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SEGNO PIENO DELLA PASQUA
“L’UNITà TRA LE CHIESE”
L’Avana, 12 febbraio 2016
L'abbraccio tra il Patriarca Kirill e papa Francesco
TEMPO PASQUALE
Miei cari amici
Vi consegno questo quattordicesimo Quaderno di S. Eustachio con una grande speranza e
una profondissima gioia. Ho sempre creduto che la Pasqua del Crocifisso-RISORTO non è ancora
un evento pieno, incarnato nella storia dei popoli, a causa della divisione tra le Chiese.
La Pace Pasquale sarà presente e agirà pienamente solo quando TUTTI coloro che si
ritengono cristiani saranno in modo visibile “un cuore solo, un’anima sola, ma anche un SOLO
CORPO”.
Ho scritto questo quattordicesimo libretto a Nefta, in pieno deserto, nel mese di Agosto
2015. Riflettendo, percepivo che la veste inconsutile del Cristo Crocifisso, tirata a sorte dai
soldati senza stracciarla, fosse il segno dell’unità tra le Chiese e il Corpo Crocifisso, Sepolto,
Risorto ma NON CORROTTO del Cristo e fosse la manifestazione di una Comunità di credenti
“consumata nell’Unità”.
Nel mio ministero di parroco ho sempre ritenuta asse portante della Pastorale la
“comunione tra le Chiese” e il rapporto fraterno con le altre religioni.
Per me (sicuramente sbaglio) da quando è stata spezzata l’unità dei credenti nel Crocifisso
risorto non si è mai CELEBRATO, almeno nella pienezza del “Segno”, IL MISTERO PASQUALE.
Oggi, 12 febbraio 2016, sto riordinando, prima di stamparlo, quello che scrissi nel deserto
sei mesi orsono, intitolando tutto il quattordicesimo quaderno “L’UNITÀ DELLE CHIESE
SEGNO INSOSTITUIBILE DELLA PASQUA”.
Nello stesso giorno, a L’Avana, PAPA FRANCESCO e PAPA KIRIL si abbracciano, rompendo
un silenzio di secoli. Il vento dello SPIRITO sta avvicinando il VERO SEGNO PASQUALE, “LA
COMUNIONE TRA LE CHIESE”. Lo spero vivamente e per questo vi invito a pregare. BUONA
PASQUA INDIVISA!
don Pietro
PASQUA. DA TANTE CONFESSIONI FIORISCE UNA SOLA CHIESA: “LA CHIESA DEL
RISORTO”
La Pasqua di quest’anno, “Giubileo della Misericordia”, ritengo che dovrebbe avere come
segno qualificante “la piena Misericordia tra le Chiese”. Forse Papa Francesco pensava a questa
“piena Carità” quando si è reso disponibile a stabilire per la celebrazione della Pasqua un giorno
unico tra le varie confessioni cristiane.
La comunione ecumenica è fondamentale per la professione di Fede nell’Unico Signore
Risorto. Il mondo non cristiano si interroga su un fatto così palesemente contraddittorio: una sola
fede, un solo Battesimo, un solo Signore e tante Chiese spesso, nella storia, belligeranti tra loro.
A questa separazione noi, cattolici romani, non ci facciamo caso, la riteniamo un fatto
secondario e, spesso, ce ne usciamo nell’affermazione, di una superficialità sconcertante; “Cosa
importa, tanto una Chiesa vale l’altra”. Sarà pur vero, ma la contro-testimonianza resta e genera
discredito, non su una o l’altra confessione cristiana, ma sulla verità della nostra fede nel
Crocifisso- Risorto, costituito Signore, sorgente della Pace “Pasquale”.
Molti anni fa andammo in pellegrinaggio alle chiese paoline dell’Asia Minore. Giunti ad
Ankara, chiedemmo di poter incontrare il Gran Muftì mussulmano per una visita di cortesia.
L’incontro fu schietto e molto aperto. Si stabilì un dialogo veramente fraterno. Una delle persone
del nostro gruppo chiese la parola e pose una domanda assolutamente inopportuna: “Ma qual è
vero il vero Islam? La divisione tra Sciiti e Sunniti è troppo evidente”.
Il Muftì mostrò un cenno di imbarazzo, poi con molta schiettezza rispose: “Vede, signora,
le divisioni si trovano in tutte le religioni. Anche voi cristiani siete divisi, molto più di noi, avete
fatto guerre, vi siete scomunicati a vicenda, e, pur parlando di ecumenismo, siete ancora molto
divisi. La divisione nelle religioni è il “frutto amaro del potere”.
Restammo tutti in silenzio, pensosi. Cercai di riaprire il dialogo, dando ragione al Muftì,
che si era mostrato molto informato sui fatti di casa nostra. La cosa che ancora oggi, a distanza di
qualche decennio, mi turba è la convinzione che la divisione tra le Chiese non fa problema: “Noi
stiamo nella nostra Chiesa certi di stare nel giusto e aspettiamo che gli altri SI CONVERTANO”
Finché le Chiese saranno divise non abbiamo la credibilità per parlare al mondo di “PACE”.
Mi colpisce come Giovanni racconta ciò che avvenne ai piedi della Croce. Leggiamolo. «I
soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti e ne fecero quattro parti, una per
ciascun soldato, e la tunica. Ora quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d'un pezzo da cima
a fondo. Perciò dissero tra loro: Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca» (Giov 19,23s).
Penso che il quarto evangelo dà tanto risalto a questo episodio apparentemente secondario
perché, quando scrisse, erano iniziate le prime divisioni all’interno della chiesa apostolica: si
discuteva e ci si divideva circa l’identità vera di Gesù il Crocifisso Risorto.
CI SI CONVERTE AL RISORTO, NON ALLA CHIESA.
In una delle nostre visite a Costantinopoli, volemmo incontrare il Patriarca Ecumenico, Sua
Santità Dimitrios. Andammo al Fanar, il quartiere greco di Istanbul dove è la sede del
Patriarcato, e la Chiesa patriarcale di San Giorgio. Ci faceva da guida l’attuale Patriarca
Bartolomeo. Capimmo subito che, con la sua semplicità e mitezza, papa Dimitrios era felice di
vederci, anche se la sua salute era vistosamente malferma.
Uno dei Viceparroci maltesi pronunciò in inglese un saluto molto aperto che avevamo
concordato insieme: avevamo deciso la dizione “Chiese sorelle”. Sua Santità Dimitrios ascoltò
con attenzione e rispose ringraziando perché la visita dei fedeli della Diocesi di Roma era un
gran segno di rispetto.
Poi alzò gli occhi dal foglio e continuò spontaneamente: “Ci avete chiamato “Chiesa
sorella”, in famiglia ci si vuole bene e non ci si offende (disse alla lettera: “non si fanno cose
che danno dolore”). A me sembra che una Chiesa sorella ricca come quella Romana non può
venire con opere costose a fare proselitismo da noi che siamo una Chiesa povera, uscita da poco
dalla persecuzione comunista. Tra Chiese sorelle non si opera come in terra di Missione,
facilitando il passaggio dei fedeli più poveri alla Chiesa più ricca. Perché io credo che NON CI SI
CONVERTE ALLA CHIESA; NOI CRISTIANI SIAMO TUTTI CONVERTITI A CRISTO. Le nostre Chiese
sono strumenti affinché nel cuore di ogni persona AVVENGA LA VERA CONVERSIONE AL KYRIOS
CROCIFISSO RISORTO e costituito SIGNORE di tutti!”
Scoppiò un applauso spontaneo. Sua Santità, pur essendo affaticato, ci salutò uno per uno;
al momento di congedarci chiamò me e i Viceparroci presenti e volle che benedicessimo il
gruppo insieme. Chiamandoci vicini disse con chiarezza: “Abbiamo ricevuto lo stesso
Sacramento”.
Solo quindici giorni dopo, per un malore improvviso, venne a mancare. L’affermazione
ispirata di Sua Santità Dimitrios mi è rimasta scolpita nel cuore e mi fa da guida nel rapporto con
le altre Confessioni cristiane: “Non ci si converte ad una Chiesa, ma a Cristo il Risorto!”.
PASQUA: UN’UNICA CHIESA
Qualcuno può ritenere che il cammino ecumenico, irto di pregiudizi e difficoltà, iniziato dal
Vaticano II, non abbia portato frutti. Da molti ho sentito dire: “L’ecumenismo lo fa solo la nostra
Chiesa cattolica Romana, le altre restano immobili”. L’affermazione penso che possa essere vera
in alcuni casi, a livello di vertice o di praticanti tradizionalisti, ma “il popolo dei battezzati” nel
suo credo e nella espressione religiosa vive già di fatto la “comunione ecclesiale”. L’ho visto in
tante occasioni, ma a Sant’Eustachio lo constato ogni giorno. Il martire romano è un santo molto
venerato in Oriente e la sua tomba è meta di moltissimi pellegrini ortodossi. Guidati dai loro
preti si inginocchiano e pregano esternando la loro fede con gesti solenni e canti melodiosi. Sono
molti gli Ortodossi che partecipano all’Eucaristia, molti si comunicano e qualcuno chiede di
confessarsi.
Tutti sostano assorti davanti all’immagine di Maria, accendono lumini o le loro candeline
giallastre. Gesti devozionali, direte, ma la devozione sobria, e non fanatica, è espressione di una
fede semplice, popolare, capace di abbattere i rigorismi teologici e giuridici.
Ripercorrendo la storia, non è difficile constatare che le prime divisioni sono nate per
difendere il potere politico, economico, seguendo il detto antico, ma purtroppo vero: “Cuius
regio eius religio”, che si può tradurre semplicemente: “ognuno deve seguire la religione di chi
comanda”. Passato il tempo dei martiri, da Costantino in poi, spesso è stata la forza ad imporre le
varie religioni compreso il Cristianesimo. Alla forza del potere civile si è sempre
pedissequamente aggiunto quello intellettuale creando, spesso ad arte, teologie contrapposte.
Ma cosa volete che ne sapessero mia madre, seconda elementare, e tante donne ortodosse,
del problema teologico del “filioque” o di altri dogmi di una finezza intellettuale astratta, spesso
incomprensibili anche a chi li insegna?
Però mia madre e tutte le donne ortodosse (perché il cristianesimo è prevalentemente
femminile) sapevano e sanno bene a chi “appartenevano”, chi è il loro capo e a chi debbono
obbedire: CRISTO Pastore e Vescovo (1 Pt 2, 25). Stesso Battesimo, stessa Eucaristia ma
“separati”. Stessi Santi martiri per Cristo, ma ognuno riconosce i suoi, ignorando gli altri
proclamati dopo la divisione.
Questo modo insensato di essere cristiani è venuto alla luce in modo accecante sotto le due
grandi ideologie del novecento: il nazismo e il comunismo.
Si viveva e si moriva negli stessi lager e negli stessi gulag, ma chi aveva responsabilità
nelle Chiese taceva per opportunismo o per prudenza; mai il coraggio di proclamare santi e
martiri tutti, a qualunque confessione cristiana appartenessero. Insieme a tanti aspetto una grande
canonizzazione di chi è stato ucciso per Cristo, o per altri motivi umanamente nobili, superando
le varie appartenenze ecclesiali. Ci sarà forse questo durante il GIUBILEO DELLA
MISERICORDIA?
La fede nell’unico SIGNORE RISORTO si fa strada per opera dello Spirito. Sono tante le
Diocesi, gli Istituti Religiosi, le Parrocchie che cedono le loro chiese e i loro locali a comunità di
altre confessioni cristiane. I grandi gesti, seguiti al Concilio Vaticano II, stanno portando frutto.
Ero presente all’abbraccio tra Paolo VI e il Patriarca Atenagora, al bacio dei piedi fatto
sempre da Paolo VI al Patriarca Melitone e all’abolizione delle scomuniche. Tutto, però,
preceduto da un gesto che forse non abbiamo compreso nel suo vero significato: la TIARA,
affermazione del triplice potere papale, teologico, giuridico e pastorale, venduta da Paolo VI per
servire i poveri. Spogliarsi da ogni tipo di potere e farsi “servus servorum Dei” è la via maestra
dell’UNITÀ.
Ricordo sempre con commozione le veglie di Pasqua alla Natività, in comunione con la
Comunità Ortodossa Rumena. Quando la data della Pasqua coincideva, padre Costantino
partecipava con noi al canto del Preconio Pasquale; al termine ci salutava dicendo sempre: è
un’unica Pasqua perché uno è il Risorto dai morti. Nel cortile, alla mezzanotte, il loro canto
bellissimo “Christos anesti ek nekron, thanato thanaton patise - Cristo è risorto dai morti, con la
sua morte ha distrutto la morte”.
La nostra Veglia Pasquale, a qualsiasi momento della liturgia fosse giunta, si interrompeva,
ascoltavamo la proclamazione pasquale degli Ortodossi, poi riprendeva. Quando la Pasqua non
coincideva, cedevamo la chiesa per la loro celebrazione.
Ogni Domenica, al mattino, prima di iniziare la celebrazione eucaristica, padre Costantino
veniva a trovarmi in ufficio; pregavamo insieme e ci scambiavamo il saluto di pace, come segno
che l’Eucaristia presieduta da lui, con la sua comunità ortodossa, nel grande salone sottostante la
chiesa e quella presieduta da me, nella chiesa parrocchiale, era un’unica EUCARISTIA. “La
Chiesa fa l’Eucaristia, l’Eucaristia fa la Chiesa”. La frase è del grande teologo Henri De Lubac
nel suo libro coraggioso “Meditazioni sulla Chiesa”; non è scritta così come suona dentro i
documenti del Concilio Vaticano II, ma ne rispecchia il sentire profondo. In quell’affermazione
il verbo “fare” ha il doppio significato di “celebrare” e “costruire”.
Gesti di cortesia? No! Era la testimonianza davanti a due comunità, ortodossa e cattolica,
che siamo un’unica Chiesa.
SIANO “UNO” PERCHÉ IL MONDO CREDA
È la preghiera di Gesù al termine della Cena Pasquale: la prima Eucaristia nel suo Corpo
ucciso e nel suo Sangue sparso per tutti.
Nel mese di giugno dello scorso anno è venuto a trovarmi a Sant’Eustachio il Pastore
“battista” con il suo Consiglio. Ci eravamo già incontrati; le nostre due chiese stanno a meno di
cento metri.
Quel giorno sono venuti per una proposta: “Sappiamo che dal lunedì al sabato c’è il pranzo
per i poveri nella vostra chiesa; ci hanno detto che la domenica non vi è possibile offrirlo perché
avete le Messe. Siamo venuti per dirvi che, se lo riterrete opportuno, la domenica possono venire
a pranzare da noi; abbiamo lo spazio per accoglierli”. Lascio immaginare a voi la mia risposta.
Attendo che siano pronti per iniziare.
La storia della scissione tra la Chiesa romana e le Chiese riformate è molto complessa e non
voglio che ci addentriamo in una analisi storica e dottrinale. Il ceppo fondamentale fa capo a
Lutero che desiderava una riforma evangelica della Chiesa papale.
Scomuniche vicendevoli, Riforma e Controriforma hanno totalmente complicato i rapporti,
vissuti tra polemiche e contrasti che oggi sembrano nuovamente insormontabili. Il potere
politico, la teologia compiacente e la disciplina hanno, giustamente o no, complicato la vita
cristiana tanto che molti si chiedono: “La Chiesa Romana, quella Ortodossa e quella Riformata
hanno oggi un’unica fede?”.
Mi scuso per la superficialità, l’approssimazione e l’incompetenza con le quali affronto dal
punto di vista storico e teologico argomenti così gravi; a me interessa scorgere, insieme a voi,
qualche segno di speranza, di “misericordia tra le Chiese”, che ci regali la gioia di una vera
comunione tra discepoli del Crocifisso Risorto.
Gesù prega per questa comunione-unità perché il mondo creda: “Prego […]perché tutti
siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola,
perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Giov 17, 20ss).
ASTUTI COME SERPENTI
SEMPLICI COME COLOMBE (Mt 10,16)
Questa affermazione di Gesù è molto difficile da comprendere. La semplicità della colomba
sembra bella ma rischiosa; l’astuzia dl serpente sembra quasi un invito alla furbizia ingannatrice.
Per comprendere i due atteggiamenti è importante farsi alcuni interrogativi sul modo di
comportarsi di Gesù. Che astuzia e che semplicità sono guarire lo storpio in giorno di Sabato a
due passi dal Tempio e dichiarare “Il Figlio dell’uomo è padrone del Sabato”, e “non l’uomo è
fatto per il Sabato, ma il Sabato per l’uomo”? Che astuzia manifesta la profezia di Gesù
confidata piangendo agli apostoli: “Di questo Tempio non resterà pietra su pietra” e gridata
davanti ai suoi nemici: “Distruggete questo Tempio e io in tre giorni lo riedificherò”. Sarà il
motivo della condanna a morte. Ma, soprattutto, che astuzia e che semplicità sono mai scegliere
tra i Dodici Giuda, che poi lo tradì, tenerlo con sé e invitarlo a consumare il tradimento
facilitandogli la strada?
Penso che Gesù per astuzia e semplicità intendesse quella che si chiama “PARRESIA”: dire
con chiarezza ciò che si pensa, rischiando il fallimento totale del proprio progetto di vita e la vita
stessa. La “PARRESIA” è, nello stesso tempo, astuzia e semplicità, l’astuzia del serpente e la
semplicità della colomba. L’Abate Pafnunzio spiegava così la “PARRESIA”: “Pprima di parlare
ascolta; prima di decidere rifletti; quando decidi fallo sempre a vantaggio del più debole, mai per
il tuo tornaconto”.
IL SEGNO PASQUALE DELLA UNITÀ DELLE CHIESE ESIGE LA “PARRESIA”.
È quello che insegna chiaramente papa Francesco nel suo rapporto più che fraterno con il
Patriarca Bartolomeo e in ciò che ha fatto andando a visitare a Caserta il suo amico Pastore
protestante. L’opportunità, la diplomazia, il diritto del primogenito, si sono messi subito in moto:
“Prima il Vescovo e la Diocesi di Caserta, poi l’altro”.
Papa Francesco ha dato retta a Gesù: non una visita alla Chiesa cattolica di Caserta con un
breve tempo per il Protestante, ma due visite separate in due giorni diversi perché fosse chiaro
che aveva scelto di parlare, stare in casa e pranzare insieme al suo amico protestante. La
“PARRESIA” è rischiosa perché è un segno PASQUALE, “Morte e Risurrezione”. È però
indispensabile per “l’Unica Chiesa”.
Permettetemi un fatto personalissimo, ve ne chiedo scusa in anticipo. Nel giugno scorso è
venuto a trovarmi il Vescovo luterano di Karlstad, Esbjon Hagberg, con il suo Consiglio per
invitarmi alla celebrazione della sua Eucaristia episcopale prima del pensionamento.
La nostra amicizia è di lunga data ed ha una storia bella. I rapporti che hanno portato alla
sincera comunione di fede con la Svezia e, particolarmente, con la Diocesi di Karlstad risalgono
a qualche decennio. La Diocesi luterana di Stoccolma volle conoscere cosa pensava e come si
muoveva sul tema della Pace la Diocesi di Roma. Il Vicariato li mise in contatto con la
Parrocchia della Natività di Nostro Signor Gesù Cristo, dove ero parroco. Guidavano il gruppo il
Vescovo luterano di Stoccolma e un suo presbitero Bengt Wadensjo. Restammo amici.
Quando Bengt fu eletto Vescovo di Karlstad la nostra amicizia si rinsaldò e coinvolse le
due comunità, quella luterana di Karlstad e quella della Parrocchia della Natività. Ci furono
scambi personali e comunitari che fecero crescere la conoscenza, la stima e il bisogno di
comunione ecclesiale.
La necessità di brevità mi impedisce di raccontare i tanti incontri a Roma, in Svezia e nel
Sahara tunisino; ne ricordo solo uno. Un centinaio di preti e laici svedesi vennero a Roma,
accolti dalle famiglie della Parrocchia per un convegno ecclesiale tra le nostre comunità. Il tema
era: “Tante confessioni, ma un’unica Chiesa”. Il Vescovo Bengt avrebbe a breve lasciato la
Diocesi per il pensionamento, c’era il problema dell’elezione del suo successore. A conclusione
del Convegno mi feci coraggio e dissi con fermezza: “Le nostre relazioni potranno continuare
solo se eleggerete come vostro Vescovo una persona di fede, non un politico, e un uomo.
L’elezione di una donna complicherà il rapporto tra le nostre Chiese e la Chiesa Ortodossa”.
Fu un momento sofferto, dove però la “PARRESIA” era necessaria. La risposta fu un silenzio
imbarazzato. Nella sala era presente una teologa che aveva presentato, con un notevole seguito,
la sua candidatura.
Alcuni mesi dopo elessero il reverendo Esbjon Hagberg, un uomo di fede incrollabile,
legato alla tradizione luterana e aperto al dialogo ecumenico. La “PARRESIA” non solo aveva
portato frutto, ma fu ricambiata in un modo impensabile.
Il giorno della consacrazione episcopale del Vescovo Esbjon nella bellissima cattedrale
primaziale di Uppsala la Parrocchia era presente. Con mia grande sorpresa il Vescovo Primate
mi chiamò e mi chiese di proclamare in latino il Vangelo. Il brano che avevano scelto era il
dialogo di Gesù con l’apostolo Pietro sul lago di Tiberiade: Simone, figlio di Giovanni, mi ami?
… pasci le mie pecore (Giov 21, 15ss).
Non potevo credere alla proposta e dissi che di fronte a tutti i Vescovi luterani, di Svezia,
Finlandia, Danimarca e Norvegia, mi sembrava quasi una provocazione. Il Primate mi rispose, in
modo garbato ma fermo: “La decisione è mia, della Regina, di Bengt e di Esbjon”. Ero certo che
questo non sarebbe stato ben visto, specialmente dai Vescovi danesi e norvegesi e da tutta l’ala
intransigente.
La Cattedrale era stracolma di gente. Facevano corona al Primate tutti i Vescovi della
quattro nazioni. In un seggio, circondati dai dignitari della Corte, sedevano il Re, la Regina
Silvia e i loro figli.
Al momento del Vangelo, accompagnato dagli inservienti con le candele, mi fu consegnata
la Bibbia, la portai processionalmente al centro della navata e, tra la commozione lo stupore e,
forse, l’indignazione di parte dell’assemblea, proclamai: “ Simon Ioannis, diligis me plus his? ”.
Ait illi: “ Etiam, Domine, tu scis quia amo te ”. Dicit ei: “ Pasce oves meas ” (Giov 21, 15-19).
L’ho vissuto come un gesto coraggioso di “PARRESIA” della Chiesa luterana.
Quando processionalmente tornai verso il Primate, facendo l’inchino rituale alla coppia
reale, notai lo sguardo compiaciuto della Regina. Avevamo avuto l’occasione di incontrarci in
altre occasioni e di parlare dell’«Unica Chiesa».
Finita la proclamazione, tornai al posto assegnatomi; al momento della Comunione il
Vescovo venne verso di me e, con grande rispetto, mi offrì il “pane consacrato”. Lo accettai e mi
comunicai. Ero di fronte alla coppia reale, circondato dai Vescovi. Non dimenticherò mai lo
sguardo di approvazione e di soddisfazione stampato sul volto di tutta l’assemblea. La
“PARRESIA” genera rispetto, reciprocità, accoglienza, fraternità, perdono, comunione, Amore.
La Congregazione della Dottrina della Fede ebbe a ridire in modo duro, ma non importa. LA
“PARRESIA” È MISTERO PASQUALE.
Ha ragione Papa Francesco: una sola Pasqua. Tante divisioni nate da teologismi arcaici,
strumentalizzazioni del potere, liturgie belle e ricche visivamente ma DIVISE.
Ha ragione papa Francesco: una sola Pasqua, una stessa data, una Festa comune perché il
Mistero è unico.
Mi viene spesso in mente quello che un teologo-liturgista mi disse: “Cristo ha vissuto nella
sua storia terrena le tappe principali della vita di ogni persona: concepimento, nascita dopo nove
mesi, crescita, maturità, morte. Una sola tappa lo differenzia da noi, il suo corpo sepolto non si è
corrotto. Le tante Chiese, divise tra loro anche se si dicono sorelle, corrompono il corpo di
Cristo”.
Se ci si confrontasse con “PARRESIA”, confidandosi a cuore libero i veri motivi che stanno
alla base della divisione, si ricomporrebbe il corpo di Gesù che noi abbiamo corrotto. ALLORA
NON CELEBREREMO SOLO LA PASQUA LITURGICA, MA LA FORZA DELLO SPIRITO che armonizza
TUTTA LA STORIA, ci aiuterebbe a realizzare la preghiera di Gesù: UT UNUM SINT.
BUONA CINQUANTINA PASQUALE INDIVISA
ALMENO NEL CUORE!
don Pietro
P. Marko Ivan Rupnik
Discesa agli inferi: Cristo risorto riprende Adamo ed Eva come Buon Pastore
Verona, Chiesa delle Suore Orsoline Figlie di Maria Immacolata
[da questa icona: il “logo” del Giubileo della Misericordia”]
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SEGNO PIENO DELLA PASQUA “L`UNITà TRA LE CHIESE”