Sapienza Università di Roma - Facoltà di Lettere e Filosofia
Dottorato di Ricerca in
“Strumenti e Metodi per la Storia dell’Arte” (XXIV Ciclo)
“Le regole del gioco permettono infinite partite”.
Giochi linguistici, magie verbali e lingue inventate nelle opere su carta di Gastone Novelli.
Studio delle fonti e del contesto.
Coordinatrice: Prof.ssa Silvia Danesi Squarzina
Tutor: Prof.ssa Antonella Sbrilli Eletti
Candidata: Dott.ssa Ada De Pirro
Roma 20 giugno 2012
Hamm: Siamo noi che ringraziamo. (Pausa. Clov si avvia
alla porta) Ancora una cosa. (Clov si ferma). Un’ultima grazia.
(Clov esce). Nascondimi sotto il lenzuolo. (Lunga pausa). No?
Pazienza. (Pausa). Tocca a me. (Pausa). La mossa. Giocare.
S.Beckett, Finale di partita, 1961.
Indice
Introduzione
5
Cap. I Alchimie verbali. Gastone Novelli e la neoavanguardia.
1.1 In principio era il gioco di parole. Percorso tra parole e immagini nell'arte italiana
degli anni Sessanta e Settanta del '900.
11
1.2 La remise en question del linguaggio. Gastone Novelli.
18
1.3 Catalogazione e analisi dei giochi linguistici presenti nelle opere su carta di Novelli.
Confronto con altri artisti e analisi del contesto.
24
1.3.1 Alfabeto inventato.
25
1.3.2 Carme sesquipedale come combinazione fonica non codificata.
54
1.3.3 Catalogo figurato.
65
1.3.4 Combinazioni e serie numeriche.
83
1.3.5 Combinazioni foniche immaginarie, anagrammi, palindromi.
94
1.3.6 Corrispondenza lettere/ numeri/ figura umana.
104
1.3.7 Diario e dichiarazioni di poetica.
112
1.3.8 Gioco dell'oca, gioco dei dadi, disco di Festo.
118
1.3.9 Griglie e frammentazione organizzata della parola.
132
1.3.10 Parole rovesciate.
152
1.3.11 Quadrato magico.
157
1.3.12 Rebus.
164
1.3.13 Testi plurilinguistici.
176
3
Cap. II Il gioco linguistico tra arte e letteratura.
2.1 Sperimentazioni linguistiche tra neoavanguardia e artifici manieristici.
183
2.2 Novelli e il Gruppo 63.
190
2.3 Manganelli e Novelli.
197
2.3.1 Hilarotragoedia, i disegni di Novelli.
213
2.3.2 I dipinti inediti per Hilarotragoedia di Giovanna Sandri.
218
2.4 Novelli e l'avanguardia letteraria francese.
220
Conclusioni
227
Bibliografia
231
Ringraziamenti
250
Elenco abbreviazioni:
Arch.Nov. Archivio Novelli Roma
Arch.Mich. Archivio Francesco Michielin Treviso
4
Introduzione
La ricerca si inserisce in un filone di studi che in primo luogo ha per tema il gioco nell'arte
contemporanea, un tema che ha oggi una sua, seppur breve, storia espositiva avviata dalla
mostra L'arte del gioco da Klee a Boetti che si tenne a Aosta nel 2002.1 La consapevolezza
che il particolare rapporto arte/gioco abbia avuto una sua rilevanza risale alle avanguardie
storiche dell'inizio del Novecento. Fin dalle sue prime manifestazioni all'inizio del secolo,
la dimensione ludica nell’arte rivela sia un aspetto colto e filosofico con finalità spesso
anti-accademiche sia un aspetto popolare, di repêchage di forme tradizionali (gioco
dell'oca, rebus, sciarada), offrendo in ogni caso spunti e formati innovativi rispetto al
canone mimetico e figurativo.
La grande e documentata mostra del 2007 a Rovereto, La parola nell'arte: dal Futurismo
ad oggi attraverso la collezione del Mart,2 ha poi messo in evidenza quanto, nella maggior
parte dei casi, l'attenzione sia posta sul linguaggio con i numerosi inserti di parole e
proposizioni, secondo un assunto che può farsi risalire alla dichiarazione di Magritte: Dans
un tableau, les mots sont de la même substance que les images3 che rese esplicita e in
qualche modo ‘normativa’ la presenza della parole nel campo delle immagini.
Dopo le prime esperienze di inizio secolo, la relazione arte/gioco/parola fu riattivata nella
seconda metà, ovvero dopo il passaggio cruciale della seconda guerra mondiale e degli
anni Cinquanta, che avvertono la crisi che si manifesterà con forza e con diverse modalità
nei decenni successivi.
Al carattere liberatorio e dopotutto positivo precedentemente praticato, si va sostituendo la
dimensione di gioco intesa invece come presa di coscienza di uno scollamento tra arte e
1
2
3
Pietro Bellasi, Alberto Fiz, Tulliola Sparagni (a cura di), L’arte del gioco da Klee a Boetti, mostra al
Museo Archeologico di Aosta, 20.12.2002-13.5.2003. Catalogo Mazzotta, Milano 2003.
Melania Gazzotti, Julia Trolp (a cura di), La parola nell’arte: dal Futurismo ad oggi attraverso la
collezione del Mart, Mart Rovereto 10.11.2007-6.4.2008. Catalogo Skira, Milano 2007.
René Magritte, Les mots et les images, in La Révolution surréaliste, V, 12,15 dicembre 1929, p.32.
5
espressione, individuo e mondo. Questa nuova consapevolezza si intreccia a sua volta con
molti altri temi che, a seconda della sensibilità dei singoli artisti o dei singoli movimenti,
vengono coinvolti.
La parola e il linguaggio verbale entrano a far parte del materiale iconografico in forme
diverse. Questo ingresso nel mondo dell’arte figurativa viene inteso come montaggio di
elementi verbali nelle opere dei 'concretisti' o in quelle verbo-visive dei così detti 'poeti
visivi', dove la parola-segno è espressa sia con l’uso di caratteri tipografici o normografici
sia con la scrittura calligrafica.
Altri artisti intendono la presenza verbale e iconica in un modo che rivela la matrice
surrealista e informale, in una sorta di espressione liberatoria di impulsi psichici, emotivi e
culturali diversi.
Una delle fonti che sembra accomunare le varie interpretazioni è l’interesse per il gioco
linguistico teorizzato in senso ampio da Wittgenstein4 e già praticato da Duchamp.5
L’utilizzazione di artifici verbali, nelle loro molteplici accezioni, avvicina poi gli artisti
figurativi alle avanguardie letterarie europee le quali, a partire dalla fine degli anni
Cinquanta e per i due decenni successivi, lavorano allo scardinamento della concezione
tradizionale del linguaggio. Interessanti contatti, in un clima culturale condiviso, si creano
in quel periodo tra arte, letteratura, musica e drammaturgia.
In questo panorama, dopo una prima fase di studio, obiettivo della ricerca è stato quello di
ricostruire la situazione italiana rintracciando nelle opere di Gastone Novelli (1925-1968),
artista che lavorò nell’ambito della neovanguardia, le varie espressioni del gioco inteso
fondamentalmente come gioco combinatorio di un complesso sistema di segni.
4
5
Ludwig Wittgenstein, Ricerche filosofiche, ed. italiana a cura di M. Trinchero, Einaudi, Torino 2006
[1967].
Michèle Humbert, Giochi linguistici e linguaggio in Duchamp: dalla ruota di bicicletta a ‘With my
tongue in my cheek’, in Studi in onore di G.C.Argan, La Nuova Italia, Firenze 1994.
6
Dopo un decennio di ricerca tra astrattismo geometrico e informale, Novelli assume un
ruolo di primaria importanza nell’ambito della sperimentazione artistica degli anni
Sessanta e poi oltre dopo la morte avvenuta nel '68. Obiettivo della ricerca è dunque stato
anche quello di individuare con precisione i rapporti, diretti o indiretti, intercorsi con altri
artisti figurativi che hanno utilizzato la parola e i giochi di parole o schemi come quello del
cruciverba, del gioco dell’oca, dei mandala.
Il quadro che ne è emerso, ricco di esempi, volutamente è stato limitato agli artisti italiani
che fra gli anni Sessanta e Settanta si sono mossi sul versante verbo-visivo secondo varie
direttrici di ricerca e hanno usato con modi e finalità diverse giochi verbali nelle proprie
opere.
Partendo dalla considerazione di quanto significativa sia la scelta del medium e della
tecnica adottata dagli artisti, è stato stabilito di privilegiare, soprattutto per Novelli, le
opere eseguite su carta. I motivi di questa scelta sono strettamente legati, da un lato, alla
particolare condizione di maggiore libertà espressiva insita nelle opere tracciate a matita o
con tecniche ad acqua anche su fogli volanti o taccuini, e dall’altro, nel caso delle tecniche
a stampa, della necessità di meditare più a fondo sui singoli passaggi necessari alla
creazione delle opere. In ogni caso il materiale cartaceo riporta indubbiamente al supporto
primario con cui nascono i giochi comunemente intesi, siano essi da tavolo, enigmistici o
linguistici.
Il metodo adottato, come previsto dal progetto di ricerca, è stato di tipo storico - critico.
Molte sono state le istituzioni private e pubbliche dove è avvenuto lo spoglio di stampe e
disegni. Dopo una prima fase, svolta presso l'Istituto Nazionale per la Grafica di Roma (in
particolare il Fondo Romero), la ricerca dei materiali è stata svolta per la gran parte presso
l'Archivio Novelli di Roma dove è stato individuato un gran numero di documenti anche
inediti relativi alle opere grafiche dell'artista sul tema dello studio, alcuni consultabili in
7
originale, altri attraverso riproduzioni fotografiche. Per le opere degli altri artisti, la ricerca
è stata svolta principalmente presso l'Archivio Nuova Scrittura del Mart.
Le opere di Novelli e altri artisti sono state selezionate secondo la presenza di: scritte
calligrafiche o tipografiche, schemi di giochi da tavolo, griglie, citazioni o autocitazioni da
opere letterarie antiche o coeve, idea di montaggio di parti eterogenee, effettivi giochi
linguistici. Sono stati altresì presi in considerazione i lavori dove la presenza di lettere e/o
parole (spesso in più lingue) e numeri in forma calligrafica, riferimenti a simboli o
linguaggi esoterici e a culture diverse, schemi con segni, presenza o meno di cancellature,
avessero una loro rilevanza ai fini della ricerca. La catalogazione delle opere è stata
articolata in paragrafi distinti che riguardano gli alfabeti inventati, le combinazioni foniche
immaginarie, gli anagrammi e i palindromi, le corrispondenze tra lettere e figure e tra
lettere e numeri, l'uso di varie tipologie di griglie e schemi, le parole rovesciate, i testi
plurilinguistici, i rebus. Particolare rilievo è stato dato agli aspetti inediti della ricerca.
Lo studio bibliografico di testi, antichi e moderni, è avvenuto in un grande numero di
biblioteche e archivi italiani oltre che presso la British Library di Londra. Buona parte
della ricerca su Giorgio Manganelli (1922-1990) è stata svolta presso il Fondo Manoscritti
dell'Università di Pavia.
Lo studio su Novelli si è basato su tutte le pubblicazioni reperibili, a iniziare dai cataloghi
ormai storici di Zeno Birolli,6 e i due curati dalla grande studiosa Pia Vivarelli.7 Il primo
volume del catalogo generale dell'opera dell'artista,8 pubblicato nel corso della ricerca, è
stato strumento fondamentale per i confronti con alcune opere pittoriche e per i definitivi
chiarimenti su aspetti importanti della contestualizzazione del suo lavoro.
6
7
6
Zeno Birolli (a cura di), Novelli, Feltrinelli, Milano 1976.
Pia Vivarelli, Novelli 1925 - 1968, De Luca, Roma 1988; Pia Vivarelli (a cura), Novelli 1925 - 1968,
mostra al Palazzo delle Albere Trento. Catalogo Skira, Ginevra – Milano 1999.
Paola Bonani, Marco Rinaldi, Alessandra Tiddia, Gastone Novelli. Catalogo generale 1. Pittura e scultura,
Silvana, Milano 2011.
8
Inoltre, proprio alla fine del percorso di ricerca, è stato possibile consultare la biblioteca
privata di Gastone Novelli, confluita negli ultimi anni presso l'Archivio Michielin di
Treviso e che ancora non è stata né catalogata né studiata nella sua completezza e
ricchezza. Il fondo è uno straordinario strumento di studio che consente di approfondire i
legami di Novelli con i maggiori esponenti delle avanguardie letterarie e artistiche francese
e italiana del secondo dopoguerra.
Con la mostra Ah, che rebus! Cinque secoli di enigmi fra arte e gioco in Italia,9 e la
pubblicazione di due articoli è stato dato conto di alcuni dei risultati raggiunti.
Premesso che questo studio non pretende di essere esaustivo, è stato strutturato in due
capitoli. Il primo, Alchimie verbali. Gastone Novelli e la neoavanguardia, intende
inquadrare il tema del gioco linguistico per poi tracciare un percorso tra gli artisti della
neovanguardia italiana le cui opere ne presentano traccia; il secondo, Il gioco linguistico
tra arte e letteratura, è centrato sulle sperimentazioni linguistiche degli scrittori del
Gruppo 63 (in particolare il rapporto tra il pittore e Giorgio Manganelli) e della
neovanguardia francese con cui Novelli entrò in contatto.
9
Antonella Sbrilli, Ada De Pirro (a cura di), Ah, che rebus! Cinque secoli di enigmi fra arte e gioco in
Italia, Istituto Nazionale per la Grafica, Palazzo Poli Roma 17.12.2010-8.3.2011. Catalogo Mazzotta,
Milano 2010.
9
Cap. I Alchimie verbali. Gastone Novelli e la neoavanguardia.
10
1.1 In principio era il gioco di parole. Percorso tra parole e immagini nell'arte italiana
degli anni Sessanta e Settanta del '900.
Il gioco di parole
All'inizio del secolo il motto di spirito, che comprende i giochi linguistici, è stato oggetto
di studio da parte di Freud,10 che mise in luce il carattere liberatorio e vitale di una pratica
“improduttiva”, legata all'attività onirica.
Nelle sue Ricerche filosofiche Wittgenstein usa il termine “giochi linguistici” per
sottolineare il fatto che il linguaggio è un'attività o una forma di vita. Come esempi di un
campo molto eterogeneo porta una serie di attività che non si possono ridurre a un concetto
comune,11 ma a una “somiglianza di famiglia” dovuta essenzialmente all'uso che si fa del
linguaggio, che non è sottoposto a regole definite ma alla sua stessa realtà. A proposito di
regole Wittgenstein instilla poi il dubbio: «Parlando dell’applicazione di una parola ho
detto che essa non è limitata dovunque da regole. Ma allora che aspetto avrà un gioco che
sia completamente limitato da regole? Un giuoco le cui regole non lascino infiltrarsi
nessun dubbio, gli tappino tutti i buchi?» (84). «Una regola sta lì come un indicatore
stradale. – Non lascia àdito ad alcun dubbio circa la strada che devo prendere? (…)E se
invece d’un indicatore stradale ci fosse una fitta successione d’indicatori o di segni di
gesso sulla superficie stradale – ci sarebbe per essi una sola interpretazione?» (85).12
È “l’abisso di nonsenso”13 come lo definisce Stefano Bartezzaghi, il grande campo
d’azione del gioco di parole e che, in definitiva, spinge artisti e intellettuali a misurarsi nel
10
11
12
13
Sigmund Freud, Il motto di spirito e la sua relazione con l'inconscio, tr.it. S.Giametta, Rizzoli, Milano
2010.
Wittgenstein, cit., 2006 [1997], (23) p.21.
Wittgenstein, cit., 2006 [1997], p.56.
Stefano Bartezzaghi, Orizzonte verticale, Einaudi, Torino 2007, p.294.
11
corso del Novecento con le diverse coniugazioni di giochi linguistici. Il processo di
riavvicinamento verso le forme linguistiche e iconiche praticate soprattutto tra manierismo
e barocco - abbandonate nel corso del Settecento e riprese come forma di intrattenimento
dalle riviste di enigmistica classica e popolare tra seconda metà dell’Ottocento e inizio
Novecento - è sostenuto, come noto, da un diverso rapporto che si è venuto a creare con il
linguaggio, soprattutto nella forma scritta. La frammentazione, la dimensione enigmatica e
ludica, il rapporto sempre più stretto tra parole e immagine, sono elementi che portano
all’acquisizione spontanea di modelli creativi che non intendono produrre un ‘senso’ inteso
come descrizione di situazioni reali.
«In principio era il gioco di parole» afferma il narratore in Murphy di Beckett (1938), lo
scrittore che tanto si è sporto sugli “abissi del nonsenso”, e che voleva sentenziare sui
giochi di parole riusciti o meno.14 Anche se il termine è molto usato, nelle diverse
definizioni di gioco di parole, linguistico, verbale, non sempre si riesce a definirne i confini
con esattezza e le possibilità di coniugazione sono veramente tante.
Il problema riguarda soprattutto la descrizione e la classificazione: esistono circa cento tipi
di giochi linguistici (oltre a quelli complessi, misti e ibridi)15 ben rappresentati dagli studi e
dai repertori di Giampaolo Dossena, fra i quali il suo recente dizionario.16 Per la loro
classificazione, Giraud parte dall'opposizione fatta da Jakobson tra 'asse sintagmatico' e
'asse paradigmatico' per distinguere due grandi tipologie di giochi linguistici: 'per
sostituzione' e 'per concatenazione', più un terzo non contemplato da Jakobson, l'inclusione
in un discorso di suoni o di parole incorporate o invertite come nell'anagramma o
nell'inversione di lettere o sillabe.
La classificazione si complica per gli aspetti fonici o lessicali che possono intervenire, e
14
15
16
Bartezzaghi 2007, cit., p.291.
Pierre Giraud, Les jeux des mots, Presses Universitaires de France, Paris 1976.
Giampaolo Dossena, Il dado e l'alfabeto. Nuovo dizionario di giochi con le parole, Zanichelli, Bologna
2004.
12
per un'altra categoria, quella dei giochi 'pittografici' come i rebus e i calligrammi.
Tra gioco e artificio, i giochi verbali, visti anche dalla prospettiva del gioco enigmistico, si
muovono nella medesima area della poesia perché generati da origini comuni ma si
separano, secondo Giovanni Pozzi, per l'aleatorietà, l'azzardo e il gusto del travestimento.
Inoltre gli artifici istituzionalizzati del linguaggio poetico non si possono accostare agli
artifici del gioco.17 Nella poesia le figure artificiose emergono nella struttura formale,
quindi «non dalla composizione in sé, bensì dalla tensione che si crea fra la spinta
decompositiva e la spinta ricompositiva» di schemi già acquisiti. Nasce così un altro modo
di significare da una pratica di frammentazione e ricomposizione che dà luogo a una
infinità di figure che «per quanto siano bizzarre, artificiose e contorte, rappresentano
tuttavia quasi in una sintesi schematica le qualità più specifiche del discorso che
chiamiamo poetico e portano in sé una semiosi elementare e primigenia che si erge a suo
simbolo e ne rappresenta quasi il sublimato o l'estratto».18 Se le figure artificiose sono per
Pozzi l'essenza stessa della poesia, secondo lo studioso, la loro ripresa nel Novecento si
muove in un territorio già abitato ed è animata unicamente dalla volontà ludica sempre
presente. Ma questa affermazione non dà conto della portata del fenomeno che ha
coinvolto la letteratura e l'arte figurativa in maniera così evidente.
Nonostante molti studiosi e molti artisti abbiano dato per certo un filo conduttore che
unisce forme verbo-visive antiche, soprattutto del periodo manieristico e barocco, Pozzi, la
cui opera ha dato molti spunti a questa ricerca, lo ha negato anche parlando dell'Italia, in
quanto «l’apparente vuoto che sta dietro le intense prove delle nostre avanguardie (…) è
dovuto a pura disinformazione che sembra colpisca di striscio, poiché riguarda un periodo,
quello barocco, su cui la conoscenza dell’intero complesso è ancora incompleta, ma che in
realtà colpisce di fronte: valga per tutti la vicenda dell’acrostico nella nostra poesia che
17
16
Giovanni Pozzi, Poesia per gioco. Prontuario di figure artificiose, Il Mulino, Bologna 1984.
Pozzi, ivi., pp.8-9.
13
(…) non è mai stato oggetto di un’analisi complessiva».19
La disinformazione di cui parla Pozzi si può forse rapportare a passaggi culturali che non
sembrano avere una loro evidenza ma che avvengono per canali non sempre chiari e
leggibili, spesso sotterranei e carsici.
Percorsi
Si possono tracciare diversi percorsi tra le opere di arte figurativa che hanno accolto al loro
interno singole lettere, parole, frasi, con tecniche e modalità diverse. Uno dei possibili
'inventari' è stato ricostruito in Esploratori di parole di Zanchetti,20 scritto in occasione
della mostra al Mart.
I nomi degli artisti italiani citati nel saggio sono quelli ricorrenti nel panorama delle
sperimentazioni verbo-visive, visti, in questo caso, dalla prospettiva del complesso
rapporto con la parola poetica e letteraria come si è andato costruendo nel corso di tutto il
Novecento.
Quello che invece si vuole brevemente proporre all'inizio di questa ricerca centrata sul
particolare aspetto del gioco linguistico nelle opere della neoavanguardia artistica italiana,
è un percorso pluridirezionale che crea una rete di relazioni, spesso sotterranee, tra opere e
contesti anche molto diversi tra loro, ma accomunati da riprese di forme di interazione tra
parola e immagine nel segno della continuità con il passato, anche molto lontano.21
Oltre che a Novelli da cui parte tutta l'indagine, l'attenzione è dunque data più alle singole
opere che agli autori, cercando di volta in volta di inquadrarle all’interno di una specifica
situazione culturale.
19
Giovanni Pozzi, La parola dipinta, Adelphi, Milano 2002 [1981], pp.13-14.
Giorgio Zanchetti, Esploratori di parole, in La parola nell'arte 2007, cit.
21
Lamberto Pignotti, Stefania Stefanelli, Scrittura verbovisiva e sinestetica, Campanotto, Udine 2011,
pp.13-17.
20
14
Nell'ambito della neoavanguardia italiana, a parte i casi di artisti che si sono interessati
esplicitamente a testi antichi di varie discipline e che hanno utilizzato i giochi linguistici in
maniera rilevante e fondante come nel caso di Novelli, molti altri si sono accostati a giochi
linguistici e enigmistici come modalità espressiva ricca di potenzialità eversiva rispetto al
linguaggio tradizionale senza per questo doversi rifare esplicitamente a modelli del
passato. Dopo le sperimentazioni futuriste, dada e surrealiste, l'interazione tra parola e
immagine è stata acquisita e così la possibilità di introdurre la dimensione ludica nel
linguaggio.
Per alcune opere, anche l'enigmistica popolare è diventata materiale a cui far riferimento.
Le sue origini sono incerte, tanto che per Bartezzaghi si può parlare di continue
reinvenzioni delle forme più conosciute: anagramma, rebus, parole crociate. Lo studioso,
nel riferirsi alla Metametrica di Caramuel, parla di combinatoria affermando qualcosa di
particolarmente interessante a proposito di ritorni in auge di forme che sembravano
appartenere al passato: «È un campo in cui la poligenesi è la regola: e Caramuel
probabilmente apprezzerebbe la conclusione per cui le idee fondative di ogni combinatoria
sono, a loro volta, parti di una meta-combinatoria, e perciò possono essere generate
indipendentemente da eventuali precedenti, con rassomiglianze anche stupefacenti.(…) La
visione mutevole, metamorfica della poesia porta con sé un principio dinamico. Questo è
un piccolo motivo della stilistica del gioco di parole.».22
Il principio dinamico, alla base della parola poetica è lo stesso che viene acquisito dalle
prove di arte figurativa che accolgono al loro interno la parola, soprattutto quando
frammentata nei singoli fonemi di cui è composto l'alfabeto.
Come sarà argomentato nello svolgersi della ricerca, gli artisti italiani citati si muovono
tutti, a partire da Novelli - oltre che dalle fondamentali esperienze futuriste, dada e
22
Stefano Bartezzaghi, Combinazioni segrete e figure di parole. La Metametrica di Caramuel e
l'impossibile storia dell'enigmistica, www.engramma.it, n.54, marzo 2007.
15
surrealiste - sulle tracce di alcune fondamentali figure di riferimento: Paul Klee, Marcel
Duchamp, Emilio Villa.
Partendo da premesse molto diverse, questi artisti hanno lavorato sull'aspetto lirico e
enigmatico della parola che diventa immagine, inserendo lettere, numeri e frasi in
composizioni astratte eseguite con le tecniche tradizionali della pittura, della grafica e
dell'acquarello il primo; sulla parola e il gioco di parole come elemento fondante di tutto il
suo lavoro il secondo; eseguendo con la scrittura calligrafica magmatiche composizioni su
supporti cartacei e plastici il terzo.
Anche il Lettrismo di Isidore Isou si trova sullo sfondo di molte sperimentazioni della
neoavanguardia italiana, andando a approfondire un legame culturale con la Francia già
molto stretto grazie ai rapporti storicizzati con artisti surrealisti e dada. Le prove di Poesia
concreta brasiliana dei fratelli de Campos e Decio Pignatari e svizzera di Eugen Gomringer
sono anch'esse da mettere in riferimento con alcune delle opere prese in considerazione.
Le opere di Novelli sono state messe in relazione, in questa ricerca, a quelle di altri artisti
italiani che hanno lavorato negli stessi anni Sessanta e oltre, fino a tutti gli anni Settanta,
gli anni della neoavanguardia. Con alcuni di loro Novelli era in contatto e con molti altri
no.
Il fatto di condividere uno stesso clima culturale che porta gli artisti citati a giocare con le
parole o a utilizzare particolari schemi propri di giochi enigmistici o da tavolo, è il motivo
della loro presenza in questo percorso.
Alcuni sono i caratteri comuni o particolari che si possono individuare. Tutte le opere
selezionate presentano scritte calligrafiche o tipografiche (dattiloscritte o industriali). In
molte è adottata la combinatoria di elementi fonetici (Villa, Oberto, Carrega). Alcune
presentano schemi di giochi da tavolo come quello dell'oca (Baruchello), altre, griglie che
16
possono riportare a quella del gioco enigmistico del cruciverba (Perfetti, Miccini, Chiari) o
a quella di origine esoterica del quadrato magico (Boetti). Il dispositivo del rebus ha molti
esempi (Festa, Miccini, Lora-Totino, D'Ottavi, Sarenco), mentre le serie numeriche si
riscontrano in relativamente poche opere (Mussio).
Un altro aspetto che accomuna in molti casi le opere è la citazione da testi, figurativi o
verbali, antichi o contemporanei. Frequente l’autocitazione.
Uno degli aspetti più interessanti è l'uso del montaggio di parti eterogenee che può essere
effettuato sia con la tecnica del collage, o dell'assemblage, o direttamente sul supporto con
tecniche grafiche di vario tipo.
17
1.2 La remise en question del linguaggio. Gastone Novelli.
Nell'ambito delle sperimentazioni verbo-visive, Gastone Novelli è un artista che ha
costruito una sua particolare fisionomia e che difficilmente può essere inserito in una
tendenza codificata.
Inizia a partecipare a mostre dedicate allo specifico rapporto con la scrittura fin dalla fine
degli anni Cinquanta. Nei primi anni Sessanta è invitato a mostre internazionali con
lettristi, informali e artisti indipendenti.23 La sua produzione artistica degli anni Sessanta
non risente tanto di teorizzazioni specifiche nel campo delle sperimentazioni artistiche che
si andavano facendo in quegli anni da parte di artisti collocabili nell'ambito della Poesia
visiva di area ligure (Oberto, Carrega) o napoletana (Caruso, Diacono) o ancora toscana
(Miccini, Pignotti) e delle riviste e pubblicazioni di riferimento. Novelli sembra seguire
prevalentemente il dibattito in corso tra letterati francesi surrealisti (Breton) e tardo
surrealisti (Bataille, Klossowsky, de Solier) o che lavoravano sul tema dell'assurdo, del
nonsense e del gioco linguistico (Beckett), e poi italiani del gruppo dei Novissimi e poi del
Gruppo 63 come sarà messo in evidenza nel corso di questa ricerca.
«Operare nell'ambito delle arti figurative è sperimentare ed esprimere con segni e figure,
come si può sperimentare ed esprimere con le parole o le azioni. La differenza tra un
linguaggio figurativo attivo creativo, e uno accademico, è che mentre il primo nasce da una
totale remise en question delle strutture preesistenti per portare alla comunicazione i
risultati di una “nuova visione”, il secondo rappresenta, imita i dati acquisiti di una realtà
statica».24
23
24
Di particolare importanza: A.Robin [Isidore Isou] (a cura di), La lettre et le signe dans la peinture
contemporaine, Galerie Valérie Schmidt, Parigi gennaio 1963; Dietrich Mahlow (a cura di), Schrift en
beeld. Art and writing. L'Art et l'écriture. Schrift und Bild, Stedelijk Museum, Amsterdam 3.5-10.6 1963
poi allo Staatliche Kunsthalle, Baden-Baden 14.6-4.8 1963.
Gastone Novelli, Il linguaggio e la sua funzione, in “Civiltà delle Macchine”, n.1, 1969, ora in
18
Come già notava Birolli, Novelli è attratto dalla qualità visiva della scrittura,25 ma è alla
letteratura e alla saggistica che si rivolge per superare “strutture ereditate e non contestate”
nell'arte figurativa. Pur avendo contatti con artisti che si muovono nell'ambito verbovisivo
- a Roma all'inizio degli anni Sessanta i luoghi di incontro non mancavano tra gallerie26 e
bar del Tridente - non fece mai parte di un gruppo di ricerca artistica connotata preferendo
frequentare e lavorare con scrittori e poeti di avanguardia anche per elaborare a quattro
mani opere di poesia visiva come le due eseguite con Alfredo Giuliani.
Gli artisti che frequentava negli anni Sessanta, oltre a Perilli, erano alcuni di quelli che
compaiono nel primo numero di “Grammatica”, la rivista fondata con gli scrittori del
Gruppo 63.27
Era quindi lontano, a parte qualche breve incursione, dalle sperimentazioni di Martino
Oberto o dalla 'poesia tecnologica' di Eugenio Miccini e Lamberto Pignotti, anche se si
possono riscontrare alcune affinità soprattutto con il primo.
L'opera verbovisiva di Novelli era affine a quella lirica di Twombly, da lui conosciuto e
frequentato già dalla fine degli anni Cinquanta. Entrambi partecipavano alle attività della
galleria La Tartaruga di Plinio de Martiis, tramite fondamentale, insieme a Giorgio
Franchetti, con gli artisti e i galleristi americani.
Differenze e affinità tra i due artisti sono già state analizzate in maniera esaustiva da
Birolli,28 che ha messo in luce la diversa qualità della scrittura e delle cancellature nella
loro opera. Ciascuno risente della diversa formazione culturale legata alle esperienze
pittoriche e liriche americane degli anni Cinquanta nell'ambito dell'espressionismo astratto
25
26
27
28
“Grammatica 5”, La Nuova Foglio Editrice/ Altrouno, Macerata maggio1976, p.46.
Birolli 1976, cit., p.14.
Agnese De Donato, Via Ripetta 67, Dedalo, Bari 2005.
Achille Perilli, Gastone Novelli, Alfredo Giuliani, Giorgio Manganelli (a cura di), “Grammatica”, n.1,
Roma 1 novembre 1964
Birolli 1976, cit., pp.19-27.
19
il primo, al «pensiero e la sperimentazione fenomenologica che proveniva dall'area
francese e che significava alla fine degli anni cinquanta una scoperta o un recupero degli
strumenti linguistici e della percezione», il secondo.
Ma, per Birolli, a marcare la differenza pur nell'affinità è l'uso dei supporti, carta o tela, e
degli strumenti, soprattutto la matita che in Novelli è lontano dalla produzione di «segni
esistenziali e apocalittici di Twombly» per dare invece «senso e struttura discorsiva a
quanto è rimasto nella catalogazione». Sullo sfondo dell'opera di Novelli appare di
frequente la presenza di Klee, artista apprezzato fin dagli anni Cinquanta quando il pittore
italiano ma di madre austriaca tradusse, per la prima volta in lingua italiana, una parte degli
scritti teorici per “Esperienza Moderna”.29 I segni alfabetici, numerici e geroglifici usati
dall'artista svizzero sono in più occasioni utili riferimenti per comprendere l'uso che ne fa il
pittore italiano.
Anche nelle opere pittoriche Novelli privilegia la parte grafica, un aspetto che alcuni
critici hanno messo in rilievo. Nei dipinti e nelle opere su carta l'artista lascia al bianco un
grande spazio. Mentre nelle tele usa spesso velare con colore bianco segni già tracciati e
lasciati così in trasparenza. Raramente i segni vengono completamente ricoperti come
accade nelle opere di Twombly.30
Il bianco in Novelli è sicuramente il ‘muro’ sul quale scrivere infinite annotazioni,31 ma è
anche il doppio del proliferare delle parole da contrapporre al vuoto della superficie
candida del foglio o del pigmento. «Il bianco è il colore per eccellenza (coprire un corpo,
una città, un mondo di bianco e scrostarne alcune parti significative), esistono una quantità
29
30
31
Paul Klee, Le cose della natura analizzate dal loro interno. Essenza ed apparenza, traduzione di
G.Novelli dal libro Paul Klee, das bildnerische Denken, a cura di J. Spiller, Benno Schwabe & Co.,
Basel-Stuttgard 1956, in “Esperienza Moderna” n. 1, Roma aprile 1957, pp.24-26. Nello stesso numero
della rivista un articolo di N.Ponente, Paul Klee, p.23.
Cy Twombly parla del suo rapporto con il bianco in una sua dichiarazione senza titolo su “Esperienza
Moderna” 1957b, cit., p.32.
Scritto sul muro è un importante testo scritto da Novelli nel gennaio del '58 in occasione dell'edizione di
26 litografie edite a cura di Pino Rocchi per le edizioni de “L'Esperienza Moderna”.
20
di bianchi: aspro e assorbente (gesso), morbido ma respingente, che costringe cioè a una
lettura di superficie (calce), sordo ( fondo di sabbia imbiancato a biacca), viscido (olio) e
così via. Una tempera bianca data a copritura con un giusto spessore costringe ad una
lettura in profondità».32 Il bianco di Novelli è da collegare con la ricerca dell’origine del
linguaggio. La ‘profondità’ del non-colore o della somma-dei-colori è la stessa della
potenzialità del Nulla primigenio ricercato nei primi anni. Sullo sfondo rintracciamo
sempre la ricerca di quell’originarietà teorizzata da poeti come Emilio Villa (1914-2003) e
artisti come Corrado Cagli (1910-1976),33 conosciuti e frequentati negli anni Cinquanta.34
Basta scrostare un po’ di superficie per arrivare al segno e alla parola-segno. Come se tutto
fosse già stato scritto. È compito dell’artista determinare le parti da portare alla luce, nella
ricreazione del mondo. Distante da una presunta impostazione 'scientifica', il progetto di
Novelli non segue un andamento stabilito a priori, ma le pulsioni che via via si trova ad
esporre. Il suo segno-scrittura non è completamente organizzato ma sembra accadere
direttamente sul vuoto dello spazio. Il bianco è lo spazio della pagina vuota su cui
muoversi con libertà (Mallarmé).
Il tema del gioco è sempre molto presente. Un gioco colto e leggero allo stesso tempo, che
richiede una partecipazione ma che si mantiene comunque a una certa distanza. I suoi
lavori sono un invito a varcare il confine già valicato tra arte e scrittura, dove si può
accettare tutto come segno, e quindi senza distinzione tra significante e significato, oppure
come senso e allora si scoprono tanti riferimenti e messaggi che si possono cogliere.
Le opere del periodo che è stato preso in esame - che va dal '58 al '65 - manifestano un
insieme di stratificazioni semantiche prodotte dall’assorbimento di istanze culturali
32
33
34
Gastone Novelli, Pittura procedente da segni, in “Grammatica” 1964, cit., pp.10-11.
Corrado Cagli, G.Novelli, numero unico edito da “Dimensione”, ottobre 1956. E' la prima monografia
sull'artista che viene inserito in un contesto 'orfico'.
Nicola Spano, Il concetto di “origine”di Emilio Villa nell’arte di Gastone Novelli, tesi di dottorato (XVII
ciclo) Università di Siena.
21
eterogenee, accumulate nei dieci anni di attività precedente, nutrita di molti interessi, come
l’antropologia culturale e lo studio delle lingue delle popolazioni primitive, e poi esoterici
e linguistici.
I frequenti riferimenti al gioco dell’oca - assimilato talvolta al disco di Festo, alla ruota
della fortuna e ai mandala - alle griglie del cruciverba e al rebus, in composizioni dove
l’uso della parola è sostanziale, danno la misura di quanto il gioco per Novelli sia
fondamentalmente gioco linguistico, dove le lettere dell’alfabeto, le parole, le citazioni e le
autocitazioni diventano materiale iconografico e consentono “infinite partite”35 di
combinazioni e catalogazioni di segni. A volte la stessa parola si esprime con modalità
affabulatoria che rimanda alla teoria centrale del neo-gnosticismo con cui Novelli entrò in
contatto tramite Villa negli anni Cinquanta e che approfondirà in seguito interessandosi
agli stati di alterazione psichica. L'affabulazione e la frequente sequenza di serie di lettere
A reiterate nello spazio, unite a altri indizi, mettono in evidenza quanto per l'artista sia
importante anche l'aspetto sonoro della parola che rimanda all'oralità primitiva.
La presenza di giochi linguistici nelle opere di Novelli è una delle manifestazioni del clima
sperimentale delle neoavanguardie letterarie con le quali l’artista entrò in contatto, nutrito
anche dallo studio degli scritti di Duchamp documentato da precisi riferimenti alla Scatola
verde in alcune sue dichiarazioni programmatiche come PPQ del '60.36
La capacità creativa dell'artista lo porta a reinventare tanto, forse tutto. Una delle sue
capacità principali è quella di prelevare da contesti eterogenei quello che più lo interessa in
un determinato momento e farlo proprio, ricreandolo. Un esempio su tutti è la personale
35
36
Gastone Novelli, “Grammatica” 1964, cit.: «Il lavoro artistico si può paragonare a un gioco che ha le sue
regole precise ma permette infinite partite, ed ogni singola partita è comprensibile solo attraverso la
conoscenza del gioco a cui appartiene».
Marcel Duchamp, Marchand du sel, Le Terrain Vague, Paris 1959. E’ la prima pubblicazione degli scritti
di Duchamp che Novelli legge (Arch.Mich.) e cita nei suoi scritti, in particolare in PPQ, in “Crack”,
Krachmalnicoff, Milano, giugno 1963, p.43, ora in “Grammatica” 1976, cit., p.33.
22
rielaborazione, ogni volta diversa, dell’alfabeto quadrato dei cabalisti (cfr. §1.3.1).
Uno degli aspetti che sembra essere più carico di valenze culturali è il riferimento, in
alcune opere o appunti, a testi letterari o scientifici del passato: testi che vanno dal XVI al
XVII secolo, che trattano materie diverse come la linguistica ludica o le discipline
esoteriche e la numerologia. Ma anche testi di medicina e di scienza. A questo proposito fu
sicuramente il testo di Jung, Psicologia e alchimia, che contribuì all'apertura nei confronti
di un grande numero di discipline diverse. Jung, letto e citato da molti intellettuali
contemporanei, compare di frequente in riferimenti (non dichiarati) dello stesso Novelli nei
suoi scritti.
Dalle opere selezionate emerge la ricca rete di relazione personali e artistiche con
personaggi di assoluto rilievo nel panorama italiano e francese degli anni Cinquanta e
Sessanta. E riflettono, via via, le sue imprese culturali: la rivista “L’Esperienza Moderna”37
fondata con Achille Perilli con cui inizia a creare rapporti di scambio e amicizia con
scrittori e intellettuali italiani e francesi (alcuni dei quali presenti in Antologia del
possibile38) fino alla fondazione, con gli scrittori del Gruppo 63, della rivista
“Grammatica”39 in cui nel primo numero sono presenti, tra l’altro, opere di altri artisti
figurativi che in quegli anni condividevano il clima culturale e, alcuni, la forma verbovisiva: Taiuti, Cego, Tolve, Novak, Libertucci, Scialoja, Cotani, Aste.
37
37
39
Achille Perilli, Gastone Novelli (a cura di), “Esperienza Moderna”, n.1 aprile 1957, n.2 agosto 1957, n.3-4
dicembre 1957, n.5 marzo 1959, Roma.
Gastone Novelli (a cura di), Antologia del possibile, Scheiwiller, Milano 1962.
“Grammatica” 1964, cit.
23
1.3 Catalogazione e analisi dei giochi linguistici presenti nelle opere su carta di Novelli
a confronto con altri artisti contemporanei.
La catalogazione e l'analisi delle opere dalla prospettiva del gioco linguistico sono state
effettuate partendo da alcuni elementi ricorrenti: scritte calligrafiche con preferenza per
l’uso di matite e pastelli, adottate anche nei dipinti; trascrizione di testi a volte in lingue
diverse; inserimento in griglie più o meno regolari (in assenza di griglie vere e proprie,
riquadri che ricordano le colonne degli articoli di giornali o di cataloghi); riferimenti a uno
o più giochi linguistici in uno stesso lavoro; serie numeriche; uso di diversi alfabeti, spesso
di lingue antiche o esotiche; catalogazione di segni, forme, colori.
Le opere sono state analizzate e suddivise per categorie di giochi di parole o di
'emergenze' utili ai fini della ricerca. Tale catalogazione si è avvalsa in buona parte dei
criteri indicati da Giovanni Pozzi nei fondamentali testi La parola dipinta40 e Poesia per
gioco.41 Riferimento indispensabile per lo studio sono stati i numerosi saggi di Stefano
Bartezzaghi
40
41
Pozzi 2002 [1981], cit.
Pozzi 1984, cit.
24
1.3.1 Alfabeto inventato
Gastone Novelli, dopo un decennio denso di esperienze che lo portano a viaggiare, a
intraprendere studi di sociologia e antropologia, a conoscere intellettuali e artisti italiani e
francesi, nel 1957 inizia a tracciare parole nelle sue opere.
E’ lo stesso anno in cui accompagna con quattro litografie e un disegno i versi di Dacia
Maraini e con tre monotipi, un disegno e un collage, Un eden precox di Emilio Villa.
Collaborazione quest’ultima nata dall’amicizia che si venne a creare tra i due artisti
durante il loro soggiorno brasiliano, all’inizio degli anni Cinquanta. La figura del grande
ed eretico poeta, cultore delle lingue ‘originarie’, semitista, traduttore filologicamente laico
della Bibbia, studioso dei dialetti mesopotamici e del Medio Oriente,42 di latino e greco
antico, ebbe certamente un ruolo importante nella ricerca linguistica e semiologica di
Novelli. L’intensa ricerca sulla parola fatta da Villa, che spazia tra prove di incontenibile
plurilinguismo, con uso di giochi di parole, di assonanze e di allitterazioni, resterà sullo
sfondo dell’opera del pittore anche quando, all’inizio degli anni Sessanta, i percorsi si
divaricheranno: Novelli si avvicinò alla ricerca sperimentale degli scrittori Novissimi,
riuniti poi nel Gruppo ’63, avanguardia nella quale Villa non si riconobbe entrando anzi in
polemica con alcuni esponenti.
Alla formazione della “coscienza semiotica”43 del nostro, contribuirono, come noto, anche
altri incontri che avvennero sempre negli anni Cinquanta. In primo luogo con l’opera di
Paul Klee (che iniziò a conoscere durante il suo soggiorno brasiliano)44 e con gli scritti di
Duchamp che hanno avuto un ruolo fondamentale di apertura verso la possibilità di
coniugare la parola con l’immagine, non lontana dalla ricerca sugli archetipi linguistici ma
41
43
44
“Il Verri su Emilio Villa”, a cura di Aldo Tagliaferri, n.7-8, novembre 1998, p.6.
Marco Rinaldi, Dal linguaggio magico alla coscienza semiotica: l’universo poetico di Gastone Novelli, in
Strappare il mondo al caso: comunicazione estetica e neoavanguardia in Italia (1956-1964), Bagatto,
Roma 2008.
A Paul Klee fu dedicata una sala alla seconda Biennale di San Paolo nel 1953, quando Novelli era ancora
in Brasile.
25
da altre prospettive.
L’incontro poi con gli scrittori dell’avanguardia tardo surrealista francese come Bataille,
Klossowski, de Solier, ha avuto un ruolo di grande importanza anche dal punto di vista
degli interessi per la cultura esoterica e alchemica.
Novelli, laureato in sociologia, si avvicinò anche all’antropologia strutturalista soprattutto
attraverso la lettura approfondita dei testi di Claude Lévi-Strauss. La pensée sauvage,
pubblicato in francese nel 196245 è un libro letto attentamente dall’artista che ne riporta senza mai dichiararlo - molti passaggi negli scritti e nelle opere.
Novelli riuscì, nella sua produzione degli anni Sessanta, a coniugare la sperimentazione e il
suo interesse per gli archetipi, siano essi segni figurali o lettere di alfabeti. L'obiettivo era
quello di costituire una pittura che fosse «un universo-linguaggio e, sotto questo aspetto,
l’operare in pittura è indagare, catalogare, raccogliere frammenti e segni».46 In un contesto
in cui gli inserti testuali hanno un valore fortemente visivo e il significante ha più
importanza del significato, l’alfabeto, sistema di segni grafici e fondamento di (quasi) ogni
vocabolario, diventa materiale linguistico che conserva in assoluto una propria aura
virginale. L’intero sistema è destrutturato in particelle con l'uso delle singole lettere che di
volta in volta sono composte in sillabe, parole, frasi o ristrutturate in sequenze continue che
conservano la melodia di un suono ancestrale, così come stavano già sperimentando i
lettristi francesi. Questo rende l’artista libero di creare un proprio ‘universo linguistico’
autonomo in cui sono inclusi frammenti di figure, che vanno a costituire così un repertorio
di segni di varia origine. E, come già per i lettristi, non solo l’alfabeto latino ma quelli di
tante altre lingue interesseranno l’artista italiano. Novelli, tra i segni delle varie lingue
naturali riportate nelle sue opere, utilizzò anche quelli di una lingua inventata,
recuperando, come vedremo, un’antica tradizione di origine esoterica.
45
46
Claude Lévi-Strauss, La pensée sauvage, Plon, Paris 1962.
Gastone Novelli, Sul linguaggio, in “Bit” n.2, 1967, ora in “Grammatica” 1976, cit., p.38.
26
Premesso che l’alfabeto inventato non è mai presentato nella stessa versione ma sempre
con delle varianti, le prime opere in cui compare sono due tele del ’63, La grande voile e
Soror Mistica.47 Erano anni in cui Novelli andava elaborando anche alfabeti creati da
piccole figure geometriche come nell’opera su carta Centro, intervento, tesoro del 1964,
che riproporrà con varianti in altre opere. È in due importanti dipinti dello stesso anno, Il
vocabolario e Analisi dei frammenti che il codice inventato compare, assumendo un ruolo
preciso nella catalogazione di segni operata dall’artista in questa fase del suo lavoro. Lo
stesso alfabeto viene riportato, oltre che in una pagina dattiloscritta del Viaggio in Grecia pubblicato nel 1966 ma scritto a partire dal 1963 - nei tre disegni del 1965, Tavola degli
ornamenti, Tavola bilingue e uno senza titolo che fa parte del Quaderno delle intenzioni.
Dopo avervi accennato ancora nel quadro Il viaggio dell’aquilone, sempre del ’65,
l’alfabeto inventato sembra scomparire sia dalle opere su tela che da quelle su carta. Ne
rimane memoria nel recupero di forme quadrate presenti in alcuni lavori degli ultimi anni.
L’alfabeto re-inventato di Novelli. Analisi delle opere
In Centro, intervento, tesoro (fig.1) è disegnato un alfabeto fatto di piccole figure
geometriche che sembra annunciare l’uso dell’alfabeto inventato. Ha un aspetto
programmatico per via delle tre parole scritte in verticale sul lato sinistro del foglio.
La prima, centro, è associata a una scritta: numerare e catalogare riempire lasciare
ritmare muovere semplificare chiarire organizzare orchestrare immaginare fare fare dei
nuclei attrarre concentrare partendo dal centro verso l’esterno. Con una freccia carica di
lettere A, viene indicato un alfabeto latino e la sua traduzione con figure più o meno
geometriche. A ogni lettera corrisponde una figura sempre diversa.
La seconda, intervento, è associata alle parole ordine struttura catalogo disposizione e a
uno schema nel quale i segni dell’alfabeto di forme geometriche è associato a gruppi di
47
Entrambe le opere sono in collezioni sconosciute e le foto sono in b/n (Catalogo generale Novelli 2011).
27
lettere latine. La terza, tesoro, è associata a natura occasione fertile campo di raccolta
disponibilità strumenti vocabolario elementi fossili archetipi frammenti, parole disposte in
linea sopra un insieme di segni a trattini e puntini.
Le parole scritte rivelano - a parere di chi scrive - la riflessione fatta sui testi di LéviStrauss. I termini usati fanno infatti parte del repertorio utilizzato dall’antropologo francese
per definire le basi teoriche della sua distinzione tra pensiero ‘scientifico’ e pensiero
‘magico’, del quale si trova traccia, con vere e proprie citazioni, negli scritti di Novelli.48 Il
testo presenta riscontri in alcune opere su tela e su carta della metà anni Sessanta,
assumendo un vero e proprio valore programmatico.
La parola centro viene utilizzata spesso da Novelli per indicare il centro del corpo (anche
della sua pittura) ma anche il punto focale di un argomento. Il 'centro' è una figura
simbolica fondamentale, «nell'astronomia tradizionale un cerchio con il centro segnato è il
simbolo del sole, in alchimia è simbolo del suo metallo analogo, l'oro».49 Paul Klee usa
molto di frequente questo termine nei suoi scritti teorici per indicare il luogo dell’impulso
energetico di qualche azione o del punto di equilibrio tra le forze. Sembra qui indicare il
nucleo concettuale dell’operazione sul linguaggio fatta da Novelli che prevede, come
intervento, la possibilità di inventare alfabeti fatti anche di elementari figure geometriche.
Il tesoro è l’occasione fertile, che crea, attraverso i vari elementi dati in maniera
frammentaria, nuovi mondi espressivi.
Il vocabolario (fig.2) è un dipinto molto complesso, ricco di riflessioni sul gioco e sul
linguaggio.50 Sembra una summa delle ricerche di quegli anni. Il 1964 è un anno carico di
esperienze per Novelli: mostre personali e collettive: partecipa alla XXXII Biennale di
48
49
50
Gastone Novelli, Pittura procedente da segni, in “Grammatica” 1964, cit.
Hans Biedermann, Enciclopedia dei simboli, Garzanti, Milano 2001 [1991], p.108.
Per l'analisi dettagliata del dipinto si rimanda a: Ada De Pirro, Una lettura de Il Vocabolario di Gastone
Novelli. Fonti inedite e nuovi riferimenti, in corso di pubblicazione su “Storia dell'Arte”, Cam Editrice,
Roma.
28
Venezia dove presenta anche questo quadro e vince il ‘Premio Gollin’, dipinge scenografie
per due opere teatrali (di Arthur Kopit e di Alfredo Giuliani), illustra un testo di Giuliani
per Scheiwiller. Realizza la serie di disegni per Hilarotragoedia di Giorgio Manganelli e
fonda con gli stessi Giuliani, Manganelli e Perilli la rivista “Grammatica”.
Il quadro è un vero e proprio repertorio di citazioni, come un grande foglio fitto di appunti
che l’artista ha tratto da vari testi. In primo luogo è evidente la derivazione da La pensée
sauvage da cui traduce e riporta sulla tela sia alcune parti scritte sia diagrammi e schemi
grafici; è poi presente un lungo stralcio del suo già citato Pittura procedente da segni,
debitore anche questo del testo di Lévi-Strauss.
Nel quadrante in basso a sinistra ci sono dei riferimenti a testi e ambiti culturali eterogenei
ma che riportano comunque agli interessi enigmatici dell’artista, anche quando si tratta
della lingua e delle sue possibilità di trasformazione.
L’alfabeto inventato è qui avvicinato alle scritte Amante in uno e Seigneur des Accords
rebus.51 La presenza in questo dipinto dell’alfabeto inventato, accostato alla citazione da
Les Bigarrures et Touches du Seigneur des Accords,52 sembra volerne dichiarare l’origine.
Come vedremo in seguito, questa composizione potrebbe rivelare in realtà il desiderio
dell’artista di dare per frammenti alcune citazioni che vadano a costituire il suo personale
vocabolario. L’accostamento è sicuramente non casuale in quanto l’alfabeto inventato è
riportato, con varianti, anche nel testo di bizzarrie linguistiche francesi (cfr. §1.3.12).
Analisi dei frammenti è un importante dipinto del '64 (fig.3) in cui compare il più forte
indizio circa la conoscenza da parte di Novelli di un antico trattato di crittografia, probabile
fonte del suo alfabeto inventato. La struttura a scacchiera utilizzata contiene, tra altri
51
52
Per un’analisi approfondita di questa citazione si rimanda a: Ah, che rebus! 2010, cit., pp.41-43.
Etienne Tabourot, Les Bigarrures et Touches du Seigneur des Accords. De la derniere main de l'Autheur.
Livre premiere, Claude de Montr'oeil et Jean Richer, Paris 1595 [1583]. Gastone Novelli possedeva una
copia del libro (Tiddia 2011, cit.), nell'edizione stampata a Parigi nel 1662. È questa l'ultima delle
numerose edizioni ed è considerata la più completa.
29
elementi, tre riquadri in cui viene riportato il nostro alfabeto e la sua traduzione in quello
latino. E’ un’altra catalogazione di segni grafici su fondo bianco accostati a quadrati
colorati. Tra i segni inseriti nelle caselle, compare una crittografia che si trova nel trattato
sulle cifre di Blaise de Vigenère53 (fig.4) ed è data come traduzione della parola CASA.
Questo conferma che l’antico trattato è un altro importante testo al quale l’artista si è
ispirato per alcuni particolari significativi delle sue composizioni, compreso dunque, molto
probabilmente, il nostro alfabeto.
Viaggio in Grecia (fig.5). In una pagina del diario relativa al primo dei suoi tre viaggi in
Grecia compiuti tra il 1962 e il 1963, appuntato a matita a lato dello scritto, troviamo
ancora l’alfabeto inventato. E’ difficile dire con certezza a quando risalga il piccolo
disegno, in quanto molte sono state le versioni e i rimaneggiamenti del testo. Lo scritto è
un affascinante percorso nella memoria carico di riferimenti, citazioni e ricco di appunti
grafici. Con i disegni del primo viaggio del '62 fu fatta nello stesso anno una mostra alla
libreria romana Ferro di Cavallo il cui catalogo riportava alcune frasi tratte dal diario
dell’artista.54
Nei fogli dattiloscritti55 si trovano, tra le tante descrizioni di paesaggi naturali, di riti locali,
di persone incontrate, alcune riflessioni sull’amore e l’erotismo, sulle opere e i monumenti
visti e poi ancora ricordi delle sua giovanile esperienza in prigione - tra il 1943 e il 1944 per aver partecipato alla Resistenza. Le sue dichiarazioni di poetica riproducono quelle
contenute in Pittura procedente da segni pubblicato nel primo numero di “Grammatica”.56
53
54
55
56
Blaise de Vigenère, Traicté des Chiffres, ou sècretes manière de escrire, Abel l’Angelier, Paris 1587,
f.205v.
La prima stesura era per un libro che si sarebbe intitolato Viaggio in Grecia, formato inizialmente da 106
cartelle dattiloscritte (collezione Ivan Novelli) e risale all’estate del 1963, poi fu ridotta a 80 (collezione
Marina Lund), ma non trovò editore. Nel 1966 fu finalmente pubblicata dalla Galleria Arco d'Alibert di
Roma una terza versione ulteriormente ridotta, con tiratura limitata a 45 copie, corredata da sei incisioni
originali stampate dalla Litografica Romero.
I fogli dattiloscritti sono riprodotti in Gastone Novelli, Histoire de l’oeil, Il viaggio in Grecia,
Hilarotragoedia, Baldini & Castoldi, Milano 1999.
“Grammatica” 1964, cit.
30
Tra tantissime memorie e citazioni da antichi libri di viaggio, come quello sulla validità per
curare alcune malattie con dei viaggi per mare di Ebenezer Gilchrist del 1770 e di
geografia come quello di Strabone del I°sec. D.C., o riferimenti alla musica jazz, alle opere
di Manganelli, Miller, Klossowsky, Freud, Gastone Novelli cita anche qui (come si troverà
a fare spesso in opere e dichiarazioni) il libro del Tabourot.57 Dal testo francese viene
riportata una citazione ripresa dal foglio 3v del libro I, intitolato De l’invention et utilitè
des lettres: «mais comme c’est la beauté d’une langue que la diversité des idiomes &
caracteres, chacun c’est efforcé de l’embellir, come Palamedes, qui adiousta au grèque
trois letteres,
». Curiosamente, accanto a questa citazione, l’artista annota a
matita l’alfabeto inventato con i caratteri equivalenti dell’alfabeto latino, tranne che per le
lettere z e x. Come vedremo in seguito, l’accostamento è significativo, perché mette
insieme una delle probabili fonti a cui egli associa il testo che si occupa di molti giochi
linguistici, tra i quali è annoverata anche la possibilità dell’invenzione di una lingua.
È utile specificarne il contesto. Il diario di viaggio di Novelli dichiara in più punti l’intento
di mettere in collegamento le sue esperienze di viaggio in Brasile e in Grecia, mantenendo
sempre la prospettiva del lavoro sulla memoria fondata sulla frammentarietà di elementi
culturali eterogenei che possono essere acquisiti e ricomposti in maniera personale
dall’artista, per la costituzione di un vocabolario di segni, simboli e forme utili per nuove e
infinite composizioni.
La scoperta da parte di Novelli della cultura brasiliana porta con sé la ricerca di miti e
tradizioni arcaiche, approfondita dai viaggi nella cosiddetta 'culla' dell'Occidente. Oltre ai
suoi giovanili interessi per la sociologia e l'antropologia fu sicuramente un forte stimolo lo
scambio che ebbe con Emilio Villa negli anni brasiliani (anche lui si recherà in Grecia nel
1963 alla ricerca dei miti arcaici), e la lettura dei testi di Lévi-Strauss. E così l’inesauribile
57
Tabourot 1662 [1583], cit.
31
quantità di associazioni, citazioni, riferimenti, compreso l’alfabeto inventato rientrano in
quel vasto universo di potenzialità espresso dai segni inventati dall’uomo.
Tavola degli ornamenti del '65 (fig.6), è un'importante opera su carta che presenta, sotto
forma di catalogazione non sistematica, la crittografia e i caratteri di molti alfabeti, tra i
quali il geroglifico egiziano, l'alfabeto greco, una rielaborazione di un dialetto indiano, il
runico, il cuneiforme sumerico, il lineare B cretese, il turco, il cinese, il giapponese, il
sanscrito e alcuni segni prelevati dal disco di Festo.
La presenza di tantissimi tipi di caratteri alfabetici, definiti con terminologia ottocentesca
‘ornamenti’, mette l’accento sull’intenzione dell’artista di accomunarli tutti senza
distinzione gerarchica di importanza. L’idea di ‘tavola’ dà poi la dimensione di un reperto
immaginario in cui vengono giustapposti caratteri di diverse lingue, una sorta di
campionario delle possibili coniugazioni del linguaggio mondiale.
Novelli sembra incarnare la figura del bricoleur, per usare il termine coniato da LéviStrauss.58 Dal grande antropologo strutturalista francese l'artista riprende infatti il concetto,
fondamentale nella sua opera, della possibilità di utilizzare “residui e frammenti di eventi”
che sono “testimoni fossili della storia di un individuo o di una società” e di organizzarli in
vere e proprie strutture (sistemi) da utilizzare per la creazione di altri universi linguistici.
Nell’arte figurativa del Novecento, l’inserimento di lettere dell’alfabeto latino o di alfabeti
immaginari che alludono a vere e proprie crittografie, tutte calligrafiche, si può far risalire
a Klee - artista che, come noto, si può definire uno dei maestri di Novelli. La possibilità di
utilizzare alfabeti di altre civiltà è stata praticata anche dai lettristi francesi che si
58
Lévi-Strauss 1962, cit., tr.it. di P.Caruso, Il pensiero selvaggio, Il Saggiatore, Milano 2010 [2003].
32
inseriscono così nell’ambito di sperimentazioni linguistiche già in atto.59
Per Klee l’inserimento di lettere nelle sue opere è frutto dell’elaborazione teorica che
andava facendo fin dagli anni Venti. Significative sono alcune opere su carta, come ad
esempio Collezione di segni del ’24 (fig.7), dove troviamo l’uso calligrafico di segni
alfabetici. Ma tantissimi sono gli esempi che si potrebbero portare, tra cui le due opere del
1938 ABC per un pittore murale (fig.102) e Così forse inizia segretamente. Come è già
stato sottolineato, l’impiego che l’artista svizzero fa di geroglifici e segni crittografici è
lontano da simbolismi che possano rimandare a significati trascendenti, «Klee non tende né
verso l’allegoria del rinascimento, né verso il simbolismo naturale del romanticismo; egli,
invece, aspira a un linguaggio in cifre, che rafforzi la polifonia del quadro, come un testo
pieno di enigmi».60 Klee lascia scritto che «scrittura e immagine, lo scrivere e il figurare,
sono fondamentalmente tutt’uno».61
I lettristi francesi, con l’invenzione nel 1950 dell’hypergrafie, includono l’insieme dei
segni concreti della comunicazione superando l’uso esclusivo dell’alfabeto latino e
ammettendo quelli di altre lingue anche inventate. Come dichiara lo stesso fondatore,
Isidore Isou, nel 1989, nell’ambito del Lettrismo è stato riconosciuto «la valeur plastique
des alphabets ou des calligraphies empirique, pratiques, extra ‘formel’, figés à un nombre
limité de signes, n’ayant d’ailleurs aucun rapport avec notre système artistique bas dé sur
des milliards de signes acquis ou à venir».62 Soprattutto tra le opere di Gabriel Pomerand
troviamo molti esempi come Aforisma nove: “L’automatismo è il solo elemento coniugale
che non varia mai” del '50 (fig.8) dove il richiamo ai segni runici è molto forte e così nel
senza titolo dello stesso anno. In un'opera di Jacques Spacagna del 1962 (fig.9) e ancora
59
60
61
62
Come ad esempio nei Cantos di Ezra Pound dove sono inseriti caratteri ideografici cinesi.
Will Grohmann, Paul Klee, Garzanti, Milano 1956, p.149.
Paul Klee, Teoria della forma e della figurazione, ed. it. A cura di M. Spagnol e F.Saba Sardi, Feltrinelli,
Milano 1976 [1959], p.17.
Isidore Isou, Ce qu’il faut savoir de la peinture lettriste et infinitésimale, in R. Sabatier, Le lettrisme. Les
création et les créateurs, Z éditions, Nizza 1989, p.112.
33
nella copertina del libro La poesie lettriste di Jean-Paul Curtay del 1974 ne troviamo altri.
Qualche anno più tardi, nel '73, Arrigo Lora-Totino esegue un interessante collage, La
biblioteca di Babele (fig.10), dal titolo ispirato al racconto di Borges scritto nel ‘41 e
pubblicato in Italia nel ‘55.63 Come l’opera di Novelli, anche questa di Lora-Totino è
vicina alla ricerca lettrista, sebbene l’utilizzo della tecnica del collage la fa rientrare
nell’ambito delle opere di Poesia visiva. La pagina è un assemblaggio di brani di testi con
caratteri e lingue diverse, che rispetta più o meno l’andamento a colonna della stampa. Ne
risulta un mosaico di frammenti che rimanda, oltre che ai diversi idiomi, anche a diversi
modi di comporre tipograficamente le parole e le figure riprese anche da testi antichi.
Tavola bilingue (fig.11), il disegno di Novelli del '65 pubblicato anche su “Grammatica
5”,64 è forse il più significativo per analizzare l’alfabeto. Come ‘tavola bilingue’ si propone
infatti di presentare l’alfabeto inventato e di portare alcuni esempi di traduzione non
casuali, indicativi dell’interesse di Novelli per l’analisi dei segni, inclusi quelli relativi alla
cultura esoterica, che in quest’opera è molto evidente .
Sul lato sinistro in verticale e a intervalli irregolari c’è una serie numerica, su tutto il resto
del foglio, troviamo una serie di segni e parole nel codice linguistico inventato, accostata
sia a forme geometriche sia a segni già presenti in altre opere e che fanno parte
dell’alfabeto iconico di Novelli.
L’alfabeto è presentato con la traduzione nelle corrispondenti lettere dell’alfabeto latino
esclusa la zeta, per un totale di venti lettere. La simmetria cercata dall’artista fa intendere
la necessità di eliminare una lettera ma lo avvicina, come vedremo in seguito, anche ad
alcune versioni della crittografia in testi antichi.
Lo schema del disegno è molto semplice, disposto con molta chiarezza su cinque livelli
63
64
Jorge Luis Borges, La biblioteca di Babele, in Finzioni (1935-1944), tr. It. F.Lucentini, Einaudi, Torino
1995 [1955].
“Grammatica” 1976, cit., p.83.
34
distinti, dove compaiono numeri, disegni, lettere.
In colonna, sul lato sinistro troviamo una serie numerica: 40, 30, 26 1/2, 26, 25, 20, 10. Al
centro del foglio, in corrispondenza del numero 40, una freccia e un segno-sole. Il simbolo
del sole è uno dei fondamenti della cultura ermetica. Per Ermete Trismegisto il Sole è
strumento della natura, precedendo gli altri trasforma la materia inferiore;65 è poi
immagine dell’uomo;66 solo il Sole è reale, perché a differenza di tutto il resto non si
trasforma mai, rimanendo sempre identico a se medesimo per cui anche ad esso fu
concesso di plasmare tutto il mondo, di reggere e produrre tutte le cose.67 E’ nota
l’importanza del sole nella cultura alchemica, identificato con l’oro, da cui deriva, nel
simbolismo massonico, la sovrapposizione concettuale tra il Sole e la Mente eterna
considerata l’oro immateriale.
In corrispondenza del segno-sole, Novelli annota il 40 (livello più alto). Tra i numeri 40 e
30, disposte in fila, sono disegnate due montagne, un cerchio, un triangolo, un quadrato.
Sotto le figure geometriche troviamo due parole scritte con l’alfabeto inventato che
tradotto con l’alfabeto bilingue che l’artista lascia scritto più sotto, diventa la geometria. In
corrispondenza dei numeri 26 1/2 e 26, troviamo due linee, tre pallini, due freccette.
Finalmente, in corrispondenza del numero 20, abbiamo su due linee l’alfabeto latino e
sotto ogni lettera i segni equivalenti dell’alfabeto inventato. Sulla stessa linea ci sono:
un’altra montagna, la rappresentazione schematica di onde, e poi, scritta nel codice
misterioso, la parola onde. Infine, in corrispondenza del numero 10, divisi da una linea,
troviamo scritto i quattro livelli del pianeta e, ancora sotto, la traduzione nel codice
segreto. Oltre troviamo una figura che assomiglia vagamente a una barca e poi ancora una
scritta nel codice e la sua traduzione tra parentesi: architettura.
65
66
67
Ermete Trismegisto, Il cratere della Sapienza, a cura di C.Croce, Giovanni Semeraro, Roma 1962, p.83.
Nella biblioteca di Novelli (Arch. Nov.), c'è una copia del testo con varie sottolineature che dimostrano
l'interesse con il quale il testo fu letto dall'artista.
Trismegisto 1962, ivi, p.85.
Trismegisto 1962, ivi, p.93.
35
Di questo lavoro, oltre che l’alfabeto inventato, è interessante analizzare anche le parole
scelte dall'artista come esempi di traduzione. La geometria: è una delle scienze liberali del
quadrivio pitagorico e secondo l’arte massonica è strettamente collegata con il concetto di
architettura ovvero con l’edificazione spirituale. La geometria è rappresentata nella
Melancolia I di Dürer con gli strumenti di misurazione, gli stessi simboli usati dalla
massoneria che ha conservato molti usi della tradizione ermetica. La misurazione ha come
base l’aritmetica, la più importante tra le scienze pitagoriche a fondamento della quale c’è
la sacralità dei numeri.68
Le onde: il segno-onde potrebbe essere riferito all’elemento acqua, fondamentale nella
pratica alchemica laddove si parla anche di ‘mare alchemico’ o ‘acqua permanente’.
I quattro livelli del pianeta. Premesso che il numero 4 rappresenta la perfezione in quanto,
come spiega Arturo Reghini, «è l’ultimo numero che si ottiene passando dal punto alla
linea, dalla linea al piano e dal piano allo spazio».69 Il 4 infatti rappresenta lo spazio ed è
perfetto proprio perché rappresenta un limite, secondo la concezione aristotelica.
E’ un numero che ricorre nella cultura alchemica: attraverso l’esperienza dell’Arte
Alchemica si può entrare nel Quarto livello, quello sovracausale, dove si sperimenta il
tempo presente. Sempre per la filosofia alchimistica esistono 4 livelli di coscienza, o corpi,
grossolano, sottile, causale, sovracausale e 4 sono gli elementi (acqua fuoco aria terra). Nel
disegno il numero è riferito ai ‘livelli del pianeta’ e si può avvicinare a una delle immagini
presenti ne Il vocabolario, il dipinto del ’64. Sembra che nei due casi la simbologia possa
riguardare ancora quella ermetica e alchemica, individuando nel numero quattro sia le fasi
del processo alchemico sia i rispettivi elementi.
E infine, la parola architettura è ovviamente associata alla geometria. I membri della
loggia massonica, come noto, sono chiamati ‘muratori’ in quanto la massoneria si rifà alla
68
69
Arturo Reghini, I numeri sacri nella tradizione pitagorica massonica, Atanòr, Roma 1994 [1947].
Reghini 1994 [1947], ivi, p.37-38.
36
leggenda di Hiram, l’architetto del Tempio del re Salomone da cui la definizione di Grande
Architetto dell’Universo per significare l’Essere supremo. Invece di scrivere le prime due
parole, Novelli ne presenta l’equivalente grafico con delle piccole forme geometriche e
delle onde, mentre scrive le altre utilizzando l’alfabeto latino.
È d’altro canto già noto quanto nel vocabolario di Novelli non ci sia distinzione tra segni
grafici e alfabetici perché «i segni sono concreti quanto le immagini (le lettere quanto le
parole), ma hanno un loro potere referenziale per cui, anche essendo essenzialmente
relativi soltanto a se stessi, possono fare le veci di qualcosa d’altro».70
Il foglio senza titolo dal Quaderno delle intenzioni (fig.12), è vicino alla Tavola bilingue. In
questo disegno, oltre a dare un’altra versione dell’alfabeto, l'artista traduce le parole donna,
cuore, seno. Diversamente dall’altra opera, qui il tema è il corpo femminile e, forse, il
sentimento. Numerosi sono i lavori di Novelli in cui sono fatti cenni a parti del corpo
femminile, in una sorta di catalogazione delle zone erogene, spesso accompagnata da serie
numeriche (cfr.§1.3.6). E’ dunque a questo gruppo di lavori che si può avvicinare il
disegno, dove la parola cuore può essere invece intesa sia nel senso di ‘centro’, termine
spesso utilizzato dall’artista come nel disegno Centro, intervento, tesoro, sia come luogo
simbolico del sentimento d’amore.
La docta ignorantia del bricoleur Novelli
Nei primi anni Sessanta, Gastone Novelli inizia a entrare in contatto con alcuni testi antichi
che trattano vari argomenti, dalle bizzarrie letterarie all’anatomia, da testi esoterici a trattati
di cifratura, citandoli in diverse opere. Negli anni precedenti aveva già letto, probabilmente
su indicazione di Emilo Villa e Corrado Cagli, Psicologia e Alchimia di Jung nell’edizione
70
Gastone Novelli, Pittura procedente da segni, in “Grammatica” 1964, cit., p.10.
37
italiana del 1950,71 uno dei libri della sua biblioteca sopravvissuto agli spostamenti
dell’artista (Arch.Nov.). La copia presenta numerose sottolineature e annotazioni, segno
della grande attenzione con la quale è stata letta.72
Gli interessi esoterici dell’artista, legati alla sapienza religiosa dell’antica Grecia, sono
documentati, come già detto, dalla presenza, nella sua biblioteca, della prima ricostruzione
dei testi di Ermete Trismegisto.73
Dopo aver conosciuto e collaborato con Eduard Jaguer quando curava con Achille Perilli la
rivista “Esperienza Moderna” tra il 1957 e il 1959, fu probabilmente grazie all’incontro
con gli scrittori d’avanguardia dell’area tardo surrealista e del Nouveau Roman, che
Novelli iniziò a interessarsi ai testi che diventeranno fonte di ispirazione e repertorio a cui
attingere suggestioni per le sue opere.
Il più importante di questi è il già citato Les Bigarrures di Tabourot, una cinquecentina
francese di giochi linguistici a cui l’artista dedica un tributo in alcune opere. Dal testo sono
prelevati sia brani scritti sia immagini, e in più occasioni viene definito dallo stesso Novelli
come uno dei più importanti libri letti. Come è stato di recente appurato,74 l’artista
possedeva una copia del libro al quale è stato introdotto molto probabilmente da René de
Solier che lo cita in una lunga nota del suo libro sull’arte fantastica, del 1961.75 Lo stesso
scrittore avvicinerà negli anni l’antico libro francese all’artista italiano, per esempio in un
testo del 1962, Gastone Novelli: le songe toile, dove ne parla prendendo spunto dal dipinto
L’origine dei precedenti, dello stesso anno.
Visto l’interesse manifestato da Novelli circa la possibilità di creare un inventario di segni
71
72
73
74
75
Carl Gustav Jung, Psicologia e Alchimia, (tit.or. Psycologie und Alchemie, Walter-Verlag, Olten 1944),
tr.it. a cura di R.Bazlen, Astrolabio-Ubaldini, Roma 1950.
Per i rapporti tra il testo di Jung e Novelli vedi: Spano, cit., 2002; Marco Rinaldi, Il viaggi della farfalla.
Temi e immagini della pittura di Novelli, in Catalogo generale Novelli 2011, cit.
Cfr. nota 65.
Alessandra Tiddia, Gastone Novelli: un’arte nomadica, in Catalogo generale Novelli 2011, cit., nota 87,
p.45.
René de Solier, L'art fantastique, Jean Jacques Pauvert, Paris 1961. A p.180, nella nota 1, in un breve
saggio sulla Melancolìa I di Dürer, lo scrittore cita una delle definizioni del Tabourot tratta dall'edizione
de Les Bigarrures del 1662, facendo rientrare nella genesi del fantastico tutte le figure tratte da emblemi e
divise di cui parla l'autore. Vedi Ada De Pirro, Gastone Novelli in Ah, che rebus! 2010, p.43.
38
che comprendesse i caratteri linguistici delle tradizioni più diverse, per analizzare il suo
alfabeto inventato, sono partita dal carattere culturale di ogni operazione di Novelli,
giocato sempre su un crinale coltamente ludico.
Senza dimenticare il fatto che l’ortogonalità dei segni utilizzati potesse ricondurre anche
alle ricerche di Bruno Munari - conosciuto e frequentato da Novelli tra la metà degli anni
Cinquanta e i primi Sessanta - e agli studi sulla Gestalt76 finalizzati ai suoi corsi di visual
design tenuti all’Istituto Superiore del Museo di San Paolo e che poi riprenderà
successivamente in Italia. Le forti analogie con l’alfabeto ebraico quadrato mi hanno poi
indirizzato verso il confronto con antiche crittografie che lo potessero aver ispirato.77
Dagli esempi presi in considerazione, appare evidente che la lingua inventata o meglio,
come vedremo, re-inventata da Novelli è solo alfabetica, non propone cioè né un sistema
grammaticale né una pronuncia fonetica, ma come ‘lingua universale’ soltanto scritta, si
può definire una pasigrafia anche se questo termine si riferisce di solito a crittografie
basate su sistemi numerici.78 Lo stesso alfabeto si può invece sicuramente definire una
crittografia a sostituzione monoalfabetica, in quanto a ogni segno alfabetico si può
sostituire uno dei caratteri del sistema inventato.
Il carattere di pasigrafia del codice re-inventato da Novelli lo avvicina alle lingue
preistoriche delle quali non si conosce la pronuncia, ma anche ad alcune crittografie
antiche. L’artista figurativo ha in questo caso privilegiato il dato visivo a quello fonetico.
Nei disegni dove il sistema di segni è presentato con i corrispondenti nell’alfabeto latino,
fornendo anche qualche esempio di traduzione, come nella Tavola bilingue e nel disegno
della raccolta ‘Quaderno delle intenzioni’, si capisce che l’artista non è interessato a un
sistema coerente di segni ma alla possibilità di cambiarli in modo più o meno casuale.
76
77
78
Novelli conosceva già Max Bill e lo frequentò durante il suo soggiorno in Brasile.
Ringrazio la Prof.ssa Caterina Marrone per le fondamentali indicazioni su questo argomento.
Il termine pasigrafia denota in genere una lingua artificiale composta da un codice numerico scritto da
cui si possono trarre corrispondenze con una data lingua.
39
La lunga storia della crittografia di Novelli
La crittografia inserita da Novelli nelle sue opere è l’ultima versione di un alfabeto che ha
una tradizione antica di secoli, che a sua volta affonda le sue radici in tempi ancora più
lontani quando la parola portava in sé equivalenze sacre con il mondo divino.
La curiosità dell’artista lo ha portato a esplorare un mondo di cui non sappiamo quanta
consapevolezza scientifica avesse, ma dal quale rimase indubbiamente affascinato. È molto
probabile infatti che ignorasse la lunga storia del suo alfabeto, storia che ho tentato di
ricostruire attraverso i testi antichi in cui era apparso. Si tratta di testi italiani e francesi dei
secoli XVI e XVII.
Quando è affrontato il tema di questo particolare alfabeto segreto nei trattati individuati nel
corso di questa ricerca, vi è sempre un riferimento a quello ‘quadrato’ ideato dal filosofo,
medico e astrologo tedesco Agrippa von Nettesheim (1486-1535), poi rielaborato da altri
nel corso del XVI secolo. L’alfabeto di Agrippa deriva dall’alfabeto ebraico attraverso la
mediazione di cabalisti cristiani come Raimondo Lullo. L’autore, nel terzo libro del De
occulta philosophia79 dedicato alla ‘magia cerimoniale’, dopo aver analizzato molti tipi di
scritture esoteriche, nel capitolo XXX, Di altre specie di caratteri trasmessici dai
Cabalisti,80 riporta una serie di alfabeti. Questi alfabeti, tutti attribuiti agli ebrei, fanno
riferimento alle sacre scritture e hanno pertanto un profondo carattere sacrale. La maggior
parte di questi segni presenta un andamento geometrico che riporta all’alfabeto quadrato
ebraico, elaborato secondo la tradizione anche ad opera dello stesso Esdra.81
La scrittura per noi più interessante «assai reputata un tempo dai Cabalisti», ma «divenuta
79
H.C. Agrippa von Nettesheim, De Occulta Philosophia, libri tres, Colonia 1533. In forma manoscritta
(1510) fu dedicato all’abate Tritemio con il quale ebbe un colloquio sulla magia e che scrisse il
Polygraphia libri sex nel 1518 (il primo libro a stampa sulla crittografia ma che non presenta traccia
dell’alfabeto in questione). Mentre veniva stampato la prima volta, fu bloccato dall’inquisizione.
Successivamente fu stampato in libri separati. L’edizione del 1533 di Colonia, Parigi e Antwerp, ha la
dedica al suo protettore Hermann von Wield.
80
Enrico Cornelio Agrippa, La Filosofia Occulta o la Magia, vol.II, tr.it.di A.Fidi, Edizioni Mediterranee,
Roma 2008 [1972], pag.248-252.
81
Agrippa 2008 [1972], ivi, p.248.
40
oggi di uso tanto comune da esser quasi caduta in potere dei profani»,82 deriva da una
matrice generativa formata da due linee verticali e due orizzontali che formano uno
schema, non delimitato da cornice, con nove spazi quadrangolari. Questa griglia contiene e
suddivide le ventisette lettere dell’alfabeto ebraico, disposte tre a tre.
Agrippa ci spiega il criterio secondo il quale le lettere sono distribuite nelle varie caselle e
sui tre livelli: «nel primo gruppo si collocano le lettere
, che
rappresentano i numeri semplici e le cose intellettuali distribuite ai nove ordini angelici;
nel secondo le lettere
, che contrassegnano le decine e le cose celesti
nelle nove orbite dei cieli; nel terzo le quattro lettere residue con le cinque finali
, che esprimono le centinaia e le cose inferiori, vale a dire i quattro
elementi semplici e le cinque specie perfette di composti». In ogni singola casella sono
distribuite, a partire dall’alto, le ‘unità’, le ‘dualità’, le ‘triadi’ e così via (fig.13).
Fin qui la descrizione della matrice generativa. La sua forma regolare viene utilizzata ai
fini dell’individuazione delle singole lettere contenute in ogni casella. L’alfabeto inventato
deriva dalla scomposizione di tale schema. Dalla scomposizione derivano nove figure
(fig.13a) che danno luogo alle lettere dell’alfabeto con l’aggiunta di uno, due o tre segni
apicali come nell’esempio dato dallo stesso autore (fig.13b).83
L’alfabeto di Agrippa è stato ripreso da Gabriel de Collange nel 1561, e dopo due anni da
Giovan Battista Della Porta con importanti modifiche.
Il testo di Gabriel de Collange (Tours 1524-?), Polygraphie et universelle éscriture
cabalistique de M.I.Trithème Abbé, la cui prima edizione fu stampata a Parigi nel 1561 da
Jacques Kerver, è la prima edizione francese del testo sulla crittografia di Tritemio con
82
83
Agrippa 2008 [1972], cit., p.250.
Prima di iniziare a percorrere la lunga storia dell’alfabeto segreto di Agrippa, si segnala anche l’alfabeto
utopiano di Thomas More che in Utopia del 1516 c., che riporta sette caratteri dell’alfabeto esoterico.
L’alfabeto di More era conosciuto in ambito surrealista ed è riportato nel numero della rivista “Bizarre”
dedicato alla Littérature Illettrée, Parigi, primo trimestre 1964.
41
commento e aggiunte dello stesso Collange. La sua traduzione è di valore per il processo di
cifratura e per le informazioni che contiene circa la storia della crittografia. E’ qui evidente
l’importanza della combinatoria di Lullo per lo sviluppo degli alfabeti segreti, dichiarata
dalla presenza di crittografie in forma di ruote girevoli, a lui attribuite. Le quattro
crittografie alfabetiche sono chiamate ‘tavole rette’ e ‘tavole verse’.
In questo libro è presente una tavola di ‘trasposizione’ che sarà ripresa ed elaborata da
Blaise de Vigènere. Vengono riportate anche varie tavole poligrafiche con lettere e numeri,
tavole di traduzione dell’alfabeto latino con alfabeti di altre lingue e con alfabeti segreti per
alchimisti;84 è presente anche un alfabeto collegato a segni zodiacali.85 Collange è il primo
a mantenere la matrice generativa di Agrippa e a usare l’alfabeto latino. Nella seconda
parte del testo c’è la spiegazione di Collange del testo di Tritemio. Poi tavole ‘numerali’,
‘anomale’ e ‘orchemali’.
Molto interessante per l’evoluzione del nostro alfabeto segreto il Tetragrammaton86 (fig.14)
dal quale si sviluppa l’alfabeto quadrato che viene riportato nei fogli 280 r/v, 281 r/v. Il
capitolo sull’Enn’agrammaton riporta al foglio 282 uno schema con nove riquadri (fig.15)
da cui deriva l’Alphabet Ennagrammatique (fig.16).
Giovan Battista Della Porta (1535-1615), scrive il De furtivis literarum notis vulgo. De
ziferi libri quinque, stampato per la prima volta a Napoli nel 1563 da Giovanni Maria
Scoto. Questo libro è molto importante per lo sguardo a tutto tondo sulla crittografia, che
compendia tutte le conoscenze dell’epoca. Della Porta affrontò il grande problema della
criptologia rinascimentale ovvero la soluzione delle cifre polialfabetiche: rifiutò di
ammettere la loro invincibilità e inventò alcuni metodi per affrontarle. La loro importanza
risiede proprio nella coraggiosa attitudine ad affrontare il problema. È un trattato pratico
84
85
86
Gabriel de Collange, Polygraphie et universelle éscriture cabalistique de M.I.Trithème Abbé, J.Kerver,
Paris 1561, f.184.
Collange 1561, ivi, f.189.
Collange 1561, ivi, f.277.
42
contenente 180 processi di scritture cifrate e il mezzo per moltiplicarli all'infinito.
Molti sono gli argomenti trattati: nel cap. IV del libro terzo parla di scrittura magica e nel
folio 43 traccia uno schema quadrato per la crittografia, mentre altri schemi sono presenti
nei ff. 44, 45, 46, 47, 48, 49; nel cap.V dà la traduzione della crittografia attraverso i
numeri e nel VI parla di anagrammi; nel cap.I del libro quarto, dopo la ruota del f.93, c’è
un alfabeto crittografico fatto di segni geometrici, croci e altro. Al f.102, griglia con segni
e tavola con alfabeto di 20 lettere che ricorda molto quello che sarà usato da Vigenère.
Dopo molti schemi e griglie, al cap.XX, f.133, bellissima pagina con alfabeti inventati “dal
volgo e da lui stesso”.
Al f.134, è riportato l’alfabeto di Agrippa con altra interpretazione. Al posto dell’alfabeto
ebraico viene usato quello latino come in Collange, ma la griglia è identica (fig.17). Come
nell’alfabeto originale ne derivano dei caratteri ‘quadrati’.
L’alfabeto segreto è composto da 21 segni che presentano tutti dei puntini che vanno da
uno a tre, a seconda della posizione nella griglia come si può vedere nella figura.
Come già visto, nel dipinto Il vocabolario, Novelli accosta il suo alfabeto a una citazione
da uno dei suoi libri preferiti, Les Bigarrures (1583) del francese Etienne Tabourot (15491590).87 In effetti, nel capitolo XXI Des Notes, incontriamo la crittografia come una delle
tante bizzarrie letterarie di cui si dà conto nel libro, ma la versione data dall’autore non è
così vicina a quella del pittore italiano quanto quella che possiamo incontrare in un testo
sempre francese e di poco successivo, il trattato di cifratura di Blaise de Vigenère (vedi
oltre).
Nei due fogli del capitolo dedicato alle ‘scritture abbreviate’ e alle crittografie, Tabourot fa
riferimento all’alfabeto di Agrippa, ma senza citarlo. Nel dare un esempio di scrittura
crittografata dice semplicemente che i caratteri somigliano a quelli ebraici (figg.18, 18a).
87
Per un approfondimento vedi §1.3.12.
43
Come si potrà notare, la versione del Tabourot presenta delle notevoli variazioni rispetto a
quello di altri autori del XVI e XVII secolo e comunque non sembra essere la fonte
iconografica per Novelli. Il libro sui giochi linguistici potrebbe aver comunque ispirato
l’artista, che, come noto, lo conosceva molto bene per averlo citato più volte in alcune sue
opere e scritti, oltre ad averlo messo al primo posto tra i libri da lui ritenuti fondamentali
per un uso meno accademico della parola in un’intervista del '67.88
Per quanto riguarda l’alfabeto, le analogie più evidenti sono dunque con il Traicté des
Chiffres, ou secretes maniere de ecrire, di Blaise de Vigenère (1523-1596), pubblicato a
Parigi nel 1587 da Abel l’Angelier, tanto da poter pensare a questa come vera fonte per
l’artista italiano.
L’antico testo era sicuramente conosciuto dai surrealisti francesi che si interessavano
all’alchimia e all’esoterismo facendovi espliciti riferimenti come la famosa dichiarazione
di Breton sulle illustrazioni di Flamel come precorritrici del Surrealismo. E mentre André
Breton cita Vigenère nel suo L’Art magique del 1957,89 Novelli, come abbiamo visto,
lascia traccia di un altro particolare del trattato nel dipinto Analisi dei frammenti del ‘64.
Il trattato sulle cifre di Vigenère è il più aggiornato del XVI secolo e fu considerato il
migliore nei trecento anni successivi. Qui l’autore si occupa di tutte le pratiche esoteriche
legate allo studio della Cabala, dell’alchimia, dell’arte combinatoria, della numerologia,
per la definizione del suo famoso metodo basato sull’elaborazione di un codice a
sostituzione polialfabetica, successivo al disco cifrato di Leon Battista Alberti. Il suo
codice risente anche della profonda conoscenza dei trattati di Tritemio e Della Porta. La
forza del suo metodo è nel poter declinare ben ventisei alfabeti crittografici per occultare
88
89
Nel numero della rivista “Bizarre” del primo trimestre del 1964, interamente dedicato alla Littérature
Illettrée, viene riportato a p.6 sia l’alfabeto di Taborout che quello massonico. Novelli conosceva la
rivista, presente in alcune copie nella sua biblioteca (Arch.Mich.).
André Breton, L’art magique, a tiratura limitata per gli Amis du Club Français du Livre, 1957. Testo
consultato: André Breton, L’arte magica, tr.it. di R. Lucci, Adelphi, Milano 2003 [1991].
44
un messaggio.
Nel folio 275v., parla dell’alfabeto di Agrippa: «Ne faict encore à oblier cette invention
que touche Agrippa liv.3 chap.30. autrefois en tresgrande recommandation envers les
anciens Cabalistes; depuis l’on en a faict lictiere».
Ma poi aggiunge alla matrice generativa che già conosciamo, l’elaborazione di un sistema
di diciotto caratteri che corrispondono ad altrettante lettere dell’alfabeto latino - introdotto
già da Della Porta - disposti su due file di nove: «Ce sont quatre lignes s’entrecroisantes à
angles droicts; deux d’icelles perpendiculaires, & deux traversieres, qui par ce moien
vienent à establir neuf caracteres differends, qu’on accòmode à autant de lettres; Si que
diversifiez par un poinct affis au milieu, des autres neuf qui en sòt vuides, en resulteront
dix huit lettres de cette maniere».90
È questo l’alfabeto che più direttamente può essere avvicinato a quello di Gastone Novelli
che utilizza sempre singoli puntini all’interno delle figure (fig.19).
Altro passaggio interessante è la proposta di modificazione del codice che viene offerta. Ai
fini di un’evidente complicazione, de Vigenére elabora un proprio metodo partendo
dall’originale di Agrippa: «Mais vous les pouvez transporter: & si, gardant neumoins
tujours leur figure, vous voulez varier l’estendue des lignes en chaque caractere de deux
manieres, comme il se peult, & non davantage, vous avrez pour chacun trois lettres; qui
avec les espaces d’entredeux, comme dessus, seront quatre. Adioutez des nombres, ou
autres notes servans de lettres dans les espaces, ce sera un chiffre à cinq entétes toutes
ensemble; dont vous revelerez, & reserverez ce qu’il vous plairra».91
Per la storia dell'alfabeto segreto è importante anche quello di Selenus Gustavus
(pseudonimo per) August, Duca di Braunschweig – Luneburg - Wolfenbuttel (1579-1666),
90
91
Vigenére 1587, cit., f.275v.
Vigenére 1587, cit., f.276v.
45
il Cryptomenytices et cryptographiae libri IX. La prima edizione fu stampata a Luneburgo
nel 1624 da Johannes e Heinrich Stern. Gustavus è un anagramma di Augustus e Selene, la
dea greca della luna, è la ‘luna’ latina da cui deriva il nome della città di Lüneburg. Il duca,
che era cugino del nonno di Giorgio I d’Inghilterra, è probabilmente il più autorevole
scrittore di libri di crittologia.
Questo è un importante trattato, molto dettagliato e con numerosi riferimenti a quelli
precedenti, soprattutto all’incompleta Steganographia di Tritemio e poi ai testi di Giovan
Battista Della Porta e Blaise de Vigenère. L’alfabeto quadrato lo troviamo alle pagine 312
e 313 ed è totalmente debitore dei Tetragrammaton e Ennagrammaton elaborati dal
Collange (fig.20).
Come si può notare nel testo del XVII secolo non vengono apportati cambiamenti
all’alfabeto in questione. Sembra infatti che questo non abbia subito modifiche sostanziali
fino all’assorbimento nella scrittura segreta della massoneria moderna. Selenus riporta
infine un alfabeto identico a quello di Vigènere (fig.21).
Le logge massoniche elaborarono il proprio codice segreto già all’atto della loro nascita in
Inghilterra nel XVIII e basarono l’alfabeto sul sistema inventato da Agrippa mettendolo
strettamente in relazione con la tradizione numerica pitagorica.92 Il codice compare nei testi
come parte integrante della cosiddetta ‘Tavola da tracciare’ o ‘Tavola tripartita’, simbolo
dell’alta carica del maestro venerabile.
E’ dal XVII secolo che l’alfabeto cifrato entra in uso presso la massoneria. Il primo
riferimento viene fatto in una pubblicazione inglese del 1730, Masonry dissected del
Prichard dove la tavola tripartita viene chiamata tiercel board termine che indica l’uso di
tracciare coppie di rette perpendicolari tra loro. In Inghilterra non si sentiva la necessità di
un alfabeto segreto mentre nell’Europa continentale la massoneria aveva un carattere anche
92
Reghini 1994 [1947], cit.
46
politico e ne poteva quindi essere avvantaggiata.
Nel XX secolo l’uso dell’alfabeto massonico (fig.22) è praticamente scomparso, unico
riferimento rimane l’uso del segno corrispondente alla lettera L per indicare la parola
loggia, e di quello corrispondente alla lettera I per indicare la parola iniziato.
L’alfabeto di una società segreta, conservato presso il Museo Civico di Bologna, deriva
chiaramente da quello massonico, così come molte delle caratteristiche delle società
carbonare dei moti risorgimentali (fig.23).
Utile per la ricostruzione storica del nostro alfabeto è l’analisi condotta da Arturo Reghini
su quello massonico, analisi che parte dalla crittografia di Agrippa e ne traccia tutto il
percorso culturale.
Questa semplice crittografia, già molto usata e conosciuta come dice lo stesso Agrippa nel
XVI secolo, ha una chiara origine greca. La disposizione della matrice generativa riporta
infatti alla tavola di Teone da Smirne, matematico greco seguace di Pitagora vissuto tra il
70 e il 135 d.C.
La tavola presenta una griglia alfabetica (numerica) disposta esattamente come nelle
caselle della matrice, dove ai numeri si possono sostituire lettere dell’alfabeto greco, cifre
arabe, l’antica numerazione scritta erodiana o segni misteriosi che secondo Boezio usavano
i pitagorici o anche la semplice raffigurazione della rispettiva casella. Questo dimostra,
secondo Reghini, l’importanza attribuita dalla massoneria ai numeri sacri e soprattutto alla
loro divisione in terne definita di “speciale importanza”.93
E’ evidente che anche per Agrippa questa fu questione di cruciale importanza. Tramite tra
la cultura greca - l’uso di lettere greche o ebraiche come numeri - e la scrittura cifrata e poi
l’alfabeto massonico è stata l'opera dei cabalisti ebrei. Agrippa pare interessato non tanto
alla segretezza del suo alfabeto segreto quanto alle «corrispondenze che questa tavola
93
Reghini 1994 [1947], cit., p.116.
47
stabilisce tra le tre enneadi di lettere, di numeri e i tre mondi: intellettuale, celeste e
elementare».94
Quando poi, circa un secolo dopo, la scrittura è utilizzata nelle lingue moderne e non più
strettamente in relazione con l’ebraico, aveva perso già, oltre che al carattere di segretezza,
anche le qualità divinatorie e onomastiche, e con queste anche i riferimenti alla sacralità
dei valori numerici delle lettere.
In un romanzo del 1882 di Henry de Graffigny, De la terre aux etoiles, ritroviamo l’
alfabeto come ‘lingua selenitica’ parlata cioè dagli abitanti della luna95 (fig.24).
Gastone Novelli e Blaise de Vigenère
L’alfabeto ri-creato da Novelli presenta molte analogie, come abbiamo visto, con
l’elaborazione dell’alfabeto di Agrippa Von Nettesheim data da Blaise de Vigenère nel suo
libro. Il fatto poi che il pittore riporti, in almeno un dipinto, un particolare preso da una
tavola del trattato di crittografia di Vigenère, ci spinge a pensare che il testo fosse a lui
conosciuto e che questa possa essere dunque la fonte per l’alfabeto.
Dal confronto si nota subito che in quello di Novelli è assente la simmetria implicita fra i
segni nell’antica crittografia, che erano suddivisi in due fasce, la prima con i puntini e la
seconda senza. Questo dipendeva dal fatto che l’alfabeto derivava direttamente dalla
matrice a forma di griglia.
Novelli struttura le sue diverse versioni in modo probabilmente casuale. In particolare,
facendo un confronto tra l’alfabeto della Tavola bilingue e quello di Vigenère, in questo i
segni della fila superiore sono identici a quelli della fila inferiore, con la variante che questi
94
95
Reghini 1994 [1947], cit., p.119.
Paolo Albani, Berlinghiero Buonarroti, Aga Magera Difura. Dizionario delle lingue immaginarie,
Zanichelli, Bologna 2010 [2004], p.371. La ricostruzione non può non far cenno all'alfabeto 'segreto' delle
Giovani Marmotte che cita chiaramente l'antica crittografia, apparso nella prima edizione del manuale del
1970.
48
presentano puntini al centro delle singole figure. Novelli mantiene la presenza del puntino
per la seconda metà delle lettere del suo alfabeto, dieci nel suo e nove nell’altro perché il
primo elimina la lettera Z, mentre il secondo elimina le lettere Q, U e Z.
Dal confronto tra i due alfabeti risulta dunque che Novelli ha ripreso in modo identico da
Vigenère solo i caratteri che traducono le lettere E, F e H. Quest’ultima viene condivisa
anche dall’alfabeto quadrato ebraico, dal quale Novelli sembra prelevare le traduzioni
anche delle lettere D, Q, T. Come quello di Vigenère, l’alfabeto di Novelli è una
‘pasigrafia’, ovvero una lingua destinata alla sola comunicazione scritta.
Gastone Novelli nelle opere di metà anni Sessanta sembra recuperare il «privilegio
assoluto della scrittura»96 così come indicato da Foucault a proposito della cultura
rinascimentale, facendo della parola presenza e luogo privilegiato della sua arte.
I suoi interessi per la cultura esoterica che si intrecciano a svariati altri temi anche molto
dissacranti, lo spingono a occuparsi di scritture in cifra, «un aspetto peculiare del filone
esoterico»97 e in particolare, come visto, di quello che Agrippa derivò direttamente
dall’alfabeto ebraico che, con la sua aura di sacralità, portava già nel passato in un
territorio lontano dall’uso convenzionale della comunicazione linguistica. Il monaco
tedesco apriva di fatto alla possibilità di utilizzare (e di giocare) con una lingua considerata
divina. Il sistema era semplice, facile da scoprire, ma la derivazione dalla griglia che
conteneva in origine l’alfabeto ebraico portava un valore aggiunto di sapienza ricollegabile
all’ambito culturale neoplatonico e magico.
La ripresa di una scrittura segreta di origine esoterica da parte di un artista contemporaneo
ci porta a considerare quanto la fascinazione di tale possibilità fosse ancora viva in anni di
intense sperimentazioni linguistiche e artistiche. Allo stesso tempo, l'artista persegue la sua
96
97
Michel Foucault, Le parole e le cose. Un’archeologia delle scienze umane, Rizzoli, Milano 2007 [1967],
p. 52.
Caterina Marrone, Le lingue utopiche, Melusina, Roma 1995, p.57.
49
ricerca di libertà espressiva attraverso la rielaborazione personale di un sistema di segni,
sempre dalla prospettiva della creazione di un ‘universo linguistico’ abitabile e unico.
Appare evidente dal confronto con altre scritture inventate da altri artisti più o meno negli
stessi anni (Munari, Carrega, Oberto, gli stessi lettristi) o precedenti (Dada, Klee), quanto
Novelli seguisse in maniera autonoma un suo percorso creativo. Utilizza, come spesso fa,
una fonte antica, estraendo da questa quanto gli basta per avviare un rapporto, seppur di
breve durata, con alcuni segni che lo hanno colpito particolarmente. La crittografia appare
dunque in un numero limitato di opere tra il 1964 e il 1965 ma sembra riemergere negli
anni successivi quando studia e approfondisce l’analisi di forme semplici e quadrate con la
serie di quadrati e aquiloni. A questo proposito è molto curiosa l’analogia tra le figure
geometrizzanti e quelle di un’altra crittografia del trattato di Vigenère (fig.25). La
vicinanza tra alcuni di questi caratteri e forme come quelle della sequenza che si può
vedere ad esempio in Il piccolo mondo della geometria del ’67 (fig.26), sembra non essere
casuale.
E’ così, come desiderava Novelli, che si entra (si torna) nel territorio magico del
linguaggio dove, come sostiene Balboni, «presupposto indispensabile è un atto di fiducia
nei confronti del linguaggio, un linguaggio che va comunque ricreato piuttosto che
riconquistato. Un linguaggio, una scrittura che sia ‘parole’ piuttosto che ‘langue’, pratica
piuttosto che codice».98
Ancora una volta è la possibilità data all’artista di ricreare poieticamente il linguaggio e
dunque, vichianamente, le proprie origini, che permette di ‘immaginare’ codici che non
pretendono di essere universali, ma che hanno la possibilità di creare universi abitabili.
Vico, filosofo neoplatonico del XVIII secolo è fondamentale per capire l’interpretazione
98
Maria Teresa Balboni, La pratica visuale del linguaggio. Dalla poesia concreta alla nuova scrittura, La
Nuova Foglio, Pollenza-Macerata 1977, p.45.
50
novecentesca della potenzialità creativa del linguaggio. Dopo il lungo oblio fu non a caso
rivalutato nel corso del Novecento.99
Se l’interesse per il mondo dei linguaggi esoterici nasce nell’ambito del neoplatonismo
fiorentino, è stato Vico a tracciare la storia della nascita della parola creatrice di linguaggi
come inizialmente parola poetica.100 Ne La scienza nuova, il filosofo settecentesco affronta
il tema del linguaggio nell’ottica di un approfondimento su quanto e come la lenta
creazione del linguaggio codificato da parte dei popoli, successivi ai cosiddetti bestioni,
possa rientrare nella concezione scientifica della storia da lui proposta. Dopo aver tracciato
un breve percorso della nascita dell’alfabeto sulla rotta fenicia-greca-ebraica e dopo aver
espresso parere favorevole circa i «parlari eroici accorciati», intendendo i traslati, le
metafore e le metonimie, aggiunge la storia della nascita della prima parola dal suono
onomatopeico citando come esempio la nascita del nome di Giove «dal fragor del tuono,
detto dapprima “Ious”; dal fischio del fulmine dà greci fu detto Zeus; dal suono che dà il
fuoco ove brucia, dagli orientali dovett’essere detto “Ur”».101Vico intende prendere in
considerazione la collettività dei popoli e non i singoli individui, e fa rientrare così la
nascita del linguaggio codificato nell’ambito del mito che esprime però con «spontanea e
naturale espressione la natura-mitico-fantastica dell’umanità primitiva e in essi prende
forma l’immaginazione collettiva dei primi popoli».102 Genio poetico e fantasia creano,
attraverso la trasformazione delle energie del mondo naturale, i codici di comunicazione.
Come afferma Eco, il filosofo non vuole descrivere «un decorso storico, ma le condizioni
sempre ricorrenti di una nascita e di una evoluzione del linguaggio in ogni tempo e in ogni
99
100
101
102
Nicola Abbagnano, Giovanni Fornero, Protagonisti e testi della filosofia, vol.II, Paravia, Torino 1996.
Vico, misconosciuto fino alla metà Ottocento, fu rivalutato da Croce. Attualmente è considerato
anticipatore di Kant e dell’estetica moderna per il valore autonomo della poesia e della sua indipendenza
da ogni attività intellettuale o raziocinante, almeno dal punto di vista della forma.
Giovan Battista Vico, La scienza nuova, RCS, Milano 2006, a p.214, leggiamo: «Da tutto ciò sembra
essersi dimostrato la locuzion poetica esser nata per necessità di natura umana prima della prosaica; come
per necessità di natura umana nacquero, esse favole, universali fantastici, prima degli universali ragionati
o sieno filosofici, i quali nacquero per mezzo di essi parlari prosaici».
Vico 2006, ivi, p.209.
Vico 2006, ivi, p.22 dell’introduzione di Paolo Rossi.
51
paese». Vico delinea così una sorta di «successione genetica» del linguaggio.103 La
coincidenza tra elaborazione poetica e linguistica operata attraverso il mito è, secondo
Vico, la prova del fatto che la parola poetica preceda quella prosaica. Il poeta è inteso
dunque come poieta, colui che crea.104
Ecco dunque la possibilità ultima e probabilmente la più straordinaria che ha l’artista:
attraverso il proprio atto creativo può creare le proprie origini.105
Con
il
suo
alfabeto
re-inventato,
Novelli
aderisce
anche
alla
ricerca
che
contemporaneamente portava avanti l’avanguardia lettrista francese com’è evidente ad
esempio nella Tavola degli Ornamenti. Aderisce del pari alla vasta sperimentazione verbo
visiva italiana, senza dimenticare le ‘scritture illeggibili’ che fin dal 1935 andava
sperimentando Bruno Munari ma Novelli segue sempre la sua inquieta ricerca che lo porta
a creare anche una ‘lingua impossibile’ (uglossia), facendolo aderire a quella che viene
definita l’antiutopia della pratica linguistica novecentesca. L’antiutopia di Novelli non è
certamente solo una critica al positivismo ‘accademico’, essa riflette la consapevolezza di
non poter utilizzare un sistema linguistico coerente e unitario: sostituisce a questo la
frammentarietà e la precarietà dei codici ai quali attinge e fra cui inserisce anche quelli
creati o ri-creati. L’alfabeto inventato da Novelli è utilizzato in poche opere e subisce ogni
volta dei cambiamenti. È ricreato a sua volta.
Anche questo è un modo per giocare con la lingua, evitando la ripetizione e la
fossilizzazione dei codici utilizzati: se le lingue utopiche pretendevano di arrivare alla
formulazione di una lingua perfetta ma morta, non creativa, il fatto che la lingua inventata
103
104
105
Umberto Eco, La ricerca della lingua perfetta nella cultura europea, Laterza, Roma-Bari 1993, p.100.
Ringrazio la Prof.ssa Caterina Marrone per i chiarimenti avuti sull’argomento nel corso delle nostre
conversazioni.
Nella presentazione di un recente convegno svoltosi presso l’Università di Cagliari sul tema della
memoria, è stata citata l’intervista del 2000 allo scrittore palestinese Edward Said, profondo conoscitore
del filosofo napoletano, nella quale affermava che «sotto l’influenza di Vico ho capito (…) che noi
possiamo creare le nostre stesse origini. Non sono date, sono atti di volontà». Cfr. Edward Said, Il mio
diritto al ritorno, Nottetempo, Roma 2000.
52
non diventi mai veramente ‘sistema’ consente all’artista di darle vita attraverso la
manipolazione e la combinazione con altri frammenti in un’ipotesi di infinite possibilità.
Novelli insiste molto nelle sue dichiarazioni sulla poetica del frammento: «esiste e mi
riguarda un linguaggio magico il quale nasce da fatti frammentari».106
Analogo atteggiamento avrà in seguito a che fare anche con l’aspetto dell’impegno politico
che Novelli sottese al suo lavoro creativo degli ultimi due anni, volto al conseguimento
della libertà da oppressioni di tipo ideologico e sociale: la presenza della parola sarà
limitata a scarni riferimenti a testi e personaggi politici, mentre le forme si dissolveranno
completamente in una totale frantumazione.
106
Intervista del 1964 a Gastone Novelli di Enrico Crispolti ora in”Grammatica” 1976, cit., pp.36-37.
53
1.3.2 Carme sesquipedale
A volte Novelli ama scrivere lunghe sequenze di parole senza punteggiatura e per lo più
senza spazi. Oltre alle tre opere su carta che prendiamo come esempio, sono molti i dipinti
degli inizi anni Sessanta che riportano un flusso di pensiero continuo, un discorso
pronunciato senza prendere respiro, presentato in forma sconnessa e asintattica. In
importanti opere pittoriche come Nascondersi vale la pena del ‘59, Une mouche se déplace
e II Sala del museo del ‘60, Roberte (fig.27), N.1 Miles, Alm del ‘61, troviamo
concatenazioni di parole collocate liberamente nello spazio del dipinto o al massimo
disposte in accenni di riquadri. Questi scritti possono essere dichiarazioni personali
dell’artista coniugate in varie lingue, o citazioni come nel caso di Roberte, che deve il
titolo al romanzo erotico di Pierre Klossowsky, Roberte ce soir del 1953. A partire dal '62,
nelle opere pittoriche questi interventi saranno sempre più inquadrati in spazi predefiniti
per essere poi sostituiti da stringhe di lettere alfabetiche libere da schemi. La sequenza
continua di parole compare anche in un foglio di taccuino del 1967, eseguito mentre viveva
a Venezia.
L’annullamento di spazi e punteggiatura (la cui utilità era già stata messa in dubbio nel
primo manifesto surrealista), invitando a leggere senza soluzione di continuità le parole
fino a trasformarle come in un’unica e lunghissima parola, è una pratica che può essere
studiata secondo la definizione data da Giovanni Pozzi del carme sesquipedàle107 che
letteralmente è un verso di un piede e mezzo. Mentre per la sua artificiosità può rientrare
nella più grande categoria delle combinazioni foniche non codificate.108 Questa particolare
composizione poetica è formata da parole artificiosamente lunghe e appartiene alla
categoria di quelle composte da frammenti di vocaboli interi senza la desinenza. Molti
107
108
Pozzi 1984, cit., p.32.
Pozzi, 2002 [1981], cit., p. 89.
54
sono gli esempi di questo artificio nell’antichità, da Aristotele a Rabelais, fino ad arrivare
al “mostruoso” esempio del tardo secentista Passerini che conia un termine formato da
decine di lettere.
I futuristi utilizzano vocaboli sesquipedali e Pozzi riporta il famoso esempio tratto dal
Piedigrotta di Francesco Cangiullo, «fetentechiavecoricchionemoposangaechitemmuortaetuoiefet».109
Anche Duchamp ha utilizzato questo gioco linguistico. Nel primo numero della rivista
“Phases” (1954), Henri-Pierre Roché scrive un testo glossolalico dedicato ai dischi rotanti
di Duchamp, in cui viene esaltata l’artificiosa lunghezza dell’unica, lunghissima, parola
che si deve leggere senza soluzione di continuità.110
Annullare gli spazi bianchi tra le parole equivale a rinunciare alla chiarezza
dell’esposizione ma, come riferisce Dossena,111richiama l’uso di una scrittura non
intervallata, la scriptura continua, che veniva fatto in varie lingue antiche e che rimase in
uso in Italia fino all’XI secolo.
Novelli, artista che usa largamente il bianco del fondo, sia esso carta o tela dipinta, come
spazio vuoto in cui galleggiano i segni iconici o grafici, passa attraverso questa particolare
forma di scrittura a sperimentarne l’assenza, in una specie di horror vacui del testo che,
con il suo andamento calligrafico di sempre, assume la forma di un arabesco continuo.
Sullo sfondo pare di poter avvertire ancora una volta la presenza di Paul Klee.
Nell’acquerello Einst dem Grau der Nacht enttaucht, del 1918 (fig.28), troviamo, prima in
corsivo e poi a stampatello, entro riquadri colorati che vanno da tonalità grigie a blu e poi
rossi arancioni viola verdi, sequenze di lettere che compongono in realtà uno dei quadri109
110
111
Francesco Cangiullo, Piedigrotta parole in libertà col Manifesto sulla declamazione dinamica sinottica di
Marinetti, Edizioni Futuriste di Poesia, Milano 1916.
“Phases. Cahiers internationaux de recherches litteraires et plastiques”, n.1, Facchetti, Paris 1954, p.14.
Dossena 2004, cit., p.196.
55
poesia di cui l’artista voleva fare una serie, realizzata poi solo in parte. Questa era ispirata a
poesie cinesi e secondo la lettura di Grohmann: «chiariscono il rapporto di Klee con la
lettera, la parola e il senso». Nella produzione dell’artista svizzero, e particolarmente in
questo caso, l'uso privilegiato della scrittura inserisce un elemento enigmatico che si può
associare ai suoi quadri cifrati in cui sono utilizzati segni diversi. Con l’inserimento di
inserti verbali «egli costringe il lettore a decifrarlo lentamente, come era necessario fare nel
Medio Evo, perché i segni della scrittura, irlandesi o carolingi, possedevano una più alta
realtà. I contorni e i colori costituiscono un'unità indissolubile con le lettere e le parole e
impediscono una lettura rivolta puramente alla comprensione».112
Il carattere delle opere di Novelli è ancora una volta diverso da quelle di Klee, ma non si
può prescindere dal considerare una seppur lontana parentela tra esse.
In Lettere del 1961 (fig.29), un’opera interamente formata da una sequenza di parole senza
soluzione di continuità, scrive: genteincredulacome(…)checchepossadirneecongrandefaci
litateperbenduevoltelhofregatafinalmenteneguardacasolafinehocomelehadisegnatebenepin
osilversassofatanietantoverochelascialozam(…)pohandorratestaseriad(…)casamattacosaf
attaca(…)dittorichecosamambodeve(…).
Tutta la sequenza sembrerebbe composta da parole avvicinate in libertà estratte magari da
qualche testo con evidente intenzione di creare qualcosa di impronunciabile e nonsensico.
Nella carta senza titolo, ancora del ’61 (fig.30), leggiamo invece, nella prima riga due serie
alfabetiche complete e poi: nonepossibilesforzarsisempreperesseredisperatooggiancheesist
elagioianepiunemenodiierivoglioapprofittarneinsiemeatuttivoiavereiltempoperportareater
minequalsiasilavorocostringendosiadunmetodocheneescludaquellaimmediatezzadirisultato
chenedeterminanolasuperficialitaquestopuoessereunoscopodaperseguireinunsimilemoment
112
Will Grohmann, Klee, Garzanti, Milano, s.d., Tavola 11.
56
osenzacheilsilenzionevengadanneggiato.
In questo caso siamo senz’altro di fronte a una delle tante dichiarazioni di intenzione fatte
dall'artista, una sorta di riflessione e di esortazione circa un atteggiamento positivo da
prendere. Ma, anche qui il discorso diventa incomprensibile e volutamente criptico almeno
a una prima lettura.
Mentre nel terzo esempio, il foglio del Taccuino B (fig.31), possiamo leggere uno scritto
composto sia da brani di notizie prese da un giornale radio - così come l'artista dichiara nel
testo - che da varie frasi più o meno coerenti, in italiano e inglese: nelvenetocirca500.000a
utovettureincidentidi224soccorsi10.000contravvenzioniunacarabinacalibroventiduearmad
eldelittocimiterodelvillaggiopacchidonoportanoinalbaniareviunafontestatiunitinotiziedelgi
ornaleradiosureboxdimmichelosaichevogliobeneateabbandonatiamechemivuoiedopotuttob
ellosaraedimmidiinvitaremetomformeyoutoomlaindesitallastessaorapiufreddochemoderat
obeatandfannyanditistimehomeyouarebeatandnoworabutwithyousobehomeanchesemivuoil
asciamiandareametterefiorineicannoni.
In basso, sopra allo scritto, Novelli lascia la sua firma e la data.
Leggendo queste composizioni non si può non pensare anche al 'finneganese'113 usato da
Joyce (autore letto da Novelli114) nel suo ultimo romanzo dove, estremizzando al massimo
l’instabilità dei codici linguistici, fa uso di vari linguaggi artificiali e conia un termine
formato anch’esso da decine di lettere.115
In questo tipo di sperimentazioni, comprese quelle di Novelli - soprattutto nell’opera
113
114
115
Termine coniato da Giorgio Melchiori nell’Introduzione a: James Joyce, Finnegans Wake H.C.E.,
Mondadori, Milano 1982.
“Joyce in ‘Finnegan’s Wake’ costruisce un universo linguistico nuovo e totale con un gioco di
contaminazioni e deformazioni verbali retto da una logica rigorosissima”, in Gastone Novelli, Il
linguaggio e la sua funzione del febbraio 1968 e pubblicato postumo in “Civiltà delle macchine” n.1, a.
XVII, gennaio-febbraio 1969, pp. 37-42. ora in “Grammatica” 1976, cit., p.46.
Albani, Buonarroti 2011 [1994], cit., p.147.
57
Lettere -, il discorso senza pause e di esasperata lunghezza, emesso in un sol fiato,
tendenzialmente indecifrabile, fa pensare a un’infinita parola magica o a una glossolalìa.
Questa è una lingua solo orale, incomprensibile, e fa parte della tradizione cristiana antica
ma che si presenta anche nelle società primitive.116 Le glossolalie sono state
successivamente avvicinate ai deliri verbali di alcuni malati di mente, quando si trovano a
creare volontariamente parole deformate (da distinguere dalla glossomania che è un delirio
verbale di alcuni malati maniaci caratterizzato da giochi verbali privi di sistematicità).
Nel senso originario, la lingua glossolalica è inesistente e solo Dio e gli angeli possono
capirla. Bausani sottolinea il senso liberatorio che si prova nel pronunciarla e accetta il
parallelismo che è stato fatto tra questa e il sogno, in quanto aiuterebbe l’inconscio a
manifestarsi «in aspetto linguistico anziché visionario». Riporta perciò la convinzione di
Jung, secondo il quale «i contenuti inconsci non ancora integrati nella coscienza richiedano
un linguaggio ugualmente estraneo», associandolo al linguaggio rituale. Bausani, inoltre,
distingue tra lingua sacerdotale ieratica e quella glossolalica perché questa non ha la
funzione sociale dell’altra. È proprio l’aspetto individuale di questo particolare tipo di
lingua inventata che sembra interessare scrittori e artisti contemporanei che la utilizzano
per mostrare in modo ludico l’assenza di significato delle parole. «Personalmente, credo
che le parole siano certamente un suono, ma non sono sicuro che abbiano un significato»,
ha dichiarato Manganelli in un’intervista.117 E d’altro canto in alcuni dei ‘motti di spirito’
studiati da Freud, i giochi di parole, termine con il quale definisce i 'doppi sensi', la tecnica
prevede di «indirizzare il nostro atteggiamento psichico verso il suono anziché verso il
senso della parola, nel far emergere la rappresentazione (acustica) della parola anziché il
significato fornito dai nessi con la rappresentazione delle cose».118
116
117
118
Alessandro Bausani, Le lingue inventate, Ubaldini, Roma 1974, pp.70 e sgg.
Giorgio Manganelli, La penombra mentale. Interviste e conversazioni 1965-1990, a cura di R.Deidier,
Editori Riuniti, Roma, 2001, p.133. L’intervista a G.Nascimbeni, L’aggettivo non morirà, uscì sul
“Corriere della sera” del 22.11.1983. Ringrazio Paolo Albani per la segnalazione.
Freud 1980 [1975], cit., p.143.
58
Si può affermare che anche Emilio Villa abbia utilizzato forme glossolaliche nella sua
opera poetica. Attraverso l’uso del plurilinguismo arriva a formulare una sorta di esperanto
sempre più babelico, più magmatico di quello realizzato in Finnegans Wake, opera che
conobbe negli anni brasiliani, una «lingua degli angeli»119 che rinneghi qualsiasi purismo
tradizionale. L’ottica di Villa è quella di «sliricare la parola, di prosciugarne ogni residuo
emotivo legato ai suoi significati, ma di renderla (anche) ‘afasica’ cioè incapace di dire
significando, o di rendersi ‘afasico’ nell’uso a-sensato della verbalità, nel trattamento
ludico del materiale fono-visivo, ridotto a phonos estraniato dalla sua lunga storia».120
L’andamento glossolalico di alcune sue composizioni si presta a questa concezione ‘apoetica’ del poeta milanese e aderisce anche al neognosticismo a cui si avvicinò negli anni
Quaranta.
Già i lettristi francesi con il loro grafismo estremo si erano accostati, a partire dagli anni
Sessanta, a forme vicine, se non al carme sesquipedale, alla glossolalia, così come già fu
notato dalla Krestovsky in un articolo su “Esprit”.121 Soprattutto in alcune prove di Roland
Sabatier e Marcel Lemaître troviamo, assieme a un’infinità di altri tipi di scritture che
comprendono alfabeti e pittografie inventati, brani di scritture calligrafiche in lingua
francese che si possono accostare anche al linguaggio degli alienati.
Negli stessi anni, in Italia, anche il lavoro di Martino Oberto (1925-2011), basato sulla sua
s-pensante ‘Ana-philosophia’(fig.32), può essere letto in parte secondo i caratteri proposti
in questo paragrafo. La saturazione dello spazio attraverso una scrittura libera, spesso
illeggibile, emozionale, unita a frammenti e suggestioni di altre scritture e immagini, porta
a considerare le sue opere come un flusso continuo, uno stream of consciousness che
rievoca Joyce, Pound e Cummings, i suoi autori di riferimento.
119
120
121
Aldo Tagliaferri, Il clandestino. Vita e opere di Emilio Villa. FB2, DeriveApprodi, Roma 2004, p.53.
Gianni Grana, Babele e il silenzio: genio “orfico”di Emilio Villa. La neg-azione apoetica: caos e cosmos,
vertigini e metàstasi della parola nell’èra telematica, Marzorati, Settimo Milanese 1991, pp.336-337.
Lydia Krestovsky, Le lettrisme avant la lettre, in “Esprit”, Parigi, novembre 1947, pp.728 e segg.
59
Le barriere tra pensiero logico e nonsense sono definitivamente abbattute.
Già la presenza di sequenze di lettere 'A' in numerosi suoi lavori, fa pensare a Novelli
come a un poeta sonoro (o fonetico). Aver adottato poi sequenze di parole senza soluzione
di continuità e spesso senza senso avvalora questa ipotesi.
«Ce que m’oblige d’écrire, j’imagine, est la crainte de devenir fou». Novelli cita, in un suo
Quadro scultura122 del ’68, l’incipit dell’introduzione scritta da Georges Bataille per il suo
Sur Nietzsche (1945). Alla fine del suo percorso artistico e esistenziale, l’artista esprime
attraverso questa frase la possibilità, insita in ognuno di noi, di rompere gli equilibri
psichici che sostengono il rapporto con il mondo esterno soprattutto nei momenti di crisi
profonda come quello sperimentato da lui stesso nel 1959, quando, in seguito a un tentativo
di suicidio, fu sottoposto a una cura del sonno in una clinica romana.123
«Ciò che mi obbliga a scrivere, penso, è la paura di diventare pazzo. Soffro di una
aspirazione ardente, dolorosa, che perdura in me come un desiderio inappagato. La mia
tensione somiglia, in un certo senso, a una voglia pazza di ridere, differisce poco dalle
passioni di cui bruciano gli eroi di Sade, e tuttavia è vicina a quella dei martiri e dei santi…
Non posso dubitarne: questo delirio manifesta in me il carattere umano. Ma, bisogna dirlo,
porta allo squilibrio e mi priva penosamente di riposo».124
Il timore di impazzire di Bataille è nel continuo lavoro sul margine della trasgressione,
avendo individuato nell’erotismo il terreno sul quale misurare i valori interdetti dalla
morale corrente e un mezzo di conoscenza estrema. Nel suo saggio su Nietzsche dichiara,
attraverso l’analisi della fortuna del pensiero nicciano, il rapporto tra Bene e Male, per
122
123
124
Rinaldi 2010, cit., p.62. La frase viene riportata anche a p.76 di “Grammatica” 1976. L’opera a olio,
tempera e matita su tela montata su telaio ligneo, è databile al 1968. È stata donata dagli eredi alla
Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma nel 1988.
Gastone Novelli, 25 agosto 1959, ora in “Grammatica” 1976, a p. 53. Si tratta di un testo scritto durante il
ricovero «come trascrizione di una serie di notazioni e sensazioni». Come è dichiarato sulla rivista,
esistono due versioni dello scritto: un manoscritto definitivo di sette pagine (proprietà di Marcello Aste) e
la prima versione scritta su trentasette pagine di un prontuario medico (proprietà Ivan Novelli).
Georges Bataille, Su Nietzsche, tr.it. di A.Zanzotto, SE, Milano 1994, p. 15. (tit.or. Sur Nietzsche,
Gallimard, Paris 1994).
60
arrivare a definire il concetto di “totalità nella coscienza”, individuato nel non-sense:
«l’intera esistenza è situata al di là di un senso, è la presenza cosciente dell’uomo nel
mondo in quanto egli è non-senso, e non ha altro da fare se non essere quello che è, non
potendo più superarsi, attribuirsi un qualunque senso nell’azione».125
Il non-senso è il tema che accompagna Novelli in buona parte della sua produzione e lo
avvicina ai personaggi di Beckett, altro autore molto amato.
La follia è oltre la soglia del pensiero razionale a cui, in modo ambiguo, i surrealisti si
ribellavano. Alienazione mentale e stati paranoici erano accettati per il potenziale
sovversivo implicito. La stessa scrittura automatica aveva come scopo quello di liberare
dalle strettoie della razionalità la creazione letteraria e artistica, avvicinandosi così al
linguaggio degli alienati. L’uso di allucinogeni era d’altro canto ammesso da parte di
alcuni esponenti dell’area surrealista, in primo luogo Artaud, Masson, Michaux e René de
Solier.
L’interesse per le espressioni della follia iniziò negli anni Venti anche grazie al testo di
Hans Prinzhorn126 che diventò presto fondamentale per l’approccio al tema, interessando
molto Klee e influenzando Ernst. André Breton, che fin dal primo manifesto surrealista
accenna al linguaggio degli alienati,127 apre il secondo (1930) riportando il commento
scandalizzato e impaurito della categoria degli psichiatri francesi al suo Nadja, libro che fu
fatto oggetto di critiche da più parti per gli attacchi portati agli alienisti, in difesa delle
prerogative della cosiddetta malattia mentale. Breton si interessò anche di arte degli
alienati e fece parte della ‘Compagnie de l’Art Brut’, costituita nel 1948 a Parigi, nata per
curare la collezione creata da Dubuffet, conservata in quegli anni presso la Galerie René
Drouin.128
125
126
127
128
Bataille 1994, cit., p.27.
Hans Prinzhorn, Bildnerei der Geisteskranken, Springer Verlag, Berlin 1922.
André Breton, Manifesto del Surrealismo (1924), in Manifesti del Surrealimo, Einaudi, Torino 2003
[1966], p.38.
Denys Riout, L’arte del ventesimo secolo. Protagonisti, temi, correnti, Einaudi, Torino 2002, pp.219
61
L’avvicinarsi all’arte e alla scrittura degli alienati da parte delle prime avanguardie, mentre
sottintende un’attrazione già provata dai romantici ottocenteschi, fa entrare nel mondo del
perturbante (Unheimliche), quel territorio della psiche analizzato da Freud e ripreso da
Heidegger, la ‘familiare estraneità’ che ha avuto un ruolo fondamentale nell’arte del
Novecento a partire dalla Metafisica fino alle forme del Sublime nel contemporaneo. Il
linguaggio degli alienati, le glossolalie e glossomanie, così vicine al linguaggio magico,
evocano dunque la possibilità di mondi linguistici altri rispetto a quello corrente.
I surrealisti si avvicinano alla dimensione della follia nella prospettiva di un’estetica della
depersonalizzazione e dello spaesamento «prerogativa di personalità messe drasticamente a
confronto con un malessere di carattere identitario, a cui tentano, bene o male, di dare una
risposta...Si tratterebbe, a questo punto, di ripensare in modo del tutto diverso la questione
della follia, tutto a un tratto più vicina a quella del genio, a condizione però di considerare
quest'ultimo non tanto come la magnificenza di poteri sublimi quanto piuttosto come una
modestia assai particolare che coinvolge molto settori vitali».129
Anche “Esperienza Moderna”,130 la rivista curata da Novelli e Perilli, si occupò, sulla
scorta di un interesse ormai diffuso nella cultura europea di quegli anni, di linguaggi degli
alienati con un articolo di Carla Vasio sulla scrittura di uno schizofrenico francese. La
scrittrice introduce il brano come un «patrimonio di tipi e di immagini comune al malato e
all’artista - qualunque sia poi lo stimolo e lo scopo che ne provoca l’espressione, sia per un
gioco di fantasia, oppure per un effetto compensatore e liberatore -, comune perfino al
lettore in cui trovi rispondenza, poiché difficilmente si sfugge al richiamo di miti e di paure
ereditati con la struttura stessa della qualità umana di cui abbiamo parte».131
129
130
131
segg., tr. it. di S.Arecco da Qu’est-ce que l’art moderne?, Gallimard, Paris 2000.
Murielle Gagnebin, Follia e genio. Un chiasmo innovatore: il surrealismo, in Arte Genio Follia. Il
giorno e la notte dell'artista, a cura di V.Sgarbi, Mazzotta, Milano 2009, p.430.
“Esperienza Moderna”, n.3-4, Roma 1957.
Carla Vasio, introduzione a Frammento di delirio, in “Esperienza Moderna” 1957c, ivi, pp.25-26.
62
Infine, tornando a Novelli, in due delle opere proposte in questo paragrafo, troviamo
alcune parole o meglio, frammenti di parole, ricalcati con colori diversi dall’artista. Novelli
ne mette in rilievo alcuni per dare ancora una nuova lettura della sua opera, come in un
gioco che potrebbe procedere all’infinito.
Nel caso di Lettere, l’artista riscrive con il pastello colorato alcune lettere saldandole con
quelle di uno o due livelli sottostanti, così da creare dei segni grafici che non somigliano
più alle lettere dell’alfabeto, ma ne creano di nuove. Nel foglio del taccuino B del 1967
troviamo invece un carattere più crittografico: l’artista sceglie, in maniera apparentemente
casuale, numeri, singole lettere o intere parole in modo da sovrapporre un altro testo a
quello di partenza. Il gioco sembra non finire più.
L’idea di spaesamento nell’opera di Novelli potrebbe dare un altro livello di lettura se si
considera quanta parte abbia avuto nel suo lavoro il gioco sulla parola, continuamente
destrutturato e ricomposto in modo effimero, un modo per far perdere le tracce di un luogo
‘abitabile’ e riconoscibile. Con Heidegger, Novelli vive lui stesso e invita a sperimentare il
“non-sentirsi-a-casa-propria” (Nicht-zuhause-sein) del linguaggio.
Foucault definisce in modo efficace il rapporto tra follia, parola e letteratura. «La follia
apre una riserva lacunosa che designa e fa vedere quella cavità in cui lingua e parola si
implicano, si formano una a partire dall’altra e non dicono nient’altro se non il loro
rapporto ancora muto. Dopo Freud la follia occidentale è diventata un non-linguaggio
perché è diventata un linguaggio doppio (lingua che non esiste se non in questa parola,
parola che non dice altro che la sua lingua), ossia una matrice del linguaggio che, in senso
stretto, non dice nulla. Piega del parlato che è assenza di opera.(…) La letteratura (e questo
senza dubbio a partire da Mallarmé) si sta lentamente trasformando a sua volta in un
linguaggio la cui parola enuncia, nello stesso tempo in cui dice e nello stesso movimento,
63
la lingua che la rende decifrabile come parola. Prima di Mallarmé, scrivere consisteva
nello stabilire la propria parola all’interno di una data lingua, dimodoché l’opera del
linguaggio fosse della stessa natura di tutti gli altri linguaggi, a parte i segni della Retorica,
del Soggetto e delle Immagini (Che certo erano maestosi). Alla fine del XIX secolo
(nell’epoca della scoperta della psicanalisi, o giù di lì) essa era diventata una parola che
iscriveva in se stessa il proprio principio di decifrazione; oppure, in ogni caso, essa
supponeva, al di sotto di ciascuna delle sue frasi, di ciascuna delle sue parole, il potere di
modificare sovranamente i valori e i significati della lingua alla quale nonostante tutto (e di
fatto) apparteneva; essa sospendeva il regno della lingua in un gesto attuale di scrittura.
(…) Da qui anche la strana vicinanza tra follia e letteratura, alla quale non bisogna
assegnare il senso di un’affinità psicologica finalmente messa a nudo.(…) Ma dopo
Raymond Roussel, dopo Artaud, è anche il luogo verso il quale il linguaggio della
letteratura si accosta. Ma non vi si accosta come a qualcosa che avrebbe il compito di
enunciare. E’ tempo di accorgersi che il linguaggio della letteratura non si definisce per ciò
che dice, né tantomeno per le strutture che lo rendono significante. Ma che egli ha un
essere e che è su questo essere che occorre interrogarlo. Questo essere qual è attualmente?
Senza dubbio qualcosa che ha a che vedere con l’autoimplicazione, nel doppio e nel vuoto
che si scava in lui. In questo senso l’essere della letteratura, così come si produce dopo
Mallarmé e sino ai nostri giorni, conquista la regione dove, da Freud in poi, avviene
l’esperienza della follia».132
132
Michel Foucault, La follia, l’assenza di opera, in Storia della follia nell’età classica, Rizzoli, Milano
1992 [1963], pp.481 e segg.
64
1.3.3 Catalogo figurativo
«Ogni gesto costa un grande sforzo, una fatica dolorosa, compiere con le nostre mani atti
assopiti nel caos di questo mondo di sentimenti e conoscenze confuse in un accavallarsi
dinamico. Ne nasce una pittura senza descrizione, dipinta perché non si può urlare in faccia
al prossimo. Noi facciamo un catalogo di cose perdute, ognuno ne ritrova un pezzo e lo
appiccica al muro, costruendo un mondo che forse è possibile.(…) non possiamo non
sentire che siamo di nuovo di fronte alla fine di una storia e all’inizio di un’altra con una
differente commozione, senza arringhe sui quadri, senza santi sulle croci, senza paesaggi e
senza triangoli. Perché queste cose richiedono la tranquillità e l’artifizio di un mondo
spiegato. Ed allora il pescare un’immagine, scavando in se stessi o nella vita diventa
sempre più difficile, la necessità di trarre alla luce un’ipotesi in un mondo pesante consuma
sempre più la fretta le mani il cervello. E’ come volere scrivere qualche cosa con un
alfabeto ancora da inventare».133
Il catalogo di cui parla Novelli in questa importante dichiarazione del 1957, anno denso di
esperienze personali e artistiche, è uno degli elementi fondanti della sua opera, sempre
legato a quello della memoria e 'della pittura senza descrizione'. Pensando al 'catalogo di
cose perdute', arriverà a catalogare segni, a tracciare sequenze di numeri, a dichiarare il suo
interesse per il vocabolario, l'antologia, l'erbario, la collezione di oggetti, l'assemblaggio di
materiali inseriti dentro teche, e le stesse griglie (§1.3.9) in cui inserisce segni di vario tipo
che rispondono al criterio della catalogazione, per quanto asistematica. Anche con la
scultura si avvicina a questa pratica con opere di piccole dimensioni intitolate, ad esempio,
Agglomerazione del '62 (fig.33) e Collezione di conchiglie, dello stesso anno.
Come nel caso del già citato dipinto Il vocabolario del ‘64, Novelli, fa riferimento
soprattutto a Lévi-Strauss, e a autori di varie discipline e di epoche diverse, dalle cui opere
133
Gastone Novelli, Discorsi ai critici, ai poeti, agli amatori, ai passanti, due versioni dattiloscritte di cui la
seconda è del 1957, ora in “Grammatica” 1976, cit., p.27.
65
l’artista estrae in maniera frammentaria alcune suggestioni utili alla costituzione del suo
personale 'catalogo di cose perdute'. In questo caso il catalogo è costituito da giochi di
parole, simboli esoterici di varia provenienza, l'alfabeto tratto dall’antico trattato di
crittografia. È proprio il testo dell'antropologo strutturalista - che nel suo saggio utilizza
molte griglie e schemi per semplificare il complesso sistema di relazioni messe in luce
nella sua opera, che il pittore non riporta mai completi quando cita ma che utilizza spesso
nelle sue opere come elemento essenziale - una delle fonti concettuali da cui Novelli
attinge l'idea del catalogo utile alla costituzione di una “memoria”.
Questo è l'altro tema che ricorre negli scritti dell'artista sempre a partire dal '57. La
memoria è vista come funzione dell'inconscio collettivo, concetto mutuato da Jung: «In
pittura il nostro atto prende una forma nuova nella quale l'oggetto nasce quasi da solo,
risultato della supremazia dell'inconscio sulla ragione, espressione della memoria atavica e
ricerca della memoria del futuro nella coscienza della irrealtà del tempo, ed, infine
riconoscimento di un ordine di fatti, di una realtà delle cose al di fuori della ragione».134 E
ancora: «Un'immagine nasce in un qualche luogo di una memoria comune risultato della
somma di una verità caotica ed iniziale, di una necessità immediata e di un cumulo di fatti
passati».135
In uno scritto del '68 riprende il tema dell'operazione iniziale, come il reperimento di segni
da catalogare: «All'inizio si procederà creando o raccogliendo i propri strumenti
(vocabolario), catalogando e scegliendo fra i segni, le lettere, i frammenti dei diversi
universi linguistici esistenti».136 L'artista non abbandona dunque mai la pratica che lo
accompagna nel corso di tutta la sua opera, rendendola esplicitamente anche un atto che
134
135
136
Gastone Novelli, La macchina Totem, in “Esperienza Moderna” n.1, aprile 1957, pp.3-4, ora in
“Grammatica” 1976, cit., p.26.
Gastone Novelli, Analizzare il processo creativo, in “Esperienza Moderna”, n.2, agosto-settembre 1957,
p.26 con il titolo Documenti di una nuova figurazione: Scialoja, Novelli, Alechinsky, Perilli, Twombly,
ora in “Grammatica” 1976, cit., p.26.
Gastone Novelli, Il linguaggio e la sua funzione, scritto a Venezia nel febbraio 1968 e pubblicato
postumo su “Civiltà delle macchine” n.1, 1969, ora in “Grammatica” 1976, cit., p.45.
66
riguarda direttamente la sfera linguistica, come fece in uno scritto politico databile
all’estate dello stesso anno. «Il linguaggio, per essere attivo, deve essere come un rito
magico, con le sue regole interne, i suoi materiali reperiti e organizzati in un sistema ben
articolato e indipendente da ogni altro sistema precedente»,137 alludendo dunque, anche per
l'uso delle parole, alla possibilità di inventariare le particelle linguistiche, ovvero di
catalogare i 'materiali', i segni rintracciati in ambiti diversi, ipotizzando altre combinazioni
possibili.
Il linguaggio ha una realtà indipendente dalle circostanze (Le regole del gioco, infinite
partite) del 1963 (fig.34) è un'opera su carta che precede il dipinto Il vocabolario al quale è
strettamente collegata. Al centro del foglio si leggono scritte calligrafiche, soprattutto a
stampatello, come di consueto combinate con altri segni e schemi in cui l'artista ha inserito
simboli di vario tipo. Questa interessante opera è da mettere in relazione anche con gli
scritti La creazione di un’opera plastica del ’57, e Pittura procedente da segni del '64 e
poi con il disegno Alfabetiere 2 del ’62 (fig.74), di cui parlerò in seguito. Le dichiarazioni
contenute (e nelle altre assimilabili) sono prelevate quasi integralmente dal già citato La
pensée sauvage, uno dei libri più amati e studiati da Novelli, e tradotto in italiano dallo
stesso artista per le parti che lo interessano. Oltre a Lévi-Strauss, sono fatti riferimenti a
varie discipline e fatti culturali di epoche diverse, da cui l’artista estrae in maniera
frammentaria alcune suggestioni utili alla costituzione di «un catalogo di cose perdute» per
costruire «un mondo che forse è possibile».138
Nel disegno, dopo la frase che dà il titolo all'opera e alla 'prima' necessità di catalogare,
leggiamo: dal grande al piccolo dall’incolto al coltivato dal confuso al significante/ da
ABB BAB BA A BA BA BA operazione grammaticale. In questa frase Novelli condensa
137
138
Gastone Novelli, La causa fondamentale, in “Flash Art”, n.19, Milano settembre-ottobre 1970, ora in
“Grammatica” 1976, cit., p.48.
Gastone Novelli, Discorso ai critici, ai poeti, agli amatori, ai passanti, in “Grammatica” 1976, cit., p.27.
67
sia una citazione dal testo dell'antropologo francese sia un’espressione che sarà poi
riportata nello scritto del '64, insieme all’altra: segni sono concrete qualità le immagini/
ma hanno un potere referenziale possono fare le veci di qualcosa d’altro.139
Quando poi Novelli scrive le regole del gioco e un po' distante aggiunge infinite partite, fa
una delle dichiarazioni più importanti del suo lavoro artistico, una scelta di campo. Questa
frase è una prima citazione da Lévi-Strauss140 e costituisce un indizio fondamentale per
comprendere l’opera di Novelli degli anni Sessanta. In Pittura procedente da segni, scrive
che «il lavoro artistico si può paragonare ad un “gioco” che ha le sue regole precise ma
permette infinite partite, ed ogni singola partita è comprensibile solo attraverso la
conoscenza delle regole del gioco cui appartiene».141 Lo statuto di ‘gioco’ è basato sulle
regole, Roger Caillois sostiene proprio che «ogni gioco è un sistema di regole, esse
definiscono ciò che è o non è gioco, vale a dire il lecito e il vietato»,142 e Novelli esprime
la libertà dell’artista attraverso la possibilità di cambiare di volta in volta le regole date, in
un continuo ‘gioco’ di sovvertimento.
In questo disegno le regole del gioco sono una serie di segni ordinati su due righe: una
nuvoletta con segni obliqui che l'artista indica con la scritta con vento; una nuvoletta con
puntini e la scritta senza vento; lettere alfabetiche tradotte con piccole figure geometriche;
ancora una scritta, più segni/ nell’inventario/ corrisponderanno/ al nostro universo/ più
questo sarà/ vasto; una serie di segni (per la montagna, per la luna e per la sabbia, per il
sole, organici) che si ritroveranno anche nel dipinto Il vocabolario; e ancora: linguaggio
accademico accompagnato dalle lettere dell'alfabeto e linguaggio magico lettere
dell'alfabeto inserite in una griglia a cui l'artista aggiunge un'altra importante citazione da
139
140
141
142
Lévi-Strauss 2010 [2003], cit., p.31.
Lévi-Strauss 1962, cit. A p.44 della prima edizione francese si legge: “tout jeux se définit par l’ensemble
de ses règles, qui rendent possible un nombre pratiquement illimité de parties”.
“Grammatica” 1976, cit., p.35.
Roger Caillois, I giochi e gli uomini. La maschera e la vertigine, Bompiani, Milano 2004 [1981], p.8.
68
Lévi-Strauss,143 ripresa poi nel suo scritto del '64: testimoni fossili di un individuo e della
società.
Con la parola ES collegata a altri segni e a essere + divenire con due figure circolari,
esterno + interno con due quadratini, Novelli sembra fare un riferimento alla teoria dell'Es
di Freud a cui associa però, ancora, segni. Nelle seguenti ultime tre righe, troviamo altri
sintagmi, altre figure accompagnate da numeri: oggetti di contemplazione; la posizione con
i numeri 1 2 3 4; una figura semicircolare con l’aspetto; nulla a che vedere con le
circostanze storiche è un chiaro riferimento alla visione astorica dell'antropologo francese
che vede la classificazione e la storia in rapporto di profonda 'antipatia'. Con momento
principale: l'esecuzione, Novelli dà valore a tutta l'opera di preparazione che è la
catalogazione (o collezione come preferisce Lévi-Strauss), finalizzata all'atto creativo. La
piccola montagna, segno ricorrente nelle opere di questi anni (compresa quella enorme in
cemento a Saturnia), il disco a spirale a metà tra disco di Phestos e gioco dell'oca, i seni e
la griglia con lettere dell'alfabeto, riassumono in parte un repertorio di segni utilizzati
dall'artista in vari contesti e che saranno analizzati nei singoli paragrafi. Vale però la pena
soffermarsi sul particolare tipo di griglia presente in quest'opera. Tra cruciverba e sistema
crittografico (molto simile al dispositivo usato da Alighiero Boetti nelle sue famose
crittografie disegnate a penna), in questo schema Novelli gioca con le lettere che
compongono le sillabe FA LA CI DI FE LE, per poi scrivere fà lacidi fele. Questo sintagma
nonsensico potrebbe essere anagrammato in varie combinazioni: felice la aida; la fida
felice; fallacie fedi; c'è filadelfia; falli fica dee, e molte altre.
Il disegno eseguito da Novelli per “Il Verri” n.7 del 1963 (fig.35), dove, insieme a altri tre,
è pubblicato il testo di Claude Simon Novelli e il problema del linguaggio. Il grande
scrittore francese traccia in questo saggio un sentito ritratto del pittore attraverso l'analisi di
143
Lévi-Strauss 2010 [2003], cit., p.34.
69
alcune sue opere. Inizia parlando del carattere di ‘inventario’ dell'opera di Novelli: «Se una
pittura di Novelli, con la sua stessa materia cremosa, le sottili modulazioni di toni e le
scoppiettanti coloriture, viene in un'infima frazione di secondo interamente afferrata, colta
(o meglio: ci afferra, ci coglie), essa può per contro essere 'conosciuta' soltanto dopo una
lunga investigazione, un lungo inventario nel corso del quale l'occhio deve percorrere
l'intera superficie, alla scoperta degli elementi che vi sono raccolti e che compongono il
quadro».144
In questo caso, l'inventario proposto dall'artista inizia dalla scritta, in stampatello e senza
spazi, ILMONUMENTOAALLEEILMONUMENTOAAIIILMON. Sotto, su cinque righe, è
disposta una serie di figure eterogenee, tipiche del vocabolario iconico dell'artista. La più
significativa sembra l'ultima, con alcuni disegni che ricordano gli omphalos che andava
elaborando in quel periodo, in seguito al viaggio fatto in Grecia. In questo disegno, così
come in altre opere, Novelli sceglie una serie di figure, che potrebbero però essere molte di
più, facendo immaginare l'inesauribile potenzialità data dal catalogo. Umberto Eco, nel suo
recente saggio Vertigine della lista, fa notare che la «lista, o elenco, o catalogo»,
suggeriscono l'idea di infinito, «un infinito attuale, fatto di oggetti forse numerabile ma che
noi non riusciamo a numerare - e temiamo che la loro numerazione (ed enumerazione) non
si possa arrestare mai», e che «l'infinito dell'estetica è un sentimento che consegue alla
finita e perfetta compiutezza della cosa che si ammira, mentre l'altra forma di
rappresentazione di cui parliamo suggerisce quasi fisicamente l'infinito, perché di fatto
esso non finisce, non si conclude in forma».145 Aggiunge poi che sia le liste di carattere
'poetico' che quelle di carattere 'pratico' condividono la possibilità di essere allungate,
qualora se ne presentasse l'occasione. Non sono quindi mai definitive.
144
145
Claude Simon, Novelli e il problema del linguaggio, in “Il Verri”n.7, Milano 1963, p.61.
Umberto Eco, Vertigine della lista, Bompiani, Milano 2009, pp.15 sgg.
70
Erbario, figure della natura, geometria, è del 1964 (fig.36). In questo disegno Novelli
mette insieme elementi eterogenei, creando così un catalogo che sembra un omaggio
all'opera di Paul Klee. L'artista svizzero era collezionista di storia naturale146 e amava
raccogliere piante e fiori durante le sue passeggiate (come quelle fatte durante una sua
vacanza all'isola d'Elba nel 1926), che diventavano veri e propri erbari disegnati e utilizzati
per le sue lezioni.147Anche la definizione 'figure della natura' e 'geometria' sono termini e
ambiti studiati in particolare da Klee, e già Maurizio Fagiolo aveva accostato i due pittori
parlando proprio dell'atteggiamento di collezionista di entrambi: «Novelli, come i
'novissimi', muove da una preoccupazione semantica, ma il ricorso alle teorie di De
Saussure, Morris, Wittgenstein sarebbe inutile. In Novelli la ricerca della 'parola prima' è
essenziale quanto intuitiva: rivà al segno, alla radice perché il “risultato, la conclusione è
sempre una cosa stupida e malfatta”. Più che uno studioso del segno è un collezionista, un
erborista, uno schedatore di segni. (…) Sono collezioni di segni le sue piccole sculture, le
sculture che avrebbe potuto fare Klee: tracce di conchiglie e brani naturali, scatoline con i
più piccoli oggetti possibili».148
Con questo disegno Novelli avvicina inoltre il suo lavoro a un altro testo antico, la
Philosophia botanica di Carlo Linneo (1701-1778), il botanico (e sistemico) svedese padre
dei moderni sistemi tassonomici. Il suo libro, uscito nel 1751, è un riferimento
imprescindibile per quanto riguarda la classificazione del mondo vegetale e per la scienza
della classificazione in generale. Vista la dimestichezza che Novelli aveva con testi antichi
di varie discipline, le tavole che corredano il testo potrebbero aver dato spunto per il suo
erbario, che, anche se sembra essere un unicum nella sua produzione, è richiamato pure in
altre opere.
146
147
148
Klee 1976 [1959], cit.,vol.II, p.XXIV.
Klee 1976 [1959], cit., vol.II, p.XXXVIII.
Maurizio Fagiolo dell'Arco, Rapporto 60/ Le arti oggi in Italia, Bulzoni, Roma 1966, p.118.
71
Il nome della spiaggia dell'isola di Mikonos, Plati yalo, dà il titolo all'incisione
calcografica del 1966 (fig.37), che fa parte del gruppo di opere elaborate da Novelli sulla
base dei suoi appunti presi nel corso dei viaggi in Grecia fatti tra il 1962 e il '63. Nel '62,
con i disegni del primo viaggio fu allestita una mostra alla libreria “Ferro di Cavallo” e nel
catalogo furono stampati alcuni appunti dell'artista. Il primo progetto di pubblicazione del
diario di viaggio, 106 pagine dattiloscritte ora nella collezione di Ivan Novelli, corredato
da alcuni disegni, risale invece al '63, ridotto poi nel '64 a 80 (Arch. Mich.). La terza e
ultima versione ridotta fu pubblicata per conto della galleria Arco d'Alibert a tiratura
limitata (45 copie) e corredata da sei incisioni originali, tra cui Plati yalo, stampata dalla
Grafica Romero nel '66.
In questo piccolo lavoro sono disegnate e numerate diciotto conchiglie che evocano il mare
greco. Anche qui il pittore espone, come se fosse una tavola di un testo di storia naturale,
una serie di elementi pronti per essere catalogati, anche se ai numeri non corrispondono le
rispettive, seppur fantasiose, nomenclature.
Tutto il testo di questo particolare diario di viaggio, soprattutto la seconda versione, è
ricchissimo di descrizioni le più diverse, frammiste a ricordi che vanno dalla letteratura,
alla storia, alla geografia, a viaggi precedenti: dai paesaggi naturali, soprattutto montagne e
mare, ai siti archeologici, alle città, alle cerimonie religiose alle quali assistette, alle
persone incontrate durante il viaggio. In tutto il diario è forte l'idea del catalogo emanata
dalla descrizione scritta e avvalorata dai disegni che lo accompagnano. Il viaggio è per
Novelli il momento della memoria, mentre attraversa luoghi e culture diverse, evoca anche
momenti che fanno parte della sua storia personale, come i drammatici episodi della sua
prigionìa durante la guerra. Descrizione, memoria, catalogo, sono tutti elementi che
mettono in moto la creatività dell'artista.
Con l'incisione catalogata come 13 esempi del 1966 (fig.38), Novelli illustra, con alcune
72
tecniche incisorie, varie qualità di segni. Il titolo completo dell'opera è Tavola che serve
per esemplificare un certo numero di segni (a punta secca o con differenti morsure di
acido e diverse punte) e di acquetinte tutti necessarie e utili al mio linguaggio e tutte
controllate e diverse volte sperimentate, e sembra la presentazione di un manuale di
tecniche calcografiche. In ognuno dei 19 riquadri sono illustrati alcuni esempi di tecnica e
le relative possibilità espressive che possono essere utilizzate dagli artisti. Novelli assorbe
e rielabora dunque gli strumenti propri dell'antico metodo grafico dell'incisione, così legato
alla pratica del segno e della trasformazione ‘alchemica’ della materia.
Nella Tavola che illustra cinque movimenti per le acque del 1966 (fig.39), Novelli fa un
breve elenco figurato di onde acquatiche. Questo è un tema che ricorre, insieme a quello
delle onde acustiche, in alcuni disegni e quadri tra '65 e '66. Amante di grafici, diagrammi
e schemi, l'artista veste i panni dello scienziato che indaga il mondo della natura attraverso
figure che spieghino i propri studi. Novelli amava il mare e le onde diventano soggetto di
questa incisione in cui sono indicati, attraverso vari tipi di segni e tecniche incisorie
diverse, i momenti di quiete e di moto dell'acqua, con i numeri pronti per una eventuale
legenda.
Il quadrato si agita nel piccolo mondo della geometria, 1966 (fig.40) è un'altra incisione
calcografica in cui viene rappresentato un repertorio molto ampio di coniugazioni della
forma quadrata. Il disegno è da mettere in relazione con il dipinto (fig.26) del ’67, con un
titolo molto simile e che presenta diverse analogie con la crittografia di Vigenère.
Novelli, a partire dal ’65, inizia a lavorare molto sul quadrato e su varie combinazioni con
altre figure geometriche, ma si può affermare che ne sia sempre stato affascinato, basti
pensare alle numerose griglie ortogonali utilizzate nelle sue opere a partire dal '60. Egli
73
conservava nella sua biblioteca (Arch. Mich.) una copia della prima edizione de Il
quadrato di Bruno Munari.149 Sembra così meditare su alcuni spunti trovati nell'importante
libretto del suo amico, come ad esempio nella pagina che tratta delle 'divisioni interne' del
quadrato o da quelle che si possono avvicinare agli studi di Klee che si occupò delle
potenzialità della forma quadrata nel suo testo teorico. Novelli si era in precedenza riferito
alla forma del quadrato attraverso la figura dei dadi e vi tornerà successivamente in molte
sue opere trasformandola in aquilone.
16 differenti tipi di fiori ed i loro possibili ibridi e incroci, 1967 (fig.41). I fiori inventati
ricordano alcune figure di mandala del testo di Jung. Novelli gioca con le forme, ibridando
temi e incrociando generi. Il tema della botanica era già noto all'artista perché l'argomento
era stato frequentato anche da alcuni surrealisti francesi, come ad esempio Max Ernst nel
suo Histoire Naturelle. Almeno in un'altra occasione può aver visto esempi di 'botanica
fantastica': in un numero della rivista “Il Caffè” del '57150 fu pubblicato un estratto di due
testi in inglese di Edward Lear (1812-1888) che tratta di “botanica nonsensica”. Egli
conosceva la rivista, che era presente nella sua biblioteca.151
Gli esempi riportati dalla rivista sono ora considerati precedenti di una delle “scienze e
teorie inventate da letterati e artisti” di Forse Queneau,152 che risponde alla voce Botanica
parallela in cui si parla della pubblicazione di Leo Lionni che porta lo stesso titolo.153
In questo curioso libro, l'autore parla del mondo scientifico legato alla scienza immaginaria
di sua invenzione, di cui offre numerosi particolari tra cui trentadue tavole che illustrano le
“piante parallele”.
149
150
151
152
153
Bruno Munari, Il quadrato, Scheiwiller, Milano 1960.
I testi di Edward Lear sono Nonsense Songs, Stories, Botany and Alphabets del 1871 e More Nonsense,
Pictures, Rhymes, Botany etc. del 1872. La traduzione di Giulio Macchi, Nonsense botany, comparve ne
“Il Caffè” del 2 giugno 1957, pp.20-21.
Nella sua biblioteca (Arch. Mich.) è conservato un numero della rivista del 1964.
Paolo Albani, Paolo della Bella, Forse Queneau. Enciclopedia delle scienze anomale, Zanichelli, Bologna
1999, pp.72 segg.
Leo Lionni, La botanica parallela, Adelphi, Milano 1976.
74
Infine si può prendere in considerazione il disegno, senza titolo, del 1961 (fig.42). In questo
pastello troviamo una specie di lista figurata di segni che mostra la metamorfosi subita dal
rettangolo, dal quadrato e dalla circonferenza con l'inserimento di segni diversi al loro
interno: una sorta di repertorio di figure da utilizzare in lavori successivi.
Dalle opere scelte tra le tante che presentano l'idea del catalogo o della lista si può vedere
quanto per Novelli tutti i segni (e i concetti) possano essere, in maniera più o meno
omogenea, annotati e esposti come esempi di categorie.
Per un pittore la parola 'catalogo' dovrebbe evocare le pubblicazioni con figure e testo che
corredano in genere mostre d'arte ma, conformemente alle sue preferenze letterarie, per
Novelli il catalogo ha più a vedere col significato che questa forma assume nella letteratura
della neovanguardia che la utilizza per mettere in risalto il carattere ormai destrutturato
della scrittura. Rimanendo in questo caso fedele al suo ruolo di pittore, alle parole Novelli
sostituisce segni grafici e figure, dunque non come altri artisti figurativi che preferiscono
riportare liste di parole nelle loro opere.
Come accennato sopra, per Novelli sembra che il tema del catalogo di segni sia fortemente
legato al tema della memoria, sulla scorta del pensiero di Lévi-Strauss. Ma questo tema
ricorre in quegli anni anche nella corrente letteraria francese del Nouveau Roman, che
teorizzava la letteratura come pura descrizione di un mondo che esiste semplicemente
come una sequenza di fatti e di cose senza particolari sfumature emotive. Novelli, come
molti intellettuali e artisti italiani della neoavanguardia degli anni Sessanta, si interessò al
dibattito culturale stimolato dagli scrittori francesi e rimase probabilmente influenzato
anche nella elaborazione del tema della catalogazione. Nella sua biblioteca (Arch. Mich.)
erano presenti alcuni dei romanzi più importanti di Robbe-Grillet, uno dei più significativi
rappresentanti del Nouveau Roman con la sua radicale concezione di una letteratura intesa
come una vera “descrizione ottica” del mondo. Novelli aveva inoltre un testo di Butor, La
75
modification, dove l'idea del tempo è molto presente nella descrizione delle ore che
trascorrono per un uomo che si trova a 'modificare' nel corso di un lungo viaggio in treno
un’importante decisione che riguarda la sfera affettiva.
Il trascorrere del tempo è un tema trattato estesamente anche da Claude Simon. Egli ebbe
un rapporto privilegiato con il pittore italiano: dopo essere stato insignito del premio Nobel
per la letteratura nel 1985, nel 1997 scrisse Le Jardin des Plantes in cui, all'interno di un
romanzo dove il lavoro sulla memoria determina la struttura anche tipografica del libro,
concepito per parti giustapposte, traccia un commovente ritratto di Novelli, che ha un ruolo
fondamentale nel racconto definito dallo stesso scrittore «ritratto di un ricordo». I due
artisti avevano condiviso i drammatici eventi dell'occupazione nazista e del fascismo e il
pittore è descritto «come un tragico gemello dello scrittore, segnato come lui nella carne,
nella sensibilità e nel pensiero dall'esperienza della guerra, del dolore della morte».154 Tra
le sue carte Novelli conservava due lettere autografe dello scrittore oltre a una copia di La
Route des Flandres uscito in Francia nel '60.155
Nel Nouveau Roman, chiamato anche École du Regard, «il ricorso agli oggetti, alle forme
descrittive, assumeva in un certo senso una funzione terapeutica, diventava espressione di
una diffidenza»156 nei confronti dell'ideologia che aveva allagato la letteratura francese del
dopoguerra. La lettura di autori come Joyce, Borges, Kafka e altri, oltre che al cinema, fu
fondamentale per tentare di «opporre al romanzo tradizionale un linguaggio narrativo che
intenda funzionare in primo luogo a livello formale o 'testuale'». Barthes parlava di
“letteratura oggettuale” o “letteratura letterale”, una “forma asettica del racconto”. In
Francia i due autori che possono considerarsi all'origine di questo atteggiamento sono
Samuel Beckett e Nathalie Sarraute. Con Beckett, come noto, Novelli ebbe un lungo
154
Brigitte Ferrato-Combe, Novelli e gli scrittori francesi, catalogo mostra alla Galleria Di Meo, Parigi
10.10-29.11 2008, pp.16-17.
155
Per l'approfondimento del tema dei rapporti tra Novelli e l'avanguardia letteraria francese si rimanda al
Cap.II di questa ricerca.
156
P.Abraham e R.Desné (a cura di), Storia della letteratura francese, tr.it. A.Dittel, A.Riganti, P.Veronesi,
A.Vigna, Garzanti, Milano 1985, pp.393 e sgg.
76
rapporto di amicizia e stima reciproca iniziata con l'esecuzione delle immagini litografiche
a corredo de L'image, un capitolo di Comment c'est del '61 (v. oltre).
Beckett fu uno degli autori più amati dal pittore italiano che cita più volte Molloy, un
romanzo in cui «per la prima volta la letteratura si sforza di non designare altro che se
stessa». La tragica assurdità dei personaggi è sempre fissata con grande lucidità e descritta
anche attraverso minuziose didascalie, alludendo alla condizione dell'uomo che si agita
dentro un vuoto esistenziale senza speranza.
La nuda enumerazione da catalogo messa in atto dagli autori dell’École du Regard riflette
dunque l'impossibilità da parte degli autori di interpretare la realtà. Rimane loro il compito
di inventariare senza aggettivi il mondo.
In Italia, l'avanguardia letteraria francese ebbe molti estimatori anche nel Gruppo 63, con i
cui esponenti Novelli ebbe uno stretto rapporto, soprattutto con alcuni di loro. Sulla
copertina del primo numero di “Grammatica”, leggiamo una lunga dichiarazione di intenti
frutto di una conversazione tra i fondatori della rivista, Balestrini, Giuliani, Manganelli,
Novelli, Pagliarani e Perilli, il cui incipit riassume in parte i principi che sono alla base
dell’approccio linguistico di quegli anni, e dove gli autori, o almeno uno di loro perché
quello che viene riportato è un dialogo, si dichiarano catalogatori: «(...) ogni universo è in
primo luogo un universo linguistico in quanto è proprio una morfologia ed è sottoposto a
tutto il rigore e a tutta l'arbitrarietà delle morfologie. Così noi possiamo parlare del
linguaggio come di ciò in cui l'universo stesso diventa non direi pensabile/ cosa possiamo
dire? In che modo l'universo è linguaggio?/ direi abitabile./ Grammatica è anche una
parola estremamente modesta: noi oltreché avere l'ambizione di inventare una verità, siamo
anche dei (non direi filologi) catalogatori/ c'è tutto un lavoro di degradazione
dell'ideologia, perché naturalmente il discorso, il linguaggio è contemporaneamente molto
77
di più e molto di meno dell'ideologia, e in questo modo può evitare l'arroganza.».157 Il
lungo dialogo tra i fondatori, che intervengono in maniera anonima, prosegue poi con un
dibattito centrato in larga parte sull'idea di catalogo da mettere a confronto con il concetto
di 'grammatica'. «La catalogazione è di per se stessa un fatto arbitrario. La catalogazione
non deve necessariamente partire da un dato prescelto a priori. La catalogazione avviene su
elementi che tu hai in mano. Tu hai tre sassi e due foglie, a un certo momento tu metti le
foglie da una parte, i sassi dall'altra e già crei una catalogazione». «Apparentemente stai
catalogando oggetti, in realtà stai offrendo parole. Queste parole a loro volta sono solo
illusoriamente catalogabili, come non appartenenti a una grammatica: il discorso sui sassi
acquista un significato, almeno a mio avviso, solo se io lo colloco dentro la grammatica,
dentro la pancia di una grammatica». Il discorso sul catalogo si chiude, più o meno, con «a
mio parere il concetto di grammatica sta esattamente fra la catalogazione e l'ideologia,
cioè, è la chiave di volta del passaggio da una catalogazione a una ideologia». Come risulta
evidente dai brani della conversazione, che è una dichiarazione di poetica, l'idea del
catalogo è centrale in un ambito in cui gli scrittori si pongono il problema della costruzione
di una nuova grammatica, ovvero di un nuovo modo di usare il linguaggio.
A questo proposito si ricorda come Giorgio Manganelli si sia espresso in termini entusiasti
nei confronti dell'elenco telefonico e dell'enciclopedia alfabetica (cfr.§ 2.3).
Nella biblioteca di Novelli era presente Borges con alcune tra le opere più conosciute.158
Lo scrittore argentino, tra i più amati dalle avanguardie europee, utilizza l'idea del catalogo
per rappresentare il surreale desiderio dell'uomo di poter controllare l'infinito, basta
ricordare La biblioteca di Babele, uno dei suoi più famosi racconti fantastici, dove il
157
158
Il dattiloscritto originale, il cui titolo è La carne è l’uomo che crede al rapido consumo, fu scritto da
Nanni Balestrini ed è conservato preso l’Archivio Achille Perilli a Orvieto.
Presso l’Arch.Mich. sono conservati: Storia dell'eternità, Manuale di zoologia fantastica, Storia
universale dell'infamia, L'Aleph.
78
protagonista è alla ricerca del catalogo dei cataloghi.
Come ricorda Eco, Foucault, in apertura de Le parole e le cose,159 fa un omaggio a Borges
citando il famoso passo sulla «certa enciclopedia cinese» contenuta nell'Emporio celeste di
conoscimenti benevoli, inventata nel saggio L’idioma analitico di John Wilkins. Nel suo
importante testo del 1966, Foucault, partendo dalla lista incongrua di Borges (che
comprendeva al suo interno anche la stessa lista) parla di classificazioni e tassonomie –
oltre che di 'mathesis', la scienza dell'ordine calcolabile - in relazione all'episteme classica
dei secoli XVII-XVIII che si basa sull'idea della rappresentazione. L'esempio che porta è la
scienza botanica di Linneo: in questa fase l'uomo utilizza le sue conoscenze scientifiche
per dare una descrizione artificiale dell'ordine già esistente, utilizzando per questo un
sistema di segni che è il linguaggio, al quale però è l'uomo che dà un significato perché lo
trova già all'interno della natura. Uomo e natura condividono dunque il fatto di trovarsi
all'interno del discorso, cioè del linguaggio.
Sempre in questo contesto, Foucault si sofferma sul concetto di «continuum delle cose (una
non-discontinuità, una pienezza dell'essere) e una certa potenza dell'immaginazione che fa
apparire ciò che non è, ma consente, in tal modo, di portare alla luce il continuo»,160 anche
tra elementi non rapportabili tra loro.
Dalla prospettiva 'archeologica', l'analisi del filosofo francese ci fa comprendere l'esigenza
di classificazione finalizzata alla creazione di un ordine virtuale utile alla conoscenza che
però, allo stesso tempo, è indice di un primo scollamento tra significato e significante, così
come si manifesterà in epoche successive.
Per Eco, la necessità di stilare liste è propria delle culture primitive «che hanno ancora
un'immagine imprecisa dell'universo e si limitano ad allinearne le molte proprietà che
159
160
Foucault 2007 [1967], cit., p.5.
Foucault 2007 [1967], cit., p.88.
79
sanno nominare senza tentare di instaurare tra di esse un rapporto gerarchico».161 Ma dalle
epoche arcaiche, questa necessità viene trasmessa al Medioevo associandosi alla letteratura
religiosa, per passare poi al Manierismo e al Barocco, arrivando all'età contemporanea
dove viene utilizzata sia in letteratura che nell'arte figurativa, soprattutto nella forma
verbale.
Anche se nella storia della letteratura la categoria del catalogo o elenco o lista, è
antichissima in quanto nasce con le descrizioni di Omero nell'Iliade, passando per Dante e
Rabelais e arrivando al famoso Bouvard et Pécuchet di Flaubert, è significativo che nel
Novecento si sia riscoperto tale modo artificioso per dare un apparente ordine al mondo,
oltre che con le opere di Borges e Joyce, con quelle di Perec e Calvino (che Novelli
probabilmente conosceva).
Nell'arte figurativa, nel caso di Novelli, la classificazione è data in forma iconica, ma molti
sono i casi di artisti per lo più di ambito concettuale che nel Novecento adottano la lista
verbale nelle loro opere: il caso più conosciuto in Italia è probabilmente quello di Alighiero
Boetti che cerca di classificare, dopo un lungo e meticoloso lavoro di ricerca compiuto tra
il 1970 e il '73 con la moglie Anne Marie Sauzeau, i mille fiumi più lunghi del mondo.162
Come nelle tavole sinottiche ad uso scolastico e sulla base de Il romanzo dei grandi fiumi
di Hochmeier del 1956, Boetti dà conto con il suo lavoro dell'impossibilità di catalogare
scientificamente qualsiasi tipo di elemento naturale. La “verità” è nel lavoro dello stesso
artista che redige la lista, in quanto opera d'arte. Progetta anche tre arazzi con i nomi dei
fiumi scritti in caratteri puntinati simili alla scrittura in Breil. Precedentemente l'artista
torinese aveva usato la lista in alcune sue opere, come quella senza titolo che raccoglie
161
162
Eco 2009, cit., p.18.
Alighiero Boetti, Anne Marie Sauzeau, Classifying the thousand longest rivers in the world, 1970-1977
libro a stampa, edizione in 500 esemplari firmati e numerati, cm 21,5 x 16,5 x 5,5 cad., pp. 1018.
Tipografia Sergio D'Auria, Ascoli Piceno 1977.
80
materiali diversi applicati ai cartoncini di invito per la sua prima personale alla galleria
Stein di Torino del gennaio 1967 (fig.43). Anche il famoso Manifesto del 1967 può
rientrare tra le opere che hanno il carattere di lista o catalogo.
Una vera e propria lista, termine riportato anche nel titolo è l'opera distrutta Liste der
beteilgten Künstler als Project del '69 in cui l'artista compila un elenco di “artisti coinvolti
nel progetto”.163
Le chine su carta e l'incisione su ottone chiamate Calligrafia, tutte del '71, sono degli
esercizi di riporto calligrafico di nominativi dei relativi numeri presi da elenchi del
telefono, attrazione condivisa da Manganelli e Miccini. Nell'opera di Boetti si può
rintracciare la forma della lista anche in altre opere e si può affermare che spesso le sue
opere presentano sullo sfondo questo carattere.
Sul versante verbo-visivo è interessante la sperimentazione di Ugo Carrega. La sua Pagina
come scrittura, 1966 (fig.44), è strettamente collegata all'esperienza del '63, la Scrittura a
tasselli che consisteva nel comporre su un foglio bianco tante piccole pagine che riportano
frammenti di versi. La serie del '66 è invece, secondo la definizione data dall'artista, «una
riflessione (dai risultati limitati a poche varianti) sulla possibilità d'uso espressivo della
pagina come indice. (Indice, per es., è una nuvola, che ci fa riflettere in anticipo sulla
possibilità che piova)».164 In questo lavoro Carrega, con la volontà di stilare un 'indice',
compone una serie di pagine che contengono segni grafici, parole e materiali vari, gli stessi
che usa per la sua 'scrittura simbiotica', la Nuova Scrittura che comprende a sua volta una
grande varietà di materiali, volta al superamento della scrittura solo verbale. La pagina è
comunque considerata come “strumento-in-sé-d'espressione”, il punto di partenza
imprescindibile per ogni artista. La stessa scrittura simbiotica «parte dal presupposto di
150
164
Le opere di Boetti citate sono riprodotte in: Jean-Christophe Ammann, Alighiero Boetti. Catalogo
generale, tomo primo, Electa, Torino 2009, pp.101, 151, 187.
Ugo Carrega, Commentario, Morra, Napoli 1985, p.46.
81
comunicare attraverso la totalità della pagina, dilatando le possibilità di espressione
attraverso l'interazione fra linguaggio verbale e non».165
Nel multiplo di Eugenio Miccini, Poetry is dead dell'83 (fig.45) campeggia una pagina
strappata da un elenco telefonico. Al centro un coltello (vero) l'ha appena pugnalata (lo
capiamo dal sangue che sgorga). Il tono ironico dell'opera mette al centro l'idea di Poesia,
ormai morta. Ma con una famosa parafrasi, si auspica Long live poetry. L'elenco telefonico
assume, si direbbe, il ruolo emblematico di una nuova forma di poesia, lontana da quella
tradizionale, ma che continua a essere praticata.
165
Maria Teresa Balboni, introduzione a Ugo Carrega, a cura di A.Rossi e M.T.Balboni, Carucci, Roma
1976, p. XIX.
82
1.3.4. Combinazioni e serie numeriche
I numeri sono un elemento fondamentale nell’opera di Novelli. Serie numeriche
compaiono spesso, quasi sempre in relazione a figure ma a volte anche isolati. Come gli
altri, i numeri sono segni che l'artista utilizza per il suo personale vocabolario. La loro
insistita presenza richiede alcune riflessioni. I contesti in cui l'artista inserisce numeri sono
molto diversi tra loro ma implicano sempre l'idea di computo del tempo, che in un'opera di
arte visiva si mette in relazione con lo spazio che questi occupano all'interno della
composizione.
Nello scritto Il linguaggio e la sua funzione, l'artista riprende una considerazione già
espressa in Pittura procedente da segni: «Inserendo in un'immagine (figura, quadro,
disegno, percorso, ecc.) una serie di numeri, le si dà una direzione di lettura, con pause
obbligate, diverse accelerazioni, a seconda della regolarità della scala numerica o della
variazione delle distanze fra i numeri».166 Questa dichiarazione è un evidente riferimento a
Klee che, oltre alle lettere, introdusse cifre nelle sue opere.
Nell'arte del Novecento l'inserimento di numeri ha una storia lunga almeno quanto quella
dell'uso di lettere e parole. Se in Italia sono stati i futuristi a inserirli nelle tavole parolibere
e in alcuni dipinti, tra gli artisti che Novelli ha maggiormente assunto come modello
creativo è stato proprio Klee che ha significativamente inserito numeri in molte sue
composizioni, come nell'opera su carta Inschrift del 1918 (fig.46) e in Uhr-Pflanzen del
1924 (fig.47).
Nel primo disegno, in alto sopra una costruzione architettonica, c'è un'addizione, in basso
altri numeri e la data 1917/18. Nel secondo i numeri sono dentro forme rotonde che
166
“Grammatica” 1976, cit., p.46.
83
assomigliano alle corolle di fiori ma anche a orologi. Se nel primo disegno è sottolineato il
carattere del calcolo matematico dell'operazione legata evidentemente all'architettura di
segni tracciata da Klee, nel secondo i numeri sono messi in relazione, oltre che con la
natura - e in particolare al tema a lui caro del giardino -, con il tempo. Nei suoi scritti,
l'artista svizzero (che non ignorava l’aspetto più segreto dei segni matematici), usa molto
frequentemente i numeri con molteplici riferimenti alla musica e al ritmo, elementi che
vengono costantemente messi in relazione con le possibilità dei mezzi grafici di modulare
linee e segni seguendo gli stessi andamenti astratti. Nei diari scrive: «Sempre più sono
spinto a fare paralleli fra musica e arte figurativa. Ma non mi riesce alcuna analisi. Certo è
che ambedue sono arti del tempo, come si potrebbe facilmente dimostrare».167 Evidenza
ripresa ad esempio da Carmine Benincasa che legge tutta l'opera di Klee legata alla musica:
«Tutto il testo poetico di Klee è un inno liturgico che scandisce i valori ritmici del tempo,
dello spazio, della musica. Klee legge la pittura come musicista».168
Per l'artista svizzero i numeri scandiscono dunque il tempo e lo spazio, annullandoli, come
vedremo nelle opere di Novelli.
Anche il pittore italiano conosceva l'aspetto esoterico dei numeri. Aveva nozioni di
numerologia assorbite attraverso la frequentazione di Villa, lo studioso ed esegeta della
Bibbia e della cultura ebraica antica oltre che autore di articoli sulla nascita dei numeri
presso i popoli primitivi.
Come noto, questa scienza ha radici antichissime come elemento determinante del
pitagorismo e della mistica ebraica e di tutte le pratiche esoteriche che da esse derivano.
Basti pensare all'importanza della gimatreya, l'interpretazione delle lettere attraverso il loro
valore numerico, che fonda l'equivalenza tra alfabeto ebraico e numeri. Questo aspetto ha
167
168
Paul Klee, Diari 1898-1918, Il Saggiatore, Milano 1976 [1960], (640) p. 184.
Carmine Benincasa, Nel giardino del mondo, in Paul Klee, Orsanmichele, Firenze giugno-settembre
1981. Catalogo Electa Firenze, Firenze 1981, p. 44.
84
nella Cabala un valore esegetico enorme in quanto permette la lettura e l'interpretazione
delle sacre scritture attraverso le combinazioni dei valori numerici attribuiti alle varie
lettere dell'alfabeto. Gli stessi numeri sono portatori di valenze simboliche fondanti tutta la
cultura ebraica.169
In epoca moderna, la massoneria - che ha nella geometria e nell'architettura la base della
delle sue pratiche - deriva dalla tradizione pitagorica la conoscenza dei “numeri sacri”. Se
«la Bibbia afferma che Iddio ha fatto omnia in numero, pondere et mensura; i pitagorici
hanno coniato la parola cosmo per indicare la bellezza del cosmo in cui riconoscevano una
unità, un ordine, un'armonia, una proporzione; e tra le quattro scienze liberali del quadrivio
pitagorico, cioè l'aritmetica, la geometria, la musica e la sferica, la prima stava alla base di
tutte le altre». L'adozione del simbolismo ermetico da parte della massoneria è avvenuto
non a detrimento della «universalità massonica e della sua indipendenza dalla religione e
dalla politica», ma «perché anche il simbolismo ermetico od alchemico è per sua natura
estraneo ad ogni credenza religiosa o politica».170
Anche Pozzi fa cenno alla numerologia parlando di certe forme di carmi. «A certi
determinati numeri è stato connesso dalle varie culture un significato specifico. Questa
ipercodifica può talora esser messa al servizio della poesia figurata quando il numero sacro
è assunto come criterio dell’ordine e delle misure che strutturano una tavola poetica».171 A
questo proposito cita il caso del poema di Rabano Mauro che utilizza nella sua
composizione il numero 28, considerato perfetto, e per il prologo il numero 6, anche
questo, secondo la tradizione, perfetto. Ma lo stretto rapporto tra numeri e metrica, numeri
e componimenti poetici è universalmente accettato.
169
170
171
Giulio Busi, Elena Loewenthal (a cura di), Mistica ebraica. Testi della tradizione segreta del giudaismo
dal III al XVIII secolo, Einaudi, Torino 2006 [1995], pp. XXXIII-XIV.
Reghini 1994 [1947], cit., pp.9 segg.
Pozzi 2002 [1981], cit., p. 48.
85
Nelle opere di Novelli cifre iniziano ad apparire più o meno dal '61. In questo anno include
nella sua produzione anche la particolare forma di elenco, giorni della settimana e numeri,
del calendario. Sono di questo anno infatti il dipinto Dan (fig.48) e il disegno Calendario
(fig.49). Se nel quadro l'artista elenca i giorni della settimana e annota a lato una serie di
lettere dell'alfabeto da cui risaltano le parole “obbligo” per il sabato e “oggetti liberi” per la
domenica, il tutto contornato da frasi in francese, nel disegno il riferimento al calendario
come organizzazione visiva di determinati giorni della settimana è evidente. Invece che
parole francesi, nel disegno compaiono parole spagnole. Qui i numeri sono in relazione ai
giorni della settimana scritti dentro quadratini che sembrano avere la funzione dei foglietti
staccabili dei calendari che un tempo erano sempre presenti nelle case e negli uffici.
I due riquadri sottostanti sono riempiti uno con una spirale e l'altro da segni e dalle parole
cancellate “martedì” e “giovedì”. Il lavoro sembra la registrazione di alcuni giorni
(mercoledì 30, giovedì 31 agosto e venerdì uno, sabato due, domingo tres settembre) che
portano con una freccia verso un giorno connotato dalla parola “una”. Giorni di attesa di
qualche evento per l'artista, forse. In questa opera il computo del tempo è evidenziato dalla
successione dei giorni.
Novelli gioca con tante cose diverse, ma il calendario riveste sicuramente un ruolo
privilegiato nella scansione del tempo, personale ma anche cosmico. È stato fin da tempi
remoti utilizzato come strumento di divinazione legato agli studi astrologici, citato anche
da Jung nel libro tanto studiato da Novelli. Lo stretto legame con il tempo mette vicini il
gioco al rito in «una relazione, insieme di corrispondenza e di opposizione», secondo
Agamben, «nel senso che essi intrattengono entrambi un rapporto con il calendario e col
tempo, ma che questo rapporto è, nei due casi, inverso: il rito fissa e struttura il calendario,
il gioco, al contrario, anche se non sappiamo come e perché, lo altera e distrugge. Gli
studiosi sanno infatti da tempo che la sfera del gioco e quella del sacro sono strettamente
86
connesse».172 A riprova sono i legami tra la maggior parte dei giochi che noi conosciamo e
le antiche cerimonie sacre, in danze, lotte rituali e pratiche divinatorie.
Anche in Il tetto del mondo, ancora del ‘61 (fig.50), abbiamo una serie numerica ma
evidentemente finalizzata a uno scopo molto diverso. Questo disegno è da associare al
dipinto dello stesso anno e identico titolo. (fig.50a),
La stessa forma triangolare la ritroviamo in un piccolo riquadro del dipinto del '62, La
montagna degli adepti.173 Mentre una forma di montagna aguzza molto vicina a questa la
troveremo anche nel dipinto Il vocabolario.
Il tema della montagna ricorre nell'opera di Novelli, anche come tema preferito delle sue
sculture in diversi materiali.174 In un suo scritto Novelli ne parla come di un “segno”: «Una
montagna rappresentata come un segno curvo continuo, secondo la sua inclinazione, si
avvicina al ventre, alla mammella; se segnata con linee predominanti nette, sarà aspra, di
roccia».175
Se 'tetto del mondo' è la catena montuosa dell'Himalaya, riferimento esotico al tema, il
significato più vicino al simbolo della montagna sembra essere quello esoterico e
iniziatico, come dimostrato dalle riprese successive: dal titolo del dipinto del '62 e dal
contesto in cui è inserito all'interno del Il vocabolario, reso esplicito da una frase presente
in riquadro del dipinto del '61: «un uomo sale sulla montagna e quando arriva in cima
continua a salire in alto: Ho letto che non si cade dalla montagna».176 Mentre il simbolo
della montagna è molto usato nei trattati di alchimia e anche Jung vi fa cenno,
«l'importanza assegnata al numero 5 derivava dal fatto che cinque erano gli elementi:
172
173
174
175
176
Giorgio Agamben, Infanzia e storia, Einaudi, Torino 2001, p.71.
Rinaldi 2011, cit., p.56.
Per il tema della montagna in Novelli, vedi Paola Bonani, Mondi, montagne, segni di terra. La scultura di
Gastone Novelli in Gastone Novelli. Catalogo generale 1, cit., 2011.
Gastone Novelli, Il linguaggio e la sua funzione, febbraio 1968, pubblicato postumo in “Civiltà delle
Macchine”, n.1, 1969, ora in “Grammatica” 1976, cit., p.46.
Gastone Novelli 1988, cit., p.108.
87
legno, fuoco, terra, metallo, acqua; cinque le partizioni dello spazio; cinque le “direttive”
cioè: nord, sud, est, ovest, centro; cinque i colori, vale a dire : giallo, azzurro, rosso, bianco
e nero; e cinque i minerali dai quali l'uomo aveva imparato a estrarre il rame».177 Tra i
simboli alchemici, il triangolo con la punta verso l’alto significa il fuoco.
Un abbozzo di montagna tondeggiante appare nella carta senza titolo dello stesso ’61
(fig.51) che è da collegare al dipinto Liuba dello stesso anno. A sinistra, disposte su righe,
compaiono lettere dell’alfabeto dalla A alla F, composte in varie combinazioni fino a
formare la parola CADE. A destra, più o meno per ogni composizione di lettere, ci sono
numeri nella serie: 1 2 3 4 5 6 8 11 20 21 0. Apparentemente tra i numeri e le lettere non
ci sono legami, ma la composizione sembra rispondere a una personale cabala dell’autore.
Nel lavoro su carta senza titolo del 1962 (Arch. Nov. c.1962/11) composto da foglietti che
hanno numeri stampati tipograficamente e attaccati con la colla su un foglio di carta in
modo da formare sei colonne su cinque righe. In basso, sotto ogni fila di foglietti, Novelli
ha tracciato altri numeri con pastello blu che sono la somma della colonna e ha infine
firmato e datato. La sequenza numerica che si viene a formare è:
68
71
79
76
77
75
72
80
98
100 99
85
74
78
96
73
95
86
97
84
92
93
81
87
89
88
91
94
82
90
400 330 456 436 433 423
Tra i numeri scritti a mano, il 330 è cerchiato come per metterlo in evidenza: è infatti un
177
Eric John Holmyard, Storia dell'alchimia, Sansoni, Firenze 1972, p. 33.
88
numero molto lontano dalla somma della colonna.
Il disegno del 1962-63 (fig.52), è su un foglio di piccole dimensioni (Arch. Nov. c 196263/22) che presenta una figura trapezoidale riempita dalla serie numerica completa che va
da 1 a 100, tracciata a matita. La fitta sequenza di numeri senza soluzione di continuità
crea una texture che a una prima lettura prevale sulla percezione della precisa successione
numerica. La semplicità dell'operazione lascia interdetti, crea in chi guarda indecisione tra
impulso a contare ordinatamente o considerare i numeri trasformati in significanti che
hanno perduto il loro abituale significato.
Anni dopo questo piccolo disegno e dopo che Novelli avrà tracciato numerose serie
numeriche nelle sue opere, nel '68, viene stampato a Roma un curioso volume intitolato
Coazione a contare di Gian Pio Torricelli178 (fig.53) che contiene una lunghissima
sequenza di pagine (non numerate) in cui l'unico accadimento è la conta - in lettere - da
uno a cinquemilacentotrentadue, numero, quest'ultimo, ripetuto più volte nelle ultime
pagine. Questo volume è stato pubblicato nell'ambito della collana di nuova scrittura
Marcalibri, curata da Magdalo Mussio che lo introduce, utilizzando il linguaggio critico
tipico di quegli anni, parlando di «istanza assolutamente funzionale: è un'apologia della
simulazione artistica oculatamente esemplarizzata nella caricatura tautologica che è propria
al procedimento dell'enumerazione e, in altri termini, alla coazione a contare come
cerimoniale ossessivo coatto; o come nesso nevrotico specifico della freudiana “coazione a
ripetere”: qui iperbolicamente eletta quale unica ipostasi canonica d'ogni fenomeno
ideativo. Tale esito thanatologico abolisce l'epopea narrativa appunto col darla per
estendibile all'infinito, cosicché il romanzo - il genere culturale - diviene allora
un'istituzione suicida, e il fare artistico una sublimazione caratterale impotente. Ed è
178
Gian Pio Torricelli, Coazione a contare, Lerici, Roma 1968.
89
proprio in ragione di questi indispensabili paradossi che la lezione di Torricelli si sconta
come una sana eutanasia dell'arte».
La freudiana “coazione a ripetere” che viene citata è quella modalità tra patologia e
normalità in cui un individuo è spinto a riprodurre nel presente situazioni spiacevoli
vissute nel passato, dove la passività e la fatalità sono un elemento importante da
considerare. Invece la “coazione a contare” è nota in psichiatria come aritmomania.
S.t. (casellario), 1964 (fig.54). Anche in questa complessa opera di montaggio di quadratini
di carta con impressi numeri e parti scritte, Novelli gioca con le serie numeriche e sfida a
misurarci con una serie di calcoli che lui fa addizionando i numeri presenti nelle varie
caselle.
In alto a sinistra scrive: ora può dedurre che sono numerosi i punti alti che quelli bassi,
ora anche perché a Saturnia si sono raccolti un gran numero di 12. Infatti i punti più
numerosi sono i dodici, seguiti dai 10, otto e sette, mentre i meno numerosi sono gli undici
seguiti da 1, 2, 5 e 6. Anche se esiste un errore. Cercare l'errore.
Nell'opera su carta senza titolo (1 2 3 4 5) del 1966 (fig.55), oltre ai numeri della sequenza
da 1 a 5 inseriti in cerchi fatti con pastelli di colori diversi posti in alto sul foglio, leggiamo
in basso a sinistra sei combinazioni degli stessi numeri: 12, 13, 14, 42, 45, 43, 32.
In un riquadro disegnato nella parte inferiore del foglio, le stesse combinazioni sono
tradotte con strisce colorate. Dalla comparazione numeri/colori vediamo che al numero 1
corrisponde il rosso, al numero 2 il rosa, al 3 il blu, al 4 il verde e al 5 il nero.
È questo un esempio della relazione che Novelli vuole creare tra mondo dei numeri e
mondo della pittura in un sistema dove gli elementi diventano interscambiabili, strutturato
analogicamente ma, come sempre, casuale.
90
Novelli inserisce serie numeriche anche nelle sue opere video. In una delle scene più
interessanti de Il parto addomesticato,179vengono inquadrate delle mani che spostano
foglietti con numeri scritti sopra a mano, un sasso e una carta da gioco con il tre di coppe.
Insieme a altri oggetti è inscenata una sorta di gioco di azzardo tra personaggi misteriosi
che contribuisce all’enigmaticità del contesto.
Anche Magdalo Mussio (1925-2006) inserisce spesso numeri nei suoi lavori su carta. Egli
è un artista che per il suo particolare uso di segni grafici eterogenei strutturati in forme
geometriche più o meno coerenti è stato avvicinato a Novelli in varie occasioni, ma è da
questi in realtà lontano per un andamento più collagistico dei suoi lavori. In un catalogo del
'77 Luigi Ballerini scrive: «I dati “intimi” del suo apparato (l'icasticità dei suoi
grafologismi, le sorprese speculari della sua tendenza al regesto, i sussulti sinestetici della
sedimentazione mnemonica ecc.) si costituiscono in geometria morbida, linfale, in cerchio
e corda dietro i vetri, in reticolato osmotico, in tetragonia casuale, in calcolata ortometria,
in ricettacolo/punto di convergenza, da cui, con deiscenza rigorosa cadono efferati
dittonghi, metatesi terremotanti, nomi propri di persona e di cosa, anacoluti, elenchi,
isteriche paratassi, sintesi direzionali, numeri».180 Con la sua “violenza antiscrittoria”
Mussio negli stessi anni Sessanta utilizza numeri sparsi in ordine almeno apparentemente
casuale o in serie progressiva dall’1 in poi, ponendosi sulla stessa lunghezza d'onda di
Novelli per l'andamento calligrafico e di Torricelli per l'assidua frequentazione al tema
(fig.56).
Nello stesso catalogo è illuminante un breve testo di Madeline Blanchot: «l’occupazione
dello spazio numerando non significa altro, o non vuole essere altro, che il trasferimento in
176
180
Gastone Novelli, Il parto addomesticato, 1964, lungo 21,20 minuti. Nel film compare lo stesso Novelli,
Marina Lund e Manganelli rappresentato dalla sua fotografia che compare sulla copertina della prima
edizione di Hilarotragoedia. Ringrazio l’Archivio Novelli per avermi dato la possibilità di vedere il film.
Luigi Ballerini, Logos al di sotto del logos, in Magdalo Mussio, Scritture, La Nuova Foglio, PollenzaMacerata, 1977, p.84.
91
numerazione progressiva dei momenti necessari (come tempo) impiegati nella
realizzazione. Tempo che corrisponde all’occupazione e misurazione della stessa
superficie. Nessuna dicotomia quindi tra allusione ad una figura e allusione a ciò che è
senza figura come fatto letterario. Quale sia il codice risultante è nell’impronta stessa
lasciata dagli inchiostri o dagli altri materiali; la traccia di un’azione che nel tempo e nella
prassi si svolge nell’inscindibile contemporaneità mentale di lettura e percezione estetica.
Parlerei allora di evento, accadimento, di verifica memorizzante dell’esistenza o, al limite,
parafrasando, di action painting».
Anche nella Poesia concreta compaiono serie numeriche, come nel Soneto soma 14x di de
Melo e Castro (fig.57) del ‘63. Ogni ‘frase’ arriva alla somma di 14, tranne l’ultima la cui
somma è 28. Il componimento sembra giocare sulla struttura del sonetto che normalmente
è composto da quattordici versi endecasillabi raggruppati in due quartine e due terzine (nel
componimento le ‘frasi’ sono raggruppate in due ‘strofe’ di quattro e due di tre).
Scrivere e pronunciare numeri è una pratica che negli anni Sessanta (e poi oltre) ha molti
seguaci.181 Dopo le esperienze delle avanguardie storiche, artisti di tendenze diverse che
vanno dalla Pop al Fluxus al concettuale alla Poesia visiva hanno inserito numeri nelle loro
opere; per l’Italia si possono citare ancora Kounellis, Boetti e Calzolari.
In molti casi è una pratica che ferma il tempo in un esercizio declamatorio che annulla il
potenziale evocativo di questi segni, spesso utilizzati in una combinatoria astratta.
Per Novelli non è possibile isolare l'uso che egli fa dei numeri dal contesto in cui si muove
tra attenzione al ritmo come fa Klee e alla lettura esoterica acquisita dalla conoscenza della
Cabala e, probabilmente, dell’ermetismo massonico praticato da alcuni intellettuali e artisti
181
Lorenzo Fusi, Marco Pierini (a cura di), Numerica, catalogo della mostra al Palazzo delle Papesse Centro
Arte Contemporanea Siena, 22.6.2007-6.1.2008, Silvana, Milano 2007.
92
da lui frequentati. Fu Villa che dedicò i suoi studi anche al valore simbolico e magico dei
numeri a partire dalle concezioni primordiali nelle civiltà arcaiche, riallacciandosi agli
studi etno-antropologici che affascinavano anche Novelli. Scrisse a questo proposito un
saggio pubblicato nel '56 su “Civiltà delle macchine” (cfr. §1.3.6).
93
1.3.5 Combinazioni foniche immaginarie, anagrammi, palindromi
Il continuo gioco di destrutturazione e ristrutturazione operato sulla lingua, porta Novelli a
sbriciolare parole, a spostare grafemi, a invertirne l’ordine di lettura, non sempre con un
senso compiuto che spesso è sentito come non necessario. Nelle sue opere entrano
anagrammi e palindromi che danno a volte luogo a parole inesistenti, combinazioni che
eludono un significato preciso ovvero combinazioni foniche non codificate, categoria in cui
rientra anche il carme sesquipedàle già visto. In alcuni fogli (e dipinti) troviamo schemi,
anche appena abbozzati, che cercano di dare una sistematicità allo sgretolamento e
all’infinita possibilità combinatoria delle particelle che si prestano alla manipolazione. Ma
ancora una volta sono evitate regole precise di origine matematica. È il caso che detta di
volta in volta il proprio ordine provvisorio. L’artista non ha mai un approccio rigoroso ai
giochi linguistici, convinto di liberare così il potenziale espressivo del linguaggio.
Bartezzaghi definisce scherzosamente l’anagramma come «una parola messa nel
frullatore»,182una parola che desidera il caos stravolgendo o illuminando di nuovi
significati il vocabolo di partenza. E il disordine deve essere inavvertibile all’orecchio e
all’occhio anche se l’elemento dinamico è evidente. Questa forma di gioco linguistico ha
un’antica tradizione iniziata nell’ambito sia della poesia delle corti ellenistiche sia della
mistica sacra (Bartezzaghi parla anche di anagrammi legati alla pratica oniromantica
descritta da Artemidoro). Si ritiene inventata dal poeta della corte del re Tolomeo
Filadelfo, Licofrone il Tragico (330 a.C.), che la utilizzò a fini encomiastici. Quando, nel
XVI secolo si riaffacciò in modo esplicito nel campo della letteratura, fu mantenuto il
carattere profano e elogiativo, usato parallelamente a quello di tipo mistico e religioso. I
182
Stefano Bartezzaghi, Incontri con la sfinge. Nuove lezioni di enigmistica, Einaudi, Torino 2004, p.49.
94
cabalisti ebraici sapevano (e sanno) coniugare decine di anagrammi del sacro nome di
Iahwè in quanto, con raffinata capacità, usano la lingua ebraica come un crogiuolo di
mutazioni per distillare fino in fondo l’esegesi dei testi sacri. Il linguaggio viene così
decomposto per diventare realtà spirituale. Nella Cabala mistica, con Avraham Abulafia,
l’anagramma - la temurah, l’arte di permutazione delle lettere assieme al notarikon,
l’acrostico - è uno dei mezzi di lettura privilegiato. Nella mistica ebraica le lettere della
lingua scritta, dell’alfabeto ebraico e la loro combinazione come elementi del nome di Dio
sono ‘oggetto di meditazione assoluto’ come osserva Frances Yates.183 I cabalisti, convinti
“dell’immutabile presente a cui ogni alfabeto dà vita”, scompongono «interi versetti
biblici, o singole parti di essi per trasformarli in nuove unità significanti, in base a precise
norme di equivalenza e di intercambiabilità delle lettere»184 secondo le leggi dell’
equivalenza tra lettere e numeri propri della gimatreya.
Nell’arte del XX secolo, tra prima e seconda avanguardia, ritroviamo anagrammi e altre
possibilità combinatorie grazie al fatto che «la storia di quelli che oggi chiamiamo giochi
enigmistici, e in particolare di quei giochi che sia gli enigmisti che i cabalisti chiamano
“combinazioni”, è la storia della loro continua reinvenzione».185
Basti pensare ai surrealisti che amavano anagrammare soprattutto nomi propri. Famoso
quello che si diede André Breton per firmare le sue poesie, René Dobrant, o quello che
diede in senso spregiativo a Dalì, Avida Dollars. Hans Bellmer e la sua compagna Unica
Zurn, li adottano sostenendo che la disarticolazione è strettamente legata a quella del corpo
che lo stesso Bellmer rappresentava in scultura e nei disegni.
Per arrivare alle prove di Poesia concreta, molti sono gli esempi di componimenti che
presentano giochi di permutazioni, integrazioni, sottrazioni, sostituzioni di lettere da una
183
184
185
Frances A.Yates, L’arte della memoria, Einaudi, Torino 1993 [1972].
Giulio Busi, Introduzione a Busi, Loewenthal, 2006 [1995], cit., pp. XIX e XXX.
Bartezzaghi 2004, cit., p.67.
95
matrice letterale, da cui scaturisce il testo poetico (Accame 1977) a seconda delle posizioni
delle lettere così come vengono ricomposte. La Poesia concreta mettendo in atto un
dinamismo linguistico estremamente fluido, mette in gioco diverse combinazioni. Una
delle pratiche più usate è quella del metagramma, ovvero attraverso la sostituzione di una
lettera di una parola si arriva a un altro vocabolo come nel famoso pluvial fluvial di
Augusto de Campos (fig.58), oppure giocando tra due vocaboli si arriva alla definizione di
un terzo, arrivando a una frase anagrammata (imperfetta) come nel caso di Cloaca di Decio
Pignatari (fig.59). I poeti concreti - paragonati da Pozzi agli antichi anagrammisti utilizzano anche metanagrammi186 e metatesi.187
Anche se nel 1960 Novelli probabilmente non conosceva ancora Les Bigarrures (dove un
intero capitolo è dedicato all’anagramma, ai versi retrogradi e alle contrepéterie), era
informato comunque circa le sperimentazioni di Villa e degli scrittori francesi. E sapeva
probabilmente del carattere sacro che l’anagramma aveva presso i cabalisti, così come di
quello encomiastico che aveva nel mondo antico. È un fatto comunque che in uno dei fogli
che analizziamo, archiviato come Composizione n.11 del '60 (fig.60), leggiamo in alto due
parole a stampatello, da TABRAS, che a prima vista e escludendo il fatto che si possa
trattare di un luogo geografico, non sembrano avere alcun significato. Potrebbero essere in
realtà l’anagramma della parola bastarda, termine che rientra tra quelli usati da Novelli
nelle sue dichiarazioni più irriverenti. La combinazione delle lettere dello strano sintagma,
mentre può essere considerato un vero anagramma in quanto utilizza tutte le lettere188 del
‘programma’ (termine con il quale si definisce la parola di partenza di un anagramma) non
186
187
188
Metanagramma: gioco basato sull’applicazione simultanea del principio dell’anagramma e del cambio per
cui, sostituendo di volta in volta, in una parola, una lettera vocalica con le altre quattro lettere vocaliche e
rimescolando opportunamente le lettere rimanenti, si ottengono altre quattro parole (Dossena 2004).
Metàtesi: mutamento fonetico che si riscontra quando una parola con due suoni o gruppi di suoni si
scambiano di posto (Dossena 2004).
Pozzi 2002[1981], cit., p. 369.
96
ha senso, e si può per questo definire non sensico secondo la precisazione di Giampaolo
Dossena,189 e che viene ammesso anche da Pozzi.
Nel caso di Novelli, visto il significato della parola di partenza, è evidente che al posto del
carattere encomiastico si abbia il suo opposto, fatto questo che dichiara ancora una volta la
libertà di Novelli nell’utilizzazione delle forme di gioco verbale. Già il contributo
dell’enigmistica contemporanea aveva riscattato l’anagramma dal carattere adulatorio
liberando il suo contenuto dai vincoli dell’autocensura (Bartezzaghi 2004), ma l’artista
aggiunge anche un carattere dissacratorio all’antico gioco linguistico. Ancora una volta
Novelli assume un atteggiamento che era già stato tipico del Manierismo letterario di fine
XVI secolo e che viene utilizzato con altri fini dalla neoavanguardia novecentesca, in cui
«tutto può essere rovesciato, mutato nel suo opposto».190 L’arte combinatoria, che è alla
base dell’anagramma, nega ancora una volta la sua finalità conoscitiva di nessi razionali
per diventare “strumento di relazioni irrazionali”.
L’effetto cinetico che secondo Pozzi è dato dall’anagramma e che viene utilizzato anche
dai poeti concreti, in quest’opera fa da complemento al dinamismo implicito ai segni di
carattere informale e lo troviamo anche nelle opere di Novelli di questo periodo.
L’altra parola scritta a stampatello, SCROCIATE, fa chiaramente riferimento alla griglia
della tabellina pitagorica applicata a collage, vuota in origine e riempita di diversi segni
dall’artista. In questo modo ricorda la griglia utilizzata per le parole crociate e schemi di
antiche crittografie, figura che si troverà di frequente nel lavoro dell’artista come nelle altre
opere della serie degli alfabetari (v.oltre).
Come nella maggior parte delle opere di Novelli, sono molti gli aspetti da analizzare e gli
189
190
Dossena 2004, cit., p.37.
Gustav René Hocke, Il manierismo in letteratura, Il Saggiatore, Milano 1965, p.61.
97
intrecci spesso impossibili da districare. In questo caso troviamo le due parole principali
(delle quali una è un anagramma con lettere rovesciate e l’altra presenta una s negativa), la
griglia e un testo il quale pur in modo sibillino fa riferimento al mondo dei simboli inseriti
nella tabellina: anche se spesso sono del tutto sbagliati questi segni sono buoni sono
sempre stati la passione della gente di tutti i posti sono sempre stati la passione questi
calcoli sono sempre stati la passione della gente! come si è detto.
La presenza di griglie nell’opera di Novelli è un aspetto dal quale non si può prescindere
per analizzare la sua produzione degli anni Sessanta. In questo foglio vediamo come
l’artista inizi a prendere in considerazione la struttura a scacchiera attraverso l’applicazione
a collage. In seguito vedremo come lo schema sarà utilizzato in maniera libera e meno
geometrica. In questa composizione serve da contrasto a segni di carattere informale e
come riferimento alle parole scritte nella parte centrale del foglio.
Acquisito il fatto che la griglia sia uno schema tipico delle avanguardie artistiche del
Novecento191 a partire dal Cubismo, nelle opere dell’artista si verifica una ricorrenza
significativa che, unita all’inserimento di frammenti sintagmatici all’interno delle caselle,
non può non far riferimento al famoso gioco enigmistico introdotto in Italia a partire dal
1925: il cruciverba.192 (cfr. §1.3.9) L’ampia diffusione del gioco su numerose riviste
popolari e sulle pagine di quotidiani molto letti, potrebbe aver ispirato l’artista nell’uso
dello schema, anche se non sembra si possa prescindere dalla conoscenza delle scacchiere
presenti in molte opere di Paul Klee, artista che si può considerare un forte riferimento per
l’opera di Novelli.
191
192
Rosalind Krauss, Griglie in Originalità dell’avanguardia e altri miti modernisti, Fazi, Roma 2007, tr.it.
di E.Grazioli, pp.13-27; tit.or. The Originality of the Avant-garde and Other Modernist Mythos, Mit
Press, Cambridge 1985. Il tema è ripreso in Stefano Bartezzaghi, L’orizzonte verticale. Invenzione e
storia del cruciverba, Einaudi, Torino 2007.
Stefano Bartezzaghi, L’orizzonte verticale, Einaudi, Torino 2007a, p.103. Dopo aver raccontato l’avvento
del popolare gioco in America nel 1913, e averne analizzato la genesi d’oltreoceano, l’autore parla della
fortuna del cruciverba in Italia. La “Domenica del Corriere”, rivista del “Corriere della Sera”, ne inizia a
pubblicare dal febbraio 1925, con un “lancio sontuoso” che ne decretò la fortuna, anche se con le critiche
mosse dagli enigmisti ‘classici’, almeno all’inizio del suo percorso.
98
Se in Trum trpe rpe del 1961 (fig.61) osserviamo una combinatoria di fonemi almeno
apparentemente senza senso e inseriti liberamente tra due linee parallele, nel disegno senza
titolo (usare) ancora del 1961 (fig.62), troviamo una combinazione di fonemi e monemi che
partono dalla verbo ‘usare’. Tutto il gioco di scomposizione utilizza linee verticali che
vanno ad accennare a una griglia irregolare. Questa impostazione ricorda molto da vicino
quella adottata da Klee nel suo testo Teoria della forma e della figurazione, dove tratta
della suddivisione ritmica delle parole193 (fig.63). Non si può escludere che Novelli, tra le
molte suggestioni che ebbe da tanti testi, possa avere adottato la stessa impostazione
grafica anche se per fini diversi da quelli del pittore svizzero.
In alto u / s / a / r / e diventa e / r / a / s / u per poi trasformarsi in esrase e poi ursasru da
cui parte una lunga sequenza che sembra un gioco di composizione di monemi alla ricerca
di parole che possano avere un senso.
‘Usare
/ erasu’ è un palindromo o sotadico - inventato da Sotade sotto Tolomeo Filadelfo -
senza senso, in quanto la parola (può essere) letta all’indietro (come dovrebbe essere ma)
perde significato. Giovanni Caramuel de Lobkowitz nel suo Metametrica194 si rifà
all’immagine del labirinto quando si trova davanti a giochi linguistici difficili da definire.
Per i palindromi di questo tipo dice che «se non fosse oscuro ed esposto alle deviazioni,
non sarebbe un labirinto; perciò hai bisogno di un filo, a meno che tu non ti sia proposto di
andare errando per non tornare mai alla luce».195 Le successive esrase / ursasru è un
ulteriore gioco di ricombinazione tra i vocaboli. Frammentazione e aggiunta di altri fonemi
chiudono la sequenza.
Nel collage senza titolo del '62 (fig.64), oltre a sequenze di numeri e lettere che si trovano
193
194
195
Paul Klee, Teoria della forma e della figurazione, Feltrinelli, Milano 1959, p.267.
Giovanni Caramuel de Lobkowitz, Primus calamus, ob oculos ponens/ metametricam …, Romae, Fabius
Falconius, 1668.
Bartezzaghi 2007b, cit.
99
su un lato, in un riquadro sulla sinistra leggiamo parole invertite di senso di lettura e
grafica: ovit al (elle al contrario); assor asor (= rosa rossa, lettere scritte al contrario); ojor
(= rojo, lettere scritte al contrario); la otses (= al sesto, lettere scritte al contrario); icid im
(= mi dici, lettere scritte al contrario); efisis (= sisife, lettere scritte al contrario);atineles
(=selenita, lettere scritte al contrario). Quest'ultimo termine “selenita” ci riporta agli
alfabeti inventati (cfr.§ 1.3.1).
Tra i libri appartenuti all’artista (Arch. Nov.) ce n’è uno con un titolo significativo,
L’apprentissage du langage del linguista belga e studioso di fonetica Antoine Grégoire
(1871-1955).196 Il volume non è stato aperto (le pagine sono ancora incollate), ma
evidentemente il titolo è stato adottato per l’opera omonima del 1964.
Il tema dell’apprendimento del linguaggio da parte dei bambini, sia dal punto di vista
grafico che fonetico, poteva interessarlo - com’è dimostrato anche dalle sue opere sugli
alfabetari - anche in relazione alla sua ricerca sull’origine delle lingue. Nel foglio che ha
per titolo lo stesso del saggio francese (fig.65) è ancora una volta presente l’idea della
combinatoria di particelle linguistiche, ma in questo caso sembrano esercizi fonetici vicini
effettivamente alla lallazione infantile.
Il disegno si apre con un arco che rimanda alle forme curve di altre montagne, tema molto
frequente nell’opera di Novelli in questi anni. Mentre le vocali svolazzano sotto la grande
curva assieme ad altre forme astratte, ventinove consonanti sono messe in fila. In
corrispondenza di alcune di esse troviamo scritta una serie di balbettamenti mono e
bisillabici dalla quale vengono estratte: bibba da mene pupù pus tu dadà lilli pop, una
sequenza di parole collegate da freccette.
Il risultato della ricombinazione è ancora una volta molto vicino ai pronunciamenti
196
Antoine Grégoire, L’apprentissage du langage, II. La troisiéme année et les années suivantes, Faculté de
Philosophie et lettres Liege, Librairire E.Droz, Paris, 1947.
100
glossolalici (cfr.§1.3.2). La creazione di nonsense, nei giochi linguistici e nelle
composizioni di Novelli, è spesso da considerare come una delle finalità non lontana da
altre sperimentazioni come quella di Carrega con i suoi ‘Poemi astratti’ del 1958 (fig.66).
Queste composizioni sono «poesie fatte di parole inventate per una sonorità al di là del
significato»,197 che mantengono comunque memoria della lingua di partenza. A differenza
di questo tipo di pratica, Novelli arriva alle sue frasi senza senso attraverso il lavoro di
scomposizione e ricomposizione che invece si avvicina moltissimo a un’altra serie di lavori
di Carrega, i ‘Babeismi’ (cfr.§1.3.10).
Come noto, una particolare forma di anagramma, l’ipogramma, è stato studiato anche se in
forma di appunti da Ferdinand de Saussure.198 Secondo l’intuizione del linguista ginevrino,
i poeti e i letterati hanno fatto uso fin dall’antichità di questa forma di gioco linguistico che
mette in relazione, seguendo una logica specifica della quale è difficile stabilire una regola,
fonemi e monemi all’interno di sintagmi più o meno complessi. Nonostante i numerosi
studi successivi sul tema affrontato da varie prospettive da grandi studiosi della lingua
come Jakobson, Baudrillard, Agosti e molti altri,199 è sempre rimasto il sospetto che
«l’anagramma o l’ipogramma sia la vocazione della combinatoria linguistica dei fonemi».
Nel saggio di Caterina Marrone viene accettata come un’ipotesi di grande interesse quella
messa a punto dallo studioso della mente Giampaolo Sasso che ipotizza200 - partendo
dall’esuberante presenza di anagrammi nei testi poetici e il loro studio attraverso l’uso di
particolari software - «un’intenzionalità inconscia» nell’uso di segni instabili. Questa
analisi potrebbe risultare particolarmente interessante se applicata anche ad altri giochi
197
198
199
200
Carrega 1985, cit., p.10.
Jean Starobinski, Le mots sous les mots. Les anagrammes de Ferdinand de Saussure, Gallimard, Paris
1971. Negli appunti sono stati trovati studi su: versi saturni, Omero, Virgilio, Seneca, Orazio, Ovidio,
altri autori latini, carmina epigraphica, Poliziano, traduzioni da Thomas Johnson, Rosati, Pascoli.
Caterina Marrone, Il libro della parole o gli ipogrammi saussuriani, in I segni dell’inganno. Semiotica
della crittografia, Stampa Alternativa & Graffiti, Viterbo 2010, pp.165 e segg.
Giampaolo Sasso, La mente intralinguistica. L’instabilità del segno: anagrammi e parole dentro le
parole, Marietti, Genova 1993.
101
linguistici a cui l’autore fa cenno introducendo il suo studio. Nel saggio viene infatti
trattata solo di sfuggita l’area “ludica” che comprende l’uso di sciarade, rebus, crittografie
mnemoniche e altro, ma, come ci avverte la Marrone, quello di Sasso è uno studio ancora
aperto, orientato a scoprire diverse modalità di approccio al tema. Alla ricerca di regole
sottese alla pratica dell’anagramma - dopo il frustrante silenzio di Pascoli che non rispose a
una domanda di de Saussure in merito a un ipotetico «sapere occulto tramandato da poeta a
poeta attraverso i secoli» - Sasso approda dunque a formulare la possibilità che esista un
luogo nella nostra mente dove si possa dare spazio a sottili giochi verbali.
Sasso analizza i cosiddetti fenomeni “intralinguistici”, chiamati così perché derivano da
«un uso del segno linguistico più complesso di quello consueto nel campo grammaticale e
sintattico» fenomeni che si esprimono come «ricombinazioni o riorganizzazioni delle
lettere della parola». I segni intralinguistici sono quelli che si annidano tra i criteri di
stabilità del rapporto tra significato e significante creando “organizzazioni più fluide”.
L’autore si sofferma dunque a analizzare ‘parole dentro le parole’ e gli anagrammi nella
loro forma tradizionale (e non dunque gli ipogrammi e paragrammi di de Saussure)
aprendo però di fatto alla possibilità di studiare altri fenomeni che riguardano «l’uso
intenzionale, da parte della mente intralinguistica, della particolare instabilità del
significante dovuta ad una intrinseca difficoltà nei processi di segmentazione degli
enunciati linguistici».201
Ai fini di questo studio, appare interessante la possibilità di studiare tutta la complessa
potenzialità delle varie forme di giochi verbali nelle varie accezioni del campo della
scrittura, anche dal punto di vista dei riscontri scientifici che tali giochi hanno sulla nostra
mente e che mettono in luce quanto l’instabilità del segno possa aprire margini di libertà
espressiva che confina da un lato con il mondo onirico e dall’altro con la patologia.
201
Sasso 1993, cit., pp.7-13.
102
Nelle opere di Novelli e degli artisti che hanno fatto uso dei giochi linguistici si può
riscontrare una tendenza all’esplorazione di zone della propria mente, anche ad esempio
con l’uso di sostanze stupefacenti così come aveva fatto Artaud (e altri surrealisti) con il
peyote e la mescalina.
Rimangono in ogni caso interessanti le parole di Baratta a proposito dei giochi verbali di
Novelli: «i palindromi, le particolari anfiglossie, le isopsefie che frequentemente si
rinvengono nelle sue opere, nei fogli sparsi, nei disegni che accompagnano la terza stesura
del Viaggio in Grecia, assumono il senso di strumenti propedeutici, di pratiche che ci
iniziano al percorso e quindi alla ricognizione di una fotografia dell'immaginario, di una
utopia nella cui realizzazione linguistica è ancora come sospesa, e pochizzata l'intenzione
cronografica: conseguenza questa di una sfiducia di Novelli nella storia e insieme di una
condizione essenziale in cui viene a trovarsi chi linguisticamente progetta l'immaginario».
202
202
Gino Baratta, Segni per il futuro, in Gastone Novelli, catalogo della mostra alla Galleria Civica di Arte
Moderna di Torino, 24.2-25.4.1972, p.27.
103
1.3.6 Corrispondenza lettere/ numeri/ figura umana
Corpo e fisicità sono sempre sottesi all'opera di Novelli, presenti già nelle sue
sperimentazioni informali e materiche degli anni Cinquanta. Negli scritti di quegli anni
l'artista prova a analizzare il rapporto che automaticamente si instaura tra approccio
intellettivo e gestuale che dà 'corpo' all'opera.
«La creazione di un'opera plastica valida ha le sue origini nell'impulso che spinge ad agire
e finisce con l'atto fisico dell'esecuzione. Investe quindi l'individuo intero, dalla capacità
intuitiva del suo subcosciente, alla conoscenza intellettuale ed alla preparazione fisica
stessa dei suoi gesti». Queste capacità devono essere proprie dell'artista che «non è uomo
differente dagli altri, incomprensibile e sospetto. Un pittore è solamente un intermediario,
un individuo che attinge qualche cosa dalla verità più nascosta, più valida, al di fuori di se
stesso e nel più intimo del proprio io, e ne fissa l'essere e il divenire in una immagine che è
da guardare».203 La critica ha affrontato l’argomento analizzando giustamente la relazione
che intercorre tra modalità esecutive e la fisicità dell'artista, «per un verso, la questione
viene posta come se si trattasse di ricondurre dentro il proprio corpo il processo della vita e
dell'essere. (…) Per un altro verso, però, il processo risulta spostato ad un altro corpo, ad
una sua somiglianza: il territorio della tela, il sistema della pittura»,204 in un'ottica
filosofica di relazione tra macrocosmo e microcosmo.
Nella complessa e stratificata opera di Novelli, anche il tema del corpo assume valenze
diverse. Una di queste è certamente quella erotica. Nella sua biblioteca (Arch. Mich.) è
conservata una copia del 'romanzo' erotico del 1960 di Isidore Isou, Initiation à la haute
203
204
Gastone Novelli, La creazione di un'opera plastica, in Gastone Novelli, pieghevole della mostra alla
Galleria La Salita, Roma 15-26.4.1957, ora in “Grammatica” 1976, cit., p.26.
Francesco Bartoli, Il vuoto e lo sguardo, in Birolli 1976, p.40. Per lo stesso argomento cfr. anche
Flaminio Gualdoni, Le tue parole inciampano nelle mie estasi. Gastone Novelli, opere su carta,
Mazzotta, Milano 1983, p.11-12.
104
volupté, rénouvellement de l'érotisme. Revolution de l'art de roman.205 Soprattutto alcune
immagini di questo particolare testo del fondatore del Lettrismo, hanno molti riscontri in
opere di Novelli in cui sono rappresentate donne in pose erotiche, a iniziare dai disegni
eseguiti per l'Histoire de l'oeil di Bataille (gennaio 1962). Molti sono i riferimenti
all'erotismo nei suoi scritti, come si può leggere ad esempio nei fogli dattiloscritti per
Viaggio in Grecia.
Nei primi anni Sessanta, le sue opere iniziano a essere costellate di immagini frammentate
del corpo femminile, con significato più sfumato anche se sempre orientato: seni stilizzati,
fianchi, sessi, diventano altri segni da aggiungere al suo repertorio che si va arricchendo di
sempre nuovi materiali iconografici.
La frequente rappresentazione di seni - anche se appena accennati - è un simbolo erotico
tra i più comuni e ricorda quello, per altro citato palesemente più volte da Novelli in alcune
sue opere, utilizzato da Duchamp per la copertina del catalogo della mostra Le Surrealisme
en 1947, che ne presentava uno in gommapiuma colorata di rosa con priére de toucher.
Ma quando in alcune opere compaiono parti anatomiche messe in rapporto con lettere
dell'alfabeto e/o numeri, si intuisce che i riferimenti vadano cercati altrove.
In uno dei saggi di Villa sui numeri,206vi sono interessanti riferimenti alla strettissima
relazione tra l'avvento della numerazione e il corpo umano per le popolazioni primitive.
Ancora per alcune tribù sparse per il mondo, infatti, alle varie parti anatomiche - dita,
orecchi, seni, ombelichi e altro - corrispondono, in relazione magica, determinati numeri.
Mentre nel saggio di Lévi-Strauss, letto e citato più volte da Novelli, ci sono riferimenti a
una «numerologia mistica» in relazione sia sul piano cosmologico sia su quello sociale. In
205
206
Isidore Isou, Initiation à la haute volupte, renouvellement de l'érotisme. Revolution de l'art de roman,
autore-editore Isidore Isou, Paris 1960. Oltre che immagini erotiche il libro contiene alfabeti e abbecedari
inventati, materiale di sicuro interesse per Novelli.
Villa 1954, cit., pp.80-81. Nel saggio sono citati alcuni idiomi: la lingua delle isole Murray (Melanesia),
la lingua Ono della Patagonia e una delle lingue caraibiche, il Tamanaco, che indicano con precisione i
particolari anatomici da mettere in relazione con i numeri.
105
questa complessa numerologia, invece che parti umane vengono coinvolte parti di animali
che hanno un valore simbolico fondamentale nei sistemi di classificazione primitivi.207
In Alfabetario 6 del 1962 (fig.67), un'altra importante opera su carta della serie già
incontrata, sono tracciati a pastello molti segni che possono essere messi in relazione con
figure stilizzate di seni. A prima vista è chiaro l'intento da parte di Novelli di voler creare
una serie di analogie tra parti anatomiche, lettere, numeri e colori. Sulla sinistra del foglio
l'alfabeto latino è, per ogni lettera, messo in relazione con diverse tracce colorate. La parte
centrale è occupata da molte linee sinuose, i seni, riconoscibili anche attraverso il
confronto che si può fare con altre opere. A ogni sinuosità corrisponde, più o meno, una
lettera. In basso è messo in evidenza l'aspetto linguistico del gioco di analogie. Vicino alle
parole situazioni vocali l'artista riscrive tutte le vocali presenti nella parte superiore del
foglio, inserite tra linee verticali.
Questa struttura ricorda molto da vicino il modo con cui Klee affronta il secondo esempio
di ritmo utilizzato nelle sue lezioni (cfr.§1.3.5) che, secondo l'artista, possiamo afferrare
«con tre sensi: in primo luogo, udirlo; secondo: vederlo; terzo, sentirlo nei nostri muscoli.
È per questo che il suo effetto sul nostro organismo è tanto potente».208 La parola Papileo
viene suddivisa da Klee da linee verticali secondo una accentuazione qualitativa che la
frammenta seguendo la sillabazione (fig.63). Nello stesso modo Novelli in Alfabetario 6
organizza, seguendo un (personale) ritmo, le vocali che poi coniuga con alcune consonanti.
Questa operazione è riassunta dal sintagma scelta consonanti, che lo porta a selezionare BI
e FI a cui aggiunge una L per ottenere ancora una volta la parola FIELE, già presente in
altre opere. In questo disegno Novelli offre una sintesi del suo lavoro analogico tra segni
(numeri, lettere, colori) e il corpo, rappresentato per frammenti, viene acquisito tra questi.
207
208
Lévi-Strauss 2010 [2003], cit. Si fa qui riferimento al capitolo V, Categorie, elementi, specie, numeri,
pp.151-175.
Klee 1976 [1959], cit., p.267.
106
Con Operazione analitica del 1963 (fig.68), l'artista crea una vera e propria personale
catalogazione di parti anatomiche del corpo femminile a cui assegna un numero: 1 alla
testa; 2 al collo; 3 al seno; 4 alla pancia; 5 al pube; 6 alla coscia (di “madre” e “figlia”).
Dopo aver incolonnato tutte le sei definizioni, conta tutte le vocali e le consonanti presenti:
T 3E
C 2O
S N
2P U
C
A
2S T 3A
N L 2O
E N I
G 2C E
B S
da cui:
4A 1B.
3E 5C..
1I. 2L
4O. 3N
1U. 2P
4S.
2T
Toglie quindi l'equivalente numerico di
buio sacca, e ottiene:
3E. 2A
3O. 2L
3C. 2P
3N. 2T
3S
fig.68. Operazione analitica (particolare).
Poi toglie l'equivalente numerico di con se, e ottiene:
2E
2O
2C
2N
2S.
In questo disegno Novelli sembra aver portato alle estreme conseguenze il gioco di
frammentazione linguistica associata a lettere dell'alfabeto e numeri, utilizzando
l'operazione matematica della sottrazione per continuare la sua opera combinatoria. Il
riferimento al corpo femminile è qui probabilmente da mettere in relazione con il saggio di
Lévi-Strauss, ma anche i riferimenti alla Cabala non possono essere esclusi. Il gioco di
107
relazione tra quantità di lettere presenti nelle definizioni di parti del corpo, sembra un
riferimento irriverente alla gimatreya.
Anche se difficile perché l'originale è stato tradotto in inglese solo nel 1985, non si può
escludere che Novelli avesse avuto notizia da Villa di un testo mistico - probabilmente del
VII-VIII secolo d.C. - La misura della statua. Questo è un percorso iniziatico attraverso
l'immedesimazione con il corpo divino che «veniva ottenuto mediante il concorso di due
ingredienti simbolici: in primo luogo attraverso il crescendo dei numeri smisurati, che
definiscono la dimensione delle diverse membra, e in secondo luogo per mezzo
dell'elencazione dei nomi propri di ciascuna di queste membra».209 La concezione magica
del nome si afferma attraverso la ripetizione delle membra divine e il credente si
impossessa così di tutto il suo potere.
Lontano da credenze magiche ma in stretta relazione con la mistica ebraica a partire dal
Rinascimento, nei trattati medievali di arte della memoria si fa riferimento al corpo. Per
alcuni autori, tra cui anche Tommaso d'Aquino - la cui fama di “professore di memoria”
arriva attraverso trattati cinque-seicenteschi fino al XIX secolo -, è espressa la necessità di
adottare simboli corporei.210 Difficile dire per quali vie, visto che anche il testo della Yates
fu pubblicato in inglese solo nel '66 (Manganelli lo aveva nella sua biblioteca), ma sapendo
quanto l'interesse di Novelli per argomenti legati alla scrittura e all'esoterismo fosse forte,
è suggestiva l'idea che avesse notizia anche delle ricerche sull'argomento fatte negli anni
Cinquanta dagli storici del Warburg Institute di Londra e che precedono quello della
grande studiosa.
In testi antichi che trattano argomenti diversi compaiono tavole che illustrano, a vario
titolo, studi comparativi tra corpo umano e numeri. Nel caso della tavola che illustra lo
209
210
Busi, Loewenthal 2006 [1995], cit., p.75.
Yates 1972, cit., p.77.
108
Sciathericon Medicinae Coelestis (fig.69) dell'Ars Magna Lucis et Umbrae di Kircher,211 il
corpo umano è rappresentato in una delle tavole di gnomonica fisico-astrologica elaborate
dall'eclettico studioso seicentesco nel suo trattato di ottica. L'orologio solare orizzontale è,
come gli altri presenti nel capitolo IV, «una sintesi globale tra Gnomonica, Geometria,
Astronomia, Astrologia e Astroiatria mai tentata, ma neppure pensata»212 da altri studiosi
prima di lui. Nell'ipotesi che Novelli possa essere entrato in contatto con il testo
scientifico, l'aspetto che può averlo interessato di questa tavola è nella visualizzazione
della relazione tra corpo umano, lettere e segni zodiacali, studiati da Jung e da Ernst
Bernhard (v.oltre).
Nel numero di “Bizarre” dedicato al Lettrismo e ai suoi precursori, Littérature illettrée ou
La littérature à la lettre213 vengono riportate immagini tratte dal testo di Geoffroy Tory
sulla proporzione delle lettere.214 All'umanista francese viene dedicato ampio spazio
all'inizio della pubblicazione, definito «fondatore del nostro alfabeto tipografico»,215 colui
il quale ha imposto i caratteri romani, accenti e apostrofi a cui attribuì virtù divine.
Secondo le sue convinzioni filosofiche e religiose, egli studiò le proporzioni delle lettere
secondo quelle del corpo e del volto dell'uomo come immagine di Dio. Partendo dalla
convinzione che tutte le lettere nascono dalla I, arrivò attraverso una lunga analisi a
sintetizzare i suoi studi attraverso due figure l'Homme-Lettré (fig.70) e l'HommeScientifique. L'autore del saggio sui precursori del lettrismo utilizza quindi il testo del XVI
secolo per provare quanto importanti siano stati gli studi sull'alfabeto nel corso del tempo e
nelle diverse culture.
211
212
213
214
215
Athanasius Kircher, Ars Magna lucis et umbrae, in decem libros digesta, Ludovici Grignani, Romae
1646, p.46.
www.nicolaseverino.it
“Bizarre” n.32-33, Parigi 1964, pp.4-5. Novelli conservava nella sua biblioteca, (Arch. Mich.), i numeri
n.4 aprile '56, n. 8 giugno '57, n. 11-12 maggio '59, n.16 settembre-ottobre '60, 27 1° trimestre '63 della
rivista.
Geoffroy Tory, Champ FleuryChamp fleury. Auquel est contenu lart & science de la deue & vraye
proportion des lettres attiques, quon dit autrement lettres antiques, & vulgairement lettres romaines
proportionnees selon le corps & visage humain, Giles Gourmont, Paris 1529.
Noël Arnaud, Vers une litterature illettree in “Littérature Illettrée” 1964, cit., p.3.
109
Possiamo immaginare che anche a Novelli e agli altri artisti che si avvicinarono al tema del
linguaggio, possa aver interessato il sistema di accordi con il corpo umano così come
veniva coniugato nel Rinascimento. Lontani da qualsiasi idea di ricerca della perfezione,
rimaneva, per lui e per gli altri, l'attrazione per le mitiche e arcane connessioni tra
microcosmo e macrocosmo attraverso la figura umana che aveva ogni sua parte in
relazione anche con muse, arti e virtù secondo un sincretismo di origine neoplatonica.
A fronte di quest'ultima ipotesi, è invece certo che Novelli rimase colpito dalle immagini di
'scorticati' presi da un trattato di anatomia del XVII secolo. Il testo è il Corporis Humani
Anatomiae di Filippo Verheyen216 che l'artista cita in due dipinti del 1963, il primo ha un
titolo leggermente modificato (Corpus invece di Corporis), il secondo, Supplementum
anatomicum, (fig.71) cita il II libro del trattato. 217 I due quadri, ambedue su fondo bianco
lattiginoso, riportano con un complesso lavoro di montaggio, frammenti di figure estratte
dalle tavole del libro di anatomia.
I due disegni senza titolo dello stesso anno (fig.71a,71b) sono citazioni, non precise, di tre
tavole del libro che non è tra quelli della sua biblioteca ma che l'artista potrebbe aver
consultato anche in Francia perché presente in più copie presso la Bibliotèque Nationale di
Parigi.
Il primo disegno riporta nello stesso spazio le figure delle tavole III (fig.72a) e IV (fig.72b)
a cui aggiunge anche dei puntini colorati di rosso. Il secondo è una copia, appena
accennata, dell'immagine femminile incisa nella tavola XVIII (fig.72c).
Nei due disegni, e nei dipinti, sono particolarmente evidenziate le lettere che denotano le
varie parti del corpo, a sottolineare quanto importante fosse per l'artista la loro presenza
216
Philippo Verheyen, Corporis humani anatomiae, in qua omnia tam veterum, quam recentiorum
anatomicorum inventa. Methodo nova & intellectu facillima describuntur, ac tabulis æneis repræsentantur.
Ægidium Denique, Lovanii 1693. Copia consultata edita da Carteron, Lugduni 1712.
217
Philippo Verheyen, Supplementum anatomicum sive Anatomiae corporis humani liber secundus, in quo
partium solidarum libro primo descriptarum usus & munia explicantur. Accedit descriptio anatomica
partium foetui et recenter nato propriarum. Item Controversia de foramine ovali inter authorem, & D. Mery.
Authore Philippo Verheyen ... opus variis figuris illustratum. Carteron, Lugduni 1712.
110
rispetto al tema delle tavole a cui fa riferimento. Al di là dunque di qualsiasi significato
simbolico specifico, come può essere stato visto ad esempio nell'ambito della psicoanalisi
freudiana, Novelli gioca ancora una volta con immagini verbovisive prelevate per
frammenti da testi antichi e da lui assunte come materiale da utilizzare per nuove
creazioni.
111
1.3.7 Diario e dichiarazioni di poetica
Per un artista amante degli anacronismi e che non credeva nella storia come Novelli era
forse difficile concepire l'idea di tenere un diario scritto premurosamente ogni giorno,
come invece fece ad esempio Klee, anche se per un periodo limitato della sua vita.218 Ma
tutta la sua opera, soprattutto quella degli anni Sessanta, può essere considerata come un
lungo e articolato diario.
Una forma di diario sono i suoi scritti e i suoi appunti, un diario di viaggio è sicuramente
quello tenuto durante i suoi attraversamenti della Grecia e poi rielaborato per farne
un'edizione a stampa. Tra dipinti, disegni, scritti sono frequenti le dichiarazioni di poetica,
come accade nei diari di artista.219
Le parole scritte sui suoi quadri o nelle opere su carta sono spesso una forma di
annotazione veloce, a volte più dettagliata, che testimonia di fatti anche marginali delle sue
giornate o riflessioni profonde sull'arte, la società, la cultura e molto altro.
Già Crispolti nel '58 notò la “componente diaristica” della sua opera. Anni dopo, Maurizio
Fagiolo analizzò questa particolare attitudine: «Novelli è un grafico, ha bisogno di lasciar
correre la mano su un campo bianco (il foglio da disegno): la costruzione viene soltanto
dopo. È quasi una registrazione completa dei dati sensoriali, senza sospetti di automatismo
(di tipo surrealista), quasi un diario giorno per giorno delle proprie idee o anche
dell'assenza di idee. 'Diario' significa prima di tutto adesione alla realtà, mentre i
surrealisti, almeno quelli veri la rifiutavano. Una forma di diario che potrebbe anche essere
un ermetico 'manoscritto nella bottiglia', un messaggio destinato a giorni futuri. La sua
iconografia varia è come agitata da una brezza sottile, un diario scritto sul muro (come
sembra proporre un suo libro del '58) o meglio il muro bianco-calce si sovrappone allo
218
219
Paul Klee 1976 [1960], cit.
Antonella Sbrilli, Diari di artista, Università Sapienza di Roma, Facoltà di Lettere e Filosofia, ciclo di
lezioni, secondo semestre, A.A. 2010-2011.
112
scritto per cercare di annullarlo; un diario scritto sulla sabbia; un diario scritto sull'acqua
che subito si richiude. “Un lungo diario per fortuna non esclusivamente mio perché non ha
una misura stabile. Un 'diario elastico' lo vorrei chiamare, un filo a piombo senza però il
piombo in fondo”».220 Quest'ultima frase è presa da PPQ, lo scritto già citato in cui Novelli
riprende alcuni passi letti da Duchamp. Cosa intendesse l'artista dicendo che non è
'esclusivamente mio' lo spiega ancora Fagiolo in una presentazione dello stesso anno:
«Novelli: il tempo del diario. Non intimismo ma rapporto con la vita (quella che pulsa nei
titoli dei quotidiani): un diario di lavoro che fissa le mille piccole scoperte linguistiche, la
rivelazione del sesso, il gioco del giocare».221 Il rapporto, dunque, con la vita, con il
mondo, che per Novelli è costituito da tanti aspetti che diventeranno negli anni sempre più
di carattere sociale e politico, intrecciato comunque sempre all'aspetto privato.
Nel suo diario, Klee annota che «un diario non è, appunto, un'opera d'arte, ma un'opera del
tempo» (170). L'artista svizzero scrive il suo diario in età giovanile, nel pieno del suo
periodo di formazione e quindi prima della fase teorica e artisticamente matura. Come
sottolinea Argan nella sua prefazione, «al diario, dunque, è affidata la giustificazione del
carattere segretamente autobiografico della pittura e del disegno»,222 aspetto questo che
ritroviamo in tutta la produzione successiva alla stesura del diario.
Novelli invece ha sempre affidato ai suoi lavori artistici il compito di registrare, senza
seguire almeno in apparenza un metodo preciso, i percorsi autobiografici e artistici. Se nel
periodo informale della fine anni Cinquanta questo compito era affidato al gesto e ai
materiali che andava sperimentando, successivamente fu la parola a diventare veicolo
privilegiato per la sua creatività. La maggior parte delle sue opere diventano pagine su cui
220
221
222
Fagiolo 1966a, cit., p.119.
Novelli Perilli Scialoja Twombly, catalogo mostra alla Galleria Dè Foscherari a cura di Maurizio Calvesi
e Maurizio Fagiolo, 2-22 aprile, Bologna 1966.
Giulio Carlo Argan, Prefazione a Klee 1976 [1960], cit., p. X.
113
scrivere. Oltre ai giochi linguistici che si possono incontrare, a volte compaiono
dichiarazioni compiute e scritte con precisione per essere lette, altre volte frammentate e da
ricomporre.
L'inquietudine che Novelli iniziò a manifestare dal '57 con la separazione dalla moglie, il
tentativo di suicidio223 e una vita piuttosto disordinata, culminò nell'agosto '59 con il
ricovero in clinica. In questa occasione scrisse della sua esperienza e degli effetti che la
cura del sonno ebbe rispetto alla sua percezione,224 e che può essere considerata una
particolare pagina di diario. È un testo interessante sia perché è una registrazione dal vivo e
senza filtri di un'esperienza intensa e dolorosa sia perché sembra un punto di svolta nel
rapporto di Novelli con scrittura: molto vicino a uno stream of consciousness ma con una
forte aderenza alla realtà dei fatti reali. Come già accennato, poco tempo dopo, Novelli si
troverà a fare esperienza di allucinogeni insieme al suo amico René de Solier nella casa di
campagna in Francia di questi, approfondendo dunque la conoscenza di stati alterati della
percezione.
A quella circostanza si potrebbe far risalire il primo dei disegni scelti per questo paragrafo,
Mi trovo ad avere un colloquio del 1961 (fig.73), è la registrazione di un incontro con una
gallina. A metà tra la descrizione di qualcosa realmente accaduto all'artista e la sua
ricostruzione di fantasia, utilizzato come materiale da trascrivere per una delle sue opere
dove il carattere ironico e surreale sembra prevalere su tutti.
Il foglio, lavorato in orizzontale, ha nella parte inferiore una sorta di linea di orizzonte e un
grande semicerchio intorno a uno spazio vuoto, la metà superiore è interamente scritta: mi
trovo ad avere un colloquio con una gallina. Non è per niente divertente a parte il fatto
che è del tutto incomprensibile. Quella non si muove e guarda fisso e fa dei versi con un
223
224
Giovanola Ripandelli, Album di famiglia, in Catalogo Generale 2011, cit., p. 90.
Vedi nota 123 e §1.3.2.
114
evidente desiderio di essere capita. Intendo dire che modula la voce è orribile ma
assolutamente vero oltre a tutto non credo che mi fosse mai capitata una cosa del genere,
ho provato anche ad entrare in casa e la gallina è arrivata sulla porta con l’intenzione
chiarissima di seguirmi costringendomi così a fare un grande salto per impedirle di
entrare PER IMPEDIRLE DI ENTRARE se fosse entrata non so proprio cosa poteva
succedere. È una grossa gallina BIANCA le altre, quelle colorate, stanno fuori del recinto
a guardarla FORSE PER VEDERE SE RIUSCIRA’ A IMPADRONIRSI DI ME. IO SONO
IN OGNI MODO DECISO A RESISTERE.
Molto diverso è il foglio della serie degli alfabetieri, La voie de la guérison, del '62
(fig.74). Si tratta di un collage di carte diverse scritte fittamente e incollate su un foglio
Fabriano. La struttura è quella della scrittura su colonne, molto usata da Novelli in questi
anni anche nei dipinti e che ricorda da vicino l'impaginazione dei quotidiani. Anche
nell'originale, che ho potuto vedere presso l'Archivio Novelli, alcune parti sono illeggibili
come le parole in basso in francese e in latino come signum signi sui generis... signum
aenigmatis. Su un rettangolino di carta assorbente sono tracciate anche parole scritte al
contrario, e su un frammento di carta a quadretti (sembra una pagina di diario strappata) ci
sono parole sottolineate di un altro scritto che sono poi riportate a lato. Alla fine della
quarta colonna c'è un reticolato a quadretti con sillabe inserite, annunciato dalle parole
dell'artista anche questo secondo metodo sembra del tutto efficace quello delle parole
incrociate l'ho già provato (cfr.§1.3.9) e funziona benissimo ne farò un esempio in piccolo:
fa fe ha ch li di la le DICI LEDI FEDI HA.
Ma l'incipit dell'opera è la parte più interessante: LA VOIE DE LA GUÉRISON. Con la
scusa di mandare un oggetto a due amici, mi si offre così finalmente l’occasione di
scrivere più di quanto non mi sia concesso fare sui quadri e questa è per me decisamente
115
una grande soddisfazione. Ho sempre pensato che sia necessario sviluppare quella
glandola che sicuramente esiste in qualche parte dentro al corpo e che è destinata a
servire da TERZO OCCHIO non si può passare tutta la propria vita a guardare e sentire
allo stesso modo, qu’en est-il de l’imagination? Est-ce sur que vous m’ indiquez ce que j’ai
vecu? Anche per questo è necessario procurarsi un testimonio interno del quale ci si possa
in qualche modo/ fidare, appunto un senso supplementare e non visibile, sembrava così
facile ed invece sono già profondamente stanco e anche svogliato un mot una parola sola
che valga ancora il proprio suono, che non sia consumata da tanti anni di usi sbagliati di
sovrastrutture inutili, ma plume aggravant, non mi permette di stabilire la diagnosi in
modo preciso è molto più probabile che ci riesca la carta assorbente con cui ho asciugato
queste poche pagine il deserto di certo contro...
È stato lo scrittore suo amico Bataille a teorizzare l'importanza dell'occhio pineale o terzo
occhio o anche ano solare225 che Novelli cita spesso in questi anni. «L'occhio che è posto
nel mezzo e in cima al cranio e che, per contemplarlo in una sinistra solitudine, si apre sul
sole incandescente, non è un prodotto dell'intelletto, ma bensì un'esistenza immediata: si
apre e si acceca come una consumazione o come una febbre che mangia l'essere o più
esattamente la testa, e rappresenta così la parte dell'incendio in una casa».226 In un'altra
descrizione, spiega il compito della ghiandola: «Ogni uomo possiede alla sommità del
cranio una ghiandola conosciuta sotto il nome di occhio pineale che presenta
effettivamente i caratteri di un occhio embrionale. Ora le considerazioni sull'esistenza
possibile di un occhio di asse verticale (…) permettono di rendere sensibile la portata
decisiva dei differenti percorsi ai quali siamo così generalmente abituati che siamo arrivati
225
226
Georges Bataille, L'ano solare, SE, Milano 1998. La prima edizione de L'agnus solare fu pubblicato nel
novembre 1931 da Editions de la Galerie Simon con illustrazioni di André Masson, il Dossier de l'œil
pinéal in Œuvres complètes, vol.II, Gallimard, Paris 1970.
Bataille 1998, ivi, p.38.
116
a negarli qualificandoli come percorsi normali e naturali. Così l'opposizione dell'occhio
pineale alla visione reale appare come il solo mezzo per svelare la situazione precaria - per
così dire braccata - dell'uomo al centro degli elementi universali».227
La finalità liberatoria della 'riscoperta' del terzo occhio è evidente e per Novelli rappresenta
una delle tappe del suo percorso di formazione della sua coscienza creativa.
Con Ombra del pensiero del '66 (fig.75), entriamo in un ambito ancora diverso. Nel foglio
le parole scritte sono commentate dai piccoli disegni inframmezzati. La notazione di tipo
diaristico è in basso e spiega il senso delle altre dichiarazioni: ho sognato di avere un buco
nella mano.
Il carattere surreale della composizione è evidente fin dall’inizio costituito da domande
circa il rapporto tra i nomi e le cose designate: la luna, il pesce, il sole, il sogno. I sogni
sono poeticamente fatti derivare dalla luna, vengono da fuori e li mandano dei signori io
sogno un signore schiacciato davanti a me sotto la mia finestra si forma nella camera in
cielo, vicino o dentro, li fanno i sognati, non si possono toccare sono luci si vedono solo al
buio e solo la notte.
Fra interrogativi di ordine linguistico e poesia, Novelli annota pensieri, sensazioni, sogni
per dare spazio a quell'immaginazione a cui faceva riferimento parlando del terzo occhio.
227
Bataille 1998, cit., pp.56-57.
117
1.3.8 Gioco dell’Oca, gioco dei dadi, disco di Festo
È tra il ‘62 e il ‘63 che nei quadri di Novelli iniziano a comparire forme circolari
spiraliformi o strutturate in fasce concentriche suddivise in caselle riempite da segni di
vario tipo. Anche nei lavori su carta, semplici appunti o opere grafiche compiute, troviamo
queste figure. Da vari indizi, i titoli dati alle opere (La ruota della fortuna, Il gioco
dell’oca, Phestos) e le memorie dattiloscritte dei suoi viaggi in Grecia, è facile capire
l'origine di queste forme. Com’è già stato messo in evidenza da vari studiosi, e come viene
analizzato anche nel recente catalogo generale,228 queste forme circolari assolvono a
molteplici funzioni che vanno dal riferimento alla 'ruota della fortuna', al 'gioco dell'Oca' e
ancora al 'disco di Festo' e ai 'mandala' a cui si possono aggiungere antiche forme di
oroscopo e una particolare icona bizantina.
Anche se è difficile affermare con certezza dire quale di tutte le figure citate sopra Novelli
abbia preso in considerazione per prima, è probabile che, quando vide per la prima volta
nel museo archeologico di Heraklion (Creta) il disco di Festo avesse già accolto nel suo
repertorio di immagini e suggestioni le altre forme citate.
Dalle pagine dattiloscritte del suo Viaggio in Grecia, si evince che il pittore arrivò a Creta
nel corso del suo terzo viaggio nel Mare Egeo nell’aprile del 1963, raggiungendo da lì
anche l'isola di Rodi. L'ipotesi è confermata dal fatto che in uno dei block notes con gli
appunti presi durante i suoi viaggi in Grecia (Arch. Mich.), viene riportata la data 11.4.63
relativa al suo arrivo a Creta. È un fatto comunque che sia rimasto molto colpito da
quell'oggetto così arcaico e misterioso avendolo descritto nel diario e appuntato degli
schizzi. Da allora e per un numero abbastanza consistente di opere lo ha fatto contaminare
228
Rinaldi 2011, cit., p. 57-58.
118
dalle altre forme simili e ugualmente cariche di storia, di fato e di gioco e come per il
mandala, di riferimenti a culture e spiritualità lontane.
L'unico dipinto dove riporta su un lato il disco cretese in versione intera e particolareggiata
è Il grande linguaggio (fig.76) eseguito lo stesso anno del viaggio. La fascia in cui è
contenuto il disco presenta frammenti di immagini e le tre parole catalogo, la
testimonianza (in relazione al disco), gli abitanti: sembra la prova dell’acquisizione
‘ufficiale’ del reperto cretese tra i materiali del suo lavoro. La parola ‘abitanti’ conferma
invece l’attenzione - dichiarata in più punti del suo diario - circa le persone e i luoghi
geografici visitati tanto che la maggior parte del dipinto è occupata da una sorta di mappa
astratta densa di segni e riferimenti.
I due disegni con Disco di Phestos faccia “A” (fig.77) e Disco di Phestos faccia “B” con i
soli principali simboli (fig.78) sono da datare dunque al '63 (e non al '62-'63) anno del
viaggio a Creta. I due fogli sono collocati nella pagina che segue un’indicazione di un
sistema per visitare un museo (quello di Heraklion). L'artista presenta i due disegni
scrivendo che «Il disco di Phestos è in terracotta, una specie di gioco dell'oca che
comprende tutta la storia dell'uomo, il suo oroscopo e le sue gesta».229 Con queste parole
Novelli semplifica molto la complessità del disco che ancora non ha avuto una precisa
decifrazione nonostante i numerosi tentativi. Diringer nel suo importante saggio sulla storia
dell'alfabeto230 parla del disco dopo aver trattato delle scritture sillabiche, la lineare A e B,
indigene dell'isola, mettendolo in parte in collegamento ma sostenendo che non era
possibile decifrarlo. Il reperto in terracotta fu scoperto dalla missione italiana diretta da
Luigi Pernier nel 1908 e appartiene al periodo finale del medio minoico, sec.XVII. La
229
230
Gastone Novelli, Histoire de l'oeil, Il viaggio in Grecia, Hilarotragoedia, Baldini & Castoldi, Milano
1999, p.82 (p.66 del dattiloscritto).
David Diringer, L'alfabeto nella storia della civiltà, Giunti, Firenze 1969 (1a ed. S.A.G. Barbera, Firenze
1937.
119
conservazione è perfetta, il diametro leggermente irregolare (158-165 mm.) Le due facce
sono coperte di linee graffite di due specie. Su ambedue le superfici fu tracciata una linea
irregolare a spirale partente dal centro; da un giro all’altro della spirale sono tracciate linee
allo scopo di separare i diversi gruppi di segni. La direzione della scrittura è destrograda
(dall’esterno verso l’interno). I segni sono puramente pittografici, in tutto 241, di cui 123
(31 gruppi) su una faccia, e 118 (30 gruppi) sull’altra, solo un segno è scomparso. Pernier
ha riconosciuto 45 tipi diversi che raggruppa nelle seguenti classi: 1. figura umana e sue
parti; 2. animali e parti di essi; 3. vegetali e loro derivati; 4.espressioni topografiche e
marine; 5. costruzioni e suppellettili; 6. armi, strumenti, utensili; 7. simboli incerti.
Nessuna interpretazione è certa e la decifrazione enigmatica anche perché è difficile
stabilire se sia appartenente alla civiltà minoica o no. Per alcuni si tratta di un testo
religioso, per altri è un calendario, o un trattato commerciale o politico, oppure un inno di
vittoria, una lettera privata o altro. Le scritture su elementi circolari, anche vasi sono
condivise da altre civiltà come quella etrusca e quella ebraica, mentre gli aztechi hanno
prodotto anche calendari con lo stesso andamento.
Lontano da preoccupazioni circa la decifrazione, Novelli vede nel disco sicuramente un
altro di quegli esempi di «frammenti e scorie di forme e di segni da introdurre nel proprio
alfabeto», da accogliere anche senza conoscerne il significato, anzi proprio per questo,
perché - aggiunge - «dei segni e delle scorie di forme di cui, per fortuna, non si può avere
cognizione scientifica, ma sotto di esse sarà un giorno deciso il destino e la comunicazione
di un universo».231
L'artista torna sul tema nel '64 con un disegno su carta di grandi dimensioni (fig.79) dove
sembra anche fondere la forma del disco di Phesto con altre che nel frattempo aveva
iniziato ad assumere, come quella derivata dall'impresa quattrocentesca e trasformata in
231
Novelli 1999, cit., p.78 (p.62 del dattiloscritto).
120
immagine-rebus, ripresa dal testo del Tabourot (cfr.§1.3.12).
Per l'edizione ridotta e definitiva del suo Viaggio in Grecia del '66, fa una versione del
disco con tecniche calcografiche (fig.80).
La forma a spirale del disco di Festo è da associare a quella del labirinto. E, come noto,
l'isola di Creta è anche il luogo del labirinto più famoso dell'antichità. Novelli, come
possiamo leggere nelle memorie dattiloscritte dei suoi viaggi in Grecia, rimase colpito
dalla storia di Teseo alle prese con il Minotauro prigioniero nei sotterranei del palazzo di
Cnosso.232
Gli dei e gli eroi della Grecia, il famoso testo di Kerényi tradotto in italiano, faceva parte
della sua biblioteca.233 Il libro è stato sicuramente molto studiato dall’artista che lo ha
chiosato e sottolineato in più punti, oltre ad aver appuntato nell’occhiello le pagine
secondo lui più importanti.234 È molto probabile che nel suo viaggio a Creta lo avesse con
sé assieme alla guida Hachette del '62.235
Affascinato dunque dalla figura del labirinto, deve essere rimasto colpito dalla descrizione
di quello cretese fatta da Kerényi quando parla della mitica vicenda a cui è legato. «Il
labirinto non era un meandro di strade, nel senso che chi entrava non poteva trovare la
parte più interna, ma nel ritorno doveva saper riprendere la stessa strada usata nell'entrare e
ciò era difficile. Quando più tardi l'ateniese Dedalo, il costruttore stesso, vi fu rinchiuso col
figlio Icaro, poté sfuggire soltanto costruendo delle ali di penne e cera e così inventò l'arte
del volo.(...) Nella parte più interna del labirinto dormiva il Minotauro».236 Ma, al di là
delle ricostruzioni del mito, il simbolismo di questa forma arcaica e comune a molte civiltà
232
233
234
235
236
Novelli 1999, cit., p.75 (p.59 del dattiloscritto).
Kàroly Kérenyi, Gli dei e gli eroi della Grecia, Il Saggiatore, Milano 1963. (Arch.Mich.)
Nel 1962 Novelli intitola un dipinto Gli dei e gli eroi. Si può pertanto ipotizzare che conoscesse anche la
versione originale del saggio uscita in tedesco a Zurigo nel 1958.
Grèce – Les Guides Bleus, Hachette, Paris 1962. Nell’Archivio Michielin è conservata la copia usata da
Novelli e la sua compagna Marina Lund nei loro viaggi in Grecia. Purtroppo la carta geografica che vi era
allegata è stata perduta, servì all’artista per ricostruire il percorso dei suoi viaggi in alcune opere grafiche.
Kàroly Kéreny, Gli dei e gli eroi della Grecia, Garzanti, Milano 1981, p.248.
121
mediterranee237 ha sicuramente interessato anche il pittore che conosceva alcuni simboli
preistorici o comunque appartenenti a epoche e luoghi anche molto lontani tra loro, così
come è dimostrato dai numerosi esempi in alcune sue opere. E il carattere enigmatico e
misterioso deve aver coinvolto l'artista che visse in un clima di rinnovato interesse per
alcune forme che rispecchiano l'andamento dedalico di alcune riproduzioni dello schema
«nella gestazione umana originaria», tipico della produzione manierista,238 a cui si
mostrarono interessati alcuni artisti e scrittori della neoavanguardia. Il saggio di Hocke,
letto attentamente anche da Manganelli, fa in più punti riferimento al labirinto come forma
archetipica «dell'essere, ventre del mondo, che al di fuori si stende in apollineo splendore
immutabilmente eterno, essente» e che riemerge in epoche problematiche come quella del
secondo dopoguerra, dall'autore chiamata “neomanierismo”. A questo proposito cita da
Baudelaire: «In alto in alto scricchiola una colonna e le sue due estremità si spostano.
Nulla è ancora crollato. Non riesco a ritrovare l'uscita. Scendo, poi risalgo. Una torre. Labirinto. Non sono mai potuto uscire. Abito per sempre in un edificio che sta per crollare,
un edificio corroso da una malattia segreta».239
Nei tre piccoli disegni di taccuino del 1962-63 (fig.81a, 81b, 81c) conservati presso
l'Archivio Novelli, l'artista copia alcune immagini tratte dal più volte citato Psicologia e
alchimia di Jung che corredano il testo nel capitolo riguardante i mandala,240 la cui
simbologia è stata messa in relazione con i cosiddetti sogni di mandala.
237
238
239
240
Paolo Santarcangeli, Il libro dei labirinti. Storia di un mito e di un simbolo, Vallecchi, Firenze 1967,
pp.61 e segg.
Hocke 1975 [1965], cit., pp.248 e segg.
Hocke 1975 [1965], cit., pp.329-330. Questo passo è stato sottolineato da Manganelli nella sua copia del
libro conservata presso il Fondo Manoscritti dell'Università di Pavia.
Mandala: il termine sanscrito, oggetto prevalentemente buddista, originariamente significava cerchio,
disco, alone, ma anche distretto, territorio. Il termine assunse ben presto un'accezione più specializzata e
fu usato per indicare un cerchio magico. In ultimo, “mandala” finì per designare una mappa cosmica, un
simbolo dell'universo, “una proiezione geometrica del mondo ridotto a uno schema essenziale” (Tucci). Il
concetto di mandala è così vasto e comprensivo, che può essere applicato a fenomeni che trascendono i
limiti dell'arte e della religione asiatiche. Molte icone ortodosse hanno l'aspetto e la prerogativa di un
mandala, da: Fosco Maraini, Giappone mandala, Electa, Milano 2006, 1a ed. Tokio, NY, Londra 2001.
122
Trattandosi di figure inserite entro forme circolari, esse sono da collegare al tema fin qui
trattato che riguarda il disco di Festo e, fino ad ora, il labirinto. Da questi disegni e dai
dipinti che a questi si possono collegare, possiamo vedere come Novelli, partendo dal testo
di Jung, metta insieme ancora una volta diversi riferimenti culturali. A quelli già citati, il
disco di Festo e il labirinto, possiamo ora aggiungere la ruota e, appunto, i mandala.
Il primo disegno (81a), è una trascrizione non fedele della “Ruota dell'universo” (sidpekorlo) tibetana241 che rappresenta «il corso delle forme umane di esistenza secondo la
concezione buddhistica» basata su un sistema ternario e non quaternario come il mandala
da cui deve essere distinta (82a). Secondo l'autore, infatti, la parola mandala «designa il
circolo rituale o magico che viene usato, particolarmente nel lamaismo e anche nello yoga
tantrico, come yantra, come strumento di contemplazione» e ha una finalità diversa
essendo immagine mentale elaborata mediante l'immaginazione solo da un lama istruito. A
questa fa riferimento il terzo disegno (81c) che presenta anche un'altra forma, un fiore
circondato dalla scritta il fiore a sette petali che si riferisce all'illustrazione dal Summum
bonum di Fludd (1629) con la “Rosa a sette petali come allegoria dei sette pianeti, delle
sette fasi di trasmutazione” riportata nel saggio di Jung,242 utilizzata dallo studioso svizzero
per illustrare l'equivalenza tra la figura del fiore e quella del sole nella simbologia
alchemica (82c).
L'altro disegno (81b), rappresenta un “Vajramandala lamaistico” 243 utilizzato da Jung (82b)
per spiegare che «nel loro uso cultuale i mandala hanno grande importanza, perché il loro
centro contiene di regola una figura di supremo valore religioso: o lo stesso Śiva, spesso
abbracciato alla Śakti, o Buddha, Amitabha, Avalokiteśvara, o uno dei grandi maestri del
Mahāyāna oppure semplicemente il dorje, simbolo della concentrazione di tutte le forze
241
242
243
Jung 2008 [1992], cit., p.99.
Jung 2008 [1992], cit., p.81.
Jung 2008 [1992], cit., p.102.
123
divine di natura creativa o distruttiva».244 Jung era convinto che tutti questi simboli
orientali fossero frutto di sogni e visioni e non invenzioni estemporanee in quanto
condivisi a livello universale fin dalla preistoria.
Il sistema quaternario di riferimento dei mandala è da ricondurre alle ricerche sulla
quadratura circuli, un problema che ha interessato molto la cultura medievale come
«simbolo dell'opus alchymicum, in quanto essa scompone l'unità iniziale caotica nei
quattro elementi, per poi ricomporli in un'unità superiore. L'unità è rappresentata dal
circolo, i quattro elementi dal quadrato».245 La trasformazione di un cerchio in un quadrato
di eguale superficie, mediante procedimenti geometrici, simboleggia il desiderio di
ricondurre l'elemento “terrestre” e quello “celeste” a una ideale concordanza (coincidentia
oppositorum).
Quando invece prevale la forma circolare della ruota, questa è uno dei simboli privilegiati
dell'alchimia e indica «il processo circolatorio, la circulatio».246 Infatti i raggi conferiscono
l'elemento dinamico alla forma del cerchio che ha un effetto visivo statico e con significati
relativi al movimento è presente in molte culture.
In occidente, nell'arte medievale, la ruota diventa “Ruota della vita” o “Ruota della
Fortuna”247 «che non è mai ferma, ma è sempre soggetta a mutamento. La dea della
Fortuna viene solitamente raffigurata su di una sfera, ma talvolta anche su di una ruota. A
forma di ruota sono anche le raffigurazioni dello zodiaco e dello svolgersi annuale del
tempo.(…) Il simbolo “Ruota della Fortuna” corrisponde anche al decimo degli Arcani
Maggiori dei Tarocchi e sta a indicare “il salire e lo scendere della vita, il destino,
l'inevitabilità”».248
244
245
246
247
248
Jung 2008 [1992], cit., p.100.
Jung 2008 [1992], cit., p.127.
Jung 2008 [1992], cit., p.164.
Per un quadro di riferimento sul tema della Fortuna, si rimanda al numero monografico di “Engramma”
n.92, agosto 2011, Fortuna nel Rinascimento a cura di G.Bordignon e A.Sbrilli.
Biedermann 2001 [1991], cit., pp.453-456.
124
In molti quadri a partire dalla fine del '62 Novelli fa riferimento a varie forme rotanti che
prendono di volta in volta vari titoli che vanno dalla già citata La ruota della fortuna, a
Tabella guida e Di che occuparsi se non dell'uomo? (fig.83) tutti del '63. È utile ricordare
che nel corso del suoi viaggi in Grecia Novelli rimase colpito da un'icona del museo
Benaki vista probabilmente nel '62, riportando nel suo diario di viaggio l'impressione
avuta. «9,30 al museo Banaki (Benaki) che è pieno di Icone. Una in particolare sembra
spettacolosa, è sulla destra antrando (entrando), dipinta in tondo, come il gioco dell'oca, e
in questo tondo si svolge una specie di storia a fumetti di santi, mercanti, cavalieri col naso
grasso e curvo da turchi, animali e tutto. Nel pomeriggio: Acropoli».249
Con questa nota l'artista ci indica un'altra fonte iconografica delle sue immagini circolari.
La bellissima icona bizantina (fig.84) del pittore cretese Theodoros Poulakis (1622-1692),
ha uno schema molto simile alle forme utilizzate nel corso del '62 e oltre (in particolare in
Di che occuparsi se non dell'uomo? si riscontra un’impressionante analogia) e che
successivamente sarà fuso con le altre a partire dal disco di Festo, che, come detto,
dovrebbe aver visto dal vero non prima del '63. L'icona è un inno alla Vergine della
seconda metà del XVII secolo e presenta una grande figura circolare a fasce concentriche
suddivise in caselle in cui sono illustrati temi del Vecchio Testamento, versi dell'inno di
Akathistos e le dodici grandi feste della Chiesa.
Nel giro di pochi mesi l'artista arriva poi a usare lo schema del gioco dell'oca, un altro
riferimento da associare a tutti quelli visti finora. Il dipinto intitolato Il gioco dell'oca
(fig.85) è stato eseguito nel '63 o forse l'anno dopo secondo la data riportata sul verso.
Se la figura del labirinto è simbolo di un percorso iniziatico alla ricerca di un “centro”, che
lo avvicina molto ai mandala e al viaggio alchemico (oltre che alla figura dell’omphalos,
249
Novelli 1999, cit., p.39 (p. 23 del dattiloscritto).
125
uno dei soggetti preferiti delle sue sculture), ha anche forti analogie con il gioco dell'oca,
l'antico gioco da tavolo che sicuramente Novelli conosceva in qualche antica edizione.
Oltre al dipinto che porta come titolo proprio il nome del gioco, ripetuto all'interno
dell'opera con l'aggiunta dell'aggettivo dilettevole, anche in tre altri quadri del '64 vediamo
ricomparire lo schema, Ha vinto il Bologna, Il gioco del re e il Rito dell'amore. In
quest'ultimo dipinto il pittore inserisce in una delle caselle le parole: un grande gioco
dell'oca; in un'altra scrive partenza.
Il gioco dell'oca è un passatempo di epoca moderna che ha origine dai giochi di fortuna,
chiamati dai Romani genericamente alea,250 che in varie epoche sono stati oggetti di
repressione penale da parte dei governanti. Soprattutto l'antico gioco dei dadi, praticato da
ogni ceto sociale, era condannato per il fatto di essere un gioco d'azzardo.
Il più innocuo gioco dell'oca è stato inventato nel XVII secolo e si è stabilizzato nel secolo
successivo con l'itinerario “a chiocciola”.251 Da allora è stato spesso chiamato “nobile” per
il posto privilegiato che ha occupato nella storia, nella letteratura e nell'arte. Esso consiste
in un percorso dalla prima casella con il numero 1, all'ultima con il numero 63.
Questo gioco e altri derivati provengono dal labirinto, un percorso iniziatico ai misteri
della vita e della morte trasformato in divertimento ma che comporta dei “rischi”. Chi
inizia il gioco ha la consapevolezza che questo avrà una fine, ma è indotto comunque alla
sfida, che è in sé qualcosa di vitale. «Ormai private di significato esoterico-religioso,
queste caselle, illustrano solo i simulacri degli ostacoli che l'uomo deve affrontare nella
propria vita, una nota simbologia che rappresentava le difficoltà dell'anima del defunto a
non perdersi nel limbo tra la vita e la morte, per poter raggiungere serenamente l'aldilà».
La metafora del gioco dell'oca è duplice: percorso con ostacoli per i vivi e per i morti. La
meta convenzionalmente stabilita dei giochi dell'oca è il numero 63, formato dalla
250
251
Caterina Santoro, Presentazione a I giochi di dadi, d'azzardo e di passatempo dei gentiluomini e dei
pirati, a cura di I.Negri e V.Vercelloni, Lerici, Roma 1958.
M.Alberini, Una partita lunga un viaggio, in “Qui Touring”, Milano marzo 1988, pp.58-61.
126
moltiplicazione di 9x7, numeri a valenza magica fin dall'antichità e che nel Medio Evo
indicavano il numero di volte (7) cui cambiava ogni 9 anni l'età dell'uomo, per arrivare al
termine della vita a 63 anni d'età».252
Questo è il tipico risultato di un processo di modellizzazione in cui i giocatori hanno la
possibilità di simulare avvenimenti reali, caricando quindi un oggetto formale di
espressioni simboliche o analogiche. Così come è strutturato, tale gioco simula un modello
statico di percorso lineare; ogni giocatore ha solo tre possibilità: avanzare, stare fermo,
arretrare, ma non può andare a destra o a sinistra: è quindi una schematizzazione non
complessa del percorso della vita. Concezione lineare dello spazio e del tempo. Le
immagini stilizzate all'interno delle caselle ne costituiscono gli indicatori-segnali di
rappresentazione. Alla casella 42 compare sempre l'immagine del labirinto che vuol dire
anche “paga e torna indietro”. Tutte le immagini hanno una doppia significazione, una
“sorta di embrionale sapere enciclopedico”. Simboli e regole-convenzioni che
intervengono nel vivere sociale. Tutte le attitudini e i processi riscontrabili all'interno del
gioco dell'oca non inficiano il fatto che esso possa essere anche utilizzato come puro gioco
d'azzardo, regolato quindi esclusivamente dal caso.253
Santarcangeli nota «un curioso legame tra i labirinti e il gioco dell'oca» che «ha nei suoi
cerchi concentrici un andamento quasi labirintico; e, se vi è una raffigurazione visiva
completamente intenzionale e cosciente del “peregrinare impedito”, è proprio questa. La
vera essenza del giuoco così popolare - sorto intorno al 1650 e diffusosi per tre secoli in
cento e cento varianti, umoristiche, caricaturali, pseudo-educative, storiche e perfino
politiche - è proprio una progressione “per accidentia”, da nessun'altra forza governata se
non dal cieco capriccio dei dadi».254 Non sembra un caso se, osservando i quadri di
252
253
254
Roberto Gardelli, La danza dell'anima. Dal labirinto al gioco dell'oca, in “Charta” 1998, n.36, pp.
58- 62.
Donatino Domini, Giochi a stampa in Europa, dal XVII al XIX secolo, Longo, Ravenna 1985, pp.14-16.
Santarcangeli 1967, cit., p.316.
127
Novelli, Maurizio Fagiolo si chiede: «Sarà pure il labirinto l'immagine del “profondo” alla
base di questa pittura, o sarà il “gioco dell'oca”, una struttura che racchiude
silenziosamente la possibilità di vincere o di perdere?».255
Come il labirinto anche il gioco dell'oca è uno schema evocativo e misterioso che deve
aver attratto l'artista per la stratificazione simbolica e archetipica che lo sostanzia. Come
vedremo anche questa forma faceva parte del materiale a cui attingere da parte di un
importante scrittore della neo avanguardia. In un disegno molto interessante Il reale gioco
dell'oca del '65 (fig.86), Novelli associa il gioco da tavolo alla sua amicizia con Giorgio
Manganelli, dedicandolo a lui e alla sua opera Hilarotragoedia che aveva da poco
'illustrato' (§ 2.3.1). L'opera inizia in alto a sinistra con Onore a costui, al più dappoco, il
più frivolo, il più perdigiorno dei suicidi, e più sotto ora lento si libera dita divergenti
medita e lavora la propria fine. Ade libidine indugiata al suicidio...
Al centro del disegno campeggia una grande freccia con scritto il reale gioco dell'oca che
finisce nel mezzo di uno schema del gioco, a forma di spirale e con le caselle, con la
dedica: a Giorgio Manganelli in omaggio alla Hilarotragoedia. Qui e lì sul foglio alcune
scritte come di consueto sono intercalate a figure e in basso dopo i riferimenti all'opera del
suo amico scrittore, Novelli fa un riferimento al gioco scrivendo nuovi giochi ogni colore
si muove e para sei volte per attingere nel centro prima mossa il giallo perde attacco rosa
il giallo vince talpone.
Tutto il disegno vuole essere letto come un percorso, così come molte opere di Novelli, e
così non sembra casuale la scelta del riferimento al gioco dell'oca fatto anche per il suo
significato simbolico legato al mondo dei vivi come a quello dei morti: Hilarotragoedia è
la narrazione di un percorso 'discenditivo' verso l'Ade che accompagna l'uomo in tutto la
255
Fagiolo, Opmet, in Novelli, Perilli, Scialoja, Twombly 1966 cit. Alla mostra era esposto il dipinto Il gioco
dell'oca del 1964.
128
sua la vita. L'artista crea così un'intelligente equivalenza tra i due percorsi, operando
ancora una volta una sintesi culturale di straordinaria efficacia.
Alla sua prima raccolta di ventisette poesie, Edoardo Sanguineti diede come titolo
Laborintus,256 «perché, secondo me, il mondo è un labirinto in cui è difficile orientarsi» ha
detto in un'intervista.
Il complesso mondo poetico dello scrittore recentemente scomparso è stato più volte messo
in relazione, per le sue prime prove, con la pittura informale e con l'assemblage. Anni
dopo, nel '67, con il secondo 'romanzo', Il giuoco dell'oca,257 ricorre alla combinatoria di
matrice oulipiana. La stessa complessità è rappresentata questa volta con piglio
decisamente ludico: l'io narrante assiste a tutte le vicende dalla sua postazione dentro una
bara e tutto il racconto si svolge con la contrainte di una pagina e mezzo al massimo per
ognuna delle tappe del suo percorso. Rifacendosi così alla suddivisione in caselle del
famoso gioco da tavolo, la narrazione è segmentata e ogni parte è componibile liberamente
con le altre, così come è indicato nella quarta di copertina della prima edizione: «Questo
Giuoco è composto di 111 numeri, e può anche servire a giocare fino a 79. Ciò deve
convenirsi prima di cominciare la lettura. Per giocare ci si serve di due dadi numerati
dall'uno al 6, e si tira chi debba giocare per primo, e si conviene la posta al giuoco».
La pubblicazione ha la riproduzione di un'opera di Gianfranco Baruchello che interpreta il
tema del libro del suo amico scrittore (fig.87). L'artista, che faceva parte del Gruppo 63 usa
111 moduli quadrati disposti a forma di spirale come altrettante caselle del gioco dell'oca.
In ogni modulo inserisce, come di consueto, una miriade di frammenti di immagini
disegnate e ritagli fotografici composte con numeri e lettere: in ogni stazione accade
qualcosa, bisogna solo cercare un filo conduttore che possa legare le singole situazioni
256
257
Edoardo Sanguineti, Laborintus, Magenta, Varese 1956.
Edoardo Sanguineti, Il giuoco dell’oca, Feltrinelli, Milano 1967.
129
secondo una logica casuale, aiutandosi con un lancio di dadi.
I dadi sono lo strumento del gioco di alea. Novelli soprattutto nelle opere degli anni '65-'67
inserisce spesso le loro facce con i puntini. Il disegno 33 dadi da gioco del '67 (fig.88),
oltre a essere un'altra forma di catalogazione, è la presentazione di un divertissement basato
sulla geometria della forma cubica del dado e la sua scomposizione.
L'artista alla metà degli anni Sessanta sviluppa un certo interesse per le forme geometriche,
soprattutto il quadrato e poi il cubo, inserendone molti e a diverso titolo nelle sue opere.
I dadi sono sicuramente da mettere in relazione con il gioco d'azzardo ma anche con la
componente aleatoria nell'opera di Novelli che è forte se proviamo a considerare la
modalità di alcuni suoi accostamenti da cui deriva un'idea di montaggio di frammenti
eterogenei frutto di una destrutturazione e strutturazione continua dei materiali che utilizza.
Non sappiamo con precisione come arriva a interessarsi alla forma del dado, che pur è
presente nell'arte italiana del Novecento a partire da Carrà, ma è interessante ricordare che
anche nel testo amato e studiato da Novelli, Les Bigarrures, vi è una pagina dedicata a
rebus in forma di piccoli dadi (fig.89) che assomigliano molto a quelli presentati nel
disegno del '67. Ma è probabile che l'artista sapesse che i dadi come altri dispositivi
divinatori sono legati alla numerologia e alle sue molteplici implicazioni e pertanto
rientrano nella sfera dei suoi interessi. Il concetto di sincronicità, preso da Leibniz, era
stato studiato da Jung per spiegare ad esempio il funzionamento de I Ching - che avevano
interessato anche Bernhard e Manganelli - che non è finalizzato a emettere sentenze o
previsioni sul futuro, bensì a offrire consigli e suggerimenti al fine di sfruttare al massimo
alcune potenzialità del presente. In Oriente come in Occidente si ricorre spesso all'uso di
combinazioni numeriche per poter leggere in modo intuitivo una situazione nel suo insieme
e cercare attraverso atti sincronici (mediante dadi, estrazioni a sorte, gambi di achillea,
130
lettura dei granuli ecc.) l'opinione dell'inconscio.258
Nel suo saggio sul Dadaismo, Valerio Magrelli ricorda che il termine “azzardo”, in
francese hasard, deriva dall'arabo az-zahr, ossia “dado”259 e che in Italia fin dal Medioevo
il gioco dei dadi era chiamato della “zara”. Da qui il termine Dada, il movimento che «si
rivela inestricabilmente collegato all'azione del caso» e che è stato da Maurizio Calvesi
messo direttamente in collegamento con il gioco dei dadi.260 Con radici nel Simbolismo
francese - Un coup de des di Mallarmé ne è l'emblema - il caso occupa un ruolo molto
attivo nell'arte del Novecento e vede nella figura di Duchamp uno dei più significativi
interpreti.
In Italia uno degli artisti che ha giocato con il caso è sicuramente Boetti che ha assunto
l'aleatorietà delle sue azioni a base concettuale in molte sue opere. Questo particolare
aspetto è riassunto efficacemente da Ammann quando afferma che di fronte a alcune opere
dell'artista torinese «va infatti considerata anche la conoscenza intuitiva, immanente al
sistema, del principio riassunto dalla celebre frase di Einstein “Dio non gioca ai dadi”.
Abbiamo nel frattempo appreso che in realtà Dio gioca ai dadi ma, come rivela Boetti in
qualità di artista, il suo campo da gioco è in fondo delimitato da ordine/disordine ed
espansione. L'entropia, il massimo disordine (regolarmente strutturato), si rivolta come un
guanto e si rivitalizza in una conclusione ragionando al contrario».261
258
259
260
261
Roberta Bellinzaghi, Cubomanzia, dadi e mistero, Castel Negrino, Milano 2007.
Valerio Magrelli, Il caso come principio compositivo, in Profilo del Dada, Laterza, Roma-Bari 2006,
pp.103-112.
Maurizio Calvesi, Un coup dada. Il caso nell'arte contemporanea, in Avanguardia di massa, Feltrinelli,
Milano 1978, p.40.
Jean-Cristophe Ammann, Il regno 'intermedio' nella creatività di Alighiero e Boetti, in cit., 2009, p.17.
131
1.3.9 Griglie e frammentazione organizzata della parola
A partire dal 1960 nei dipinti di Novelli troviamo molti riquadri, spesso senza un ordine
ben preciso, nei quali sono inseriti soprattutto brani di scrittura. Nel corso dello stesso
anno, in un importante dipinto, II sala del museo (fig.90), oltre ai riquadri, l’artista inizia a
inserire reticoli di linee verticali e orizzontali, più o meno grandi, colorati a campitura
piatta o riempiti da figure o da lettere.
Nelle opere su carta l’inserimento di griglie sembra precedere quelle presenti nei dipinti,
come nel caso di (commento) del ‘58 (fig.91). L’opera si presenta come uno dei primi
tentativi di combinatoria linguistica organizzata dentro i singoli spazi attraverso
l’incasellamento di lettere e numeri. La presenza di macchie di colore sgocciolate
casualmente ‘sporcando’ il disegno, collocano l’opera nella fase di transizione che portò
l’artista a superare la gestualità e matericità informale attraverso l'inserimento di segni
grafici e verbali.
In questo disegno sono compresi in nuce molti elementi che si ritrovano nelle opere
successive dove sono utilizzate griglie. Nel corpus di opere eseguite su tela e su carta
rintracciamo chiari riferimenti sia ai popolari schemi per cruciverba sia a quelli utilizzati
negli antichi trattati di crittografia, conosciuti da Novelli e citati in altre opere. Senza
dimenticare le scacchiere di Duchamp e il fatto che la forma di scacchiera era anche uno
strumento di divinazione262 di cui poteva essere a conoscenza grazie ai agli studi
antropologici, sappiamo dallo stesso artista che riferimenti furono anche gli alfabetieri e le
tavole pitagoriche.
Griglie strutturate in forme spesso libere e irregolari sono presenti nella produzione di
Novelli fino al ’65.
262
Agamben 2001 [1978], cit., p.72.
132
Prima di iniziare ad analizzare questo particolare tipo di schema nelle sue opere, è
opportuno ricordare ancora una volta l'importanza da lui data alla catalogazione nella
prima metà degli anni Sessanta (cfr.§1.3.3), condivisa anche con gli esponenti
dell'avanguardia letteraria del Gruppo 63 che si definivano 'catalogatori'.
Novelli ha dichiarato il suo interesse per il metodo strutturalista di Lévi-Strauss che, tra
l'altro, adotta in maniera massiccia griglie e tabelle per semplificare dinamiche anche
molto complesse che vogliono diventare visivamente comprensibili. In La pensée sauvage,
testo di riferimento per alcune opere, la catalogazione è in funzione della costruzione di
una “memoria”.
Questa possibilità è ancora una volta legata a una pratica antica quanto l’invenzione della
stampa ed è stata studiata da Lina Bolzoni nel suo testo sull’arte della memoria. Secondo la
studiosa i diagrammi, le tavole, e i vari schemi danno la possibilità di rendere chiari e
leggibili i percorsi logici seguiti dall’autore,263 utili anche ai fini della memorizzazione.
Il ricorso a schemi, spesso approssimativi e non geometrici nell’opera dell’artista, si
discosta dalle motivazioni proprie dell’adozione di queste strutture da parte delle
avanguardie artistiche del Novecento così come analizzato dalla Krauss, ma ne mantiene in
definitiva l’aspetto modernista per «la sua capacità di servire da paradigma o da modello
all’antisviluppo, all’antiracconto, all’antistoria».264 Nel suo testo la studiosa americana
affronta il tema della griglia parlando del suo “potere mitico” rifacendosi proprio alla
procedura strutturalista di Lévi-Strauss che la usa per rappresentare spazialmente (e
sinotticamente) diverse concezioni mitiche, annullando così qualsiasi approccio storico al
materiale antropologico.
Novelli aderisce in più occasioni a questa visione astorica, assorbe il pensiero del grande
263
264
Lina Bolzoni 1995, cit., pp.XX e segg.
Krauss 2007, cit., p.27.
133
antropologo francese e adotta la griglia come schema di riferimento che usa in maniera
alquanto mobile nelle sue opere, in cui il linguaggio ormai sgretolato cerca una
sistemazione seppur arbitraria e temporanea.
Le complesse operazioni di 'montaggio' presenti nelle opere di Novelli dei primi anni
Sessanta riflettono l'attitudine anti storica condivisa da molti intellettuali e artisti265 della
sua epoca. In accordo con quanto affermato da Didi-Huberman, Novelli e gli altri che
adottano questa pratica, sostituiscono all'idea di tempo quella di 'memoria' e in nome di
questa ci presentano «una poetica, ossia una configurazione impura, di un montaggio - non
scientifico - del sapere».266
La griglia ha, come detto, lo scopo di organizzare visivamente le conoscenze in diverse
discipline, anche attraverso una simbologia estremamente sintetica, ma Novelli, adottando
sia griglie regolari sia fortemente irregolari, dimostra di non essere interessato alla
costruzione di sistemi coerenti secondo le indicazioni strutturaliste ma di voler adottare
schemi di riferimento per mettere in gioco, ancora una volta, una combinatoria di elementi
linguistici regolata da norme arbitrarie e mutevoli.
Anche i disegni per Histoire de l'oeil, eseguiti in copia unica tra il 15 e il 17 gennaio del
1962, presentano molte griglie. Molto significativo è quello che riporta, inserite nelle
caselle, le parole la confession simon a la petite fenetre grillee,267 la stessa usata anche nel
dipinto del '63 che porta il titolo dell'opera di Bataille (fig.92).
Tra le opere su carta che presentano griglie regolari, uuna si scrive con due u del '61
(fig.93) e il disegno eseguito per “Il Verri” n.7 del 1963 (fig.94) sono molto interessanti
perché vi è adottato un tipo di schema ricorrente in importanti dipinti degli stessi anni
265
266
267
Gianfranco Baruchello con Il Montaggio alla Galleria Il Mercato del Sale nel 1977, dedica un’intera
mostra al tema. L’artista ha fondato la sua opera sull’idea di montaggio, significativo a questo proposito il
film Verifica incerta del 1964.
Georges Didi-Huberman, Storia dell'arte e anacronismo delle immagini, Bollati-Boringhieri, Torino
2007, p.37.
Histoire de l'oeil, Il viaggio in Grecia, Hilarotragoedia 1999, cit., p.14.
134
come il già citato II sala del museo e Il re del sole (1961), dove l'artista inquadra,
all’interno di un reticolo di linee ortogonali, scritte e segni di vario tipo, in un tentativo di
organizzazione del materiale che nelle opere precedenti era tracciato in maniera (almeno in
apparenza) casuale.
Nel primo dei dodici riquadri del primo disegno, leggiamo la frase scritta a stampatello che
potrebbe essere il titolo per esteso dell'opera uuna si scrive con due u u cosi e capace che
diventi un nome vero. In questa frase possiamo vedere la traduzione fonetica della vocale
'u' attraverso la sua ripetizione. É questo uno dei caratteri della scrittura di Novelli nei suoi
lavori, che lo avvicina, come già accennato, alla Poesia sonora piuttosto che a quella
visiva, come nelle lunghe sequenze di lettere 'A' presenti in molte sue opere.
Negli altri riquadri leggiamo annotazioni che sembrano avere un carattere più intimista
come: voglio finalmente liberarmi di tutto, tracciato in basso a sinistra.
Nel disegno per “Il Verri” sono tracciate due griglie, una più regolare sulla destra del
foglio, e una meno nella parte sinistra. Nello schema di destra, le caselle sono riempite di
segni ricorrenti nelle opere di Novelli di quegli anni (facce di dadi, scacchiera, seni, frecce
e altro), una sorta di prontuario di segni per un possibile vocabolario iconico, mentre
nell'altro è tracciata una suddivisione in quattro livelli.
Il reticolo disegnato da Novelli in queste opere, ma in maniera più evidente in altre, anche
quelle con schemi meno regolari, ricorda il popolare gioco enigmistico del cruciverba e
anche le tavole pitagoriche, le tabelline, usate dai bambini a scuola.
In Ogni momento costretti a una scelta (fig.95), Alfabetiere 4 (fig.96) e Alfabetario 7
(fig.97) lo schema del cruciverba, come vedremo associato ad altre tipologie, sembra essere
il più importante riferimento per l'artista.
135
Non è dato sapere se Novelli facesse parole crociate, ma, come messo già in evidenza da
Stefano Bartezzaghi, “alcuni principi e alcune morfologie” del cruciverba hanno «agito
contemporaneamente nell'arte e nella letteratura del Novecento»268 (quando non vi sia un
diretto riferimento). Lo stesso studioso cita il nome di Gastone Novelli tra quelli, nel cui
lavoro, «l'incrocio delle parole pare risentire direttamente della forma del cruciverba, che
viene evocata esplicitamente da George Brecht (Postkarten zum Mitmachen, 1982) e da
Andy Warhol (Crossword Puzzle, 1960)».269
Questo gioco, arrivato in Italia dall'America nel 1925,270 era molto noto anche negli anni
Sessanta, grazie a pubblicazioni come “La Settimana Enigmistica”.271 La grande diffusione
(e popolarità) della rivista contribuì a far diventare i giochi enigmistici materiale di lavoro
per artisti dell'area pop romana, come ad esempio da Renato Mambor che, a partire dal '64,
iniziò a prelevare vignette dei rebus per inserirle nelle sue opere (cfr.§1.3.12).
Ma la moda fu europea e invase contemporaneamente altri paesi, soprattutto Inghilterra e
Francia. Il cruciverba francese (mots croisés) in particolare potrebbe essere stato fonte, tra
le altre, per le opere di Novelli grazie a una caratteristica che lo diversifica da quello
italiano. «A essere numerate non sono le prime caselle bianche di ogni soluzione
orizzontale o verticale, ma le righe o le colonne, mediante numeri scritti in corrispondenza
di ognuna di esse, all'esterno del perimetro della griglia (a volte si tratta di numeri arabi per
le colonne e romani per le righe): è il sistema di numerazione usato per le scacchiere, dove
268
269
270
271
Bartezzaghi 2007, cit., p.295. L'autore individua nei seguenti elementi i motivi della ripresa: morfologia
griglia; visibilità parola; intervento del pubblico; frantumazione linguaggio e sapere; oscillazione continua
tra sapere e non sapere.
Bartezzaghi 2007, cit., p.299.
Bartezzaghi 2007, cit., p.103. Dopo aver raccontato l’avvento del popolare gioco in America a partire dal
1913, ed averne analizzato la genesi d’oltreoceano, l’autore parla della fortuna del cruciverba in Italia. La
“Domenica del Corriere”, rivista del “Corriere della Sera”, ne inizia a pubblicare dal febbraio 1925, con
un “lancio sontuoso” che ne decretò la fortuna, anche se con le critiche mosse dagli enigmisti ‘classici’,
almeno all’inizio del suo percorso.
“La Settimana Enigmistica”, n.1, 23 gennaio 1932. Fu fondata dall'ingegnere sardo Giorgio Sisini.
136
però si impiegano numeri e lettere».272
É curioso notare che il cruciverba francese, con la sua forma quadrata e i numeri posti
fuori, ricorda anche gli schemi delle antiche crittografie (fig.98) come quelle presenti nel
trattato di Blaise de Vigenère, che come visto, era conosciuto e citato da Novelli.
Non stupisce l'ipotesi che egli abbia trovato affinità tra gli antichi sistemi di cifratura e i
moderni cruciverba. Dopotutto gli schemi riportano entrambi lettere di codici alfabetici
frammentati dei quali si deve ricomporre un senso.
Così come, qualora i cruciverba possano realmente aver ispirato l'artista, probabilmente
anche di questo popolare gioco di parole egli non ignorava le antiche origini che vedevano
nel verso intessuto di carattere sacro il suo nobile antenato.273
In ogni caso, come vedremo, in una sua opera cita un'altra fonte che ha ancora una forma
quadrata e un reticolo dove però sono inseriti numeri: la tavola pitagorica.
Con la serie degli alfabetieri, Alfabetiere 1 (fig.99) e Alfabetiere 4, del 1962, Novelli ci
indica invece con sicurezza la fonte anche se, come ha notato Giorgio de Marchis, queste
opere possono essere messe in relazione agli schemi di cruciverba, «strani cruciverba alla
rovescia, il cui risultato non è quello giusto».274 Chiamati a volte alfabetario, i lessèmi sono
sinonimi di «serie di tavolette su cui sono riportate le lettere dell’alfabeto (usate in passato
come sussidiario didattico)».275 Lo schema grafico di questi lavori si ritrova soprattutto in
dipinti come Totolettera (fig.100) del 1962 e L’asino Timone (fig.101) del 1962/'63 (molto
vicino al disegno Alfabetiere 1), ma se ne trovano tracce anche in molti altri.
272
273
274
275
Bartezzaghi 2007, cit., p.74.
Vedi: Pozzi 1981, cit., e Bartezzaghi 2007, cit.
Giorgio de Marchis, Le alfabetologie di Gastone Novelli, in “Art International”, n.6, Lugano 25 giugno
1963, ora in Birolli 1976, cit., p. 113.
lo Zingarelli 2010, vocabolario della lingua italiana di Nicola Zingarelli, Zanichelli, Bologna 2010
[1993].
137
Già Klee, tra le sue numerose opere che riportano lettere dell’alfabeto, dipinge nel ‘38 ABC
für Wandmaler (ABC per pittore murale) (fig.102) e Alfabeto II. Da ricordare anche il
libro-oggetto di Munari, ABC Dadà del 1944 (fig.103) che presenta ogni lettera
dell’alfabeto corredata da un breve testo tautogrammatico illustrato da vari oggetti.276
Questa è l’opera che più si avvicina al modello degli alfabetari o alfabetieri che venivano, e
vengono, utilizzati nell’apprendimento dell’alfabeto dei bambini ai primi approcci con la
lettura. Le singole lettere separate e senza figure spingono il bambino a comporre singole
parole sperimentando varie combinazioni.
E’ per questo motivo che Novelli sceglie il termine alfabetario o alfabetiere per le sue
opere, preferendolo al più comune abbecedario (famoso quello di Pinocchio) che è invece
un libretto con una storia antica che parte dal XVI secolo e che associa le lettere a figure.
Queste pubblicazioni hanno affascinato artisti e intellettuali, basti pensare a Magritte e a
Walter Benjamin che ne collezionò molti.277 Il filosofo tedesco ricorda con intensa
nostalgia il suo alfabetario: «era costituito da lettere dell’alfabeto impresse singolarmente
su piccole tavolette, lettere in caratteri gotici che le facevano apparire più giovani e anche
più aggraziate di quelle stampate. Giacevano delicatamente su un piano inclinato, ciascuna
in sé compiuta, e nella loro sequenza assoggettate alle regole dell’ordine - la parola - di cui
erano sorelle. Ero ammirato per come tanta modestia potesse affiancarsi a tanta
grandiosità. Era uno stato di grazia.(…) la nostalgia che suscita in me, rivela quanto
l’alfabetario sia stato parte integrante della mia infanzia. In esso, in realtà cerco l’infanzia
stessa: tutta l’infanzia, come si dispiegava nel gesto con il quale la mano inseriva le lettere
nel listello in cui si allineavano a formare parole. La mano può ancora sognare quel gesto,
ma non può mai più ridestarsi per eseguirlo realmente. Similmente posso sognare come
277
277
Paolo Albani, Calvino e i plagi anticipati, in Italo Calvino: percorsi potenziali, a cura di R. Aragona,
Manni, San Cesario di Lecce 2008, pp.33-44.
Walter Benjamin, Bambini, abbecedari, giocattoli, Archetipo, Bologna 2010.
138
una volta imparai a camminare. Ma non mi serve a nulla. Adesso sono capace di
camminare; non posso più imparare a farlo».278
L’evoluzione di questo genere di libri per l’infanzia è strettamente legata all’esigenza
pedagogica dell’insegnamento fonetico della lingua che, già a partire dall’opera del
predicatore luterano Valentin Ickelsamer (1527), si accostò all’uso delle figure per rendere
più immediato l’apprendimento. Immagini e lettere dell’alfabeto saranno definitivamente
associate nella famosa opera Orbis pictus (1°ed.Norimberga 1658) del pedagogista ceco
Comenius (Johan Amos Komensky 1592-1670), uno dei primi autori che interessò al
genere in maniera sistematica. Alla fine del XVIII secolo, la storia dell’abbecedario si lega
strettamente a quella dei sillabari altro strumento didattico fondamentale, per poi
diventarne sinonimo.
La serie di opere di Novelli che fanno riferimento alle tavolette didattiche senza figure si
rivolge dunque alla possibilità combinatoria di lettere e sillabe ma, lontana da qualsiasi
intento didascalico, dichiara la curiosità (e forse nostalgia) dell'artista per questi strumenti.
Bartezzaghi associa «il fascino degli alfabetieri e delle tavole su cui i bambini imparano
l’abicì» alle parole che rivelano la propria materialità una volta collocate «fuori da una
concatenazione sintattica e semantica (e non contribuisce alla costruzione del discorso)».279
Le parole diventano così objet trouvé, composte attraverso vari tentativi associativi, così
come fa Novelli.
In Alfabetiere 1 (1962) egli aggiunge un elemento molto interessante e che si ritroverà in
alcune sue opere dell’inizio degli anni Sessanta come nella già citata L’asino Timone: la
presenza di lettere sul perimetro esterno ricorda alcune delle fonti che abbiamo visto sopra,
278
279
Benjamin 2010, cit., pp.35-36.
Bartezzaghi 2004, cit., p.41.
139
ma in questo caso lo schema adottato sembra essere vicino alle crittografie antiche, anche
se totalmente scompaginate.
Le singole lettere, unite al centro del foglio da linee che le mettono in relazione, creano
sillabe che poi l'artista compone al centro segnalandole con un colore diverso dal fondo: tu
tu/ reso/ polon/ sono/ nelo/ none/ reno/ sorelo/ tuso/ dono/ lo re.
Una griglia, anche se non quadrata ma rettangolare, è tracciata in Alfabetiere 4 (1962) e dà
luogo a un complicato gioco di frammentazione e ricomposizione di parole. Mentre gli
spazi vuoti sono riempiti da un tratteggio fitto o sbarrati da due linee in diagonale, sul lato
sinistro del foglio sono tracciate due serie alfabetiche non complete che sembrano essere il
materiale di partenza con cui l'artista gioca all'interno della scacchiera. Il gioco prosegue
con l'individuazione di alcune sillabe che iniziano con le lettere corrispondenti sulla linea.
Dopodiché si incontra un intreccio di termini anagrammati che danno luogo a parole
diverse. Alla base sembra esserci la scomposizione e ricomposizione per allitterazioni di
vario tipo. In basso, in fondo alla griglia, una frase, apparentemente senza senso, potrebbe
riassumere il gioco svolto sopra: Le mene male lega, gli poni vaste dighe, voli truce e reca
rude ruga l’omino, ode meno il mio piolo, il limo, gli dei gai, c’è Resete Dodi, ci ha e va. E
ancora, “Resete Dodi” anagramma di “Desidero Te”, enunciato molto coerente con lo
spirito di Novelli che spesso fa riferimenti erotico-amorosi.
In Alfabetario 7 del 1962 troviamo una interessante metamorfosi della griglia che in questo
caso somiglia maggiormente alla scacchiera. Partendo da uno schema vagamente regolare
in cui lateralmente l'artista inserisce le lettere da A a D in orizzontale e da D a H in
verticale con cui crea sequenze che combinano i fonemi in diversi modi, passa, tracciando
linee sinuose, a disegnare una griglia più 'morbida' dove inserisce, sempre esternamente, le
rimanenti lettere dell'alfabeto. Tra una griglia e l'altra dà spazio a parole come facce, seno,
140
facce in celo. Questo sintagma lo ripete in un'altra griglia, stravolta a tal punto che prende
la forma di una montagna aguzza (molto simile al disegno e al dipinto Il tetto del mondo).
La metamorfosi si chiude con una scacchiera in cui alle lettere sono sostituiti i segni
iconici frequenti nelle sue opere.
Anche Italo Calvino ha fatto un omaggio alle pubblicazioni didattiche per l'infanzia. In
Piccolo sillabario illustrato,280 lo scrittore si ispira al Petit Abécédaire illustré di Georges
Perec, del '69. «Il sillabario è costituito da 19 brevi narrazioni, corrispondenti ad altrettante
strisce fonematiche, costituite di cinque sillabe; tutte iniziano con la stessa consonante, e
sono completate da una diversa vocale, nella canonica successione di a, e, i, o, e u».281 Il
testo è dunque una parodia dei sillabari per bambini e si compone di 19 strisce
consonantiche orizzontali e 5 strisce vocaliche verticali. Il testo, grazie alle restrizioni
autoimposte, è un omaggio all'opera dello scrittore francese, esponente del gruppo dell'
Oulipo di cui fece parte anche Calvino a partire dal '72.
La tecnica mista su carta, Antologia del ‘61 (fig.104), è un'opera importante per il valore
programmatico delle dichiarazioni contenute e per la particolare interpretazione della
griglia, che parte dalla regolarità delle caselle per trasformarsi in un intrico di linee
verticali, orizzontali, oblique grazie alle quali la linearità della lettura è totalmente persa.
La composizione ha un impatto fondamentalmente visivo e mette in evidenza l'arbitrarietà
degli incroci che si vengono a formulare tra i vari spezzoni di frasi inseriti nelle caselle
irregolari. Si assiste a una frammentazione caleidoscopica del linguaggio: come nei giochi
per bambini, con un piccolo movimento, si possono ottenere figure diverse, qui si ha la
sensazione che i sintagmi possano casualmente scomporsi o ricomporsi nelle nostre mani.
280
281
Italo Calvino, Piccolo sillabario illustrato,“il Caffè”, n. 1, 1977, p. 7-18.
Matteo D'Ambrosio, Italo Calvino e il gioco di parole, in Aragona (a cura di), cit., 2008, p.146.
141
Il coup de dés, la casualità assunta a emblema della distruzione della logica. Eppure in
questa opera Novelli esprime a modo suo concetti, dà indicazioni programmatiche al suo
lavoro. Intercalando numeri, date, lettere e frasi ripetute in serie, invita a leggere le sue
parole scritte seguendo l’andamento di lettura basato sia sulle linee orizzontali che sulle
diagonali: ogni tentativo usato in questo testo assume un significato diverso secondo la
direzione che si vuole dare alla lettura della/ pagina ogni lettera dell’alfabeto è un segno
con un suo passato preciso e ogni parola contiene oltre al suo/ significato individ/ uale/
anche la somma dei ricordi suscitati dalla conformazione delle singole lettere/ che/ la
compongono se mi sarà possibile dare vita ad/ un linguaggio ricco di tutte le/ sue insite
risorse, un linguaggio in cui ogni origine sia leggibile e/ chiara/ rio negro al/ centro/
gastone novelli/ antologia per gente/ 1961/ raggruppiamo gente semplice/ il padre è un
tipo abbastanza curioso con tutte quelle sue manie esoteriche primitive e io non lo posso
immaginare altro che seduto mi dovrai riconoscere che è triste non essere in grado di fare
di più per lui arrivato qui/ ma quello che ci vuole per sopravvivere in un paese come
questo con amici come voi che dio ce ne scampi e liberi il più presto possibile/ questo ha
tutta l’aria di diventare una nuova tavola pitagorica per i popoli a venire ammesso che ce
ne saranno e di questo possiamo essere sicure/ pitagorica antologia di gastone novelli
1961/ 1960/ 1958/ 1959/ 1975 1976/ 1978/ 197/ alfabeto dimesso come un relitto che si
avvicina a una sua conclusione/ 1/ 2/ 3/ 4/ 5/ 6/ 7/ alba/ 8/ divenire/ 9/ 10/ semplice/ 10/
gastone novelli/ bacato/ nesetc/ da leggere/ in tutti i sensi con la/ massima attenzione/ per
vedere se sarà almeno/ possibile arrivare al silenzio/ silenzio come attesa officina per/ la
povera gente di questo mondo. La possibilità di avere direzioni di lettura diverse proposta
all’inizio del testo, sembra anticipare alcuni giochi combinatori adottati nell’ambito delle
sperimentazioni dell’Oulipo francese (Ouvroir de Littérature Potentielle) e del successivo
Oplepo (Opificio di Letteratura Potenziale) italiano.
142
É in questo lavoro che l'artista dà indicazione circa un'altra possibile fonte per le sue
griglie: la tavola pitagorica (o tabellina), un altro strumento didattico per l'infanzia, in
questo caso utile alla computazione. La tavola pitagorica è molto vicina ai quadrati magici
di cui si occupò, anche se marginalmente, Novelli. (cfr. §1.3.11).
Con le sue ultime due opere su carta selezionate, il foglio Senza titolo del 1962 (fig.105) e
la litografia In fondo vengono tutti i colori del 1963 (fig.106), possiamo notare quanto in
realtà venga mantenuta solo un pallida idea di griglia. Sembra di assistere all'ultima tappa
di un processo distruttivo dello schema, ma che viene comunque utilizzato dall'artista come
riferimento in spazi vaghi e fluttuanti, ancora senza alcun senso prospettico ma con il vago
andamento di mappa geografica.
L'opera senza titolo presenta alcuni segni lineari verticali e orizzontali sovrapposti a
formare un morbido reticolo. Altri segni sinuosi sono tracciati sopra e sembrano una
scrittura illeggibile. Qua e là lettere e sillabe sono scritte a stampatello senza rispettare uno
schema preciso. Alcune parole, più o meno senza senso, si possono leggere: Ala alalab
malalab bela cama fede... Attorno a un cerchietto con un puntino al centro leggiamo una
delle scritte glossolaliche care a Novelli, fedebeladalalamela, una parola senza senso
(apparentemente), calale. Tra queste due troviamo calaba, anagramma di 'cabala', parola
chiave per tutto il lavoro di trasformazione linguistica a cui Novelli sottopone il
linguaggio.
Nella litografia In fondo vengono tutti i colori che può essere considerata parte del breve
ciclo di opere sul Rebus di Piccardia (cfr.§1.3.12), è tracciato su tutta la superficie del
foglio un segno spiraliforme e leggermente ovale dove sono inserite parole, numeri e altri
segni secondo il consueto vocabolario dell’artista. Nella parte inferiore alcuni riquadri sono
143
colorati di blu e verde. É impossibile rendere a parole la complessità dell’opera e giochi
grafici usati dall’artista che a volte pone lettere e numeri ribaltati, a volte usa il corsivo e
altre lettere capitali. Tra tutti i segni leggiamo, a parte la frase che dà il titolo all'opera, le
origini l'uomo per (in verde) e il centro del giardino (in blu). Il carattere autobiografico
dell'opera è evidente: avendo inserito la forma curva riferita al giardino si pensa a quello
della sua casa di Saturnia dove costruì in quegli anni la grande montagna in cemento.
L’uso dell’immagine mitica e primordiale della montagna nelle sue opere è da anticipare
dunque al 1963, l’anno in cui eseguì le litografie.
Le linee intrecciate, che circondano tutta la composizione, sono un altro esempio di
metamorfosi della struttura della griglia e anche in questo caso - come in quello precedente
- le fonti sembrano essere ancora altre.
Alcune tavole con illustrazioni a corredo del già citato trattato di Athanasius Kircher, l'Ars
Magna Lucis et Umbrae, presentano reticolati molto più fluidi delle consuete griglie e
servono a chiarire le teorie dello scienziato circa l'andamento delle ombre delle meridiane
(fig.107) e dei cicli degli astri (fig.108).
282
Questi grafici potrebbero essere un'ulteriore
fonte per le griglie di Novelli che, vista la dimestichezza con i testi antichi anche di
carattere esoterico, potrebbe inoltre aver consultato trattati di chiromanzia - l'antica arte
della lettura della mano - che presentano illustrazioni con figure simili.
Altre caselle
Tra gli anni Sessanta e Settanta in Italia, il modulo della griglia è stato utilizzato sia nell'
ambito concettuale che in quello dell'arte optical e cinetica. Ma, oltre al caso particolare di
Novelli, anche in altri contesti nel campo della sperimentazione verbo-visiva, è stato fatto
riferimento a schemi, tabelle e griglie nell'ottica di impaginare visivamente frammenti
282
Kircher 1646, cit., f.357 e f.404.
144
linguistici, come nel caso di Villa e Oberto. La logica è chiaramente quella di visualizzare
le possibilità combinatorie, così come si andava elaborando anche attraverso esperimenti
con i primi processori elettronici, come aveva ad esempio fatto Nanni Balestrini con la
Poesia elettronica del 1961.
Nel 1964, Ugo Carrega elabora il progetto dei Permutatori manuali (fig.109). «In questa
dimensione di continua ricerca, venivo a trovarmi continuamente tra SIGNIFICANTE e
SIGNIFICATO. Inizi(av)o una cosa per divertimento, per curiosità, per intuizione (da me
definita “calcolo esatto in natura”) e poi, finito il lavoro, mi veniva voglia di indagarla.
Cosa succede allora se, prese delle proposizioni costruite con la stessa struttura
grammaticale, una parte di una proposizione viene permutata con la parte di un'altra?
(...)Ne feci degli oggetti (permutatori manuali) in cui le parti della proposizione vengono
scritte ognuna su una striscia di carta verticale. Spostando le strisce verticali, mediante
delle finestrelle di lettura praticate in un contenitore, si hanno tutte le varianti possibili».283
Vicine a questa esperienza, le due opere di Villa, il s.t. e senza data (fig.110) e Vertiges del
1975 (fig.111) provenienti dalla Fondazione Museion, di cui la prima è un’interessante
sperimentazione linguistica in lingua latina e la seconda in inglese. Il poeta ha frammentato
i testi scrivendo su dei piccoli tasselli le componenti sillabiche e ricomponendo alcune
frasi, cambiandole anche di direzione. Anche se in queste opere non vediamo una vera e
propria griglia, la particolare tecnica di composizione fa pensare a un inquadramento
invisibile che dà ordine allo schema.
Nell'opera senza titolo viene ripetuta la frase Adoro te devote (che potrebbe diventare il
titolo). L'Adoro te devote è uno dei cinque inni eucaristici ritenuti scritti da San Tommaso
283
Carrega 1985, cit., p.38-39.
145
d'Aquino, in occasione dell'introduzione della solennità del Corpus Domini nel 1264, su
commissione di papa Urbano IV, ma l'attribuzione non è certa. Viene utilizzato durante le
adorazioni eucaristiche e nelle preghiere di ringraziamento al termine della messa.284 I
primi versi dell'inno recitano:
Adóro te devóte, látens Déitas, Quæ sub his figúris, vere látitas: Tibi se cor meum totum
súbjicit, Quia, te contémplans, totum déficit. Visus, tactus, gustus, in te fállitur, Sed
audítu solo tuto créditur: Credo quidquid díxit Dei Fílius; Nil hoc verbo veritátis vérius.
L'esperimento linguistico di Villa rientra dunque tra i numerosi che egli fece sui testi sacri
che studiava e interpretava. É noto l'interesse per il latino che egli coltivò, avendolo
studiato da giovane in seminario.
Anche nell'altra opera, Vertiges, viene utilizzato un accenno di grafico a caselle dove le
sillabe giacciono però in prossimità di esse, come in attesa di essere inserite. Il testo in
inglese sembra avere i caratteri di una poesia romantica, anche se è difficile poter
affermare con certezza quale.
In Ana didascalica del 1974 (fig.112), Martino Oberto, uno dei più importanti esponenti
dell’avanguardia letteraria ligure, fin dagli anni Cinquanta utilizza l'idea di griglia per
inquadrare una sequenza della parola ana. Il termine è alla base di tutta la sua produzione a
partire dal ‘55 e diventerà anche parte del titolo della rivista Ana etcetera, creata con la
moglie Anna e Gabriele Stocchi tra il 1958 e il 1970.
OM (sua firma-acronimo) sviluppa, influenzato dalla lettura dell'opera di Wittgenstein e di
Ezra Pound, una personale 'ana-philosofia' che diventerà parte integrante della sua opera
verbo-visiva tendente all'astrazione più radicale. Le sue opere sono complessi montaggi di
parti scritte, ritagli, fotografie, grafici e altro e hanno sempre un intento didascalico, come
284
Notizie tratte dal sito www.vicariatusurbis.org
146
nel foglio preso in esame. Come spesso fa, anche in questo caso Oberto traccia forme
geometriche rettangolari in cui inserisce scritte. Ricordando in alcuni casi una modalità
utilizzata anche da Novelli all'inizio degli anni Sessanta, sembra simulare in questo modo
l'applicazione a collage di frammenti di colonne di giornale. Il passaggio alla forma della
griglia è breve, anche se Oberto non la utilizza mai in senso ordinatore o classificatore, ma
come supporto per mettere in evidenza particelle verbali.
Emilio Cecchi in uno scritto della raccolta Qualche cosa,285 aveva affrontato il tema della
moda delle parole crociate arrivate in Italia dall'America nel 1925. Esprime un parere
decisamente positivo sul gioco enigmistico che appassionava un grande numero di italiani
e coglie perfettamente il tipo di operazione linguistica accessibile a tutti. La moltitudine di
parole che si intrecciano in un «mostruoso caleidoscopio ideologico» è come un
«vocabolario che contiene i vocabolari di tutte le lingue, e l'enciclopedia che somma tutte
le enciclopedie, squadernati e sfogliati pazzamente sul genere umano e lascianti cadere
come areoliti parole che battendo in terra mandano faville». Il cruciverba è «l'ultimo e
mastodontico trionfo della parola in sé; appunto, della parola in libertà». E dopo aver citato
i collages di Picasso, enigmi antichi e bisticci rinascimentali oltre al Coup de dés di
Mallarmé, afferma che le parole del puzzle (adotta la parola anglosassone) «comunque
paiano disciolte e gratuite, in realtà si attraggono, si pungono, reagiscono una sull'altra
come l'acido sul metallo, e sul ferro la calamita. E non c'è puzzle nel quale non dorma, in
potenza, un poema».
cruciverba
In molti casi i poeti visivi del fiorentino Gruppo 70 hanno utilizzato nelle loro opere
285
Emilio Cecchi, Parole incrociate, dalla raccolta Qualche cosa del 1931, ora in Saggi e viaggi,
Mondadori, Milano 1997, pp.301-306.
147
diagrammi di vario tipo, prelevati da pubblicazioni scientifiche e altro e riadattati in
funzione ironica. Tra i vari materiali presenti nelle riviste popolari, hanno utilizzato anche i
cruciverba. Questi venivano prelevati direttamente dalle riviste di enigmistica popolare o
dalle pagine dei giochi presenti nei quotidiani.
Eugenio Miccini (1925-2007), essendo interessato ai “codici della quotidianità”, aveva
iniziato nel '64 a creare rebus (cfr.§ 1.3.12), negli stessi anni si dedicò anche ai cruciverba.
L'interessante esempio de Il kitsch è del '65 (fig.113). Il cruciverba rettangolare è riportato
vuoto, senza interventi di scrittura, e con le lettere dell'alfabeto dalla 'a' alla 'f' in verticale
lungo il perimetro esterno. L'unica manipolazione fatta dall'artista è sulle caselle nere che,
discretamente unite tra di loro, creano impercettibili segni supplementari, come lettere di
un linguaggio segreto o un accenno di arabesco. Il titolo sembra spiegare il tema della
composizione: il cattivo gusto della cultura di massa è espresso attraverso l'intervento
minimalista dell'artista. Con un piccolo intervento quasi invisibile, viene chiusa la
possibilità di giocare e soprattutto di completare lo schema. Anche questo è un gesto di
“guerriglia semiologica”, incruenta: quella che viene uccisa è ancora una volta la norma, la
regola del gioco, il patto che per abitudine viene accettato dal fruitore.
Nella seconda opera scelta, senza titolo del '75 (fig.114), Miccini ritaglia un cruciverba, ne
colora di rosso le caselle normalmente nere e riempe con parole come azione, operazione e
rivoluzione le caselle bianche. A fronte della scritta lasciata volutamente in evidenza che
compare in alto parole e cose crociate facil, egli gioca con il linguaggio spezzando le
parole e scompaginando il senso di lettura. Anche qui c'è un modo anarchico
nell'interpretazione del gioco linguistico oltre al messaggio rivoluzionario che vuole essere
veicolato.
148
Michele Perfetti, altro esponente del Gruppo 70 ha lavorato a un numero consistente di
opere in cui compaiono schemi di cruciverba prelevati. Per sua stessa affermazione, li ha
utilizzati partendo dal presupposto che «durante gli anni Settanta, la comunicazione era
vista come un aspetto reiterato» perché «più che parlare, siamo parlati e quindi il
cruciverba è un aspetto di questa visione».286 La comunicazione 'chiusa' del tipo 'a
domanda risponde' è l'aspetto che maggiormente interessa l'artista e viene espresso
attraverso il facile meccanismo del cruciverba.
In Utopia? Del '73 (fig.115), uno dei molti collage con cruciverba della collezione Palli,
una ragazza nuda tiene in mano un cruciverba riempito con la parola a stampatello che dà il
titolo all'opera. Il suo volto è coperto da un piccolo mappamondo che la rende
irriconoscibile. Uno dei temi cari alla Poesia tecnologica di quegli anni è presente: i
messaggi pubblicitari con la presenza del corpo femminile come richiamo erotico, esposto
in questo caso su un ripiano e davanti a un vero cartellone pubblicitario. La parola 'utopia'
che trova spazio nelle caselle vuote del cruciverba, è contornata da molti punti interrogativi
sparsi qui e lì e completa il senso dell'immagine.
Con il collage Niente e nessuno del '79 (fig.116), Perfetti riprende il tema del prelievo di
cruciverba fatto negli anni precedenti, a cui aggiunge il livello della manualità che in
genere non utilizza. In questa opera ricrea infatti a mano libera tutta la griglia di un
cruciverba disegnandola a pennarello sopra la foto di un giornale che rappresenta due
ragazzi sorridenti seduti sul bagnasciuga. All'immagine allegra e positiva sovrappone, per
contrasto, le due parole del titolo, ripetute anche scritte al contrario. Le parole negano il
contenuto dell'immagine creando una sorta di ossimoro visivo che vuole mettere l'accento
sulle convenzioni implicite nel linguaggio.
In anni recenti, Giuseppe Chiari, artista di ambito Fluxus ma vicino alla Poesia visiva, ha
286
Intervista telefonica del 25 settembre 2011.
149
inserito cruciverba nelle sue opere come in una della serie Non c'è musica più bella del '90
(fig.117). Il foglio del giornale, aperto sulla pagina dei giochi, campeggia nella sua
composizione con uno schema di cruciverba ben in mostra.
Anche nei «giochi di scrittura» inseriti dentro forme quadrate da Alighiero Boetti (cfr.§
1.3.11), rintracciamo lo schema delle parole crociate.287 Bartezzaghi individua nella
volontà ordinatrice di Boetti l'utopia, sconfitta in partenza, del voler catturare e classificare
elementi fluidi come può essere la lunghezza di un fiume o l'aleatorietà del linguaggio. In
queste sue opere ononime (neologismo che Boetti utilizzava per definire sue opere che
progettava e faceva poi eseguire da altri, nel caso dei quadrati da cucitrici orientali),288
come in altre, Boetti inventa le proprie regole e invita il fruitore a assumere una «attitudine
linguistica»289 per decifrarle.
La griglia, nei suoi vari aspetti, dal semplice reticolo di linee ortogonali, ai diagrammi più
complessi, dai cruciverba ai tracciati più irregolari è stata dunque riferimento importante
per le sperimentazioni verbo-visive dell'avanguardia degli anni Sessanta e Settanta.
Lo schema, già utilizzato come sottotraccia nell'ambito della pittura astratta è dichiarato in
maniera palese in queste opere focalizzate alla destrutturazione del linguaggio e, come nel
caso della Poesia visiva, a una critica al linguaggio dei mass-media.
Nel caso di Novelli, la griglia, come visto, ha diversi riferimenti nella sua opera, dal
ricordo di strumenti didattici per l'infanzia (alfabetari e tavole pitagoriche) al cruciverba
(francese), alle tavole crittografiche (Vigenère), con uno sguardo, forse, alle tavole di
chiromanzia. Di fondo rimane però l'adesione al pensiero strutturalista di Lévi-Strauss, e
all'uso di griglie e tabelle che tanto lo attrassero. Con la sua continua opera di
scomposizione, Novelli sembra cercare sempre la dimensione del nonsense, una delle
287
288
289
Bartezzaghi 2004, cit., pp.301-303.
Stefano Bartezzaghi, Scrittori giocatori, Einaudi, Torino 2010, pp.284-285.
Bartezzaghi 2010, ivi, p.287.
150
costanti della sua opera. Come sostiene de Marchis, entrando in gioco l'esperienza, «il
rapporto, l'ordinamento che questa struttura istituisce fra i fenomeni non si presenta più
come possibilità di scoprire o applicare una legge universale, o di ridurre a legge
l'esperienza. É una volontà di ordine senza possibilità di verifica attraverso un riferimento,
è un ordinamento che esclude ogni gerarchia deterministica. Non un giudizio sull'intima
razionalità del mondo, ma un continuo impegno di giudizio, l'impegno della coscienza nel
presente dove ogni soluzione è possibile».290 In questo caso dunque Novelli - che come
'poieta' ricrea costantemente tutti i materiali con cui entra in contatto - offre una «lettura
cruciverbista» alla lingua e alla sua scomposizione. Bartezzaghi, a proposito dell'interesse
di Greimas per il cruciverba - che avvicina alla poesia in quanto realizzatori entrambi di
una «comunicazione differita» dove cioè il destinatario deve indagare in tutti e due i casi
per comprenderli - dice che il primo parte dal senso per ottenere un non senso, mentre la
poesia «ricostruisce la significazione a partire da un non-senso apparente».291
Infine, ricordo le parole di Claude Simon scritte nel testo apparso su “Il Verri”: «L'alfabeto
così accuratamente ordinato, classificato, si sparpaglia nell'immensità dello spazio. Qui le
parallele s'incontrano prima dell'infinito, o, se si preferisce, l'infinito fa intrusione dentro la
dimensione della tela. Le linee della rete, la scacchiera che si voleva rigida, le sue rette
ondeggiano, si spezzano, si allargano, si avvicinano, ripartono in nuove direzioni, come
quelle di un lastricato che adorni il fondo di una piscina. Lo spazio qui non è 'imitato' dagli
artifici del trompe-l'oeil, come quelli usati dai pittori che amano la prospettiva, ma sulla
superficie a due dimensioni, intangibili, della tela, ci viene rappresentata l'idea stessa dello
spazio».292
290
291
292
De Marchis 1976, cit., p.114.
Bartezzaghi 2004, cit., p.285.
Simon 1963, cit., p.65.
151
1.3.10 Parole rovesciate
Parole o singole lettere rovesciate, sopra/sotto o destra/sinistra, sono frequenti nell'opera di
Novelli. I disegni scelti rappresentano un esempio di un altro gioco visivo con il
linguaggio inserito nei suoi lavori dall'artista già dalla fine degli anni Cinquanta, anni in
cui l’impaginazione rovesciata di parole o frasi inizia a essere utilizzata anche nell’ambito
della pubblicistica d’avanguardia,293 con un effetto cinetico molto evidente.
Nonostante il fatto che Novelli usi esclusivamente scrittura calligrafica, il riferimento può
essere individuato principalmente nelle sperimentazioni di Poesia concreta che il pittore
italiano iniziò a conoscere durante il suo soggiorno brasiliano. Vicino in quegli anni
all'astrattismo concreto teorizzato da Max Bill (che aveva conosciuto a Zurigo nel '47),
Novelli ebbe anche modo di vedere l'importante mostra di Carlo Belloli che si svolse a San
Paolo.294 Come noto, il ruolo svolto dall'artista tardo futurista apprezzato anche da
Marinetti, fu fondamentale sia come precursore, sia come tramite per lo sviluppo della
Poesia concreta in Italia (da cui si dissociò in un secondo momento).
Novelli ebbe probabilmente anche la possibilità di leggere nella lingua originale
l'Antologia internazionale di Poesia concreta di Eugen Gomringer che uscì nel '57, dove
era espressa l’adesione alla teoria concretista di Bill, anche se l'artista svizzero era in parte
critico rispetto alle sue posizioni.
In Scorcio del primo tema del '58 (fig.118), leggiamo alcune parole in corsivo altre in
stampatello, inserite a volte entro riquadri, alcune sono scritte al contrario e con le lettere
ribaltate come quelle che danno il titolo all'opera. Da quello che capiamo, sembra una delle
293
In “Phases” 1954, cit., il saggio di Claude Tarnaud, La forme réfléchie, pp.21-22, ha il titolo impaginato
specularmente.
294
Arrigo Lora-Totino, Poesia concreta in Alfabeto in sogno 2002, cit., p.406. Nel 1953 furono esposte tutte
le pubblicazioni di Belloli al Club Ipitiranga e all'Istituto culturale italo-brasiliano.
152
cronache di qualche evento sportivo (in questo caso forse più di uno) che Novelli a volte
riporta nelle sue opere: una favorevole occasione per pareggiare se non che al momento di
effettuare piazzati … per merito del fotografo...1 minuto e ½...fallo laterale NAGYRA
VIDALA...entra in area ma l’arbitro termina l’azione 3 a tre è partita la fine pericolosa 30
secondi al termine della partita...daki-sp 1-0...I N I 24...Fuori la linea i tre sciabolatori
azzurri hanno superato il I turno. In questa opera come in altre, il gioco del rovesciamento
di alcune lettere sembra avere come scopo quello di rendere dinamica la visualizzazione
delle parole, che qui riguardano le azioni di alcune partite, anche se descritte solo per
cenni.
I volta, del ‘60 (fig.119) è una dichiarazione di gioiosa appropriazione di qualcosa che
evidentemente prima era negato. Sul lato sinistro, sopra una pennellata di colore
campeggia a caratteri cubitali I VOLTA. Dentro la pennellata leggiamo: neo ora scrivo
come/ mi pare e piace/ per la prima/ volta in bella/ calligrafia e/ senza rumore. Sul lato
destro, dentro un riquadro: I VOLTA per la prima volta/ nella mia vita/ mi è venuto/ in
mente che/ fosse possibile di/ trovare qualche/ cosa di così/ dolce come un/ cono gelato/
CONO GELATO/ CONO GELATO/ per la prima/ volta nella/ mia vita. Evidentemente per
dar loro importanza, solo le parole cono gelato sono perfettamente rovesciate e speculari.
Un interessante confronto con il rovesciamento operato da Novelli nel suo lavoro si può
fare con un particolare di una tavola illustrativa di una macchina catottrica della già citata
Ars magna di Kircher (fig.120). In basso sono riportati gli alfabeti latino, ebraico, greco, sia
in forma normale che speculare, come esempio delle possibilità date da uno dei dispositivi
ottici che creavano grande meraviglia presso i contemporanei. Questo è uno dei tanti
esempi di quanto nei testi antichi si possano rintracciare materiali a vario titolo interessanti
153
per gli artisti del XX secolo che più o meno consapevolmente si sono ritrovati a utilizzarli.
In un riquadro in alto a sinistra di Farlo divertire del '62 (fig.121), si leggono le due parole
che danno il titolo al foglio, I farlo sopra a II divertire separate da una linea. Di seguito le
due parole unite come in un'operazione matematica che fonde i due termini. Poi, dopo un
segno di uguaglianza, leggiamo alle 21 e 30 vita pubblica e segreta Segreta a. Più sotto, in
un altro riquadro buonanotte non riesco a capire perché e non con parole oscure. Ancora
più in basso l'unica parola che si riesce a distinguere è matti.
Il senso di questo disegno, che ha una struttura abbastanza regolare con i suoi riquadri
tracciati in maniera piuttosto precisa, è negato. In questo caso il rovesciamento assomiglia
a una lingua segreta, come sembra dichiarare una delle parole scritte. Il linguaggio non è
da prendere sul serio, si può utilizzare per comunicare, ma anche per nascondere il
significato delle parole, definitivamente.
Le date dei disegni presi in considerazione fanno dunque effettivamente pensare a precise
suggestioni dalla Poesia concreta. Novelli, che in quegli anni iniziava a inserire la scrittura
nei suoi lavori, deve essere rimasto colpito dal sovvertimento visivo operato dagli
sperimentatori nei riguardi della tipografia (come già i futuristi). Alcuni particolari del
Piano pilota per la poesia concreta scritto dai fondatori del movimento brasiliano,295
possono essere messi in relazione con determinati aspetti del suo approccio linguistico tra
fine anni Cinquanta e inizio Sessanta: ad esempio lì dove viene messa in risalto
l'importanza dello «spazio grafico come elemento strutturale» e del «concetto di
ideogramma, sia nel senso specifico (Fenollosa - Pound) di metodo di composizione basato
su una giustapposizione diretta-analogica, non logico-discorsiva degli elementi» con un
295
Augusto e Haroldo de Campos, Décio Pignatari, Piano-pilota per la poesia concreta, 1953-1958, in
Archivio di Nuova Scrittura, Milano 1991, p.32, ora in Arrigo Lora-Totino (a cura di), Poesia concreta,
Sometti, Mantova 2002, pp.29-32.
154
riferimento all'idea del montaggio. Da tutti i diretti precursori, poi, Mallarmé Pound Joyce
Cummings Apollinaire, Futurismo e Dadaismo oltre a vari altri autori, i concretisti
prendono stratagemmi tipografici, l'atomizzazione delle parole e molto altro, cosa che
Novelli inizia a usare e che approfondirà negli anni Sessanta. Come questi poeti egli, in
maniera ludica - come sempre non sistematica e per il tempo limitato di alcuni esempi -,
usa le parole anche dal punto di vista visivo, dando valore semantico alla struttura con cui
le compone sul foglio. In definitiva anche lui preferisce alla sintassi consueta quella che si
può definire «sintassi della superficie».296
Seppure con la sostanziale differenza che la Poesia concreta utilizza solo caratteri
tipografici e Novelli solo scritte calligrafiche, si può fare dunque un confronto tra i
rovesciamenti operati da Novelli e opere di Poesia concreta, ad esempio con Mensch, la
famosa composizione di Gomringer del 1960 (fig.122), in cui sono presenti sia
l'anagramma nonsensico che la specularità della stessa parola ripetuta nelle diverse
versioni. Anche nella composizione di Lora-Totino, Tempo del '65 (fig.123) ci sono vari
tipi di rovesciamento della stessa parola che poi viene sovrapposta a simulare l'idea di
accumulo temporale. Il tema del tempo è uno dei più importanti per i concretisti e come in
questo caso «si può definire con la formula: forma = contenuto e viceversa (isomorfismo).
I suoi materiali, parole: suono, forma tipografica e grado semantico, e la sua situazione un
problema di funzioni-relazioni di tale materiale».297
Con l'opera Love is a bitter mystery, del '65 (fig.124) di Reinhard Döhl abbiamo la prova di
quanto la poesia concreta conferisca alla lingua, secondo le parole di Accame, «le qualità,
se così si può dire, di un organismo vivente, dotato di energia. La parola in sé non è
soltanto un frammento linguistico, come in un discorso poetico lineare (…) bensì anche e
296
297
Andreas Hapkemeyer, Poesia Concreta, in La parola nell'arte, Mart, Skira, Milano 2007, p. 237.
Lora-Totino, cit., 2002b, p.408.
155
soprattutto una materia semanticamente fluida, che i processi compositivi trasformano in
un ‘modello tipografico’, in un fatto segnico autonomo, evadendo, tramite l’invenzione, il
codice linguistico di partenza. (…) Il senso dell’esperienza concreta è intimamente
racchiuso nel valore che viene ad assumere la quantità, la fisicità della parola, che nella sua
concettualizzazione giustifica se stessa, polverizzando la struttura della sintassi e della
grammatica, cioè di quelle strutture linguali entro i cui limiti era stata sempre
confinata».298
La poesia concreta lavora dunque sulla parola e sulla forma che può assumere nello spazio,
ma come pratica di tipo costruttivista piuttosto che espressionista a cui Novelli si è
interessato dal punto di vista strutturale, ma che ha utilizzato secondo una propria forma
personale. Egli sembra essere interessato al sistema combinatorio-permutazionale dei
blocchi linguistici per poi distruggerlo. Nel suo caso potrebbe essere semplicemente
attinente la definizione di “Imaged Words e Words Images” coniata da Kostelanetz
(Balboni 2007) nel suo testo, dove una parola o una frase significante è dotata di una forma
visuale, così che il linguaggio è valorizzato dal mezzo pittorico.
Per finire, a dichiarare ancora una volta la varietà dei suoi interessi, nella biblioteca di
Novelli (Arch. Mich.) c'è una copia del famoso haiku giapponese del 1686 rielaborato in
forma di raffinato origami e composto come un'opera concreta nel '65, Old pond ya: a frog
jumps in: water 460/500, di Matsuo Bashō,299 il più importante poeta del periodo Edo.
298
Vincenzo Accame, Il segno poetico. Riferimenti per una storia della ricerca poetico-visuale e
interdisciplinare, Munt Press, Samedan (Svizzera) 1977, p.61.
301
Matsuo Bashō, Old pond ya: a frog jumps in: water 460/500, J.Furnival Rookmoor House, Woodchester
Glostershire 1965.
156
1.3.11 Quadrato magico
Tra gli appunti di Novelli appare, forse un unicum, un quadrato magico. Lo schizzo a
penna (fig.125) fa parte di uno dei tre taccuini di appunti eseguiti nel '67 durante il suo
soggiorno veneziano.300
Il carattere spontaneo del disegno e soprattutto i tre tentativi che precedono sullo stesso
foglietto il quadrato magico finito che compare in alto sulla sinistra, fa pensare a un gioco
con se stesso più che a una copia da un modello. O forse semplicemente a un esercizio di
memoria da qualche figura vista in precedenza. È un fatto che il quadrato magico tracciato
dal pittore su un taccuino che riporta molti riferimenti alla città di Venezia, sia identico,
anche se rovesciato, a uno degli amuleti riportato da Agrippa (fig.126) nel suo De Occulta
Philosophia.301
L'autore del trattato sulla magia presenta il quadrato magico di lato tre a cui sembra
riferirsi Novelli. Secondo la tradizione, questo era uno degli amuleti utilizzati in varie
occasioni e era messo in analogia con il pianeta Saturno e con il piombo: ogni pianeta ha
un quadrato magico con un numero di caselle variabili (quello di Saturno è il più piccolo
con le sue nove caselle) e un metallo abbinato. Il piombo era fin dall'antichità considerato
magico e corrispondente terreno di Saturno, mentre per gli alchimisti era il metallo che
trasmutato avrebbe dato l'oro.
Nel capitolo XXII del secondo libro, Agrippa riporta sia il quadrato con le cifre arabe sia il
suo equivalente in caratteri ebraici. Il prototipo al quale attinge fu con molta probabilità un
testo alchemico-cabalista arabo. Prima dei grafici riassume le caratteristiche di ogni
quadrato: «La prima tavola, attribuita a Saturno, è composta d'un quadrato a tre colonne
300
301
Il taccuino B4, conservato presso l'archivio Novelli.
Agrippa 1533, cit., cap.XXII.
157
contenente nove numeri particolari ed in ogni linea i tre per ogni verso ed i tre di ciascuna
diagonale costituiscono il numero quindici e la somma di tutti i numeri dà un totale di
quarantacinque. Presiedono a questa tavola i nomi che formano i numeri indicati, tratti dai
nomi divini, insieme a una intelligenza pel bene e a un demone pel male e dagli stessi
numeri si ricavano i segni o caratteri di Saturno e dei suoi spiriti, che riproduciamo più
avanti. Questa tavola incisa su disco di piombo con l'immagine di Saturno glorioso, facilita
i parti, rende l'uomo sicuro e possente e fa ottenere dai principi quanto si chieda. Ma se è
dedicata a Saturno infortunato, è contraria agli edifici e ai campi, fa decadere dagli onori e
dalle dignità, fomenta le liti e i disordini, fa disperdere le armate».302 Alla fine della
descrizione di tutti i quadrati, avvisa che «un abile indagatore potrà facilmente trovare il
modo di ricavare da queste tavole i sigilli e i caratteri dei pianeti e dei loro spiriti».303
4
9
2
3
5
7
8
1
6
A ogni numero del quadrato magico di Saturno corrispondono, come nella tradizione
islamica, nomi divini: al 3 Ab; al 9 Hod; al 15 Iah e Hod; al 45 Di quattro lettere, Agiel o
l'intelligenza di Saturno, Zazel o il demone di Saturno.
Sul suo foglietto Novelli ricostruisce dunque il quadrato di Agrippa con il numero magico
di 15, che evidentemente cercava, visto che lo indica esternamente al perimetro più volte.
Rispetto a quello, la sequenza dei numeri è però invertita:
302
303
2 9
4
7 5
3
6 1
8
Agrippa 2008 [1972], cit., p.70.
Agrippa 2008 [1972], cit., p.73.
158
Questo esercizio fatto dall'artista non sembra sia stato utilizzato in qualche sua opera
grafica o pittorica (siamo al '67 e forse non ha avuto il tempo), ma è molto interessante che
tra i suoi appunti compaia anche questo riferimento all'antica cultura esoterica.
Abbiamo già detto dei suoi interessi per le scienze occulte, la numerologia, la Cabala e
l'alchimia e il quadrato magico sembra compendiare tutti questi saperi.
Anche se non è possibile ora stabilire con certezza come egli sia venuto a conoscenza
dell'amuleto numerico di Agrippa, tentiamo di fare delle ipotesi.
Novelli conosceva certamente la 'tavola di Giove' tracciata da Dürer nella sua famosa
incisione Melancolia I del 1514 - che costituisce il primo esempio di quadrato magico in
un'opera d'arte (anche questa, ripresa da Agrippa o più probabilmente da Marsilio Ficino,
risulta invertita nell'ordine) - almeno per il fatto che il suo amico René de Solier aveva
studiato l'opera dell'artista rinascimentale e ne aveva dato un ampio resoconto nel suo L'art
fantastique,304 che come vedremo (cfr.§3.1.12), avrà riscontri anche per un altro argomento
di questo studio.
Nella nota relativa all'opera di Dürer, lo scrittore parla anche di Agrippa che «evoca la
tragedia dell'ispirazione», citando a questo proposito lo studio di André Chastel su Marsilio
Ficino il quale afferma che lo strano ardore malinconico non stimola solo chi è sottomesso
a Saturno, ma anche gli uomini di immaginazione e gli artisti dotati di genio superiore e
adatti a presentire le catastrofi del mondo fisico. Procedendo nell'analisi della complessa
simbologia delle figure contenute nell'incisione, si sofferma sul quadrato magico, dandone
un'accurata descrizione e fornendo dettagli di numerologia per ogni cifra relativa al
quadrato. La 'chiaroveggenza' a cui la malinconia orienta viene analizzata dallo scrittore
francese in modo molto accurato che non dovrebbe essere sfuggito a Novelli. Egli sembra
304
Solier 1961, cit., pp.178 e segg.
159
ripensare anni dopo alle nozioni di cultura magica apprese dalla loro frequentazione, che
ricordiamo, proseguirà fino al '68, anno della sua morte ma anche della Biennale di
Venezia per la quale de Solier scrisse la presentazione sul catalogo, che fu poi ritirato in
seguito alla protesta.305
Ne Il quadrato di Munari, che come visto era nella sua biblioteca, tra i tanti esempi storici
di forme quadrate compaiono i quadrati magici e tra questi la stessa combinazione
utilizzata da Novelli nel suo taccuino di appunti.306 Nel paragrafo dedicato, prima di
fornire l'esempio di otto quadrati magici di ordine tre, Munari dà alcune notizie 'tecniche'
sui quadrati magici e spiega anche quelle che vengono definite 'semplici' trasformazioni
che consentono al quadrato di rimanere comunque magico: «a. rotazione attorno al centro
di uno, due o tre angoli retti, per esempio in senso orario; b. simmetria secondo la mediana
orizzontale o verticale; c. simmetria rispetto a una o all'altra diagonale; d. la sostituzione di
ogni numero con il suo complementare rispetto a n2+1».
Non è possibile sapere quando il pittore entrò in possesso del libro del suo amico,307 anche
se si può pensare che al più tardi fu quando si occupò della redazione di Antologia del
possibile, pubblicato nel '62 dalla stessa casa editrice. Le due pubblicazioni, di identico
formato, facevano parte entrambe della serie “il quadrato”, curata dallo stesso Munari.
In ogni caso, sembra un fatto che quando Novelli tracciò quei tentativi di quadrato magico
sul suo taccuino di appunti, cercava di ricordare quello che aveva potuto vedere nel libretto
del suo amico.
Anche se negli ultimi anni il suo lavoro è sempre più impegnato a prendere una posizione
politica, Novelli rimane affascinato dalla cultura esoterica e dalla numerologia (il numero
305
306
307
De Pirro 2011, cit., p.80.
Munari 1960, cit., p.62.
I due artisti si conoscevano dal 1955 quando Munari invitò Novelli a esporre alla galleria B24 di
Milano le sue opere con uso di materiali sperimentali.
160
quattro è un numero simbolico con un forte potere di associazione). Disegna il suo
quadrato magico dopo anni in cui aveva inserito nei suoi lavori griglie e aveva giocato con
i quadrati, mentre il cubo era comparso come forma di alcune sue sculture già nel '62.
Anche il suo interesse per la forma dei mandala si può riferire alla sua preferenza per la
forma quadrata (cfr.§1.3.8) ed è da mettere in rapporto con il testo di Jung.308
Solo con l'uso di tasselli cromatici, come noto, Klee fece molti dipinti che si possono
definire quadrati magici, i cui titoli sono significativi e dichiarano l'intenzione poetica del
pittore, come ad esempio Armonia, Armonia in azzurro e arancio, Architettura: cubi
sfumati dal giallo al porpora, Architettura del quadro rossa gialla blu (fig.127).
Novelli conosceva probabilmente anche i dipinti di Klee con le scacchiere colorate, di cui
si parla in un libretto di Grohmann su Klee uscito in Italia probabilmente nel 1959. A
proposito del dipinto Architettura del '23, il critico scriveva: «È uno dei quadrati “magici”,
che iniziano nel 1923 e che s'incontrano fino al 1940. Anche in questi dipinti a scacchiera,
composti da quadrati e rettangoli colorati, Klee ha pensato a esperienze vissute ed ha
identificato le forme astratte con fatti concreti. In un quadro come Architettura sarebbe
possibile vedere, nei rettangoli gialli, verdi e violetti, cubi e case, tanto più che i triangoli
verso il margine superiore suggeriscono l'idea di torri. Così pure, in un altro quadro di
questa serie, si potrebbe vedere, nei rosa chiari e nei gialli biancastri, qualcosa “in fiore”. Il
punto di partenza è l'invenzione di segni pittorici, che celano come un velo un fatto
misterioso. Vi sono fogli di appunti di Klee, sui quali egli ha scritto, nelle singole caselle,
numeri in una determinata successione, e le somme delle cifre in senso orizzontale e quelle
in senso verticale danno il medesimo risultato, come nel quadrato magico. La struttura è da
un lato ritmica, dall'altro cromatica-armonica, con tendenza a superare maggiore e
308
Jung 2008 [1992], cit., p.97.
161
minore».309 Inoltre nell'introduzione Grohmann mette in relazione i quadrati con la musica
contemporanea: «lo schema con i quadrati presenta certe analogie con la teoria
dodecafonica di Schönberg, e tanto nell'uno che nell'altro caso si potrebbe parlare di
“quadrati magici”. Ma mentre il musicista rimane fermo al suo schema per lungo tempo,
sia pure con variazioni, Klee passa a nuovi schemi, per esempio a componimenti dal
carattere di fuga». Afferma poi che Klee considera suo compito decisivo rendere visibile,
non riprodurre ciò che visibile è già, volendo porre l'oggetto in rapporto visibile con la
terra e l'universo: «molto tempo prima di Heidegger, Klee inventa dunque un “quadrato”
composto dall'Io e dal Tu, dalla terra e dall'universo».
Oltre a Klee, il quadrato magico nell'arte evoca di nuovo il nome di Alighiero Boetti che ha
fatto realizzare opere ononime310 di tipo 'orientale' (ricamate su stoffa) con lettere entro
riquadri che all'apparenza formano parole senza senso, ma che lette seguendo l'andamento
verticale e spaziandole danno frasi compiute di lunghezza variabile. Bartezzaghi racconta
come venivano creati: «scelta una parola o una frase da quadrare, Boetti preparava un
modello. Su un telo disegnava il quadrato; lo divideva nei quattro, nove, venticinque,
trentasei quadratini, disegnava in ogni quadratino il contorno della lettera corrispondente.
Il telo così preparato veniva inviato a una donna afgana che ricamava ogni area delimitata
dal disegno di Boetti con un filo di colore diverso. I colori li sceglieva la stessa ricamatrice
fra quelli concordati in precedenza».311
Le frasi contenute nei suoi quadrati, come Non parto non resto, Ordine disordine, Perdita
di identità e molte altre, hanno la forza e l'incisività di aforismi, spesso spiazzanti e che a
volte sono citazioni colte come la prima che è tratta da un'aria della Didone abbandonata
309
310
311
Grohmann s.d., cit., tavola 13.
Nel 1973 Boetti inventò il neologismo che spiegava con la formula: ononimo = omonimo più anonimo,
cioè opere progettate dall’artista e eseguite da altri.
Bartezzaghi 2010a, cit., p.285.
162
di Metastasio. I quadrati di Boetti invitano alla lettura e alle diverse stratificazioni che una
simile operazione propone. Ancora una volta il carattere magico sembra riposto nel corto
circuito che si viene a creare tra opera visiva, lettura e linguaggio, e se vogliamo, con la
ricerca delle regole che di volta in volta l'artista - in questo caso Boetti, ma abbiamo visto
come per Novelli fosse lo stesso anche se da prospettive diverse - inventa.
Anche le opere autografe su carta quadrettata che precedono le più famose opere ononime
si possono considerare quadrati magici letterari formati dalle lettere che compongono
l’espressione fonetica di alcune date (fig.128).
Anche Mario Ceroli creò un quadrato magico in pino di Russia bruciato,312 evidente
citazione del quadrato magico di ordine tre di Agrippa.
Il quadrato magico alfabetico, o letterale, ha origini antichissime e magiche. Il quadrato
magico in latino, Sator arepo tenet opera rotas, le cui parole lette in successione
costituiscono un palindromo di primo tipo, è ancora oggetto di interpretazioni.313 Un fatto
certo è che l'anagramma delle venticinque lettere dà pater noster, scritto in verticale e
orizzontale, le A e le O che avanzano hanno il valore di alfa e omega.314 Stabilito il
carattere sacro di questo quadrato, esemplari del quale sono stati ritrovati in luoghi
lontanissimi fra loro e di epoche diverse, rimane «il primatista dell'enigmatica, intesa come
ermeneutica dell'enigma senza soluzione. È infatti dubbio che, in assenza di nuova
documentazione storica, si possa arrivare mai a una soluzione definitiva e scientificamente
inoppugnabile
del caso del Sator».315 Dall'antichità al contemporaneo, attraverso
determinati artifici, il linguaggio dei segni alfabetici, numerici o cromatici si avvale della
facoltà di poter svelare/velare i propri significati.
312
313
314
315
Marco Pierini, Numerica, in Numerica, cit., 2007, p.46.
Si rimanda alla nutrita bibliografia che tratta l'argomento.
Dossena, cit., 2004, p.225.
Bartezzaghi, cit., 2007, p.222.
163
1.3.12 Rebus
Il gioco linguistico del rebus, dove figura e parola coesistono, ha una storia antichissima anzi più storie perché è impossibile individuare date e origini certe316 - che si può far
risalire alla nascita della scrittura. A partire dal XV secolo tra Francia e Italia inizia a
essere utilizzato nella letteratura amorosa, nei manuali di calligrafia e nei trattati di arte
della memoria con importanti esempi nel campo delle arti figurative, basti pensare ai
numerosi rebus lasciati in forma di appunto da Leonardo e al famoso rebus a incastro per
formare il nome di Lu-ci-na del quadro di Lorenzo Lotto (1518 c.). Dopo alcune riprese e
allusioni a questa forma da parte delle avanguardie artistiche di inizio secolo, nella seconda
metà del Novecento la neoavanguardia, tra letteratura e arte figurativa, torna sul dispositivo
verbovisivo del rebus. Diverse sono le coniugazioni che vanno dalla rielaborazione di
vignette prelevate da riviste di enigmistica popolare (che nel frattempo aveva avuto un
notevole sviluppo) a colte citazioni da testi antichi, come fece Novelli.
Nel 1963, l'artista dedica due litografie alla libera interpretazione del cosiddetto rebus di
Piccardia, soggetto decisamente inconsueto in Italia. Le due opere si intitolano Rebus di
Piccardia: una è di 33x53 cm. (fig.129), l'altra di 50x70 cm. (fig.130) è il frutto
dell’assemblaggio tra la prima e l’altra opera già analizzata: In fondo vengono tutti i colori
(cfr.§1.3.9).
Presso l’Archivio Novelli di Roma è stato rintracciato un interessante foglio di un piccolo
taccuino di appunti appartenuto all’artista - di cm.10x15 e archiviato come materiale del
1963/64 (fig.131). Questo foglio è dedicato esclusivamente al tema trattato nelle tre opere
ed è da mettere senza dubbio in relazione alle litografie sia per la coincidenza delle date sia
per il soggetto. Dall’analisi fatta si deduce che il foglio di taccuino sia da ritenersi uno dei
316
Stefano Bartezzaghi, Rebus sic mutantibus, in Ah, che rebus! 2010, cit., pp.17-18. Per un’analisi
dettagliata del rapporto tra arte e rebus si rimanda al catalogo della mostra.
164
primi appunti presi dall’artista per l’elaborazione successiva delle opere e che dunque
possa essere datato 1963.
In questo foglio spicca in alto il titolo del tema: REBUS di PICCARDIA,317 poi una S
sbarrata seguita dalla parola fermesse (fermé S), più sotto un disegno che rappresenta una
catena con la parola spezzata in CATE NA, divisa da un rettangolo che sembra
rappresentare una carta da gioco con un asso di quadri con una lettera R sopra e un’altra
rovesciata sotto. Sopra la carta c’è una RY, accanto al disegno ancora RY e sotto, l’intero
nome Caterina, scritto in corsivo. Sempre nella metà superiore è presente un disegno che
rappresenta una barba e al suo interno la parola BARBA. Attaccata sotto una figura che
porta la scritta 1/2 RANA e accanto il nome Barbara.
Al centro del foglio, nella metà inferiore, campeggia l’intera citazione di un rebus di
Piccardia che viene riportato nel foglio 6v del più antico testo francese che tratta
l’argomento - citato più volte in questo studio-, Les Bigarrures du seigneur des Accords.318
L’interessante libro di bizzarrie letterarie, citato più volte nel corso di questo studio, è di
Etienne Tabourot avvocato, procuratore del re e poeta che discendeva da una facoltosa
famiglia borgognona nella cui impresa parlante si vedevano un tambour e un cartiglio con
il motto A tous accords.319 Il piccolo volume illustrato (in 8°), è un repertorio per la
composizione di forme poetiche eccentriche, una specie di enciclopedia di “retorica
divertente”,320 tratta di emblemi, anagrammi, versi retrogradi, acrostici e rebus. Nel
capitolo che parla dei rebus di Piccardia, non si riferisce in realtà alle due raccolte
conservate presso la Bibliothèque Nationale di Parigi. Tabourot parla principalmente di
317
Per ‘Rebus di Piccardia’ si intendono i rebus miniati presenti in due manoscritti conservati presso la
Bibliotèque Nationale di Parigi e sono databili tra la fine del '400 e l'inizio del '500. Anche le monete
dette des Innocents, che si riferiscono alla festa dei folli, sono da riferire ai rebus di Piccardia.
318
Tabourot 1583, cit.
319
Il testo fu scritto dall’autore dopo alcune opere poetiche e un dizionario di rime francesi. È il primo libro
di artifici linguistici e poetici pubblicato in lingua francese. Fu ristampato con alcune varianti fino al
1662. Dei quattro libri previsti ne furono pubblicati due: il primo e il quarto.
320
Estienne Tabourot, Les Bigarrures du seigneur des Accords (premiere livre), 1588. Traduction et notes
par Francis Goyet, Droz, Ginevra 1986. Questa è la riproduzione anastatica dell’edizione del 1588.
165
emblemi e imprese, in francese devise (divisa, marca distintiva), illustrando esempi della
tradizione italiana e citando anche il celebre trattato di Paolo Giovio su questo
argomento.321 L'uso dell'aggettivo piccardo si riferisce al fatto che proprio in quella
regione del Nord della Francia era diffusa sia la tradizione delle devise, sia la loro parodia
in forma di scherzo popolare. E fu in Piccardia, secondo Tabourot, che si attestò l'uso del
termine di derivazione latina rebus, preferito al più generico francese des choses, per
indicare l'uso di cose, cioè di immagini, al posto delle parole. Les Bigarrures è una
curiosità letteraria, messa in relazione dagli studiosi, da una parte, con la ricchezza
linguistica di François Rabelais (che però si espresse con salace ironia su questi giochi) e,
in avanti, con gli esperimenti ludici dell'Oulipo.
Nel foglietto, accanto al rebus riportato in quasi tutti i suoi particolari, Novelli scrive una
sorta di appunto inserito in un riquadro, REBUS: scrivere usando invece che le parole
disegni rappresentanti oggetti noti messi insieme. La nota di Novelli è la traduzione della
frase del Tabourot, Rebus: laquelle se pourroit ainsì definir que ce sont peinctures de
diverses choses ordinairemenmt cognues (f.4v). L’originale dell’impresa-rebus riportato da
Novelli presenta nella fascia esterna di un campo circolare il motto tracciato a lettere
capitali, TRE DI AMANTI IN UNO (fig.132), il quale si riferisce all’immagine centrale che
presenta un prezioso pendente, con tre diamanti incastonati. Contrariamente al titolo,
l'impresa (o emblema) non fa parte di uno dei rebus incisi su monete di piombo tra il 1495
e il 1570 e riconducibili alle due serie di rebus miniati riportati in due manoscritti piccardi
della fine del ‘400, ma è una della tante citazioni che Tabourot fa nel suo libro da Paolo
Giovio.
321
Paolo Giovio, Dialogo dell’imprese militari e amorose, 1° ed., Antonio Barrè, Roma 1555.
166
I rebus di Piccardia si basano di solito sulle omofonie, operazione alla quale la lingua
francese si presta particolarmente. Riferimento per questo tipo di composizioni che hanno
il carattere giocoso dell’intrattenimento popolare, dove la relazione tra immagini e parole
ha sempre carattere burlesco322 è la serie di racconti scritti tra il 1530 e il ’40, Gargantua e
Pantagruele323 dove Rabelais usa numerosi calembours, giochi di omofonia e rebus.324
Ma nel caso specifico del rebus ‘scelto’ da Gastone Novelli, egli riporta una frase in lingua
italiana e non si presta dunque al gioco di noms transportés, amato da Rabelais.
La storia del motto e dell’intera impresa-rebus325 è riportata dal Tabourot. Sotto un papa
serio e austero come Adriano VI (1522-1523), un nunzio apostolico si permise di ricorrere
alla fantasia del rebus e di adattare la moda delle divise alla sua funzione e alla sua fede, in
sacrificio del piacere mondano di portare gioielli. Il pendente ha tre diamanti incastonati
uno vicino all’altro e inseriti in una forma circolare. Questa disposizione ha, secondo il
Tabourot, un significato mistico. Infatti Tre diamante in uno (sottinteso circulo) significa
“tre di amante in uno” ovvero “amante tre dei in uno”, che è evidentemente un simbolo
della Trinità.
E’ difficile non notare una certa distanza dalle cose di fede mostrata da questo rebus, che fa
pensare a una qualche libertà critica nei confronti della Chiesa.326
Pur tuttavia questa impresa ha un significato di fede. Gastone Novelli già nel foglio di
taccuino, e poi soprattutto nelle litografie, approfondisce, appropriandosene, la distanza
culturale dall’originale mettendo in evidenza la libera interpretazione dell’immagine
verbovisiva prelevata. Anzi, arriva a fondere significati ‘amorosi’ a sacri lavorando sul
testo dal quale cita.
322
323
324
325
326
Franco Bosio, Il libro dei rebus, Vallardi-Garzanti, Milano 1993, p.21.
François Rabelais, Gargantua e Pantagruel, in cinque libri pubblicati a Parigi tra il 1534 e il 1564.
Jean Céard, Jean-Claude Margolin, Rébus de la Renaissance. Des images qui parlent, Maisonneuve &
Larose, Paris 1986, p.17.
Céard, Margolin, ivi, 1986, p.21, fig.9.
Céard, Margolin, ivi, 1986, p.264-5, nota 128. Libera traduzione di chi scrive.
167
Infatti, la palese citazione fatta da Novelli dall’impresa-rebus illustrata dal Tabourot,
conduce sulle tracce dei nomi-rebus. Nel foglio 5v. dello stesso testo - siamo alle pagine
introduttive ai rebus di Piccardia - l’autore francese ci mette al corrente dell’invenzione
tutta italiana di nomi di donna trasformati in imprese. E per introdurre questa particolare
forma di devozione di amanti innamorati fa l’esempio di quattro nomi di donna: Caterina,
Giovannella, Barbara e Margherita, aggiungendo anche la descrizione verbale del rebus
con i tre diamanti del quale darà poi anche l’immagine. Le notizie circa i nomi arrivano al
Tabourot dal Dialogo di Giovio. Eccoci dunque ai nomi di Caterina e Barbara citati da
Novelli. In questo caso però la citazione è una traduzione per immagine di una descrizione
verbale.327 L’artista interpreta ‘alla lettera’ la descrizione evidentemente letta sul testo
antico consultato,328 a cui aggiunge aspetti del tutto personali.
In fondo vengono i colori, (fig.106) presenta un segno spiraliforme e leggermente ovale in
cui sono inserite parole, numeri e altri segni secondo il consueto vocabolario dell’artista.
Nella parte inferiore alcuni riquadri sono colorati di blu e verde. Come appare evidente in
questo lavoro il riferimento al rebus è vagamente espresso oltre che dall’andamento
spiraliforme della struttura che avvolge l’immagine, dalla presenza di una figura circolare
concentrica in alto sulla sinistra che richiama la forma delle imprese.
Mentre è sicuramente più evidente il carattere autobiografico dell’immagine (cfr. §1.3.9).
La scritta le origini vie l’uomo per/ il centro del giardino sembrano essere un chiaro
riferimento alla montagna posta subito sopra.
327
328
Nell’edizione del 1588 è inserita anche un’impresa dedicata al nome di Caterina che reca come motto:
“Caterina sopra tutti gli denari” dove la figura del re di denari è chiaramente ispirata alla carta dei
tarocchi. Nelle edizioni successive e soprattutto in quella del 1662, probabile fonte di ispirazione per
Novelli, l’impresa non è più presente.
Il Tabourot parla del nome di Caterina derivato da una catena portata da un amante che aveva al centro
una carta di re di denari (RY in bolognese) che stava a significare “questa Caterina valeva tutti i denari
del mondo”. Mentre per il nome Barbara, dopo la descrizione di un innamorato che usava portare sotto la
barba, una mezza rana, aggiunge una nota spiritosa “sarebbe stato meglio se avesse portato la barba rasata
a metà: così avrebbe potuto fare barbara-za”.
168
Rebus di Piccardia (fig.129) è invece di un bel colore giallo oro e non presenta campiture
colorate. La figura principale ha una forma circolare ed è posta sopra un’altra che ricorda
ancora una volta il profilo di una montagna. Questa ha una figura a forma di spirale
all’interno.
La figura circolare con cerchi concentrici al suo interno divisi a loro volta in riquadri come
si è visto sopra, è stata usata spesso da Novelli con vari riferimenti che di volta in volta
sono stati la ruota della fortuna, il gioco dell’oca, il disco di Festo. I temi si sono anche
sovrapposti come in questo caso in cui il riferimento alla forma circolare è sicuramente
riconducibile alla forma delle imprese-rebus a cui si è ispirato. E’ utile leggere le immagini
inserite da Novelli nelle ‘caselle’ iniziando dal cerchio più esterno: si tratta di segni
vagamente geometrici, in uno dei quali vi è un tipico accenno a una ripartizione a fasce,
frequente nel vocabolario espressivo dell’artista.
Nel cerchio mediano troviamo: il motto IN UNO TRE DIAMANTE con il disegno del
pendaglio, simile a quello riportato sul foglietto di appunti ma semplificato. Nel riquadro
successivo il disegno di una barba con la scritta BARBA al centro, sotto la parte superiore
di una rana. Più sotto la scritta ribaltata del nome BARBARA, 1/2 RANA e sotto la scritta
REBUS DI PICCARDIA. Nel riquadro successivo il nome MARIA con figure che
potrebbero essere conchiglie (mare/Maria? o forse Marina, che era la sua compagna
all'epoca e alla quale dedica tantissime opere).
Nello spazio successivo c’è il disegno di una catena interrotto dalla figura di una carta da
gioco con un asso di quadri con due K e sopra le lettere RY. Si tratta evidentemente di un
rebus a incastro che dà il nome di CATE RY NA, non nuovo nella tradizione delle imprese.
Il cerchio interno presenta una composizione piramidale di numeri che vanno da 1 a 6
sopra una figura vagamente antropomorfa che di lato presenta la serie 4 7 4 7. Come noto,
l’inserimento di numeri è fatto molto frequente nelle opere di Novelli con il carattere di
169
serialità implicito e con i forti riferimenti alla numerologia cabalistica alla quale i numeri
quattro e sette ad esempio rispondono.
La terza litografia si presenta come l’accostamento delle prime due, senza campiture
colorate e con l’aggiunta di poche lettere, dunque sostanzialmente simile nella struttura alle
altre.
Come già riscontrato, anche in questa breve serie sul rebus troviamo un uso
‘personalizzato’ del materiale prelevato. Al significato religioso dato dal prelato italiano
(in relazione con la divina Trinità), Novelli sovrappone evidentemente il significato più
prosaico e comune del termine ‘amante’ accostando all’immagine del gioiello con tre
pietre preziose, tre nomi di donna, Caterina, Barbara e Marina, dei quali i primi due
‘prelevati dal Tabourot. Tre (di) amanti in uno.
E’ molto interessante notare come Novelli abbia attinto, ancora una volta a materiali
iconografici e verbali di testi antichi. La sua frequentazione con la Francia (e con gli artisti
e intellettuali francesi già dal 1956) lo portò evidentemente a conoscenza del testo del
Tabourot e poi al suo possesso.
Il testo viene citato dal letterato René de Solier nel suo libro L'art fantastique del
1961,329in relazione alla Melancholia I di Dürer. De Solier mette in rapporto la celebre
incisione con la cultura degli emblemi e delle devise, rappresentazioni di proverbi o di
rebus, come quelli di Piccardia, evocati da Tabourot. E’ un fatto che Novelli nel ‘63 aveva
già maturato una serie di esperienze espressive fondamentali ed era già entrato in contatto
con testi esoterici, che trattavano di magia, alchimia, Cabala e crittografia dai quali trasse
ispirazione per molte sue opere e che furono di fondamentale importanza per la costruzione
della sua particolare cifra espressiva basata su una forte compresenza della parte verbale, il
più delle volte scarnificata fino all’uso di semplici vocali, e immagini che molto spesso
329
Solier 1961, cit. Vedi nota 75. Lo scrittore francese riporta un'altra definizione di rebus: «ce sont
équivoques de la peinture à la parole».
170
fanno riferimento al personale vocabolario iconico derivato da immagini antiche che
vengono utilizzate anche in modo ironico e ludico.
Gastone Novelli cita più volte Les Bigarrures. Nel ‘66, nella risposta a un’inchiesta sul
Surrealismo, lo mise al primo posto di una lista di libri fondamentali, seguito da Rimbaud,
Jarry, Klossowski.330 Nell’articolo Sul linguaggio, scritto per la rivista “Bit” n.2 del ‘67, a
proposito della sua convinzione che alcuni testi di altre epoche, anche se non molto
conosciuti, sono comunque “la testimonianza di un mondo possibile e valido: deux cinq
signifient quines, deux trois ternes, deux six Seines…purgatorii loco liberatus”.331
Nel suo testo del ‘68, Il linguaggio e la sua funzione scrive esplicitamente: «Les Bigarrures
(Seigneur des Accords) non ha certamente, negli ultimi due secoli, avuto molti lettori ma
rimane egualmente la testimonianza di un mondo possibile e valido, universo stimolante,
frammento significante e assorbibile in una nuova struttura di un universo simile».332 Il
nome del Seigneur des Accords torna in molte opere pittoriche (ad esempio ne Il
vocabolario), come omaggio a un autore che gioca con i linguaggi, memore del potere
magico della parola.
La prova che l'antico testo francese glielo abbia fatto conoscere proprio René de Solier è
data dal reperimento presso la biblioteca di Novelli (Arch. Mich.) di due sue lettere
dattiloscritte e una bozza di layout indirizzate al pittore italiano.333 Nella prima, lo scrittore
propone il progetto di un piccolo libro, metà foglio di macchina da scrivere, il cui titolo
doveva essere PROPOSITION II. BIGARRURES. Questa pubblicazione, che sarebbe
dovuta essere stampata dalla galleria Du Fleuve di Parigi, avrebbe dovuto contenere una
serie di giochi linguistici e tipografici, tutti riprodotti in «bianco e nero per non
complicare». A questo proposito, sempre nella prima lettera, de Solier dà precise
330
331
332
333
Novelli, Inchiesta sul Surrealismo, ora in “Grammatica” 1976, cit., p.88.
Gastone Novelli, Sul linguaggio, ora in “Grammatica” 1976, cit., pp.38-39. In questo testo Novelli cita
dal f.23v. de Les Bigarrures.
Novelli, Il linguaggio e la sua funzione, ora in “Grammatica” 1976, cit., p.47.
La prima, datata 12.5.1962, è accompagnata dal layout, la seconda è del 11.12.1962.
171
indicazioni a Novelli su cosa deve preparare per la pubblicazione, e, per questo, oltre ai
particolari tecnici, allega il layout della copertina e del colophon, dando anche il numero di
copie previste che dovevano essere mille, delle quali alcune di lusso con incisioni originali
dello stesso Novelli. Aggiunge poi di avere «materiale curioso» da mostrargli. Nella
seconda lettera però il progetto sembra sfumare. Lo scrittore, dopo essersi scusato del
lungo silenzio, dice di averlo ancora in mente, ma che non ha i finanziamenti sufficienti. Si
sofferma invece su un contenzioso tra Novelli e la galleria Du Fleuve a causa della
restituzione di alcuni quadri.334
Come accennato sopra, oltre alla citazione di Novelli, negli anni Sessanta e Settanta la
forma rebus è usata da alcuni artisti significativi335 sia in forma di prelievo dalle riviste di
enigmistica popolare come Renato Mambor, Lamberto Pignotti e soprattutto Tano Festa
(1938-1988), sia reinventata ai fini della comunicazione di messaggi politici e sociali come
fece Miccini.
Come forma verbovisiva ha interessato artisti come Sarenco e Corrado D'Ottavi (19341984), mentre Arrigo Lora-Totino ha creato una forma non canonica di rebus nell'ambito
delle sue sperimentazioni concrete. Nella frammentazione di immagini e linguaggio, si può
ravvisare anche nell'opera di Baruchello percorsi di ricostituzione impossibile di discorsi
compiuti, come ci indica Lyotard.336 Le sue opere non sono rebus nel senso canonico del
gioco linguistico ma nella minuziosa frammentazione di scritte di ogni tipo e in diverse
lingue associate a piccole figure anch'esse frammentate, si possono intraprendere vari
percorsi interpretativi che inducono a cercare il primo e il secondo livello di lettura come
334
335
336
Lo scrittore francese nel testo Foret d’ecritures scritto nel ’71 per Gastone Novelli 1972, cita la
Proposition II di Novelli (la prima riguardava la fase Nature et physis) chiamandola Cycle des
bigarrures: Tableaux-diagrammes.
Per un approfondimento si rimanda a: Ah, che rebus! 2010, cit.
Jean-François Lyotard, La pittura del segreto nell'epoca postmoderna. Baruchello, Feltrinelli, Milano
1982.
172
nei rebus enigmistici, ma per scoprire ben presto dell'impossibilità di questa operazione,
arrivando a cogliere quello che rimane dell'aura di enigmaticità implicita al rebus stesso.
Su un versante molto diverso, quello della Poesia visiva, tra il 1963 e il '64 (curiosamente
gli stessi anni delle opere di Novelli) Miccini fu molto probabilmente il primo che iniziò a
interessarsi ai rebus enigmistici, creandone da allora moltissimi. Semiologo e fondatore
insieme a Pignotti del Gruppo 70, utilizzò il rebus come parte di una iconografia popolare
nell'ambito della sua ricerca che prese avvio dalla poesia postermetica e approdata alle
sperimentazioni verbo visive. Con un'ottica di condivisione, i suoi rebus degli anni
Sessanta sono frutto della collaborazione con i pittori della Scuola di Pistoia (Barni,
Coppini, Ruffi), mentre quelli successivi si sono avvalsi del contributo di fotografi che
spesso lo hanno ritratto in scene poi utilizzate per le opere. Miccini si è comunque sempre
posto nel ruolo dell'ideatore della frase risolutiva, quello che viene definito 'rebussista'. I
titoli delle opere sono sempre in latino, considerata “lingua imperiale” dall'artista che
aveva una formazione classica, e le soluzioni del gioco sono molto spesso cariche di
significati politici e sociali molto accesi come nel caso dell'Adversis rebus del '72 (fig.133).
Anche Pignotti nei primi anni Settanta ha lavorato sul rebus, prelevando vignette dalle
pagine dei quotidiani per i quali lavorava, intervenendo poi con scritte o collage che
rimandano alla eterna enigmaticità del Mondo che diventò titolo anche di un libro di artista
in alluminio anodizzato (1975) con vignette di rebus serigrafate (fig.134).
Sempre nell'ambito della Poesia visiva negli stessi anni, anche Sarenco (Isaia Mabellini) ha
giocato con la forma rebus in opere di assemblaggio come Musica politica. Omaggio a
Feuer-bach, del '75 (fig.135). In questo caso, il nome del filosofo della sinistra hegeliana,
scomposto in Feuer, fuoco e Bach, torrente (il “torrente di fuoco” citato da Marx), è stato
tradotto in forma verbo visiva con uno spartito di Bach, dei fiammiferi bruciati su uno
173
spartito musicale. Si può far rientrare nell'ambito della segmentazione operata sulla parola
nel gioco del rebus anche il lavoro di Corrado D'Ottavi con l'omaggio alla 'Ana-filosophia'
di Martino e Anna Oberto che è contenuto in Anagramma filo/sofia del '79.
Nell'ambito della Poesia concreta italiana, la figura di Lora-Totino è tra le più attive e
propositive. Si potrebbe quasi affermare che in Parole ai quattro venti del '71 (fig.136),
l'artista abbia fatto riferimento al rebus in maniera 'naturale', partendo dai presupposti
spaziali della sperimentazione concreta e dalla consuetudine con i giochi di parole. Sul
foglio stampato in offset infatti, sono distribuiti spazialmente parole e numeri, mettendo in
gioco sia lo spazio quadrato in cui sono disposti i frammenti, pa/ ro/ le/ ai, sia l'ambiguità
tra il numero 20 e la parola vènti, mentre il numero 4 ha la posizione centrale della
composizione. È calzante in questo caso la definizione di 'rebus informale' dato da
Bartezzaghi per questo tipo di operazioni in cui è necessario compiere un percorso tra i
caratteri tipografici e la loro disposizione sul foglio.
Dalla recente mostra sui rapporti tra arte e rebus nell'arte italiana, è emersa la figura della
più prolifica e valida disegnatrice di rebus per “La Settimana Enigmistica”, Maria Ghezzi,
in arte Brighella. Questa straordinaria interprete dei più grandi inventori di rebus, a partire
dal marito Giancarlo Brighenti, in arte Briga, è stata più volte, inconsapevolmente, citata
dai due artisti della Scuola di piazza del Popolo, Mambor e Festa, che hanno lavorato sulle
vignette del settimanale popolare.
Mambor inizia nel '64 a ricalcare i disegni di rebus perché era alla ricerca di immagini
stereotipe nella prospettiva dell'azzeramento tipica degli anni in cui si cercava
un'alternativa all'informale. Ma nei suoi lavori i rebus perdono la loro identità di gioco
linguistico, anche nei rari casi in cui introduce lettere. Le figure 'importate' dall'artista
174
romano assumono una funzione metalinguistica, legate, come sono al loro equivalente
verbale ma senza l'intenzione di voler costituire altro che un repertorio di immagini avvolte
da una distanza 'metafisica', creata anche da accostamenti incongrui. Unico vero rebus
della sua produzione è il montaggio fotografico A + mare (fig.137) in cui gioca con la
lettera A e l'immagine del mare.
È stato Tano Festa (1938-1988), nel 1979, a creare numerose opere intitolate Rebus337
riproducendo, come aveva già fatto Mambor, soprattutto vignette disegnate dalla Brighella.
I prelievi fatti da Festa subiscono sempre delle manipolazioni che portano spesso alla
cancellazione - con i colori industriali che utilizzava sulla tela emulsionata - di alcuni
grafemi e di parti consistenti di immagini, operazione questa che interrompe la narrazione
del rebus stesso con l’eliminazione gli elementi indispensabili alla lettura e alla soluzione
del gioco.338 L'impossibilità di lettura è il carattere distintivo di tutta la serie e ha reso
difficile in molti casi, risalire alle vignette originali da cui era partito. Il suo lavoro
dimostra, ancora una volta per un artista della neoavanguardia, quanto facile sia
interrompere il filo logico della comunicazione facendo saltare qualche regola del gioco.
L'interesse per l'aspetto metafisico delle vignette di Maria Ghezzi è importante anche per
Festa e viene in alcuni casi accentuato come in Rebus (U.I) della collezione Franchetti
(fig.138 e 138a), che può essere considerato uno dei numerosi omaggi alla Metafisica di de
Chirico che l'artista ha fatto.
Il dispositivo linguistico del rebus è presente anche nella produzione più recente di alcuni
artisti, dichiarando la vitalità di un gioco verbovisivo antico che si rinnova adattandosi a
diverse situazioni culturali e semantiche.
337
338
Per un'analisi approfondita sui Rebus di Tano Festa si rimanda a: Ada De Pirro, La serie dei rebus di
Tano Festa: analisi e proposte di lettura, in “RolSA. Rivista online di Storia dell'Arte”, n.7, 2007,
www.scriptaweb.it
Per poter risalire alle vignette originali, fonte iconografica per l’artista, è stata indispensabile la
competenza e la disponibiltà degli esperti rebussisti Franco Diotallevi (Tiberino) e Federico Mussano.
175
1.3.13 Testi plurilinguistici
Anche Novelli, come alcuni scrittori e pittori tra primo e secondo dopoguerra, inserisce
frequentemente nelle sue opere parole o frasi di diverse lingue, antiche e moderne.
Nella letteratura e nel teatro italiano il plurilinguismo339 ha una lunga tradizione. L'autore
rinascimentale Teofilo Folengo è stato uno degli scrittori più studiati per l'uso di diversi
codici linguistici, lingue naturali, forme dialettali e 'macheroniche', utilizzate nei suoi testi.
L'aspetto plurilinguistico in Carlo Emilio Gadda (1893-1973) è stato messo in relazione
con questo importante precursore di una pratica che nella neoavanguardia letteraria italiana
e francese ha avuto alcuni interpreti di grande rilievo. 340
Ferroni ha parlato del plurilinguismo di Gadda come di una delle coniugazioni
dell'anticlassicismo dell'ingegnere milanese (oltre all'altrettanto fondamentale aspetto del
non-finito),341 rapportandolo sia a un «oscuro fondo personale» che lo conduce a affrontare
con aggressività la realtà ma con uno spiccato senso della molteplicità, creando un
personale espressionismo naturalistico. «Il miscuglio linguistico dà largo spazio
all'aggressione comica, alla parodia delle forme serie, al grottesco, all'umorismo: si piega
verso gli aspetti più “bassi” della realtà, ma sa anche scattare verso i più laceranti toni lirici
o riflessivi, verso un “sublime” pieno di sofferenza e di forza contraddittoria».342
Calvino parla di Gadda nel capitolo dedicato alla Molteplicità delle sue Lezioni americane
a proposito del tema «il romanzo contemporaneo come enciclopedia, come metodo di
conoscenza, e soprattutto come rete di connessione tra i fatti, tra le persone, tra le cose del
mondo»343 e, si potrebbe aggiungere, tra le varie lingue e dialetti.
339
340
341
342
331
Albani, Buonarroti 2011 [1994], cit., voce Plurilinguismo, p.334.
Giulio Ferroni, Passioni del Novecento, Donzelli, Roma 1999, p.45.
Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Einaudi, Milano 1992, pp.1011-1012.
Ferroni 1992, cit., p.1011.
Italo Calvino, Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, Garzanti, Milano 1988,
p.103.
176
Altri scrittori contemporanei di Gadda sperimentarono il plurilinguismo nelle loro opere,
tra i più significativi Villa e Sanguineti, entrambi autori che a diverso titolo entrarono in
contatto con Novelli, soprattutto il primo. L'autore di Laborintus, opera in cui coesistono
parole in latino, greco, italiano e francese, fu accusato di plagio da Villa che mescolava nei
suoi testi lingue moderne e lingue antiche (o arcaiche). Ma in realtà questo esercizio si può
far risalire alla stessa radice, al comune interesse per «modelli poetici desunti dagli
insegnamenti di Eliot e Pound, ormai diffusi in tutta la cultura europea e liberamente
impiegati dai due italiani alle ragioni di poetiche personali e divergenti tra loro».344 I due
scrittori statunitensi, riferimento per tutta la neoavanguardia europea, hanno di fatto avuto
un ruolo determinante anche per l'uso di più lingue contemporaneamente.
Novelli assorbe questa pratica aiutato anche dal fatto di conoscere altre lingue oltre
l'italiano. Oltre a vivere in un ambiente cosmopolita parlava tedesco essendo di madre
austriaca, francese e inglese per le sue frequentazioni, il portoghese e lo spagnolo imparati
durante il suo lungo soggiorno in Brasile. La sensazione che si ha di fronte al
plurilinguismo di Novelli e alla luce di quanto detto finora, è che egli sia interessato
soprattutto al montaggio di lingue diverse, altra dimostrazione implicita dell'arbitrarietà dei
codici linguistici, e di un atteggiamento che va a privilegiare un poliglottismo babelico
piuttosto che un uso del linguaggio ordinato e consequenziale.
Come operazione di montaggio, il pluringuismo si può definire anche gioco linguistico, ma
più propriamente può essere considerato un gioco fonetico. Questo aspetto avvalora la
presenza di un doppio registro di Novelli rispetto all'uso del linguaggio nella sua opera: da
un lato un gioco puramente verbovisivo e dall'altro un forte riferimento alla sonorità della
lingua che avvicina le sue opere alle pratiche proprie della poesia sonora che iniziò a
344
Tagliaferri 2005 [2004], cit., p.118.
177
svilupparsi, dopo le fondamentali esperienze futuriste e dada, proprio negli anni Sessanta.
In questo particolare ambito, il cosiddetto simultaneismo ha molto a che vedere con il
plurilinguismo, per l'utilizzazione in contemporanea di più registri sonori che porta a
utilizzare suoni, rumori e lingue diverse. Ancora una volta è in pratiche antiche che si
devono andarne a cercare le radici se, come afferma Lora-Totino, è in tecniche polifoniche
medievali come l'Ars Antiqua e poi Nova, che si trovano più voci, spesso in lingue diverse,
sovrapposte a un testo.345
Padre Pozzi dà indicazioni sulla lettura del plurilinguismo che avvicina all'effetto cinetico
dato dalla «trascrizione di finche, colonne, scomparti, circoli», tutte strutture che peraltro
Novelli utilizza. Lo studioso mette l'accento sull'aspetto sonoro, meno evidente rispetto a
altre forme ma analogo, che «sembra uscire da quei componimenti plurilingui in cui la
successione di vari idiomi è regolata secondo schemi fissi. È in se stessa una cinetica che
riguarda solo l'orecchio; l'occhio vede sì trascritti linguaggi diversi, ma, non percependo
alfabeti diversi, non può fissarsi su un'iconicità mediata e riflessa, e tuttavia non del tutto
inapparente».346 Pur mancando in Novelli - che aveva una vera passione per la musica,
soprattutto jazz -, gli schemi fissi, la pronuncia e la sonorità delle parole deve aver avuto
una certa importanza nella sua produzione, basti pensare alle numerose sequenze di A che
sono tracciate nelle sue opere, come quelle presenti anche nel primo disegno che sarà
analizzato.
L'opera su carta senza titolo del '61 (fig.139), è una delle tre versioni quasi identiche che
sono conservate in diverse collezioni. Oltre alle sequenze di A, molti sono gli aspetti
345
346
Giovanni Fontana, Simultaneismo come contrappunto poetico, in La voce in movimento. Vocalità,
scritture e strutture intermediali nella sperimentazione poetico-sonora, Harta Performing & Momo,
Monza, 2003, pp. 41-45. lI testo citato di Lora Totino è: Arrigo Lora Totino, L’Orphéide, epopea della
simultaneità, in Simultanéisme - Simultaneità, Quaderni del Novecento Francese, n. 10, Istituti di Lingua
e Letteratura Francese delle Facoltà di Magistero di Roma e Torino.
Pozzi 2002 [1981], cit., p.44.
178
interessanti del disegno scelto, come ad esempio le facce di dado con uno, due, tre pallini a
cui sono associate le lettere di un nome che nell'ultimo si rivela per 'Rosaria'. Frasi in
italiano, francese e in una lingua misteriosa sono composte in riquadri distribuiti sul foglio.
Oltre a quelle in italiano, leggiamo: ANASTASIA ARSE/ ARDESUAN TELC/ POPOCATL
ITLU/ SA HA MEXICO, che campeggia al centro del foglio, sembra utilizzare un idioma
vicino allo spagnolo ma incomprensibile. Oltre alla parola Mexico si distingue Popocatl,
che è il nome di famose cascate e grotte vicino a Veracruz.
In un altro riquadro leggiamo: et nacha me mechante/ langue de fou-de Frisè/ exécante une
quart/ de tour en pliant les/ genoux et il s’affala/ sur la chaussée/ sur la chaussée.
Sembrano versi di una poesia o di una canzone.
In un altro disegno del '61, Posso fare una serie (fig.140), tra tanti elementi (serie
numeriche, appunti diaristici, griglia e altro), si notano parole in più lingue inserite tra due
linee al centro della composizione, LA QUAUHNAHUAC POPECAPETL LAKE
DISTRICT EVENTI IRREALI. Le prime due fanno riferimento alla città e al vulcano
messicani dove si svolge la 'faustiana' vicenda di Under the volcano di Malcolm Lowry
che ebbe la prima traduzione italiana proprio nel '61.347
Le parole che l'artista inserisce nella griglia irregolare sotto, sembrano fare riferimento al
protagonista della storia, il console francese Geoffrey Firmin: (1)difesa. questa lunga
storia si ripeterà per sempre senza/ dare a nessuno di noi la possibilità di salvezza/ anche
se ogni speranza e ancora pienamente/ giustificata dalla mancanza assoluta di/ nemici
cosa questa che pero/ ci toglie anche ogni possibilità di individua/ re la giusta posizione
da dare ad una eventuale (1)/seni/ sono solo/ seni se sono/ seni sono sempre seni/
aaasessualità senile.
347
Malcom Lowry, Sotto il vulcano, Feltrinelli, Milano 1961, tit. or. Under the volcano, Reynal and
Hitchcock, New York 1947.
179
Il personaggio 'maledetto' e senza speranza della storia viene delineato in queste frasi che
dichiarano anche, da parte dell'artista, un certa identificazione. Questa opera è vicina a
quegli aspetti glossolalici già analizzati, nonostante sia presente una struttura data dalla
griglia, dai riquadri e dall'ordine seppur apparente che gli è stato dato.
Tra i quattro disegni del '62 pubblicati l'anno successivo per il numero de “Il Verri” dove
fu pubblicato un importante testo di Claude Simon,348 ve ne è uno che presenta più lingue
contemporaneamente (fig.141). La presenza di parole in greco antico e di indicazioni
turistiche in francese fanno pensare al suo primo viaggio in Grecia, fatto nello stesso anno.
πον πον ΕΜΙΣΘΟ ΑΛΣΟΣ. Questa frase potrebbe essere tradotta letteralmente con “dov'è
dov'è noi il boschetto?” o, più probabilmente “il nostro boschetto?”.349 Una lingua, il
greco, che forse Novelli andava conoscendo in quel viaggio e di cui, in questo foglio, dà un
breve esempio.
Una freccia indica l'altra scritta, SITES HISTORIQUES ROUTES PITTORESQUES
ITINERAIRES MINERAUX ANIMAUX. L'indicazione dell'itinerario potrebbe essere stata
copiata da Novelli da un cartello turistico o da una guida in francese: era infatti partito per
la Grecia con una guida Hachette della Grecia.350
Tenendo anche in considerazione che furono i lettristi a inserire per primi nelle loro opere
elementi polisegnici, fino a aggiungere alla scrittura latina tutti gli elementi fonetici,
sillabici e ideografici esistenti (Balboni 1977), in Italia, oltre a Villa e Mario Diacono,
numerosi artisti inserirono lingue diverse nelle opere, come ad esempio fece Martino
Oberto.
348
349
350
Simon, cit., 1963. Il testo di Simon era stato pubblicato sul catalogo della mostra alla Alan Gallery di
New York del 1962.
Ringrazio la Dott.ssa Michela Santoro per la traduzione.
Vedi nota 235.
180
Il montaggio scritturale nelle opere di Oberto presenta l'inserimento di più codici
linguistici che vanno dal latino, all'inglese, al francese e altri. Nella pagina del Journal
anaphilosophicus scelta e già citata (fig.32), sono applicati a collage tanti fogli manoscritti
e dattiloscritti in italiano e altre lingue. Tra le dichiarazioni di poetica colpisce il riquadro
in basso a sinistra intitolato Una idea piena di idee. Non è una semplice composizione di
più lingue, ma un linguaggio inventato, una specie di esperanto costituito da alcuni idiomi
conosciuti. Oberto non è nuovo alle lingue inventate e alle lingue illeggibili, per usare un
termine di Barthes, «la generale diffidenza che circonda il linguaggio»,351 sembra, con la
sua opera e quella degli artisti della neovanguardia, definitivamente prendere corpo.
351
Roland Barthes, Il grado zero della scrittura, Einaudi, Torino 2003 [1982], p.60.
181
Cap. II Il gioco linguistico tra arte e letteratura della neoavanguardia
182
2.1 Sperimentazioni linguistiche tra neoavanguardia e artifici manieristici
Il «presente allargato» di cui parla Barilli,352 la compresenza di tutte le epoche storiche, di
maniere e forme d'arte del passato, è, tra gli anni Sessanta e Settanta, una delle cifre che
distinguono la letteratura e l'arte figurativa. La pratica diffusa del plurilinguismo esteso a
stili e modi già usati, comprende quella della citazione che per i pittori significa prelevare
da opere di un passato più o meno recente immagini intere o loro particolari e per gli
scrittori fare riferimento a forme della prosa o della poesia appartenenti a tempi e culture
lontani.
353
A questo proposito Sanguineti afferma che «si possono amare gli autori del
passato, ma vengono riletti eventualmente in modo nuovo, e non più utilizzati come
fornitori di regole e modelli ai quali guardare come incarnazioni perenni, ma a qualcosa
che è certo tesoro culturale, perpetuamente riesplorabile, ma anche con netti
spostamenti».354
Barilli individua nella figura di de Chirico il capostipite degli artisti italiani che fanno della
'rivisitazione del museo' una delle pratiche fondanti del loro lavoro. Tra citazione e
autocitazione de Chirico è stato un esempio per molti della neoavanguardia soprattutto di
area Pop (Festa, Schifano), pittori inseriti da Maurizio Fagiolo tra quelli vicini al gruppo
dei Novissimi.
Anche se lontani dalla Stimmung metafisica, gli altri artisti che sono vicini a quel gruppo
di scrittori, come Novelli e Perilli (ma molti sono i nomi fatti e che esprimono realtà molto
352
352
353
Renato Barilli, Informale Oggetto Comportamento. Volume secondo. La ricerca artistica negli anni '70,
Feltrinelli, Milano 2006 [1979], p.108.
Interessante a questo proposito: Susan Sontag, Sulla fotografia, Einaudi, Torino 1978. La studiosa
americana nel suo saggio, a proposito delle citazioni, parla della loro ascendenza surrealista e
paragonadole all’opera del collezionista ne mette in evidenza il carattere malinconico. Questo particolare
aspetto è, per chi scrive, più vicino all’opera degli artisti dell’area Pop e al loro uso del medium
fotografico.
Giuliano Galletta (a cura di), Sanguineti/Novecento. Conversazioni sulla cultura del ventesimo secolo, Il
Melangolo, Genova 2005, pag.24.
183
diverse tra loro) si possono assimilare, secondo lo studioso, al loro stesso livello
linguistico. A questo si può aggiungere la possibilità (o la necessità) di adottare particolari
forme di prelievo da scrittori e letterature di altre epoche e ancora, sempre secondo logiche
non descrittive, l’uso di altre lingue e forme verbali, in un’ottica di appropriazione
linguistica che non esclude nulla.
Secondo Sanguineti, per tutte le arti del Novecento, l’ottica compositiva di tutti frammenti
linguistici (e non) è quella del montaggio. Le varie operazioni «diventano arti di
montaggio, non necessariamente in base al modello cinematografico, ma perché
appartengono a uno stesso orizzonte di comunicazione linguistica, di sintassi, tipicamente
novecentesca».355
L'assimilazione al metodo di composizione cinematografica è accolta anche da Vescovo
quando afferma che in generale in quegli anni «gli artisti lavorano su frammenti di senso,
che non danno vita a forme chiuse, ma lasciano ben visibili delle traiettorie, delle orditure
iconiche e di pensiero, su cui si può camminare verso altri orizzonti. La pittura è lo
specchio che deforma e sposta le 'figure' dalla loro sede propria, cambiandone le
proporzioni, l'asincronia della percezione a intravvedere la possibilità di una superficie che
riflette cose del passato, ma che mostra anche, come in un film, l'avvenire, diventando
sistema di metafore e allegorie».356
Il particolare modo di costruzione dell'immagine fu registrato anche da un interprete
attento come Alberto Boatto che già nel 1970 prese atto che «l'esercizio critico si configura
come un lavoro di smontaggio, là dove la costituzione dell'opera moderna risulta in larga
maggioranza il prodotto di un cosciente lavoro di montaggio»,357 considerazione basata
sull’attitudine strutturalista che molto segnò l’attività critica degli anni Sessanta.
In tempi meno lontani, Hans Belting ha affrontato il problema del rapporto critica/arte
355
356
357
Galletta 2005, cit., pag.71.
Marisa Vescovo, I luoghi del Ritorno, dell'Enigma, della Fuga, in XLI Biennale di Venezia, Electa per la
Biennale, Milano 1984, p.41.
Alberto Boatto, Discorso personale indiretto, in Vitalità del negativo nell'arte italiana 1960/70, catalogo
mostra Palazzo delle Esposizioni, Roma novembre 1970 - gennaio 1971, p. 11.
184
sostenendo che «l'arte recente si costituisce come una sorta di 'testo', un discorso sull'arte
per proprio conto. Il montaggio sostituisce la rappresentazione coerente smembrando la
primitiva unità dell'opera».358
Anche le opere presentate in questa ricerca possono essere analizzate dalla prospettiva
della citazione e del montaggio o piuttosto della citazione come montaggio. In particolare
Novelli, in tutta la sua produzione, riflette questa modalità.
Tutta la sua opera, come visto, può essere considerata un grande lavoro sulla memoria,
costruita su un'enorme quantità di frammenti eterogenei, costituiti in buona parte di
citazioni da opere e testi antichi o contemporanei, fatti biografici, loro rielaborazioni. Il suo
assomiglia molto al metodo indicato da Didi-Huberman, sulla scorta degli studi di Bloch,
che vede la memoria come «una configurazione impura, di un montaggio - non storico del tempo»,359 in quanto viene negata l'idea di storia come «scienza del passato» perché
questo non esiste.
Novelli, come molti dei suoi amici intellettuali, negava l'idea di storia come successione
coerente di fatti che devono essere registrati, accogliendo invece il concetto più fluido di
memoria che ha una connotazione più personale e non regolamentata. Nella sua opera degli
anni Sessanta, il montaggio tra figura e scrittura è l'aspetto più evidente e assolve al
compito di rendere equivalenti i due strumenti di comunicazione e di creare un flusso
continuo di riferimenti, fatti e analisi in un riuso continuo di materiali che, da bricoleur,
mette a sua disposizione.
L'uso indifferenziato di frammenti testuali eterogenei, da collegare a pratiche analoghe
della letteratura della neoavanguardia, è stato più volte messo in collegamento dalla critica
contemporanea con l'atteggiamento che gli scrittori manieristi adottarono in contrasto con
la normatività della cultura rinascimentale, alla quale sostituirono modelli artificiosi
358
359
Hans Belting, La fine della storia dell'arte o la libertà dell'arte, Einaudi, Torino 1990, p.53.
Didi-Huberman 2007, cit., p.37.
185
distanti dalla natura e dalla realtà. Sedlmayr notò che sia il contatto privilegiato con la
morte, sia la citazione di forme artistiche di varie epoche, sono elementi che accomunano
l’anticlassicismo manierista e l’arte contemporanea.360
Fu infatti a partire dalla fine degli anni Cinquanta che gli artisti operarono, secondo il
saggio di Bonito Oliva del ‘76, «in un mondo dove tutto è già stato detto, e non rimane che
la citazione o la coscienza dell’essere parlati»361 in un momento in cui, come nel
Manierismo inteso nel senso di superamento dell’utopia rinascimentale, si torna ad avere
«quella coscienza di thanatos» con cui è necessario il confronto. Il rapporto positivo con la
tradizione che si poteva ancora avere nel modernismo, assume i caratteri angosciosi della
consapevolezza del ‘già detto’ che porta all’appropriazione di opere e stili del passato
senza un progetto di identificazione ideale ma con il senso, in generale, di riuso di
materiale messo a disposizione dalla storia. Negli studi di quegli anni emerge che come il
Manierismo si configura come un antirinascimento che scompagina, dopo averli assunti,
tutti i parametri classici, così la neoavanguardia del Novecento lavorava sulla citazione.
La comune consapevolezza dell’impossibilità di presa sul mondo, avvicinano le due
epoche centrando sul linguaggio la loro arte e sul potenziale occultamento che questo
consente. «Il linguaggio poetico del secondo ‘500 lavora più su quello che è taciuto,
interdetto, che su ciò che è svelato e palese: la metafora è sempre una forma di rimando più
che una presa concreta sulle cose del mondo»,362 e così il ricorso all'artificio, compresa
l'intera gamma di giochi linguistici adottati, che dichiarano la sovrastante «potenza del
significante»,363 sono specchio di un mutato rapporto con la parola.
360
361
362
363
Hans Sedlmayr, Perdita del centro, Rusconi, Milano 1974.
Achille Bonito Oliva, L’ideologia del traditore: arte, maniera, manierismo, Feltrinelli, Milano 1976,
p.11.
Bonito Oliva 1976, cit., p.75.
Giancarlo Innocenti, L'immagine significante. Studio sull'emblematica cinquecentesca, Liviana, Padova
1981, p.37.
186
Manganelli, uno degli scrittori più significativi della neoavanguardia italiana e che ebbe un
profondo rapporto di amicizia e professionale con Novelli (che sarà analizzato in seguito),
nella presentazione di Della dissimulazione onesta,364 ammette che a lui «forse il trattatello
dell’Accetto interessava soprattutto perché supremamente ambiguo, di esigua luce e folto
della amara sapienza dell’ombra», esaltando così quel luogo di margine dato dall'incertezza
dove possono coesistere parole e immagini, corporeità e intelletto, intuizione ed errore. Poi
definisce le cancellazioni, la frammentazione e le operazioni di nascondimento fatte
dall'autore sul testo prima di pubblicarlo come «cicatrice che strazia il mondo». Lo stesso
Accetto, nel suo testo, elogia Pitagora, il quale «sapendo parlare, insegnò di tacere; e in
questo esercizio è maggior fatica, ancorché paia d'esser ozio».365 L’onestà della
dissimulazione per l’autore seicentesco (e per Manganelli) è la pura accettazione di una
condizione esistenziale, senza gli infingimenti della illuminante razionalità che nasconde
per eccesso di volontà chiarificatrice. La dissimulazione, come la menzogna, è per lo
scrittore milanese una pratica che rappresenta meglio la capacità della parola di dire
tacendo.
Uno dei primi studi sul rapporto tra Manierismo e età contemporanea è quello di Hocke
(1959) pubblicato in Italia nel ‘65, e presente - con chiose e molte sottolineature soprattutto
dove si parla di giochi verbali - nella biblioteca di Manganelli conservata presso il Fondo
Manoscritti dell'Università di Pavia. La prima edizione tedesca è del '59366 (dunque
potrebbe esser stato letto anche da Novelli in lingua originale), e fu un testo analizzato da
molti esponenti della neovanguardia, alcuni dei quali si trovarono anche a criticarlo per i
passaggi considerati azzardati e per i confronti tra forme artistiche estrapolate forzatamente
dai rispettivi contesti storici.
364
365
366
Torquato Accetto, Della dissimulazione onesta, edizione critica a cura di S.S. Nigro e presentazione di G.
Manganelli, Costa & Nolan, Genova 1983.
Accetto 1983, ivi, p.69.
Gustav René Hocke, Manierismus in der Literatur, Sprach-Alchimie und esoterische Kombinationskunst,
Rohwolt, Hamburg 1959.
187
Anche se con alcune confusioni, nel saggio sono messi in evidenza gli aspetti più
significativi che emergono dal confronto tra gli artifici della lingua nei due momenti
culturali: arte combinatoria, deformazione delle regole, uso di figure retoriche, tendenza
alla follia, figure enigmatiche, plurilinguismo, sperimentazione. Oltre a insistere su figure
come il labirinto o la torre di Babele e all’importanza della Cabala, sono delineati
interessanti riferimenti ai giochi linguistici: quadrati magici letterari, lipogramma,
pangramma, crittografie e poesia-rebus, fino a parlare del fascino del gioco di parole.
Come sottolinea Hauser nel suo importante saggio del 1965, il Manierismo non si ripete
nelle forme, ma è riemerso, dopo il '600, in diversi periodi storici connotati da una
profonda crisi di valori come quella contemporanea.367 Il fenomeno è diffuso in tutta la
letteratura europea e americana di avanguardia, ma per questo studio è importante
sottolineare che particolarmente in Italia e in Francia si possono operare confronti con il
Manierismo. Da mettere senz’altro in evidenza è il profondo legame che nella ripresa di
temi e iconografie del passato si manifesta nei due paesi. L'aspetto specifico del gioco
linguistico è un argomento che mette in rilievo uno degli aspetti più interessanti del
paragone che si può operare. Le lingue dei due paesi si prestano particolarmente alle varie
coniugazioni di giochi verbali, che si basano soprattutto sull’omofonia per il francese, più
sulla frammentazione sintagmatica per l’italiano. In tutt’e due i paesi è radicata
l’interazione tra campo letterario e iconico che creò terreno fertile per la produzione di
giochi, come è stato sottolineato a proposito del rebus.
Gli artifici della lingua, il sottile gioco sotteso tra aspetto iconico della lingua scritta,
impaginazione tipografica e sistema interattivo tra chi crea e chi legge le scritture figurate
(anche se non chiedono una soluzione), la ripresa in generale di forme e modi del passato
nella coscienza di operare una 'ripetizione differente' di modelli già dati, consentono agli
367
Arnold Hauser, Il manierismo. La crisi del rinascimento e l'origine dell'arte moderna, Einaudi, Torino
1988 [1965], pp.327-329.
188
artisti e scrittori di re-inventare liberamente le rigide regole sottese ai modelli più antichi.
Sono rari infatti i casi di interpretazione ‘filologica’ dei codici costruttivi.
La libertà rispetto alle regole codificate è molto evidente nell'opera di Novelli, ma, a
diversi livelli, tutti gli artisti presi in considerazione non si sono attenuti alle costrizioni
implicite. (È nell'ambito dell'Oulipo francese, che fu fondato da Queneau e Le Lionnais nel
1960 e di cui farà parte Calvino che, al contrario, rigide contraintes sono cercate e
utilizzate come stimolo creativo e per annullare l'idea della 'ispirazione artistica').
Tra gli scrittori italiani del Gruppo 63 è proprio Manganelli a mostrare un interesse
maggiore verso forme letterarie manieriste e barocche, a iniziare dalla sua tesi laurea sul
pensiero politico dopo Machiavelli.368 La sua propensione verso forme e artifici di epoche
passate è testimoniata dalla sua opera letteraria e dal grande rilievo che alle tecniche della
retorica viene dato nelle sue opere e nelle sue dichiarazioni di poetica. Dalla recente
pubblicazione di scritti inediti (1940 - 1982),369si può verificare quanto lo scrittore 'diventi'
manierista nel tempo, ovvero non prima della pubblicazione del suo primo libro,
Hilarotragoedia,370 in quanto all'inizio della sua produzione 'privata' tende a censurare tutti
i termini troppo arcaici e le forme complesse che diventeranno in seguito cifra della sua
scrittura.
Non è naturalmente questa la sede per analizzare uno scrittore tanto complesso e tanto
studiato, ma è interessante sapere che nella sua biblioteca, oltre al già citato testo di Hocke,
sono ancora presenti numerosi volumi che dichiarano il suo interesse per la cultura
manierista e barocca e il suo ripresentarsi come modello per il contemporaneo.
368
369
370
Giorgio Manganelli, Contributo critico allo studio delle dottrine politiche del '600 italiano, a cura di
P.Napoli, Quodlibet, Macerata 1999.
Giorgio Manganelli, Ti ucciderò mia capitale, Adelphi, Milano 2011.
Giorgio Manganelli, Hilarotragoedia, Feltrinelli, Milano 1964. Edizione consultata Adelphi, Milano
2003 [1987].
189
2.2 Novelli e il Gruppo 63
Nel suo confronto tempestivo tra artisti figurativi e letteratura contemporanea, Fagiolo
dell'Arco ha ricordato che «molti artisti guardano al simbolo, all'oggetto, alla realtà,
innovando gli schemi eidetici e iconologici. Per il livello linguistico, molte di queste
ricerche si apparentano, in letteratura, alle proposte del ‘gruppo 63’ e dei poeti ‘novissimi’
(pensiamo alla poesia collage di Balestrini, alla poesia racconto di Giuliani, alla poesia
romanzo di Pagliarani, alla poesia fisica di Porta, alla poesia fiume di Sanguineti). Anzi si
adattano molto bene a questi pittori i 'caratteri tipici' del poeta moderno distinti da Alfredo
Giuliani per la discontinuità del processo immaginativo, l'asintattismo, la violenza operata
sui segni, la compresenza di vari ordini del discorso, la scomposizione e ricomposizione
della struttura sintattica, la frase sospesa o interrotta dal premere di altre frasi, l'asprezza o
l'atonalismo del metro e così via».371 Fagiolo fa poi i nomi di Rotella, Perilli e Novelli per
la prospettiva 'novissima' della generazione più anziana. Con questo termine non vuole
però indicare una generazione di 'giovanissimi' anche perché giovani e anziani del Gruppo
63 condivisero la scelta del non più giovane Gadda come padre putativo dello
sperimentalismo.
Sempre secondo il critico, «Gastone Novelli va alle basi di un nuovo linguaggio. Non
cerca l'immagine ma il segno, non la parola ma la lettera, auspica un ritorno al nucleo
originario della vita. Si sforza di sapere tutto per dimenticare subito tutto: una “docta
ignorantia” per ritrovare un'impossibile spontaneità. I suoi quadri sono una difficile
operazione di equilibrio: tra vita e gioco, tra cielo e terra, tra temps perdu e tempo
ritrovato, tra parola e immagine, tra classicità e romanticismo, tra autobiografia intimistica
e società».372 Molti sono i modi e temi trattati parallelamente da scrittori e pittori, alcuni
dei quali sono stati messi in evidenza nel corso del presente studio.
371
372
Fagiolo 1966a, cit., p.21.
Fagiolo 1966a, cit., p.23.
190
Documentato dalle fotografie di Mario Dondero, il grande fotografo amico personale del
pittore, e dalla testimonianza di Eco,373 Novelli partecipò alla prima riunione degli scrittori
del Gruppo 63 che si tenne a Palermo dal 2 al 9 ottobre nell'ambito della manifestazione
Settimana internazionale Nuova Musica.374 L'antologia degli scritti dei trentaquattro
partecipanti a quel primo convegno, edita da Feltrinelli,375 porta sulla copertina un suo
disegno (fig.142) che si presenta come un disordinato elenco in ordine alfabetico dei nomi,
più altri disposti seguendo una numerazione misteriosa.
Il nome che gli scrittori diedero al movimento fu su suggerimento di Luigi Nono, e fa
riferimento al tedesco Gruppo 47. Si formò sulla spinta dalle sperimentazioni letterarie de
“Il Verri” di Luciano Anceschi. Le riunioni - aperte a scrittori, pittori, musicisti e persone
interessate - erano incontri con letture seguiti da dibattiti molto accesi, ben lontani dalle
discussioni accademiche tanto aborrite.
Novelli entrò in contatto con gli scrittori Novissimi alla fine degli anni Cinquanta
attraverso Perilli - con il quale aveva già vissuto la breve ma significativa avventura della
rivista “Esperienza Moderna”- e tramite Plinio de Martiis e l'attività della galleria La
Tartaruga, che frequentava. Contemporaneamente iniziò a trascorrere periodi a Parigi e
incontrare gli scrittori della neoavanguardia francese di area tardo surrealista e del
Nouveau Roman, conosciuti soprattutto attraverso lo stesso Perilli, Giancarlo Marmori e
Nello Ponente che lo presentò nel ’61 alla Galerie du Fleuve.
Le sperimentazioni degli scrittori italiani furono senz'altro un riferimento importante per lo
sviluppo dell'aspetto linguistico nelle opere degli anni Sessanta e andarono a integrarsi con
il ricco bagaglio culturale che Novelli si era creato negli anni Cinquanta anche grazie alla
373
374
375
Umberto Eco, Il Gruppo 63 quarant'anni dopo, in Costruire il nemico, Bompiani, Milano, 2011, p.144.
Tra gli artisti oltre a Novelli, c'erano Perilli, Angeli, Mauri e Baruchello. I giorni 3,4,6,7 ottobre si
svolsero nella Sala Scarlatti incontri con il pubblico introdotti da Gillo Dorfles, Achille Perilli e Nello
Ponente (Balestrini, Giuliani 2002).
Nanni Balestrini, Alfredo Giuliani (a cura), Gruppo 63. La nuova letteratura. 34 scrittori. Palermo
ottobre 1963, Feltrinelli, Milano 1964.
191
frequentazione di Emilio Villa. Infatti si può affermare che il poeta milanese, conosciuto in
Brasile nel '51 e frequentato anche dopo il loro rientro in Italia, abbia significato molto per
la sua formazione e per la produzione di carattere informale di quegli anni, ma poi, dovuta
in parte a una divaricazione di interessi e al fatto che Villa non vedeva di buon occhio gli
sperimentatori italiani - soprattutto Sanguineti, come già visto - ci fu un allontanamento e
una diversa scelta di campo.
Il profondo mutamento che si avverte nel passaggio tra anni Cinquanta e Sessanta
nell'opera dell'artista va in parallelo con diversi interessi che andò maturando in campo
linguistico.
Novelli si era trovato a condividere con Villa l'assoluta centralità data al logos, unità
primigenia dell'esistente, a cui il poeta approdò in seguito alla sua adesione al
neognosticismo, vista alla luce di una incolmabile distanza tra l'uomo e il mondo. Villa fu
inoltre un autore di avanguardia complesso e molto attivo nella sua incessante ricerca
dell'originarietà, del linguaggio primordiale che si sovrappose agli studi di antropologia
che Novelli andava compiendo negli anni brasiliani.376 Partendo dalla certezza che il valore
fonico e visivo della parola abbia scardinato tutti gli elementi denotativi del linguaggio,
Villa era un infaticabile studioso di testi esoterici e un grande sperimentatore di forme
linguistiche alternative. Le sue conoscenze si andranno a intersecare con gli studi di
alchimia, Cabala e numerologia che Novelli stava approfondendo soprattutto attraverso la
fondamentale opera di Jung.
Dopo alcuni anni di frequentazione con gli scrittori d'avanguardia italiana e francese, la
cura del già citato volumetto Antologia del possibile,377 porta Novelli a comporre insieme
testi e illustrazioni di scrittori e artisti di vari generi e nazionalità. Gli scrittori italiani sono
quasi tutti Novissimi: Balestrini, Giuliani, Pagliarani, Sanguineti.
376
377
Spano 2002, cit.
Per un'analisi dell'opera vedi Marco Rinaldi, L'Antologia del possibile di Gastone Novelli: narrazioni e
linguaggi per gli anni Sessanta, in “Avanguardia”, n. 45, Roma 2010, pp.93-107.
192
La rivista “Grammatica” fondata nel '64 con Perilli, Manganelli e Giuliani e la
collaborazione di molti altri, fu invece un luogo di confronto tra letteratura, arte figurativa,
teatro e musica aperto alla progettualità e alla sperimentazione.
In un’intervista a me rilasciata,378 Perilli ha ricordato che l’idea di “Grammatica” gli venne
con la nascita del Gruppo 63, di cui lui faceva parte, e grazie agli stretti rapporti che aveva
con Giuliani e Manganelli. Lo spirito era anche quello di aiutare giovani artisti e scrittori
con la pubblicazione delle loro opere. Tutti i cinque numeri della rivista vennero finanziati
da lui stesso, così come l'altra rivista, “Esperienza Moderna”, che si poneva contro
l'informale e in favore di una pittura di 'narrazione astratta' di apertura europea, mentre la
nuova rivista non aveva bisogno di questa apertura perché con il Gruppo 63 si era formata
un’avanguardia letteraria italiana. “Grammatica” non era stata concepita come serie di
numeri unici, come poi risultò, ma la discontinuità era dovuta alla difficoltà di Perilli a
pubblicarla. Sulla rivista sono accolti anche contributi di musicisti e registi teatrali in
contatto con lui.
Novelli partecipò in realtà a soli due numeri: il primo del 1 novembre del '64 in cui la
copertina è occupata dalla stesura della dialogo a più voci tra Balestrini, Giuliani,
Manganelli, Novelli, Pagliarani, Perilli (cfr.§1.3.3) che affronta il significato del titolo dato
alla rivista, il tema dell'arbitrarietà (a cui sembrano interessati soprattutto Novelli e Perilli),
l'universo inteso in primo luogo come linguistico (Manganelli), l'importanza della
catalogazione, alcune interpretazioni del concetto di linguaggio considerato come vero
dato oggettuale o come organizzazione di niente se non di sé stesso o ancora come un
luogo abitabile in cui si può trovare il suo significato. Il secondo numero del 2 gennaio '67
riguardò il teatro d'avanguardia e fu curato soprattutto da Perilli e Giuliani.
Quando uscì il terzo numero, il 3 luglio del '69, Novelli era già scomparso, e fu utilizzato
materiale già pronto da tempo. Il quarto, del settembre '72 e sottotitolato Kombinat Joey, è
378
Intervista del 26.6. e 10.8.2009. Ringrazio Achille Perilli e Lucia Latour per la loro ospitalità e
disponibilità.
193
dedicato a una esperienza interdisciplinare che diede luogo a uno spettacolo teatrale nel
luglio dello stesso anno.
L'ultimo numero, uscito nel maggio del '76 e curato dal solo Perilli, è un omaggio all'amico
scomparso, con la pubblicazione di tutti gli scritti, conservati soprattutto presso l'Archivio
Novelli di Roma, di cui molti a quel tempo ancora inediti.
Il materiale di redazione della rivista è andato in buona parte disperso. La parte conservata
in nove cartelle presso l'Archivio Perilli riguarda soprattutto bozze di articoli, interessanti
appunti con dichiarazioni di intenti, alcuni bozzetti di opere, foto. Tra le lettere conservate,
quella manoscritta di Luciano Anceschi del 20.9.’69 su carta intestata Cattedra di Estetica,
Università di Bologna, è un bel commento di un grande intellettuale: «Caro Perilli, grazie
per l’invio di Grammatica. Non da ora ammiro questa rivista. La veste grafica trova un suo
ritmo leggero, profondo, non conforme a modelli standard, non senza certa allusività e
particolare sensibilità, in cui il gesto pittorico e una linea inventata si risolve tutto in
grafismo. Ottimo. Spero di venire presto a Roma; e spero anche di vederla presto. Quel che
ha lasciato scritto Novelli è importante! Molte cose cordiali, suo Luciano Anceschi».
Perilli ricorda che i redattori della rivista decisero di non aderire a ideologie politiche
anche se soprattutto Balestrini e Pagliarani erano molto schierati mentre Giuliani no.
Anche se Novelli dal maggio del '64 era iscritto al sindacato degli artisti, in quegli anni, dal
punto di vista ideologico, con la sua opera e con le sue dichiarazioni, sembra schierarsi con
quelli del Gruppo che, come Guglielmi, credono in un’avanguardia «a-idelogica,
disimpegnata, astorica, in una parola 'atemporale'; non produce messaggi, né produce
significati di carattere generale» a differenza della posizione, ad esempio, di Sanguineti che
credeva nel rapporto tra ideologia e linguaggio. Cambierà idea nel '66, quando la guerra in
Vietnam e la protesta studentesca non potette essere più ignorata e iniziò anche in Italia un
194
forte movimento di opinione antiamericano a cui Novelli aderì, iniziando a esprimere
anche nelle sue opere una forte presa di posizione politica.
Per quanto riguarda poi la codificazione di regole certe a cui far riferimento è ancora
Guglielmi che crede che l'avanguardia «non conosce regole (o leggi) né come condizione
di partenza, né come risultato di arrivo. Suo scopo è quello di recuperare il reale nella sua
intattezza: ciò che può fare sottraendolo alla Storia, scoprendolo nella sua accezione più
neutra, nella sua versione più imparziale, al grado zero».379
Con i componenti del Gruppo Novelli strinse importanti rapporti professionali e di
amicizia, condividendo aspetti essenziali del suo lavoro soprattutto dal punto di vista della
linguistica, a cui si interessò studiando testi, alcuni dei quali ancora presenti nella sua
biblioteca (Arch. Mich.) come i due di Jakobson, Théorie de la littérature, Éditions de
Seuil, Paris 1965, senza chiose e Saggi di linguistica generale del 1966 di cui ha
sottolineato alcune parti significative e il testo di Stephen Ullmann, La semantica, dello
stesso anno.
Con i due scrittori che fondarono la rivista “Grammatica”, Manganelli e Giuliani, ebbe un
legame particolare, soprattutto con il primo di cui parlerò nel prossimo paragrafo. Con
Giuliani eseguì due opere a quattro mani: interventi a matita di Novelli (1963) su due
poesie visive dello scrittore.
Tra i libri ora nell'Archivio Michielin sono conservati molti testi di Giuliani, come Povera
Juliet e altre poesie, (Feltrinelli 1965) con una bellissima dedica a Novelli. Lo stesso libro
si apre con un componimento dedicato al pittore. Tra i numerosi testi di Pagliarani, c'è un
bel libro d'artista eseguito dallo scrittore con interventi di alcuni amici pittori. Dello stesso
Pagliarani è conservato anche ma il sangue è vero che ha un ritmo, un testo autografo in
379
Nanni Balestrini, Alfredo Giuliani, Gruppo 63. L'Antologia, Testo&Immagine, Torino 2002.
195
copia unica con cinque disegni originali di Franco Angeli. La presenza di questi due libri è
sicuramente una prova del loro legame.
Ci sono inoltre testi di Porta, Balestrini, Vasio, Niccolai e le due antologie del Gruppo,
quella del '64 e quella del '65.
Tra le opere eseguite per scritti di autori del Gruppo, nel '64 illustra con disegni Pelle
d'asino di Giuliani e Pagliarani.380 Nello stesso anno esegue il dipinto Barcelona (omaggio
a Germano Lombardi) dedicato al libro del suo amico, uno dei fondatori del Gruppo,381
ancora presente nella sua biblioteca insieme a L'occhio di Heinrich382 (Arch. Mich.).
Una lettera di Lombardi a Novelli, senza data, è conservata tra le carte del pittore e
sancisce il rapporto di affetto tra i due che condividevano molte amicizie legate anche alla
frequentazione della galleria La Tartaruga.
Novelli curò nel '66 la veste grafica (copertina e una litografia) del poema satirico Vita vita
vita!383 di Augusto Frassineti, grande amico anche di Manganelli con cui condivise una
certa distanza dal Gruppo.
380
381
382
383
A.Giuliani, E.Pagliarani, Pelle d'asino. Grottesco per musica, Scheiwiller, Milano 1964. I disegni
originali sono ora conservati presso l'Archivio Michielin.
Germano Lombardi, Barcelona, Feltrinelli, Milano 1963.
Germano Lombardi, L'occhio di Heinrich, Feltrinelli, Milano 1965.
Augusto Frassineti, Vita vita vita, Alfa, Bologna 1966. In 50 copie numerate e 15 contrassegnate da
lettere con una litografia firmata tirata dal litografo Bulla di Roma. Il testo era già comparso su “Il Caffè
letterario” a.XII, n.6, dicembre 1964.
196
2.3 Manganelli e Novelli
Anche la figlia Lietta ricorda che il padre ebbe pochi amici nel Gruppo 63 a causa della sua
tagliente vena polemica che non risparmiava nessuno «per cui sinceramente non era molto
amato, infatti sono pochissimi quelli che poi sono rimasti amici suoi, Gastone Novelli,
Baruchello, più che altro i pittori; o i giovanissimi, Nanni Balestrini ecc.».384
Arte figurativa
L’interesse di Giorgio Manganelli per l’arte figurativa è testimoniato dal grande numero di
scritti lasciati su artisti di vari periodi e pubblicati in cataloghi, saggi e riviste che sono in
via di catalogazione presso il Fondo Manoscritti dell'Università di Pavia.
Oltre ai già citati Novelli e Baruchello, altri sono gli artisti d'avanguardia di cui si occupò
come Toti Scialoja, Gina Pane e Giovanna Sandri con cui ebbe un intenso rapporto di
affettuosa amicizia. L'interesse invece per Pontormo e per il Manierismo è testimoniato
anche dalla segnalazione del Libro mio tra i cinquanta libri da lui consigliati in una
pubblicazione.385 In Salons386 sono riportati gli articoli su oggetti artistici di epoche e
ambienti culturali eterogenei pubblicati su “FMR” nel 1986. In ognuno di questi oggetti lo
scrittore riesce a raccontare, in maniera colta e visionaria, la particolare immagine del
mondo che lasciano intuire.
Gioco
Manganelli assume la dimensione del gioco come necessaria alla scrittura. La letteratura è
immorale e l’arte retorica ne è la forma. «Il terribile lanciatore di fulmini, entrato nella
fragile rete della retorica, cessa totalmente di esistere, si trasforma in invenzione, gioco,
384
385
386
Ermanno Cavazzoni (a cura di), Album fotografico di Giorgio Manganelli. Racconto biografico di Lietta
Mangaelli, Quodlibet, Macerata 2010, p.63.
Cesare Garboli, Giorgio Manganelli, Cento libri, Archinto, Milano 1997.
Giorgio Manganelli, Salons, Adelphi, Milano 2000.
197
menzogna».387
Il «disordinato rigore» delle figure retoriche riporta con evidenza all’idea del linguaggio
come un gioco linguistico continuo. «Il destino dello scrittore è lavorare con sempre
maggior coscienza su di un testo sempre più estraneo al senso»388 e che dunque si presta,
nella certezza di non dover rivelare alcuna ‘verità’, al gioco, al nascondimento, al nonsenso e all’enigmaticità intrinseca del linguaggio.
L’esattezza coincide per Manganelli con la menzogna del congegno letterario, che
«possiede e governa il nulla. Lo ordina secondo il catalogo dei disegni, dei segni, degli
schemi. Ci provoca e sfida, offrendoci un illusionistico, araldico pelame di belva, un
ordigno, un dado, una reliquia, la distratta ironia di uno stemma».389 La letteratura diventa
costruzione di una struttura composta di parti che entrano in un gioco perfettamente
ordinato.
La prossimità di queste affermazioni con l’assunto di base di ogni gioco linguistico è
evidente. Manganelli non si è mai espresso direttamente circa il suo interesse a questo
particolare ambito della linguistica, lasciando però numerosi indizi nei suoi scritti, nelle
sue dichiarazioni e, non ultimo, nella sua biblioteca dove sono presenti testi di autori come
Perec, Queneau e tanti altri, interessanti ai fini della nostra ricerca.
Sotto questo profilo è significativa l’amicizia e la reciproca stima che ebbe con Italo
Calvino (il quale, tra l’altro, si può considerare tramite tra l’Oulipo390 e l’Italia) e con
Giampaolo Dossena documentata da due lettere conservate presso il Fondo Manoscritti
dell’Università di Pavia. Le due lettere di Dossena, scritte il 18.2.1985 e il 24.3.1985
dichiarano un rapporto epistolare solo agli inizi, da mettere in relazione con l’attività dello
387
388
389
390
Giorgio Manganelli, La letteratura come menzogna, Adelphi, Milano 2004 [1985], p.217.
Manganelli 2004 [1985], cit., p.222.
Manganelli 2004 [1985], cit., p.223.
La nascita dell’Oulipo si fa risalire alla prima riunione del gruppo il 24.11.1960. Nel 1973 uscì La
littérature potentielle (Créations Re-créations Récréations), Gallimard. La traduzione italiana si ebbe solo
nel 1985 a cura di R.Campagnoli e Y.Hersant con la Clueb di Bologna. La particolare impostazione della
letteratura oulipiana è quella delle palesi restrizioni autoimposte dagli autori.
198
studioso di giochi per varie testate italiane. Nel suo dizionario dei giochi con le parole,391
Dossena cita Manganelli nell’introduzione, come uno degli scrittori che si mostrarono
molto interessati all'argomento.
Manganelli e Novelli
Molti sono dunque gli interessi che, da prospettive molto diverse, legano Manganelli e
Novelli. Non ultimo il fatto sottolineato anche da Perilli nel suo racconto sui rapporti tra i
redattori della rivista “Grammatica”, che solo Manganelli era interessato all'esoterismo,
alla Cabala e all'alchimia perché era stato in analisi con lo psicanalista junghiano Ernst
Berhnard che era un cultore di scienze esoteriche.
Dall'analisi fin qui svolta sono emersi particolari aspetti del lavoro del pittore che possono
essere messi in relazione con alcuni di quelli dello scrittore. Si vogliono qui dare delle
ipotesi di lettura e di confronto.
Ne La palude definitiva,392 ultimo testo uscito postumo di Giorgio Manganelli, leggiamo:
«i vapori, prossimi e lontani, vanno disegnando ipotesi di edifici, subito sciolti e ricomposti
in una catena montana, e forse in una folla di taciturni quanto enormi animali in marcia
cadenzata; ma venti, che ignoro donde vengano, ridisegnano nell’aria segni araldici,
alfabeti, ideogrammi, disegni complicatamente enigmatici quanto effimeri, che
sperimentano una istantanea soluzione, lo scioglimento di un rèfolo subitaneo e squisito.
Tutto ciò, questo costruire e disfare, questo nascere e disperdersi, avviene in un attimo di
perfetto silenzio, come se io fossi coinvolto in un momento sacro all’inizio del mondo,
quando ancora non esiste il progetto del rumore».393
Il viaggio attraverso una palude fantastica e senza confini, sul dorso di un’enigmatica
figura di cavallo, offre, oltre questa, altre numerose immagini visive che ricordano molto
391
392
393
Dossena 2004, cit.
Giorgio Manganelli, La palude definitiva, Adelphi, Milano 1991.
Manganelli 1991, ivi, pag.27.
199
da vicino tratti fondamentali delle opere di Novelli. Appare a volte evidente il carattere di
ekphrasis del testo manganelliano, dove vivida sembra essere la memoria dei segni del
lavoro del suo amico artista scomparso molti anni prima.
La qualità dinamica delle immagini che si offrono al lettore, lontane dalla geometrica
evidenza del viaggio immaginato da Calvino ne Le città invisibili, riporta «all’interno di
uno spazio mutante»394 molto vicino alla destrutturata composizione di segni operata
dall’artista figurativo.
Il concatenarsi di immagini che appaiono con la lettura del testo offre molti spunti per far
entrare in un “labirinto proliferante” molto praticato dall’autore fin dall’esordio con
Hilarotragoedia, opera illustrata da Novelli e di cui si parlerà in seguito. La palude
definitiva, titolo del testo di Manganelli, proposto dalla curatrice Ebe Flamini, fa
riferimento allo specchio d’acqua attorno al quale si svolge l’azione del protagonista.
Il viaggio onirico rappresentato in forma di ‘non-romanzo’ ricorda, a mio avviso, il viaggio
dell’Ebdòmero dechirichiano, presentato da Manganelli all’inizio degli anni Settanta per
l’edizione Longanesi,395 quando l’esperienza letteraria dello scrittore milanese iniziava ad
«abbandonare le complesse strutture di tipo manieristico la sintassi argomentativa, e perciò
molto ipotattica, i giochi d’artificio di tropi e le altre retoriche figure»396 e dopo aver
definito cinica, disubbidiente, manipolatoria e fondamentalmente menzognera la pratica
letteraria.
La letteratura come menzogna,397scritto nel 1967, sembra riassumere il senso dell’adesione
di Manganelli all’avanguardia letteraria degli anni Sessanta, secondo la particolare
prospettiva dei modi della retorica, eccellente manifestazione della finzione delle
costruzioni verbali scritte, per altro, in una lingua considerata ‘morta’, come l’italiano.
394
395
396
397
Mario Barenghi, Narrazione, in Belpoliti, Cortellessa 2006, pag.412.
Giorgio de Chirico, Hebdòmero, presentazione di G.Manganelli, Longanesi, Milano 1971.
Maria Corti, Gli infiniti possibili di Manganelli, in Belpoliti, Cortellessa, cit. 2006, pag.243.
Giorgio Manganelli, La letteratura come menzogna, Feltrinelli, Milano 1967.
200
E’ interessante notare come l’apparizione di Manganelli nel 1964 con l’opera che lo farà
entrare di diritto nel Gruppo 63, sia stata subito accompagnata dalla presenza di Gastone
Novelli, il quale, suo amico da alcuni anni, oltre che a lavorare per Hilarotragoedia, come
visto, fonderà con lui e altri la rivista “Grammatica”.
Già De Benedictis ha messo in rilievo la profonda comunicazione che si venne a creare tra
il pensiero di Manganelli e l’opera di Novelli. Un aspetto interessante che viene
evidenziato in uno dei suoi saggi è quello che riguarda la ‘spazialità’ nel testo che avvicina
particolarmente Manganelli alle arti visive (e sicuramente all’opera di Novelli).398 Così
come la ‘passione’ per il catalogo, l’enumerazione di quantità e infine la letteratura come
gioco arbitrario, contro, in definitiva qualsiasi intento positivo e costruttivo della
letteratura. Dopo aver sottolineato quanto il bianco delle opere di Novelli possa esser
messo in relazione con il concetto di ‘abitabilità’ dell’universo linguistico secondo
Manganelli, lo studioso fa un accenno alla «ricerca comune sul linguaggio» con artisti,
oltre Novelli, come Perilli, Scanavino, Baruchello e Twombly.
Tra Manganelli e Novelli si creò un sodalizio che andò evidentemente oltre la
collaborazione tra lo scrittore e il pittore. Le reciproche dichiarazioni di stima uscite
ufficialmente nell’intervista rilasciata da Novelli a Crispolti nel '64399 e poi ribadite nel '66,
nello scritto dedicato da Manganelli all’amico pittore e presentato in forma di fumetto in
occasione della mostra sui disegni per Hilarotragoedia nel '65400 e poi ancora nella
presentazione alla mostra sempre presso la galleria Il Segno,401 mostrano un’affinità di
intenti espressivi riconosciuti dagli stessi autori e molto evidenti per tutti.
398
399
400
401
Maurizio De Benedictis, Manganelli e la finzione, Lithos, Roma 1998, pag.56.
In “Marcatrè”n.8-9-10, 1964, ora in “Grammatica” 1976, cit., pp.36-37, Novelli dichiara: «I novissimi,
poi come ti ho detto prima Germano Lombardi, Giorgio Manganelli che ha scritto un libro, dirompente,
con una lingua perfettamente italiana, per la prima volta da duecento anni, esiste un gruppo di gente che
lavora, in un modo, diciamo, non provinciale, più aperto e quindi, vicino a quella che è la nostra pittura.
Fino a oggi siamo rimasti sempre un po’ isolati e a me il dialogo fra letteratura, pittura, musica, sembra
necessario».
Gastone Novelli. Le radici dei segni, Galleria Il Segno, Roma aprile 1965. Nel pieghevole testi di
Klossowsky, Manganelli, Giuliani in forma di fumetto.
Gastone Novelli. “I segni, le lettere, i frammenti…”.Opere su carta 1957-1968, galleria Il Segno, Roma
1985.
201
Classificazione e mistero
In Nuovo commento leggiamo: «Non sarà inutile concisamente catalogare gli oggetti tra i
quali si è svolta la mia lenta e mutriosa infanzia (…) assai presto avevo scoperto
l’appartato gaudio di classificare con ingegnosa minuzia gli oggetti che affollavano la mia
casa; sui quali tentai le prime prove della mia fatale vocazione». E poi aggiunge: «certo la
mia ars classificatoria mancava affatto di basi scientifiche; tuttavia non sarà sfuggita al
lettore la rigorosa impostazione, che voleva smentita qualsivoglia descrizione funzionale,
laica, agnostica».402
L’attrazione di Manganelli per la catalogazione è ben rappresentata da questi brani, ma
molte sono le testimonianze in tal senso. Mentre la catalogazione di elementi eterogenei,
all’interno delle opere di Novelli è molto evidente (cfr.§1.3.3), una pratica diffusa nella
neovanguardia ma che mostra anche l'attrazione per il significato esoterico della
catalogazione dei segni del mondo presenti nella mistica ebraica.
Mentre l’enigmaticità, la stratificazione dei codici e l’assurda pretesa di poter,
definitivamente, catalogare i segni del mondo è dichiarata poco dopo sempre nel paragrafo
de Il caso del commentatore fortunato del quale Manganelli afferma che «Oh quell’uomo
aveva ben capito, aveva saputo: certe scoperte ad ogni apparenza inutili, e tuttavia
perseguite per tenebrosi quartieri, smaniosamente inseguite, saldamente colte, trascritte in
quella puntigliosa grafia, svelavano le gioie impervie, le astuzie di una sapiente follia. Egli
aveva odorato, auscultato, lappato, colto in tralice l’altro universo, che ignora mappe e
segnaletica, che si concede ai numeri casuali, l’ossuta iracondia dei dadi, la frivola moneta
frullata per l’aria, il libro spalancato con temeraria furia in attesa della indubitabile
proposizione, l’esauriente ed astruso crittogramma delle linee del palmo».403 Le ‘astuzie di
una sapiente follia’, uno dei tanti ossimori presenti nell’opera dello scrittore, dichiara la
402
403
Giorgio Manganelli, Nuovo commento, Adelphi, Milano 1993, pag.56-57.
Manganelli 1993, cit., pag.64.
202
possibilità manipolatoria, mistificatrice del linguaggio. Una ‘onesta dissimulazione’
nell’uso dei codici espressivi.
Combinatoria
La morte precoce di Novelli ha interrotto l’opera di un artista che era approdato nella
prima metà degli anni Sessanta a un linguaggio figurativo carico di suggestioni letterarie e
‘grammaticali’ che si erano consolidate nel giro di pochi anni. D’altro canto l’opera
letteraria di Manganelli subisce un’evoluzione che però non ha mai rinnegato le radici di
ricerca e sperimentazione del periodo di revisione radicale dei parametri linguistici
accademici. La costellazione di segni, la pratica della serialità e delle ipotesi combinatorie
molto evidenti in Centuria404 e così prepotentemente presenti nell’opera di Novelli degli
anni Sessanta, tornano in una caleidoscopica frammentazione a presentarsi in forma
‘affabulatoria’ nella sua ultima opera, La palude definitiva.
Il riferimento alla teoria e prassi manierista propri di una parte della neoavanguardia
contribuisce in larga parte alla creazione del particolare linguaggio manganelliano e del
suo vasto repertorio di immagini. A proposito di combinatoria, Pegoraro afferma che è
proprio l’artificiosità dell’immagine manierista a suggerire «un ingegnoso gioco di
combinazioni sempre rivolto all’interno, alla necessità che il linguaggio stesso si risolva su
di sé, senza varcare la soglia e il limite che la realtà gli oppone».405 Il grande uso di figure
retoriche diventa un infinito gioco linguistico, dove le diverse possibilità combinatorie del
linguaggio sono elemento essenziale che svela il carattere ‘menzognero’ della letteratura.
Seguendo poi il ragionamento della Pegoraro, si arriva a considerare l’artificiosità come
creatrice di immagini. È questo che sembra avvicini molto Manganelli al mondo dell’arte
404
405
Giorgio Manganelli, Centuria, cento piccoli romanzi fiume, Adelphi, Milano 1979.
Silvia Pegoraro, Il “Fool” degli inferi. Spazio e immagine in Giorgio Manganelli, Bulzoni, Roma 2000,
pag.54.
203
figurativa. L’aderenza alla ‘realtà’ o il suo contrario, lasciare libero sfogo
all’immaginazione partendo da un alfabeto (e una grammatica) di segni, è il campo dove
gli artisti figurativi si muovono.
Nell’opera di Novelli, con la combinazione di linguaggio e immagine sempre presente,
troviamo una sintesi tra i diversi atteggiamenti. Sintesi che diventa una sorta di ossimorica
compresenza tra artificiosità e realtà che spesso gioca tanto con la pratica della
frammentazione sia delle immagini che delle parole. Così come in quella di Manganelli
troviamo espressa la stessa pulsione ricreatrice di un ‘universo linguistico’ attraverso la
scomposizione e ricomposizione dei codici conosciuti. In alcune opere di Novelli troviamo
una radicalizzazione del principio di artificio-scomposizione-ricreazione quando arriva a
trattare il linguaggio in una sorta di 'affabulazione glossolalica' propria dei mistici o degli
alienati o a usare 'glossomanie', ovvero giochi verbali non sistematici. Tali aspetti
collocano l’opera di Novelli vicino ad alcune manifestazioni della cosiddetta Art Brut.
L’assenza di segni di interpunzione, la presentazione senza soluzione di continuità delle
parole, o la ripetizione di singole vocali, lettere o sillabe come in una specie di mantra è da
ricollegarsi nell’opera del pittore alla ricerca dell’originarietà del linguaggio che lo
avvicina comunque all’esigenza da parte degli scrittori di avanguardia come Manganelli di
svelare il mondo sotterraneo e oscuro del rapporto tra significato e significante e quindi
dell’uomo con il mondo positivamente rappresentato dal linguaggio.
Se Novelli si muove dunque alla ricerca dell’originarietà che include la dimensione magica
in contrasto con il ‘linguaggio accademico’ come affermava, Manganelli vede che proprio
«l’accadimento magico della verbalità distingue, frantuma continuamente la serie di
possibili universi».406
406
Graziella Pulce (a cura di), Lettura d’autore, citato in Pegoraro 2000, cit., pag.61.
204
Elenchi
Il tema dell'elenco, catalogo, lista è molto presente nell'ambito delle sperimentazioni di
avanguardia e già Sanguineti in Laborintus inserisce «sfilate, elenchi, serie interminabili
come le seguenti: “La caldaia o la sillaba del tuo cono e dei tuoi cammelli/ dei tuoi
papaveri delle tue tenaglie/ dei tuoi guinzagli/ del vetro o della collina/ del vocabolo
prescelto”».407
Ne Il rumore sottile della prosa408 troviamo molti articoli scritti tra la metà degli anni
Settanta e fino al 1990. In alcuni di questi testi sono numerosi i riferimenti alla pratica
catalogatoria e combinatoria che condivise anche con Novelli negli anni Sessanta.
A proposito di elenchi, Manganelli arriva a paragonare il romanzo alla guida del telefono,
«oggetto affascinante», definendolo «abisso insondabile ma illuminato da una volontà di
completezza e totalità che non ha l’esempio».409 E, a proposito di ‘miniaturizzazione’ del
sapere, affronta il tema dell’enciclopedia in polemica con chi professa una ‘ideologia
enciclopedica’, cioè con chi le attribuisca un intento pedagogico, egli è infatti interessato
molto più al suo aspetto magico ed evocativo. Nell’articolo Gli incantesimi
dell’enciclopedia fa una vera dichiarazione d’amore per questo tipo di opere dove
«l’universo si sbriciola e ricompone, secondo l’incredibile superstizione dell’ordine
alfabetico».410 (È interessante notare come Manganelli userà di nuovo il verbo
“sbriciolare” a proposito dell’uso della parola nei giochi linguistici degli amici esperti in
giochi.) L’enciclopedia Sonzogno letta durante l’adolescenza, era per lui affascinante
perché immersa in un’atmosfera magica. «Vi è qualcosa di stupendamente arcaico in questi
tentativi di ridisporre alfabeticamente il mondo, questa macchinosa, ma non codarda
classificazione, questo tendenzialmente infinito indice del mondo», aggiungendo che
407
408
409
410
Renato Barilli, La neoavanguardia italiana. Dalla nascita del “Verri” alla fine di “Quindici”, Manni,
Lecce 2007, p.56-57.
Giorgio Manganelli, Il rumore sottile della prosa, a cura di P. Italia, Adelphi, Milano1994.
Giorgio Manganelli, Che cosa non è un racconto, in “Nuovi argomenti”, aprile-giugno 1986, ora in
Manganelli 1994, cit., pag.33.
Giorgio Manganelli, Gli incantesimi dell’enciclopedia, in “Corriere della sera”, 8.6.1977, ora in
Manganelli 1994, cit., p.167.
205
«l’enciclopedia resta, a mio avviso, un genere letterario, vicino, almeno quanto i nonsense,
ai carmina, agli incantamenti; è, insomma, magia razionalizzata».411
Negli scritti di Novelli sono frequenti i riferimenti alla necessità per l’artista di formulare
cataloghi di segni, lettere e forme, frutto di una voluta o casuale frammentazione di sistemi
preesistenti. Lo ‘sbriciolamento’ che tanto incantava Manganelli - e che naturalmente è da
collegare con la scomposizione semantica operata dalle avanguardie della seconda metà
del Novecento - seduce dunque anche l’artista figurativo. La fascinazione per la
catalogazione del sapere secondo la casualità regolamentata ma necessaria dell’ordine
alfabetico, sarà propria anche di chi, come Novelli, ha usato in modo quasi ossessivo
grafici nei quali sono organizzati frammenti provenienti da culture e discipline diverse in
una sorta di ricomposizione immaginaria, “arbitraria” come diceva lo stesso pittore, del
mondo inteso come universo di segni eterogenei.
Il pittore coglieva inoltre l’aspetto ‘magico’ di questa operazione e anzi ne faceva uno
degli elementi fondanti del proprio fare artistico. Numerose sono le dichiarazioni a
riguardo, nelle quali la ‘magia’ è sempre contrapposta alla normativa accademica, statica e
ormai morta. La ricerca della dimensione magica non è in contraddizione con l’esigenza
razionalizzatrice che si consolida in Novelli sia attraverso il contatto con l’opera teorica e
artistica di Paul Klee che con i suoi studi concretisti degli anni Cinquanta. Impostazione
già presente negli anni brasiliani, quando l’artista fu chiamato a tenere dei corsi di
design.412
Impossibilità della storia
L’attenzione dedicata da Manganelli a dizionari di sinonimi, vocabolari, repertori
411
412
Manganelli 1994, cit., pag.168.
Tra il '51 e il '54 insegna composizione all'Istituto Superiore del Museo di San Paolo (Bonmassar 2011).
Appunti per il corso, sviluppati in seguito per programmarne uno a Roma che non svolgerà, sono in
“Grammatica” 1976, cit.
206
cronologici, annali - negli articoli tra gli anni Settanta e Ottanta - dichiara un gioco
effimero ma dilettevole che lo scrittore instaura con il sapere. I vocabolari sono «dormitoi
di parole, dove quelle stanno appese, come vipistrelli, e come alcuno le chiama a voce,
sùbito una si stacca».413
I repertori cronologici e gli annali riportano anche al tema dell’impossibilità della storia.
La successione degli avvenimenti e il loro concatenarsi non hanno più senso in quanto per
Manganelli dobbiamo considerare «la storia non come momenti successivi, ma come
momenti contemporanei».414 La contemporaneità di tutte le epoche (“tutte le età sono
contemporanee” di Eliot) annulla evidentemente la necessità della storia e apre al
panorama culturale delle neoavanguardie artistiche e figurative del Novecento portando a
pratiche come quella della citazione e dell’autocitazione, molto seguita come visto anche
da Novelli. Nell’intervista a Crispolti,415 già citata, Novelli prima dichiara, a proposito di
memoria nella sua opera, di credere in un andamento ‘orizzontale’, dove passato e presente
siano posti sullo stesso piano, e interrogato a proposito della sua visione del passato storico
afferma che «la storia non esiste, cioè la storia è una mistificazione del passato, in quanto
la storia è un passato presentato secondo una certa teoria». Ma pone poi un rimedio a
questa mancanza associandosi in qualche modo all’elogio della frammentarietà fatto da
Manganelli, affermando di credere all’«esistenza di una infinità di frammenti umani o
sociologici o linguistici reperibili e che esistono in quanto sono stati forse fatti o nati o
percepiti in una certa epoca, ma che continuano a esistere e sono percepibili in qualsiasi
epoca», tornando così a parlare di elenchi, repertori di segni a disposizione di chi voglia
imbastire con la memoria un dialogo più libero, svincolato da una progressione temporale
di fatti definita e definitiva. Il rapporto di Novelli con la storia è dunque negativo, come lo
era per Villa.
413
414
415
Giorgio Manganelli, Tutto il gotha dei fantasmi, in Manganelli 1994, cit., p. 173.
Giorgio Manganelli, Scritti inediti, (10.v) in Belpoliti, Cortellessa 2006, cit.
Vedi nota 399.
207
La sfiducia nella storia lo porta alla presentificazione di elementi provenienti da luoghi e
tempi remoti. Ma se Novelli crede comunque nella creazione di un proprio tempo
attraverso la creazione di nuove forme partendo dall’acquisizione di frammenti eterogenei,
Manganelli sembra essere molto meno ottimista. Le sue considerazioni e, dopotutto, la sua
opera non escono mai dalla dimensione dolorosamente ludica e consapevolmente
menzognera del gioco fine a se stesso. E se la negazione della storia porta l’artista
figurativo a cercare nel linguaggio l'originarietà primordiale con la speranza di poter
ricreare un mondo, per lo scrittore l’assurdità della storia coincide con l’assurdità dell’agire
umano, volto a coprire il vuoto e, in definitiva, il destino di morte. Il dialogo con il Nulla è
la costante di tutta l'opera di Manganelli.
Nonostante i diversi approdi, i temi del tempo e della storia sembrano essere dunque un
altro terreno di incontro tra i due artisti. La visione negativa del proprio presente porta
entrambi a considerare il tentativo di ordinare razionalmente la successione dei fatti come
qualcosa di impossibile o di inutile. Quello che rimane è adeguarsi alla disposizione
casuale e imposta dell’ordine alfabetico o cronologico. Nell’impossibilità di dare una base
logica e veritiera ci si affida alla casualità regolamentata. «Il fatto che niente significhi ma
tutto sia, è il significato della storia ‘per annali’.(…) Labirinto di cui si è persa la mappa, la
storia diventa un ricalco della nostra vita; ogni evento è privo di un prima e di un dopo,
non è garantito da nulla, si libra sul nulla».416 E dopo aver paragonato la Cronologia a una
grandiosa figura retorica, la definisce «una magìa che tiene saldo e placato il mondo, come
fosse morto, e finalmente lo si potesse percorrere tutto, in tutte le direzioni, insieme
labirinto e rovina».
L’annullamento del concetto di storia apre a quello di sincronicità lontano dalla concezione
occidentale. Jung417 e molti intellettuali di avanguardia come Manganelli furono grandi
416
417
Manganelli 1994, cit., p.175.
Carl Gustav Jung, Prefazione all’edizione inglese, 1949, ora in I Ching il libro dei mutamenti, a cura di
R.Wilhelm, Adelphi, Milano 1991.
208
ammiratori de I Ching, il Libro dei Mutamenti, che con il suo approccio alla casualità degli
eventi annulla il concetto di causalità che descrive la successione dei fatti, fondamento
della mentalità occidentale.
Viaggi
Entrambi animati da una inquietudine costante, un altro aspetto che accomuna i due artisti
è il viaggio inteso, pur con finalità e modalità diverse, sempre come strumento di ricerca.
Capace di affrontare lo spostamento in lambretta da Milano a Roma nel '53, Manganelli
viaggiò molto anche in paesi lontani come l'Estremo oriente, vincendo a fatica il terrore per
gli aerei. Le cronache che ne riportò sono piene di immagini e rimandi curiosi e inaspettati,
delle vere e proprie visioni a volte anche angosciate. Spesso è la geometria dei luoghi che
lo colpisce o particolari della scrittura e dell'idioma del luogo.
Novelli da giovane viaggiò in Brasile avventurandosi all'interno dell'Amazzonia alla
ricerca di tribù primitive e a caccia di reperti linguistici. I suoi successivi viaggi in Grecia,
a cui si è fatto cenno, sono stati importanti momenti di riflessione e di confronto come
emerge dagli appunti di viaggio in cui i luoghi attraversati diventano lo sfondo di un lungo
viaggio interiore.418
Una curiosa coincidenza si può riscontrare, a proposito di viaggi con un'altra figura di
artista-viaggiatore che si mosse tra Sud America e Grecia: Guido Boggiani (1861-1902),
pittore, disegnatore, fotografo, etnologo piemontese.419 Formatosi come pittore
all'Accademia di Brera, nel 1887 iniziò a viaggiare tra Brasile Bolivia e Paraguay. La sua
opera sui Caduvei era conosciuta da Levi-Strauss che ne parlò in Tristi tropici (1955) un
saggio che molto probabilmente Novelli conosceva. Studiò la lingua Chamacoco e ne
418
419
Il tema del viaggio è stato trattato approfonditamente in Birolli 1976, cit., e in Rinaldi 2011, cit.
Le notizie su Guido Boggiani sono tratte da: M.Leigheb, Lo sguardo del viaggiatore. Vita e opere di
Guido Boggiani, Interlinea, Novara 1997 e G.R.Cardona, Il contributo linguistico di Guido Boggiani in
Guido Boggiani pittore esploratore etnografo: la vita i viaggi le opere, Regione Piemonte 1986.
209
compilò il vocabolario, così come aveva fatto per l'idioma Guanà.420 Anche Novelli si
avventurò durante gli anni brasiliani tra le tribù indigene che vivevano in Brasile per
studiarne la lingua, iniziando a compilare un vocabolario della lingua Guaranì.
Boggiani, dopo aver compiuto anche lui un viaggio in Grecia al seguito di D’Annunzio per
studiare da vicino quella civiltà, ritornò presto tra i suoi indios dove trovò la morte in
circostanze misteriose. I suoi diari di viaggio sono importanti fonti di notizie (1985, 1987).
Al museo Pigorini sono conservati molti reperti da lui raccolti. La sua figura è stata per
molto tempo ignorata e solo di recente rivalutata.
Manganelli, Novelli, Jung
Mentre sembra non avere fondamento l'ipotesi che Novelli si sia sottoposto a una terapia
psicanalitica dopo la crisi che lo portò al ricovero per la cura del sonno, è stato più volte
analizzato il grande influsso che sulla sua opera ebbe almeno uno dei testi di Jung,
Psicologia e alchimia. Giorgio Manganelli, introdotto dalla sua amica Cristina Campo, nel
'59 conobbe Ernst Bernhard che diventò il suo psicanalista fino alla morte di questi nel '65.
Poi continuò la terapia con altri, sempre di scuola junghiana. Il tema del viaggio ritorna
nella dimensione del percorso analitico, come «esperienza cardinale per guardare alla
trasformazione del paziente».421
In una comunicazione fatta a Carotenuto, Manganelli definisce la figura dell'autore di
Mitobiografia,422 come «l'uomo che mi ha insegnato a mentire», aprendo a un non voluto
'elogio della menzogna', «dal momento in cui si toccano le parole sapendo che esse
continuamente mentono, se ne scopre l'infinita fecondità e inafferrabilità. Il mentitore è
420
421
422
Guido Boggiani, Vocabolario dell’Idioma Guanà, in “Atti della Reale Accademia dei Lincei”, serie V,
vol.III, 1895, pp.59-80.
Graziella Pulce, Viaggi, in Belpoliti, Cortellessa 2006, cit., p.507.
Ernst Bernhard, Mitobiografia, a cura di H.Erba-Tissot, Adelphi, Milano 1969.
210
proprietario di tutte le favole possibili».423 Come altri intellettuali che lo frequentarono,
anche Manganelli subì il fascino del medico che si poneva come guida spirituale. Ebreo
hassidico, la sua eredità culturale tedesca lo riconduce alla tradizione dei filosofi romantici
della natura, come fu anche per Jung. La sua ricerca si orientò particolarmente sul rapporto
con la ‘madre mediterranea’, con tutto il bagaglio di immagini e simboli che si andarono a
intersecare con altri miti e altri simboli.
I suoi studi, che riportava nel setting analitico, riguardavano temi diversi: i grandi archetipi
delle culture indù e cinese, la teoria degli strati e dell’entelechia (realizzazione del proprio
fine) in rapporto all’evoluzione cosmica, dall’analisi dell’inconscio familiare, alla legge del
karma, dalla delineazione dei conflitti della nostra società ai problemi della presa di
coscienza collettiva.
A tutti suoi pazienti Bernhard faceva l'oroscopo e a volte leggeva la mano. «Egli traccia la
carta del cielo natale per ogni paziente e lo fa dopo poche sedute, e la utilizza come Jung,
come la radiografia del condizionamento psicologico ricevuto alla nascita, la mappa dei
freni e delle risorse; di fronte a questa immagine egli invita vigorosamente a un
comportamento adeguato, dunque a un uso attivo».424 L'approccio astrologico esoterico del
medico, i suoi studi su Freud, Jung, Kereny e su I Ching, su forme primordiali quali il
mandala e il labirinto che, come visto, sono spesso usati come materiali per artisti e
scrittori della neoavanguardia, hanno svolto un ruolo di importante apertura per artisti e
intellettuali che, come Manganelli, sono entrati in contatto con il medico tedesco.
Un mondo di immagini e parole da assumere e riutilizzare nel gioco menzognero della
creazione.
Un brano del testo che Manganelli scrisse in memoria dell’amico scomparso, è
423
424
Aldo Carotenuto, Jung e la cultura italiana, Astrolabio, Roma 1977, p.147.
Luciana Marinangeli, Risonanze celesti. L'aiuto dell'astrologia nella cura della psiche, Marsilio, Venezia
2007, p.232.
211
particolarmente significativo: «Novelli amava gli enigmi, perché gli enigmi sono insieme
sapienza e gioco, perché richiedono astuzia e fulminea intelligenza, sono antichi e infantili:
e Novelli era appunto arcaico e iniziale, un esempio affascinante di puerizia sapiente.
Irrequieto, ilare e disagevole a se stesso, inseguito da una dinamica mercuriale, Novelli era
destinato e condannato e privilegiato da una definitiva giovinezza, un perenne stupore
iniziale, stupenda cicatrice di una intelligenza pittorica folgorante».425
425
Testo pubblicato nel pieghevole della mostra Gastone Novelli. “i segni, le lettere, i frammenti…” Opere
su carta 1957-1968, Galleria Il Segno, Roma 1985.
212
2.3.1 Hilarotragoedia, i disegni di Novelli.
Ne Il reale gioco dell'oca del '65 (fig.86), al centro, dentro uno schema del gioco dell'oca
c'è scritto: A GIORGIO MANGANELLI IN OMAGGIO A HILAROTRAGOEDIA.
Nell'opera già analizzata (cfr.§1.3.8) molti sono i riferimenti al testo dello scrittore
milanese. Novelli possedeva due copie della prima edizione di Hilarotragoedia ora
conservate presso l’Archivio Novelli e l’Archivio Michielin, dove c'è anche la prima
edizione de La letteratura come menzogna, con la dedica: «Giorgio → Gastone, aprile
1967». Nel '64, lo stesso anno dell'uscita del libro, esegue ventiquattro disegni a tecnica
mista ispirandosi all'opera.426 L'anno successivo le opere saranno esposte in una mostra
alla galleria Il Segno di Roma con la presentazione dello scrittore.427
Nel 1964, a quarantadue anni, Giorgio Manganelli pubblica con Feltrinelli la sua opera
prima. Presso il Fondo Manoscritti dell’Università di Pavia sono conservate le cinque
stesure dattiloscritte (oltre a fogli ancora da sistemare) che documentano la lunga
gestazione del libro che va dal dicembre ‘60 a maggio ‘64, data della pubblicazione. Le
varie stesure sono una rielaborazione molto accurata della prima, scritta di getto in soli
quaranta giorni.
Tra le carte è conservato un piccolo quaderno di appunti a righe e con la spirale, di 60
pagine, dove tra il 14.XII.60 e il 11.1.61 (date scritte dall’autore), lo scrittore ha annotato
numerosi appunti e grafici che riconducono alla elaborazione del testo. Questi appunti
nacquero su suggerimento di Ernst Bernhard.428
Come dimostrato da Bricchi nella sua approfondita analisi dei materiali a disposizione,429 il
426
428
428
429
I 23 disegni (uno è andato disperso) in collezione privata a Milano sono tutti pubblicati nel catalogo della
mostra Histoire de l'oeil, Il viaggio in Grecia, Hilarotragoedia 1999, cit.
I disegni, in collezione privata milanese, sono stati esposti nell’ambito della mostra Il disegno della
scrittura: i libri di Gastone Novelli, Museo del Novecento, 29.3.2012-17.6.2012 Milano.
Marinangeli 2007, cit., p.234.
Mariarosa Bricchi, Manganelli e la menzogna. Notizie su Hilarotragoedia con testi inediti, Interlinea,
213
quadernetto è stato iniziato esattamente il giorno dopo l’inizio della prima stesura del testo,
ed è stato più o meno completato alla fine.
Con il suo carattere estremamente schematico assume dunque una grande importanza per
l’analisi dell’opera finita. La funzione che evidentemente ebbe per l’autore fu quella di uno
spazio dove fissare prima di tutto la struttura dell’opera che si stava accingendo a scrivere
e in secondo luogo per organizzare tramite elenchi una serie di termini che sarebbero stati
utilizzati. Molti sono i temi che via via prendono corpo nel taccuino dalle tipologie
dell'angoscia, degli addii, a «segnali vari di burla e di tragedia, uno sconvolgente
meccanismo di ipotesi mentali, cui si alternano colonne di parole che rappresentano
pseudosinonimi, alla maniera delle colonne di verbi e sostantivi della Selva delle parole di
Daniello Bartoli, autore amatissimo da Manganelli».430
Dalla prospettiva di questa ricerca il quadernetto assume una straordinaria importanza per
la presenza di grafici e schizzi inerenti al testo che sono da mettere in relazione con i
disegni eseguiti tre anni più tardi da Gastone Novelli.
Tre delle cinque pagine sono state già pubblicate nel 1992,431 ma non sono ancora state
analizzate alla luce delle analogie riscontrabili tra gli appunti dello scrittore e le opere del
pittore. L’aspetto più significativo è probabilmente quella certa 'aria di famiglia' che salta
subito agli occhi. E’ da verificare se, come è probabile, ci sia stato uno scambio di idee su
come affrontare il difficile tema dell’illustrazione di un libro così complesso.
Per effettuare un confronto è necessario partire dal fatto che nel 1960 l’opera di Novelli
stava iniziando a muoversi da poco nei luoghi della scrittura, del gioco linguistico, delle
griglie, degli schemi e delle serie di numeri e segni che poi diventeranno sua cifra di
riconoscimento, ma che non presentava ancora segni vettoriali, formati da linee e freccette
430
431
Novara 2002.
Maria Corti, Manganelli: incontri e corrispondenze, in Per Giorgio Manganelli, a cura di A.Stella,
Guardamagna, Varzi-Pavia 1992, p. 24.
Stella 1992, cit.
214
che entreranno solo successivamente nel suo vocabolario espressivo. Tenendo presente che
molti simboli di questo tipo erano già stati utilizzati da alcuni artisti all’inizio del XX
secolo - basti pensare ancora una volta a Klee -, entrano definitivamente nel vocabolario
iconico di artisti della neovanguardia (primo fra tutti Baruchello) solo agli inizi degli anni
Sessanta e con un accento fortemente grafico. È dunque interessante notare che Manganelli
li abbia adottati nei suoi quaderni di appunti cronologicamente prima dei suoi amici pittori.
Con questa osservazione può sembrare azzardato affermare che Novelli possa aver
assorbito tali segni dallo scrittore, ma è comunque significativa la condivisione che si viene
a creare tra i due.
Se, come probabile, Novelli fosse venuto a conoscenza degli appunti dell’amico, magari
anche di altri, allora i grafici eseguiti dallo scrittore sembrano aver avuto un ruolo,
quantomeno esplicativo di un metodo di approccio tra testo e immagini. Come si può
vedere dal confronto tra i fogli del quadernetto e alcuni dei disegni di Novelli, qualche
elemento ritorna.
Nel foglio con il “grafico della discesa” (fig.143)432 Manganelli traccia due linee che
formano una specie di imbuto e una serie di frecce a lato. Tratti simili si ritrovano in uno
dei disegni del pittore (fig.143a) dove nella parte destra del foglio vediamo linee oblique e
una freccia nella stessa direzione.
Nella seconda pagina degli appunti scelta (fig.144), lo scrittore inserisce una griglia, uno
degli schemi più usati da Novelli nelle sue opere all'inizio degli anni Sessanta. La freccia
verso il basso con la breve serie numerica di un altro foglio (fig.145)433 è da mettere a
confronto con almeno due disegni eseguiti per Hilarotragoedia (fig.145a, fig.145b), mentre
le linee a spirale e spezzate con andamento 'discenditivo' in altre due pagine (fig.146,
432
433
Pubblicato in Stella 1992, cit., p.43.
Le pagine delle figg.132 e 133 sono inedite.
215
fig.147)
434
con un altro disegno (fig.147a).
Se è pur vero che Novelli ha sempre dichiarato che per lui i testi letterari hanno avuto un
ruolo di stimolo e che i suoi lavori non sono mai stati delle semplici ‘illustrazioni’ dei testi
stessi, (il suo «rapporto con certi testi letterari è un rapporto di intervento» e dunque «non
di rappresentazione di un testo in quanto affine (…), ma di utilizzazione»,435) nel caso di
Hilarotragoedia la fusione tra scritto e immagine che la rappresenta assume il carattere di
una totale osmosi e identificazione.
Per Bartoli Novelli ha in comune con Manganelli «il modo con cui riesce ad innescare la
produzione del testo fuori del testo attraverso le forme del commento e della nota. Si può
quindi capire perché Novelli esegua, nel '64, una ventina di disegni che illustrano
l'Hilarotragoedia e riscriva figuralmente tutto il capitolo sui sobborghi dell'Ade.
Manganelli lo attrae come tetro raccoglitore di cataloghi, glossatore di voci impantanate:
un “re delle parole” che mette in scena la spettacolarità della scrittura e la fa danzare
clownescamente sulla corda, in bilico nel vuoto».436
Se da un lato poi Novelli si espresse con toni altamente lusinghieri rispetto alla scrittura di
Manganelli, dall’altro per lo scrittore la soddisfazione di avere la propria opera così ben
accompagnata, fu dichiarata nella presentazione dei disegni presso la galleria Il Segno di
Roma nell’aprile ‘65. Il testo che all’epoca non ebbe una grande diffusione, ma che fu
successivamente riprodotto e citato, contiene considerazioni sui disegni come necessario
complemento del suo lavoro letterario. Leggiamo: «Eccoli: i tuoi cartelli sospingono il
turista perplesso sulla propria destinazione verso una regione che veramente più di ogni
altra lo attende. E’ un invito sapiente, di rari suoni essenziali, ben custoditi da cauti spazi
bianchi. Ed ecco la bella e bizzarra fauna, gli orbetti, i vipistrelli, i rospi (di ruspa), le serpi
434
435
436
Le pagine delle figg.136 e 137 sono state pubblicate in Stella 1992, cit., pp. 46 e 50. La fig.137 anche in
Bricchi 2002, cit., p.26.
Dall’intervista a Crispolti (cfr. nota 399).
Birolli 1976, cit., p.43.
216
amiche - ma quaggiù è tutto amico; e i vegetali falansteri, le tane fastose, e le nobili, anche
se sommarie dimore. E brevi mappe fitte di frecce direzionali, di incredibile giovamento al
candido curioso».
E’ interessante notare che lo stesso Manganelli si sia soffermato sulle “frecce direzionali”,
che molto hanno a che fare con i grafici presenti nel suo quadernetto.
217
2.3.2 Hilarotragoedia, i dipinti inediti di Giovanna Sandri.
Nell’ambito della ricerca è emerso che il primo libro di Giorgio Manganelli ha ispirato
anche alcuni lavori pittorici di Giovanna Sandri (1923-2002) eseguiti tra il ’64 e il ’65 e
rimasti finora inediti. Queste opere precedono di poco la più nota produzione dell’artista
nell’ambito della Poesia concreta e colpiscono per la qualità completamente diversa del
lavoro.
Al momento sono sette le opere che sono riuscita a rintracciare che traggono ispirazione dal
non-romanzo di Manganelli. Alcune di esse riportano il titolo autografo sul retro, altre
sono documentate da due lettere, anche queste autografe, una conservata presso l’archivio
del Fondo Manoscritti dell’Università di Pavia, l'altra presso l’Archivio di Nuova Scrittura
della biblioteca del Mart di Rovereto.
Dei dipinti, quattro sono conservati presso il Museion di Bolzano (fig.148, fig.149), uno
presso il Fondo Manoscritti di Pavia e altri tre presso il suo erede. Le dimensioni dei lavori
sono ridotte e la tecnica usata è olio su legno o su carta. Si avvicina alla serie un numero di
altri lavori che probabilmente non sono in diretto rapporto con l’opera letteraria, ma
risentono fortemente della stessa atmosfera. In Obliquo specchio, contenuto nella
pubblicazione che è la testimonianza più compiuta del rapporto tra i due intellettuali,437
Giovanna Sandri non fa mai riferimento alla serie ispirata alla prima opera di Manganelli.
Come racconta, i due scrittori si conobbero nel '55 al Centro di Studi Americani di Roma,
città nella quale Manganelli era approdato due anni prima viaggiando a bordo della storica
Bachunina, la sua lambretta. Il rapporto che ne seguì è documentato dallo scambio di
lettere che testimonia la loro relazione durata circa fino al '59. Manganelli non era ancora
lo scrittore d’avanguardia e viveva allora una forte condizione di disagio alla quale riuscì a
437
Giorgio Manganelli, Giovanna Sandri, Costruire ricordi, ventisei lettere di Giorgio Manganelli e una
memoria di Giovanna Sandri, a cura di G.Pulce, Archinto, Milano 2003.
218
dare una forma proprio attraverso la scrittura della sua opera prima. Nel capitolo che parla
del loro soggiorno a Londra nell’estate del '56, Giovanna Sandri, dopo aver raccontato
l’episodio del drammatico smarrimento di Manganelli nei giardini di Hampton Court, nella
parte chiamata ‘The Wilderness’ ornata di un labirinto arboreo, associa la preferenza per
alcuni “luoghi deputati” della futura scrittura del suo compagno a quell’esperienza di
perdita nel “magnetico maze”.438
La Sandri aveva perfettamente compreso, collegando i suoi ricordi personali e la forma
della scrittura del Manga, quanto i fantasmi della sua mente avessero potuto contribuire a
creare le immagini che poi riverserà nelle parole dei suoi libri.
I dipinti figurativi e onirici che la futura poetessa visiva dedicò all’opera più visionaria
dello scrittore milanese, sembrano dare forma a quei fantasmi, a metà strada tra
interpretazione dell’opera e scavo nella psiche dell’autore. Le opere della Sandri assumono
così la potenza di un ritratto dello scrittore reso attraverso l’interpretazione della carica
immaginativa delle parole da lui usate. Il carattere barocco delle forme utilizzate dall'artista
sembra adombrare l’amore di Manganelli per le forme della retorica, la menzogna del
linguaggio e l’adesione al mondo delle ombre, in cui parole e forme sembrano muoversi a
loro agio. Le figure graffiate sulla superficie pittorica sono inquietanti presenze che
emergono da una primordiale materia oscura e informe.
Il lavoro successivo della Sandri sarà modulato su raffinate forme grafiche rigorosamente
campite in bianco e nero.
438
Manganelli, Sandri 2003, cit., p.50. Nella pagina precedente la Sandri annota dopo la fuga di Manganelli
dal parco: «Lo ritrovai la sera in camera mia (…).Mi avvicinai. In silenzio gli posi una mano sulla spalla.
Non si voltò. Con un filo di voce mi chiamò mamma».
219
2.4 Novelli e l'avanguardia letteraria francese
La frequentazione da parte di Novelli di molti esponenti dell'avanguardia francese, aiutato
anche dal fatto che parlava perfettamente la lingua, è un aspetto già studiato e analizzato in
molte occasioni. Spesso è stato fatto riferimento ai suoi numerosi soggiorni a Parigi
soprattutto tra il '56 e il '61 dove ebbe occasione di frequentare artisti come Masson, Arp,
Man Ray e scrittori come Beckett, Bataille, Simon, Klossowsky e de Solier,439 più volte
citati anche nello svolgimento di questa ricerca.
Fu Achille Perilli, incontrato nel '55, a introdurre Novelli alla conoscenza degli intellettuali
francesi che vennero in buona parte ospitati con alcuni interventi sulle pagine di
“Esperienza Moderna”. Attraverso l'attività della rivista furono instaurati contatti anche
con Edouard Jaguer che dirigeva “Phases” (1954-1975), una rivista di ascendenza
surrealista dove veniva coltivato un particolare interesse per le grafie in varie coniugazioni,
un aspetto condiviso con i due artisti italiani.
Quando nel '61 espone alla Galerie du Fleuve in una mostra dedicata all'opera poetica di
Lambert,440 conosce la gallerista Viviane Stoloff e René de Solier con cui ebbe un lungo
rapporto di amicizia e collaborazione (cfr.§ 1.3.12). Fu quest'ultimo che probabilmente,
come visto, fece conoscere a Novelli alcuni testi francesi antichi come Les Bigarrures e
probabilmente il Traicté de Chiffres. Come già messo in evidenza nel corso del presente
studio, lo scrittore francese aveva anche un progetto che non andò a buon fine: la
pubblicazione di un libro d'artista a tiratura limitata che faceva esplicito riferimento al libro
di Tabourot, tenuto evidentemente in grande considerazione dai due.
Il legame si consolidò anche grazie alle esperienze con allucinogeni fatte per studiare gli
439
440
Brigitte Ferrato-Combe, Novelli e gli scrittori francesi, in Gastone Novelli, catalogo mostra Galerie Di
Meo, Parigi 10.10-29.11 2008.
Le voir-dit. Peintures sculptures dessins objects de Aldine...Novelli...Viseux. Sur de poèmes de JeanClarence Lambert, Galerie du Fleuve, Parigi 7-28 febbraio 1961. Lambert era amico personale di Perilli.
Presso l'Archivio Michielin sono conservati documenti relativi a un progetto del poeta con Novelli, anche
questo non realizzato.
220
effetti degli stati di trance indotti da sostanze psicotrope così come avviene nelle pratiche
sciamaniche, studiate e conosciute da Novelli già nel suo soggiorno brasiliano. È noto a
questo proposito il testo di de Solier che tratta dell'argomento: Curandera. Les
champignons hallucinogenes del '65441.
Per vari aspetti dunque il rapporto tra i due sembra molto importante per il percorso del
pittore italiano e meriterebbe un approfondimento anche attraverso lo studio dei materiali
in via di sistemazione nel Fondo de Solier conservato alla Sorbona.
Novelli illustrò opere di Beckett, Bataille e Klossowsky, autori che conobbe e che
influirono molto sulla sua opera per l’approfondimento di tematiche legate ai temi
dell'incomunicabilità, del nonsense e dell'erotismo, coniugate secondo audaci libertà
espressive. Per l’artista italiano fu in particolare molto importante il rapporto con Samuel
Beckett con cui è stato amico fino all'ultimo e con cui condivise «una strategia del
fallimento» attuata con «la ripetizione della frase, l'errore, il lapsus, il balbettio, il
privilegio accordato alla forma o al suono significante, la grafia incerta, la cancellatura».442
Le litografie per Comme c'est sono del 1961443 e testimoniano ancora una volta la capacità
dell'artista di immedesimarsi nella difficile tematica del testo.
Nei disegni a tecnica mista per Histoire de l'Oeil di Georges Bataille datati dall'artista il 15
e il 17 gennaio 1962, fa un largo uso di griglie perché Bataille tratta temi «di natura più
simbolica che semiotica, temi aggirantisi intorno al perno topico della globularità,
dell'occhio rovesciato. Allora bisognava padroneggiare, rendere semiotizzabile, fin dove
possibile, una materia che scorreva dilagante e si condensava in piramidi metaforiche.
Occorreva arginarla entro un reticolato, fissarla in architettura di pietra almeno per un
momento, prima che divenisse troppo abbagliante. Opporsi al delirio con la controforza
441
René de Solier, Curandera, les champignons hallucinogènes, Jean-Jacques Pauvert, Paris 1965.
Rinaldi 2010, cit., p.54.
443
Le litografie originali di Novelli stampate da Bulla nel '61 per L'image di Beckett, parte di Comment c'est,
edizioni Minuit 1961, sono state edite in forma di libro d'artista in 50 copie numerate da Francesco
Michielin nel 2008, a quarant’anni di distanza dalla morte del pittore.
442
221
della forma».444 La correlazione tra la forma circolare, l'orifizio solare (anus solaire),
cavità che risucchia nel nulla o nella sovrapposizione tra abisso dell'io fisico e psichico e
abisso cosmico è un concetto che fu applicato da Villa ai tagli e ai buchi di Fontana e che
doveva essere già noto a Novelli.
Il saggio sul mito di Diana e Atteone, Das Bad der Diana, scritto nel '56 da Klossowsky,
fu illustrato con nove incisioni calcografiche da Novelli per un'edizione tedesca del '65.445
Il carattere sensuale delle immagini offerte dal testo è reso da Novelli con forme simili alla
stilizzazione del fumetto che andava sperimentando in quegli anni.
L'artista italiano in Francia conobbe anche gli scrittori del Nouveau Roman - Butor,
Robbe-Grillet, e il già citato Simon - di cui molti testi che gli erano appartenuti sono
ancora conservati. Le opere di questi autori, molto conosciuti in Italia da scrittori e artisti
della neoavanguardia, si possono considerare un interessante esempio per Novelli di nuda
elencazione di 'cose' che creano il mondo circostante.
Fu Claude Simon che ebbe con il pittore il rapporto più intenso. Dopo essere stato insignito
del premio Nobel per la letteratura nell'85, nel 1997 scrisse Le Jardin des Plantes in cui,
all'interno di un romanzo dove la memoria determina la struttura anche tipografica del
libro, traccia un commovente ritratto di Novelli. I vari riferimenti al pittore fatti in questo
testo costruiscono un affettuoso e intenso ricordo che fa lo apparire «come un tragico
gemello dello scrittore, segnato come lui nella carne, nella sensibilità e nel pensiero
dall'esperienza della guerra, del dolore, della paura della morte»,446 avendo ambedue
vissuto le tragiche esperienza della guerra e della violenza nazista. Simon aveva presentato
Novelli alla mostra del '62 alla Alan Gallery di New York con un testo che diventò un
riferimento per la critica successiva, intitolato Novelli o il problema del linguaggio.
444
445
446
Bartoli 1976, cit.
Pierre Klossowsky, Das Bad der Diana, Abstracta Verlag, Friburgo. Roma, Stamperia Romero, 1965.
Nello stesso anno, con Giuliani e Manganelli, lo scrittore presentò il pittore alla mostra Gastone Novelli.
Le radici dei segni, Galleria Il Segno, dal 9 aprile.
Ferrato-Combe 2008, cit., p.17.
222
L'artista conservava due lettere autografe dello scrittore. Nella lettera manoscritta del '62,
Simon si riferisce all'edizione italiana del suo La Route des Flandres del '60 (cfr.§1.3.3),
pure presente tra i libri di Novelli; nell'altra, del '64, lo ringrazia per un quadro.
Scorrendo i titoli dei volumi della sua biblioteca (Arch. Mich.), si può approfondire l’
interesse di Novelli per la Patafisica (e l'Oulipo), mai dichiarato esplicitamente dall’artista.
È infatti presente l'opera completa di Alfred Jarry e alcuni “Cahiers du Collège de
Pataphysique” oltre a due libri di Queneau che fu nominato 'Dignitaire du Collège' (come
molti altri scrittori e artisti tra cui Duchamp) e che fu uno dei fondatori dell'Oulipo, una
delle più autorevoli ‘Sottocommissioni di Lavoro’.
La Patafisica o «scienza delle soluzioni immaginarie che accorda simbolicamente ai
lineamenti le proprietà degli oggetti descritti nella loro virtualità» dai seguaci è anche
considerata la scienza che si sovrappone alla metafisica.447 Celebrando in Alfred Jarry il
padre indiscusso di questa scienza 'assoluta' - che fa pronunciare al suo Ubu cornuto la
fatidica definizione «la Patafisica è una scienza che noi abbiamo inventato perché ve ne era
un gran bisogno» e poi in Gesta e opinioni del dottor Faustroll (parodistica citazione dal
Tristram Shandy) «la Patafisica è la scienza» -, l'idea delle Soluzioni Immaginarie nasce
dalla considerazione del fatto che la scienza ufficiale basa la soluzione di ogni problema
particolare «su una scelta arbitraria». Per questo alla Patafisica ogni soluzione va sempre
bene, in quanto «l'idea di “verità” è la più immaginaria fra tutte le soluzioni»448 e non è
interessata a “salvare il mondo”. L'aspetto libertario e anarchico è evidente come anche
quello esoterico e occultista in nome di un forte spirito evolutivo di tutta la dottrina.
Emblema dell'ordine del Collège è l'ombelico di Padre Ubu, detto giduglia, «rappresentato
da una spirale che la Patafisica traspone in simbolo di eterna ricerca, rotante senza fine su
sé medesima». Un altro omphalos, molto lontano dal significato mitico dato dagli antichi e
447
448
Enrico Baj, Patafisica, Bompiani, Milano 1982, p.18.
Baj 1982, ivi, pp.33-34.
223
ricontestualizzato da Novelli con le sue sculture, ma un simbolo che torna unito alla forma
della spirale e del labirinto.
Il Collège de Pataphysique fu fondato a Parigi l'11 maggio del 1948 durante una riunione
letteraria e fin dal giorno seguente si diede degli statuti, una gerarchia, un ordine, un
calendario e si costituì come una «società di ricerche scientifiche e inutili».449 Della
complessa gerarchia hanno fatto parte molti artisti e scrittori francesi con molti riferenti in
altri paesi tra cui l'Italia (tra gli artisti ricordiamo Nespolo, Fontana e lo stesso Baj).
I “Cahiers” sono stati pubblicati in ventotto numeri tra il 1950 e il '57. I testi riguardano
temi del passato o del presente di qualche interesse per i membri del Collegio.
Un probabile tramite tra Novelli e la Patafisica fu Enrico Baj (1924-2003) con cui espose
alla mostra di New York del '62 e alla Biennale di Venezia del'64.
Una lettera manoscritta di Baj a Novelli del 2.3.65 da Milano parla di quadri da mandare
per una mostra di New York, probabilmente quella che si tenne sempre all'Alan Gallery nel
marzo di quell'anno.
Baj fondò con Dangelo la Pittura nucleare (il manifesto è del '52), il Movimento
internazionale per un Bauhaus Imaginiste insieme a Jorn (1954) e un movimento Contro lo
stile (1957), collaborò alle riviste “Il Gesto” e “Phases” conoscendo Jaguer e molti
intellettuali francesi. Dopo l'incontro con Queneau nel '59 si avvicinò al Collège fino a
diventare Satrapo e Imperatore Analogico, cariche che gli consentirono di fondare nel'63
alla presenza di personalità come lo stesso Queneau, Man Ray e il poeta futurista Farfa,
l'Istitutum Patafisicum Mediolanense.450 Nel '94 fonda con Nespolo e Afro Somenzari
l’Istituto Patafisico Vitellianense di Viadana.
Nella lista dei suoi libri preferiti stilata nel '66, Novelli inserisce L'amour absolu di
449
450
Baj 1982, cit., pp.49-50.
Angela Sanna, Patafisica di Baj, in Enrico Baj, La patafisica, Abscondita, Milano 2009, p.101.
224
Jarry,451 il libro considerato dalla critica blasfemo per i continui rimandi biblici e
autobiografici. L'interesse di Novelli per la scienza delle soluzioni immaginarie nacque
probabilmente dal lavoro dissacrante e estremo che caratterizza l'opera del padre della
Patafisica, oltre che dalla curiosità suscitata dalla cerimoniosa e complessa struttura
dell'organizzazione che promuoveva una liberatoria attività creativa basata sulla illogicità
dell'arbitrio. Una coniugazione dell'Assurdo assunto come regola che pervade i campi di
tutte le istituzioni umane. Ma è comunque interessante la presenza di testi che riguardano
quella strana disciplina. Fu nell'opera di Jarry che Novelli poté cogliere la complessità
variabile di sistemi di segni che vanno oltre il loro significato e con cui «l'opera diventa
forma pura. Si possono quindi isolare dal loro contesto le due formule di Jarry che rendono
conto di tale atteggiamento: “il segno soltanto esiste” (César Antéchrist), “soltanto la
lettera è letteratura” (Spéculations)».452
Baj era in contatto con Gianni Bertini (1922-2010) altro artista che può essere considerato
tramite tra Italia e Francia. Si stabilì a Parigi nel '52 dove visse fino agli inizi anni Settanta.
Collaborò alla rivista “Il Gesto” quando aderì al movimento nuclearista. Non sono
documentati rapporti diretti con Novelli ma anche Bertini conobbe de Solier che lo
presentò nel '63 al Palais des Beaux-Arts di Bruxelles e da cui fu pubblicata una
plaquette.453
Un ruolo attivo per l'introduzione di Novelli nell'ambiente parigino lo ebbe sicuramente il
suo amico personale Giancarlo Marmori (1926-1982),454 scrittore e giornalista ligure che
viveva a Parigi dall'inizio degli anni Cinquanta. Partecipò alla prima e alla terza riunione
del Gruppo 63, è presente nella prima antologia. Tra le carte della biblioteca di Novelli
451
452
453
454
Novelli, Inchiesta sul surrealismo, in “Grammatica” 1976, cit., p.88.
M.Arrivé, Alfred Jarry, in Storia della letteratura francese, cit., 1985, p.145.
René de Solier, Bertini, s.e., Bruxelles 1963.
Gualdoni 1983, cit., p. 10.
225
(Arch. Mich.) è conservato un disegno di Marmori che era all'interno del suo primo
romanzo, La parlerie. Il testo, centrato sulle figure di due vagabondi, è impregnato di
grottesco e nonsense che ricordano Beckett e Jonesco, «nonsenso dell'esistenza in rapporto
all'essere, vanità del linguaggio, vanità e impotenza dello scrivere e del sapere»,455 ma
espresso con uno stile più elaborato e poetico.
Il mondo raccontato dallo scrittore ligure risente dunque delle tematiche dell'assurdo e
successivamente anche dell'erotismo delle opere di Bataille e Klossowsky di cui fu il suo
traduttore per l'italiano della trilogia di Roberta: Roberte ce soir, Le révocation de l'Edit de
Nantes e Le souffleur. Il tema dell'erotismo, già presente nel romanzo Storia di vous
(Feltrinelli 65), è stato approfondito nei saggi Le vergini funeste (Sugar 1966) e Senso e
anagramma (Feltrinelli 68), un'analisi sui messaggi sottesi nell'uso del corpo femminile
nella pubblicità.
Marmori si può considerare uno dei principali tramiti tra avanguardia francese e italiana,
con Novelli condivise evidentemente alcune preferenze letterarie, e fu probabilmente lui a
introdurlo a Klossowsky.
455
Articolo della Nouvelle Revue Français di Robert André, trascritto nella seconda di copertina di:
Giancarlo Marmori, Lo sproloquio, (tit.or. Le parlerie) Feltrinelli, Milano 1963.
226
Conclusioni
Alla fine di questo studio centrato sulla figura di Gastone Novelli dalla prospettiva delle
varie forme di gioco linguistico presenti nelle sue opere, appare evidente quanto per
l'artista (e per molti altri messi a confronto) il gioco stesso sia stato di fondamentale
importanza per mettere in luce il carattere autoreferenziale del linguaggio.
Il grande numero di giochi individuati dà la misura di quanto ampia sia stata la libertà
nell’uso della parola nelle opere di arte figurativa da parte degli artisti della neovanguardia.
La ricerca ha sostanzialmente messo in luce la quantità e la qualità dei riferimenti culturali
di Novelli, nutriti dai rapporti intrattenuti con intellettuali italiani e francesi, in particolare
Giorgio Manganelli e René de Solier, che, su fronti diversi, hanno contribuito
all’approfondimento di alcune tematiche riguardanti il linguaggio e la sua artificiosità e
l’apertura a discipline e pratiche esoteriche. Lo studio approfondito del rapporto con
Manganelli, ha permesso di individuare elementi di forte coesione nel loro lavoro e utili
anche per la lettura dei disegni per Hilarotragoedia, e permesso inoltre di rintracciare i
lavori di Giovanna Sandri con lo stesso tema.
La possibilità di studiare le opere e i documenti presso l’Archivio Novelli ha consentito di
selezionare un significativo campione di opere utili allo studio del tema. Mentre la
consultazione di testi e documenti della biblioteca di Novelli conservata all’Archivio
Michielin, ha permesso di individuare - o di approfondire - una serie di collegamenti,
anche inediti, tra Novelli e la cultura contemporanea nutrita, in alcuni casi, di testi antichi
utili come riferimento per i giochi linguistici utilizzati dall’artista nelle sue opere, primo fra
tutti il testo di bizzarrie letterarie di Tabourot e (probabilmente) quello sulle crittografie di
Vigenère.
Rispetto alle categorie codificate da Caillois, entrare nel gioco, in-ludere, è entrare in una
situazione illusoria, instabile e rischiosa. Novelli accetta la sfida e propone continuamente
227
giochi verbali che non possono che mostrare continuamente l'incertezza della condizione in
cui si trovava a operare. La sua incessante opera di citazione, prelievo o imitazione fa
pensare alla categoria della mimicry, ma per lui non c'è travestimento, vestire i panni
dell'altro, né parodia. Per Novelli è importante selezionare frasi, brani, parole, immagini
che possano costituire una propria personale memoria, materiali con cui identificarsi in un
dato momento, ma da tenere in realtà sempre alla giusta distanza per essere poi riutilizzati
secondo la tipica operazione del bricoleur. A un primo sguardo inoltre il suo lavoro può far
pensare all'altra categoria di Caillois, l'alea, il caso. Ma da quanto emerge anche da questa
ricerca, il caos o almeno il disordine di molte sue composizioni che a volte vogliono essere
imbrigliati dentro griglie e scacchiere, non sono mai realmente tali ma sempre organizzati
seguendo un filo rosso che con una propria logica interna costruisce un discorso.
È dunque difficile far rientrare i giochi di Novelli dentro categorie già date: sembra infatti
muoversi entro luoghi di margine che danno al suo lavoro una costante sensazione di
instabilità e di costruzione al tempo stesso. E non c'è gratuità nel gioco di Novelli, è mosso
sempre dall'impegno della comunicazione.
Per quanto riguarda poi il ruolo a cui è chiamato lo spettatore, sembra in apparenza essere
sempre attivo, soprattutto in presenza di giochi verbali, o anche in presenza di citazioni più
o meno facili da ricostruire. Eppure nell'opera di Novelli questo avviene solo in parte. Le
cause sono da cercare nella grande frammentarietà in cui tutto è presentato ma soprattutto
nel fatto che nei suoi giochi linguistici c'è un continuo cambiamento delle regole che sono
alla base di ognuno di essi. Questo porta allo stravolgimento della stessa idea di gioco che
non esiste se non secondo regole certe. In assenza di regole non sono inoltre date soluzioni
certe. Il gioco (l'opera) rimane quanto mai aperto.
La necessità di un qualsiasi testo di significare solo attraverso la lettura e al tempo che
228
occorre, teorizzata da Iser,456sottintende un’indispensabile interazione tra opera e spettatore
(lettore). Nel caso di Novelli, lo spettatore è chiamato ad assistere a una rappresentazione
piena di potenzialità sonore, visuali e memorative: un’appercezione sinestetica che non
chiede una sintesi né un significato complessivo ma pretende di essere lasciata nella sua
forma sgretolata senza possibilità di ricostruzione.
Il carattere che è più evidente nell'opera di Novelli degli anni Sessanta è quello della
continua re-invenzione di codici in un infinito gioco di destrutturazione e ricomposizione
di forme. Re-invenzione da identificare con la capacità poietica, elemento fondante della
poesia. A questo proposito, particolarmente significativo è il tema dell'invenzione di lingue
proposto all'inizio di questo studio e messo in relazione anche con il tema vichiano della
possibilità data al poieta di creare le proprie origini.
La ricerca dell’origine è stata momento fondamentale, con varie declinazioni, delle
sperimentazioni della prima metà del XX secolo, per poi essere trattata di nuovo, con
diversi presupposti, nel secondo dopoguerra.
La potenziale capacità dell’artista di costruire autonomamente le proprie origini culturali
scegliendo nel vasto mondo, sembra chiudere il breve ciclo artistico di Novelli, che vede i
suoi esordi agli inizi degli anni Cinquanta, molto influenzato dalle letture fatte e soprattutto
dall’incontro con Emilio Villa, con il quale, come noto, condivise la ricerca dell’
originarietà primigenia che sembrava perduta per sempre nella civiltà occidentale.
L’accostamento alle avanguardie letterarie degli anni Sessanta portò evidentemente
l’artista a procedere nella sua ricerca, muovendosi con convinzione nel mondo dei segni
prodotti dall’uomo fin dalle epoche più remote.
Nel secondo Novecento, quando ormai esiste la piena consapevolezza circa l’ambiguità del
linguaggio, si può entrare nella dimensione del ri-creare i propri codici. Il carattere
456
Wolfang Iser, L'atto della lettura. Una teoria della risposta estetica, Il Mulino, Bologna 1987.
229
diaristico della sua opera, la continua inclusione di elementi eterogenei dà la dimensione di
apertura dell’opera di Novelli, uno stare costantemente in quella zona di confine tra più
discipline e molteplici modi espressivi, un non-scegliere in maniera definitiva una forma o
uno stile per coglierne le infinite potenzialità creative e espressive. Questa è la forza della
sua opera.
Le parole di Simon scritte agli inizi degli anni Sessanta furono profetiche rispetto a un
percorso che si sarebbe svolto intensamente ancora per pochi anni: «In realtà, alle prese
con le difficoltà dell'espressione, quelle stesse del linguaggio, Novelli le affronta in tutta la
loro ambiguità. Ingannevole, illusorio, magnifico, imperfetto e perfettissimo nel medesimo
tempo, limitante e universale, sfuggente al suo inventore per vivere un'esistenza propria,
per inventare e creare a sua volta, fino a comandare e fecondare con la propria magia che
credeva di servirsene come strumento: il linguaggio».457
457
Simon 1963, cit., p.63.
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Alfredo Giuliani, Introduzione a “I Novissimi”, in Novissimi. Poesie per gli anni Sessanta, Rusconi e
Paolazzi, Milano 1961.
Giuliani 1965
Alfredo Giuliani, Immagini e maniere, Feltrinelli, Milano 1965.
Giuliani, Novelli 1967
Alfredo Giuliani, Gastone Novelli, L’acqua alle piante (storia di Eva), racconto in forma di fumetto e
lineare, in “Grammatica” 1967.
Giuliani, Pagliarani 1964
Alfredo Giuliani, Elio Pagliarani, Pelle d’asino. Grottesco per musica, Scheiwiller, Milano 1964.
Glidden 1982
Hope H. Glidden, Babil/Babel. Language games in the Bigarrures of Estienne Tabourot, in “Studies in
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Goyet 1986
Francis Goyet, Les Bigarrures du Seigneur des Accords (premiere livre), Estienne Tabourot, traduction et
notes par Francis Goyet, Droz, Genève 1986.
“Grammatica” 1964
“Grammatica” n.1, a cura di A. Perilli, G. Novelli, A. Giuliani, G. Manganelli, Roma 1 novembre 1964.
“Grammatica” 1967
“Grammatica”, n.2, a cura di A. Perilli e A. Giuliani, Roma 2 gennaio 1967.
“Grammatica” 1969
“Grammatica”, n.3, a cura di A. Perilli e G.Novelli, Roma 3 luglio 1969.
“Grammatica” 1970
“Grammatica. Kombinat Joey”, n.4, Roma 1 2 3 4 5 luglio.
“Grammatica” 1976
“Grammatica 5. Gli scritti di Gastone Novelli” a cura di A. Perilli, Roma 5 maggio 1976.
Giraud 1976
Pierre Giraud, Les jeux des mots, Presses Universitaires de France, Paris 1976.
Grana 1991
Gianni Grana, Babele e il silenzio: genio “orfico” di Villa. La neg-azione apoetica: cos e cosmos, vertigini e
metàstasi della parola nell’èra telematica, Marzorati, Settimo Milanese 1991.
Grohmann 1959
Will Grohmann, Klee, Garzanti, Milano, 1959.
239
Grohmann s.d.
Will Grohmann, Klee, Garzanti, Milano s.d.
Guglielmino 1971
Salvatore Guglielmino, Guida al Novecento, Principato, Milano 1971.
Hapkemeyer 2007
Andreas Hapkemeyer, Poesia Concreta, in La parola nell'arte 2007.
Hauser 1988
Arnold Hauser, Il Manierismo. La crisi del rinascimento e l’origine dell’arte moderna, Einaudi, Torino 1988.
Hocke 1965
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Holmyard 1959
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Johan Huizinga, Homo ludens, Einaudi, Torino 2002 [1938, 1955]
Humbert 1994
Michèle Humbert, Giochi linguistici e linguaggio in Duchamp: dalla ruota di bicicletta a ‘With my tongue in
my cheek’, in “Studi in onore di G.C.Argan”, La Nuova Italia, Firenze 1994.
“Il Gesto” 1955
“Il Gesto. Rassegna internazionale delle forme libere”, n.1, a cura del Movimento Arte Nucleare, EPI,
Milano giugno 1955.
“Il Gesto” 1958
“Il Gesto. Rassegna internazionale delle forme libere”, n. 3, a cura del Movimento Arte Nucleare, EPI ,
Milano settembre 1958.
“Il Verri” 1963
“Il Verri”, n.7, febbraio, Milano 1963.
Innocenti 1981
Giancarlo Innocenti, L'immagine significante. Studio sull'emblematica cinquecentesca, Liviana, Padova
1981.
Iser 1987
Wolfgang Iser, L’atto della lettura. Una teoria della risposta estetica, Il Mulino, Bologna 1987.
Isou 1960
Isidore Isou, Initiation à la haute volupte, renouvellement de l’érotisme. Revolution de l’art de roman, autoeditore Isidore Isou, Paris 1960.
Isou 1989
Isidore Isou, Ce qu’il faut savoir de la peinture lettriste et infinitésimale, in R. Sabatier, Le lettrisme. Les
création et les créateurs, Z éditions, Nizza 1989.
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Roman Jakobson, Saggi di linguistica generale, Feltrinelli, Milano 1985 [1966].
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Carl Gustav Jung, Prefazione all’edizione inglese de I Ching, ora in I Ching, il Libro dei Mutamenti, a cura di
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Kéreny 1963
Kàroly Kéreny, Gli dei e gli eroi della Grecia, Il Saggiatore, Milano 1963. Altra: Garzanti, Milano1981.
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Athanasius Kircher, Ars Magna lucis et umbrae, in decem libros digesta, Ludovici Grignani, Romae 1946.
Klee F. 1971
Felix Klee, Vita e opere di Paul Klee, Einaudi, Torino 1971.
Klee 1957
Paul Klee, Le cose della natura analizzate dal loro interno. Essenza ed apparenza, tr.it. di G. Novelli da Paul
Klee, das bildnerische Denken, a cura di J. Spiller, Benno Schwabe & Co., Basel-Stuttgard 1956, in
“Esperienza Moderna” 1957a.
Klee 1960
Paul Klee, Discorso sull'arte moderna, Grafica edizioni d'Arte, Roma 1960.
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Paul Klee, Teoria della forma e figurazione, Feltrinelli, Milano 1976 [1959].
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Paul Klee, Diari 1898-1918, Il Saggiatore, Milano 1976 [1960].
Klee 2002
Paul Klee, Quaderno di schizzi pedagogici, a cura di Mario Lupano, Abscondita, Milano 2002.
Krauss 2007
Rosalind Krauss, Griglie, in Originalità dell’avanguardia e altri miti modernisti, tr.it. E.Grazioli, Fazi, Roma
2007.
Krestovsky 1947
Lydia Krestovsky, Le lettrisme avant la lettre, in “Esprit”, Parigi novembre 1947.
La parola nell’arte 2007
La parola nell’arte. Ricerche d’avanguardia nel ‘900 dal Futurismo a oggi attraverso le collezioni del Mart,
a cura di Melania Gazzotti e Julia Trolp, mostra 10.11.2007 - 6.4.2008, Mart Rovereto. Catalogo Skira,
Ginevra-Milano 2007.
L’arte del gioco 2002
L’arte del gioco da Klee a Boetti, a cura di Pietro Bellasi, Alberto Fiz, Tulliola Sparagni, mostra al Museo
Archeologico Aosta, 20.12.2002 - 13.5.2003. Catalogo Marsilio, Milano 2002.
Leigheb 1997
Maurizio Leigheb, Lo sguardo del viaggiatore. Vita e opere di Guido Boggiani, Interlinea, Novara 1997.
Lévi-Strauss 1962
Claude Lévi-Strauss, La pensèe sauvage, Plon, Paris 1962.
Lévi-Strauss 2010 [2003]
Claude Lévi-Strauss, Il pensiero selvaggio, tr.it. P.Caruso, Il Saggiatore, Milano 2010 [2003].
La linea astratta dell’incisione italiana 1989
La linea astratta dell’incisione italiana. Stamperia Romero 1960-1986 mostra a cura di Federica Di Castro,
Calcografia Nazionale Roma 18.10-30.11.1989. Catalogo Electa, Milano 1989.
Lionni 1976
Leo Lionni, La botanica parallela, Adelphi, Milano 1976.
“Littérature Illettrée” 1964
“Littérature Illettrée ou La littérature a la lettre” a cura di N.Arnaud e F. Caradec, “Bizarre”, n.32-33, Parigi
1° trimestre 1964.
241
Lombardi 1963
Germano Lombardi, Barcelona, Feltrinelli, Milano 1963.
Lombardi 1965
Germano Lombardi, L’occhio di Heinrich, Feltrinelli, Milano 1965.
Lora-Totino 2002a
Arrigo Lora Totino (a cura di), Poesia concreta, Sometti, Mantova 2002.
Lora-Totino 2002b
Arrigo Lora-Totino, Poesia concreta, in Alfabeto in sogno 2002.
Lowry 1961
Malcom Lowry, Sotto il vulcano, Feltrinelli, Milano 1961.
Lyotard 1982
Jean-François Lyotard, La pittura del segreto nell’epoca postmoderna. Baruchello, Feltrinelli, Milano 1982.
Magrelli 2006
Valerio Magrelli, Il caso come principio compositivo, in Profilo del Dada, Laterza, Roma-Bari 2006.
Manganelli 1991
Giorgio Manganelli, La palude definitiva, Adelphi, Milano 1991.
Manganelli 1992
Giorgio Manganelli, Esperimento con l’India, Adelphi, Milano 1992.
Manganelli 1993
Giorgio Manganelli, Nuovo commento, Adelphi, Milano 1993.
Manganelli 1994
Giorgio Manganelli, Il rumore sottile della prosa, a cura di P. Italia, Adelphi, Milano 1994.
Manganelli 1995
Giorgio Manganelli, Centuria, cento piccoli romanzi fiume, Adelphi, Milano 1995.
Manganelli 2000
Giorgio Manganelli, Salons, Adelphi, Milano 2000.
Manganelli 2011
Giorgio Manganelli, La penombra mentale. Interviste e conversazioni 1965-1990, a cura di R. Deidier,
Editori Riuniti, Roma, 2001.
Manganelli 2003 [1987]
Giorgio Manganelli, Hilarotragoedia, Adelphi, Milano 2003 [1987].
Manganelli, Sandri 2003
Giorgio Manganelli, Giovanna Sandri, Costruire ricordi: ventisei lettere di Manganelli e una memoria di
Giovanna Sandri, a cura di G. Pulce, Archinto, Milano 2003.
Manganelli 2004 [1985]
Giorgio Manganelli, La letteratura come menzogna, Adelphi, Milano 2004 [1985].
Manganelli 2006
Giorgio Manganelli, Scritti inediti, in Belpoliti, Cortellessa 2006.
Manganelli 2011
Giorgio Manganelli, Ti ucciderò mia capitale, Adelphi, Milano 2011.
Maraini 1957
Fosco Maraini, Il segno nella scrittura giapponese, in “Esperienza Moderna” 1957a.
242
Maraini 2006
Fosco Maraini, Giappone mandala, Electa, Milano 2006.
Marinangeli 2007
Luciana Marinangeli, Risonanze celesti. L’aiuto dell’astrologia nella cura della psiche, Marsilio, Venezia
2007.
Marmori 1963
Giancarlo marmori, Lo sproloquio, Feltrinelli, Milano 1963.
Marrone 1995
Caterina Marrone, Le lingue utopiche, Melusina Editrice, Roma 1995.
Marrone 2010
Caterina Marrone, I segni dell’inganno. Semiotica della crittografia, Stampa Alternativa & Graffiti, Viterbo
2010.
Meneghelli 1985
Luigi Meneghelli, L’uomo che rifece l’universo, in “Alto Adige” del 3.3.1985.
Miccini 1970
Eugenio Miccini, Ex rebus, Tèchne, Firenze 1970.
Miccini 1991
Eugenio Miccini, Poesia visiva 1962-1991, Adriano Parise, Colognola ai Colli-Varese, 1991.
Munari 1960
Bruno Munari, Il quadrato, Scheiwiller, Milano 1960.
Mussio 1968
Magdalo Mussio, In pratica, Lerici, Roma 1968.
Mussio 1977
Magdalo Mussio, Scritture, La Nuova Foglio, Pollenza-Macerata 1977.
Negri, Vercelloni 1958
Ilio Negri, Virgilio Vercelloni, I giochi di dadi d'azzardo e di passatempo dei gentiluomini e dei pirati,
presentazione di C. Santoro, Lerici, Roma 1958
Novelli
Principali cataloghi di mostre di Novelli consultati (per un elenco completo si rimanda al Catalogo generale
Novelli 2011):
Novelli 1963
Gastone Novelli, presentazione di N. Ponente. Galleria Levi, Milano dal 4 giugno 1963.
Disegni di Gastone Novelli 1964
Disegni di Gastone Novelli, presentazione di A. Giuliani. Galleria Arco d’Alibert, Roma 10.2.-10.3.1964.
XXXII Biennale di Venezia 1964
Gastone Novelli, presentazione di N. Ponente. XXXII Esposizione Biennale Internazionale d’Arte, Venezia
1964
Gastone Novelli. Le radici dei segni 1965
Gastone Novelli. Le radici dei segni, presentazione di A. Giuliani, P. Klossowsky, G. Manganelli, pieghevole
della mostra alla Galleria Il Segno, Roma dal 9 aprile 1965.
Gastone Novelli 1966
Gastone Novelli, presentazioni di E. Pagliarani e C.Simon. Galleria Marlborough Roma, 8.11 - 30.11.1966
(da comunicato stampa conservato presso Arch.Nov.).
243
Novelli, Perilli, Scialoja, Twombly 1966
Novelli, Perilli, Scialoja, Twombly, mostra a cura di Maurizio Calvesi, Maurizio Fagiolo, Galleria Dè
Foscherari, Bologna 2-22 aprile 1966.
XXXIV Biennale di Venezia 1968
Gastone Novelli. I geroglifici oggi, presentazione di R. de Solier. XXXIV Esposizione Biennale
Internazionale d’Arte, Venezia 1968. Testo presente nella prima edizione del catalogo (giugno) eliminato,
insieme alla parte riguardante Carlo Mattioli, nella seconda edizione (agosto) in seguito alla protesta dei due
artisti.
Gastone Novelli 1970
Gastone Novelli, presentazione di G. Ballo, con scritto dell’artista e impaginazione di A.Perilli. Galleria
Marlborough Roma 28 aprile-maggio 1970.
Gastone Novelli 1972
Zeno Birolli (a cura di), Gastone Novelli, Galleria Civica d’Arte Moderna, 24.2-25.4.1972, Torino.
Novelli 1976
Novelli, a cura di Zeno Birolli, Feltrinelli, Milano 1976.
Le tue parole inciampano nella mia estasi 1983
Le tue parole inciampano nella mia estasi. Novelli, opere su carta, a cura di Flaminio Gualdoni, Mazzotta,
Milano 1983.
Gastone Novelli “i segni, le lettere, i frammenti…” 1985
Gastone Novelli “i segni, le lettere, i frammenti…”. Opere su carta (1957-1968, presentazione di G.
Manganelli, pieghevole della mostra alla Galleria Il Segno, Roma 23gennaio – [30] marzo 1985.
Gastone Novelli 1988
Gastone Novelli 1925 - 1968, a cura di Pia Vivarelli Mondadori De Luca, Milano-Roma 1988.
Gastone Novelli 1999
Gastone Novelli 1925-1968, a cura di Pia Vivarelli, catalogo mostra Palazzo delle Albere Trento, Skira,
Ginevra-Milano 1999.
Histoire de l'oeil, Il viaggio in Grecia, Hilarotragoedia 1999
Gastone Novelli, Histoire de l'oeil, Il viaggio in Grecia, Hilarotragoedia, mostra allo Spazio Labs Milano,
4.2 - 3.4.2009. Catalogo Baldini & Castoldi, Milano 1999.
Gastone Novelli 2006
Flaminio Gualdoni, Walter Guadagnini, Gastone Novelli, catalogo mostra Fondazione Arnaldo Pomodoro,
Skira, Ginevra-Milano 2006.
Novelli 2008
Gastone Novelli, prefazione di Brigitte Ferrato-Combe, catalogo della mostra alla Galerie Di Meo, Parigi
10.10-29.11.2008.
Catalogo generale Novelli 2011
Paola Bonani, Marco Rinaldi, Alessandra Tiddia, Gastone Novelli. Catalogo generale 1. Pittura e scultura,
Silvana, Milano 2011.
Principali scritti di Novelli analizzati, ora in “Grammatica” 1976:
Discorso ai critici, ai poeti, agli amatori, ai passanti, due versioni manoscritte di cui la seconda è del 1957.
La macchina Totem, da “Esperienza Moderna” 1957a.
La creazione di un’opera plastica, in Gastone Novelli, pieghevole mostra alla Galleria La Salita, Roma 15 26.4.1957.
244
Analizzare il processo creativo, da “Esperienza Moderna” 1957b, con il titolo Documenti di una nuova
figurazione: Scialoja, Novelli, Alechinsky, Perilli, Twombly in “Grammatica” 1976.
Scritto sul muro, dalla cartella con 26 litografie, Edizioni de “L’Esperienza moderna”, Roma 1958.
PPQ, da Crack. Documenti d’arte moderna, a cura di G. Marotta, F.Mauri, C.Vivaldi, G.Marotta, F.Mauri,
C.Vivaldi, I.Krachmalnicoff, Milano 1960.
Pittura procedente da segni, da “Grammatica”1964.
Inchiesta sul surrealismo, da manoscritto probabilmente per l’inchiesta della rivista “Malebolge”, n.3, s.d.
[1966].
Sul Linguaggio, da “Bit”, n.2, 1967.
Se volete imputridire in pace, da “Che fare”, n.3, Milano 1 giugno 1968.
Dipingere è anche esprimere per segni, da “Grammatica” 1969.
Il linguaggio figurativo e la sua funzione, da “Civiltà delle macchine”, n.1, Roma 1969.
La causa fondamentale, da “Flash Art”, n.19, Milano sett.-ott. 1970.
Novelli 1962
Gastone Novelli (a cura di), Antologia del possibile, All’insegna del pesce d’oro, Milano 1962 (in mille copie
copyrigth di Novelli e Munari)
Novelli 1999
Gastone Novelli, Histoire de l'oeil, Il viaggio in Grecia, Hilarotragoedia, Baldini & Castoldi, Milano 1999.
Numerica 2007
Lorenzo Fusi, Marco Pierini (a cura di), Numerica, catalogo mostra Palazzo delle Papesse Centro Arte
Contemporanea Siena, 22 giugno 2007-6 gennaio 2008, Silvana, Milano 2007.
Pegoraro 2000
Silvia Pegoraro, Il “Fool” degli inferi. Spazio e immagine in Giorgio Manganelli, Bulzoni, Roma 2000.
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Roberto Pellerey, Le lingue perfette nel secolo dell’Utopia, Laterza Bari-Roma, 1992.
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“Phases, Cahiers internationaux de recherches litteraires et plastique”, n.1, Facchetti, Parigi 1954.
“Phases” 1955
“Phases. Cahiers internationaux de recherches litteraires et plastique”, n.2, Falaize, pubblicato in occasione
dell’esposizione Phases de l’Art Contemporain alla Galerie R.Creuze, Parigi marzo 1955.
Pignotti, Stefanelli 2011
Lamberto Pignotti, Stefania Stefanelli, Scrittura verbovisiva e sinestetica, Campanotto, Udine 2011.
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Giovanni Pozzi, Poesia per gioco. Prontuario di figure artificiose, Il Mulino, Bologna 1984.
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Sentieri interrotti. Crisi della rappresentazione e iconoclastia nelle arti dagli anni Cinquanta alla fine del
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Bassano del Grappa 17.6-20.8. 2000. Catalogo Charta, Milano 2000.
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Geoffroy Tory, Champ FleuryChamp fleury. Auquel est contenu lart & science de la deue & vraye
proportion des lettres attiques, quon dit autrement lettres antiques, & vulgairement lettres romaines
proportionnees selon le corps & visage humain, Giles Gourmont, Paris 1529.
13 pittori a Roma, 1963
13 pittori a Roma, presentati da vari poeti, catalogo mostra galleria La Tartaruga, Roma 1963.
Trismegisto 1962
Ermete Trismegisto, Il cratere della Sapienza, a cura di C.Croce, Giovanni Semeraro, Roma 1962.
Trinci 1993
M. Trinci (a cura di), Il bambino che gioca, Bollati Boringhieri, Torino 1993.
Vasio 1957
Carla Vasio, introduzione a Frammento di delirio, in “Esperienza Moderna” 1957c.
Verheyen 1712 [1693]a
Philippe Verheyen, Corporis humani anatomiae, in qua omnia tam veterum, quam recentiorum
anatomicorum inventa. Methodo nova & intellectu facillima describuntur, ac tabulis æneis repræsentantur.
Ægidium Denique, Lovanii 1693. Copia consultata edita da Carteron, Lugduni 1712.
Verheyen 1712 [1693]b
Philippe Verheyen, Supplementum anatomicum sive Anatomiae corporis humani liber secundus, in quo
partium solidarum libro primo descriptarum usus & munia explicantur. Accedit descriptio anatomica
partium foetui et recenter nato propriarum. Item Controversia de foramine ovali inter authorem, & D. Mery.
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Authore Philippo Verheyen ... opus variis figuris illustratum. Carteron, Lugduni 1712, Lovanio 1712.
Vescovo 1984
Marisa Vescovo, I luoghi del Ritorno, dell'Enigma, della Fuga, in XLI Biennale di Venezia, Electa per la
Biennale, Milano 1984.
Vigenère 1587
Blaise de Vigenère, Traicté des Chiffres, ou secretes maniere de ecrire, Abel l’Angelier, Paris 1587.
Vico 2006
Giovan Battista Vico, La scienza nuova, RCS, Milano 2006.
Villa 1954
Emilio Villa, Noi e la preistoria in “Arti visive” n.1, 1954.
Villa 1956
Emilio Villa, La nascita dei numeri, in “Civiltà delle macchine”, a. IV, n.2, marzo-aprile 1956.
Vitalità del negativo nell’arte italiana 1970
Vitalità del negativo nell’arte italiana 1960/70, a cura di Achille Bonito Oliva, mostra Palazzo delle
Esposizioni, Roma novembre 1970/gennaio1971. Catalogo Centro Di, Firenze 1970.
Wittgenstein 2006 [1967]
Ludwig Wittgenstein, Ricerche filosofiche, ed. italiana a cura di M.Trichero, Einaudi, Torino 2006 [1967].
Yates 1993
Francis Amelia Yates, L’arte della memoria, Einaudi, Torino 1993.
Yates 2002
Francis Amelia Yates, Cabala e occultismo nell’età elisabettiana, Einaudi, Torino 2002.
Zanchetti 2007
Giorgio Zanchetti, Esploratori di parole, in La parola nell’arte 2007.
SITOGRAFIA
www.bnf.fr/
www.bvh.univ-tours.fr
www.engramma.it
www.nicolaseverino.it
www.scriptaweb.it
www.vicariatusurbis.org
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RINGRAZIAMENTI
Alla fine di questo studio intendo ringraziare quanti hanno permesso la sua realizzazione.
Un ringraziamento speciale a chi ne ha seguito il percorso e condiviso le finalità.
Il primo pensiero va alle istituzioni private e pubbliche che hanno messo con generosità a
disposizione il materiale indispensabile ai fini della ricerca, primo fra tutti l’Archivio
Novelli di Roma con Maria Bonmassar, Ivan Novelli, Giovanola Ripandelli. E ancora:
l’Archivio Michielin di Treviso con Francesco Michielin; l’Archivio Perilli di Orvieto con
Achille Perilli, Nadja Perilli e Lucia Latour; l’Archivio del ‘900 presso il Mart di Rovereto
con Duccio Dogheria e Paola Pettenella; Il Museion di Bolzano con Elena Bini e Katia
Cont; il Fondo Manoscritti dell’ Università di Pavia con Jader Bosio e Nicoletta Trotta;
l’Istituto Nazionale per la Grafica con Alida Moltedo Mapelli, Marinella Monarca, Danila
Rizza; il Gabinetto dei Disegni e delle Stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna con
Elena Rossoni.
Ricordo inoltre l’indispensabile contributo materiale (e immateriale) ricevuto da: Paolo
Albani, Raffaele Aragona, Stefano Bartezzaghi, Giuseppe De Maria, Beatrice De Pirro,
Franco Diotallevi, Marina Lund, Lietta Manganelli, Luciana Marinangeli, Caterina
Marrone, Claudia Matera, Arianna Mercanti, Carlo Mezzanotte, Federico Mussano, Carlo
Palli, Michele Perfetti, Rocco Pettini, Sergio Ruschena, Carla Subrizi, Michela Santoro,
Antonella Sbrilli, Nicola Spano, Guido Strazza, Carla Vasio, Silvia Vessella.
Roma, maggio 2012.
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“Le regole del gioco permettono infinite partite”. - Padis