenza ed ironia lo stile del cabaret tedesco con ampie citazioni futuriste (soprattutto nelle coreografie dei danzatori meccanizzati), le atmosfere espressioniste di Kurt Weil e del primo Berthold Brecht, il tutto sottolineato da un disegno delle luci molto raffinato. In questa “operina”, che dura soltanto 12 minuti, viene affrontata una concezione del tempo che si può svolgere e di nuovo arrotolare all’indietro come la pellicola di un film, secondo una filosofia Le prove dello spettacolo della stagione lirica alle Muse di Ancona. Foto S. Antic. incarnata dal misterioso personaggio del Saggio che dice: “Nessuno ha pensato all’intervento del sommo potere. Esso avversa profondamente l’uccisione di essere umani per futili motivi. Bisogna fare senz’altro qualcosa. Visto dall’alto, non ha gran peso se l’esistenza umana proceda dalla culla fino alla morte o dalla morte alla nascita. Rovesciamo quindi il destino. Vedrete, la logica non muterà di una capello e tutto andrà bene come prima”. Si tratta di una felice intuizione artistica che, diversi anni dopo, avrà in un diverso contesto il regista Stanley Kubrik nel suo filmcapolavoro Odissea nello spazio 2001. Si passa senza alcun cenno di pausa o interruzione (questa è una delle intuizioni registiche più felici) alla commedia musicale di Ravel, dove Torquemada (ironico nome di un inquisitore) è un pacifico orologiaio che regola gli orologi di tutti gli edifici pubblici e religiosi del paese. Prima di uscire, egli dice alla focosa moglie di ospitare un giovane mulattiere, ma Conception deve riceve il poeta Gonzalve, suo giovane amante. Per restare sola, la donna ordina al mulattiere di trasportare una grande pendola in un’altra stanza, ma ecco arrivare un altro spasimante, il banchiere Don Inigo, per cui Conception fa nascondere il poeta nella prima pendola e il Le Cento Città, n. 40 banchiere nella seconda. In un frenetico e comico andirivieni di pendole contenenti i due spasimanti, si arriva alla conclusione: il poeta sa solo dilungarsi in liriche disquisizioni; il banchiere sa parlare solo di denaro; Torquemada è felice perché potrà vendere le pendole perfettamente funzionanti ai due clienti nascosti all’interno; Conception infine sceglie per amante il prestante mulattiere. Naturalmente questa beata ingenuità del marito e questa bollente passionalità della moglie ai tempi di Ravel venne molto contestata e scambiata per una esaltazione dell’adulterio, senza riuscire a cogliere lo spirito comico-grottesco dell’intera vicenda. Il regista Stefano Poda, nel suo allestimento intelligente, elegante ed ironico, ha collocato sulla scena tutti i segni del tempo che scorre: una grande ruota dentata, una cascata d’acqua, una parete rocciosa corrosa dai secoli, delle clessidre luminose, una sfera oscillante come un gigantesco pendolo, una signora in nero circondata da un grande orologio fatto di scarpette rosse. Contemporaneamente ha dato un ritmo molto sostenuto all’azione ed ha liberato lo spettacolo di ogni eccesso spagnoleggiante, con qualche semplice citazione “iberica” nei costumi all’interno di un climax decisamente espressionista. Alberto Pellegrino La seconda opera in cartellone è stata Lucrezia Borgia di Gaetano Donizetti, eseguita in concerto sotto la direzione del M° Marco Guidarini alla guida dell’Orchestra Filarmonica Marchigiana e del Coro Bellini. Si è trattato di una bella esecuzione, che non ha fatto rimpiangere l’assenza di scene e costumi, perché caratterizzata dalla presenza di interpreti di notevole valore: Mariella Devia ha cesellato il personaggio di Lucrezia (che dal 2001 è uno dei suoi cavalli di battaglia), riuscendo ad adattare la sua voce di soprano lirico leggero all’intensa drammaticità di Lucrezia l’avvelenatrice. Giuseppe Filianoti, che ha già cantato nei principali teatri d’opera italiani nonostante la giovane età, è uno dei pochi tenori in grado di reggere la parte di Gennaro che richiede un grande impegno vocale senza concessione di pause. Molto bene hanno fatto il mezzosoprano Marianna Pizzolato nella parte di Maffeo Orsini e il giovane basso Alex Esposito che ha conferito una tenebrosa drammaticità al personaggio del Duca Alfonso d’Este. Felice Romani, autore del libretto (si tratta della sua ultima collaborazione con Donizetti), nel 1833 era ancora tenacemente legato alla tradizione letteraria neoclassica tanto da disprezzare il Barocco e l’Illuminismo, di avere in odio il Romanticismo. Si trovò quindi in un certo senso “costretto” a lavorare su uno dei testi simbolo del teatro romantico: questa Lucrezia Borgia del detestato Victor Hugo. Il grande 33 Le prove dello spettacolo della stagione lirica alle Muse di Ancona. Foto S. Antic. scrittore francese, che amava rovesciare in modo polemico alcune situazioni sociali (il buffone Tribolet viene nobilitato dall’affetto per la figlia; il servo Ruy Blas diviene primo ministro di Spagna), in questo caso rimane colpito dal fascino tenebroso di Lucrezia con il suo passato di incesti, uccisioni e veleni, per questo tenta il riscatto della Duchessa di Ferrara attraverso un amore “puro” verso il figlio illegittimo Gennaro, che tuttavia non riuscirà a salvare dalla morte per veleno. Romani non mette troppo in evidenza l’aspetto sanguigno e passionale della vicenda, anche perché nel Le Cento Città, n. 40 melodramma degli anni Trenta si esaltano figure femminili idealizzate. Donizetti, da parte sua, tende ad accentuare il carattere commovente e trepidante della madre (anche se questo non gli evitò le ire della censura per cui questa opera fu una delle più perseguitate), carattere dominante sulla natura violenta dell’avvelenatrice che cerca spesso la vendetta, anche se la vicenda si conclude con una strage dei suoi presunti nemici fra i quali capita inconsapevolmente anche il figlio Gennaro, il quale rifiuta l’unica dose di antidodo che possiede la madre per seguire la sorte dei Libri ed eventi Libri Aedo malinconico ed ardente, fuoco ed acque di canto. Volume III Con questo terzo CD Gastone Pietrucci, musicologo e voce solista del gruppo La Macina, completa un itinerario poeticomusicale che si propone di percorrere un ormai lungo cammino attraverso i canti della cultura orale marchigiana e altri percorsi che hanno visto il gruppo e il suo capofila entrare nel mondo dei cantautori (D’André, Modugno e altri) e della poesia soprattutto marchigiana. Il lavo- Gastone Pietrucci. ro porta a termine questo itinerario, rivestendo di note dodici componimenti poetici dell’anconetano Franco Scataglini. Questa ultima produzione della Macina raccoglie una serie di canti della tradizione popolare marchigiana, a cominciare dall’ormai celebre Angelo che me l’hai ferito ‘l core fino alla splendida La “pora” Giulia, disperato canto d’amore alla cui esecuzione partecipa un altro “grande” della musica marchigiana, Marco Poeta con la sua guitarra portoguesa. Il CD contiene inoltre una serie di “omaggi” alla canzone colta italiana: una poco nota canzone “politica” E’ lunga la strada di Virgilio Savona, mitico leader del Quartetto Cetra; Il Natale è il 34 24 del “ribelle” Piero Ciampi, Supplica a mia madre di Pier Paolo Pasolini (musicata da Taborro-Pietrucci), Dicono di me di Annamaria Testa Vangelis. Il grande merito di Gastone Pietrucci è non solo quello di aver sempre coniugato musica e poesia, ma anche di aver riportato alla luce, attraverso un paziente lavoro di ricerca, la tradizione orale marchigiana, un tempo sottovalutata o addirittura disprezzata dalla “cultura colta”, richiamando l’attenzione del pubblico italiano, ma soprattutto dei marchigiani spesso disattenti nei confronti della nostra tradizione culturale. Il pellegrino dalle braccia d’inchiostro La casa editrice Rizzoli/Lizard ha pubblicato un volume a fumetti che rientra nell’ormai affermato genere letterario della graphic novel firmata di solito firmata da un noto narratore. In questo caso la sceneggiatura de Il pellegrino dalle braccia d’inchiostro è opera di Enrico Brizi (il quale nelle Marche ha pubblicato la sua prima opera di successo Jack Frusciante è uscito dal gruppo), che è stata tratta dal suo romanzo omonimo (Mondadori, 2007). I disegni sono stati realizzati dal marchigiano Maurizio Manfredi (Ancona, 1972), che ha esordito nel mondo del fumetto nel 2001 con Superanarchico, il primo di quattro volumi dedicati a un eroe anticonformista legato alla tradizione dei fumettisti “maledetti” del Male e di Frigidaire. Nel 2004 Manfredi ha realizzato la traduzione grafica di Bastogne, il secondo romanzo di Brizi, reso attraverso un complesso lavoro di duecento tavole. Ora la coppia si è impegnata a realizzare questa affascinante storia caratterizzata da un misto di misticismo, fanatismo, violenza, innocenza primordiale e follia del protagonista dalle braccia coperte di tatuaggi, la cui presenza segna la vita di quattro giovani che hanno deciso di compiere una impresa decisamente “fuori tempo”. Essi infatti si propongono di Le Cento Città, n. 40 percorrere a piedi un antichissimo itinerario medievale lungo un percorso che parte da Canterbury per concludersi a Roma, percorrendo la mitica Via Francigena. Si tratta di un’avventura on the road che quattro giovani vivono percorrendo la campagna e le vallate, attraversando boschi e valichi alpini come il leggendario Ospitale di San Bernardo. Alla compagnia si aggiunge il tedesco Bern, cattolico fanatico con il corpo ricoperto di tatuaggi a sfondo religioso, un folle e forse un assassino che dichiara di essere stato prescelto da San Gianni D’Elia. Giacomo di Compostela per assistere i pellegrini in difficoltà lungo il loro cammino. Egli è convinto di essere un inviato di Dio e come è possibile “deludere Dio”? Una raccolta di scritti di Gianni D’Elia Fin dal titolo Riscritti corsari (Effige Edizioni, Milano) si comprende quale sia l’autore di riferimento di Gianni D’Elia: quel Pasolini profeta inascoltato degli anni Settanta, che però si mostra ancora maestro di pensiero vitale e attuale, tanto da disturbare ancora molti individui, nonostante siano passati decenni dal suo assassinio. Proprio a Pasolini l’autore dedica alcuni versi particolarmente Alberto Pellegrino dolorosi: “Se tu potessi vedere l’Italia, /la catastrofe in atto dell’Italia…disperato della realtà, né lieto della tua profezia realizzata”. Attraverso una raccolta di articoli pubblicati su un quotidiano tra il 2001 e il 2006, D’Elia tratteggia un ritratto spietato e volutamente “irritante” di un paese dove si coltiva il “tradimento” della memoria, l’eterno sport nazionale della corruzione, la volgarità e l’immoralità della classe dirigente e di tanti personaggi “alla moda”, della dominate e infausta cultura televisiva che ha reso l’Italia una “Repubblica fondata sullo show”, ridotta un “frammento orfico, mistero/ irrisolvibile, immodificabile,/ impossibile da accettare, nero/ di mafia e di clero”, con “la classe politica più odiosa,/noiosa e inconcludente dell’Europa”. D’Elia non trascura nemmeno il drammatico quadro internazionale (Balcani, Medio Oriente, terrorismo) e considera la guerra un suicidio globale da esorcizzare come un tabù. L’autore, nel rendere omaggio ad alcuni grandi poeti, coglie l’occasione per parlare del valore della poesia in sé, ma anche della poesia come resistenza dello spirito contro la volgarità dilagante. Il volume si chiede con alcuni epigrammi della raccolta Italia, frammento orfico (2007/2009), esempio di poesia civile rigorosa e vicina, sotto il profilo morale, al grande modello pasoliniano. Lo spazio del sacro. Chiese barocche tra ‘600 e ‘700 nella provincia di Macerata La Fondazione Cassa di Risparmio della Provincia di Macerata ha dedicato il volume “Strenna 2009” alla storia dell’architettura sacra nel Maceratese affidandosi ad uno specialista come Fabio Mariano, che ha curato questo libro dedicato alle chiese barocche tra Seicento e Settecento. In una breve ma densa introduzione Mariano ha individuato nel cardinale Federico Borromeo l’ispiratore della rinascita architettonica sacra dopo il Concilio di Trento, fissando alcuni canoni nell’opera Pallas compta o sia Trattato sopra lo studio e col- 35 tura delle buone arti, nella quale egli aggiunge alle due fondamentali funzioni dell’arte sacra, quella didattica e devozionale, la funzione documentaria intesa come collegamento al passato cristiano per conservarne la memoria artistica. Il discorso sull’arte barocca parte dalla pittura sotto la spinta promozionale dei Padri dell’Oratorio, per poi sviluppare un discorso sull’architettura religiosa promossa dai nuovi ordini nati dalla Controriforma (Filippini, Gesuiti, Barnabiti, Carmelitani Scalzi), che provoca una straordinaria fioritura di monumenti dedicati al culto. Il patrimonio artistico, costituito dall’architettura barocca, ha subito l’ostracismo e la disistima della cultura dominante, ma oggi la critica più avveduta tende a rivalutare il Barocco nella sua globalità multiculturale (pittura, scultura, architettura, musica, teatro, melodramma e oratorio sacro), un movimento artistico destinato a diffondersi in Europa nel segno della cultura italiana. Per documentare la ricchezza degli edifici per il culto a forte caratura artistica esistenti nel Maceratese, il volume raccoglie una lunga serie di schede a cura di Paolo Cruciani che, ordinate in ordine alfabetico, costituiscono una catalogazione completa di tutte le chiese barocche esistenti sul territorio provinciale, dai centri più importanti ai piccoli comuni dove l’architettura barocca ha lasciato un tangibile segno: dagli straordinari capolavori delle chiese filippine di Macerata, Matelica, Cingoli, Recanati, Treia e di San Severino agli edifici sacri che vanno dagli Appennini alla costa adriatica. Un saggio su temi e figure del cinema noir I fantasmi del moderno è un saggio sul cinema noir pubblicato nel 2010 dalla casa editrice anconetana “Cattedrale” a cura di due studiosi che si occupano di storia del cinema, Mario Pezzella ricercatore presso la Scuola Normale Superiore di Pisa e Antonio Tricomi docente a contratto presso la Facoltà di Le Cento Città, n. 40 Beni Culturali dell’Università di Macerata. Questo volume, che raccoglie una serie di interventi di autori diversi, si propone di fare il punto, fissandone contenuti, personaggi e parametri culturali di riferimento, su un genere cinematografico particolarmente vitale e interessante. Mario Pezzella si propone di analizzare personaggi e luoghi del noir: il detective, deus ex machina dell’intreccio; il criminale, come motore negativo della vicenda; la dark lady, imago erotica che sprigiona volontà di potenza attraverso le armi della bellezza e della sensualità; la metropoli come “non luogo”, dove si svolge il gioco del destino e del caso, come centro dell’alienazione individuale, come corruzione della morale comunitaria. Pezzella scrive che “La ricerca ossessiva della ricchezza si svolge nello scenario di una vita metropolitana condizionata dalla separatezza e dall’isolamento degli individui: la città è il luogo della sradicamento e della corruzione della comunità organica, di cui il noir costata la fine”. Antonio Tricomi parte dall’analisi di un genere “paraletterario” nato nella seconda metà dell’Ottocento e successivamente approdato al cinema con una serie di capolavori caratterizzati da una precisa psicologia e sociologia dell’illegalità e dell’immanenza e dove gli individui si muovono seguendo opzioni identitarie: “Gli uomini e le donne ambiscono a soddisfare i terrestri obiettivi (il potere, la ricchezza, il godimento) prescritti a ciascun cittadino da una società falsamente razionale, ma mitizzandoli…arrivando a distruggere se stessi e gli individui con cui sono in rapporto…Oppure si lasciano sedurre da forme reificate di trascendenza e da idee superomistiche di giustizia, per mantenersi fedeli alle quali trascinano nel baratro le proprie ed altrui vite”. Tricomi prova inoltre a coniare una definizione del noir: “La rappresentazione dei fantasmi che agitano il moderno nel momento in cui esso si sente più vicino a raggiungere il proprio apice, obbligandolo a ricono- Libri ed eventi scersi un progetto ancora incompiuto e forse fisiologicamente destinato a restare interrotto”. Il volume si chiude con una serie di analisi riguardanti i grandi personaggi (Philip Marlowe, Samuel Spade) i grandi interpreti (su tutti Bogart) e i grandi registi (Fritz Lang, William Wyler, Orson Welles), soprattutto il maestro assoluto Alfred Hitchcock al quale vengono dedicati, oltre ad un’analisi generale dell’opera, tre saggi che vertono tutti sul film Vertigo (La donna che visse due volte). Sandwich digitale. La vita segreta dell’immagine fotografica L’autore di questo libro, pubblicato dalla casa editrice Quodlibet (Macerata, 2009), è Paolo Rosselli (1952) che, dopo un breve apprendistato presso lo studio di Ugo Mulas e dopo essersi laureato in architettura (1977), decide di esercitare la professione del fotografo, professione che tuttora esercita a Milano dove vive. A partire dagli anni Ottanta, egli tiene numerose mostre personali in Italia e all’estero, pubblica diversi volumi fotografici sull’architettura e sulla città per coglierne i suoi aspetti evolutivi. Le sue ultime pubblicazioni sono Discolation (Solea Fotografia, Milano, 2002) e Atlante Terragni (Skira, Milano, 2004). Ad un certo punto Rosselli decide di abbandonare la macchina 36 fotografica tradizionale (pellicole, cavalletto e banco ottico) per passare alla fotografia digitale con la conseguenza di dover sperimentare nuovi forme di linguaggio, nuovi aspetti tecnici, ma assaporando anche una rinnovata e insospettata libertà creativa. Sandwich digitale è pertanto un’opera che nasce a posteriori, come il risultato di una lunga ricerca e di un’esperienza maturata sul campo. Rosselli apre questo apprezzabile lavoro con un breve storia della fotografia digitale, cercando di fare chiarezza su questo nuovo mezzo, mettendo a fuoco il nocciolo della innovazione introdotta dal digitale sulla scena fotografica, dove è entrato con la forza devastante di un TIR. “Il digitale contiene tutto e il massimo di tutto: è il massimo della qualità, dell’elaborazione e dell’artigianalità”, ma è nello stesso tempo la cancellazione del tradizionale scatto fotografico, infatti assistiamo alla “negazione di quell’operazione attenta che si è sempre eseguita da quando esiste la fotografia: che consiste nello scegliere dapprima con cura il soggetto, la sua luce, i suoi dintorni; e poi, dopo aver fatto collimare o divergere le varie parti dell’inquadratura, scattare”. In un primo momento il fotografo, con la tecnica digitale, avverte la possibilità “di poter provare e riprovare in totale libertà, in un’indifferente, confusa infrazione di segni, colori, geometrie”. Il fotografo avverte di essersi libe- Le Cento Città, n. 40 rato da tanti condizionamenti tecnici (questo tipo di fotografia non registra ma memorializza, permettendo futuri ripensamenti) ed economici (scattare non costa niente rispetto al precedente consumo di pellicole, sviluppi e stampe); scoprire finalmente che l’obiettività dell’immagine è un mito; considerare invece la fedeltà fotografica in un modo diverso: “fedeltà a un’idea piuttosto che a una realtà”. Si ha la possibilità di scattare centinaia di immagini, ma poi si avverte la necessità di evitare un livellamento qualitativo verso il basso, il pericolo della banalizzazione e della replica. Per questo è necessario ricorrere alla selezione delle immagini digitali come secondo lavoro del fotografo: “L’imperativo è che bisogna fare ordine. E’ il momento del riesame, del giudizio, della decimazione degli scatti e del conflitto tra il senso che si cercava e quello che si è effettivamente condensato nell’immagine”. Rosselli naturalmente documenta con sue immagini questo suo percorso storico-critico, prendendo in considerazione anche i temi del montaggio, della manipolazione, della ricerca di autenticità e dell’interpretazione della realtà vista dell’autore. Quindi chiude il volume con immagini che riguardano la vita urbana e la rappresentazione del “quotidiano”, nonché alcune esperienze visive maturate nei viaggi fatti a Parigi, a Tokyo, a Mexico City, in Africa e in India. Il ricordo 37 Addio Mamma dei Piceni Quando nelle Marche prese l’avvio il lavoro di approfondimento sullo stato delle conoscenze relative alla civiltà picena che doveva portare alla mostra del 2000, presentata prima a Francoforte, e poi a Roma, Ascoli e Chieti, il professore Colonna, presidente del comitato scientifico della stessa, ebbe a definire affettuosamente Delia Lollini come la mamma dei piceni, per sottolineare il ruolo determinante che questa studiosa aveva avuto nello studio dell’antica popolazione italica. Le Cento Città si associa al pensiero che i funzionari della Soprintendenza archeologica hanno voluto dedicare al loro Soprintendente e che, di seguito, pubblichiamo. Si è spenta in silenzio, con grande riservatezza e dignità come era vissuta, apparentemente isolata ma fonte inesauribile di umanità e di ricerca scientifica la Prof.ssa Delia Lollini, Soprintendente Archeologo per le Marche dal 1979 al 1991, i cui meriti sono giustamente apprezzati in Italia e all’estero da tutti gli studiosi di preistoria e protostoria. Si deve a Lei la riapertura nel 1988 del Museo Archeologico Nazionale delle Marche, con l’inaugurazione delle 23 sale dedicate alla civiltà picena, nella Delia Lollini. Per gentile concessione del Corriere Adriatico. sede prestigiosa di Palazzo Ferretti. Alla conoscenza di questa civiltà, che contraddistinse la nostra regione dal IX al III sec., dedicò tutta la sua esistenza. Delia Lollini è stata figura notevole per la sua vita dedicata interamente allo studio, per le sue doti umane, per la sua levatura scientifica. Se i Marchigiani hanno la possibilità di conoscere le proprie radici culturali e la propria identità di eredi degli antichi Piceni, questo lo devono a Delia Lollini. Il suo lavoro ha interessato anche il periodo più antico dell’archeologia marchigiana, dal Le Cento Città, n. 40 paleolitico all’età del bronzo, rivelando la sua vera estrazione propriamente paletnologica. È sui suoi presupposti scientifici che il Convegno dell’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria, tenutosi nelle Marche nel 2003, ha basato i suoi filoni principali, riconoscendo a distanza di alcuni decenni l’indiscussa validità dei suoi inquadramenti crono-tipologici. In fondo è grazie proprio a studiosi della levatura di Delia che aree come le Marche, ritenute un tempo periferiche e marginali dal mondo scientifico e accademico, sono oggi considerate alla stregua di altre tradizionalmente al centro degli studi archeologici. Rimasta sempre legata alla sua città, da cui si allontanò solo in rare occasioni, seppe acquistare una fama di respiro europeo. La città e la Provincia di Ancona, insieme alla Regione, dovrebbero realizzare iniziative in memoria di questa insigne studiosa che ha amato mantenersi in ombra, assicurando sempre e comunque una discreta ma attiva e concreta presenza. Se ne è andata alla maniera antica, circondata nell’ultimo saluto dalla stima e dall’affetto di quanti, lavorando con Lei in Soprintendenza, abbiano avuto modo di apprezzarne anche la profonda umanità. Vita dell’Associazione 38 Visite e Convegni di Giovanni Danieli Jesi, 13 dicembre 2009 Assemblea dei Soci L’assemblea di fine d’anno, svoltasi come è rituale presso l’Hotel Federico II di Jesi, si è aperta con la relazione del Presidente, molto applaudita, su quanto realizzato e sulle ipotesi di programma per il secondo semestre; hanno fatto seguito l’intervento del Segretario sulla situazione Soci con una significativa trasformazione di Soci effettivi in corrispondenti e la relazione del Tesoriere sul bilancio d’anno approvato all’unanimità; lo stato dell’arte della Rivista, relativamente ad attualità e prospettive, è stato invece definito dai Direttori Mario Canti ed Edoardo Danieli. Si è proceduto quindi al rinnovo delle cariche sociali per l’anno 2010-2011. Per acclamazione unanime è stata eletta alla presidenza Maria Luisa Polichetti, prestigiosa figura nel panorama culturale italiano; la stessa ha scelto come Coordinatori Marco Belogi (Pesaro-Urbino), Folco Di Santo (Ancona), Luca Maria Cristini (Macerata), Romano Folicaldi (Fermo, Vice Presidente), Natale Frega ( Ascoli Piceno) ed ha confermato nei rispettivi ruoli Giovanni Danieli (Segretario Generale), Anna Maria Zallocco (Tesoriere), Edoardo Danieli (Direttore Responsabile de Le Cento Città), Mario Canti (Direttore Editoriale). Quest’ultimo sarà coadiuvato da una squadra composta da Giancarlo Polidori (PU), Fabio Brisighelli (AN), Giuseppe Oresti (MC), Romano Folicaldi (FM) e Franco Laganà (AP). Il Presidente eletto ha quindi presentato le prime linee di un progetto che si propone come obiettivo La qualità nelle Marche, riconoscimento ed illustrazione delle eccellenze esistenti nel nostro territorio. Pesaro, Jesi, Fermo, Ascoli Piceno, Tolentino, 23-24 dicembre 2009 Canto d’organo per le Marche Da un’idea di Giovanni Martinelli è nato il progetto per la promozione da parte dell’ Associazione assieme ad un network di associazioni organistiche regionali del Festival Suoni d’organo per le Marche; il progetto ha avuto piena realizzazione tra Natale e Capodanno in cinque sedi Marchigiane, Pesaro, Iesi, Fermo, Ascoli Piceno e Tolentino, nelle quali si sono avute sia la presentazione del programma sia l’esecuzione di grani di musica d’organo da parte di virtuosi di questo strumento. Si è quindi perseguito l’obiettivo di valorizzare la musica d’organo e Le Cento Città, n. 40 far conoscere l’importante patrimonio organistico regionale. Osimo 9 gennaio 2010 Presentazione di un Volume curato da Mario Luni Nel teatrino del Palazzo Campana di Osimo, Mario Luni ha presentato il volume da lui stesso curato I Greci in Adriatico nell’età dei Kouroi, in un incontro promosso dal Comune di Osimo e dall’Istituto Campana con la nostra collaborazione. Il programma, di assoluto rilievo culturale comprendeva anche relazioni di André Laronde, Accademico di Francia e di Antonino Di Vita, accademico dei Lincei. Al termine riunione conviviale. Esanatoglia 24 gennaio 2010 Convegno e visita Visita della Città di Esanatoglia, alla scoperta di un altro gioiello delle Marche al confine con l’Umbria, alle sorgenti dell’Esino, seguendo un programma magistralmente costruito da Peppe Oresti. Si è iniziato con un convegno aperto nella sala consigliare del Municipio dal saluto del Sindaco, cui hanno fatto seguito tre relazioni brevi: Il corteo cavalleresco di Esanatoglia, affreschi del “maniero e luogo di diporto” dei Da Varano (Dott.ssa Fiorella Paino); Carlo Milanuzzi di Santa Natoglia, compositore di musica sacra barocca, organista e maestro di cappella a Venezia nel seicento (Pino Bartocci); La Vita dell’Associazione 39 ceramica di Esanatoglia (Laura Casadei). Si è proseguito con la visita del Municipio (ex residenza dei Da Varano) recentemente recuperato e del centro storico; in particolare l’ Oratorio Le Bare, con affreschi di De Magistris, la Chiesa di San Martino con il Crocifisso ligneo del XIII sec., l’altare e la cantoria lignei del XVII sec, la Chiesa di Sant’Andrea e la Torre civica. Colazione alla “Cantinella” con piatti della cucina tradizionale. Offida 15-16 febbraio 2010 Festa di Carnevale Organizzata da Pietro Oresti la partecipazione al Carnevale di Offida si è svolta in due tempi cena e veglione di lunedì grasso al Teatro Comunale lunedì sera, visita di una delle più suggestive cittadine delle Marche, preceduta da relazioni di …………………………… (W. S c o t u c c i ) …………………….(Paola Pierangelini) martedì mattina; infine al pomeriggio alla partecipazione al Carnevale e alla famosa sfilata dei velurdi, fasci di canne accese che confluiscono successivamente in un falò finale. Con dei piacevoli intervalli gastronomichi da ophis e serpente aureo. Macerata 5 marzo 2010 Freschi di stampa Per iniziativa del Presidente Walter Scotucci, si è svolta a Macerata una riunione dedicata alla presentazione di undici Volumi di Autori marchigiani editi nel 2008-2009 per diffonderne la conoscenza e valorizzare il contributo marchigiano alla letteratura italiana. Sono state presentate le ultime opere di Marco Belogi, Alberto Berardi, Grazia Calegari, Eugenio De Signoribus e Giovanni Ricci, E. Hermas Ercoli, Rolando Perazzoli, Lucia Tancredi e volumi editi a cura di Carla Carotenuto, Tullio Manzoni, Maria Luisa Polichetti Canti, Mara Silvestrini e Tommaso Sabbatini. Le presentazioni sono state fatte rispettivamente da Marco Belogi, Folco Di Santo, Alberto Pellegrino, Paola Pierangelini, Alfredo Luzzi, Giovanni Danieli, Giuseppina Capodaglio, Mario Canti, Mauro Compagnucci, Vermiglio Ricci, Mario Luni, Evio Hermas Ercoli. Ha moderato magistralmente Maurizio Cinelli. Nelle conclusioni il Presidente ha citato anche alcune opere che non avevano Le Cento Città, n. 40 trovato spazio nelle presentazioni. Tra queste quelle dei nostri Soci Rodolgo Colarizi (La lampedusana), di Ettore Franca in collaborazione c on Ugo Bellesi e Tommaso Vecchietti (Storia dell’alimentazione, della cultura gastronomica e dell’arte conviviale nelle Marche) e di Fabio Mariano (Lo spazio del sacro. Chiese barocche tra ‘600 e ‘700 nella provincia di Macerata). L’incontro ha avuto un grande successo per l’interesse delle opere presentate, la competenza e il carisma di Presidente, Moderatore, Presentatori e la presenza di un ampio pubblico selezionato. Vita dell’Associazione 40 Esanatoglia - Dal paese di Santa Anatolia, lì 24 gennaio 2010: sembra non avere mai fine la scoperta delle incredibili realtà storiche e artistiche che Le Cento Città incontrano nel loro cammino domenicale e che cuciono le une alle altre con il filo discreto di una rispettosa, ma sempre più sincera amicizia. A quando un libro che faccia scoprire anche agli altri Marchigiani la loro regione, attraverso gli occhi di vent’anni di questo sodalizio e i quartanta numeri della sua Rivista, il senso di una continuità regionale che come tale non riesce ancora a essere abbastanza vissuta? Forse sono proprio le individualità troppo forti il motivo che ostacola questa acquisizione.Per il momento, di seguito, alcune fotografie, dell’appuntamento a Esanatoglia, un appuntamento costruito da Beppe Oresti. (r.f.) Didascalie - 1°: la conferenza di Fiorella Paino sul Corteo Cavalleresco nei dipinti murali del “maniero e luogo di diporto dei Da Varano”, attuale Residenza Comunale. - 2°: il distacco pittorico di un San Sebastiano. - 3°: una vista di Esanatolia dallo studio del Sindaco Giorgio Pizzi. - 4° Il Crocefisso ligneo della Chiesa di San Martino. - 5°: la Cantoria della Chiesa di Santa Maria Maddalena del Monastero delle Monache Benedettine. 6°: a Esanatolia, in casa Zampini, è conservata parte dell’arredamento disegnato dal futurista maceratese Ivo Pannaggi. Di questa opera, unica nel suo genere ha parlato Massimo Angelucci Cominazzini. (Testo e fotografie di Romano Folicaldi) Le Cento Città, n. 40 Romano Folicaldi 41 Offida, martedì16 febbraio 2010, l’ultimo giorno di Carnevale: è questo uno momenti che assieme a Lu bove fintu, fanno di Offida un luogo in cui lo spirito che affonda le sue origini nei riti pagani del mito e che poi nella storia si sono prolungati, continua a essere presente e a dimostrare la sua vitalità nel modo spontaneo con cui si sviluppa la festa nella piazza, la processione dei vlurd, la gentilezza e l’accoglienza nei confronti dello straniero e dell’ospite. Potrebbe benissimo essere attraversata da una street band di New Orleans. E’un luogo in cui molti carnevali blasonati e tante feste di troppo recente fondazione dovrebbero venire e fare una riflessione. (r.f.) Didascalie 1: la Chiesa di Santa Maria della Rocca, uno degli elementi architettonici che cartatterizzano Offida. 2: si contano ormai sulle punte delle dita di una mano le donne di Offida che sanno fare i pizzi a tombolo più complessi e difficili. 3: un angolo della Piazza. 4: la folla comincia a riempire la Piazza. 5: un lunghissimo vlurd. 6: il corteo dei vlurd parte dalla Piazza per percorre le strade, le stradine, i vicoli di Offida. 7: Peppe Oresti, l’ideatore di questa trasferta, porta a spalla il suo vlurd indossando lu guazzarô. (Testo e fotografie di Romano Folicaldi) Le Cento Città, n. 40 15/40 l’Anniversario Le Cento Città, n. 40 15/40 l’Anniversario Mecenatismo e libertà È con comprensibile soddisfazione che Le Cento Città festeggia il suo quindicesimo anno di attività e, con questo, la pubblicazione del quarantesimo numero della sua rivista. Per una associazione culturale fondata sul volontariato non retribuito quale è la nostra le risorse provenienti dalla pubblicità hanno consentito di poter disporre di mezzi finanziari non altrimenti reperibili con i quali fronteggiare le spese di stampa, le altre spese essendo coperte dalle quote versate dagli associati. Di questa disponibilità mostrata da alcune imprese delle Marche ci sembra doveroso sottolineare almeno due aspetti che riteniamo di grande rilevanza: il primo di questi è costituito dal fatto che hanno aderito al nostro invito imprese che, a vario titolo, possono essere considerate come leader nei diversi settori; una scelta che manifesta una forte attenzione del mondo economico più avanzato verso la cultura, verso il territorio di appartenenza e la sua storia, cioè nei riguardi di contributi immateriali che pure possono promuovere la creatività e la capacità di innovare. Il secondo aspetto che a nostro avviso merita di essere considerato con la massima attenzione riguarda il rispetto assoluto che tutti gli inserzionisti, che peraltro nel tempo si sono avvicendati, hanno manifestato verso l’attività dell’associazione e la linea editoriale della rivista. Queste aziende hanno accettato di veicolare i loro messaggi publicitari sulla nostra rivista in considerazione della nicchia selezionata dei suoi lettori, ma hanno anche compreso che la prima condizione per l’affermazione della nostra pubblicazione si fondava sull’autonomia della ricerca e delle conseguenti espressioni operative. La nostra libertà è stata garantita in eguale misura dall’indipendenza intellettuale dei soci e degli amici che hanno recato i loro contributi e dal distacco assoluto che gli inserzionisti hanno sempre manifestato nei riguardi dei contenuti della pubblicazione. Riteniamo che questo rispetto vero l’autonomia della cultura e delle sue espressioni faccia parte del carattere dei marchigiani magistralmente espresso da queste aziende; più che di sponsorizzazioni nel nostro caso ci sembra opportuno parlare di Le Cento Città, n. 40 15°/40° L’anniversario 44 Traguardo 40 di Mario Canti In altra parte di questo numero della rivista vengono ricordati gli eventi e le iniziative che “ Cento Città” ha realizzato nel corso dei suoi 15 anni di vita; una dimostrazione di vitalità non indifferente, ove si considerino il carattere del tutto volontaristico della associazione e le finalità esclusivamente culturali che la animano e l’hanno animata per tutto il periodo considerato. Tra le attività va ovviamente considerata la pubblicazione della nostra rivista, che oggi raggiunge il suo quarantesimo numero, anche il raggiungimento di questo traguardo rappresenta un successo di notevole significato, ove si considerino, in questo caso, la continuità nel tempo della pubblicazione, la natura scientifica dei contributi pubblicati, grazie alle collaborazioni di molti associati e di tanti amici esterni all’associazione, nonché gli importi delle risorse finanziarie impiegate. Il raggiungimento di questo traguardo richiede oggi a tutti gli associati una attenta riflessione, per valutare la consistenza ed il valore di quanto, pubblicato ed anche, ma direi soprattutto, per precisare i prossimi obiettivi; per verificare quale sia la rispondenza dei contenuti della rivista agli intenti originari dell’associazione, e per rispondere alle esigenze culturali attuali, certamente sollecitate dai cambiamenti estremamente significativi che hanno interessato in questi quindici anni la comunità regionale sul piano economico, culturale e sociale. Il raggiungimento del traguardo in questione è motivo di compiacimento per tutti i soci, ma deve rappresentare motivo di particolare soddisfazione per coloro che si sono avvicendati nel comitato editoriale e,soprattutto, per il nostro direttore responsabile che ha resistito imperturbabile alle difficoltà di varia natura che nel corso di questi anni hanno interessato la pubblicazione. ed articolano un unico tema di fondo, quello della cultura. Ci si proponeva, nell’autunno del 1995, di dare vita ad un organo dell’associazione che ne rispecchiasse gli intenti e collaborasse attivamente alle iniziative sociali; nella sostanza ci sembra di poter affermare che questi obiettivi sono stati perseguiti con costanza e determinazione. Non v’è dubbio che fin dall’inizio della nostra attività abbiamo conferito una importanza rilevante ai valori comunitari, al rapporto dei cittadini e dei luoghi con la loro storia, con le loro tradizioni, con quelli che potremmo chiamare caratteri specifici delle identità locali; all’inizio abbiamo cercato di portare a conoscenza degli associati e dei lettori queste variegate realtà in qualche modo descrivendole, quasi inviando una “cartolina” del luogo redatta da un sensibile e preparato interlocutore. Le “rubriche” nelle quali si articola la rivista, che si sono gradualmente stabilizzate nel tempo, sono riferite ai “temi” culturali presenti nella società marchigiana; in esse, oltre a contributi specifici forniti da soci e da collaboratori esterni, hanno comunque trovato accoglienza e spazi adeguati le notizie ed i commenti riguardanti gran parte delle iniziative culturali svoltesi nelle Marche: mostre,convegni, spettacoli, tavole rotonde, indagini, ecc., che fossero promosse dall’associazione o da altri soggetti pubblici o privati. I quaranta numeri della nostra rivista si sono ovviamente sviluppati lungo dei precisi percorsi, dei “fili rossi”, che abbiamo convenuto di chiamare: Teatro, Sanità, Paesaggio,Beni Culturali, Qualità della Vita, Integrazione, Multiculturalità, ecc., argomenti che sostanzialmente specificano Le Cento Città, n. 40 I temi presenti con continuità sono stati affrontati nel tempo secondo linee evolutive che hanno tenuto conto delle acquisizioni culturali più aggiornate, ma anche delle esperienze che venivano maturando all’interno della stessa associazione. Con l’andare del tempo abbiamo messo a punto una metodologia di approccio al rapporto con le comunità locali e la loro storia assai più approfondita, capace di arricchire di conoscenze, talora del tutto inaspettate, i nostri associati e, contemporaneamente, stabilendo con le comunità locali, amministratori, studiosi, cittadini, dei rapporti più profondi, facendoci, anche tramite la rivista, divulgatori della loro realtà e dei loro saperi. C’è stata evoluzione anche nel modo di trattare quelli che avevamo inizialmente individuati come i temi di fondo dell’associazione, Mario Canti il confronto con la società regionale ci ha portato a rivederli, o meglio ad approfondirli, le linee evolutive sono state di conseguenza tante quanti i temi affrontati, e forse anche di più, Per fare alcuni esempi: nel trattare il tema del paesaggio siamo passati da una posizione di estrema attenzione, riservata però esclusivamente agli ambienti di maggior valore storico-paesaggistico, ad una considerazione globale della forma fisica del territorio, comprendendo in essa anche gli ambienti “neutri” come quelli “degradati”; in altri termini abbiamo anticipato alcune posizioni espresse a livello europeo nel 2000, ma che a livello nazionale sono state assunte da poco tempo e non ancora rese pienamente operative. La tutela e la valorizzazione del paesaggio ci ha poi portato, quasi inevitabilmente, a prendere posizione sul tema più generale della conservazione della terra e della limitazione dei consumi delle risorse naturali, ragione per cui abbiamo organizzato un apposito convegno per la presentazione della “carta della terra”, proposta da alcune associazioni ambientalistiche internazionali, che abbiamo anche pubblicato per esteso sulla rivista La conoscenza e la difesa del nostro patrimonio culturale ha preso nella nostra azione la denominazione significativa della “tela strappata”, volendo significare con questo termine che spoliazioni, distruzioni ed oblii hanno interrotto il tessuto continuo della nostra storia materiale .contribuendo in qualche modo a rendere meno limpida e consapevole la nostra stessa identità e che oggi il compito della cultura è quello di “restaurare” questi rapporti. 45 Su questa acquisizione di base sono poi state avviate vere e proprie azioni di recupero: restauri, mostre ecc., tra le quali va compresa l’iniziativa a promuovere l’azione legale per la restituzione all’Italia della statua bronzea di atleta attribuita a Lisippo ritrovata in mare al largo di Fano; degli esiti di questa iniziativa diamo conto, con legittima soddisfazione, in altra parte di questo stesso numero. Uno spazio particolare in questa logica del recupero della conoscenza come recupero dell’identità ha occupato la trattazione delle “grandi mostre” che in questi anni sono state realizzate nelle Marche, e che “Cento Città” ha sempre ricondotto, al momento della visita e nei commenti,alle relazioni intercorrenti tra le opere ed il territorio di origine. Va sottolineato che la “tela strappata” ha riguardato non solo il patrimonio artistico, ma quello culturale nel suo complesso, come testimonia, tra l’altro, l’attenzione che abbiamo dedicato, alle biblioteche di tradizione, della quale abbiamo dato notizia anche sulla rivista nella fondamentale rubrica dedicata alla “vita dell’associazione” . Analogamente abbiamo dato conto della vita teatrale marchigiana, per la quale abbiamo prodotto degli approfondimenti specifici, dalla nota indagine sui consumi teatrali alle interviste ai protagonisti ed ai convegni destinati alla lirica e alla musica dal vivo, che hanno più volte visto il coinvolgimento degli operatori e delle istituzioni regionali e locali. Con analoga scrupolosa attenzione “Cento Città” ha seguito e segue il mondo variegato, e fondamentale per la vita civile e sociale, della Sanità, sia attraverso Le Cento Città, n. 40 gli annuali convegni organizzati d’intesa con al Facoltà di Medicina dell’Università di Ancona, sia mediante contributi specifici svolti in sedi apposite e sulla rivista. Nè è mancata in questi anni l’attenzione alla solidarietà sociale che le Marche esprimono ed hanno espresso in passato; oggi nel volontariato e ieri nelle antiche tradizioni delle Confraternite; una ricerca condotta con l’intento di legare la solidarietà di oggi a quella del passato, identificando in essa uno dei caratteri identitari più forti e costanti della Comunità regionale. Identità e culture comuni, diversità , integrazione e accoglienza, sono stati sempre argomenti ricompresi nella trattazione dei temi istituzionali della associazione, nello sforzo di coniugare la memoria alla attualità, di contribuire in una qualche misura alla conservazione delle tradizioni e all’innovazione del modo di essere del marchigiano di oggi; intenti forse presuntuosi, ma condotti con misura e senso del ruolo di una associazione culturale che della apoliticità e della indipendenza ha fatto la sua ragione di essere. Nella ultima assemblea dell’associazione la redazione ha posto in evidenza la necessità di conferire alla rivista un ruolo sempre maggiore di interlocutore della società regionale, promuovendo momenti di confronto propri di un organo di comunicazione, attivando gli strumenti tradizionali: interviste, forum, saggi, e collegandoli ad un uso informatico della comunicazione stessa, quale oggi può essere assicurato dalla gestione di un sito efficiente e di facile accesso, questo in definitiva il nuovo traguardo che siamo impegnati a raggiungere. 15°/40° L’anniversario 46 Il traguardo dei quindici anni di Giovanni Danieli Il 26 marzo 1995, presso l’Hotel Federico Il di Jesi, alla presenza del Notaio Dott. Sandro Scoccianti, Alberto Berardi e Giovanni Danieli, a nome di altri trenta Consorti, costituivano l’Associazione Le Cento Città. L’Associazione è stata guidata nei primi mesi di attività da un Comitato provvisorio costituito da Giovanni Danieli, Presidente, Alberto Berardi, Vice Presidente, Volfango Zappasodi, Segretario e da Marco Belogi, Duilio Bonifazi, Folco Di Santo, Donatella Donati, Evio Hermas Ercoli, componenti. Venne contestualmente nominato Presidente Onorario il Magnifico Rettore dell’Università di Urbino Carlo Bo. Giorgio Mangani scrisse il Manifesto di Intenti. Negli anni successivi si sono succeduti alla Presidenza: Giovanni Danieli (1996), Catervo Cangiotti (1997), Folco Di Santo (1998 e 1999), Alberto Berardi (2000-2001), Evio Hermas Ercoli (2002-2003), Mario Canti (1 gennaio 2004/ 31 luglio 2005) Enrico Paciaroni (1 agosto 2005/31 dicembre 2006), Tullio Tonnini (2007), Bruno Bandoni (1 gennaio – 31 luglio 2008), Alberto Pellegrino (1 agosto 2008 – 31 luglio 2009), Walter Scotucci (dal 1 agosto 2009). E’ Segretario dal 1997 Giovanni Danieli mentre il ruolo di Tesoriere è stato ricoperto sino al 2005 da Francesco Pomponio, successivamente da Anna Maria Zallocco. Non sono più tra noi Franco Angeleri, Paolo Brunetti, Nazario D’Errico, Franco Foschi, Tullio Tonnini. Le attività dell’Associazione in questi quindici anni sono state caratterizzate da (1) Progetti strategici, caratterizzanti l’azione societaria e portati avanti in più momenti nel corso degli anni, (2) Iniziative di interesse regionale costituite essenzialmente da riunioni e congressi, azioni di recupero e di restauro di opere d’arte, inchieste regionali, (3) Attività di “animazione interna”; è stata inoltre assicurata la regolare produzione di un periodico, Le Cento Città, che ha avuto quale Direttore Editoriale Giorgio Mangani, prima, e dal 2006 Mario Canti. Edoardo Danieli è il Direttore responsabile della rivista. Nell’elencazione degli eventi succedutisi verrà seguita la classificazione prima riportata. 1. Progetti Strategici A. La Tela Strappata Convegni di sensibilizzazione verso “le Marche disperse” 1. La Tela Strappata - Fano 10 dicembre 1995 (A. Berardi) 2. Le Marche disperse - S. Severino 16 giugno 1996 (A. Pellegrino) 3. La Tela Strappata, il patrimonio artistico marchigiano disperso – Macerata 28 Novembre 1996 (E. H. Ercoli) 4. Beni Culturali - Fano 9 ottobre 1997 (A. Berardi) 5. La Tela Strappata - Pesaro 21 luglio 1998 (A. Berardi, G. Calegari, B. Cleri) Le Cento Città, n. 40 6. Marche disperse ovverosia La Tela Strappata – Pesaro 15 giugno 2002 (A. Berardi) 7. Il caso Lisippo – Fano 26 gennaio 2007 (A. Berardi) B. Il Teatro Convegni, inchieste e visite dedicate ai Teatri marchigiani Il Teatro nelle Marche - Ancona 17 marzo 1996 (M. Canti) 2. Il Teatro nelle Marche - Fano 10 ottobre 1996 (A. Berardi) 3. Presentazione di un’inchiesta regionale sul Teatro - Macerata 11 novembre 1996 (E.H. Ercoli) 4. I Teatri nelle Marche, ieri, oggi e domani - Pesaro 10 maggio 1998 (A. Berardi) 5. La gestione di un piccolo teatro - Civitanova Marche 21 marzo 1999 (E. Danieli, M. Canti) 6. Il Teatro delle Muse - Ancona 10 marzo 2000 (F. Brisighelli) 7. La musica nelle Marche, il sistema che non c’è – Ancona, Teatro delle Muse, 17 giugno 2006 ( E. Paciaroni) 8. Il sistema lirico musicale nelle Marche – Ancona, Teatro delle Muse, 15 Maggio 2008 (E. Paciaroni) 9. Lo stato dello spettacolo dal vivo nelle Marche – Pesaro 9 maggio 2009 (E. Paciaroni) C. La Sanità Convegni svolti quasi tutti nell’Aula Magna di Ateneo o in quella della Facoltà, per dibattere due temi di grande attualità, la Sanità regionale e la formazione universitaria dei Professionisti della salute. L’Infermiere all’Università Ancona 11 ottobre 1995 (G. Giovanni Danieli Danieli) Piccoli Ospedali, quale futuro? Ancona 29 novembre 1996 (G. Danieli) Piano Sanitario Regionale Pesaro 9 luglio 1997 (G. Danieli) 4. L’integrazione socio-sanitaria nel minore, nel disabile, nell’anziano - Ancona 29 maggio 1998 (L. Del Conte) 5. Case di riposo nelle Marche Ancona 25 novembre 1999 (E. Paciaroni) 6. Le nuove lauree dell’Area sanitaria - Ancona 14 aprile 2000 (G. Danieli) 7. La Sanità che cambia Ancona 2 dicembre 2002 (G. Danieli) 8. L’Infermiere laureato Ancona 20 maggio 2005 (G. Danieli) 9. Verso il nuovo Piano Sanitario Regionale – Pesaro, 27 ottobre 2006 (E. Paciaroni, G. Danieli) 10. Il nuovo Piano Sanitario Regionale 2007 – 2009 – Ancona 5 ottobre 2007 (E. Paciaroni, G. Danieli) 11. L’evoluzione del Sistema Sanitario nelle Marche – Ancona 27 novembre 2009 (E. Paciaroni, G. Danieli) D. Il Paesaggio Congressi e dibattiti per la tutela e la valorizzazione del paesaggio 1. La scena marchigiana, un convegno sul territorio, Sarnano giugno 1997 (G. Ricci) 2. Il Paesaggio, la forma della memoria, lo spazio del progetto - Ancona 18 giugno 2004 (M. Canti) 3. Presentazione de Il Paesaggio, Rivista e progetto, Fano 17 febbraio 2005 (M. Canti, A. Berardi) 4. Presentazione de Il Paesaggio, Rivista e progetto, Macerata 3 marzo 2005 (M. 47 Canti, E. H. Ercolì) 5. Protagonisti e metodi per una politica attiva del paesaggio. Fermo 18 febbraio 2006 (M. Canti, F. Emiliani) 6. Attualità del paesaggio – Jesi 23 maggio 2008 (M. Canti) 7. La Carta della Terra – Recanati 2 aprile 2009 (F. Corvatta) E. Biblioteche marchigiane di tradizione (G. Danieli) Riscoperta e valorizzazione delle biblioteche marchigiane di tradizione, visite, convegni e pubblicazioni. 1.Biblioteca Mozzi Borgetti d Macerata (31 maggio 2003) 2. Biblioteca Tomistica di Monsampolo del Tronto (31 maggio 2003) 3. Biblioteca Comunale di Fermo (31 maggio 2003) 4. Biblioteca Federiciana di Fano (31 ottobre 2003) 5. Biblioteca Oliveriana di Pesaro (31 ottobre 2003) F. Tipicità enogastronomiche Riscoperta delle specificità enogastronomiche regionali 1. Cena leopardiana Montecosaro Scalo 1 febbraio 2003 (E.H Ercoli) 1.2 20 giugno 1999 – 1 febbraio 2003 2. Cena rossiniana - Pesaro 21 novembre 2003 (E. Franca) 3. Il Cuoco maceratese Portonovo di Ancona 19 marzo 2005 (E.H Ercoli) 4. La cucina ebraica nelle Marche - Senigallia 5 marzo 2006, (M.Luisa Moscati Benigni) G. Conversazioni sull’Etica (L. Cavasassi) Progetto e in memora di Tullio Tonnini, ad Ancona nella sala del Rettorato 1. L’Etica nell’epoca della com- Le Cento Città, n. 40 plessità – Ancona 4 luglio 2008 2. Le sfide dell’etica della cultura postmoderna – Ancona 21 novembre 2008 H. suoni d’organo alle marche Concerti d’organo in cinque sedi regionali, Fano, Jesi, Fermo, Tolentino, Ascoli tra il 28 e il 30 dicembre 2009.(G. Martinelli) I.Freschi di stampa Presentazioni e citazioni di opere di Autori marchigiani edite negli anni 2008-2009 Macerata 5 marzo 2010 (M. Cinelli) 2. Iniziative di interesse regionale A. Gruppo Recuperi e Restauri Costituito da Grazia Calegari, Graciela Galvani Rocca e Silvana Mariotti, ha intrapreso numerose iniziative tra le quali vanno citatate 1. Scenografia teatrale del Palazzo Ducale Corte Alta di Fossombrone, visitata il 29 marzo 1998 – 7 ottobre 2000 2. Madonna col Bambino e i Santi San Pietro e Girolamo nella Cattedrale di Pesaro, visitata il 23 novembre 2000 3. Il Martirio di San Bartolomeo di Antonio Viviani detto il Sordo nel Parco San Bartolo di Pesaro, visitato il 20 ottobre 2002 Inoltre Grazia Calegari ha guidato la visita ai mosaici della Cattedrale di Pesaro appena restaurati il 22 marzo 2007. Alberto Berardi infine ha svolto una continua azione di sensibilizzazione per il recupero dell’Atleta di Fano, in più momenti, mediante convegni, articoli, interviste e con l’esposto finale al Tribunale di Pesaro avanzato dall’Avv. Tristano 15°/40° L’anniversario Tonnini il … B. Inchieste Sondaggi regionali coordinati da Docenti delle Facoltà di Economia di Urbino e Ancona 1. Il Teatro nelle Marche, 1996 (G. Polidori) 2. I giovani e le Marche, 2000 (U. Ascoli) 3. L’immigrazione marchigiana, 2004 (E. Pavolini) C. Convegni Momenti di riflessione e di dibattito aperti dall’Associazione su temi essenziali della vita regionale, non riportati nei Progetti strategici 1995 1. 23 settembre - Recanati: Incontro con i Poeti marchigiani (F. Foschi) 2. 2 ottobre - Macerata: Presentazione dell’Associazione (E.H. Ercoli) 3. 31 ottobre - Pesaro: Presentazione dell’Associazione e della rivista (A. Berardi) 4. 5 novembre - Fermo: Presentazione dell’Associazione (D.Bonifazi) 1996 1. 28 novembre – Macerata: Gli insorgenti marchigiani (E. H. Ercoli) 1997 1. 21 marzo - Pesaro: Presenza ebraica nelle Marche (A. Berardi) 2. 6 aprile - Tolentino: Arte Neoclassica, il tempo di Andrea Appiani (A. Pellegrino) 3. 14 giugno – Ancona, la cattedrale di S. Ciriaco e le celebrazioni sul millennio (E. Paciaroni) 4. 13 luglio - S. Benedetto del Tronto: Accademie e 48 Associazioni culturali nelle Marche (L. Alici, G. Lupi) 5. 9 ottobre - Pesaro: Beni culturali. Privato-pubblico, un circolo virtuoso (A. Berardi) 6. 16 novembre - Porto S. Giorgio: Le Società Operaie nelle Marche, mutualità e solidarietà (A. Luzi) 1998 1. 13 marzo - Macerata: La follia di una volta, vicende nosocomiali di fine secolo (E.H. Ercoli) 2. 3 ottobre - Camerino: Tra storia e cultura (A. Pellegrino) 3. 22 ottobre - Macerata: Il libro d’artista nelle Marche. Imitazioni di Gianni Sinisgalli (G. Ricci) 4. 25 novembre – Pesaro: Correnti dell’arte contemporanea (A. Berardi) 1999 1. 15 gennaio - Ancona: Fare le Marche (G. Mangani) 2. 10 febbraio – Fano: il carnevale nelle Marche (A. Berardi) 3. 20 marzo - Abbadia di Fiastra: Neoclassicismo nelle Marche al tempo di Leopardi (G. Ricci, F. Mariano) 4. 17 aprile - Pesaro: Rossini nelle Marche (A. Berardi, A. Siepi) 5. 24 aprile - Civitanova Marche: Ri/conoscere Annibal Caro (E. Danieli, E. Marinelli) 6. 28-29 maggio – Macerata: un nuovo filosofo (L. Alici) 7. 28-29 giugno – Ancona: alcune esperienze regionali per lo sviluppo e l’occupazione nella cultura (F. Di Santo, G. Vandali) 8. 19 settembre - Capodarco di Fermo: Approfittiamo del no profit (L. Alici) 9. 12 novembre - Macerata: Il crepuscolo del Barocco (A. Sfrappini) 2000 Le Cento Città, n. 40 1. 25 settembre - Ancona: I giovani nelle Marche (U. Ascoli, F. Di Santo) 2. 1 ottobre - Pesaro: Rossini e i compositori marchigiani (A. Siepi) 3. 9 ottobre - Ancona: Libia, situazione attuale, prospettive per gli operatori locali (L. Cavasassi) 4. 15 ottobre – Fano: Vitruvio e Fanum Fortunae (P. Taus) 2001 1. 21 febbraio – Fano: il Carnevale nell’arte, nella letteratura e nella gastronomia (A. Berardi) 2. 4 maggio - Macerata: Murat e le Marche. Diario inedito del 1815 (E.H. Ercoli) 3. 29 settembre - Pesaro: Pesaro al tempo di Carolina di Brunswick (A. Berardi, A. Siepi) 4. 23 novembre - Fano: Marco Belogi scrittore (A. Berardi) 5. 7 dicembre - Pesaro: Alle origini del trasporto pubblico nelle Marche (A. Berardi) 2002 1. 21 settembre - Camerino: Il 400 a Camerino (A. Pellegrino) 2003 1. 17-19-21 marzo- Macerata: Amarcord o della vita di provincia (E.H. Ercoli) 2. 21 dicembre - Mondavio: Il Premio Benemerito per la Storia delle Marche a Le Cento Città (G. Martinelli) 2004 1. 5 novembre - Ancona: Editoria ed identità regionale, Il Corriere Adriatico (G. Vettori, E. Danieli) 2. 19 novembre - Pesaro: Lo Statuto, gli Statuti (A. Amati) 3. 22 novembre - Ancona: Il fenomeno dell’immigrazione nella provincia di Ancona (F. Di Giovanni Danieli Santo) 2005 1. 11 marzo - Ancona: L’immigrazione nelle Marche (F. Di Santo) 2. 10 giugno - Fermo: Il ruolo dei Musei locali nello sviluppo e nel consolidamento dell’identità culturale delle comunità marchigiane. Per una didattica finalizzata all’identità M. Canti, A.M. Zallocco, G. Capodaglio). 3. 29 ottobre – Ancona: Il futuro del porto di Ancona (P. Beer) 2006 28 maggio – Macerata: Macerata anni ’30 – Un giorno da leoni (E. H. Ercoli) 11 dicembre – Ancona: La città dei creativi, un progetto per la città regione (C. Cangiotti) 49 D. Gli incontri 1. Arnaldo Pomodoro - S. Leo, 31 maggio 1998 (F. Mancini) 2. Mario Giacomelli - Ancona, 25 novembre 1999 (E. Paciaroni) 3. Diego Della Valle - Casette d’Ete, 20 luglio 2001(E. Pupo) 4. Walter Scavolini - Pesaro, 9 novembre 2001 (A. Berardi) 5. Cristina Cecchini - Loreto, 22 febbraio 2002 (E.H. Ercoli) 6. Mario Trapanese e Rossano Bartoli alla Lega del Filo d’Oro – Osimo, 19 novembre 2005 (E. Paciaroni) 7. Vittorio Livi - Pesaro, 29 febbraio 2007 – (G.Calegari) 7. Valeriano Trubbiani Ancona, 8 marzo 2007 (A. Berardi) 8. Roberto Tagliaferri Ancona, 4 luglio 2008 (L. Cavasassi) 9. Luigi Alici - Ancona, 21 novembre 2008 (L. Cavasassi) 2007 8 marzo – Ancona: Omaggio a Valeriano Trubbiani (A. Berardi) 15 giugno – Ancona: Convegno ANCE-Ambrosetti: Il sistema turismo in Italia e nelle Marche (E. Paciaroni) 12 ottobre – Ancona: Ancona, le Marche e l’Oriente (F. Di Santo, Carifano) 2009 30 gennaio – Macerata: i 100 anni del Manifesto Futurista (E. H. Ercoli) 2 aprile 2009 – Recanati: Capelli al vento, ricordo di Joyce Lussu (F. Corvatta, A. Pellegrino) 5 luglio – Amandola: Convegno sulla Sibilla (A. Pellegrino) 3 ottobre – Caldarola: il Collezionista, tra buona fede ed incauto acquisto (L. Capodaglio) E. Collaborazione con la Facoltà di Medicina e Chirurgia, Convegni annuali nella sede della Facoltà (G. Danieli) 1. Biblioteche Marchigiane di tradizione 31 maggio 2003 2. Caritas e Sanità, dalle antiche Opere pie, Confraternite, Congregazioni di Carità alle Istituzioni assistenziali nelle Marche – 23 giugno 2006 3. Uomini e Luoghi della cultura nelle Marche – 8 giugno 2007 4. Manicomi Marchigiani, le follie di una volta – 6 giugno 2008 5. Fonti ed acque termali nelle Marche - 5 giugno 2009 3. Attività di animazione interna A. Le visite Le Cento Città, n. 40 Per conoscere e far conoscere le Marche, visite ai tesori ambientali ed artistici della Regione, ricevuti dai Sindaci dei Comuni visitati e guidati da Personalità della cultura Provincia di Pesaro 1. Pergola - 18 maggio 1997 (S. Mariotti) 2. S. Angelo in Vado - 18 ottobre 1997 (B. Cleri) 3. Fossombrone - 29 marzo 1998 (S. Mariotti) 4. S. Leo, - 31 maggio 1998 (F. Mancini) 5. Cagli, 14 giugno 1998 (A. Mazzacchera) 6. Urbino, Città Ducale - 6 giugno 1999 (G. Polidori, M. Dachà) 7. Saltara e Cartoceto - 13 febbraio 2000 (E. Franca) 8. Mondavio - 21 maggio 2000 (F Mariano) 9. Fano - 15 ottobre 2000 (P. Taus) 10. Fossombrone 7 ottobre 2000 – (S. Mariotti, G. Calegari, A. Berardi) 11. Pesaro – 23 novembre 2000 (G. Calegari, S. Mariotti) 12. S. Giorgio di Pesaro - 1 febbraio 2003, (M. Belogi) 13. Urbania ed Urbino - 20 marzo 2004 (M. Belogi) 14. Fonte Avellana - 10 luglio 2004 (T. Tonnini) 15. Cagli – 4 giugno 2005 (A. Mazzacchera) 16 . S. Maria d’Antico, Pontemessa, Cartoceto, Montebello – 9 luglio 2006 (E. Franca) 17. Pesaro - Villa Miralfiore e Museo Diocesano – 20 febbraio 2007 (G. Calegari) 18. Pesaro – Mosaici della Cattedrale – 22 marzo 2007 (G. Calegari) 19. Urbino – Mostra di Raffaello – 9 maggio 2009 (M. Canti, M.L.Polichetti) 15°/40° L’anniversario Provincia di Ancona 1. Jesi - 23 maggio 1999 (L. Cavasassi) 2. Corinaldo e Claudio Ridolfì – 2 aprile 2000 (M. Grandi) 3. Serra dei Conti ed Arcevia – 16 ottobre 2005 (G. Moneta) 4. Ancona, Mole Vanvitelliana: 3 dicembre 2005 – Mostra: Leonardo, genio e visione in terra marchigiana (M.L. Polichetti) 5. Fabriano: Mostra di Gentile da Fabriano – 22 luglio 2006 6. Recanati: Museo Beniamino Gigli, – 2 aprile 2009 7. Serra S. Quirico – 13 settembre 2009, Mostra di Pasqualino Rossi Provincia di Macerata 1. Camerino - 3 ottobre 1998 (A. Pellegrino) 2. Caldarola e Madonna di Garufo - 17 ottobre 1999 (G. Bocci) 3. Recanati - 14 ottobre 2001 (F. Corvatta) 4. S. Severino Marche, 14 ottobre 2002 (A. Pellegrino) 5. S. Ginesio - 22 giugno 2003 (E.H. Ercoli) 6. Urbisaglia - 5 ottobre 2003 (G. Capodaglio) 7. Treia - 18 aprile 2004 (E.H. Ercoli) 8. La Via Francisca - 4 luglio 2004 (E.H. Ercoli) 9. Cingoli – 19 marzo 2006 (G. Moneta) 10. Castel Beldiletto, S. Giusto in S.Donato, Madonna di Macereto – 15 settembre 2006 (G. Bocci, F. Bracalente) 11.Camerino: Mostra del Rinascimento scolpito (A. Pellegrino); S. Severino: Percorso “iniziatico” a Villa Collio – 8 ottobre 2006 (E.H. Ercoli) 50 12. Macerata, i suoi palazzi, i suoi teatri, 9 marzo 2008 (E.H. Ercoli) 13. Matelica, Mostra dei Piceni, 12 ottobre 2008 (R. De Biase) 14. Tolentino, S. Severino, Montelupone: Tour del sorriso 9 novembre 2008 (A. Pellegrino) 15 . Macerata, Madonna del Glorioso, Castelli di Aliformi e di Isola. 19 luglio 2009 (A. Pellegrino) 16. Esanatoglia, 24 gennaio 2010 (G. Oresti) Provincia di Fermo 1. Valle del Tenna - 26 maggio 1996 (U. Ascolí) 2. Monte S. Pietrangeli - 12 novembre 2000 (E.H. Ercoli) 3. S. Elpidio a Mare - 7 aprile 2002 (E.H. Ercolí) 4. Montegiorgio - 23 febbraio 2003 (E.H. Ercoli) 5. S. Elpidio a Mare – 7 maggio 2005 (G. Martinelli) 6. Servigliano – (M. Calisti), Massa Fermana, Pinacoteca (W. Scotucci) Falerone Museo Archeologico (P. Pierangelini) 1 apile 2007 Monterubbiano e Moresco – 24 febbraio 2008 (W. Scotucci, G. Oresti, R. (Folicaldi) Fermo, Mostra di Vincenzo Pagani, Biblioteca, Caffè Letterario, 21 settembre 2008 (W. Scotucci) 9. Fermo, Monterubbiano, Montefiore dell’Aso: Le Marche nei Fioretti di S. Francesco – 31 ottobre 2009 (W. Scotucci) Province di Ascoli Piceno 1. Montefortino - 13 settembre 1998 (A. Luzi) 2. Ascoli Piceno - 30 giugno 2000 Mostra dei Piceni, la Pinacoteca (M. Canti, S. Le Cento Città, n. 40 Papetti) 3. Amandola, viaggio nel mondo della Sibilla – 5 luglio 2009 (A. Pellegrino, V. Pasquali) 4. Offida, 15-16 febbraio 2010 (G. Oresti) B. I viaggi Viaggi con guide prestigiose e relazioni di grande spessore culturale 1. Salento, 28 aprile - 1 maggio 2001 (G. Danieli) 2. Sicilia occidentale - 25-28 aprile 2002 (E Franca) 3. Tra Marche, Toscana ed Umbria - 24-27 aprile 2003 (M. Canti; M.L.Polichetti) 4. Abruzzo- 7-9 maggio 2004 (M. Canti, M.L.Polichetti) 5. Ciociaria - 22-25 aprile 2005 (M. Canti, M.L. Polichetti) 6. Civitella del Tronto – Monastero di Valledacqua, Paggese, Castel di Luco– 3-4 giugno 2006 (T. Tonnini) 7. Mantova, Verona, Padova, Mostra di Andrea Mantegna – 10-12 novembre 2006 (A. Pellegrino) 8. Caserta, Baia, Pompei – 2830 aprile 2007 (M. Canti, M.L.Polichetti,) 9. Camaldoli, Monastero ed Eremo, Poppi, Capolona di Arezzo – 12-13 maggio 2007 (T. Tonnini, S. Frigerio) 10. Ravenna, Pomposa, Comacchio – 8-9 dicembre 2007 (V.Pranzini,C.Montroni, S. Frigerio) 11. Parma, Colorno, Sabbioneta, Fontanellato, Vigoleno – 24-26 aprile 2009 (A. Pellegrino) Inoltre Folco Di Santo e Mario Luni hanno organizzato, a partire dal 2000 (18-25 aprile 2000), per un gruppo di Soci e di Giovanni Danieli Amici, alcune visite in Libia, alla riscoperta della civiltà romana ed Enrico Paciaroni un viaggio a Berlino nell’aprile 2006. C. Assemblee dei soci ed altri incontri societari 1. Assemblee invernali a) Valle del Metauro,Villa Tombolina - 10 dicembre 1995 (Assemblea) b) Jesi, Hotel Federico II - 26 marzo 1995 - 10 dicembre 1996 - 10 dicembre 1997 13 dicembre 1998 - 12 dicembre 1999 - 12 dicembre 2000 - dicembre 2001 – 15 dicembre 2002 - 14 dicembre 2003 - 12 dicembre 2004 11 dicembre 2005- 17 dicembre 2006 - 16 dicembre 2007- 14 dicembre 2008- 13 dicembre 2009(Assemblee invernali) 2. Assemblee di mezza estate: a) Monte S. Giusto La Coriolana - 26 agosto 2000 - 25 agosto 2001 - 30 agosto 2002 5 settembre 2003 - 4 settembre 2004 - 4 luglio 2005 b) Monsano, Villa Di Santo – 22 luglio 2006 c) Fano, Villa Tonnini – 14 luglio 2007 d) Fano, Villa Tonnini – luglio 2008 e) S. Severino Marche - 19 51 luglio 2009 dici, nel 2007 sedici, nel 2008 tredici, nel 2009 diciasette. 3. Ricevimento nella Villa di Catervo Cangiotti - 5 settembre 1997 4. Loreto, Villa Tetlamaja - 28 marzo 2003 Presentazione dei nuovi Soci 5. Jesi Hotel Federico II Celebrazione del 10° Anniversario dell’Associazione 2 aprile 2005 6. Monterado, 15 febbraio 2009 Il carnevale de Le Cento Città 7. Offida, 15-16 febbraio 2010 Carnevale di Offida 8. Jesi Hotel Federico II Celebrazione del 15° Anniversario dell’Associazione e del quarantesimo numero della rivista - 26 Marzo 2010 Circa le sedi di svolgimento degli avvenimenti, 45 sono stati realizzati nella provincia di Pesato, 70 in quella di Ancona, 49 in quella di Macerata, 10 in quella di Ascoli e 14 in quella di Fermo. In sintesi, oltre ad inchieste, recuperi e restauri, si sono svolti 11 viaggi dell’Associazione e 120 eventi, così distribuiti: nel 1995, secondo semestre, cinque; nel 1996 otto; nel 1997 tredici; nel 1998 undici; nel 1999 quattordici; nel 2000 diciassette; nel 2001 sette; nel 2002 otto; nel 2003 sedici; nel 2004 dodici, nel 2005 quattordici, nel 2006 quin- Le Cento Città, n. 40 15°/40° L’anniversario 52 Le Cento Città nel pensiero di Past President e amici intellettuali Mi sento un marchigiano da sempre “globale”, lontano dalle “piccole Patrie” che pure amo. Per questo cerco di vivere la mia regione nella sua vasta gamma di offerte dalla poesia all’arte, dal teatro al paesaggio; per questo amo vivere sospeso tra piazze e antiche strade, tra la celeste vertigine delle montagne e il grigioverde del mare, cercando di assaporare l’armonia del creato. L’Associazione Le Cento Città mi ha aiutato a fare tutto questo: ha ampliato o approfondito le mie conoscenze; ha rafforzato in me la consapevolezza di essere parte integrante di questa regione con le sue esaltanti eccellenze e i suoi limiti, le sue originali bellezze, con la sua gente laboriosa e gentile anche se non priva di difetti come compete all’essere umano; mi ha fatto il dono prezioso dell’amicizia maturata in tante occasioni nel segno dell’operosità intellettuale e dell’incontro festoso, da Urbino ad Ascoli, dai Sibillini, culla misteriosa delle Regina Appenninica all’Adriatico un tempo solcato dalla mitica nave di Glauco cullato dal canto delle sirene e dall’irresistibile incanto di Circe. Abbiamo scoperto insieme il fascino della poesia e dell’arte, delle tradizioni del popolo marchigiano che ha costruito la nostra storia per farci sentire orgogliosamente legittimi figli di questa regione. Alberto Pellegrino Sono poche le date che ricordo ma una non l’ho mai dimenticata: il 12 dicembre 1999 quando a Jesi l’Assemblea de “le Cento Città” mi elesse Presidente. Cominciarono così due anni di impegno appassionato insieme agli amici più cari ed al fianco di colui che è sempre stato il motore infaticabile della Associazione: Giovanni Danieli. Con un po’ di emozione organizzai il primo incontro nella mia terra, a Cartoceto ed a Saltara. Gli affreschi gotici di San Giovanni in Rovereto recentemente scoperti ed i misteri della Villa del Balì furono le tappe principali dell’incontro non disgiunte da una visita all’antico mulino ad olio Beltrami. A seguire, il bell’incontro i Ancona sul restauro del Teatro delle Muse e la visita a Corinaldo delle opere di Claudio Ridolfi. Nell’aprile il Convegno su “Le nuove Lauree nell’Area Sanitaria” che aprirà la strada ai prestigiosi incontri anconetani sui problemi della Sanità regionale e poi l’indimenticabile viaggio in Libia. Il primo dei grandi viaggi dell’Associazione. Vedemmo cose mai viste e godemmo di privilegi culturali inusitati grazie a Mario Luni . Iniziò a maggio la collaborazione con l’Istituto Italiano dei Castelli con la visita alla Rocca di Mondavio. A giugno la visita alla Mostra dei Piceni ad Ascoli Piceno, splendida città troppo a lungo trascurata anche dalla nostra Associazione. Ma il problema dell’identità marchigiana a distanza di venti anni dalla nascita delle regioni premeva ed insieme alla Fondazione Merloni promuovemmo un sondaggio sul senso di identità e radicamento regionale dei giovani marchigiani. Gli interessanti risultati furono pubblicati su un Le Cento Città, n. 40 numero speciale della nostra rivista. Il primo anno si avviava al termine ma molte cose premevano. Tra ottobre e novembre il Gruppo Recupero e Restauri presentò due grandi interventi che fecero conoscere ed apprezzare il lavoro della Associazione: il restauro della scenografia teatrale della Corte Alta di Fossombrone e quello dello spettacolare affresco “Madonna con bambino e santi” della Cattedrale di Pesaro. Fu poi la volta dell’incontro degli imprenditori marchigiani in Ancona con il Console generale d’Italia a Bengasi Alfredo Durante Mangoni , del Convegno fanese su “Vitruvio e Fanum Fortunae” e della visita a Monte San Pietrangeli. La primavera del 2001 passò come un soffio con la visita di un nutritissimo gruppo di soci nella magica terra salentina. Si intensificarono i rapporti, nacquero nuove amicizie , si aprirono nuove prospettive. A maggio il Convegno su “Murat e le Marche” a Macerata ed a luglio la visita a Casette d’Ete nei nuovissimi stabilimenti Tod,s ricevuti da Diego Della Valle per rinsaldare il legame tra Associazione ed imprenditoria. Il 29 settembre Convegno su “ Pesaro al tempo di Carolina di Brunswick”, il 14 ottobre incontro a Recanati su Giacomo Leopardi e le stupefacenti opere del Lotto. Ancora mi chiedo come sia stato possibile realizzare tutto questo e mi rispondo che soltanto la passione unita alla competenza di molti che mi scuso per non avere ricordato, ma lo spazio è tiranno, hanno potuto compiere il miracolo di unire persone tanto diverse 15°/40° L’anniversario in un impegno comune che nato da tempo prosegue imperterrito con unanimi consensi. Alberto Berardi Giovanni Danieli non è marchigiano di nascita, ma il suo amore per la nostra Regione è fortissimo. Da lui nasce l’idea delle Cento Città. Dopo un paio d’anni di rodaggio, l’Associazione è lanciata e Giovanni sente la necessità di consolidarla e dare un assetto più strutturato alla Rivista. Era il 1996. A quell’epoca io ero Presidente degli Industriali delle Marche. Giovanni pensa a me come Presidente delle Cento Città per l’anno 1997. Accetto, con al mio fianco l’inesauribile e vulcanico Giovanni quale Segretario Generale. Ci circonda un gruppo straordinario di amici con i quali realizziamo tanta iniziative. Ricordo con affetto Giorgio Mangani, Masino Ercoli, Alberto Pellegrino, Alfredo Luzi, Fabio Mariano, Mario Canti e M. Luisa Polichetti. È stata per me una esperienza esaltante. Ho potuto toccare con mano come in tutte le province marchigiane i punti di convergenza superassero le diversità. Insomma, il trionfo della “marchigianità” all’insegna della coesione sociale, della bontà d’animo della gente, della non bellicosità, del rispetto delle tradizioni, del tessuto connettivo delle piccole Aziende nate dai valori dalla cultura degli artigiani medioevali e dalla cultura contadina. Ringrazio Giovanni e gli amici per tutto quello che mi hanno insegnato. Spero di aver lasciato anch’io un buon ricordo a tutti. Catervo Cangiotti Ho sempre ritenuto di conoscere le Marche. Mi sbagliavo. La Presidenza (dal 01-07-05 al 31- 53 12-06) dell’Associazione” le Cento Città” mi ha offerto l’opportunità di conoscere le vere Marche, le cosiddette Marche minori. Con piccole gite domenicali abbiamo potuto scoprire le loro specifiche identità, naturali, storiche, artistiche e culturali: paesaggi tipici, dolci, collinari, dai monti verso il mare, ordinati e rimodellati su misura dalla mano dell’uomo; borghi e castelli medievali, recentemente restaurati con gusto ed intelligenza; antiche chiese romaniche o semplici pievi tutte ricche di patrimoni preziosi di opere d’arte. Abbiamo potuto apprezzare , sopratutto nell’interno, i prodotti tipici della cucina locale,poveri e semplici, ma con genuini sapori antichi, molti dei quali ancora alla base della famosa dieta mediterranea (olio d’oliva, legumi, pasta, polenta, verdure di campo, vini tipici, frutta di stagione ecc.). Il merito delle “Cento Città”, infatti è quello di far conoscere le Marche sconosciute ai più, di notevole interesse sotto il profilo culturale,valorizzare le tipiche identità del territorio, innovare alcuni aspetti, altrimenti obsoleti a causa dell’incuria dei responsabili del potere politico. Le Marche risultano,purtroppo, una Regione frammentata per motivi geografici, storici e politici. È tempo di ritrovare un’unitarietà di indirizzi e di disponibilità finalizzate a soluzioni di beni comuni. Per queste finalità le Associazioni tutte devono uscire dai loro circoli accademici, creare movimenti d’opinione attraverso lo strumento della conoscenza e coinvolgere le istituzioni che possono e devono decidere. Secondo me, il principio alla base della nostra Associazione deve essere proprio questo: riscoprire le vere identità della nostra Regione, farle meglio conoscere, attualizzarle con contributi innovativi adeguati, infine Le Cento Città, n. 40 impegnarsi per una giusta loro valorizzazione. Con questo spirito, durante la mia Presidenza, abbiamo organizzato dei Convegni regionali, ripetuti poi negli anni successivi, su due temi di fondamentale importanza nell’ambito delle Marche di oggi: il problema degli Ospedali e quello dei Teatri lirico-musicali marchigiani.Strutture tutte di grandi tradizioni a livello regionale,testimonianze di notevole senso di responsabilità civica, attualmente in difficoltà per motivazioni gestionali e finanziarie, che necessitano oggi di trasformazioni, di raccordi-reti fra tutte, di indirizzi comuni sotto il profilo dei programmi e delle risorse disponibili.Dalle tradizioni locali ad un rinnovamento relativo alle esigenze funzionali del momento. Le Marche sono anche una Regione dei creativi che hanno saputo contribuire, con intelligenza, lungimiranza e gusto, alla diffusione nel mondo del made in Italy nell’ambito della moda, delle calzature, dell’arredamento, dell’artigianato, dell’elettronica, degli elettrodomestici, ecc. Sotto questo profilo è stato organizzato, in collaborazione con l’Ambrosetti House, grazie agli stimoli dell’ing. Catervo Cangiotti, un nostro valido PastPresident, un Convegno naz. con i contributi di alcuni illuminati imprenditori-creativi delle Marche. Il modello marchigiano di sviluppo è anch’esso, purtroppo, attualmente in crisi, meno, però. che in altre Regioni, grazie alla presenza nelle Marche delle tante piccole e medie imprese a conduzione familiare ed alla tenuta della istituzione della famiglia, punto di sostegno della qualità della vita, uno dei livelli più alti nelle Marche rispetto ad altre Regioni d’Italia, come dimostra il grado di longevità (intorno a 80 anni di 15°/40° L’anniversario aspettativa di vita in media) raggiunto dalla popolazione marchigiana. Un rammarico nei riguardi della mia Presidenza delle “Cento Città”: non aver potuto completare il Progetto sulle “arti sanitarie” degli Ospedali marchigiani, cioè una raccolta di quel poco che resta del prezioso patrimonio artistico-culturale (dipinti, statue, mobili antichi,vasellame, biblioteche, cc.), di antica proprietà dei nostri Ospedali, frutto di donazioni e testimonianze della pietà religiosa di nostri antenati. Alcune ducumentazioni sono state recuperate e pubblicate sulla nostra Rivista, ben poche rispetto ai molti beni un tempo diffusi su tutto il territorio regionale. Enrico Paciaroni L’Associazione viveva allora una fase “pionieristica” alla ricerca, soprattutto, del percorso migliore per “fare le Marche”, concetto sviluppato poi da Giorgio Mangani in un suo libro che porta appunto questo titolo; libro che trae origine anche da intriganti e stimolanti discussioni di quel periodo che si sviluppavano in indimenticabili serate conviviali. Con il passare degli anni l’Associazione si è via via consolidata divenendo un realtà ben definita e trovando ormai una collocazione di tutto rispetto nell’ambito culturale marchigiano. Resta, almeno sul piano personale, ub pò di rimpianto per quegli incontri animati da personaggi di indiscusso valore, alcuni dei quali, purtroppo, per motivi diversi si sono allontanati, speriamo temporaneamente, dalla vita dell’Associazione. A che li ha vissuti quei momenti hanno lasciato comunque un ricco patrimonio di amicizie, di cui, a distanza di tempo, continuiamo ad apprezzare il calore. 55 L’Associazione viveva allora una fase “pionieristica” alla ricerca, soprattutto, del percorso migliore per “fare le Marche”, concetto sviluppato poi da Giorgio Mangani in un suo libro che porta appunto questo titolo; libro che trae origine anche da intriganti e stimolanti discussioni di quel periodo che si sviluppavano in indimenticabili serate conviviali. Con il passare degli anni l’Associazione si è via via consolidata divenendo un realtà ben definita e trovando ormai una collocazione di tutto rispetto nell’ambito culturale marchigiano. Resta, almeno sul piano personale, ub pò di rimpianto per quegli incontri animati da personaggi di indiscusso valore, alcuni dei quali, purtroppo, per motivi diversi si sono allontanati, speriamo temporaneamente, dalla vita dell’Associazione. A che li ha vissuti quei momenti hanno lasciato comunque un ricco patrimonio di amicizie, di cui, a distanza di tempo, continuiamo ad apprezzare il calore. Folco Di Santo Mario Canti mi fa l'onore di chiedermi una opinione sull'esperienza della rivista “Le Cento Città” e comincio con dichiararmi soddisfatto per essere stato tra i molti collaboratori senza aver dovuto sottostare alle noiose pratiche delle riunioni di comitato editoriale o d'altro. Bastò, all'epoca, preannunciare un pezzo del mio libro in gestazione su Osimo (uscirà anni dopo, con il titolo non troppo fantasioso di “giù le mani dagli osimani”) per vedermelo pubblicato sul numero nove del 1998, con il titolo sinistramente feticista “Osimo è bello come l'orma di un bel piede sinistro”; e bastò annunciare che avevo scritto una cosa sulla “società stretta” e sulla Le Cento Città, n. 40 “società larga” nel pensiero asistematico di Giacomo Leopardi per ritrovarla ben impaginata sul numero 12 del 1999. Forse anche qualcosa d'altro di mio sarà uscito, o forse no. Ma già questi due passaggi basterebbero per avere titolo di collaboratore, ancorché saltuario, di una bella rivista che ha il suo posto nella storia del giornalismo marchigiano alla voce meteore passate sul cielo della regione senza essere intercettate dai più, con lo straordinario vantaggio di non aver dovuto subire né il fuoco della contraerea nemica, né quello molto più pericoloso di quella amica. C'è una tradizione tutta marchigiana che ha portato nelle librerie riviste di grande pregio le quali ovviamente non hanno cambiato di niente le traiettorie della vita pubblica locale ma pure hanno ben meritato verso i marchigiani tutti. La prima dell'evo moderno è la rivista di Monaldo Leopardi, “la voce della Ragione” che uscì tra il maggio del 1832 e il dicembre 1835, per i tipi dell'editore Annesio Nobili di Pesaro, e della quale ho scritto parecchio in luoghi fortemente appartati (il meno appartato – si fa per dire – è il quaderno 48 della Associazione Carlo Cattaneo” di Lugano, dove figura un lungo scritto letto a Lugano in occasione di una mostra su Monaldo organizzata nel 1997). Dopo Monaldo, in molti abbiamo tentato di produrre riviste per i marchigiani. Ricordo molto alla rinfusa Nada Peretti e il suo “Picenum” (1921), Enzo Santarelli e le sue “Marche nuove” (1959 – 1961); “il Leopardi” di Valerio Volpini; la “mia” Marche oggi, “Marka”, di Clio Pizzingrilli, “Marche 80” di Luigi Cristini, “il mese” e poi la “Città Regione” entrambe di Adriano Ciaffi; “Residenza” 15°/40° L’anniversario (1980) rivista radiofonica di Franco Scataglini; “Lengua” di Gianni D'Elia, e molto altro ancora, sempre per la serie “...puoi scrivere quanto ti pare, tanto la politica non ti legge e non ti abbada”. Altri scriveranno cose più precise su “Le cento Città”. A me interessava disegnare un percorso, una sorta di fiume che ha portato con se anche chi ha lavorato per “Le Cento Città” garantendone il livello e la continuità. E mi interessava anche dire qualcosa sul valore alto dell'inutilità del tentare nessi improbabili tra la cultura e il lavoro politico. Spero di esserci riuscito, o, almeno, di aver suscitato un poco di curiosità affinché altri ci provi e ci riesca. Mariano Guzzini Le Cento Città non sono solo un'associazione e una rivista ad essa collegata, ma finalmente un modo di guardare alle Marche senza pregiudizi e senza retorica con l'obbiettivo manifesto e dichiarato di cogliere e comunicare la specificità dei luoghi e la peculiarità dei fenomeni. Dietro l'intitolazione gradevole che rimanda ai tanti campanili che costellano la regione, Cento Città ci svela con immediatezza la complessità di questo territorio, nello stesso tempo percepita come svantaggio e come opportunità. Cento Città ci chiama a controllare la vivacità dei luoghi, la temperatura del cambiamento, la consapevolezza popolare del ruolo di segnalazione e conservazione della memoria che ci viene affidato. Sono anni che l'editoria periodica delle Marche subisce gli insulti delle difficoltà economiche. L'impossibilità di garantire la 56 continuità e la regolarità delle uscite, condizioni indispensabili per consentire ad una rivista di radicarsi nel tessuto culturale e di incidere su di esso con efficacia, hanno fatto naufragare molte altre iniziative editoriali. E' dunque un piccolo prodigio poter festeggiare i 15 anni di attività di un periodico che non delude mai per l'originalità degli argomenti, la sorpresa di uno svelamento, la prospettiva volutamente fuori fuoco. Mi piace il piglio appassionato degli autori degli articoli, l'entusiasmo delle scoperte, il tono sommesso dei suggerimenti, l'intelligenza delle proposte. E mi piace non dover analizzare degli articoli possibili dietrologie, sospette appartenenze, occulte ideologie. Vedo solo cittadini sodali che si mettono insieme per guardare alle Marche; li vedo simili a quegli antenati che nei secoli passati si consorziavano per costruire un teatro, sempre alla ricerca di uno stimolo culturale nuovo, di uno spunto di riflessione inedito, di un punto di vista non banale, di un risultato intellettuale non scontato. La divulgazione - che non è banalizzazione - può prendere le sembianze di una condivisione di piccoli segreti: una stradina muschiata, un artista dimenticato, una collezione d'arte privata, un paesaggio aperto su prospettive inusuali. Rappresentano le Marche senza retorica: una terra in cui ancora pochi anni fa gli artigiani erano detti artisti. Loretta Mozzoni Sull’aia di una casa di campagna, bella come sono belle le case di campagna delle Marche, dopo un pranzo squisito e la piacevole compagnia degli amici dell’Associazione Le Cento Città, Le Cento Città, n. 40 recito poesie di Mario Affede, di Alfonso Leopardi, di Quinto De Martella, robusti poeti dialettali maceratesi. Lì davanti passano, divertiti, i coniugi Canti Polichetti, il Prof. Danieli, Alberto Pellegrino…. e tanti altri. Prima del pranzo, ancora una volta, si è parlato delle Marche: delle sue straordinarie risorse, dei suoi costanti problemi. Quando penso a Le Cento Città sono queste l’immagine e l’atmosfera che mi vengono in mente. Una convivialità calda e intelligente che favorisce relazioni e confronti, senza mai legare le une e le altre a finalità precise, ad interessi politici o immediatamente amministrativi. Una vita associativa significativa che, tra l’altro, ha avuto il pregio di editare, in 15 anni e per 40 numeri, una rivista molto importante per le Marche, che costituisce un prezioso contributo per chi ama la nostra regione e per chi vuole superarne le tante separazioni così da delinearne una forte identità unitaria. Quante “riviste” ho visto nascere e finire! E a quante ho collaborato. L’entusiasmo iniziale, poi la stanchezza, la riduzione del numero dei collaboratori ed infine l’epilogo. Quindi non posso far altro che sottolineare, oltre alla qualità, come ho già fatto, anche la durata nel tempo ed i numerosi numeri della rivista, senza dimenticare che la stessa vive di un mecenatismo intelligente dei privati senza pesare minimamente sul danaro pubblico. Dice Piovene: “Il marchigiano è un forte lavoratore, senza eccessi, perché preferisce una vita parca; è intelligente fino alla sottigliezza, d’un intelligenza ironica…” Non sono forse questi i marchigiani de “Le cento città”? Auguri per i 15 anni e per i 40 numeri! Renato Pasqualetti