RIVISTA D'ARTE E DI CULTURA I 13 SENTIMENTALISMO RACCONTO Dl GUERRA DI SIGIS CANCELLIERE DA. LE FACCE 313UII.4 A. NOSTRA ANIMA. VOLUME DI NOVELLE DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE En arnour la fernme est ~pile une lyre qui ne livre ses secrets qu'à celui qui en sai/ bien jouer M. MAETEItLINCK « Desidera ella vedermi, conoscermi ? lo si, tanto, e le sarò grata. Appagherà il mio desiderio ? Mi dica a che ora arriva e per quale linea; io verrò a riceverla alla stazione ». Il giovane ufficiale lesse il foglietto roseo « profumato; lo spiegò, ma, ancora incerto, lo riapri, fissando quelle righe brevi e concise, tanto brevi nella sua mente, confusa da un nuovo risveglio, avvenuto in lui, in presenza dei luoghi ubertosi, cari alla sua infanzia. Era in una villa civettucrda della Puglia, tra un fiorire di giovinezza gagliarda e di Vegetazione lussureggiante. Nel natio nido, reminiscenze infantili e' soavi ricordi ;li ristoravano la mente e sentiva una brezza fine del passato nelle sue più semplici ed ingenue boccate. Orfano di genitori, al cominciare dei vent'anni, era stato strappato dalla sua terra vineata, dalla casina linda e b i anca dall'ultimo lembo del suo romanzo di affetti. E poi, sotto la divisa di sottotenente di fanteria, era votato lassù, sul Cadore, sotto aspri macigni e cime irte, quali pruni di macchia in una boscaglia. Sedici mesi lo. avevano tenuto, là, fra i pericoli diuturni, fra le peripezie di un'ascensione sul nevaio, sotto il crepitare di mitragliatrici o fra il rombar di valanghe. Eppure si sentiva l'anima legata da un affetto intenso ed infinito verso i superiori e gli inferiori, presso i quali accomunava gli istinti. Aveva pianto innanzi all'agonia di un soldato del suo plotone ; una volta aveva ammazzato col calcio del moschetto un cadetto austriaco che, ribelle alla resa, gli aveva scaricato addosso la propria pistola. Era vissuto da selvaggio ed imprecava spesso con i suoi scatti di nervi, in preda ad un forte spasimo che gli fasciava l'anima di una tristezza indefinibile. In un'ora vespertina di settembre, dormiva nella sua caverna, gocciolante dì fango, in « « • « cui rigurgitavano nidiate di topi lucidi e bigi. Nel sacco di pelo snervante si era assopito nella dolcezza di un sonno di bimbo. Una chiamata le aveva fatto balzare dal suo lettuccio da campo. — Che co3a c'è? — Aveva borbottato, subito, quasi atterrito. — La vuole il signor Maggiore — aveva subito, risposto. in posizione di attenti, un s ildatino biondo ed imberbe a cui lo svegliare dell'ufficiale e gli occhi d'investigazione, fissi sui suoi bellissimi, avevano fatto incutere timore. — Sparano ? — aveva replicato, dopo una pausa, nella quale aveva cercato di risolvere il mativo della chiamata. — Signor no ! Dopo cinque minuti si vestì. Lungo il camminamento profondo e coperto incontrò il suo Maggiore, giovane e titolato, con la sua pipetta all'inglese. — Comandi, signor Maggiore. — Oli, caro Tollemeto !• Le comunico il fonogramma del Comando d'Armata, che le concede sei giorni di licenza, eccettuati quelli del viaggio, per Lecce, allo scopo di sistemare urgenti affari di, famiglia in occasione della morte del suo unico zio, avvenuta or sono due mesi. Con ciò accompagnò 12 parole attraverso un risolino simpatico e un compiacimento sincero. — Devo partire subito, signor Maggiore? esclamò in un'ondata di viva emozione e di palpito nuovo. — Subito e si diverta tanto. Gli porse la mano. Ed era subito partito, incosciente e quasi ottuso della notizia di partenza. In Italia? A casa ? A casa ? Fuori del tiro delle granate e della fucileria ? ma era pro. prio vero? Il sottotenente Renato Tollemeto non era prediletto dal destino ; si era ripetuto sovente pensando agli effetti di questo mondo. Nulla gli era rimasto che solo un frugonne, di sorellina, affidata alle cure di alcune zie, zitellone, ed un pò di sua vita la quale, dopo i primi attacchi sulle pen- !III TJ11111H-1111111111111-111111r1111111111T111111111.11111111151111111171111111111-1111l1111llillI 4 dici del Col-di Lana, aveva finito col vavalorizzare alla stregua di una pagnotta ammuffita. In un giorno di maggio, in un paese del confine, dove era in riposo il suo battaglione, avendo in uggia l'andazzo monotono della vita che conduceva, gli era venuto il desiderio di ricorrere ad una persona, anche sconosciuta, che gli valesse di conforto e di sorriso. Sapeva, infatti, che alcuni compagni di armi, garruli e belli giovani, erano in continua corrispondenza con molte signorine nobili, le quali quotidianamente scrivevano dall'Italia lettere piene di espressione di fine femminilità. Trovavasi presente, anche, alle risate che, qualche volta, avevano come epilogo nel pagamento, a mo' di multa, di due bottiglie di sciampagna, a mensa. Aveva, molte volte, riso alle letture di foglietti soffusi di sentimentalità e di entusiasmo, ed una brama forte, quasi tormentosa lo circuiva, perchè picchiasse anche lui alle porte del bizzarro Caso. Armatosi di decisione, vergò una cartolina militare e la mandò alla Direzione di un giornale illustrato di Roma. Aveva Invocato l'aiuto di uno spirito verso il quale lode e tenerezze disposto aveva l'animo suo vagante. . Aveva atteso una sattimana, poi due, e nulla s'era rivelato di fronte alla sua anima. Una sera, era improvvisamente venuto l'or. dine di marciare per le trincee avanzate del settore di Quaterna. Il solito comando reciso dei superiori, il viavai dei soldati negli accantonamenti, messi a soqquadro per l'improvvisa partenza, il continuo vociare. dei soldati di truppa, interrotto da comandi secchi e frettolosi, in• tenti a far l'appello dei propri dipendenti ; la confusione dei dialetti che, nel vigore dell'accent,-, echeggiava quasi sinistra, tenevano sospesi tutti, ufficiali e truppa. Si sussurrava che si andava di rincalzo all t prima linea, che si doveva attaccare con gli alpini, da alcuni, che si andava a dare il cambio alle truppe operanti. Qualche soldato cantava una canzone compresa da una nenia molto triste, un altro, sul libretto personale, arruffava alcuni scritti attraverso una cartolina in franchigia, un terzo divorava il resto di una pagnotta. Renato Tollemento riceveva nella mensa una lettera che eccitò un tenente bolognese ad esclamare un « oh » che rivelava meraviglia e curìosità. Il timbro postale portava il nome di una cittadina della Lombardia. Fu preso dalla ll l i llill 1 11 111111 1 ill i I l lil EDE voglia di aprire, di leggere la firma ed ii contenuto. Ma la pose in tasca con un sospiro di rassegnazione mormorando fra i denti stretti : « Ho commesso, ormai, la corbelleria ». Mezz'ora dopo, fu dato l'ordine di partire. La compagnia di testa doveva essere quella alla quale apparteneva Renato. Dal suo capitano, un giovine simpaticissimo, ma ligio agli ordini, ebbe l'incarico di riunire la truppa in formazione di marcia. L'ordine fu macchinale. La compagnia si riunì nel massimo silenzio ; gli uomini incolonnati, armati fino ai denti, fissavano quel giovine Ufficiale immerso nel proprio soliloquio, che passava distrattamente attraverso le file mormorando ; « Che cosa mi avrà scritto ? Chi sarà ? Mi avrà chiamato imbecille ? » Annotavi. La luna candida illuminava quei visi terrei ed impavidi, rassicurando il loro sguardo ed il loro pensiero che sarebbe stato guida fedele nell'aspra marcia notturna. Qualche vecchio passante appariva accanto alle file gagliarde, percuotendo cm le scarpe chiodate la strada bianca. Una voce infantile incitò, con parola in accento canorino, il procedere avanti di una capra restia dalle poppe turgine. • Un soldato usci dalle file e spontaneamente spinse la capra per i fianchi ; il fanciulletto, rosso in faccia, come una rosa, sorridente grato, schioccò la lingua e poi gridò nell'augurale saluto montanino : « Sani, sani ». Passò poi una colonna di muli, carichi di marmitte da campo, di sacchi di pane, casse, cassette, bagagli zaini, materiale sanitario e coperte. Qualche frizzo venne lanciato dalla truppa, qualche voce gutturale ed arguta rispose dalla colonna. Giunse il capitano con il moschetto' a tracolla, seguito dagli altri subalterni. La compagnia si pose subito in marcia, poi altre compagnie, poi carri, poi carrette. La luna si nascose; il paese ricadde in un silenzio di ghiacciaio. Quella notte, agli avamposti non potè dormire ; si sentiva il cuore stretto, e la testa grave. La nuova posizione, a due centinaia di metri da quella nemica, non era tanto rafforzata, calcolato che molte volte s'era dovuta abbandonare per ordine degli alti comandi. Tutti gli uomini, intelligenti e consapevoli della situazione, esplicavano una risolufa vigilanza. i o li uifi Wr:1!II!IIIMItilig111111111111.11114111111111.111111111i111111111E11111111M11111111l11111111W • ."111101111""rr RIVISTA D'ARTE E DI CULTURA In una barraccaccia, improvvista sul rovescio di un piccolo « mamelon », egli teneva aperta fra le mani una lettera elegantissima ed odorosa. La lettera diceva : « Non le dico la mia storia, nè desidero « sapere la sua. Ho diciotto anni, sono « orfana come lei ed insegno a bambini « belli e buoni ; durante le ora libere mi « sforzo di essere confortatrice delle mamme « prive dei cari lontani, c.,mbattenti sulle sanguinose trincee. « Ho attinto il suo nome dal giornale « La Tri':una » di Roma ed ho pensato « che ella ha bisogno di conforto. E le of« fro, di cuore, il mio conforto. Spero che « esso sarà il più forte viatico di guerra « e quel magico liquore che anima e sor« regge contro ogni ostacolo, in ogni de« bolezza, in ogni imprecazione, in ogni « lacrima. Accetta ? Rita Speri ». Rita Speri ? Quale soffio di riproduzione divina gli aveva m Andato incontro codesta creatura ? Larva incognita di femminilità, la di cui forma umana e leggiadra intravedeva fra i suoi sogni notturni di turbato riposo ? Chi era codesta creatura che, in un inno alla bellezza ed all'idea di fratellanza, offriva il suo spirito, la sua lieta tenerezza, il suo schietto sorriso ? Era l'incarnazione della femmina o la riproduzione della grazia ? — Benedico le sue mani, che hanno saputo scrivere una lettera ed operare un miracolo. Non la conosco, perchè tante sono le vie che il mio spirito randagio attraversa e tante sono le forme umane che gironzano intorno. Ma io avrò dovuto conoscerla, chissà in quale svolta del destino, quando forse i nostri occhi si annodarono. lo sono il viandante incognito in cerca della strada che lo conduca al suo destino. Raccolga le mie laudi ed i miei pensieri e con la facilità con la quale induce Lei a venirmi incontro, mi additi il vero cammino e mi renda meno ardua la ricerca della vera strada. Vi è tanto bisogno di sole, quassù ! ». Le lettere divennero copiose, diuturne. Per ambedue gli spiriti incogniti si concluse come una convenzione di promessa e la corrispondenza quotidiana, necessaria come il pane; cominciò a tenere arsa la fiamma del destino. Egli si sentiva felice. Rileggeva sempre tutte le lettere curate ed unite cronologicamente, e quando, in qualche notte che era d'ispezione, ritornava assiderato dai posti avanzati, un gocciolino di cognac e la lettura di un foglietto lo empivano di speranza e di vita, Ttg Un giorno si commosse. Ella scriveva : « Ieri sera, mentre stavo alla finestra ad « ammirare la campagna illuminata da un « plenilunio meraviglioso, pensavo che cosa • avrei potuto dirle. E siccome le fa pia« cere che io le scriva di me e della mia « piccola vita, l'accontento inviandole una • filippica di inutilità : « Sono seduta in cattedra comodamente « ed aspetto che vengano i bambini ad « iscriversi. Dalle ampie finestre della bell'aula, entra a ondate la nebbia, che non è nè fredda nè noiosa, perchè nasconde « un bel cielo turchino e prelude ad una « giornata tiepida e bella. « Presso il foglietto su cui scrivo, è un bicchiere con dei ciclamini di un tenue color di rosa, che mi allieta lo spirito. lo sono pazza per i fiori e sono sempre in cerca di questi; alla mia bidella ho fatto cavar fuori i vasi e vasetti che possiede « per riempirli di edera, rami verdi di quer« cia, ciclamini e certi fiori speciali, bellis« cimi di montagna, il cui nome ignoro. « giardino è ora spoglio per la cattiveria di « di una grandine orribile che fu una devastazione ; bisogna, quindi, contentarsi di fiori di bosco. Mi fanno piacere, come le dissi l'altra volta, le sue lettere e vo« lentieri le rispondo ; la regolarità con cui ogni giorno, o quasi, mi giunge il suo saluto, non permettono che io la dimentichi. Mi pare, però, di avere un certo rimorso per essere madrina. Ed io compatisco lei che si è imbattuto in una fanciullona come me, che si diverte a canticchiare continuamente o più o meno barbaramente, che salta, che corre, che grida, che si bea a far tintinnare un mazzo di chiavi, per sentirne il suono vario e metallico, che, dopo aver allettato un branco di galline ed aver dato loro del cibo, si diverte a correre in mezzo a loro, per avere la gioia di vederle fuggire e star« nazzare. « — E lei esclamerà con dolore : Dio, « che bambina è questa ! « A volte mi hanno dato quindici anni « me ne sono quasi adontata; sono corsa « allo specchio per constatare se la mia faccia non fosse davvero così giovane e biricchina... Ora ho tanto , desiderio di andare in cerca di funghi, ma, preventivamente, compiango chi mi accompagnerà; « credo che stordirò la comitiva per i gridi « di gioia che farò ogni volta che vedrò « occhieggiare un ovolo o un bruno porcino. « Perdoni le sciocchiezze, ma lei, che vuole che scriva, me le fa dire... Faccio ';'-iiirilalWiiirl'Ilill11111111111,,111111111M1111H1f1111111111111111111P1111111U1111111[TIWIIIIIT11111111In1211111HI1IIII1ITIIIIIII1Irill1111f11-1111111(I11111 721 116 FEDE la segretaria a povere Benne che hanno i mariti richiamati e mi ingegno- 'li mandare all'assente tutto l'effetto, la nostalgia, il desiderio, il conforto delle buone mogli, che, fidenti, aspettano il ritorno dei loro cari. E tutte queste poverette mi affidano « i loro affanni, le loro ansie, i loro segreti « ed io mi domando quale fiducia possa ispirare la mia età, il mio viso Ed io « cerco di confortare e di inneggiare alla « speranza e alla vita ». (Continua) Lf9 C1105TRR 019RTE IN LECCE t" In quest'ora di risveglio per ridonare alla nostra terra il suo degno posto storico fra le provincie d'Italia, una mostra d'arte puramenta salentina è un gran passo nella marcia del nostro progresso ed un'affermazione decisa del genio della nostra razza, che non poteva e non d )v, va rest tre ancora offuscato per involontaria, ma deplorevole, indolenza dei vecchi dirigenti. Salve, o Pietro Marti, suscitatore di nobili entusiasmi, di coraggiose iniziative: salvete, o componenti il Comitato della mostra, uomini eletti per ingegno e valore professionale, più di quanto il dimostri la modestia dei vostro carattere. Mentre s'iniziano i lavori per assicurare il successo della mostra, permettete che io, ultimo fra i cultori dell'arte, esprima un pensiero, colla speranza che t-y ssa prendersi in considerazione dall'on. Comitato. Ordinariamente, le mostre internazionali, n, per così dire, metropolitane, hanno, secondo me, più tosto scopo di emulazione e di affermazione di valori personali e, quindi, carattere di fiere artististiche. Le mostre regionali invece, mi pare che debbano avere un carattere più nobile, in quanto che possano mettere in evidenza, non tanto il a lore di singoli artisti, ma l'esponente del genio e della cultura d'un popolo. Perchè quei grandi maestri, che sono i principi dell'arte, nulla hanno da guadagnare, lavorando per una mostra di provincia ; chè, se una di queste mostre dovesse contenere solo opere di quei sommi, forse verrebbe a mancare l'importanza o affatto lo scopo. lo credo di non ingannarmi se penso che i più della classe intellettuale vogliano conoscere, non solo lo sviluppo delle nostre industrie ornamentali e della maestria dei viventi artisti, abbiano o non abbiano titoli accademici, ma anche conoscere tanti e tanti tesiiri d'arte antica, produzione genuina del genio salentino, sia nel campo della pittura, che della scultura, della figulina che della glittica e dell'arte fabrile o tessile, di lavori in conchiglie e midolla di alberi e cartapesta e ceramica ecc. Tesori sconosciuti, ma esistenti nelle antiche famiglie, nei monasteri, nelle chiese ; tesori, che messi in luce, potrebbero apportare nuove bellezze e insegnamenti all'arte nuova, non solamente nell'estetica, ma anche nella tecnica. In questa promessa mostra, dunque, debbono entrare il Giotto pecoraio ; il prodotto di oggi e quelio di secoli passati. In essa, oltre a mettersi in evidenza il genio e il progresso artistico del Salento, vorremmo una prova tangibile di quella secolare civiltà leccese, che tanto sviluppo ebbe durante la Contea e del lustro e della signorilità del patriziato salentino dal i600 al i800, promotore di arte e di scienza ; fautore di filantropia e religione : che, sebbene avversato dalla demagogia, resta nella storia pietra di paragone di virtù cittadina e di buon costume. Arricchita cosi la prossima mostra d'arte in Lecce, sarà un'altra pratica rievocazione di bellezza e di magnificenza a conferma di un'altra spirituale evocazione di bellezza e di gloria della ntstra gente, testè degnamente pensata e scritta da Pietro Marti Leeerano. 25 febbraio 1924. Gustavo Perrone (i) II prof. Marti e i componenti il Comitato ringraziano il benemerito colonnello Perrone, e si augurano che il Salento senta, una buona volta, l'orgoglio del suo passato e la necessità di aprirsi nove vie incontro all'avvenire, La Provincia, la Camera di Commercio, i Comuni, i privati escano dalla tradizionale ignavia e non si mostrino solamente solleciti di contribuire a ciò che deve risolversi in utile morale e materiale d'altre regioni.