Trib. Cuneo 16.4.2014
Data: 13.8.2014 8.03.20
FULL ACCOUNTIG
S.P.A
SistemaIntegrato
Trib. Cuneo 16.4.2014
[Omissis]
MOTIVAZIONE
Tratti a giudizio per rispondere dei reati ascritti gli imputati, regolarmente citati, non
comparivano all'udienza "filtro" dell'11.06.2012 per cui ne veniva dichiarata la contumacia. In
detta udienza il Giudice dichiarava aperto il dibattimento e ammetteva le prove richieste dalle
parti in quanto ritenute opportune e conferenti.
All'udienza dello 08.01.2013 il Giudice disponeva procedersi alle audizioni dei testimoni.
Il teste Capitano G.D., all'epoca dei fatti in servizio presso la Tenenza della Guardia di Finanza
di Mondovì (CN), dichiarava di avere svolto attività di sovrintendenza a quella svolta dal
Maresciallo G.S. in servizio presso la medesima Tenenza. Riferiva il teste che, nello specifico,
trattavasi di attività d'indagine volta a verificare la sussistenza di eventuali condotte previste
dalla normativa antiriciclaggio. In particolare G.D.
esponeva come tale signora F. si fosse recata presso filiali di diversi istituti di credito correnti in
Ceva (CN), Carrù (CN) e Mondovì (CN) operando su depositi bancari vincolati a esecuzioni
immobiliari pendenti davanti al Tribunale di Mondovì, depositi disponibili unicamente dal
delegato del detto Tribunale, notaio P.G. I dipendenti delle diverse filiali bancarie quindi, con il
loro operare, avrebbero disatteso gli obblighi d'identificazione della persona presentatasi allo
sportello non verificando se F. agisse in virtù di valida delega rilasciata dal detto notaio.
Il teste Maresciallo G.S., anch'egli all'epoca dei fatti in servizio presso la Tenenza della Guardia
di Finanza di Mondovì (CN), dichiarava che l'attività d'indagine aveva origine da altro
procedimento penale dal quale sarebbe risultato che, relativamente a una serie di operazioni
bancarie, poste in essere su dei rapporti di conto intestati al notaio P.G., la reale fruitrice del
servizio, priva di delega, fosse F. G. sua segretaria. Le diverse operazioni, ritenute comunque
non delegabili perché riguardanti libretti di deposito relativi a esecuzioni immobiliari, risultavano
da tabulati forniti, su specifica richiesta, da ciascun istituto di credito in cui ogni singolo
operatore allo sportello veniva identificato univocamente tramite un codice assegnatogli in
precedenza. I dati così raccolti vennero fatti oggetto, da parte della Guardia di Finanza, di un
documento rielaborato in cui risultavano le singole operazioni e il loro collegamento
all'operatore di ciascuna banca.
Il teste P.G., notaio, confermava che F.G. lo coadiuvava, dietro compenso forfettario, nello
svolgimento delle pratiche relative alle esecuzioni immobiliari. Gli unici incarichi espressamente
delegati alla predetta F. erano quelli di depositare in banca le somme di denaro derivanti dalle
procedure esecutive al fine di aprire relativi libretti di deposito. Il teste dichiarava di non avere
mai autorizzato, tramite deleghe scritte od orali, alcun prelevamento né di avere mai ratificato
operazioni diverse da quelle espressamente delegate alla collaboratrice. Egli, infine,
confermava, di non essersi abitualmente recato presso il Banco di Credito A., il Banco A.M. e la
Banca C. per prelevare somme ed estinguere i libretti in essere relativi alle dette procedure
esecutive.
Sia la difesa degli imputati che il P.M. producevano documentazione.
All'udienza del 20 maggio 2013, previa revoca della contumacia dell'imputato R. G., presente in
aula, le parti, preliminarmente, attesa la modifica del Giudice, dichiaravano di accettare come
validi gli atti sino ad allora compiuti dal precedente magistrato.
Il teste R.L., direttore della Filiale di Mondovì (CN) della Banca [Omissis] dal [Omissis] al
[Omissis], dichiarava che alcuni degli imputati erano dipendenti del predetto istituto bancario.
Circa l'applicazione, nella filiale di competenza e relativamente ai rapporti afferenti le procedure
esecutive immobiliari, della normativa antiriciclaggio, il teste riferiva che il notaio P.G., così
come F.B., erano persone note e regolarmente identificate e censite nell'anagrafe generale
della banca. Ciò, a detta del teste, era sufficiente in quanto i rapporti erano relativi alla pubblica
amministrazione senza alcun rischio di riciclaggio.
Il teste R.P., direttore della Filiale di Mondovì (CN) della Banca [Omissis] dal [Omissis] al
[Omissis], dichiarava che, in relazione agli obblighi antiriciclaggio, in caso di apertura di libretti,
di rapporti continuativi e in caso di versamenti di contante superiore ai cinquemila euro, presso
la filiale si accertava l'identità della persona che si presentava allo sportello. Da quel momento
il soggetto era censito. Nel caso di specie il notaio P.G. e F.B. erano regolarmente identificati e
censiti. Riferiva, infine, il teste che l'imputato R. G., all'epoca dei fatti, non apparteneva al
personale della filiale da lui diretta ma era dipendente della C.R.S. S.p.a., presente in filiale a
causa di un progetto della capogruppo Banca C.
Il teste F.O., responsabile dal 2001 della filiale di Mondovì Breo (CN) della [Omissis], dichiarava
che, in applicazione della normativa antiriciclaggio, la filiale provvedeva all'identificazione del
cliente all'atto dell'apertura di un rapporto continuativo o in presenza di operazioni occasionali
di determinato importo. Nel caso di specie il notaio P.G. risultava regolarmente iscritto
nell'anagrafe generale della banca e aveva posto in essere rapporti continuativi tramite
l'accensione di libretti bancari intestati al Tribunale di Mondovì.
Il teste O.F., direttore della filiale di Villanova di Mondovì (CN) del [Omissis]dal [Omissis]a
[Omissis], riferiva, in ordine all'applicazione della normativa antiriciclaggio da parte dell'istituto
bancario di cui è dipendente, che si provvedeva alle verifiche personali del cliente allorquando si
instaurava un rapporto di tipo continuativo o in caso di operazioni occasionali di importo
determinato. Nel caso di specie P.G. e F.B. risultavano regolarmente iscritti nell'anagrafe
generale della banca in quanto clienti, a titolo personale, da anni. Inoltre, poiché la provenienza
delle somme depositate nei libretti intestati al Tribunale di Mondovì erano evidentemente
riferibili a una pubblica amministrazione non si ritenne provvedere a verifica.
L'imputato R. G. riferiva che egli, il 14 novembre 2008, ebbe a effettuare, come operatore
bancario, presso lo sportello della filiale di Mondovì della Banca C., le operazioni di cui al capo
d'imputazione sub K). Egli era dipendente della C.R.S. S.p.a. ed era stato distaccato per quel
giorno dalla propria filiale di Fossano (CN) a quella monregalese della capogruppo genovese.
Ciò al fine di apprendere l'uso di un sistema informatico a lui ignoto e poterlo, a sua volta,
utilizzare in filiali recentemente acquisite dalla capogruppo in Umbria. L'attività
d'apprendimento era costantemente affiancata da colleghi esperti e l'imputato non ebbe alcun
contatto con i clienti della filiale.
L'imputato poneva in evidenza come lui si fosse limitato a operare tecnicamente senza
provvedere all'identificazione del singolo cliente. Ciò risulterebbe anche dalle distinte delle
operazioni per cui è processo che non furono da lui siglate. Il Pubblico Ministero depositava fogli
riassuntivi, forniti dalla Banca C. S.p.a., dei movimenti contabili effettuati sui depositi a
risparmio oggetto d'indagine e, di seguito a ciascuno di essi, le evidenze informatiche da cui
risultavano le matricole dei diversi operatori.
All'udienza del 29 novembre 2013 il Giudice, in accoglimento d'istanza formulata dal Pubblico
Ministero, ai sensi e per gli effetti dell'art. 507 c.p.p., disponeva che la Banca A. M. e il Banco
A. S.p.a., relativamente alle posizioni dei propri, rispettivi, dipendenti, imputati nel processo,
trasmettessero al Tribunale di Mondovì copie delle distinte e relative registrazioni afferenti alle
operazioni di cui agli allegati richiamati nel decreto di citazione a giudizio.
All'udienza del 9 aprile 2014, verificata l'avvenuta trasmissione al Tribunale della
documentazione sopra indicata, previo deposito da parte della difesa di R. G. di memoria
difensiva, il Giudice invitava le parti a concludere.
Il Pubblico Ministero, dando lettura di conclusioni scritte, che depositava, e le difese degli
imputati concludevano come in epigrafe.
All'udienza del 16 aprile 2014 il Pubblico Ministero replicava, dando lettura di repliche scritte,
che depositava. In detta udienza replicava, per i propri assistiti, l'avv. G.N.
Alla stregua delle risultanze dibattimentali il fatto non sussiste.
Ciò in quanto:
A. Il capo d'imputazione.
Gli imputati sono stati citati in giudizio in quanto, in tempi e luoghi parzialmente diversi,
avrebbero, quali operatori bancari, ai sensi dell'art. 55 del Decreto Legislativo 21 novembre
2007, n. 231 costituente attuazione della Direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione
dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di
finanziamento del terrorismo nonché della Direttiva 2006/70/CE che ne reca misure di
esecuzione, contravvenuto alle disposizioni contenute nel Titolo II, Capo I del medesimo
Decreto Legislativo concernenti l'obbligo di identificazione.
Gli obblighi di adeguata verifica della clientela da parte degli intermediari finanziari e dagli altri
soggetti esercenti attività finanziaria trovano origine dall'articolo 15 del testé citato Decreto
Legislativo il quale, nel primo comma, recita: "Gli intermediari finanziari e gli altri soggetti
esercenti attività finanziaria di cui all'articolo 11 osservano gli obblighi di adeguata verifica della
clientela in relazione ai rapporti e alle operazioni inerenti allo svolgimento dell'attività
istituzionale o professionale degli stessi ed, in particolare, nei seguenti casi:
a) quando instaurano un rapporto continuativo;
b) quando eseguono operazioni occasionali, disposte dai clienti che comportino la trasmissione
o la movimentazione di mezzi di pagamento di importo pari o superiore a 15.000 euro,
indipendentemente dal fatto che siano effettuate con una operazione unica o con più operazioni
che appaiono collegate o frazionate;
c) quando vi è sospetto di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo, indipendentemente da
qualsiasi deroga, esenzione o soglia applicabile;
d) quando vi sono dubbi sulla veridicità o sull'adeguatezza dei dati precedentemente ottenuti ai
fini dell'identificazione di un cliente".
B.1. Il reato di riciclaggio e la sua prevenzione (normativa di riferimento).
Una volta indicati, in modo sommario e salve le precisazioni che seguiranno, gli articoli di legge
che si assumono come violati occorre esaminare come dette disposizioni si inquadrino in un
contesto normativo più ampio. L'art. 648 bis c.p. fornisce la definizione del delitto di riciclaggio.
Il Decreto Legislativo 21 novembre 2007, n. 231 costituisce, come riportato dal titolo,
l'attuazione della Direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell'utilizzo del sistema
finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del
terrorismo.
Per evidenti ragioni, attesa la natura dei fatti contestati, così come emersa nel corso
dell'istruttoria dibattimentale, si escluderà nella trattazione ogni riferimento al finanziamento
del terrorismo.
La Direttiva 2005/60/CE partendo dal presupposto che "flussi ingenti di denaro proveniente da
attività criminose possono danneggiare la stabilità e la reputazione del settore finanziario e
minacciare il mercato unico" giunge alla conclusione che "oltre ad affrontare il problema con gli
strumenti di diritto penale, si possono ottenere risultati con un impegno di prevenzione a livello
del sistema finanziario". L'attività di prevenzione del reato di riciclaggio dei proventi di attività
criminose tramite l'uso del sistema finanziario si attua prevedendo che "gli enti e le persone
soggette alla presente direttiva dovrebbero, in conformità con la presente direttiva, identificare
e verificare l'identità del titolare effettivo" e, al contempo, "per evitare il ripetersi delle
procedure d'identificazione dei clienti, che sarebbe fonte di ritardi e di inefficienze nelle
transazioni, è opportuno consentire che vengano accettati clienti la cui identificazione sia già
stata realizzata altrove, fatte salve garanzie adeguate". Da quanto sopra riportato si evince
come la Direttiva Comunitaria in esame abbia come scopo la prevenzione dell'uso del sistema
finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose. Essa Direttiva nel primo
comma dell'articolo 39 prevede che "gli Stati membri assicurano che le persone fisiche e
giuridiche soggette alla presente direttiva possano essere chiamate a rispondere delle violazioni
delle disposizioni nazionali adottate in attuazione della presente direttiva. Le sanzioni devono
essere effettive, proporzionate e dissuasive". L'articolo 55 del Decreto Legislativo 21 novembre
2007, n. 231 costituisce, fuori di dubbio, un'attuazione e specificazione di detto, auspicato,
sistema sanzionatorio volto, si noti, non a colpire una determinata condotta "in se" ( il mancato
adempimento dell'obbligo di verifica) ma destinata a sanzionare una omissione di un
comportamento (la mancata prevenzione del riciclaggio tramite il mancato adempimento
dell'obbligo di verifica) teleologicamente individuato, indirizzato e previsto. In altri termini la
doverosità del comportamento di verifica, così come risulta dalla Direttiva europea più volte
citata, deve essere indissolubilmente legato alla effettiva prevenzione del reato di riciclaggio di
denaro, attività denotata, come si è visto, da una serie di operazioni volte a fornire parvenza
lecita a capitali la cui provenienza è in realtà, illecita, rendendone così più difficile
l'identificazione e il successivo eventuale recupero.
B.2. Il reato di riciclaggio e la sua prevenzione (obblighi di adeguata verifica della clientela).
Requisito imprescindibile, per il raggiungimento dello scopo cui tende la normativa in esame, è
un obbligo, a carico degli intermediari finanziari, di adeguata verifica della clientela la quale, ai
sensi dell'art. 18 del Decreto Legislativo 21.11.2007, n. 231, si specifica nell'attività di:
a) identificare il cliente e verificarne l'identità sulla base di documenti, dati o informazioni
ottenuti da una fonte affidabile e indipendente;
b) identificare l'eventuale titolare effettivo e verificarne l'identità;
c) ottenere informazioni sullo scopo e sulla natura prevista del rapporto continuativo o della
prestazione professionale;
d) svolgere un controllo costante nel corso del rapporto continuativo o della prestazione
professionale.
Le modalità di adempimento dei detti obblighi sono indicate nell'articolo 19 del Decreto
Legislativo 21.11.2007, n. 231 e consistono, sinteticamente, in:
a) identificazione e verifica dell'identità del cliente e del titolare effettivo svolta, in presenza del
cliente, anche attraverso propri dipendenti o collaboratori, mediante un documento d'identità
non scaduto, tra quelli di cui all'allegato tecnico, prima dell'instaurazione del rapporto
continuativo o al momento in cui è conferito l'incarico di svolgere una prestazione professionale
o dell'esecuzione dell'operazione;
b) identificazione e la verifica dell'identità del titolare effettivo effettuata contestualmente
all'identificazione del cliente;
c) controllo costante nel corso del rapporto continuativo o della prestazione professionale
attuato analizzando le transazioni concluse durante tutta la durata di tale rapporto in modo da
verificare che tali transazioni siano compatibili con la conoscenza che l'ente o la persona tenuta
all'identificazione hanno del proprio cliente, delle sue attività commerciali e del suo profilo di
rischio, avendo riguardo, se necessario, all'origine dei fondi e tenendo aggiornati i documenti, i
dati o le informazioni detenute.
B.2.1. Il reato di riciclaggio e la sua prevenzione nei confronti di autorità pubbliche nazionali
(obblighi semplificati di adeguata verifica della clientela).
Il Decreto Legislativo 21 novembre 2007, n. 231, come sopra anticipato, risulta attuativo anche
della Direttiva 2006/70/CE recante misure di esecuzione della direttiva 2005/60/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda, tra l'altro, criteri tecnici per le
procedure semplificate di adeguata verifica della clientela.
In detta Direttiva 2006/70/CE si legge come " le autorità pubbliche nazionali sono considerate
generalmente come clienti a basso rischio all'interno del loro Stato membro e, conformemente
alla direttiva 2005/60/CE, possono essere soggette a procedure semplificate di adeguata
verifica della clientela".
L'articolo 3, comma primo, della Direttiva 2006/70/CE prevede, tra l'altro che, "ai fini dell'art.
11, paragrafo 2, della direttiva 2005/60/CE, gli Stati membri possono, fatto salvo il paragrafo 4
del presente articolo, considerare come clienti che presentano un basso rischio di riciclaggio dei
proventi di attività criminose o di finanziamento del terrorismo le autorità pubbliche o gli
organismi pubblici che soddisfano tutti i criteri seguenti (omissis)".
La norma domestica attuativa di quanto sopra è quella contenuta nell'art. 25 del Decreto
Legislativo 21 novembre 2007, n. 231 che, al terzo comma dispone che " l'identificazione e la
verifica non sono richieste se il cliente è un ufficio della pubblica amministrazione ovvero una
istituzione o un organismo che svolge funzioni pubbliche conformemente al trattato sull'Unione
europea, ai trattati sulle Comunità europee o al diritto comunitario derivato".
C. Il fatto.
Dalla copiosa documentazione in atti risulta che:
C.1. Sull'elenco delle operazioni stilato dalla Guardia di Finanza.
La Guardia di Finanza, con attività di estrapolazione di dati, ha individuato operazioni bancarie
(tutti prelevamenti da depositi bancari) posti in essere, lato sportello, da:
a. P.W. (dipendente del Banco di C.P.A. S.p.a) in numero di tre;
b. C.C. (dipendente del Banco di C.P.A. S.p.a) in numero di venti;
c. G.A. (dipendente della Banca A.M. di Carrù) in numero di venti;
d. B.F. (dipendente della Banca A.M. di Carrù) in numero di una;
e. M.G. (dipendente della Banca A.M. di Carrù) in numero di due;
f. T.G. (dipendente della Banca A.M. di Carrù) in numero di una;
g. C.M. (dipendente della Banca C. S.p.a.) in numero di quattro;
h. D.M. (dipendente della Banca C. S.p.a.) in numero di trentuno;
i. M.P. (dipendente della Banca C. S.p.a.) in numero di una;
j. R.L. (dipendente della Banca C. S.p.a.) in numero di cinque;
k. R.G. (dipendente della C.R.S. S.p.a. ma operante per conto Banca C. S.p.a.) in numero di
quattro.
Il documento in esame, prodotto dal Pubblico Ministero all'udienza dell'8 gennaio 2013, così
come confermato dal teste G. S., rappresenta mera, unilaterale aggregazione storica di
operazioni bancarie, attività di raccolta di dati effettuata in fase d'investigazione nel corso di
una indagine volta ad accertare la sussistenza del delitto di peculato.
A quanto è dato a sapere a questo Tribunale (vedasi conclusioni scritte del Pubblico Ministero
del 9 aprile 2014) le operazioni di prelevamento rappresenterebbero, individualmente e nel loro
insieme, condotta realizzativa di detto reato da parte di F.B.
Evidentemente il documento in esame, rappresentando, in sé, mera puntuazione "post factum"
prodromica o, comunque, concorrente a quella di cui si dirà in seguito, non ha valore probatorio
pieno. L'unico elemento utile, semplicemente statistico, è che oltre metà degli imputati ha
curato operazioni bancarie comprese numericamente tra uno e cinque. Ciò non elide l'ipotetica
responsabilità ma, soprattutto per le operazioni singole o doppie, peraltro d'importo compreso
tra l'importo, minimo, di euro 348,79 euro (M.P.) e quello, pur esorbitante, attesa la natura del
deposito bancario in esame, massimo, di euro 16.876,00 euro (R.L.) e fatta salva la situazione
dell'imputato R. G., affatto particolare, come sopra emerso dal riassunto dell'esame dello
stesso, l'elemento di valutazione del rischio di riciclaggio previsto dall'art. 22 (atteso quanto si
affermerà, in modo decisivo, al punto E. della presente sentenza) parrebbe non obbligatorio e
operante.
C.2. Sulla documentazione di provenienza bancaria.
C.2.1. Banca C. S.p.a. ha trasmesso alla Guardia di Finanza, Tenenza di Mondovì (produzione
del P.M. all'udienza del 20.05.2013) fogli riassuntivi dei movimenti contabili effettuati sui
depositi a risparmio oggetto d'indagine, da cui risultavano le matricole degli operatori. Con la
lettera accompagnatoria di detti fogli l'istituto bancario forniva i codici matricola dei propri
dipendenti (a titolo di esempio D. M. risultava contraddistinta dal numero di matricola
[Omissis]). Dall'esame di detti documenti emerge che la Banca ha fornito una semplice lista di
movimenti individuata dai seguenti dati (nel presente esempio è stata utilizzata la lista
movimenti [Omissis] da 01/01/2005 al 30.06.2009 e relativa scheda di dettaglio dell'ordine 80:
i. Data (per proseguire nell'esempio avente come soggetto interessato D. M. e applicabile a
tutte le movimentazioni avvenute presso la Banca C. S.p.a.): 07/04/2008;
ii. Matricola: 7;
iii. Importo movimento: 2.000,00;
iv. Causale: prelevamento contanti;
v. Presentatore: intestatario.
La lettura dei detti fogli riassuntivi e delle relative schede di dettaglio determina un
collegamento univoco tra le singole operazioni individuate dalla Guardia di Finanza nel
documento per primo esaminato e i dipendenti della banca ligure.
Detta individuazione, essendo i fogli in esame semplice stampa di dati contenuti in un
database, non risulta essere confermata da alcuna firma di distinta né da parte dell'operatore
bancario né da parte del cliente che, verosimilmente per negligenza e/o imperizia e/o
imprudenza del dipendente della banca viene, serialmente, indicato nelle schede come
l'intestatario. Sul punto la testimonianza resa del notaio P.G. è netta: egli non effettuò alcuna
delle operazioni in attuale esame.
C.2.2. Banca A. M. ha trasmesso, a seguito di ordine di questo Tribunale, le distinte e le
registrazioni effettuate dai propri dipendenti.
Utilizzando il medesimo, precedente metodo si esamina qui, a titolo di esempio, la
documentazione relativa al prelievo che sarebbe stato consentito dall'imputato B. F.
In atti risulta:
i. copia di libretto nominativo intestato "Tribunale di Mondovì, Esecuzione immobiliare 8/04 c/T.
G." sul quale, alla data del 04.11.2008 risulta annotato un prelevamento di euro 4.200,00, con
indicazione, a stampa e non siglata, (BF) verosimilmente iniziali dell'operatore allo sportello;
ii. copia della contabile dell'operazione firmata, in modo illeggibile, dal cliente per conferma
dell'operazione e siglata, in modo illeggibile, da un dipendente per conto della banca.
Contrariamente a quanto visto per la Banca C. S.p.a. l'assai probabile univocità
nell'identificazione dell'operatore non opera, non risultando, sulla base degli elementi di prova a
disposizione di questo Tribunale, che l'effettivo addetto allo sportello fosse l'attuale imputato B.
F.. Il codice "BF" stampato sul libretto nominativo costituisce indizio che questo Tribunale
ritiene indice di alta probabilità, ma non certezza in assenza di ulteriori elementi di prova,
nell'identificazione.
C.2.3. Banco di C.P.A. S.p.a. ha trasmesso, a seguito di ordine di questo Tribunale, le distinte e
le registrazioni effettuate dai propri dipendenti.
Utilizzando il medesimo, precedente metodo si esamina qui, a titolo di esempio, la
documentazione relativa al prelievo che sarebbe stato consentito dall'imputato P.W.
In atti risulta:
i. Articolo contabile interno riportante:
1. Filiale:16
2. Numero conto: [Omissis]
3. Data: [Omissis]
4. Numero operazione: [Omissis]
Terminale: 2
6. Operatore terminale: [Omissis]
7. A debito: 1.075,00
8. Descrizione: prelevamento
9. Sigla dell'operatore: illeggibile
10. Firma del cliente: illeggibile.
Come nell'esempio precedentemente proposto, ma con maggior evidenza, non pare sussistere,
sulla base degli elementi di prova emersi nel corso del dibattimento, l'identificazione, al di là di
ogni ragionevole dubbio, dell'operatore, non risultando con chiarezza ed evidenza che l'effettivo
operatore al terminale fosse l'attuale imputato P.W. Il codice "50" stampato sull'articolo
contabile interno costituisce mero indizio che questo Tribunale ritiene non munito di sufficiente
certezza, in assenza di ulteriori riscontri e salvo quanto si concluderà nel punto C.4. della
presente sentenza, nell'identificazione.
C.3. Sulla documentazione offerta dalla difesa degli imputati.
Essa è rappresentata, essenzialmente, da stampati che provano come sia P.G. che F.B.
risultassero entrambi censiti e identificati presso i tre istituti bancari ove avvennero i prelievi.
C.4. Sulla valutazione probatoria complessiva dei documenti prodotti e acquisiti in giudizio.
Dall'esame dei documenti prodotti nel corso del dibattimento emergono dubbi, in diverso grado,
sulla certa individuazione degli operatori bancari nonché sulla identità di chi, nelle singole
operazioni, si fosse effettivamente presentato presso i singoli sportelli. Le testimonianze rese
dai direttori delle filiali rendono, al contempo, probabili le condotte degli imputati atteso che
tutti hanno riferito di una prassi uniforme su piazza.
A tale proposito, quindi, ferme le perplessità sopra cennate, occorre verificare alcuni elementi
fondamentali ai fini del decidere.
D. Sul rapporto contrattuale da cui i prelievi hanno avuto origine.
A titolo d'esempio la difesa degli imputati ha depositato contratto di deposito a risparmio
nominativo del Banco di C.P.A. S.p.a. Da esso si ricava che il deposito risultava intestato al
Tribunale di Mondovì con indicazione espressa dell'esecuzione immobiliare di riferimento. La
firma autorizzata a operare era quella del notaio P.G., soggetto già censito e identificato
dall'istituto bancario.
Il denaro depositato, pertanto, proveniva da attività sicuramente lecita rappresentando esso, di
norma, il ricavato della vendita giudiziaria di beni immobili staggiti e non da attività criminose,
presupposto ineludibile per l'applicazione della normativa prevista dal Decreto Legislativo 21
novembre 2007, n. 231 attuativo della Direttiva 2005/60/CE.
Che i numerosi prelievi, ferma la non provata, agli atti, e nella misura sopra vista (vedasi punto
C.2. e relativi sottopunti della presente sentenza) reale identità dei soggetti che hanno operato,
sia come dipendenti bancari che come cliente, sui depositi, costituiscano una grave anomalia
cui, colposamente, gli imputati avrebbero, almeno in parte, dato corso non pare essere dubbio
ma si ritiene che la natura della provvista non possa che essere lecita e, sicuramente, non
derivante da attività criminosa. Paiono, quindi, operare quegli obblighi semplificati di adeguata
verifica della clientela di cui si è detto al punto B.2.1. di questa decisione. Ai fini di prevenzione
del riciclaggio (e riciclato non può essere che denaro di provenienza illegale) secondo la
normativa che si è qui chiamati ad applicare l'identificazione e la verifica non sono richieste
qualora il cliente sia un ufficio della pubblica amministrazione ovvero una istituzione o un
organismo che svolga funzioni pubbliche conformemente al trattato sull'Unione europea, ai
trattati sulle Comunità europee o al diritto comunitario derivato. Nelle fattispecie in esame
l'intestatario del rapporto era un Tribunale della Repubblica Italiana, ente che rientra, senza
dubbio, tra quelli sopra indicati.
E. Sulle operazioni di prelievo effettuate sui depositi.
Considerata la frequenza e l'entità documentata dei prelievi essi non risultano affatto essere
normali, così come argomentato dalla difesa dell'imputato R. G.. Correttamente il Pubblico
Ministero ha evidenziato l'esorbitanza dei prelievi, peraltro non autorizzati dal giudice, rispetto
alle esigenze tipo della gestione di depositi vincolati, in modo espresso, a esecuzioni
immobiliari. In particolare il Pubblico Ministero ha sostenuto la sussistenza, a carico degli
imputati, dell'obbligo di osservanza dell'art. 22 del Decreto Legislativo 231/2007 laddove esso
prescriveva che "gli obblighi di adeguata verifica della clientela si applicano a tutti i nuovi
clienti, nonché previa valutazione del rischio presente, alla clientela già acquisita".
La previa valutazione del rischio (di riciclaggio) presente, a un primo esame, di tipo sistematico,
della norma essendo essa ricompresa nel Titolo II della Sezione I del decreto Legislativo in
esame, pare essere inapplicabile, ai sensi del primo comma dell'art. 25, al caso di specie,
riguardando le operazioni abnormi un soggetto nei cui confronti, come sopra esaminato, vale
una forma semplificata di verifica. Il dettato legislativo pare a questo Tribunale ostativo in
merito a ogni ulteriore valutazione nel merito.
Nondimeno, fermo quanto appena enunciato, per completezza espositiva, può essere utile
verificare se le operazioni poste in essere presentino, comunque, quelle caratteristiche di
anomalia ( sempre solo e esclusivamente ai fini della prevenzione del delitto di riciclaggio) che
la Banca d'Italia ha individuato nelle proprie istruzioni operative, richiamate da alcuni testimoni.
Il punto 2.1. delle istruzioni operative della Banca d'Italia del 12 gennaio 2001 definisce come
anomale, non tanto le operazioni in contante in se, quanto piuttosto quelle realizzate tramite
prelevamento di denaro contante per importi rilevanti, salvo che il cliente non rappresenti
particolari esigenze. Atteso il carattere esemplificativo e non esaustivo della tipologia indicata
dalla Banca d'Italia anche un prelevamento frequente di somme non rilevanti, costituenti
frazioni di maggior importo complessivo, può essere parificato, a fini ermeneutici, all'ipotesi di
anomalia testé citata. La detta anomalia, però, dovrebbe rilevare unicamente ai fini di una
sospetta attività di riciclaggio in corso, circostanza che non pare operare quando i prelevamenti
sono stati effettuati nel rispetto della disciplina prevista dall'articolo 25 del Decreto Legislativo
21 novembre 2007, n. 231. Detta disciplina, proprio per la natura del cliente, riduce, se non
elide, la soglia di attenzione cui, ai soli fini di antiriciclaggio, sono chiamati gli operatori bancari.
Si può affermare, con un giudizio di prognosi postuma, che l'eventuale segnalazione di
numerosi prelevamenti irregolari (perché così essi appaiono, ritenendo questo Tribunale dette
operazioni assolutamente non comprensibili e censurabili ab origine e, quindi, non regolari non
solo e non tanto da parte del cliente che, nella fattispecie concreta, non si è ben compreso se e
quanto le avesse poste in essere consapevolmente (prevalendo l'ipotesi di non conoscenza
attesa quanto risultato dibattimentalmente), ma anche da parte degli operatori bancari,
soprattutto quelli che hanno dato corso a molti ritiri di contante) da depositi bancari intestati al
Tribunale non avrebbe sortito alcun effetto ai fini della prevenzione del reato di antiriciclaggio in
quanto la pluralità di ritiro di contante deve comunque essere sottesa a una attività, anche
potenziale, di riciclaggio. In sintesi: la natura anomala e potenzialmente rilevante in sede
penale dei prelevamenti effettuati pressi i diversi sportelli bancari, alla luce della normativa
antiriciclaggio, non pare soddisfare la condizione teleologica per cui la normativa vigente ha
posto in essere determinati obblighi di Legge, quella, cioè di evitare il riciclaggio di denaro
proveniente da attività criminosa attraverso strumenti finanziari. Gli operatori bancari, nel caso
concreto, hanno operato in un contesto che, ai soli fini della prevenzione del delitto di
riciclaggio, era formalmente corretto.
F. Considerazioni finali.
Alcune, sia pure puntuali e suggestive, osservazioni, così come formulate dal Pubblico
Ministero, nelle proprie conclusioni scritte e successive repliche, anch'esse, scritte, non sono
condivisibili.
Nello specifico e pretermesse quelle che sono già state oggetto di disamina:
F.1. Sulla funzione della normativa penale prevista dall'art. 55 del Decreto Legislativo 21
novembre 2007, n. 231.
Lo scopo dichiarato ed evidente di detta disposizione normativa è quella di prevenire il reato di
riciclaggio attraverso l'attività finanziaria e non quella di prevenire gravi illeciti finanziari. È
evidente come le due categorie di attività illecite non siano identiche né integralmente
sovrapponibili. Non appare condivisibile, come sopra evidenziato, l'assunto che prelievi
irregolari rappresentino, senza distinzione in ordine ai soggetti titolari dei rapporti bancari
sottostanti e senza alcuna rilevanza in ordine alla natura certamente lecita della provvista,
operazioni sospette ai sensi della normativa che tende a prevenire il riciclaggio. L'anticipazione
della soglia di punibilità, dichiarata come sussistente dal Pubblico Ministero, non può
interpretativamente estendersi, salvo, in caso contrario, incorrere nella violazione dell'art. 12
delle Disposizioni sulla legge in generale che prevede l'obbligo dell'applicazione della norma
secondo l'intenzione del legislatore, sia essa storica che sistematica, ( e nella normativa in
esame il legislatore ha voluto, come si è visto, prevenire il riciclaggio di capitali d'origine
criminosa e non la prevenzione di costituzione, anche per via bancaria, di detti capitali), alla
sanzione di chi, per evidente negligenza, imperizia e imprudenza abbia, con il proprio operare,
concorso alla formazione di una somma avente caratteristica di ricavato da attività criminosa.
In sintesi: è conforme a logica e giustizia che il Legislatore non abbia inteso sanzionare, tramite
la normativa preventiva del riciclaggio, la condotta di determinati operatori economici i quali
abbiano contribuito, con la loro condotta, a porre in essere capitali d'origine criminale
costituenti presupposto eventuale del reato di riciclaggio.
Ciò vale anche tenendo conto del fine della normativa sanzionatoria in esame della tutela, in via
prioritaria e in modo più o meno diretto, della fede pubblica e dell'ordine pubblico. Lo scopo
della normativa in esame è quella esplicitata nei vari consideranda della Direttiva comunitaria di
riferimento riportati al punto B.1.
della presente sentenza: evitare che venga danneggiata la stabilità e la reputazione del settore
finanziario attraverso l'immissione nel sistema di flussi ingenti di denaro proveniente da attività
criminose. I prelievi, per quanto sospetti e gravi indizi rivelatori di un reato in corso, da depositi
bancari intestati a un Tribunale della Repubblica Italiana da parte di una collaboratrice infedele
di uno studio notarile, non hanno la capacità di rappresentare una condotta destabilizzatrice del
sistema finanziario e, come tali, ai soli fini della normativa di prevenzione del riciclaggio, ferma
restando la perplessità circa l'osservanza di una corretta prassi da parte degli operatori bancari
ed essendo censurabile la mancata segnalazione della reiterata condotta della F. tramite
normale denuncia alle competenti autorità, non rappresentano violazione della tutela della fede
pubblica e dell'ordine pubblico.
Ciò appurato e stabilito risulta non utile procedere alla disamina degli elementi oggettivo e
soggettivo del reato contestato agli imputati non ricorrendo, per le ragioni sopra esposte, ab
origine, i presupposti per l'applicazione della relativa disciplina. Non risulta utile, inoltre, ogni
attività di eventuale verifica del rispetto della normativa "de qua" da parte degli operatori
bancari al momento della costituzione dei singoli rapporti contrattuali o se il cliente sia stato, o
meno, regolarmente identificato. A tal proposito si evidenzia, in via meramente incidentale,
come la figura del cliente non s'identifichi tanto nella persona fisica presentatasi allo sportello
quanto, piuttosto, nel Tribunale intestatario del rapporto sul quale il notaio era delegato a
operare.
In assenza dell'elemento oggettivo e soggettivo del reato gli imputati devono essere assolti
perché il fatto non sussiste. Il carico di lavoro dell'Ufficio giustifica l'indicazione in giorni
novanta per il deposito della motivazione.
P.Q.M.
Visto l'art. 530 c.p.p.,
assolve gli imputati dal reato ascritto perché il fatto non sussiste.
Motivazione in giorni 90.
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