Sapienza Università di Roma - Facoltà di Lettere e Filosofia Dottorato di Ricerca in “Strumenti e Metodi per la Storia dell’Arte” (XXIV Ciclo) “Le regole del gioco permettono infinite partite”. Giochi linguistici, magie verbali e lingue inventate nelle opere su carta di Gastone Novelli. Studio delle fonti e del contesto. Coordinatrice: Prof.ssa Silvia Danesi Squarzina Tutor: Prof.ssa Antonella Sbrilli Eletti Candidata: Dott.ssa Ada De Pirro Roma 20 giugno 2012 Hamm: Siamo noi che ringraziamo. (Pausa. Clov si avvia alla porta) Ancora una cosa. (Clov si ferma). Un’ultima grazia. (Clov esce). Nascondimi sotto il lenzuolo. (Lunga pausa). No? Pazienza. (Pausa). Tocca a me. (Pausa). La mossa. Giocare. S.Beckett, Finale di partita, 1961. Indice Introduzione 5 Cap. I Alchimie verbali. Gastone Novelli e la neoavanguardia. 1.1 In principio era il gioco di parole. Percorso tra parole e immagini nell'arte italiana degli anni Sessanta e Settanta del '900. 11 1.2 La remise en question del linguaggio. Gastone Novelli. 18 1.3 Catalogazione e analisi dei giochi linguistici presenti nelle opere su carta di Novelli. Confronto con altri artisti e analisi del contesto. 24 1.3.1 Alfabeto inventato. 25 1.3.2 Carme sesquipedale come combinazione fonica non codificata. 54 1.3.3 Catalogo figurato. 65 1.3.4 Combinazioni e serie numeriche. 83 1.3.5 Combinazioni foniche immaginarie, anagrammi, palindromi. 94 1.3.6 Corrispondenza lettere/ numeri/ figura umana. 104 1.3.7 Diario e dichiarazioni di poetica. 112 1.3.8 Gioco dell'oca, gioco dei dadi, disco di Festo. 118 1.3.9 Griglie e frammentazione organizzata della parola. 132 1.3.10 Parole rovesciate. 152 1.3.11 Quadrato magico. 157 1.3.12 Rebus. 164 1.3.13 Testi plurilinguistici. 176 3 Cap. II Il gioco linguistico tra arte e letteratura. 2.1 Sperimentazioni linguistiche tra neoavanguardia e artifici manieristici. 183 2.2 Novelli e il Gruppo 63. 190 2.3 Manganelli e Novelli. 197 2.3.1 Hilarotragoedia, i disegni di Novelli. 213 2.3.2 I dipinti inediti per Hilarotragoedia di Giovanna Sandri. 218 2.4 Novelli e l'avanguardia letteraria francese. 220 Conclusioni 227 Bibliografia 231 Ringraziamenti 250 Elenco abbreviazioni: Arch.Nov. Archivio Novelli Roma Arch.Mich. Archivio Francesco Michielin Treviso 4 Introduzione La ricerca si inserisce in un filone di studi che in primo luogo ha per tema il gioco nell'arte contemporanea, un tema che ha oggi una sua, seppur breve, storia espositiva avviata dalla mostra L'arte del gioco da Klee a Boetti che si tenne a Aosta nel 2002.1 La consapevolezza che il particolare rapporto arte/gioco abbia avuto una sua rilevanza risale alle avanguardie storiche dell'inizio del Novecento. Fin dalle sue prime manifestazioni all'inizio del secolo, la dimensione ludica nell’arte rivela sia un aspetto colto e filosofico con finalità spesso anti-accademiche sia un aspetto popolare, di repêchage di forme tradizionali (gioco dell'oca, rebus, sciarada), offrendo in ogni caso spunti e formati innovativi rispetto al canone mimetico e figurativo. La grande e documentata mostra del 2007 a Rovereto, La parola nell'arte: dal Futurismo ad oggi attraverso la collezione del Mart,2 ha poi messo in evidenza quanto, nella maggior parte dei casi, l'attenzione sia posta sul linguaggio con i numerosi inserti di parole e proposizioni, secondo un assunto che può farsi risalire alla dichiarazione di Magritte: Dans un tableau, les mots sont de la même substance que les images3 che rese esplicita e in qualche modo ‘normativa’ la presenza della parole nel campo delle immagini. Dopo le prime esperienze di inizio secolo, la relazione arte/gioco/parola fu riattivata nella seconda metà, ovvero dopo il passaggio cruciale della seconda guerra mondiale e degli anni Cinquanta, che avvertono la crisi che si manifesterà con forza e con diverse modalità nei decenni successivi. Al carattere liberatorio e dopotutto positivo precedentemente praticato, si va sostituendo la dimensione di gioco intesa invece come presa di coscienza di uno scollamento tra arte e 1 2 3 Pietro Bellasi, Alberto Fiz, Tulliola Sparagni (a cura di), L’arte del gioco da Klee a Boetti, mostra al Museo Archeologico di Aosta, 20.12.2002-13.5.2003. Catalogo Mazzotta, Milano 2003. Melania Gazzotti, Julia Trolp (a cura di), La parola nell’arte: dal Futurismo ad oggi attraverso la collezione del Mart, Mart Rovereto 10.11.2007-6.4.2008. Catalogo Skira, Milano 2007. René Magritte, Les mots et les images, in La Révolution surréaliste, V, 12,15 dicembre 1929, p.32. 5 espressione, individuo e mondo. Questa nuova consapevolezza si intreccia a sua volta con molti altri temi che, a seconda della sensibilità dei singoli artisti o dei singoli movimenti, vengono coinvolti. La parola e il linguaggio verbale entrano a far parte del materiale iconografico in forme diverse. Questo ingresso nel mondo dell’arte figurativa viene inteso come montaggio di elementi verbali nelle opere dei 'concretisti' o in quelle verbo-visive dei così detti 'poeti visivi', dove la parola-segno è espressa sia con l’uso di caratteri tipografici o normografici sia con la scrittura calligrafica. Altri artisti intendono la presenza verbale e iconica in un modo che rivela la matrice surrealista e informale, in una sorta di espressione liberatoria di impulsi psichici, emotivi e culturali diversi. Una delle fonti che sembra accomunare le varie interpretazioni è l’interesse per il gioco linguistico teorizzato in senso ampio da Wittgenstein4 e già praticato da Duchamp.5 L’utilizzazione di artifici verbali, nelle loro molteplici accezioni, avvicina poi gli artisti figurativi alle avanguardie letterarie europee le quali, a partire dalla fine degli anni Cinquanta e per i due decenni successivi, lavorano allo scardinamento della concezione tradizionale del linguaggio. Interessanti contatti, in un clima culturale condiviso, si creano in quel periodo tra arte, letteratura, musica e drammaturgia. In questo panorama, dopo una prima fase di studio, obiettivo della ricerca è stato quello di ricostruire la situazione italiana rintracciando nelle opere di Gastone Novelli (1925-1968), artista che lavorò nell’ambito della neovanguardia, le varie espressioni del gioco inteso fondamentalmente come gioco combinatorio di un complesso sistema di segni. 4 5 Ludwig Wittgenstein, Ricerche filosofiche, ed. italiana a cura di M. Trinchero, Einaudi, Torino 2006 [1967]. Michèle Humbert, Giochi linguistici e linguaggio in Duchamp: dalla ruota di bicicletta a ‘With my tongue in my cheek’, in Studi in onore di G.C.Argan, La Nuova Italia, Firenze 1994. 6 Dopo un decennio di ricerca tra astrattismo geometrico e informale, Novelli assume un ruolo di primaria importanza nell’ambito della sperimentazione artistica degli anni Sessanta e poi oltre dopo la morte avvenuta nel '68. Obiettivo della ricerca è dunque stato anche quello di individuare con precisione i rapporti, diretti o indiretti, intercorsi con altri artisti figurativi che hanno utilizzato la parola e i giochi di parole o schemi come quello del cruciverba, del gioco dell’oca, dei mandala. Il quadro che ne è emerso, ricco di esempi, volutamente è stato limitato agli artisti italiani che fra gli anni Sessanta e Settanta si sono mossi sul versante verbo-visivo secondo varie direttrici di ricerca e hanno usato con modi e finalità diverse giochi verbali nelle proprie opere. Partendo dalla considerazione di quanto significativa sia la scelta del medium e della tecnica adottata dagli artisti, è stato stabilito di privilegiare, soprattutto per Novelli, le opere eseguite su carta. I motivi di questa scelta sono strettamente legati, da un lato, alla particolare condizione di maggiore libertà espressiva insita nelle opere tracciate a matita o con tecniche ad acqua anche su fogli volanti o taccuini, e dall’altro, nel caso delle tecniche a stampa, della necessità di meditare più a fondo sui singoli passaggi necessari alla creazione delle opere. In ogni caso il materiale cartaceo riporta indubbiamente al supporto primario con cui nascono i giochi comunemente intesi, siano essi da tavolo, enigmistici o linguistici. Il metodo adottato, come previsto dal progetto di ricerca, è stato di tipo storico - critico. Molte sono state le istituzioni private e pubbliche dove è avvenuto lo spoglio di stampe e disegni. Dopo una prima fase, svolta presso l'Istituto Nazionale per la Grafica di Roma (in particolare il Fondo Romero), la ricerca dei materiali è stata svolta per la gran parte presso l'Archivio Novelli di Roma dove è stato individuato un gran numero di documenti anche inediti relativi alle opere grafiche dell'artista sul tema dello studio, alcuni consultabili in 7 originale, altri attraverso riproduzioni fotografiche. Per le opere degli altri artisti, la ricerca è stata svolta principalmente presso l'Archivio Nuova Scrittura del Mart. Le opere di Novelli e altri artisti sono state selezionate secondo la presenza di: scritte calligrafiche o tipografiche, schemi di giochi da tavolo, griglie, citazioni o autocitazioni da opere letterarie antiche o coeve, idea di montaggio di parti eterogenee, effettivi giochi linguistici. Sono stati altresì presi in considerazione i lavori dove la presenza di lettere e/o parole (spesso in più lingue) e numeri in forma calligrafica, riferimenti a simboli o linguaggi esoterici e a culture diverse, schemi con segni, presenza o meno di cancellature, avessero una loro rilevanza ai fini della ricerca. La catalogazione delle opere è stata articolata in paragrafi distinti che riguardano gli alfabeti inventati, le combinazioni foniche immaginarie, gli anagrammi e i palindromi, le corrispondenze tra lettere e figure e tra lettere e numeri, l'uso di varie tipologie di griglie e schemi, le parole rovesciate, i testi plurilinguistici, i rebus. Particolare rilievo è stato dato agli aspetti inediti della ricerca. Lo studio bibliografico di testi, antichi e moderni, è avvenuto in un grande numero di biblioteche e archivi italiani oltre che presso la British Library di Londra. Buona parte della ricerca su Giorgio Manganelli (1922-1990) è stata svolta presso il Fondo Manoscritti dell'Università di Pavia. Lo studio su Novelli si è basato su tutte le pubblicazioni reperibili, a iniziare dai cataloghi ormai storici di Zeno Birolli,6 e i due curati dalla grande studiosa Pia Vivarelli.7 Il primo volume del catalogo generale dell'opera dell'artista,8 pubblicato nel corso della ricerca, è stato strumento fondamentale per i confronti con alcune opere pittoriche e per i definitivi chiarimenti su aspetti importanti della contestualizzazione del suo lavoro. 6 7 6 Zeno Birolli (a cura di), Novelli, Feltrinelli, Milano 1976. Pia Vivarelli, Novelli 1925 - 1968, De Luca, Roma 1988; Pia Vivarelli (a cura), Novelli 1925 - 1968, mostra al Palazzo delle Albere Trento. Catalogo Skira, Ginevra – Milano 1999. Paola Bonani, Marco Rinaldi, Alessandra Tiddia, Gastone Novelli. Catalogo generale 1. Pittura e scultura, Silvana, Milano 2011. 8 Inoltre, proprio alla fine del percorso di ricerca, è stato possibile consultare la biblioteca privata di Gastone Novelli, confluita negli ultimi anni presso l'Archivio Michielin di Treviso e che ancora non è stata né catalogata né studiata nella sua completezza e ricchezza. Il fondo è uno straordinario strumento di studio che consente di approfondire i legami di Novelli con i maggiori esponenti delle avanguardie letterarie e artistiche francese e italiana del secondo dopoguerra. Con la mostra Ah, che rebus! Cinque secoli di enigmi fra arte e gioco in Italia,9 e la pubblicazione di due articoli è stato dato conto di alcuni dei risultati raggiunti. Premesso che questo studio non pretende di essere esaustivo, è stato strutturato in due capitoli. Il primo, Alchimie verbali. Gastone Novelli e la neoavanguardia, intende inquadrare il tema del gioco linguistico per poi tracciare un percorso tra gli artisti della neovanguardia italiana le cui opere ne presentano traccia; il secondo, Il gioco linguistico tra arte e letteratura, è centrato sulle sperimentazioni linguistiche degli scrittori del Gruppo 63 (in particolare il rapporto tra il pittore e Giorgio Manganelli) e della neovanguardia francese con cui Novelli entrò in contatto. 9 Antonella Sbrilli, Ada De Pirro (a cura di), Ah, che rebus! Cinque secoli di enigmi fra arte e gioco in Italia, Istituto Nazionale per la Grafica, Palazzo Poli Roma 17.12.2010-8.3.2011. Catalogo Mazzotta, Milano 2010. 9 Cap. I Alchimie verbali. Gastone Novelli e la neoavanguardia. 10 1.1 In principio era il gioco di parole. Percorso tra parole e immagini nell'arte italiana degli anni Sessanta e Settanta del '900. Il gioco di parole All'inizio del secolo il motto di spirito, che comprende i giochi linguistici, è stato oggetto di studio da parte di Freud,10 che mise in luce il carattere liberatorio e vitale di una pratica “improduttiva”, legata all'attività onirica. Nelle sue Ricerche filosofiche Wittgenstein usa il termine “giochi linguistici” per sottolineare il fatto che il linguaggio è un'attività o una forma di vita. Come esempi di un campo molto eterogeneo porta una serie di attività che non si possono ridurre a un concetto comune,11 ma a una “somiglianza di famiglia” dovuta essenzialmente all'uso che si fa del linguaggio, che non è sottoposto a regole definite ma alla sua stessa realtà. A proposito di regole Wittgenstein instilla poi il dubbio: «Parlando dell’applicazione di una parola ho detto che essa non è limitata dovunque da regole. Ma allora che aspetto avrà un gioco che sia completamente limitato da regole? Un giuoco le cui regole non lascino infiltrarsi nessun dubbio, gli tappino tutti i buchi?» (84). «Una regola sta lì come un indicatore stradale. – Non lascia àdito ad alcun dubbio circa la strada che devo prendere? (…)E se invece d’un indicatore stradale ci fosse una fitta successione d’indicatori o di segni di gesso sulla superficie stradale – ci sarebbe per essi una sola interpretazione?» (85).12 È “l’abisso di nonsenso”13 come lo definisce Stefano Bartezzaghi, il grande campo d’azione del gioco di parole e che, in definitiva, spinge artisti e intellettuali a misurarsi nel 10 11 12 13 Sigmund Freud, Il motto di spirito e la sua relazione con l'inconscio, tr.it. S.Giametta, Rizzoli, Milano 2010. Wittgenstein, cit., 2006 [1997], (23) p.21. Wittgenstein, cit., 2006 [1997], p.56. Stefano Bartezzaghi, Orizzonte verticale, Einaudi, Torino 2007, p.294. 11 corso del Novecento con le diverse coniugazioni di giochi linguistici. Il processo di riavvicinamento verso le forme linguistiche e iconiche praticate soprattutto tra manierismo e barocco - abbandonate nel corso del Settecento e riprese come forma di intrattenimento dalle riviste di enigmistica classica e popolare tra seconda metà dell’Ottocento e inizio Novecento - è sostenuto, come noto, da un diverso rapporto che si è venuto a creare con il linguaggio, soprattutto nella forma scritta. La frammentazione, la dimensione enigmatica e ludica, il rapporto sempre più stretto tra parole e immagine, sono elementi che portano all’acquisizione spontanea di modelli creativi che non intendono produrre un ‘senso’ inteso come descrizione di situazioni reali. «In principio era il gioco di parole» afferma il narratore in Murphy di Beckett (1938), lo scrittore che tanto si è sporto sugli “abissi del nonsenso”, e che voleva sentenziare sui giochi di parole riusciti o meno.14 Anche se il termine è molto usato, nelle diverse definizioni di gioco di parole, linguistico, verbale, non sempre si riesce a definirne i confini con esattezza e le possibilità di coniugazione sono veramente tante. Il problema riguarda soprattutto la descrizione e la classificazione: esistono circa cento tipi di giochi linguistici (oltre a quelli complessi, misti e ibridi)15 ben rappresentati dagli studi e dai repertori di Giampaolo Dossena, fra i quali il suo recente dizionario.16 Per la loro classificazione, Giraud parte dall'opposizione fatta da Jakobson tra 'asse sintagmatico' e 'asse paradigmatico' per distinguere due grandi tipologie di giochi linguistici: 'per sostituzione' e 'per concatenazione', più un terzo non contemplato da Jakobson, l'inclusione in un discorso di suoni o di parole incorporate o invertite come nell'anagramma o nell'inversione di lettere o sillabe. La classificazione si complica per gli aspetti fonici o lessicali che possono intervenire, e 14 15 16 Bartezzaghi 2007, cit., p.291. Pierre Giraud, Les jeux des mots, Presses Universitaires de France, Paris 1976. Giampaolo Dossena, Il dado e l'alfabeto. Nuovo dizionario di giochi con le parole, Zanichelli, Bologna 2004. 12 per un'altra categoria, quella dei giochi 'pittografici' come i rebus e i calligrammi. Tra gioco e artificio, i giochi verbali, visti anche dalla prospettiva del gioco enigmistico, si muovono nella medesima area della poesia perché generati da origini comuni ma si separano, secondo Giovanni Pozzi, per l'aleatorietà, l'azzardo e il gusto del travestimento. Inoltre gli artifici istituzionalizzati del linguaggio poetico non si possono accostare agli artifici del gioco.17 Nella poesia le figure artificiose emergono nella struttura formale, quindi «non dalla composizione in sé, bensì dalla tensione che si crea fra la spinta decompositiva e la spinta ricompositiva» di schemi già acquisiti. Nasce così un altro modo di significare da una pratica di frammentazione e ricomposizione che dà luogo a una infinità di figure che «per quanto siano bizzarre, artificiose e contorte, rappresentano tuttavia quasi in una sintesi schematica le qualità più specifiche del discorso che chiamiamo poetico e portano in sé una semiosi elementare e primigenia che si erge a suo simbolo e ne rappresenta quasi il sublimato o l'estratto».18 Se le figure artificiose sono per Pozzi l'essenza stessa della poesia, secondo lo studioso, la loro ripresa nel Novecento si muove in un territorio già abitato ed è animata unicamente dalla volontà ludica sempre presente. Ma questa affermazione non dà conto della portata del fenomeno che ha coinvolto la letteratura e l'arte figurativa in maniera così evidente. Nonostante molti studiosi e molti artisti abbiano dato per certo un filo conduttore che unisce forme verbo-visive antiche, soprattutto del periodo manieristico e barocco, Pozzi, la cui opera ha dato molti spunti a questa ricerca, lo ha negato anche parlando dell'Italia, in quanto «l’apparente vuoto che sta dietro le intense prove delle nostre avanguardie (…) è dovuto a pura disinformazione che sembra colpisca di striscio, poiché riguarda un periodo, quello barocco, su cui la conoscenza dell’intero complesso è ancora incompleta, ma che in realtà colpisce di fronte: valga per tutti la vicenda dell’acrostico nella nostra poesia che 17 16 Giovanni Pozzi, Poesia per gioco. Prontuario di figure artificiose, Il Mulino, Bologna 1984. Pozzi, ivi., pp.8-9. 13 (…) non è mai stato oggetto di un’analisi complessiva».19 La disinformazione di cui parla Pozzi si può forse rapportare a passaggi culturali che non sembrano avere una loro evidenza ma che avvengono per canali non sempre chiari e leggibili, spesso sotterranei e carsici. Percorsi Si possono tracciare diversi percorsi tra le opere di arte figurativa che hanno accolto al loro interno singole lettere, parole, frasi, con tecniche e modalità diverse. Uno dei possibili 'inventari' è stato ricostruito in Esploratori di parole di Zanchetti,20 scritto in occasione della mostra al Mart. I nomi degli artisti italiani citati nel saggio sono quelli ricorrenti nel panorama delle sperimentazioni verbo-visive, visti, in questo caso, dalla prospettiva del complesso rapporto con la parola poetica e letteraria come si è andato costruendo nel corso di tutto il Novecento. Quello che invece si vuole brevemente proporre all'inizio di questa ricerca centrata sul particolare aspetto del gioco linguistico nelle opere della neoavanguardia artistica italiana, è un percorso pluridirezionale che crea una rete di relazioni, spesso sotterranee, tra opere e contesti anche molto diversi tra loro, ma accomunati da riprese di forme di interazione tra parola e immagine nel segno della continuità con il passato, anche molto lontano.21 Oltre che a Novelli da cui parte tutta l'indagine, l'attenzione è dunque data più alle singole opere che agli autori, cercando di volta in volta di inquadrarle all’interno di una specifica situazione culturale. 19 Giovanni Pozzi, La parola dipinta, Adelphi, Milano 2002 [1981], pp.13-14. Giorgio Zanchetti, Esploratori di parole, in La parola nell'arte 2007, cit. 21 Lamberto Pignotti, Stefania Stefanelli, Scrittura verbovisiva e sinestetica, Campanotto, Udine 2011, pp.13-17. 20 14 Nell'ambito della neoavanguardia italiana, a parte i casi di artisti che si sono interessati esplicitamente a testi antichi di varie discipline e che hanno utilizzato i giochi linguistici in maniera rilevante e fondante come nel caso di Novelli, molti altri si sono accostati a giochi linguistici e enigmistici come modalità espressiva ricca di potenzialità eversiva rispetto al linguaggio tradizionale senza per questo doversi rifare esplicitamente a modelli del passato. Dopo le sperimentazioni futuriste, dada e surrealiste, l'interazione tra parola e immagine è stata acquisita e così la possibilità di introdurre la dimensione ludica nel linguaggio. Per alcune opere, anche l'enigmistica popolare è diventata materiale a cui far riferimento. Le sue origini sono incerte, tanto che per Bartezzaghi si può parlare di continue reinvenzioni delle forme più conosciute: anagramma, rebus, parole crociate. Lo studioso, nel riferirsi alla Metametrica di Caramuel, parla di combinatoria affermando qualcosa di particolarmente interessante a proposito di ritorni in auge di forme che sembravano appartenere al passato: «È un campo in cui la poligenesi è la regola: e Caramuel probabilmente apprezzerebbe la conclusione per cui le idee fondative di ogni combinatoria sono, a loro volta, parti di una meta-combinatoria, e perciò possono essere generate indipendentemente da eventuali precedenti, con rassomiglianze anche stupefacenti.(…) La visione mutevole, metamorfica della poesia porta con sé un principio dinamico. Questo è un piccolo motivo della stilistica del gioco di parole.».22 Il principio dinamico, alla base della parola poetica è lo stesso che viene acquisito dalle prove di arte figurativa che accolgono al loro interno la parola, soprattutto quando frammentata nei singoli fonemi di cui è composto l'alfabeto. Come sarà argomentato nello svolgersi della ricerca, gli artisti italiani citati si muovono tutti, a partire da Novelli - oltre che dalle fondamentali esperienze futuriste, dada e 22 Stefano Bartezzaghi, Combinazioni segrete e figure di parole. La Metametrica di Caramuel e l'impossibile storia dell'enigmistica, www.engramma.it, n.54, marzo 2007. 15 surrealiste - sulle tracce di alcune fondamentali figure di riferimento: Paul Klee, Marcel Duchamp, Emilio Villa. Partendo da premesse molto diverse, questi artisti hanno lavorato sull'aspetto lirico e enigmatico della parola che diventa immagine, inserendo lettere, numeri e frasi in composizioni astratte eseguite con le tecniche tradizionali della pittura, della grafica e dell'acquarello il primo; sulla parola e il gioco di parole come elemento fondante di tutto il suo lavoro il secondo; eseguendo con la scrittura calligrafica magmatiche composizioni su supporti cartacei e plastici il terzo. Anche il Lettrismo di Isidore Isou si trova sullo sfondo di molte sperimentazioni della neoavanguardia italiana, andando a approfondire un legame culturale con la Francia già molto stretto grazie ai rapporti storicizzati con artisti surrealisti e dada. Le prove di Poesia concreta brasiliana dei fratelli de Campos e Decio Pignatari e svizzera di Eugen Gomringer sono anch'esse da mettere in riferimento con alcune delle opere prese in considerazione. Le opere di Novelli sono state messe in relazione, in questa ricerca, a quelle di altri artisti italiani che hanno lavorato negli stessi anni Sessanta e oltre, fino a tutti gli anni Settanta, gli anni della neoavanguardia. Con alcuni di loro Novelli era in contatto e con molti altri no. Il fatto di condividere uno stesso clima culturale che porta gli artisti citati a giocare con le parole o a utilizzare particolari schemi propri di giochi enigmistici o da tavolo, è il motivo della loro presenza in questo percorso. Alcuni sono i caratteri comuni o particolari che si possono individuare. Tutte le opere selezionate presentano scritte calligrafiche o tipografiche (dattiloscritte o industriali). In molte è adottata la combinatoria di elementi fonetici (Villa, Oberto, Carrega). Alcune presentano schemi di giochi da tavolo come quello dell'oca (Baruchello), altre, griglie che 16 possono riportare a quella del gioco enigmistico del cruciverba (Perfetti, Miccini, Chiari) o a quella di origine esoterica del quadrato magico (Boetti). Il dispositivo del rebus ha molti esempi (Festa, Miccini, Lora-Totino, D'Ottavi, Sarenco), mentre le serie numeriche si riscontrano in relativamente poche opere (Mussio). Un altro aspetto che accomuna in molti casi le opere è la citazione da testi, figurativi o verbali, antichi o contemporanei. Frequente l’autocitazione. Uno degli aspetti più interessanti è l'uso del montaggio di parti eterogenee che può essere effettuato sia con la tecnica del collage, o dell'assemblage, o direttamente sul supporto con tecniche grafiche di vario tipo. 17 1.2 La remise en question del linguaggio. Gastone Novelli. Nell'ambito delle sperimentazioni verbo-visive, Gastone Novelli è un artista che ha costruito una sua particolare fisionomia e che difficilmente può essere inserito in una tendenza codificata. Inizia a partecipare a mostre dedicate allo specifico rapporto con la scrittura fin dalla fine degli anni Cinquanta. Nei primi anni Sessanta è invitato a mostre internazionali con lettristi, informali e artisti indipendenti.23 La sua produzione artistica degli anni Sessanta non risente tanto di teorizzazioni specifiche nel campo delle sperimentazioni artistiche che si andavano facendo in quegli anni da parte di artisti collocabili nell'ambito della Poesia visiva di area ligure (Oberto, Carrega) o napoletana (Caruso, Diacono) o ancora toscana (Miccini, Pignotti) e delle riviste e pubblicazioni di riferimento. Novelli sembra seguire prevalentemente il dibattito in corso tra letterati francesi surrealisti (Breton) e tardo surrealisti (Bataille, Klossowsky, de Solier) o che lavoravano sul tema dell'assurdo, del nonsense e del gioco linguistico (Beckett), e poi italiani del gruppo dei Novissimi e poi del Gruppo 63 come sarà messo in evidenza nel corso di questa ricerca. «Operare nell'ambito delle arti figurative è sperimentare ed esprimere con segni e figure, come si può sperimentare ed esprimere con le parole o le azioni. La differenza tra un linguaggio figurativo attivo creativo, e uno accademico, è che mentre il primo nasce da una totale remise en question delle strutture preesistenti per portare alla comunicazione i risultati di una “nuova visione”, il secondo rappresenta, imita i dati acquisiti di una realtà statica».24 23 24 Di particolare importanza: A.Robin [Isidore Isou] (a cura di), La lettre et le signe dans la peinture contemporaine, Galerie Valérie Schmidt, Parigi gennaio 1963; Dietrich Mahlow (a cura di), Schrift en beeld. Art and writing. L'Art et l'écriture. Schrift und Bild, Stedelijk Museum, Amsterdam 3.5-10.6 1963 poi allo Staatliche Kunsthalle, Baden-Baden 14.6-4.8 1963. Gastone Novelli, Il linguaggio e la sua funzione, in “Civiltà delle Macchine”, n.1, 1969, ora in 18 Come già notava Birolli, Novelli è attratto dalla qualità visiva della scrittura,25 ma è alla letteratura e alla saggistica che si rivolge per superare “strutture ereditate e non contestate” nell'arte figurativa. Pur avendo contatti con artisti che si muovono nell'ambito verbovisivo - a Roma all'inizio degli anni Sessanta i luoghi di incontro non mancavano tra gallerie26 e bar del Tridente - non fece mai parte di un gruppo di ricerca artistica connotata preferendo frequentare e lavorare con scrittori e poeti di avanguardia anche per elaborare a quattro mani opere di poesia visiva come le due eseguite con Alfredo Giuliani. Gli artisti che frequentava negli anni Sessanta, oltre a Perilli, erano alcuni di quelli che compaiono nel primo numero di “Grammatica”, la rivista fondata con gli scrittori del Gruppo 63.27 Era quindi lontano, a parte qualche breve incursione, dalle sperimentazioni di Martino Oberto o dalla 'poesia tecnologica' di Eugenio Miccini e Lamberto Pignotti, anche se si possono riscontrare alcune affinità soprattutto con il primo. L'opera verbovisiva di Novelli era affine a quella lirica di Twombly, da lui conosciuto e frequentato già dalla fine degli anni Cinquanta. Entrambi partecipavano alle attività della galleria La Tartaruga di Plinio de Martiis, tramite fondamentale, insieme a Giorgio Franchetti, con gli artisti e i galleristi americani. Differenze e affinità tra i due artisti sono già state analizzate in maniera esaustiva da Birolli,28 che ha messo in luce la diversa qualità della scrittura e delle cancellature nella loro opera. Ciascuno risente della diversa formazione culturale legata alle esperienze pittoriche e liriche americane degli anni Cinquanta nell'ambito dell'espressionismo astratto 25 26 27 28 “Grammatica 5”, La Nuova Foglio Editrice/ Altrouno, Macerata maggio1976, p.46. Birolli 1976, cit., p.14. Agnese De Donato, Via Ripetta 67, Dedalo, Bari 2005. Achille Perilli, Gastone Novelli, Alfredo Giuliani, Giorgio Manganelli (a cura di), “Grammatica”, n.1, Roma 1 novembre 1964 Birolli 1976, cit., pp.19-27. 19 il primo, al «pensiero e la sperimentazione fenomenologica che proveniva dall'area francese e che significava alla fine degli anni cinquanta una scoperta o un recupero degli strumenti linguistici e della percezione», il secondo. Ma, per Birolli, a marcare la differenza pur nell'affinità è l'uso dei supporti, carta o tela, e degli strumenti, soprattutto la matita che in Novelli è lontano dalla produzione di «segni esistenziali e apocalittici di Twombly» per dare invece «senso e struttura discorsiva a quanto è rimasto nella catalogazione». Sullo sfondo dell'opera di Novelli appare di frequente la presenza di Klee, artista apprezzato fin dagli anni Cinquanta quando il pittore italiano ma di madre austriaca tradusse, per la prima volta in lingua italiana, una parte degli scritti teorici per “Esperienza Moderna”.29 I segni alfabetici, numerici e geroglifici usati dall'artista svizzero sono in più occasioni utili riferimenti per comprendere l'uso che ne fa il pittore italiano. Anche nelle opere pittoriche Novelli privilegia la parte grafica, un aspetto che alcuni critici hanno messo in rilievo. Nei dipinti e nelle opere su carta l'artista lascia al bianco un grande spazio. Mentre nelle tele usa spesso velare con colore bianco segni già tracciati e lasciati così in trasparenza. Raramente i segni vengono completamente ricoperti come accade nelle opere di Twombly.30 Il bianco in Novelli è sicuramente il ‘muro’ sul quale scrivere infinite annotazioni,31 ma è anche il doppio del proliferare delle parole da contrapporre al vuoto della superficie candida del foglio o del pigmento. «Il bianco è il colore per eccellenza (coprire un corpo, una città, un mondo di bianco e scrostarne alcune parti significative), esistono una quantità 29 30 31 Paul Klee, Le cose della natura analizzate dal loro interno. Essenza ed apparenza, traduzione di G.Novelli dal libro Paul Klee, das bildnerische Denken, a cura di J. Spiller, Benno Schwabe & Co., Basel-Stuttgard 1956, in “Esperienza Moderna” n. 1, Roma aprile 1957, pp.24-26. Nello stesso numero della rivista un articolo di N.Ponente, Paul Klee, p.23. Cy Twombly parla del suo rapporto con il bianco in una sua dichiarazione senza titolo su “Esperienza Moderna” 1957b, cit., p.32. Scritto sul muro è un importante testo scritto da Novelli nel gennaio del '58 in occasione dell'edizione di 26 litografie edite a cura di Pino Rocchi per le edizioni de “L'Esperienza Moderna”. 20 di bianchi: aspro e assorbente (gesso), morbido ma respingente, che costringe cioè a una lettura di superficie (calce), sordo ( fondo di sabbia imbiancato a biacca), viscido (olio) e così via. Una tempera bianca data a copritura con un giusto spessore costringe ad una lettura in profondità».32 Il bianco di Novelli è da collegare con la ricerca dell’origine del linguaggio. La ‘profondità’ del non-colore o della somma-dei-colori è la stessa della potenzialità del Nulla primigenio ricercato nei primi anni. Sullo sfondo rintracciamo sempre la ricerca di quell’originarietà teorizzata da poeti come Emilio Villa (1914-2003) e artisti come Corrado Cagli (1910-1976),33 conosciuti e frequentati negli anni Cinquanta.34 Basta scrostare un po’ di superficie per arrivare al segno e alla parola-segno. Come se tutto fosse già stato scritto. È compito dell’artista determinare le parti da portare alla luce, nella ricreazione del mondo. Distante da una presunta impostazione 'scientifica', il progetto di Novelli non segue un andamento stabilito a priori, ma le pulsioni che via via si trova ad esporre. Il suo segno-scrittura non è completamente organizzato ma sembra accadere direttamente sul vuoto dello spazio. Il bianco è lo spazio della pagina vuota su cui muoversi con libertà (Mallarmé). Il tema del gioco è sempre molto presente. Un gioco colto e leggero allo stesso tempo, che richiede una partecipazione ma che si mantiene comunque a una certa distanza. I suoi lavori sono un invito a varcare il confine già valicato tra arte e scrittura, dove si può accettare tutto come segno, e quindi senza distinzione tra significante e significato, oppure come senso e allora si scoprono tanti riferimenti e messaggi che si possono cogliere. Le opere del periodo che è stato preso in esame - che va dal '58 al '65 - manifestano un insieme di stratificazioni semantiche prodotte dall’assorbimento di istanze culturali 32 33 34 Gastone Novelli, Pittura procedente da segni, in “Grammatica” 1964, cit., pp.10-11. Corrado Cagli, G.Novelli, numero unico edito da “Dimensione”, ottobre 1956. E' la prima monografia sull'artista che viene inserito in un contesto 'orfico'. Nicola Spano, Il concetto di “origine”di Emilio Villa nell’arte di Gastone Novelli, tesi di dottorato (XVII ciclo) Università di Siena. 21 eterogenee, accumulate nei dieci anni di attività precedente, nutrita di molti interessi, come l’antropologia culturale e lo studio delle lingue delle popolazioni primitive, e poi esoterici e linguistici. I frequenti riferimenti al gioco dell’oca - assimilato talvolta al disco di Festo, alla ruota della fortuna e ai mandala - alle griglie del cruciverba e al rebus, in composizioni dove l’uso della parola è sostanziale, danno la misura di quanto il gioco per Novelli sia fondamentalmente gioco linguistico, dove le lettere dell’alfabeto, le parole, le citazioni e le autocitazioni diventano materiale iconografico e consentono “infinite partite”35 di combinazioni e catalogazioni di segni. A volte la stessa parola si esprime con modalità affabulatoria che rimanda alla teoria centrale del neo-gnosticismo con cui Novelli entrò in contatto tramite Villa negli anni Cinquanta e che approfondirà in seguito interessandosi agli stati di alterazione psichica. L'affabulazione e la frequente sequenza di serie di lettere A reiterate nello spazio, unite a altri indizi, mettono in evidenza quanto per l'artista sia importante anche l'aspetto sonoro della parola che rimanda all'oralità primitiva. La presenza di giochi linguistici nelle opere di Novelli è una delle manifestazioni del clima sperimentale delle neoavanguardie letterarie con le quali l’artista entrò in contatto, nutrito anche dallo studio degli scritti di Duchamp documentato da precisi riferimenti alla Scatola verde in alcune sue dichiarazioni programmatiche come PPQ del '60.36 La capacità creativa dell'artista lo porta a reinventare tanto, forse tutto. Una delle sue capacità principali è quella di prelevare da contesti eterogenei quello che più lo interessa in un determinato momento e farlo proprio, ricreandolo. Un esempio su tutti è la personale 35 36 Gastone Novelli, “Grammatica” 1964, cit.: «Il lavoro artistico si può paragonare a un gioco che ha le sue regole precise ma permette infinite partite, ed ogni singola partita è comprensibile solo attraverso la conoscenza del gioco a cui appartiene». Marcel Duchamp, Marchand du sel, Le Terrain Vague, Paris 1959. E’ la prima pubblicazione degli scritti di Duchamp che Novelli legge (Arch.Mich.) e cita nei suoi scritti, in particolare in PPQ, in “Crack”, Krachmalnicoff, Milano, giugno 1963, p.43, ora in “Grammatica” 1976, cit., p.33. 22 rielaborazione, ogni volta diversa, dell’alfabeto quadrato dei cabalisti (cfr. §1.3.1). Uno degli aspetti che sembra essere più carico di valenze culturali è il riferimento, in alcune opere o appunti, a testi letterari o scientifici del passato: testi che vanno dal XVI al XVII secolo, che trattano materie diverse come la linguistica ludica o le discipline esoteriche e la numerologia. Ma anche testi di medicina e di scienza. A questo proposito fu sicuramente il testo di Jung, Psicologia e alchimia, che contribuì all'apertura nei confronti di un grande numero di discipline diverse. Jung, letto e citato da molti intellettuali contemporanei, compare di frequente in riferimenti (non dichiarati) dello stesso Novelli nei suoi scritti. Dalle opere selezionate emerge la ricca rete di relazione personali e artistiche con personaggi di assoluto rilievo nel panorama italiano e francese degli anni Cinquanta e Sessanta. E riflettono, via via, le sue imprese culturali: la rivista “L’Esperienza Moderna”37 fondata con Achille Perilli con cui inizia a creare rapporti di scambio e amicizia con scrittori e intellettuali italiani e francesi (alcuni dei quali presenti in Antologia del possibile38) fino alla fondazione, con gli scrittori del Gruppo 63, della rivista “Grammatica”39 in cui nel primo numero sono presenti, tra l’altro, opere di altri artisti figurativi che in quegli anni condividevano il clima culturale e, alcuni, la forma verbovisiva: Taiuti, Cego, Tolve, Novak, Libertucci, Scialoja, Cotani, Aste. 37 37 39 Achille Perilli, Gastone Novelli (a cura di), “Esperienza Moderna”, n.1 aprile 1957, n.2 agosto 1957, n.3-4 dicembre 1957, n.5 marzo 1959, Roma. Gastone Novelli (a cura di), Antologia del possibile, Scheiwiller, Milano 1962. “Grammatica” 1964, cit. 23 1.3 Catalogazione e analisi dei giochi linguistici presenti nelle opere su carta di Novelli a confronto con altri artisti contemporanei. La catalogazione e l'analisi delle opere dalla prospettiva del gioco linguistico sono state effettuate partendo da alcuni elementi ricorrenti: scritte calligrafiche con preferenza per l’uso di matite e pastelli, adottate anche nei dipinti; trascrizione di testi a volte in lingue diverse; inserimento in griglie più o meno regolari (in assenza di griglie vere e proprie, riquadri che ricordano le colonne degli articoli di giornali o di cataloghi); riferimenti a uno o più giochi linguistici in uno stesso lavoro; serie numeriche; uso di diversi alfabeti, spesso di lingue antiche o esotiche; catalogazione di segni, forme, colori. Le opere sono state analizzate e suddivise per categorie di giochi di parole o di 'emergenze' utili ai fini della ricerca. Tale catalogazione si è avvalsa in buona parte dei criteri indicati da Giovanni Pozzi nei fondamentali testi La parola dipinta40 e Poesia per gioco.41 Riferimento indispensabile per lo studio sono stati i numerosi saggi di Stefano Bartezzaghi 40 41 Pozzi 2002 [1981], cit. Pozzi 1984, cit. 24 1.3.1 Alfabeto inventato Gastone Novelli, dopo un decennio denso di esperienze che lo portano a viaggiare, a intraprendere studi di sociologia e antropologia, a conoscere intellettuali e artisti italiani e francesi, nel 1957 inizia a tracciare parole nelle sue opere. E’ lo stesso anno in cui accompagna con quattro litografie e un disegno i versi di Dacia Maraini e con tre monotipi, un disegno e un collage, Un eden precox di Emilio Villa. Collaborazione quest’ultima nata dall’amicizia che si venne a creare tra i due artisti durante il loro soggiorno brasiliano, all’inizio degli anni Cinquanta. La figura del grande ed eretico poeta, cultore delle lingue ‘originarie’, semitista, traduttore filologicamente laico della Bibbia, studioso dei dialetti mesopotamici e del Medio Oriente,42 di latino e greco antico, ebbe certamente un ruolo importante nella ricerca linguistica e semiologica di Novelli. L’intensa ricerca sulla parola fatta da Villa, che spazia tra prove di incontenibile plurilinguismo, con uso di giochi di parole, di assonanze e di allitterazioni, resterà sullo sfondo dell’opera del pittore anche quando, all’inizio degli anni Sessanta, i percorsi si divaricheranno: Novelli si avvicinò alla ricerca sperimentale degli scrittori Novissimi, riuniti poi nel Gruppo ’63, avanguardia nella quale Villa non si riconobbe entrando anzi in polemica con alcuni esponenti. Alla formazione della “coscienza semiotica”43 del nostro, contribuirono, come noto, anche altri incontri che avvennero sempre negli anni Cinquanta. In primo luogo con l’opera di Paul Klee (che iniziò a conoscere durante il suo soggiorno brasiliano)44 e con gli scritti di Duchamp che hanno avuto un ruolo fondamentale di apertura verso la possibilità di coniugare la parola con l’immagine, non lontana dalla ricerca sugli archetipi linguistici ma 41 43 44 “Il Verri su Emilio Villa”, a cura di Aldo Tagliaferri, n.7-8, novembre 1998, p.6. Marco Rinaldi, Dal linguaggio magico alla coscienza semiotica: l’universo poetico di Gastone Novelli, in Strappare il mondo al caso: comunicazione estetica e neoavanguardia in Italia (1956-1964), Bagatto, Roma 2008. A Paul Klee fu dedicata una sala alla seconda Biennale di San Paolo nel 1953, quando Novelli era ancora in Brasile. 25 da altre prospettive. L’incontro poi con gli scrittori dell’avanguardia tardo surrealista francese come Bataille, Klossowski, de Solier, ha avuto un ruolo di grande importanza anche dal punto di vista degli interessi per la cultura esoterica e alchemica. Novelli, laureato in sociologia, si avvicinò anche all’antropologia strutturalista soprattutto attraverso la lettura approfondita dei testi di Claude Lévi-Strauss. La pensée sauvage, pubblicato in francese nel 196245 è un libro letto attentamente dall’artista che ne riporta senza mai dichiararlo - molti passaggi negli scritti e nelle opere. Novelli riuscì, nella sua produzione degli anni Sessanta, a coniugare la sperimentazione e il suo interesse per gli archetipi, siano essi segni figurali o lettere di alfabeti. L'obiettivo era quello di costituire una pittura che fosse «un universo-linguaggio e, sotto questo aspetto, l’operare in pittura è indagare, catalogare, raccogliere frammenti e segni».46 In un contesto in cui gli inserti testuali hanno un valore fortemente visivo e il significante ha più importanza del significato, l’alfabeto, sistema di segni grafici e fondamento di (quasi) ogni vocabolario, diventa materiale linguistico che conserva in assoluto una propria aura virginale. L’intero sistema è destrutturato in particelle con l'uso delle singole lettere che di volta in volta sono composte in sillabe, parole, frasi o ristrutturate in sequenze continue che conservano la melodia di un suono ancestrale, così come stavano già sperimentando i lettristi francesi. Questo rende l’artista libero di creare un proprio ‘universo linguistico’ autonomo in cui sono inclusi frammenti di figure, che vanno a costituire così un repertorio di segni di varia origine. E, come già per i lettristi, non solo l’alfabeto latino ma quelli di tante altre lingue interesseranno l’artista italiano. Novelli, tra i segni delle varie lingue naturali riportate nelle sue opere, utilizzò anche quelli di una lingua inventata, recuperando, come vedremo, un’antica tradizione di origine esoterica. 45 46 Claude Lévi-Strauss, La pensée sauvage, Plon, Paris 1962. Gastone Novelli, Sul linguaggio, in “Bit” n.2, 1967, ora in “Grammatica” 1976, cit., p.38. 26 Premesso che l’alfabeto inventato non è mai presentato nella stessa versione ma sempre con delle varianti, le prime opere in cui compare sono due tele del ’63, La grande voile e Soror Mistica.47 Erano anni in cui Novelli andava elaborando anche alfabeti creati da piccole figure geometriche come nell’opera su carta Centro, intervento, tesoro del 1964, che riproporrà con varianti in altre opere. È in due importanti dipinti dello stesso anno, Il vocabolario e Analisi dei frammenti che il codice inventato compare, assumendo un ruolo preciso nella catalogazione di segni operata dall’artista in questa fase del suo lavoro. Lo stesso alfabeto viene riportato, oltre che in una pagina dattiloscritta del Viaggio in Grecia pubblicato nel 1966 ma scritto a partire dal 1963 - nei tre disegni del 1965, Tavola degli ornamenti, Tavola bilingue e uno senza titolo che fa parte del Quaderno delle intenzioni. Dopo avervi accennato ancora nel quadro Il viaggio dell’aquilone, sempre del ’65, l’alfabeto inventato sembra scomparire sia dalle opere su tela che da quelle su carta. Ne rimane memoria nel recupero di forme quadrate presenti in alcuni lavori degli ultimi anni. L’alfabeto re-inventato di Novelli. Analisi delle opere In Centro, intervento, tesoro (fig.1) è disegnato un alfabeto fatto di piccole figure geometriche che sembra annunciare l’uso dell’alfabeto inventato. Ha un aspetto programmatico per via delle tre parole scritte in verticale sul lato sinistro del foglio. La prima, centro, è associata a una scritta: numerare e catalogare riempire lasciare ritmare muovere semplificare chiarire organizzare orchestrare immaginare fare fare dei nuclei attrarre concentrare partendo dal centro verso l’esterno. Con una freccia carica di lettere A, viene indicato un alfabeto latino e la sua traduzione con figure più o meno geometriche. A ogni lettera corrisponde una figura sempre diversa. La seconda, intervento, è associata alle parole ordine struttura catalogo disposizione e a uno schema nel quale i segni dell’alfabeto di forme geometriche è associato a gruppi di 47 Entrambe le opere sono in collezioni sconosciute e le foto sono in b/n (Catalogo generale Novelli 2011). 27 lettere latine. La terza, tesoro, è associata a natura occasione fertile campo di raccolta disponibilità strumenti vocabolario elementi fossili archetipi frammenti, parole disposte in linea sopra un insieme di segni a trattini e puntini. Le parole scritte rivelano - a parere di chi scrive - la riflessione fatta sui testi di LéviStrauss. I termini usati fanno infatti parte del repertorio utilizzato dall’antropologo francese per definire le basi teoriche della sua distinzione tra pensiero ‘scientifico’ e pensiero ‘magico’, del quale si trova traccia, con vere e proprie citazioni, negli scritti di Novelli.48 Il testo presenta riscontri in alcune opere su tela e su carta della metà anni Sessanta, assumendo un vero e proprio valore programmatico. La parola centro viene utilizzata spesso da Novelli per indicare il centro del corpo (anche della sua pittura) ma anche il punto focale di un argomento. Il 'centro' è una figura simbolica fondamentale, «nell'astronomia tradizionale un cerchio con il centro segnato è il simbolo del sole, in alchimia è simbolo del suo metallo analogo, l'oro».49 Paul Klee usa molto di frequente questo termine nei suoi scritti teorici per indicare il luogo dell’impulso energetico di qualche azione o del punto di equilibrio tra le forze. Sembra qui indicare il nucleo concettuale dell’operazione sul linguaggio fatta da Novelli che prevede, come intervento, la possibilità di inventare alfabeti fatti anche di elementari figure geometriche. Il tesoro è l’occasione fertile, che crea, attraverso i vari elementi dati in maniera frammentaria, nuovi mondi espressivi. Il vocabolario (fig.2) è un dipinto molto complesso, ricco di riflessioni sul gioco e sul linguaggio.50 Sembra una summa delle ricerche di quegli anni. Il 1964 è un anno carico di esperienze per Novelli: mostre personali e collettive: partecipa alla XXXII Biennale di 48 49 50 Gastone Novelli, Pittura procedente da segni, in “Grammatica” 1964, cit. Hans Biedermann, Enciclopedia dei simboli, Garzanti, Milano 2001 [1991], p.108. Per l'analisi dettagliata del dipinto si rimanda a: Ada De Pirro, Una lettura de Il Vocabolario di Gastone Novelli. Fonti inedite e nuovi riferimenti, in corso di pubblicazione su “Storia dell'Arte”, Cam Editrice, Roma. 28 Venezia dove presenta anche questo quadro e vince il ‘Premio Gollin’, dipinge scenografie per due opere teatrali (di Arthur Kopit e di Alfredo Giuliani), illustra un testo di Giuliani per Scheiwiller. Realizza la serie di disegni per Hilarotragoedia di Giorgio Manganelli e fonda con gli stessi Giuliani, Manganelli e Perilli la rivista “Grammatica”. Il quadro è un vero e proprio repertorio di citazioni, come un grande foglio fitto di appunti che l’artista ha tratto da vari testi. In primo luogo è evidente la derivazione da La pensée sauvage da cui traduce e riporta sulla tela sia alcune parti scritte sia diagrammi e schemi grafici; è poi presente un lungo stralcio del suo già citato Pittura procedente da segni, debitore anche questo del testo di Lévi-Strauss. Nel quadrante in basso a sinistra ci sono dei riferimenti a testi e ambiti culturali eterogenei ma che riportano comunque agli interessi enigmatici dell’artista, anche quando si tratta della lingua e delle sue possibilità di trasformazione. L’alfabeto inventato è qui avvicinato alle scritte Amante in uno e Seigneur des Accords rebus.51 La presenza in questo dipinto dell’alfabeto inventato, accostato alla citazione da Les Bigarrures et Touches du Seigneur des Accords,52 sembra volerne dichiarare l’origine. Come vedremo in seguito, questa composizione potrebbe rivelare in realtà il desiderio dell’artista di dare per frammenti alcune citazioni che vadano a costituire il suo personale vocabolario. L’accostamento è sicuramente non casuale in quanto l’alfabeto inventato è riportato, con varianti, anche nel testo di bizzarrie linguistiche francesi (cfr. §1.3.12). Analisi dei frammenti è un importante dipinto del '64 (fig.3) in cui compare il più forte indizio circa la conoscenza da parte di Novelli di un antico trattato di crittografia, probabile fonte del suo alfabeto inventato. La struttura a scacchiera utilizzata contiene, tra altri 51 52 Per un’analisi approfondita di questa citazione si rimanda a: Ah, che rebus! 2010, cit., pp.41-43. Etienne Tabourot, Les Bigarrures et Touches du Seigneur des Accords. De la derniere main de l'Autheur. Livre premiere, Claude de Montr'oeil et Jean Richer, Paris 1595 [1583]. Gastone Novelli possedeva una copia del libro (Tiddia 2011, cit.), nell'edizione stampata a Parigi nel 1662. È questa l'ultima delle numerose edizioni ed è considerata la più completa. 29 elementi, tre riquadri in cui viene riportato il nostro alfabeto e la sua traduzione in quello latino. E’ un’altra catalogazione di segni grafici su fondo bianco accostati a quadrati colorati. Tra i segni inseriti nelle caselle, compare una crittografia che si trova nel trattato sulle cifre di Blaise de Vigenère53 (fig.4) ed è data come traduzione della parola CASA. Questo conferma che l’antico trattato è un altro importante testo al quale l’artista si è ispirato per alcuni particolari significativi delle sue composizioni, compreso dunque, molto probabilmente, il nostro alfabeto. Viaggio in Grecia (fig.5). In una pagina del diario relativa al primo dei suoi tre viaggi in Grecia compiuti tra il 1962 e il 1963, appuntato a matita a lato dello scritto, troviamo ancora l’alfabeto inventato. E’ difficile dire con certezza a quando risalga il piccolo disegno, in quanto molte sono state le versioni e i rimaneggiamenti del testo. Lo scritto è un affascinante percorso nella memoria carico di riferimenti, citazioni e ricco di appunti grafici. Con i disegni del primo viaggio del '62 fu fatta nello stesso anno una mostra alla libreria romana Ferro di Cavallo il cui catalogo riportava alcune frasi tratte dal diario dell’artista.54 Nei fogli dattiloscritti55 si trovano, tra le tante descrizioni di paesaggi naturali, di riti locali, di persone incontrate, alcune riflessioni sull’amore e l’erotismo, sulle opere e i monumenti visti e poi ancora ricordi delle sua giovanile esperienza in prigione - tra il 1943 e il 1944 per aver partecipato alla Resistenza. Le sue dichiarazioni di poetica riproducono quelle contenute in Pittura procedente da segni pubblicato nel primo numero di “Grammatica”.56 53 54 55 56 Blaise de Vigenère, Traicté des Chiffres, ou sècretes manière de escrire, Abel l’Angelier, Paris 1587, f.205v. La prima stesura era per un libro che si sarebbe intitolato Viaggio in Grecia, formato inizialmente da 106 cartelle dattiloscritte (collezione Ivan Novelli) e risale all’estate del 1963, poi fu ridotta a 80 (collezione Marina Lund), ma non trovò editore. Nel 1966 fu finalmente pubblicata dalla Galleria Arco d'Alibert di Roma una terza versione ulteriormente ridotta, con tiratura limitata a 45 copie, corredata da sei incisioni originali stampate dalla Litografica Romero. I fogli dattiloscritti sono riprodotti in Gastone Novelli, Histoire de l’oeil, Il viaggio in Grecia, Hilarotragoedia, Baldini & Castoldi, Milano 1999. “Grammatica” 1964, cit. 30 Tra tantissime memorie e citazioni da antichi libri di viaggio, come quello sulla validità per curare alcune malattie con dei viaggi per mare di Ebenezer Gilchrist del 1770 e di geografia come quello di Strabone del I°sec. D.C., o riferimenti alla musica jazz, alle opere di Manganelli, Miller, Klossowsky, Freud, Gastone Novelli cita anche qui (come si troverà a fare spesso in opere e dichiarazioni) il libro del Tabourot.57 Dal testo francese viene riportata una citazione ripresa dal foglio 3v del libro I, intitolato De l’invention et utilitè des lettres: «mais comme c’est la beauté d’une langue que la diversité des idiomes & caracteres, chacun c’est efforcé de l’embellir, come Palamedes, qui adiousta au grèque trois letteres, ». Curiosamente, accanto a questa citazione, l’artista annota a matita l’alfabeto inventato con i caratteri equivalenti dell’alfabeto latino, tranne che per le lettere z e x. Come vedremo in seguito, l’accostamento è significativo, perché mette insieme una delle probabili fonti a cui egli associa il testo che si occupa di molti giochi linguistici, tra i quali è annoverata anche la possibilità dell’invenzione di una lingua. È utile specificarne il contesto. Il diario di viaggio di Novelli dichiara in più punti l’intento di mettere in collegamento le sue esperienze di viaggio in Brasile e in Grecia, mantenendo sempre la prospettiva del lavoro sulla memoria fondata sulla frammentarietà di elementi culturali eterogenei che possono essere acquisiti e ricomposti in maniera personale dall’artista, per la costituzione di un vocabolario di segni, simboli e forme utili per nuove e infinite composizioni. La scoperta da parte di Novelli della cultura brasiliana porta con sé la ricerca di miti e tradizioni arcaiche, approfondita dai viaggi nella cosiddetta 'culla' dell'Occidente. Oltre ai suoi giovanili interessi per la sociologia e l'antropologia fu sicuramente un forte stimolo lo scambio che ebbe con Emilio Villa negli anni brasiliani (anche lui si recherà in Grecia nel 1963 alla ricerca dei miti arcaici), e la lettura dei testi di Lévi-Strauss. E così l’inesauribile 57 Tabourot 1662 [1583], cit. 31 quantità di associazioni, citazioni, riferimenti, compreso l’alfabeto inventato rientrano in quel vasto universo di potenzialità espresso dai segni inventati dall’uomo. Tavola degli ornamenti del '65 (fig.6), è un'importante opera su carta che presenta, sotto forma di catalogazione non sistematica, la crittografia e i caratteri di molti alfabeti, tra i quali il geroglifico egiziano, l'alfabeto greco, una rielaborazione di un dialetto indiano, il runico, il cuneiforme sumerico, il lineare B cretese, il turco, il cinese, il giapponese, il sanscrito e alcuni segni prelevati dal disco di Festo. La presenza di tantissimi tipi di caratteri alfabetici, definiti con terminologia ottocentesca ‘ornamenti’, mette l’accento sull’intenzione dell’artista di accomunarli tutti senza distinzione gerarchica di importanza. L’idea di ‘tavola’ dà poi la dimensione di un reperto immaginario in cui vengono giustapposti caratteri di diverse lingue, una sorta di campionario delle possibili coniugazioni del linguaggio mondiale. Novelli sembra incarnare la figura del bricoleur, per usare il termine coniato da LéviStrauss.58 Dal grande antropologo strutturalista francese l'artista riprende infatti il concetto, fondamentale nella sua opera, della possibilità di utilizzare “residui e frammenti di eventi” che sono “testimoni fossili della storia di un individuo o di una società” e di organizzarli in vere e proprie strutture (sistemi) da utilizzare per la creazione di altri universi linguistici. Nell’arte figurativa del Novecento, l’inserimento di lettere dell’alfabeto latino o di alfabeti immaginari che alludono a vere e proprie crittografie, tutte calligrafiche, si può far risalire a Klee - artista che, come noto, si può definire uno dei maestri di Novelli. La possibilità di utilizzare alfabeti di altre civiltà è stata praticata anche dai lettristi francesi che si 58 Lévi-Strauss 1962, cit., tr.it. di P.Caruso, Il pensiero selvaggio, Il Saggiatore, Milano 2010 [2003]. 32 inseriscono così nell’ambito di sperimentazioni linguistiche già in atto.59 Per Klee l’inserimento di lettere nelle sue opere è frutto dell’elaborazione teorica che andava facendo fin dagli anni Venti. Significative sono alcune opere su carta, come ad esempio Collezione di segni del ’24 (fig.7), dove troviamo l’uso calligrafico di segni alfabetici. Ma tantissimi sono gli esempi che si potrebbero portare, tra cui le due opere del 1938 ABC per un pittore murale (fig.102) e Così forse inizia segretamente. Come è già stato sottolineato, l’impiego che l’artista svizzero fa di geroglifici e segni crittografici è lontano da simbolismi che possano rimandare a significati trascendenti, «Klee non tende né verso l’allegoria del rinascimento, né verso il simbolismo naturale del romanticismo; egli, invece, aspira a un linguaggio in cifre, che rafforzi la polifonia del quadro, come un testo pieno di enigmi».60 Klee lascia scritto che «scrittura e immagine, lo scrivere e il figurare, sono fondamentalmente tutt’uno».61 I lettristi francesi, con l’invenzione nel 1950 dell’hypergrafie, includono l’insieme dei segni concreti della comunicazione superando l’uso esclusivo dell’alfabeto latino e ammettendo quelli di altre lingue anche inventate. Come dichiara lo stesso fondatore, Isidore Isou, nel 1989, nell’ambito del Lettrismo è stato riconosciuto «la valeur plastique des alphabets ou des calligraphies empirique, pratiques, extra ‘formel’, figés à un nombre limité de signes, n’ayant d’ailleurs aucun rapport avec notre système artistique bas dé sur des milliards de signes acquis ou à venir».62 Soprattutto tra le opere di Gabriel Pomerand troviamo molti esempi come Aforisma nove: “L’automatismo è il solo elemento coniugale che non varia mai” del '50 (fig.8) dove il richiamo ai segni runici è molto forte e così nel senza titolo dello stesso anno. In un'opera di Jacques Spacagna del 1962 (fig.9) e ancora 59 60 61 62 Come ad esempio nei Cantos di Ezra Pound dove sono inseriti caratteri ideografici cinesi. Will Grohmann, Paul Klee, Garzanti, Milano 1956, p.149. Paul Klee, Teoria della forma e della figurazione, ed. it. A cura di M. Spagnol e F.Saba Sardi, Feltrinelli, Milano 1976 [1959], p.17. Isidore Isou, Ce qu’il faut savoir de la peinture lettriste et infinitésimale, in R. Sabatier, Le lettrisme. Les création et les créateurs, Z éditions, Nizza 1989, p.112. 33 nella copertina del libro La poesie lettriste di Jean-Paul Curtay del 1974 ne troviamo altri. Qualche anno più tardi, nel '73, Arrigo Lora-Totino esegue un interessante collage, La biblioteca di Babele (fig.10), dal titolo ispirato al racconto di Borges scritto nel ‘41 e pubblicato in Italia nel ‘55.63 Come l’opera di Novelli, anche questa di Lora-Totino è vicina alla ricerca lettrista, sebbene l’utilizzo della tecnica del collage la fa rientrare nell’ambito delle opere di Poesia visiva. La pagina è un assemblaggio di brani di testi con caratteri e lingue diverse, che rispetta più o meno l’andamento a colonna della stampa. Ne risulta un mosaico di frammenti che rimanda, oltre che ai diversi idiomi, anche a diversi modi di comporre tipograficamente le parole e le figure riprese anche da testi antichi. Tavola bilingue (fig.11), il disegno di Novelli del '65 pubblicato anche su “Grammatica 5”,64 è forse il più significativo per analizzare l’alfabeto. Come ‘tavola bilingue’ si propone infatti di presentare l’alfabeto inventato e di portare alcuni esempi di traduzione non casuali, indicativi dell’interesse di Novelli per l’analisi dei segni, inclusi quelli relativi alla cultura esoterica, che in quest’opera è molto evidente . Sul lato sinistro in verticale e a intervalli irregolari c’è una serie numerica, su tutto il resto del foglio, troviamo una serie di segni e parole nel codice linguistico inventato, accostata sia a forme geometriche sia a segni già presenti in altre opere e che fanno parte dell’alfabeto iconico di Novelli. L’alfabeto è presentato con la traduzione nelle corrispondenti lettere dell’alfabeto latino esclusa la zeta, per un totale di venti lettere. La simmetria cercata dall’artista fa intendere la necessità di eliminare una lettera ma lo avvicina, come vedremo in seguito, anche ad alcune versioni della crittografia in testi antichi. Lo schema del disegno è molto semplice, disposto con molta chiarezza su cinque livelli 63 64 Jorge Luis Borges, La biblioteca di Babele, in Finzioni (1935-1944), tr. It. F.Lucentini, Einaudi, Torino 1995 [1955]. “Grammatica” 1976, cit., p.83. 34 distinti, dove compaiono numeri, disegni, lettere. In colonna, sul lato sinistro troviamo una serie numerica: 40, 30, 26 1/2, 26, 25, 20, 10. Al centro del foglio, in corrispondenza del numero 40, una freccia e un segno-sole. Il simbolo del sole è uno dei fondamenti della cultura ermetica. Per Ermete Trismegisto il Sole è strumento della natura, precedendo gli altri trasforma la materia inferiore;65 è poi immagine dell’uomo;66 solo il Sole è reale, perché a differenza di tutto il resto non si trasforma mai, rimanendo sempre identico a se medesimo per cui anche ad esso fu concesso di plasmare tutto il mondo, di reggere e produrre tutte le cose.67 E’ nota l’importanza del sole nella cultura alchemica, identificato con l’oro, da cui deriva, nel simbolismo massonico, la sovrapposizione concettuale tra il Sole e la Mente eterna considerata l’oro immateriale. In corrispondenza del segno-sole, Novelli annota il 40 (livello più alto). Tra i numeri 40 e 30, disposte in fila, sono disegnate due montagne, un cerchio, un triangolo, un quadrato. Sotto le figure geometriche troviamo due parole scritte con l’alfabeto inventato che tradotto con l’alfabeto bilingue che l’artista lascia scritto più sotto, diventa la geometria. In corrispondenza dei numeri 26 1/2 e 26, troviamo due linee, tre pallini, due freccette. Finalmente, in corrispondenza del numero 20, abbiamo su due linee l’alfabeto latino e sotto ogni lettera i segni equivalenti dell’alfabeto inventato. Sulla stessa linea ci sono: un’altra montagna, la rappresentazione schematica di onde, e poi, scritta nel codice misterioso, la parola onde. Infine, in corrispondenza del numero 10, divisi da una linea, troviamo scritto i quattro livelli del pianeta e, ancora sotto, la traduzione nel codice segreto. Oltre troviamo una figura che assomiglia vagamente a una barca e poi ancora una scritta nel codice e la sua traduzione tra parentesi: architettura. 65 66 67 Ermete Trismegisto, Il cratere della Sapienza, a cura di C.Croce, Giovanni Semeraro, Roma 1962, p.83. Nella biblioteca di Novelli (Arch. Nov.), c'è una copia del testo con varie sottolineature che dimostrano l'interesse con il quale il testo fu letto dall'artista. Trismegisto 1962, ivi, p.85. Trismegisto 1962, ivi, p.93. 35 Di questo lavoro, oltre che l’alfabeto inventato, è interessante analizzare anche le parole scelte dall'artista come esempi di traduzione. La geometria: è una delle scienze liberali del quadrivio pitagorico e secondo l’arte massonica è strettamente collegata con il concetto di architettura ovvero con l’edificazione spirituale. La geometria è rappresentata nella Melancolia I di Dürer con gli strumenti di misurazione, gli stessi simboli usati dalla massoneria che ha conservato molti usi della tradizione ermetica. La misurazione ha come base l’aritmetica, la più importante tra le scienze pitagoriche a fondamento della quale c’è la sacralità dei numeri.68 Le onde: il segno-onde potrebbe essere riferito all’elemento acqua, fondamentale nella pratica alchemica laddove si parla anche di ‘mare alchemico’ o ‘acqua permanente’. I quattro livelli del pianeta. Premesso che il numero 4 rappresenta la perfezione in quanto, come spiega Arturo Reghini, «è l’ultimo numero che si ottiene passando dal punto alla linea, dalla linea al piano e dal piano allo spazio».69 Il 4 infatti rappresenta lo spazio ed è perfetto proprio perché rappresenta un limite, secondo la concezione aristotelica. E’ un numero che ricorre nella cultura alchemica: attraverso l’esperienza dell’Arte Alchemica si può entrare nel Quarto livello, quello sovracausale, dove si sperimenta il tempo presente. Sempre per la filosofia alchimistica esistono 4 livelli di coscienza, o corpi, grossolano, sottile, causale, sovracausale e 4 sono gli elementi (acqua fuoco aria terra). Nel disegno il numero è riferito ai ‘livelli del pianeta’ e si può avvicinare a una delle immagini presenti ne Il vocabolario, il dipinto del ’64. Sembra che nei due casi la simbologia possa riguardare ancora quella ermetica e alchemica, individuando nel numero quattro sia le fasi del processo alchemico sia i rispettivi elementi. E infine, la parola architettura è ovviamente associata alla geometria. I membri della loggia massonica, come noto, sono chiamati ‘muratori’ in quanto la massoneria si rifà alla 68 69 Arturo Reghini, I numeri sacri nella tradizione pitagorica massonica, Atanòr, Roma 1994 [1947]. Reghini 1994 [1947], ivi, p.37-38. 36 leggenda di Hiram, l’architetto del Tempio del re Salomone da cui la definizione di Grande Architetto dell’Universo per significare l’Essere supremo. Invece di scrivere le prime due parole, Novelli ne presenta l’equivalente grafico con delle piccole forme geometriche e delle onde, mentre scrive le altre utilizzando l’alfabeto latino. È d’altro canto già noto quanto nel vocabolario di Novelli non ci sia distinzione tra segni grafici e alfabetici perché «i segni sono concreti quanto le immagini (le lettere quanto le parole), ma hanno un loro potere referenziale per cui, anche essendo essenzialmente relativi soltanto a se stessi, possono fare le veci di qualcosa d’altro».70 Il foglio senza titolo dal Quaderno delle intenzioni (fig.12), è vicino alla Tavola bilingue. In questo disegno, oltre a dare un’altra versione dell’alfabeto, l'artista traduce le parole donna, cuore, seno. Diversamente dall’altra opera, qui il tema è il corpo femminile e, forse, il sentimento. Numerosi sono i lavori di Novelli in cui sono fatti cenni a parti del corpo femminile, in una sorta di catalogazione delle zone erogene, spesso accompagnata da serie numeriche (cfr.§1.3.6). E’ dunque a questo gruppo di lavori che si può avvicinare il disegno, dove la parola cuore può essere invece intesa sia nel senso di ‘centro’, termine spesso utilizzato dall’artista come nel disegno Centro, intervento, tesoro, sia come luogo simbolico del sentimento d’amore. La docta ignorantia del bricoleur Novelli Nei primi anni Sessanta, Gastone Novelli inizia a entrare in contatto con alcuni testi antichi che trattano vari argomenti, dalle bizzarrie letterarie all’anatomia, da testi esoterici a trattati di cifratura, citandoli in diverse opere. Negli anni precedenti aveva già letto, probabilmente su indicazione di Emilo Villa e Corrado Cagli, Psicologia e Alchimia di Jung nell’edizione 70 Gastone Novelli, Pittura procedente da segni, in “Grammatica” 1964, cit., p.10. 37 italiana del 1950,71 uno dei libri della sua biblioteca sopravvissuto agli spostamenti dell’artista (Arch.Nov.). La copia presenta numerose sottolineature e annotazioni, segno della grande attenzione con la quale è stata letta.72 Gli interessi esoterici dell’artista, legati alla sapienza religiosa dell’antica Grecia, sono documentati, come già detto, dalla presenza, nella sua biblioteca, della prima ricostruzione dei testi di Ermete Trismegisto.73 Dopo aver conosciuto e collaborato con Eduard Jaguer quando curava con Achille Perilli la rivista “Esperienza Moderna” tra il 1957 e il 1959, fu probabilmente grazie all’incontro con gli scrittori d’avanguardia dell’area tardo surrealista e del Nouveau Roman, che Novelli iniziò a interessarsi ai testi che diventeranno fonte di ispirazione e repertorio a cui attingere suggestioni per le sue opere. Il più importante di questi è il già citato Les Bigarrures di Tabourot, una cinquecentina francese di giochi linguistici a cui l’artista dedica un tributo in alcune opere. Dal testo sono prelevati sia brani scritti sia immagini, e in più occasioni viene definito dallo stesso Novelli come uno dei più importanti libri letti. Come è stato di recente appurato,74 l’artista possedeva una copia del libro al quale è stato introdotto molto probabilmente da René de Solier che lo cita in una lunga nota del suo libro sull’arte fantastica, del 1961.75 Lo stesso scrittore avvicinerà negli anni l’antico libro francese all’artista italiano, per esempio in un testo del 1962, Gastone Novelli: le songe toile, dove ne parla prendendo spunto dal dipinto L’origine dei precedenti, dello stesso anno. Visto l’interesse manifestato da Novelli circa la possibilità di creare un inventario di segni 71 72 73 74 75 Carl Gustav Jung, Psicologia e Alchimia, (tit.or. Psycologie und Alchemie, Walter-Verlag, Olten 1944), tr.it. a cura di R.Bazlen, Astrolabio-Ubaldini, Roma 1950. Per i rapporti tra il testo di Jung e Novelli vedi: Spano, cit., 2002; Marco Rinaldi, Il viaggi della farfalla. Temi e immagini della pittura di Novelli, in Catalogo generale Novelli 2011, cit. Cfr. nota 65. Alessandra Tiddia, Gastone Novelli: un’arte nomadica, in Catalogo generale Novelli 2011, cit., nota 87, p.45. René de Solier, L'art fantastique, Jean Jacques Pauvert, Paris 1961. A p.180, nella nota 1, in un breve saggio sulla Melancolìa I di Dürer, lo scrittore cita una delle definizioni del Tabourot tratta dall'edizione de Les Bigarrures del 1662, facendo rientrare nella genesi del fantastico tutte le figure tratte da emblemi e divise di cui parla l'autore. Vedi Ada De Pirro, Gastone Novelli in Ah, che rebus! 2010, p.43. 38 che comprendesse i caratteri linguistici delle tradizioni più diverse, per analizzare il suo alfabeto inventato, sono partita dal carattere culturale di ogni operazione di Novelli, giocato sempre su un crinale coltamente ludico. Senza dimenticare il fatto che l’ortogonalità dei segni utilizzati potesse ricondurre anche alle ricerche di Bruno Munari - conosciuto e frequentato da Novelli tra la metà degli anni Cinquanta e i primi Sessanta - e agli studi sulla Gestalt76 finalizzati ai suoi corsi di visual design tenuti all’Istituto Superiore del Museo di San Paolo e che poi riprenderà successivamente in Italia. Le forti analogie con l’alfabeto ebraico quadrato mi hanno poi indirizzato verso il confronto con antiche crittografie che lo potessero aver ispirato.77 Dagli esempi presi in considerazione, appare evidente che la lingua inventata o meglio, come vedremo, re-inventata da Novelli è solo alfabetica, non propone cioè né un sistema grammaticale né una pronuncia fonetica, ma come ‘lingua universale’ soltanto scritta, si può definire una pasigrafia anche se questo termine si riferisce di solito a crittografie basate su sistemi numerici.78 Lo stesso alfabeto si può invece sicuramente definire una crittografia a sostituzione monoalfabetica, in quanto a ogni segno alfabetico si può sostituire uno dei caratteri del sistema inventato. Il carattere di pasigrafia del codice re-inventato da Novelli lo avvicina alle lingue preistoriche delle quali non si conosce la pronuncia, ma anche ad alcune crittografie antiche. L’artista figurativo ha in questo caso privilegiato il dato visivo a quello fonetico. Nei disegni dove il sistema di segni è presentato con i corrispondenti nell’alfabeto latino, fornendo anche qualche esempio di traduzione, come nella Tavola bilingue e nel disegno della raccolta ‘Quaderno delle intenzioni’, si capisce che l’artista non è interessato a un sistema coerente di segni ma alla possibilità di cambiarli in modo più o meno casuale. 76 77 78 Novelli conosceva già Max Bill e lo frequentò durante il suo soggiorno in Brasile. Ringrazio la Prof.ssa Caterina Marrone per le fondamentali indicazioni su questo argomento. Il termine pasigrafia denota in genere una lingua artificiale composta da un codice numerico scritto da cui si possono trarre corrispondenze con una data lingua. 39 La lunga storia della crittografia di Novelli La crittografia inserita da Novelli nelle sue opere è l’ultima versione di un alfabeto che ha una tradizione antica di secoli, che a sua volta affonda le sue radici in tempi ancora più lontani quando la parola portava in sé equivalenze sacre con il mondo divino. La curiosità dell’artista lo ha portato a esplorare un mondo di cui non sappiamo quanta consapevolezza scientifica avesse, ma dal quale rimase indubbiamente affascinato. È molto probabile infatti che ignorasse la lunga storia del suo alfabeto, storia che ho tentato di ricostruire attraverso i testi antichi in cui era apparso. Si tratta di testi italiani e francesi dei secoli XVI e XVII. Quando è affrontato il tema di questo particolare alfabeto segreto nei trattati individuati nel corso di questa ricerca, vi è sempre un riferimento a quello ‘quadrato’ ideato dal filosofo, medico e astrologo tedesco Agrippa von Nettesheim (1486-1535), poi rielaborato da altri nel corso del XVI secolo. L’alfabeto di Agrippa deriva dall’alfabeto ebraico attraverso la mediazione di cabalisti cristiani come Raimondo Lullo. L’autore, nel terzo libro del De occulta philosophia79 dedicato alla ‘magia cerimoniale’, dopo aver analizzato molti tipi di scritture esoteriche, nel capitolo XXX, Di altre specie di caratteri trasmessici dai Cabalisti,80 riporta una serie di alfabeti. Questi alfabeti, tutti attribuiti agli ebrei, fanno riferimento alle sacre scritture e hanno pertanto un profondo carattere sacrale. La maggior parte di questi segni presenta un andamento geometrico che riporta all’alfabeto quadrato ebraico, elaborato secondo la tradizione anche ad opera dello stesso Esdra.81 La scrittura per noi più interessante «assai reputata un tempo dai Cabalisti», ma «divenuta 79 H.C. Agrippa von Nettesheim, De Occulta Philosophia, libri tres, Colonia 1533. In forma manoscritta (1510) fu dedicato all’abate Tritemio con il quale ebbe un colloquio sulla magia e che scrisse il Polygraphia libri sex nel 1518 (il primo libro a stampa sulla crittografia ma che non presenta traccia dell’alfabeto in questione). Mentre veniva stampato la prima volta, fu bloccato dall’inquisizione. Successivamente fu stampato in libri separati. L’edizione del 1533 di Colonia, Parigi e Antwerp, ha la dedica al suo protettore Hermann von Wield. 80 Enrico Cornelio Agrippa, La Filosofia Occulta o la Magia, vol.II, tr.it.di A.Fidi, Edizioni Mediterranee, Roma 2008 [1972], pag.248-252. 81 Agrippa 2008 [1972], ivi, p.248. 40 oggi di uso tanto comune da esser quasi caduta in potere dei profani»,82 deriva da una matrice generativa formata da due linee verticali e due orizzontali che formano uno schema, non delimitato da cornice, con nove spazi quadrangolari. Questa griglia contiene e suddivide le ventisette lettere dell’alfabeto ebraico, disposte tre a tre. Agrippa ci spiega il criterio secondo il quale le lettere sono distribuite nelle varie caselle e sui tre livelli: «nel primo gruppo si collocano le lettere , che rappresentano i numeri semplici e le cose intellettuali distribuite ai nove ordini angelici; nel secondo le lettere , che contrassegnano le decine e le cose celesti nelle nove orbite dei cieli; nel terzo le quattro lettere residue con le cinque finali , che esprimono le centinaia e le cose inferiori, vale a dire i quattro elementi semplici e le cinque specie perfette di composti». In ogni singola casella sono distribuite, a partire dall’alto, le ‘unità’, le ‘dualità’, le ‘triadi’ e così via (fig.13). Fin qui la descrizione della matrice generativa. La sua forma regolare viene utilizzata ai fini dell’individuazione delle singole lettere contenute in ogni casella. L’alfabeto inventato deriva dalla scomposizione di tale schema. Dalla scomposizione derivano nove figure (fig.13a) che danno luogo alle lettere dell’alfabeto con l’aggiunta di uno, due o tre segni apicali come nell’esempio dato dallo stesso autore (fig.13b).83 L’alfabeto di Agrippa è stato ripreso da Gabriel de Collange nel 1561, e dopo due anni da Giovan Battista Della Porta con importanti modifiche. Il testo di Gabriel de Collange (Tours 1524-?), Polygraphie et universelle éscriture cabalistique de M.I.Trithème Abbé, la cui prima edizione fu stampata a Parigi nel 1561 da Jacques Kerver, è la prima edizione francese del testo sulla crittografia di Tritemio con 82 83 Agrippa 2008 [1972], cit., p.250. Prima di iniziare a percorrere la lunga storia dell’alfabeto segreto di Agrippa, si segnala anche l’alfabeto utopiano di Thomas More che in Utopia del 1516 c., che riporta sette caratteri dell’alfabeto esoterico. L’alfabeto di More era conosciuto in ambito surrealista ed è riportato nel numero della rivista “Bizarre” dedicato alla Littérature Illettrée, Parigi, primo trimestre 1964. 41 commento e aggiunte dello stesso Collange. La sua traduzione è di valore per il processo di cifratura e per le informazioni che contiene circa la storia della crittografia. E’ qui evidente l’importanza della combinatoria di Lullo per lo sviluppo degli alfabeti segreti, dichiarata dalla presenza di crittografie in forma di ruote girevoli, a lui attribuite. Le quattro crittografie alfabetiche sono chiamate ‘tavole rette’ e ‘tavole verse’. In questo libro è presente una tavola di ‘trasposizione’ che sarà ripresa ed elaborata da Blaise de Vigènere. Vengono riportate anche varie tavole poligrafiche con lettere e numeri, tavole di traduzione dell’alfabeto latino con alfabeti di altre lingue e con alfabeti segreti per alchimisti;84 è presente anche un alfabeto collegato a segni zodiacali.85 Collange è il primo a mantenere la matrice generativa di Agrippa e a usare l’alfabeto latino. Nella seconda parte del testo c’è la spiegazione di Collange del testo di Tritemio. Poi tavole ‘numerali’, ‘anomale’ e ‘orchemali’. Molto interessante per l’evoluzione del nostro alfabeto segreto il Tetragrammaton86 (fig.14) dal quale si sviluppa l’alfabeto quadrato che viene riportato nei fogli 280 r/v, 281 r/v. Il capitolo sull’Enn’agrammaton riporta al foglio 282 uno schema con nove riquadri (fig.15) da cui deriva l’Alphabet Ennagrammatique (fig.16). Giovan Battista Della Porta (1535-1615), scrive il De furtivis literarum notis vulgo. De ziferi libri quinque, stampato per la prima volta a Napoli nel 1563 da Giovanni Maria Scoto. Questo libro è molto importante per lo sguardo a tutto tondo sulla crittografia, che compendia tutte le conoscenze dell’epoca. Della Porta affrontò il grande problema della criptologia rinascimentale ovvero la soluzione delle cifre polialfabetiche: rifiutò di ammettere la loro invincibilità e inventò alcuni metodi per affrontarle. La loro importanza risiede proprio nella coraggiosa attitudine ad affrontare il problema. È un trattato pratico 84 85 86 Gabriel de Collange, Polygraphie et universelle éscriture cabalistique de M.I.Trithème Abbé, J.Kerver, Paris 1561, f.184. Collange 1561, ivi, f.189. Collange 1561, ivi, f.277. 42 contenente 180 processi di scritture cifrate e il mezzo per moltiplicarli all'infinito. Molti sono gli argomenti trattati: nel cap. IV del libro terzo parla di scrittura magica e nel folio 43 traccia uno schema quadrato per la crittografia, mentre altri schemi sono presenti nei ff. 44, 45, 46, 47, 48, 49; nel cap.V dà la traduzione della crittografia attraverso i numeri e nel VI parla di anagrammi; nel cap.I del libro quarto, dopo la ruota del f.93, c’è un alfabeto crittografico fatto di segni geometrici, croci e altro. Al f.102, griglia con segni e tavola con alfabeto di 20 lettere che ricorda molto quello che sarà usato da Vigenère. Dopo molti schemi e griglie, al cap.XX, f.133, bellissima pagina con alfabeti inventati “dal volgo e da lui stesso”. Al f.134, è riportato l’alfabeto di Agrippa con altra interpretazione. Al posto dell’alfabeto ebraico viene usato quello latino come in Collange, ma la griglia è identica (fig.17). Come nell’alfabeto originale ne derivano dei caratteri ‘quadrati’. L’alfabeto segreto è composto da 21 segni che presentano tutti dei puntini che vanno da uno a tre, a seconda della posizione nella griglia come si può vedere nella figura. Come già visto, nel dipinto Il vocabolario, Novelli accosta il suo alfabeto a una citazione da uno dei suoi libri preferiti, Les Bigarrures (1583) del francese Etienne Tabourot (15491590).87 In effetti, nel capitolo XXI Des Notes, incontriamo la crittografia come una delle tante bizzarrie letterarie di cui si dà conto nel libro, ma la versione data dall’autore non è così vicina a quella del pittore italiano quanto quella che possiamo incontrare in un testo sempre francese e di poco successivo, il trattato di cifratura di Blaise de Vigenère (vedi oltre). Nei due fogli del capitolo dedicato alle ‘scritture abbreviate’ e alle crittografie, Tabourot fa riferimento all’alfabeto di Agrippa, ma senza citarlo. Nel dare un esempio di scrittura crittografata dice semplicemente che i caratteri somigliano a quelli ebraici (figg.18, 18a). 87 Per un approfondimento vedi §1.3.12. 43 Come si potrà notare, la versione del Tabourot presenta delle notevoli variazioni rispetto a quello di altri autori del XVI e XVII secolo e comunque non sembra essere la fonte iconografica per Novelli. Il libro sui giochi linguistici potrebbe aver comunque ispirato l’artista, che, come noto, lo conosceva molto bene per averlo citato più volte in alcune sue opere e scritti, oltre ad averlo messo al primo posto tra i libri da lui ritenuti fondamentali per un uso meno accademico della parola in un’intervista del '67.88 Per quanto riguarda l’alfabeto, le analogie più evidenti sono dunque con il Traicté des Chiffres, ou secretes maniere de ecrire, di Blaise de Vigenère (1523-1596), pubblicato a Parigi nel 1587 da Abel l’Angelier, tanto da poter pensare a questa come vera fonte per l’artista italiano. L’antico testo era sicuramente conosciuto dai surrealisti francesi che si interessavano all’alchimia e all’esoterismo facendovi espliciti riferimenti come la famosa dichiarazione di Breton sulle illustrazioni di Flamel come precorritrici del Surrealismo. E mentre André Breton cita Vigenère nel suo L’Art magique del 1957,89 Novelli, come abbiamo visto, lascia traccia di un altro particolare del trattato nel dipinto Analisi dei frammenti del ‘64. Il trattato sulle cifre di Vigenère è il più aggiornato del XVI secolo e fu considerato il migliore nei trecento anni successivi. Qui l’autore si occupa di tutte le pratiche esoteriche legate allo studio della Cabala, dell’alchimia, dell’arte combinatoria, della numerologia, per la definizione del suo famoso metodo basato sull’elaborazione di un codice a sostituzione polialfabetica, successivo al disco cifrato di Leon Battista Alberti. Il suo codice risente anche della profonda conoscenza dei trattati di Tritemio e Della Porta. La forza del suo metodo è nel poter declinare ben ventisei alfabeti crittografici per occultare 88 89 Nel numero della rivista “Bizarre” del primo trimestre del 1964, interamente dedicato alla Littérature Illettrée, viene riportato a p.6 sia l’alfabeto di Taborout che quello massonico. Novelli conosceva la rivista, presente in alcune copie nella sua biblioteca (Arch.Mich.). André Breton, L’art magique, a tiratura limitata per gli Amis du Club Français du Livre, 1957. Testo consultato: André Breton, L’arte magica, tr.it. di R. Lucci, Adelphi, Milano 2003 [1991]. 44 un messaggio. Nel folio 275v., parla dell’alfabeto di Agrippa: «Ne faict encore à oblier cette invention que touche Agrippa liv.3 chap.30. autrefois en tresgrande recommandation envers les anciens Cabalistes; depuis l’on en a faict lictiere». Ma poi aggiunge alla matrice generativa che già conosciamo, l’elaborazione di un sistema di diciotto caratteri che corrispondono ad altrettante lettere dell’alfabeto latino - introdotto già da Della Porta - disposti su due file di nove: «Ce sont quatre lignes s’entrecroisantes à angles droicts; deux d’icelles perpendiculaires, & deux traversieres, qui par ce moien vienent à establir neuf caracteres differends, qu’on accòmode à autant de lettres; Si que diversifiez par un poinct affis au milieu, des autres neuf qui en sòt vuides, en resulteront dix huit lettres de cette maniere».90 È questo l’alfabeto che più direttamente può essere avvicinato a quello di Gastone Novelli che utilizza sempre singoli puntini all’interno delle figure (fig.19). Altro passaggio interessante è la proposta di modificazione del codice che viene offerta. Ai fini di un’evidente complicazione, de Vigenére elabora un proprio metodo partendo dall’originale di Agrippa: «Mais vous les pouvez transporter: & si, gardant neumoins tujours leur figure, vous voulez varier l’estendue des lignes en chaque caractere de deux manieres, comme il se peult, & non davantage, vous avrez pour chacun trois lettres; qui avec les espaces d’entredeux, comme dessus, seront quatre. Adioutez des nombres, ou autres notes servans de lettres dans les espaces, ce sera un chiffre à cinq entétes toutes ensemble; dont vous revelerez, & reserverez ce qu’il vous plairra».91 Per la storia dell'alfabeto segreto è importante anche quello di Selenus Gustavus (pseudonimo per) August, Duca di Braunschweig – Luneburg - Wolfenbuttel (1579-1666), 90 91 Vigenére 1587, cit., f.275v. Vigenére 1587, cit., f.276v. 45 il Cryptomenytices et cryptographiae libri IX. La prima edizione fu stampata a Luneburgo nel 1624 da Johannes e Heinrich Stern. Gustavus è un anagramma di Augustus e Selene, la dea greca della luna, è la ‘luna’ latina da cui deriva il nome della città di Lüneburg. Il duca, che era cugino del nonno di Giorgio I d’Inghilterra, è probabilmente il più autorevole scrittore di libri di crittologia. Questo è un importante trattato, molto dettagliato e con numerosi riferimenti a quelli precedenti, soprattutto all’incompleta Steganographia di Tritemio e poi ai testi di Giovan Battista Della Porta e Blaise de Vigenère. L’alfabeto quadrato lo troviamo alle pagine 312 e 313 ed è totalmente debitore dei Tetragrammaton e Ennagrammaton elaborati dal Collange (fig.20). Come si può notare nel testo del XVII secolo non vengono apportati cambiamenti all’alfabeto in questione. Sembra infatti che questo non abbia subito modifiche sostanziali fino all’assorbimento nella scrittura segreta della massoneria moderna. Selenus riporta infine un alfabeto identico a quello di Vigènere (fig.21). Le logge massoniche elaborarono il proprio codice segreto già all’atto della loro nascita in Inghilterra nel XVIII e basarono l’alfabeto sul sistema inventato da Agrippa mettendolo strettamente in relazione con la tradizione numerica pitagorica.92 Il codice compare nei testi come parte integrante della cosiddetta ‘Tavola da tracciare’ o ‘Tavola tripartita’, simbolo dell’alta carica del maestro venerabile. E’ dal XVII secolo che l’alfabeto cifrato entra in uso presso la massoneria. Il primo riferimento viene fatto in una pubblicazione inglese del 1730, Masonry dissected del Prichard dove la tavola tripartita viene chiamata tiercel board termine che indica l’uso di tracciare coppie di rette perpendicolari tra loro. In Inghilterra non si sentiva la necessità di un alfabeto segreto mentre nell’Europa continentale la massoneria aveva un carattere anche 92 Reghini 1994 [1947], cit. 46 politico e ne poteva quindi essere avvantaggiata. Nel XX secolo l’uso dell’alfabeto massonico (fig.22) è praticamente scomparso, unico riferimento rimane l’uso del segno corrispondente alla lettera L per indicare la parola loggia, e di quello corrispondente alla lettera I per indicare la parola iniziato. L’alfabeto di una società segreta, conservato presso il Museo Civico di Bologna, deriva chiaramente da quello massonico, così come molte delle caratteristiche delle società carbonare dei moti risorgimentali (fig.23). Utile per la ricostruzione storica del nostro alfabeto è l’analisi condotta da Arturo Reghini su quello massonico, analisi che parte dalla crittografia di Agrippa e ne traccia tutto il percorso culturale. Questa semplice crittografia, già molto usata e conosciuta come dice lo stesso Agrippa nel XVI secolo, ha una chiara origine greca. La disposizione della matrice generativa riporta infatti alla tavola di Teone da Smirne, matematico greco seguace di Pitagora vissuto tra il 70 e il 135 d.C. La tavola presenta una griglia alfabetica (numerica) disposta esattamente come nelle caselle della matrice, dove ai numeri si possono sostituire lettere dell’alfabeto greco, cifre arabe, l’antica numerazione scritta erodiana o segni misteriosi che secondo Boezio usavano i pitagorici o anche la semplice raffigurazione della rispettiva casella. Questo dimostra, secondo Reghini, l’importanza attribuita dalla massoneria ai numeri sacri e soprattutto alla loro divisione in terne definita di “speciale importanza”.93 E’ evidente che anche per Agrippa questa fu questione di cruciale importanza. Tramite tra la cultura greca - l’uso di lettere greche o ebraiche come numeri - e la scrittura cifrata e poi l’alfabeto massonico è stata l'opera dei cabalisti ebrei. Agrippa pare interessato non tanto alla segretezza del suo alfabeto segreto quanto alle «corrispondenze che questa tavola 93 Reghini 1994 [1947], cit., p.116. 47 stabilisce tra le tre enneadi di lettere, di numeri e i tre mondi: intellettuale, celeste e elementare».94 Quando poi, circa un secolo dopo, la scrittura è utilizzata nelle lingue moderne e non più strettamente in relazione con l’ebraico, aveva perso già, oltre che al carattere di segretezza, anche le qualità divinatorie e onomastiche, e con queste anche i riferimenti alla sacralità dei valori numerici delle lettere. In un romanzo del 1882 di Henry de Graffigny, De la terre aux etoiles, ritroviamo l’ alfabeto come ‘lingua selenitica’ parlata cioè dagli abitanti della luna95 (fig.24). Gastone Novelli e Blaise de Vigenère L’alfabeto ri-creato da Novelli presenta molte analogie, come abbiamo visto, con l’elaborazione dell’alfabeto di Agrippa Von Nettesheim data da Blaise de Vigenère nel suo libro. Il fatto poi che il pittore riporti, in almeno un dipinto, un particolare preso da una tavola del trattato di crittografia di Vigenère, ci spinge a pensare che il testo fosse a lui conosciuto e che questa possa essere dunque la fonte per l’alfabeto. Dal confronto si nota subito che in quello di Novelli è assente la simmetria implicita fra i segni nell’antica crittografia, che erano suddivisi in due fasce, la prima con i puntini e la seconda senza. Questo dipendeva dal fatto che l’alfabeto derivava direttamente dalla matrice a forma di griglia. Novelli struttura le sue diverse versioni in modo probabilmente casuale. In particolare, facendo un confronto tra l’alfabeto della Tavola bilingue e quello di Vigenère, in questo i segni della fila superiore sono identici a quelli della fila inferiore, con la variante che questi 94 95 Reghini 1994 [1947], cit., p.119. Paolo Albani, Berlinghiero Buonarroti, Aga Magera Difura. Dizionario delle lingue immaginarie, Zanichelli, Bologna 2010 [2004], p.371. La ricostruzione non può non far cenno all'alfabeto 'segreto' delle Giovani Marmotte che cita chiaramente l'antica crittografia, apparso nella prima edizione del manuale del 1970. 48 presentano puntini al centro delle singole figure. Novelli mantiene la presenza del puntino per la seconda metà delle lettere del suo alfabeto, dieci nel suo e nove nell’altro perché il primo elimina la lettera Z, mentre il secondo elimina le lettere Q, U e Z. Dal confronto tra i due alfabeti risulta dunque che Novelli ha ripreso in modo identico da Vigenère solo i caratteri che traducono le lettere E, F e H. Quest’ultima viene condivisa anche dall’alfabeto quadrato ebraico, dal quale Novelli sembra prelevare le traduzioni anche delle lettere D, Q, T. Come quello di Vigenère, l’alfabeto di Novelli è una ‘pasigrafia’, ovvero una lingua destinata alla sola comunicazione scritta. Gastone Novelli nelle opere di metà anni Sessanta sembra recuperare il «privilegio assoluto della scrittura»96 così come indicato da Foucault a proposito della cultura rinascimentale, facendo della parola presenza e luogo privilegiato della sua arte. I suoi interessi per la cultura esoterica che si intrecciano a svariati altri temi anche molto dissacranti, lo spingono a occuparsi di scritture in cifra, «un aspetto peculiare del filone esoterico»97 e in particolare, come visto, di quello che Agrippa derivò direttamente dall’alfabeto ebraico che, con la sua aura di sacralità, portava già nel passato in un territorio lontano dall’uso convenzionale della comunicazione linguistica. Il monaco tedesco apriva di fatto alla possibilità di utilizzare (e di giocare) con una lingua considerata divina. Il sistema era semplice, facile da scoprire, ma la derivazione dalla griglia che conteneva in origine l’alfabeto ebraico portava un valore aggiunto di sapienza ricollegabile all’ambito culturale neoplatonico e magico. La ripresa di una scrittura segreta di origine esoterica da parte di un artista contemporaneo ci porta a considerare quanto la fascinazione di tale possibilità fosse ancora viva in anni di intense sperimentazioni linguistiche e artistiche. Allo stesso tempo, l'artista persegue la sua 96 97 Michel Foucault, Le parole e le cose. Un’archeologia delle scienze umane, Rizzoli, Milano 2007 [1967], p. 52. Caterina Marrone, Le lingue utopiche, Melusina, Roma 1995, p.57. 49 ricerca di libertà espressiva attraverso la rielaborazione personale di un sistema di segni, sempre dalla prospettiva della creazione di un ‘universo linguistico’ abitabile e unico. Appare evidente dal confronto con altre scritture inventate da altri artisti più o meno negli stessi anni (Munari, Carrega, Oberto, gli stessi lettristi) o precedenti (Dada, Klee), quanto Novelli seguisse in maniera autonoma un suo percorso creativo. Utilizza, come spesso fa, una fonte antica, estraendo da questa quanto gli basta per avviare un rapporto, seppur di breve durata, con alcuni segni che lo hanno colpito particolarmente. La crittografia appare dunque in un numero limitato di opere tra il 1964 e il 1965 ma sembra riemergere negli anni successivi quando studia e approfondisce l’analisi di forme semplici e quadrate con la serie di quadrati e aquiloni. A questo proposito è molto curiosa l’analogia tra le figure geometrizzanti e quelle di un’altra crittografia del trattato di Vigenère (fig.25). La vicinanza tra alcuni di questi caratteri e forme come quelle della sequenza che si può vedere ad esempio in Il piccolo mondo della geometria del ’67 (fig.26), sembra non essere casuale. E’ così, come desiderava Novelli, che si entra (si torna) nel territorio magico del linguaggio dove, come sostiene Balboni, «presupposto indispensabile è un atto di fiducia nei confronti del linguaggio, un linguaggio che va comunque ricreato piuttosto che riconquistato. Un linguaggio, una scrittura che sia ‘parole’ piuttosto che ‘langue’, pratica piuttosto che codice».98 Ancora una volta è la possibilità data all’artista di ricreare poieticamente il linguaggio e dunque, vichianamente, le proprie origini, che permette di ‘immaginare’ codici che non pretendono di essere universali, ma che hanno la possibilità di creare universi abitabili. Vico, filosofo neoplatonico del XVIII secolo è fondamentale per capire l’interpretazione 98 Maria Teresa Balboni, La pratica visuale del linguaggio. Dalla poesia concreta alla nuova scrittura, La Nuova Foglio, Pollenza-Macerata 1977, p.45. 50 novecentesca della potenzialità creativa del linguaggio. Dopo il lungo oblio fu non a caso rivalutato nel corso del Novecento.99 Se l’interesse per il mondo dei linguaggi esoterici nasce nell’ambito del neoplatonismo fiorentino, è stato Vico a tracciare la storia della nascita della parola creatrice di linguaggi come inizialmente parola poetica.100 Ne La scienza nuova, il filosofo settecentesco affronta il tema del linguaggio nell’ottica di un approfondimento su quanto e come la lenta creazione del linguaggio codificato da parte dei popoli, successivi ai cosiddetti bestioni, possa rientrare nella concezione scientifica della storia da lui proposta. Dopo aver tracciato un breve percorso della nascita dell’alfabeto sulla rotta fenicia-greca-ebraica e dopo aver espresso parere favorevole circa i «parlari eroici accorciati», intendendo i traslati, le metafore e le metonimie, aggiunge la storia della nascita della prima parola dal suono onomatopeico citando come esempio la nascita del nome di Giove «dal fragor del tuono, detto dapprima “Ious”; dal fischio del fulmine dà greci fu detto Zeus; dal suono che dà il fuoco ove brucia, dagli orientali dovett’essere detto “Ur”».101Vico intende prendere in considerazione la collettività dei popoli e non i singoli individui, e fa rientrare così la nascita del linguaggio codificato nell’ambito del mito che esprime però con «spontanea e naturale espressione la natura-mitico-fantastica dell’umanità primitiva e in essi prende forma l’immaginazione collettiva dei primi popoli».102 Genio poetico e fantasia creano, attraverso la trasformazione delle energie del mondo naturale, i codici di comunicazione. Come afferma Eco, il filosofo non vuole descrivere «un decorso storico, ma le condizioni sempre ricorrenti di una nascita e di una evoluzione del linguaggio in ogni tempo e in ogni 99 100 101 102 Nicola Abbagnano, Giovanni Fornero, Protagonisti e testi della filosofia, vol.II, Paravia, Torino 1996. Vico, misconosciuto fino alla metà Ottocento, fu rivalutato da Croce. Attualmente è considerato anticipatore di Kant e dell’estetica moderna per il valore autonomo della poesia e della sua indipendenza da ogni attività intellettuale o raziocinante, almeno dal punto di vista della forma. Giovan Battista Vico, La scienza nuova, RCS, Milano 2006, a p.214, leggiamo: «Da tutto ciò sembra essersi dimostrato la locuzion poetica esser nata per necessità di natura umana prima della prosaica; come per necessità di natura umana nacquero, esse favole, universali fantastici, prima degli universali ragionati o sieno filosofici, i quali nacquero per mezzo di essi parlari prosaici». Vico 2006, ivi, p.209. Vico 2006, ivi, p.22 dell’introduzione di Paolo Rossi. 51 paese». Vico delinea così una sorta di «successione genetica» del linguaggio.103 La coincidenza tra elaborazione poetica e linguistica operata attraverso il mito è, secondo Vico, la prova del fatto che la parola poetica preceda quella prosaica. Il poeta è inteso dunque come poieta, colui che crea.104 Ecco dunque la possibilità ultima e probabilmente la più straordinaria che ha l’artista: attraverso il proprio atto creativo può creare le proprie origini.105 Con il suo alfabeto re-inventato, Novelli aderisce anche alla ricerca che contemporaneamente portava avanti l’avanguardia lettrista francese com’è evidente ad esempio nella Tavola degli Ornamenti. Aderisce del pari alla vasta sperimentazione verbo visiva italiana, senza dimenticare le ‘scritture illeggibili’ che fin dal 1935 andava sperimentando Bruno Munari ma Novelli segue sempre la sua inquieta ricerca che lo porta a creare anche una ‘lingua impossibile’ (uglossia), facendolo aderire a quella che viene definita l’antiutopia della pratica linguistica novecentesca. L’antiutopia di Novelli non è certamente solo una critica al positivismo ‘accademico’, essa riflette la consapevolezza di non poter utilizzare un sistema linguistico coerente e unitario: sostituisce a questo la frammentarietà e la precarietà dei codici ai quali attinge e fra cui inserisce anche quelli creati o ri-creati. L’alfabeto inventato da Novelli è utilizzato in poche opere e subisce ogni volta dei cambiamenti. È ricreato a sua volta. Anche questo è un modo per giocare con la lingua, evitando la ripetizione e la fossilizzazione dei codici utilizzati: se le lingue utopiche pretendevano di arrivare alla formulazione di una lingua perfetta ma morta, non creativa, il fatto che la lingua inventata 103 104 105 Umberto Eco, La ricerca della lingua perfetta nella cultura europea, Laterza, Roma-Bari 1993, p.100. Ringrazio la Prof.ssa Caterina Marrone per i chiarimenti avuti sull’argomento nel corso delle nostre conversazioni. Nella presentazione di un recente convegno svoltosi presso l’Università di Cagliari sul tema della memoria, è stata citata l’intervista del 2000 allo scrittore palestinese Edward Said, profondo conoscitore del filosofo napoletano, nella quale affermava che «sotto l’influenza di Vico ho capito (…) che noi possiamo creare le nostre stesse origini. Non sono date, sono atti di volontà». Cfr. Edward Said, Il mio diritto al ritorno, Nottetempo, Roma 2000. 52 non diventi mai veramente ‘sistema’ consente all’artista di darle vita attraverso la manipolazione e la combinazione con altri frammenti in un’ipotesi di infinite possibilità. Novelli insiste molto nelle sue dichiarazioni sulla poetica del frammento: «esiste e mi riguarda un linguaggio magico il quale nasce da fatti frammentari».106 Analogo atteggiamento avrà in seguito a che fare anche con l’aspetto dell’impegno politico che Novelli sottese al suo lavoro creativo degli ultimi due anni, volto al conseguimento della libertà da oppressioni di tipo ideologico e sociale: la presenza della parola sarà limitata a scarni riferimenti a testi e personaggi politici, mentre le forme si dissolveranno completamente in una totale frantumazione. 106 Intervista del 1964 a Gastone Novelli di Enrico Crispolti ora in”Grammatica” 1976, cit., pp.36-37. 53 1.3.2 Carme sesquipedale A volte Novelli ama scrivere lunghe sequenze di parole senza punteggiatura e per lo più senza spazi. Oltre alle tre opere su carta che prendiamo come esempio, sono molti i dipinti degli inizi anni Sessanta che riportano un flusso di pensiero continuo, un discorso pronunciato senza prendere respiro, presentato in forma sconnessa e asintattica. In importanti opere pittoriche come Nascondersi vale la pena del ‘59, Une mouche se déplace e II Sala del museo del ‘60, Roberte (fig.27), N.1 Miles, Alm del ‘61, troviamo concatenazioni di parole collocate liberamente nello spazio del dipinto o al massimo disposte in accenni di riquadri. Questi scritti possono essere dichiarazioni personali dell’artista coniugate in varie lingue, o citazioni come nel caso di Roberte, che deve il titolo al romanzo erotico di Pierre Klossowsky, Roberte ce soir del 1953. A partire dal '62, nelle opere pittoriche questi interventi saranno sempre più inquadrati in spazi predefiniti per essere poi sostituiti da stringhe di lettere alfabetiche libere da schemi. La sequenza continua di parole compare anche in un foglio di taccuino del 1967, eseguito mentre viveva a Venezia. L’annullamento di spazi e punteggiatura (la cui utilità era già stata messa in dubbio nel primo manifesto surrealista), invitando a leggere senza soluzione di continuità le parole fino a trasformarle come in un’unica e lunghissima parola, è una pratica che può essere studiata secondo la definizione data da Giovanni Pozzi del carme sesquipedàle107 che letteralmente è un verso di un piede e mezzo. Mentre per la sua artificiosità può rientrare nella più grande categoria delle combinazioni foniche non codificate.108 Questa particolare composizione poetica è formata da parole artificiosamente lunghe e appartiene alla categoria di quelle composte da frammenti di vocaboli interi senza la desinenza. Molti 107 108 Pozzi 1984, cit., p.32. Pozzi, 2002 [1981], cit., p. 89. 54 sono gli esempi di questo artificio nell’antichità, da Aristotele a Rabelais, fino ad arrivare al “mostruoso” esempio del tardo secentista Passerini che conia un termine formato da decine di lettere. I futuristi utilizzano vocaboli sesquipedali e Pozzi riporta il famoso esempio tratto dal Piedigrotta di Francesco Cangiullo, «fetentechiavecoricchionemoposangaechitemmuortaetuoiefet».109 Anche Duchamp ha utilizzato questo gioco linguistico. Nel primo numero della rivista “Phases” (1954), Henri-Pierre Roché scrive un testo glossolalico dedicato ai dischi rotanti di Duchamp, in cui viene esaltata l’artificiosa lunghezza dell’unica, lunghissima, parola che si deve leggere senza soluzione di continuità.110 Annullare gli spazi bianchi tra le parole equivale a rinunciare alla chiarezza dell’esposizione ma, come riferisce Dossena,111richiama l’uso di una scrittura non intervallata, la scriptura continua, che veniva fatto in varie lingue antiche e che rimase in uso in Italia fino all’XI secolo. Novelli, artista che usa largamente il bianco del fondo, sia esso carta o tela dipinta, come spazio vuoto in cui galleggiano i segni iconici o grafici, passa attraverso questa particolare forma di scrittura a sperimentarne l’assenza, in una specie di horror vacui del testo che, con il suo andamento calligrafico di sempre, assume la forma di un arabesco continuo. Sullo sfondo pare di poter avvertire ancora una volta la presenza di Paul Klee. Nell’acquerello Einst dem Grau der Nacht enttaucht, del 1918 (fig.28), troviamo, prima in corsivo e poi a stampatello, entro riquadri colorati che vanno da tonalità grigie a blu e poi rossi arancioni viola verdi, sequenze di lettere che compongono in realtà uno dei quadri109 110 111 Francesco Cangiullo, Piedigrotta parole in libertà col Manifesto sulla declamazione dinamica sinottica di Marinetti, Edizioni Futuriste di Poesia, Milano 1916. “Phases. Cahiers internationaux de recherches litteraires et plastiques”, n.1, Facchetti, Paris 1954, p.14. Dossena 2004, cit., p.196. 55 poesia di cui l’artista voleva fare una serie, realizzata poi solo in parte. Questa era ispirata a poesie cinesi e secondo la lettura di Grohmann: «chiariscono il rapporto di Klee con la lettera, la parola e il senso». Nella produzione dell’artista svizzero, e particolarmente in questo caso, l'uso privilegiato della scrittura inserisce un elemento enigmatico che si può associare ai suoi quadri cifrati in cui sono utilizzati segni diversi. Con l’inserimento di inserti verbali «egli costringe il lettore a decifrarlo lentamente, come era necessario fare nel Medio Evo, perché i segni della scrittura, irlandesi o carolingi, possedevano una più alta realtà. I contorni e i colori costituiscono un'unità indissolubile con le lettere e le parole e impediscono una lettura rivolta puramente alla comprensione».112 Il carattere delle opere di Novelli è ancora una volta diverso da quelle di Klee, ma non si può prescindere dal considerare una seppur lontana parentela tra esse. In Lettere del 1961 (fig.29), un’opera interamente formata da una sequenza di parole senza soluzione di continuità, scrive: genteincredulacome(…)checchepossadirneecongrandefaci litateperbenduevoltelhofregatafinalmenteneguardacasolafinehocomelehadisegnatebenepin osilversassofatanietantoverochelascialozam(…)pohandorratestaseriad(…)casamattacosaf attaca(…)dittorichecosamambodeve(…). Tutta la sequenza sembrerebbe composta da parole avvicinate in libertà estratte magari da qualche testo con evidente intenzione di creare qualcosa di impronunciabile e nonsensico. Nella carta senza titolo, ancora del ’61 (fig.30), leggiamo invece, nella prima riga due serie alfabetiche complete e poi: nonepossibilesforzarsisempreperesseredisperatooggiancheesist elagioianepiunemenodiierivoglioapprofittarneinsiemeatuttivoiavereiltempoperportareater minequalsiasilavorocostringendosiadunmetodocheneescludaquellaimmediatezzadirisultato chenedeterminanolasuperficialitaquestopuoessereunoscopodaperseguireinunsimilemoment 112 Will Grohmann, Klee, Garzanti, Milano, s.d., Tavola 11. 56 osenzacheilsilenzionevengadanneggiato. In questo caso siamo senz’altro di fronte a una delle tante dichiarazioni di intenzione fatte dall'artista, una sorta di riflessione e di esortazione circa un atteggiamento positivo da prendere. Ma, anche qui il discorso diventa incomprensibile e volutamente criptico almeno a una prima lettura. Mentre nel terzo esempio, il foglio del Taccuino B (fig.31), possiamo leggere uno scritto composto sia da brani di notizie prese da un giornale radio - così come l'artista dichiara nel testo - che da varie frasi più o meno coerenti, in italiano e inglese: nelvenetocirca500.000a utovettureincidentidi224soccorsi10.000contravvenzioniunacarabinacalibroventiduearmad eldelittocimiterodelvillaggiopacchidonoportanoinalbaniareviunafontestatiunitinotiziedelgi ornaleradiosureboxdimmichelosaichevogliobeneateabbandonatiamechemivuoiedopotuttob ellosaraedimmidiinvitaremetomformeyoutoomlaindesitallastessaorapiufreddochemoderat obeatandfannyanditistimehomeyouarebeatandnoworabutwithyousobehomeanchesemivuoil asciamiandareametterefiorineicannoni. In basso, sopra allo scritto, Novelli lascia la sua firma e la data. Leggendo queste composizioni non si può non pensare anche al 'finneganese'113 usato da Joyce (autore letto da Novelli114) nel suo ultimo romanzo dove, estremizzando al massimo l’instabilità dei codici linguistici, fa uso di vari linguaggi artificiali e conia un termine formato anch’esso da decine di lettere.115 In questo tipo di sperimentazioni, comprese quelle di Novelli - soprattutto nell’opera 113 114 115 Termine coniato da Giorgio Melchiori nell’Introduzione a: James Joyce, Finnegans Wake H.C.E., Mondadori, Milano 1982. “Joyce in ‘Finnegan’s Wake’ costruisce un universo linguistico nuovo e totale con un gioco di contaminazioni e deformazioni verbali retto da una logica rigorosissima”, in Gastone Novelli, Il linguaggio e la sua funzione del febbraio 1968 e pubblicato postumo in “Civiltà delle macchine” n.1, a. XVII, gennaio-febbraio 1969, pp. 37-42. ora in “Grammatica” 1976, cit., p.46. Albani, Buonarroti 2011 [1994], cit., p.147. 57 Lettere -, il discorso senza pause e di esasperata lunghezza, emesso in un sol fiato, tendenzialmente indecifrabile, fa pensare a un’infinita parola magica o a una glossolalìa. Questa è una lingua solo orale, incomprensibile, e fa parte della tradizione cristiana antica ma che si presenta anche nelle società primitive.116 Le glossolalie sono state successivamente avvicinate ai deliri verbali di alcuni malati di mente, quando si trovano a creare volontariamente parole deformate (da distinguere dalla glossomania che è un delirio verbale di alcuni malati maniaci caratterizzato da giochi verbali privi di sistematicità). Nel senso originario, la lingua glossolalica è inesistente e solo Dio e gli angeli possono capirla. Bausani sottolinea il senso liberatorio che si prova nel pronunciarla e accetta il parallelismo che è stato fatto tra questa e il sogno, in quanto aiuterebbe l’inconscio a manifestarsi «in aspetto linguistico anziché visionario». Riporta perciò la convinzione di Jung, secondo il quale «i contenuti inconsci non ancora integrati nella coscienza richiedano un linguaggio ugualmente estraneo», associandolo al linguaggio rituale. Bausani, inoltre, distingue tra lingua sacerdotale ieratica e quella glossolalica perché questa non ha la funzione sociale dell’altra. È proprio l’aspetto individuale di questo particolare tipo di lingua inventata che sembra interessare scrittori e artisti contemporanei che la utilizzano per mostrare in modo ludico l’assenza di significato delle parole. «Personalmente, credo che le parole siano certamente un suono, ma non sono sicuro che abbiano un significato», ha dichiarato Manganelli in un’intervista.117 E d’altro canto in alcuni dei ‘motti di spirito’ studiati da Freud, i giochi di parole, termine con il quale definisce i 'doppi sensi', la tecnica prevede di «indirizzare il nostro atteggiamento psichico verso il suono anziché verso il senso della parola, nel far emergere la rappresentazione (acustica) della parola anziché il significato fornito dai nessi con la rappresentazione delle cose».118 116 117 118 Alessandro Bausani, Le lingue inventate, Ubaldini, Roma 1974, pp.70 e sgg. Giorgio Manganelli, La penombra mentale. Interviste e conversazioni 1965-1990, a cura di R.Deidier, Editori Riuniti, Roma, 2001, p.133. L’intervista a G.Nascimbeni, L’aggettivo non morirà, uscì sul “Corriere della sera” del 22.11.1983. Ringrazio Paolo Albani per la segnalazione. Freud 1980 [1975], cit., p.143. 58 Si può affermare che anche Emilio Villa abbia utilizzato forme glossolaliche nella sua opera poetica. Attraverso l’uso del plurilinguismo arriva a formulare una sorta di esperanto sempre più babelico, più magmatico di quello realizzato in Finnegans Wake, opera che conobbe negli anni brasiliani, una «lingua degli angeli»119 che rinneghi qualsiasi purismo tradizionale. L’ottica di Villa è quella di «sliricare la parola, di prosciugarne ogni residuo emotivo legato ai suoi significati, ma di renderla (anche) ‘afasica’ cioè incapace di dire significando, o di rendersi ‘afasico’ nell’uso a-sensato della verbalità, nel trattamento ludico del materiale fono-visivo, ridotto a phonos estraniato dalla sua lunga storia».120 L’andamento glossolalico di alcune sue composizioni si presta a questa concezione ‘apoetica’ del poeta milanese e aderisce anche al neognosticismo a cui si avvicinò negli anni Quaranta. Già i lettristi francesi con il loro grafismo estremo si erano accostati, a partire dagli anni Sessanta, a forme vicine, se non al carme sesquipedale, alla glossolalia, così come già fu notato dalla Krestovsky in un articolo su “Esprit”.121 Soprattutto in alcune prove di Roland Sabatier e Marcel Lemaître troviamo, assieme a un’infinità di altri tipi di scritture che comprendono alfabeti e pittografie inventati, brani di scritture calligrafiche in lingua francese che si possono accostare anche al linguaggio degli alienati. Negli stessi anni, in Italia, anche il lavoro di Martino Oberto (1925-2011), basato sulla sua s-pensante ‘Ana-philosophia’(fig.32), può essere letto in parte secondo i caratteri proposti in questo paragrafo. La saturazione dello spazio attraverso una scrittura libera, spesso illeggibile, emozionale, unita a frammenti e suggestioni di altre scritture e immagini, porta a considerare le sue opere come un flusso continuo, uno stream of consciousness che rievoca Joyce, Pound e Cummings, i suoi autori di riferimento. 119 120 121 Aldo Tagliaferri, Il clandestino. Vita e opere di Emilio Villa. FB2, DeriveApprodi, Roma 2004, p.53. Gianni Grana, Babele e il silenzio: genio “orfico”di Emilio Villa. La neg-azione apoetica: caos e cosmos, vertigini e metàstasi della parola nell’èra telematica, Marzorati, Settimo Milanese 1991, pp.336-337. Lydia Krestovsky, Le lettrisme avant la lettre, in “Esprit”, Parigi, novembre 1947, pp.728 e segg. 59 Le barriere tra pensiero logico e nonsense sono definitivamente abbattute. Già la presenza di sequenze di lettere 'A' in numerosi suoi lavori, fa pensare a Novelli come a un poeta sonoro (o fonetico). Aver adottato poi sequenze di parole senza soluzione di continuità e spesso senza senso avvalora questa ipotesi. «Ce que m’oblige d’écrire, j’imagine, est la crainte de devenir fou». Novelli cita, in un suo Quadro scultura122 del ’68, l’incipit dell’introduzione scritta da Georges Bataille per il suo Sur Nietzsche (1945). Alla fine del suo percorso artistico e esistenziale, l’artista esprime attraverso questa frase la possibilità, insita in ognuno di noi, di rompere gli equilibri psichici che sostengono il rapporto con il mondo esterno soprattutto nei momenti di crisi profonda come quello sperimentato da lui stesso nel 1959, quando, in seguito a un tentativo di suicidio, fu sottoposto a una cura del sonno in una clinica romana.123 «Ciò che mi obbliga a scrivere, penso, è la paura di diventare pazzo. Soffro di una aspirazione ardente, dolorosa, che perdura in me come un desiderio inappagato. La mia tensione somiglia, in un certo senso, a una voglia pazza di ridere, differisce poco dalle passioni di cui bruciano gli eroi di Sade, e tuttavia è vicina a quella dei martiri e dei santi… Non posso dubitarne: questo delirio manifesta in me il carattere umano. Ma, bisogna dirlo, porta allo squilibrio e mi priva penosamente di riposo».124 Il timore di impazzire di Bataille è nel continuo lavoro sul margine della trasgressione, avendo individuato nell’erotismo il terreno sul quale misurare i valori interdetti dalla morale corrente e un mezzo di conoscenza estrema. Nel suo saggio su Nietzsche dichiara, attraverso l’analisi della fortuna del pensiero nicciano, il rapporto tra Bene e Male, per 122 123 124 Rinaldi 2010, cit., p.62. La frase viene riportata anche a p.76 di “Grammatica” 1976. L’opera a olio, tempera e matita su tela montata su telaio ligneo, è databile al 1968. È stata donata dagli eredi alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma nel 1988. Gastone Novelli, 25 agosto 1959, ora in “Grammatica” 1976, a p. 53. Si tratta di un testo scritto durante il ricovero «come trascrizione di una serie di notazioni e sensazioni». Come è dichiarato sulla rivista, esistono due versioni dello scritto: un manoscritto definitivo di sette pagine (proprietà di Marcello Aste) e la prima versione scritta su trentasette pagine di un prontuario medico (proprietà Ivan Novelli). Georges Bataille, Su Nietzsche, tr.it. di A.Zanzotto, SE, Milano 1994, p. 15. (tit.or. Sur Nietzsche, Gallimard, Paris 1994). 60 arrivare a definire il concetto di “totalità nella coscienza”, individuato nel non-sense: «l’intera esistenza è situata al di là di un senso, è la presenza cosciente dell’uomo nel mondo in quanto egli è non-senso, e non ha altro da fare se non essere quello che è, non potendo più superarsi, attribuirsi un qualunque senso nell’azione».125 Il non-senso è il tema che accompagna Novelli in buona parte della sua produzione e lo avvicina ai personaggi di Beckett, altro autore molto amato. La follia è oltre la soglia del pensiero razionale a cui, in modo ambiguo, i surrealisti si ribellavano. Alienazione mentale e stati paranoici erano accettati per il potenziale sovversivo implicito. La stessa scrittura automatica aveva come scopo quello di liberare dalle strettoie della razionalità la creazione letteraria e artistica, avvicinandosi così al linguaggio degli alienati. L’uso di allucinogeni era d’altro canto ammesso da parte di alcuni esponenti dell’area surrealista, in primo luogo Artaud, Masson, Michaux e René de Solier. L’interesse per le espressioni della follia iniziò negli anni Venti anche grazie al testo di Hans Prinzhorn126 che diventò presto fondamentale per l’approccio al tema, interessando molto Klee e influenzando Ernst. André Breton, che fin dal primo manifesto surrealista accenna al linguaggio degli alienati,127 apre il secondo (1930) riportando il commento scandalizzato e impaurito della categoria degli psichiatri francesi al suo Nadja, libro che fu fatto oggetto di critiche da più parti per gli attacchi portati agli alienisti, in difesa delle prerogative della cosiddetta malattia mentale. Breton si interessò anche di arte degli alienati e fece parte della ‘Compagnie de l’Art Brut’, costituita nel 1948 a Parigi, nata per curare la collezione creata da Dubuffet, conservata in quegli anni presso la Galerie René Drouin.128 125 126 127 128 Bataille 1994, cit., p.27. Hans Prinzhorn, Bildnerei der Geisteskranken, Springer Verlag, Berlin 1922. André Breton, Manifesto del Surrealismo (1924), in Manifesti del Surrealimo, Einaudi, Torino 2003 [1966], p.38. Denys Riout, L’arte del ventesimo secolo. Protagonisti, temi, correnti, Einaudi, Torino 2002, pp.219 61 L’avvicinarsi all’arte e alla scrittura degli alienati da parte delle prime avanguardie, mentre sottintende un’attrazione già provata dai romantici ottocenteschi, fa entrare nel mondo del perturbante (Unheimliche), quel territorio della psiche analizzato da Freud e ripreso da Heidegger, la ‘familiare estraneità’ che ha avuto un ruolo fondamentale nell’arte del Novecento a partire dalla Metafisica fino alle forme del Sublime nel contemporaneo. Il linguaggio degli alienati, le glossolalie e glossomanie, così vicine al linguaggio magico, evocano dunque la possibilità di mondi linguistici altri rispetto a quello corrente. I surrealisti si avvicinano alla dimensione della follia nella prospettiva di un’estetica della depersonalizzazione e dello spaesamento «prerogativa di personalità messe drasticamente a confronto con un malessere di carattere identitario, a cui tentano, bene o male, di dare una risposta...Si tratterebbe, a questo punto, di ripensare in modo del tutto diverso la questione della follia, tutto a un tratto più vicina a quella del genio, a condizione però di considerare quest'ultimo non tanto come la magnificenza di poteri sublimi quanto piuttosto come una modestia assai particolare che coinvolge molto settori vitali».129 Anche “Esperienza Moderna”,130 la rivista curata da Novelli e Perilli, si occupò, sulla scorta di un interesse ormai diffuso nella cultura europea di quegli anni, di linguaggi degli alienati con un articolo di Carla Vasio sulla scrittura di uno schizofrenico francese. La scrittrice introduce il brano come un «patrimonio di tipi e di immagini comune al malato e all’artista - qualunque sia poi lo stimolo e lo scopo che ne provoca l’espressione, sia per un gioco di fantasia, oppure per un effetto compensatore e liberatore -, comune perfino al lettore in cui trovi rispondenza, poiché difficilmente si sfugge al richiamo di miti e di paure ereditati con la struttura stessa della qualità umana di cui abbiamo parte».131 129 130 131 segg., tr. it. di S.Arecco da Qu’est-ce que l’art moderne?, Gallimard, Paris 2000. Murielle Gagnebin, Follia e genio. Un chiasmo innovatore: il surrealismo, in Arte Genio Follia. Il giorno e la notte dell'artista, a cura di V.Sgarbi, Mazzotta, Milano 2009, p.430. “Esperienza Moderna”, n.3-4, Roma 1957. Carla Vasio, introduzione a Frammento di delirio, in “Esperienza Moderna” 1957c, ivi, pp.25-26. 62 Infine, tornando a Novelli, in due delle opere proposte in questo paragrafo, troviamo alcune parole o meglio, frammenti di parole, ricalcati con colori diversi dall’artista. Novelli ne mette in rilievo alcuni per dare ancora una nuova lettura della sua opera, come in un gioco che potrebbe procedere all’infinito. Nel caso di Lettere, l’artista riscrive con il pastello colorato alcune lettere saldandole con quelle di uno o due livelli sottostanti, così da creare dei segni grafici che non somigliano più alle lettere dell’alfabeto, ma ne creano di nuove. Nel foglio del taccuino B del 1967 troviamo invece un carattere più crittografico: l’artista sceglie, in maniera apparentemente casuale, numeri, singole lettere o intere parole in modo da sovrapporre un altro testo a quello di partenza. Il gioco sembra non finire più. L’idea di spaesamento nell’opera di Novelli potrebbe dare un altro livello di lettura se si considera quanta parte abbia avuto nel suo lavoro il gioco sulla parola, continuamente destrutturato e ricomposto in modo effimero, un modo per far perdere le tracce di un luogo ‘abitabile’ e riconoscibile. Con Heidegger, Novelli vive lui stesso e invita a sperimentare il “non-sentirsi-a-casa-propria” (Nicht-zuhause-sein) del linguaggio. Foucault definisce in modo efficace il rapporto tra follia, parola e letteratura. «La follia apre una riserva lacunosa che designa e fa vedere quella cavità in cui lingua e parola si implicano, si formano una a partire dall’altra e non dicono nient’altro se non il loro rapporto ancora muto. Dopo Freud la follia occidentale è diventata un non-linguaggio perché è diventata un linguaggio doppio (lingua che non esiste se non in questa parola, parola che non dice altro che la sua lingua), ossia una matrice del linguaggio che, in senso stretto, non dice nulla. Piega del parlato che è assenza di opera.(…) La letteratura (e questo senza dubbio a partire da Mallarmé) si sta lentamente trasformando a sua volta in un linguaggio la cui parola enuncia, nello stesso tempo in cui dice e nello stesso movimento, 63 la lingua che la rende decifrabile come parola. Prima di Mallarmé, scrivere consisteva nello stabilire la propria parola all’interno di una data lingua, dimodoché l’opera del linguaggio fosse della stessa natura di tutti gli altri linguaggi, a parte i segni della Retorica, del Soggetto e delle Immagini (Che certo erano maestosi). Alla fine del XIX secolo (nell’epoca della scoperta della psicanalisi, o giù di lì) essa era diventata una parola che iscriveva in se stessa il proprio principio di decifrazione; oppure, in ogni caso, essa supponeva, al di sotto di ciascuna delle sue frasi, di ciascuna delle sue parole, il potere di modificare sovranamente i valori e i significati della lingua alla quale nonostante tutto (e di fatto) apparteneva; essa sospendeva il regno della lingua in un gesto attuale di scrittura. (…) Da qui anche la strana vicinanza tra follia e letteratura, alla quale non bisogna assegnare il senso di un’affinità psicologica finalmente messa a nudo.(…) Ma dopo Raymond Roussel, dopo Artaud, è anche il luogo verso il quale il linguaggio della letteratura si accosta. Ma non vi si accosta come a qualcosa che avrebbe il compito di enunciare. E’ tempo di accorgersi che il linguaggio della letteratura non si definisce per ciò che dice, né tantomeno per le strutture che lo rendono significante. Ma che egli ha un essere e che è su questo essere che occorre interrogarlo. Questo essere qual è attualmente? Senza dubbio qualcosa che ha a che vedere con l’autoimplicazione, nel doppio e nel vuoto che si scava in lui. In questo senso l’essere della letteratura, così come si produce dopo Mallarmé e sino ai nostri giorni, conquista la regione dove, da Freud in poi, avviene l’esperienza della follia».132 132 Michel Foucault, La follia, l’assenza di opera, in Storia della follia nell’età classica, Rizzoli, Milano 1992 [1963], pp.481 e segg. 64 1.3.3 Catalogo figurativo «Ogni gesto costa un grande sforzo, una fatica dolorosa, compiere con le nostre mani atti assopiti nel caos di questo mondo di sentimenti e conoscenze confuse in un accavallarsi dinamico. Ne nasce una pittura senza descrizione, dipinta perché non si può urlare in faccia al prossimo. Noi facciamo un catalogo di cose perdute, ognuno ne ritrova un pezzo e lo appiccica al muro, costruendo un mondo che forse è possibile.(…) non possiamo non sentire che siamo di nuovo di fronte alla fine di una storia e all’inizio di un’altra con una differente commozione, senza arringhe sui quadri, senza santi sulle croci, senza paesaggi e senza triangoli. Perché queste cose richiedono la tranquillità e l’artifizio di un mondo spiegato. Ed allora il pescare un’immagine, scavando in se stessi o nella vita diventa sempre più difficile, la necessità di trarre alla luce un’ipotesi in un mondo pesante consuma sempre più la fretta le mani il cervello. E’ come volere scrivere qualche cosa con un alfabeto ancora da inventare».133 Il catalogo di cui parla Novelli in questa importante dichiarazione del 1957, anno denso di esperienze personali e artistiche, è uno degli elementi fondanti della sua opera, sempre legato a quello della memoria e 'della pittura senza descrizione'. Pensando al 'catalogo di cose perdute', arriverà a catalogare segni, a tracciare sequenze di numeri, a dichiarare il suo interesse per il vocabolario, l'antologia, l'erbario, la collezione di oggetti, l'assemblaggio di materiali inseriti dentro teche, e le stesse griglie (§1.3.9) in cui inserisce segni di vario tipo che rispondono al criterio della catalogazione, per quanto asistematica. Anche con la scultura si avvicina a questa pratica con opere di piccole dimensioni intitolate, ad esempio, Agglomerazione del '62 (fig.33) e Collezione di conchiglie, dello stesso anno. Come nel caso del già citato dipinto Il vocabolario del ‘64, Novelli, fa riferimento soprattutto a Lévi-Strauss, e a autori di varie discipline e di epoche diverse, dalle cui opere 133 Gastone Novelli, Discorsi ai critici, ai poeti, agli amatori, ai passanti, due versioni dattiloscritte di cui la seconda è del 1957, ora in “Grammatica” 1976, cit., p.27. 65 l’artista estrae in maniera frammentaria alcune suggestioni utili alla costituzione del suo personale 'catalogo di cose perdute'. In questo caso il catalogo è costituito da giochi di parole, simboli esoterici di varia provenienza, l'alfabeto tratto dall’antico trattato di crittografia. È proprio il testo dell'antropologo strutturalista - che nel suo saggio utilizza molte griglie e schemi per semplificare il complesso sistema di relazioni messe in luce nella sua opera, che il pittore non riporta mai completi quando cita ma che utilizza spesso nelle sue opere come elemento essenziale - una delle fonti concettuali da cui Novelli attinge l'idea del catalogo utile alla costituzione di una “memoria”. Questo è l'altro tema che ricorre negli scritti dell'artista sempre a partire dal '57. La memoria è vista come funzione dell'inconscio collettivo, concetto mutuato da Jung: «In pittura il nostro atto prende una forma nuova nella quale l'oggetto nasce quasi da solo, risultato della supremazia dell'inconscio sulla ragione, espressione della memoria atavica e ricerca della memoria del futuro nella coscienza della irrealtà del tempo, ed, infine riconoscimento di un ordine di fatti, di una realtà delle cose al di fuori della ragione».134 E ancora: «Un'immagine nasce in un qualche luogo di una memoria comune risultato della somma di una verità caotica ed iniziale, di una necessità immediata e di un cumulo di fatti passati».135 In uno scritto del '68 riprende il tema dell'operazione iniziale, come il reperimento di segni da catalogare: «All'inizio si procederà creando o raccogliendo i propri strumenti (vocabolario), catalogando e scegliendo fra i segni, le lettere, i frammenti dei diversi universi linguistici esistenti».136 L'artista non abbandona dunque mai la pratica che lo accompagna nel corso di tutta la sua opera, rendendola esplicitamente anche un atto che 134 135 136 Gastone Novelli, La macchina Totem, in “Esperienza Moderna” n.1, aprile 1957, pp.3-4, ora in “Grammatica” 1976, cit., p.26. Gastone Novelli, Analizzare il processo creativo, in “Esperienza Moderna”, n.2, agosto-settembre 1957, p.26 con il titolo Documenti di una nuova figurazione: Scialoja, Novelli, Alechinsky, Perilli, Twombly, ora in “Grammatica” 1976, cit., p.26. Gastone Novelli, Il linguaggio e la sua funzione, scritto a Venezia nel febbraio 1968 e pubblicato postumo su “Civiltà delle macchine” n.1, 1969, ora in “Grammatica” 1976, cit., p.45. 66 riguarda direttamente la sfera linguistica, come fece in uno scritto politico databile all’estate dello stesso anno. «Il linguaggio, per essere attivo, deve essere come un rito magico, con le sue regole interne, i suoi materiali reperiti e organizzati in un sistema ben articolato e indipendente da ogni altro sistema precedente»,137 alludendo dunque, anche per l'uso delle parole, alla possibilità di inventariare le particelle linguistiche, ovvero di catalogare i 'materiali', i segni rintracciati in ambiti diversi, ipotizzando altre combinazioni possibili. Il linguaggio ha una realtà indipendente dalle circostanze (Le regole del gioco, infinite partite) del 1963 (fig.34) è un'opera su carta che precede il dipinto Il vocabolario al quale è strettamente collegata. Al centro del foglio si leggono scritte calligrafiche, soprattutto a stampatello, come di consueto combinate con altri segni e schemi in cui l'artista ha inserito simboli di vario tipo. Questa interessante opera è da mettere in relazione anche con gli scritti La creazione di un’opera plastica del ’57, e Pittura procedente da segni del '64 e poi con il disegno Alfabetiere 2 del ’62 (fig.74), di cui parlerò in seguito. Le dichiarazioni contenute (e nelle altre assimilabili) sono prelevate quasi integralmente dal già citato La pensée sauvage, uno dei libri più amati e studiati da Novelli, e tradotto in italiano dallo stesso artista per le parti che lo interessano. Oltre a Lévi-Strauss, sono fatti riferimenti a varie discipline e fatti culturali di epoche diverse, da cui l’artista estrae in maniera frammentaria alcune suggestioni utili alla costituzione di «un catalogo di cose perdute» per costruire «un mondo che forse è possibile».138 Nel disegno, dopo la frase che dà il titolo all'opera e alla 'prima' necessità di catalogare, leggiamo: dal grande al piccolo dall’incolto al coltivato dal confuso al significante/ da ABB BAB BA A BA BA BA operazione grammaticale. In questa frase Novelli condensa 137 138 Gastone Novelli, La causa fondamentale, in “Flash Art”, n.19, Milano settembre-ottobre 1970, ora in “Grammatica” 1976, cit., p.48. Gastone Novelli, Discorso ai critici, ai poeti, agli amatori, ai passanti, in “Grammatica” 1976, cit., p.27. 67 sia una citazione dal testo dell'antropologo francese sia un’espressione che sarà poi riportata nello scritto del '64, insieme all’altra: segni sono concrete qualità le immagini/ ma hanno un potere referenziale possono fare le veci di qualcosa d’altro.139 Quando poi Novelli scrive le regole del gioco e un po' distante aggiunge infinite partite, fa una delle dichiarazioni più importanti del suo lavoro artistico, una scelta di campo. Questa frase è una prima citazione da Lévi-Strauss140 e costituisce un indizio fondamentale per comprendere l’opera di Novelli degli anni Sessanta. In Pittura procedente da segni, scrive che «il lavoro artistico si può paragonare ad un “gioco” che ha le sue regole precise ma permette infinite partite, ed ogni singola partita è comprensibile solo attraverso la conoscenza delle regole del gioco cui appartiene».141 Lo statuto di ‘gioco’ è basato sulle regole, Roger Caillois sostiene proprio che «ogni gioco è un sistema di regole, esse definiscono ciò che è o non è gioco, vale a dire il lecito e il vietato»,142 e Novelli esprime la libertà dell’artista attraverso la possibilità di cambiare di volta in volta le regole date, in un continuo ‘gioco’ di sovvertimento. In questo disegno le regole del gioco sono una serie di segni ordinati su due righe: una nuvoletta con segni obliqui che l'artista indica con la scritta con vento; una nuvoletta con puntini e la scritta senza vento; lettere alfabetiche tradotte con piccole figure geometriche; ancora una scritta, più segni/ nell’inventario/ corrisponderanno/ al nostro universo/ più questo sarà/ vasto; una serie di segni (per la montagna, per la luna e per la sabbia, per il sole, organici) che si ritroveranno anche nel dipinto Il vocabolario; e ancora: linguaggio accademico accompagnato dalle lettere dell'alfabeto e linguaggio magico lettere dell'alfabeto inserite in una griglia a cui l'artista aggiunge un'altra importante citazione da 139 140 141 142 Lévi-Strauss 2010 [2003], cit., p.31. Lévi-Strauss 1962, cit. A p.44 della prima edizione francese si legge: “tout jeux se définit par l’ensemble de ses règles, qui rendent possible un nombre pratiquement illimité de parties”. “Grammatica” 1976, cit., p.35. Roger Caillois, I giochi e gli uomini. La maschera e la vertigine, Bompiani, Milano 2004 [1981], p.8. 68 Lévi-Strauss,143 ripresa poi nel suo scritto del '64: testimoni fossili di un individuo e della società. Con la parola ES collegata a altri segni e a essere + divenire con due figure circolari, esterno + interno con due quadratini, Novelli sembra fare un riferimento alla teoria dell'Es di Freud a cui associa però, ancora, segni. Nelle seguenti ultime tre righe, troviamo altri sintagmi, altre figure accompagnate da numeri: oggetti di contemplazione; la posizione con i numeri 1 2 3 4; una figura semicircolare con l’aspetto; nulla a che vedere con le circostanze storiche è un chiaro riferimento alla visione astorica dell'antropologo francese che vede la classificazione e la storia in rapporto di profonda 'antipatia'. Con momento principale: l'esecuzione, Novelli dà valore a tutta l'opera di preparazione che è la catalogazione (o collezione come preferisce Lévi-Strauss), finalizzata all'atto creativo. La piccola montagna, segno ricorrente nelle opere di questi anni (compresa quella enorme in cemento a Saturnia), il disco a spirale a metà tra disco di Phestos e gioco dell'oca, i seni e la griglia con lettere dell'alfabeto, riassumono in parte un repertorio di segni utilizzati dall'artista in vari contesti e che saranno analizzati nei singoli paragrafi. Vale però la pena soffermarsi sul particolare tipo di griglia presente in quest'opera. Tra cruciverba e sistema crittografico (molto simile al dispositivo usato da Alighiero Boetti nelle sue famose crittografie disegnate a penna), in questo schema Novelli gioca con le lettere che compongono le sillabe FA LA CI DI FE LE, per poi scrivere fà lacidi fele. Questo sintagma nonsensico potrebbe essere anagrammato in varie combinazioni: felice la aida; la fida felice; fallacie fedi; c'è filadelfia; falli fica dee, e molte altre. Il disegno eseguito da Novelli per “Il Verri” n.7 del 1963 (fig.35), dove, insieme a altri tre, è pubblicato il testo di Claude Simon Novelli e il problema del linguaggio. Il grande scrittore francese traccia in questo saggio un sentito ritratto del pittore attraverso l'analisi di 143 Lévi-Strauss 2010 [2003], cit., p.34. 69 alcune sue opere. Inizia parlando del carattere di ‘inventario’ dell'opera di Novelli: «Se una pittura di Novelli, con la sua stessa materia cremosa, le sottili modulazioni di toni e le scoppiettanti coloriture, viene in un'infima frazione di secondo interamente afferrata, colta (o meglio: ci afferra, ci coglie), essa può per contro essere 'conosciuta' soltanto dopo una lunga investigazione, un lungo inventario nel corso del quale l'occhio deve percorrere l'intera superficie, alla scoperta degli elementi che vi sono raccolti e che compongono il quadro».144 In questo caso, l'inventario proposto dall'artista inizia dalla scritta, in stampatello e senza spazi, ILMONUMENTOAALLEEILMONUMENTOAAIIILMON. Sotto, su cinque righe, è disposta una serie di figure eterogenee, tipiche del vocabolario iconico dell'artista. La più significativa sembra l'ultima, con alcuni disegni che ricordano gli omphalos che andava elaborando in quel periodo, in seguito al viaggio fatto in Grecia. In questo disegno, così come in altre opere, Novelli sceglie una serie di figure, che potrebbero però essere molte di più, facendo immaginare l'inesauribile potenzialità data dal catalogo. Umberto Eco, nel suo recente saggio Vertigine della lista, fa notare che la «lista, o elenco, o catalogo», suggeriscono l'idea di infinito, «un infinito attuale, fatto di oggetti forse numerabile ma che noi non riusciamo a numerare - e temiamo che la loro numerazione (ed enumerazione) non si possa arrestare mai», e che «l'infinito dell'estetica è un sentimento che consegue alla finita e perfetta compiutezza della cosa che si ammira, mentre l'altra forma di rappresentazione di cui parliamo suggerisce quasi fisicamente l'infinito, perché di fatto esso non finisce, non si conclude in forma».145 Aggiunge poi che sia le liste di carattere 'poetico' che quelle di carattere 'pratico' condividono la possibilità di essere allungate, qualora se ne presentasse l'occasione. Non sono quindi mai definitive. 144 145 Claude Simon, Novelli e il problema del linguaggio, in “Il Verri”n.7, Milano 1963, p.61. Umberto Eco, Vertigine della lista, Bompiani, Milano 2009, pp.15 sgg. 70 Erbario, figure della natura, geometria, è del 1964 (fig.36). In questo disegno Novelli mette insieme elementi eterogenei, creando così un catalogo che sembra un omaggio all'opera di Paul Klee. L'artista svizzero era collezionista di storia naturale146 e amava raccogliere piante e fiori durante le sue passeggiate (come quelle fatte durante una sua vacanza all'isola d'Elba nel 1926), che diventavano veri e propri erbari disegnati e utilizzati per le sue lezioni.147Anche la definizione 'figure della natura' e 'geometria' sono termini e ambiti studiati in particolare da Klee, e già Maurizio Fagiolo aveva accostato i due pittori parlando proprio dell'atteggiamento di collezionista di entrambi: «Novelli, come i 'novissimi', muove da una preoccupazione semantica, ma il ricorso alle teorie di De Saussure, Morris, Wittgenstein sarebbe inutile. In Novelli la ricerca della 'parola prima' è essenziale quanto intuitiva: rivà al segno, alla radice perché il “risultato, la conclusione è sempre una cosa stupida e malfatta”. Più che uno studioso del segno è un collezionista, un erborista, uno schedatore di segni. (…) Sono collezioni di segni le sue piccole sculture, le sculture che avrebbe potuto fare Klee: tracce di conchiglie e brani naturali, scatoline con i più piccoli oggetti possibili».148 Con questo disegno Novelli avvicina inoltre il suo lavoro a un altro testo antico, la Philosophia botanica di Carlo Linneo (1701-1778), il botanico (e sistemico) svedese padre dei moderni sistemi tassonomici. Il suo libro, uscito nel 1751, è un riferimento imprescindibile per quanto riguarda la classificazione del mondo vegetale e per la scienza della classificazione in generale. Vista la dimestichezza che Novelli aveva con testi antichi di varie discipline, le tavole che corredano il testo potrebbero aver dato spunto per il suo erbario, che, anche se sembra essere un unicum nella sua produzione, è richiamato pure in altre opere. 146 147 148 Klee 1976 [1959], cit.,vol.II, p.XXIV. Klee 1976 [1959], cit., vol.II, p.XXXVIII. Maurizio Fagiolo dell'Arco, Rapporto 60/ Le arti oggi in Italia, Bulzoni, Roma 1966, p.118. 71 Il nome della spiaggia dell'isola di Mikonos, Plati yalo, dà il titolo all'incisione calcografica del 1966 (fig.37), che fa parte del gruppo di opere elaborate da Novelli sulla base dei suoi appunti presi nel corso dei viaggi in Grecia fatti tra il 1962 e il '63. Nel '62, con i disegni del primo viaggio fu allestita una mostra alla libreria “Ferro di Cavallo” e nel catalogo furono stampati alcuni appunti dell'artista. Il primo progetto di pubblicazione del diario di viaggio, 106 pagine dattiloscritte ora nella collezione di Ivan Novelli, corredato da alcuni disegni, risale invece al '63, ridotto poi nel '64 a 80 (Arch. Mich.). La terza e ultima versione ridotta fu pubblicata per conto della galleria Arco d'Alibert a tiratura limitata (45 copie) e corredata da sei incisioni originali, tra cui Plati yalo, stampata dalla Grafica Romero nel '66. In questo piccolo lavoro sono disegnate e numerate diciotto conchiglie che evocano il mare greco. Anche qui il pittore espone, come se fosse una tavola di un testo di storia naturale, una serie di elementi pronti per essere catalogati, anche se ai numeri non corrispondono le rispettive, seppur fantasiose, nomenclature. Tutto il testo di questo particolare diario di viaggio, soprattutto la seconda versione, è ricchissimo di descrizioni le più diverse, frammiste a ricordi che vanno dalla letteratura, alla storia, alla geografia, a viaggi precedenti: dai paesaggi naturali, soprattutto montagne e mare, ai siti archeologici, alle città, alle cerimonie religiose alle quali assistette, alle persone incontrate durante il viaggio. In tutto il diario è forte l'idea del catalogo emanata dalla descrizione scritta e avvalorata dai disegni che lo accompagnano. Il viaggio è per Novelli il momento della memoria, mentre attraversa luoghi e culture diverse, evoca anche momenti che fanno parte della sua storia personale, come i drammatici episodi della sua prigionìa durante la guerra. Descrizione, memoria, catalogo, sono tutti elementi che mettono in moto la creatività dell'artista. Con l'incisione catalogata come 13 esempi del 1966 (fig.38), Novelli illustra, con alcune 72 tecniche incisorie, varie qualità di segni. Il titolo completo dell'opera è Tavola che serve per esemplificare un certo numero di segni (a punta secca o con differenti morsure di acido e diverse punte) e di acquetinte tutti necessarie e utili al mio linguaggio e tutte controllate e diverse volte sperimentate, e sembra la presentazione di un manuale di tecniche calcografiche. In ognuno dei 19 riquadri sono illustrati alcuni esempi di tecnica e le relative possibilità espressive che possono essere utilizzate dagli artisti. Novelli assorbe e rielabora dunque gli strumenti propri dell'antico metodo grafico dell'incisione, così legato alla pratica del segno e della trasformazione ‘alchemica’ della materia. Nella Tavola che illustra cinque movimenti per le acque del 1966 (fig.39), Novelli fa un breve elenco figurato di onde acquatiche. Questo è un tema che ricorre, insieme a quello delle onde acustiche, in alcuni disegni e quadri tra '65 e '66. Amante di grafici, diagrammi e schemi, l'artista veste i panni dello scienziato che indaga il mondo della natura attraverso figure che spieghino i propri studi. Novelli amava il mare e le onde diventano soggetto di questa incisione in cui sono indicati, attraverso vari tipi di segni e tecniche incisorie diverse, i momenti di quiete e di moto dell'acqua, con i numeri pronti per una eventuale legenda. Il quadrato si agita nel piccolo mondo della geometria, 1966 (fig.40) è un'altra incisione calcografica in cui viene rappresentato un repertorio molto ampio di coniugazioni della forma quadrata. Il disegno è da mettere in relazione con il dipinto (fig.26) del ’67, con un titolo molto simile e che presenta diverse analogie con la crittografia di Vigenère. Novelli, a partire dal ’65, inizia a lavorare molto sul quadrato e su varie combinazioni con altre figure geometriche, ma si può affermare che ne sia sempre stato affascinato, basti pensare alle numerose griglie ortogonali utilizzate nelle sue opere a partire dal '60. Egli 73 conservava nella sua biblioteca (Arch. Mich.) una copia della prima edizione de Il quadrato di Bruno Munari.149 Sembra così meditare su alcuni spunti trovati nell'importante libretto del suo amico, come ad esempio nella pagina che tratta delle 'divisioni interne' del quadrato o da quelle che si possono avvicinare agli studi di Klee che si occupò delle potenzialità della forma quadrata nel suo testo teorico. Novelli si era in precedenza riferito alla forma del quadrato attraverso la figura dei dadi e vi tornerà successivamente in molte sue opere trasformandola in aquilone. 16 differenti tipi di fiori ed i loro possibili ibridi e incroci, 1967 (fig.41). I fiori inventati ricordano alcune figure di mandala del testo di Jung. Novelli gioca con le forme, ibridando temi e incrociando generi. Il tema della botanica era già noto all'artista perché l'argomento era stato frequentato anche da alcuni surrealisti francesi, come ad esempio Max Ernst nel suo Histoire Naturelle. Almeno in un'altra occasione può aver visto esempi di 'botanica fantastica': in un numero della rivista “Il Caffè” del '57150 fu pubblicato un estratto di due testi in inglese di Edward Lear (1812-1888) che tratta di “botanica nonsensica”. Egli conosceva la rivista, che era presente nella sua biblioteca.151 Gli esempi riportati dalla rivista sono ora considerati precedenti di una delle “scienze e teorie inventate da letterati e artisti” di Forse Queneau,152 che risponde alla voce Botanica parallela in cui si parla della pubblicazione di Leo Lionni che porta lo stesso titolo.153 In questo curioso libro, l'autore parla del mondo scientifico legato alla scienza immaginaria di sua invenzione, di cui offre numerosi particolari tra cui trentadue tavole che illustrano le “piante parallele”. 149 150 151 152 153 Bruno Munari, Il quadrato, Scheiwiller, Milano 1960. I testi di Edward Lear sono Nonsense Songs, Stories, Botany and Alphabets del 1871 e More Nonsense, Pictures, Rhymes, Botany etc. del 1872. La traduzione di Giulio Macchi, Nonsense botany, comparve ne “Il Caffè” del 2 giugno 1957, pp.20-21. Nella sua biblioteca (Arch. Mich.) è conservato un numero della rivista del 1964. Paolo Albani, Paolo della Bella, Forse Queneau. Enciclopedia delle scienze anomale, Zanichelli, Bologna 1999, pp.72 segg. Leo Lionni, La botanica parallela, Adelphi, Milano 1976. 74 Infine si può prendere in considerazione il disegno, senza titolo, del 1961 (fig.42). In questo pastello troviamo una specie di lista figurata di segni che mostra la metamorfosi subita dal rettangolo, dal quadrato e dalla circonferenza con l'inserimento di segni diversi al loro interno: una sorta di repertorio di figure da utilizzare in lavori successivi. Dalle opere scelte tra le tante che presentano l'idea del catalogo o della lista si può vedere quanto per Novelli tutti i segni (e i concetti) possano essere, in maniera più o meno omogenea, annotati e esposti come esempi di categorie. Per un pittore la parola 'catalogo' dovrebbe evocare le pubblicazioni con figure e testo che corredano in genere mostre d'arte ma, conformemente alle sue preferenze letterarie, per Novelli il catalogo ha più a vedere col significato che questa forma assume nella letteratura della neovanguardia che la utilizza per mettere in risalto il carattere ormai destrutturato della scrittura. Rimanendo in questo caso fedele al suo ruolo di pittore, alle parole Novelli sostituisce segni grafici e figure, dunque non come altri artisti figurativi che preferiscono riportare liste di parole nelle loro opere. Come accennato sopra, per Novelli sembra che il tema del catalogo di segni sia fortemente legato al tema della memoria, sulla scorta del pensiero di Lévi-Strauss. Ma questo tema ricorre in quegli anni anche nella corrente letteraria francese del Nouveau Roman, che teorizzava la letteratura come pura descrizione di un mondo che esiste semplicemente come una sequenza di fatti e di cose senza particolari sfumature emotive. Novelli, come molti intellettuali e artisti italiani della neoavanguardia degli anni Sessanta, si interessò al dibattito culturale stimolato dagli scrittori francesi e rimase probabilmente influenzato anche nella elaborazione del tema della catalogazione. Nella sua biblioteca (Arch. Mich.) erano presenti alcuni dei romanzi più importanti di Robbe-Grillet, uno dei più significativi rappresentanti del Nouveau Roman con la sua radicale concezione di una letteratura intesa come una vera “descrizione ottica” del mondo. Novelli aveva inoltre un testo di Butor, La 75 modification, dove l'idea del tempo è molto presente nella descrizione delle ore che trascorrono per un uomo che si trova a 'modificare' nel corso di un lungo viaggio in treno un’importante decisione che riguarda la sfera affettiva. Il trascorrere del tempo è un tema trattato estesamente anche da Claude Simon. Egli ebbe un rapporto privilegiato con il pittore italiano: dopo essere stato insignito del premio Nobel per la letteratura nel 1985, nel 1997 scrisse Le Jardin des Plantes in cui, all'interno di un romanzo dove il lavoro sulla memoria determina la struttura anche tipografica del libro, concepito per parti giustapposte, traccia un commovente ritratto di Novelli, che ha un ruolo fondamentale nel racconto definito dallo stesso scrittore «ritratto di un ricordo». I due artisti avevano condiviso i drammatici eventi dell'occupazione nazista e del fascismo e il pittore è descritto «come un tragico gemello dello scrittore, segnato come lui nella carne, nella sensibilità e nel pensiero dall'esperienza della guerra, del dolore della morte».154 Tra le sue carte Novelli conservava due lettere autografe dello scrittore oltre a una copia di La Route des Flandres uscito in Francia nel '60.155 Nel Nouveau Roman, chiamato anche École du Regard, «il ricorso agli oggetti, alle forme descrittive, assumeva in un certo senso una funzione terapeutica, diventava espressione di una diffidenza»156 nei confronti dell'ideologia che aveva allagato la letteratura francese del dopoguerra. La lettura di autori come Joyce, Borges, Kafka e altri, oltre che al cinema, fu fondamentale per tentare di «opporre al romanzo tradizionale un linguaggio narrativo che intenda funzionare in primo luogo a livello formale o 'testuale'». Barthes parlava di “letteratura oggettuale” o “letteratura letterale”, una “forma asettica del racconto”. In Francia i due autori che possono considerarsi all'origine di questo atteggiamento sono Samuel Beckett e Nathalie Sarraute. Con Beckett, come noto, Novelli ebbe un lungo 154 Brigitte Ferrato-Combe, Novelli e gli scrittori francesi, catalogo mostra alla Galleria Di Meo, Parigi 10.10-29.11 2008, pp.16-17. 155 Per l'approfondimento del tema dei rapporti tra Novelli e l'avanguardia letteraria francese si rimanda al Cap.II di questa ricerca. 156 P.Abraham e R.Desné (a cura di), Storia della letteratura francese, tr.it. A.Dittel, A.Riganti, P.Veronesi, A.Vigna, Garzanti, Milano 1985, pp.393 e sgg. 76 rapporto di amicizia e stima reciproca iniziata con l'esecuzione delle immagini litografiche a corredo de L'image, un capitolo di Comment c'est del '61 (v. oltre). Beckett fu uno degli autori più amati dal pittore italiano che cita più volte Molloy, un romanzo in cui «per la prima volta la letteratura si sforza di non designare altro che se stessa». La tragica assurdità dei personaggi è sempre fissata con grande lucidità e descritta anche attraverso minuziose didascalie, alludendo alla condizione dell'uomo che si agita dentro un vuoto esistenziale senza speranza. La nuda enumerazione da catalogo messa in atto dagli autori dell’École du Regard riflette dunque l'impossibilità da parte degli autori di interpretare la realtà. Rimane loro il compito di inventariare senza aggettivi il mondo. In Italia, l'avanguardia letteraria francese ebbe molti estimatori anche nel Gruppo 63, con i cui esponenti Novelli ebbe uno stretto rapporto, soprattutto con alcuni di loro. Sulla copertina del primo numero di “Grammatica”, leggiamo una lunga dichiarazione di intenti frutto di una conversazione tra i fondatori della rivista, Balestrini, Giuliani, Manganelli, Novelli, Pagliarani e Perilli, il cui incipit riassume in parte i principi che sono alla base dell’approccio linguistico di quegli anni, e dove gli autori, o almeno uno di loro perché quello che viene riportato è un dialogo, si dichiarano catalogatori: «(...) ogni universo è in primo luogo un universo linguistico in quanto è proprio una morfologia ed è sottoposto a tutto il rigore e a tutta l'arbitrarietà delle morfologie. Così noi possiamo parlare del linguaggio come di ciò in cui l'universo stesso diventa non direi pensabile/ cosa possiamo dire? In che modo l'universo è linguaggio?/ direi abitabile./ Grammatica è anche una parola estremamente modesta: noi oltreché avere l'ambizione di inventare una verità, siamo anche dei (non direi filologi) catalogatori/ c'è tutto un lavoro di degradazione dell'ideologia, perché naturalmente il discorso, il linguaggio è contemporaneamente molto 77 di più e molto di meno dell'ideologia, e in questo modo può evitare l'arroganza.».157 Il lungo dialogo tra i fondatori, che intervengono in maniera anonima, prosegue poi con un dibattito centrato in larga parte sull'idea di catalogo da mettere a confronto con il concetto di 'grammatica'. «La catalogazione è di per se stessa un fatto arbitrario. La catalogazione non deve necessariamente partire da un dato prescelto a priori. La catalogazione avviene su elementi che tu hai in mano. Tu hai tre sassi e due foglie, a un certo momento tu metti le foglie da una parte, i sassi dall'altra e già crei una catalogazione». «Apparentemente stai catalogando oggetti, in realtà stai offrendo parole. Queste parole a loro volta sono solo illusoriamente catalogabili, come non appartenenti a una grammatica: il discorso sui sassi acquista un significato, almeno a mio avviso, solo se io lo colloco dentro la grammatica, dentro la pancia di una grammatica». Il discorso sul catalogo si chiude, più o meno, con «a mio parere il concetto di grammatica sta esattamente fra la catalogazione e l'ideologia, cioè, è la chiave di volta del passaggio da una catalogazione a una ideologia». Come risulta evidente dai brani della conversazione, che è una dichiarazione di poetica, l'idea del catalogo è centrale in un ambito in cui gli scrittori si pongono il problema della costruzione di una nuova grammatica, ovvero di un nuovo modo di usare il linguaggio. A questo proposito si ricorda come Giorgio Manganelli si sia espresso in termini entusiasti nei confronti dell'elenco telefonico e dell'enciclopedia alfabetica (cfr.§ 2.3). Nella biblioteca di Novelli era presente Borges con alcune tra le opere più conosciute.158 Lo scrittore argentino, tra i più amati dalle avanguardie europee, utilizza l'idea del catalogo per rappresentare il surreale desiderio dell'uomo di poter controllare l'infinito, basta ricordare La biblioteca di Babele, uno dei suoi più famosi racconti fantastici, dove il 157 158 Il dattiloscritto originale, il cui titolo è La carne è l’uomo che crede al rapido consumo, fu scritto da Nanni Balestrini ed è conservato preso l’Archivio Achille Perilli a Orvieto. Presso l’Arch.Mich. sono conservati: Storia dell'eternità, Manuale di zoologia fantastica, Storia universale dell'infamia, L'Aleph. 78 protagonista è alla ricerca del catalogo dei cataloghi. Come ricorda Eco, Foucault, in apertura de Le parole e le cose,159 fa un omaggio a Borges citando il famoso passo sulla «certa enciclopedia cinese» contenuta nell'Emporio celeste di conoscimenti benevoli, inventata nel saggio L’idioma analitico di John Wilkins. Nel suo importante testo del 1966, Foucault, partendo dalla lista incongrua di Borges (che comprendeva al suo interno anche la stessa lista) parla di classificazioni e tassonomie – oltre che di 'mathesis', la scienza dell'ordine calcolabile - in relazione all'episteme classica dei secoli XVII-XVIII che si basa sull'idea della rappresentazione. L'esempio che porta è la scienza botanica di Linneo: in questa fase l'uomo utilizza le sue conoscenze scientifiche per dare una descrizione artificiale dell'ordine già esistente, utilizzando per questo un sistema di segni che è il linguaggio, al quale però è l'uomo che dà un significato perché lo trova già all'interno della natura. Uomo e natura condividono dunque il fatto di trovarsi all'interno del discorso, cioè del linguaggio. Sempre in questo contesto, Foucault si sofferma sul concetto di «continuum delle cose (una non-discontinuità, una pienezza dell'essere) e una certa potenza dell'immaginazione che fa apparire ciò che non è, ma consente, in tal modo, di portare alla luce il continuo»,160 anche tra elementi non rapportabili tra loro. Dalla prospettiva 'archeologica', l'analisi del filosofo francese ci fa comprendere l'esigenza di classificazione finalizzata alla creazione di un ordine virtuale utile alla conoscenza che però, allo stesso tempo, è indice di un primo scollamento tra significato e significante, così come si manifesterà in epoche successive. Per Eco, la necessità di stilare liste è propria delle culture primitive «che hanno ancora un'immagine imprecisa dell'universo e si limitano ad allinearne le molte proprietà che 159 160 Foucault 2007 [1967], cit., p.5. Foucault 2007 [1967], cit., p.88. 79 sanno nominare senza tentare di instaurare tra di esse un rapporto gerarchico».161 Ma dalle epoche arcaiche, questa necessità viene trasmessa al Medioevo associandosi alla letteratura religiosa, per passare poi al Manierismo e al Barocco, arrivando all'età contemporanea dove viene utilizzata sia in letteratura che nell'arte figurativa, soprattutto nella forma verbale. Anche se nella storia della letteratura la categoria del catalogo o elenco o lista, è antichissima in quanto nasce con le descrizioni di Omero nell'Iliade, passando per Dante e Rabelais e arrivando al famoso Bouvard et Pécuchet di Flaubert, è significativo che nel Novecento si sia riscoperto tale modo artificioso per dare un apparente ordine al mondo, oltre che con le opere di Borges e Joyce, con quelle di Perec e Calvino (che Novelli probabilmente conosceva). Nell'arte figurativa, nel caso di Novelli, la classificazione è data in forma iconica, ma molti sono i casi di artisti per lo più di ambito concettuale che nel Novecento adottano la lista verbale nelle loro opere: il caso più conosciuto in Italia è probabilmente quello di Alighiero Boetti che cerca di classificare, dopo un lungo e meticoloso lavoro di ricerca compiuto tra il 1970 e il '73 con la moglie Anne Marie Sauzeau, i mille fiumi più lunghi del mondo.162 Come nelle tavole sinottiche ad uso scolastico e sulla base de Il romanzo dei grandi fiumi di Hochmeier del 1956, Boetti dà conto con il suo lavoro dell'impossibilità di catalogare scientificamente qualsiasi tipo di elemento naturale. La “verità” è nel lavoro dello stesso artista che redige la lista, in quanto opera d'arte. Progetta anche tre arazzi con i nomi dei fiumi scritti in caratteri puntinati simili alla scrittura in Breil. Precedentemente l'artista torinese aveva usato la lista in alcune sue opere, come quella senza titolo che raccoglie 161 162 Eco 2009, cit., p.18. Alighiero Boetti, Anne Marie Sauzeau, Classifying the thousand longest rivers in the world, 1970-1977 libro a stampa, edizione in 500 esemplari firmati e numerati, cm 21,5 x 16,5 x 5,5 cad., pp. 1018. Tipografia Sergio D'Auria, Ascoli Piceno 1977. 80 materiali diversi applicati ai cartoncini di invito per la sua prima personale alla galleria Stein di Torino del gennaio 1967 (fig.43). Anche il famoso Manifesto del 1967 può rientrare tra le opere che hanno il carattere di lista o catalogo. Una vera e propria lista, termine riportato anche nel titolo è l'opera distrutta Liste der beteilgten Künstler als Project del '69 in cui l'artista compila un elenco di “artisti coinvolti nel progetto”.163 Le chine su carta e l'incisione su ottone chiamate Calligrafia, tutte del '71, sono degli esercizi di riporto calligrafico di nominativi dei relativi numeri presi da elenchi del telefono, attrazione condivisa da Manganelli e Miccini. Nell'opera di Boetti si può rintracciare la forma della lista anche in altre opere e si può affermare che spesso le sue opere presentano sullo sfondo questo carattere. Sul versante verbo-visivo è interessante la sperimentazione di Ugo Carrega. La sua Pagina come scrittura, 1966 (fig.44), è strettamente collegata all'esperienza del '63, la Scrittura a tasselli che consisteva nel comporre su un foglio bianco tante piccole pagine che riportano frammenti di versi. La serie del '66 è invece, secondo la definizione data dall'artista, «una riflessione (dai risultati limitati a poche varianti) sulla possibilità d'uso espressivo della pagina come indice. (Indice, per es., è una nuvola, che ci fa riflettere in anticipo sulla possibilità che piova)».164 In questo lavoro Carrega, con la volontà di stilare un 'indice', compone una serie di pagine che contengono segni grafici, parole e materiali vari, gli stessi che usa per la sua 'scrittura simbiotica', la Nuova Scrittura che comprende a sua volta una grande varietà di materiali, volta al superamento della scrittura solo verbale. La pagina è comunque considerata come “strumento-in-sé-d'espressione”, il punto di partenza imprescindibile per ogni artista. La stessa scrittura simbiotica «parte dal presupposto di 150 164 Le opere di Boetti citate sono riprodotte in: Jean-Christophe Ammann, Alighiero Boetti. Catalogo generale, tomo primo, Electa, Torino 2009, pp.101, 151, 187. Ugo Carrega, Commentario, Morra, Napoli 1985, p.46. 81 comunicare attraverso la totalità della pagina, dilatando le possibilità di espressione attraverso l'interazione fra linguaggio verbale e non».165 Nel multiplo di Eugenio Miccini, Poetry is dead dell'83 (fig.45) campeggia una pagina strappata da un elenco telefonico. Al centro un coltello (vero) l'ha appena pugnalata (lo capiamo dal sangue che sgorga). Il tono ironico dell'opera mette al centro l'idea di Poesia, ormai morta. Ma con una famosa parafrasi, si auspica Long live poetry. L'elenco telefonico assume, si direbbe, il ruolo emblematico di una nuova forma di poesia, lontana da quella tradizionale, ma che continua a essere praticata. 165 Maria Teresa Balboni, introduzione a Ugo Carrega, a cura di A.Rossi e M.T.Balboni, Carucci, Roma 1976, p. XIX. 82 1.3.4. Combinazioni e serie numeriche I numeri sono un elemento fondamentale nell’opera di Novelli. Serie numeriche compaiono spesso, quasi sempre in relazione a figure ma a volte anche isolati. Come gli altri, i numeri sono segni che l'artista utilizza per il suo personale vocabolario. La loro insistita presenza richiede alcune riflessioni. I contesti in cui l'artista inserisce numeri sono molto diversi tra loro ma implicano sempre l'idea di computo del tempo, che in un'opera di arte visiva si mette in relazione con lo spazio che questi occupano all'interno della composizione. Nello scritto Il linguaggio e la sua funzione, l'artista riprende una considerazione già espressa in Pittura procedente da segni: «Inserendo in un'immagine (figura, quadro, disegno, percorso, ecc.) una serie di numeri, le si dà una direzione di lettura, con pause obbligate, diverse accelerazioni, a seconda della regolarità della scala numerica o della variazione delle distanze fra i numeri».166 Questa dichiarazione è un evidente riferimento a Klee che, oltre alle lettere, introdusse cifre nelle sue opere. Nell'arte del Novecento l'inserimento di numeri ha una storia lunga almeno quanto quella dell'uso di lettere e parole. Se in Italia sono stati i futuristi a inserirli nelle tavole parolibere e in alcuni dipinti, tra gli artisti che Novelli ha maggiormente assunto come modello creativo è stato proprio Klee che ha significativamente inserito numeri in molte sue composizioni, come nell'opera su carta Inschrift del 1918 (fig.46) e in Uhr-Pflanzen del 1924 (fig.47). Nel primo disegno, in alto sopra una costruzione architettonica, c'è un'addizione, in basso altri numeri e la data 1917/18. Nel secondo i numeri sono dentro forme rotonde che 166 “Grammatica” 1976, cit., p.46. 83 assomigliano alle corolle di fiori ma anche a orologi. Se nel primo disegno è sottolineato il carattere del calcolo matematico dell'operazione legata evidentemente all'architettura di segni tracciata da Klee, nel secondo i numeri sono messi in relazione, oltre che con la natura - e in particolare al tema a lui caro del giardino -, con il tempo. Nei suoi scritti, l'artista svizzero (che non ignorava l’aspetto più segreto dei segni matematici), usa molto frequentemente i numeri con molteplici riferimenti alla musica e al ritmo, elementi che vengono costantemente messi in relazione con le possibilità dei mezzi grafici di modulare linee e segni seguendo gli stessi andamenti astratti. Nei diari scrive: «Sempre più sono spinto a fare paralleli fra musica e arte figurativa. Ma non mi riesce alcuna analisi. Certo è che ambedue sono arti del tempo, come si potrebbe facilmente dimostrare».167 Evidenza ripresa ad esempio da Carmine Benincasa che legge tutta l'opera di Klee legata alla musica: «Tutto il testo poetico di Klee è un inno liturgico che scandisce i valori ritmici del tempo, dello spazio, della musica. Klee legge la pittura come musicista».168 Per l'artista svizzero i numeri scandiscono dunque il tempo e lo spazio, annullandoli, come vedremo nelle opere di Novelli. Anche il pittore italiano conosceva l'aspetto esoterico dei numeri. Aveva nozioni di numerologia assorbite attraverso la frequentazione di Villa, lo studioso ed esegeta della Bibbia e della cultura ebraica antica oltre che autore di articoli sulla nascita dei numeri presso i popoli primitivi. Come noto, questa scienza ha radici antichissime come elemento determinante del pitagorismo e della mistica ebraica e di tutte le pratiche esoteriche che da esse derivano. Basti pensare all'importanza della gimatreya, l'interpretazione delle lettere attraverso il loro valore numerico, che fonda l'equivalenza tra alfabeto ebraico e numeri. Questo aspetto ha 167 168 Paul Klee, Diari 1898-1918, Il Saggiatore, Milano 1976 [1960], (640) p. 184. Carmine Benincasa, Nel giardino del mondo, in Paul Klee, Orsanmichele, Firenze giugno-settembre 1981. Catalogo Electa Firenze, Firenze 1981, p. 44. 84 nella Cabala un valore esegetico enorme in quanto permette la lettura e l'interpretazione delle sacre scritture attraverso le combinazioni dei valori numerici attribuiti alle varie lettere dell'alfabeto. Gli stessi numeri sono portatori di valenze simboliche fondanti tutta la cultura ebraica.169 In epoca moderna, la massoneria - che ha nella geometria e nell'architettura la base della delle sue pratiche - deriva dalla tradizione pitagorica la conoscenza dei “numeri sacri”. Se «la Bibbia afferma che Iddio ha fatto omnia in numero, pondere et mensura; i pitagorici hanno coniato la parola cosmo per indicare la bellezza del cosmo in cui riconoscevano una unità, un ordine, un'armonia, una proporzione; e tra le quattro scienze liberali del quadrivio pitagorico, cioè l'aritmetica, la geometria, la musica e la sferica, la prima stava alla base di tutte le altre». L'adozione del simbolismo ermetico da parte della massoneria è avvenuto non a detrimento della «universalità massonica e della sua indipendenza dalla religione e dalla politica», ma «perché anche il simbolismo ermetico od alchemico è per sua natura estraneo ad ogni credenza religiosa o politica».170 Anche Pozzi fa cenno alla numerologia parlando di certe forme di carmi. «A certi determinati numeri è stato connesso dalle varie culture un significato specifico. Questa ipercodifica può talora esser messa al servizio della poesia figurata quando il numero sacro è assunto come criterio dell’ordine e delle misure che strutturano una tavola poetica».171 A questo proposito cita il caso del poema di Rabano Mauro che utilizza nella sua composizione il numero 28, considerato perfetto, e per il prologo il numero 6, anche questo, secondo la tradizione, perfetto. Ma lo stretto rapporto tra numeri e metrica, numeri e componimenti poetici è universalmente accettato. 169 170 171 Giulio Busi, Elena Loewenthal (a cura di), Mistica ebraica. Testi della tradizione segreta del giudaismo dal III al XVIII secolo, Einaudi, Torino 2006 [1995], pp. XXXIII-XIV. Reghini 1994 [1947], cit., pp.9 segg. Pozzi 2002 [1981], cit., p. 48. 85 Nelle opere di Novelli cifre iniziano ad apparire più o meno dal '61. In questo anno include nella sua produzione anche la particolare forma di elenco, giorni della settimana e numeri, del calendario. Sono di questo anno infatti il dipinto Dan (fig.48) e il disegno Calendario (fig.49). Se nel quadro l'artista elenca i giorni della settimana e annota a lato una serie di lettere dell'alfabeto da cui risaltano le parole “obbligo” per il sabato e “oggetti liberi” per la domenica, il tutto contornato da frasi in francese, nel disegno il riferimento al calendario come organizzazione visiva di determinati giorni della settimana è evidente. Invece che parole francesi, nel disegno compaiono parole spagnole. Qui i numeri sono in relazione ai giorni della settimana scritti dentro quadratini che sembrano avere la funzione dei foglietti staccabili dei calendari che un tempo erano sempre presenti nelle case e negli uffici. I due riquadri sottostanti sono riempiti uno con una spirale e l'altro da segni e dalle parole cancellate “martedì” e “giovedì”. Il lavoro sembra la registrazione di alcuni giorni (mercoledì 30, giovedì 31 agosto e venerdì uno, sabato due, domingo tres settembre) che portano con una freccia verso un giorno connotato dalla parola “una”. Giorni di attesa di qualche evento per l'artista, forse. In questa opera il computo del tempo è evidenziato dalla successione dei giorni. Novelli gioca con tante cose diverse, ma il calendario riveste sicuramente un ruolo privilegiato nella scansione del tempo, personale ma anche cosmico. È stato fin da tempi remoti utilizzato come strumento di divinazione legato agli studi astrologici, citato anche da Jung nel libro tanto studiato da Novelli. Lo stretto legame con il tempo mette vicini il gioco al rito in «una relazione, insieme di corrispondenza e di opposizione», secondo Agamben, «nel senso che essi intrattengono entrambi un rapporto con il calendario e col tempo, ma che questo rapporto è, nei due casi, inverso: il rito fissa e struttura il calendario, il gioco, al contrario, anche se non sappiamo come e perché, lo altera e distrugge. Gli studiosi sanno infatti da tempo che la sfera del gioco e quella del sacro sono strettamente 86 connesse».172 A riprova sono i legami tra la maggior parte dei giochi che noi conosciamo e le antiche cerimonie sacre, in danze, lotte rituali e pratiche divinatorie. Anche in Il tetto del mondo, ancora del ‘61 (fig.50), abbiamo una serie numerica ma evidentemente finalizzata a uno scopo molto diverso. Questo disegno è da associare al dipinto dello stesso anno e identico titolo. (fig.50a), La stessa forma triangolare la ritroviamo in un piccolo riquadro del dipinto del '62, La montagna degli adepti.173 Mentre una forma di montagna aguzza molto vicina a questa la troveremo anche nel dipinto Il vocabolario. Il tema della montagna ricorre nell'opera di Novelli, anche come tema preferito delle sue sculture in diversi materiali.174 In un suo scritto Novelli ne parla come di un “segno”: «Una montagna rappresentata come un segno curvo continuo, secondo la sua inclinazione, si avvicina al ventre, alla mammella; se segnata con linee predominanti nette, sarà aspra, di roccia».175 Se 'tetto del mondo' è la catena montuosa dell'Himalaya, riferimento esotico al tema, il significato più vicino al simbolo della montagna sembra essere quello esoterico e iniziatico, come dimostrato dalle riprese successive: dal titolo del dipinto del '62 e dal contesto in cui è inserito all'interno del Il vocabolario, reso esplicito da una frase presente in riquadro del dipinto del '61: «un uomo sale sulla montagna e quando arriva in cima continua a salire in alto: Ho letto che non si cade dalla montagna».176 Mentre il simbolo della montagna è molto usato nei trattati di alchimia e anche Jung vi fa cenno, «l'importanza assegnata al numero 5 derivava dal fatto che cinque erano gli elementi: 172 173 174 175 176 Giorgio Agamben, Infanzia e storia, Einaudi, Torino 2001, p.71. Rinaldi 2011, cit., p.56. Per il tema della montagna in Novelli, vedi Paola Bonani, Mondi, montagne, segni di terra. La scultura di Gastone Novelli in Gastone Novelli. Catalogo generale 1, cit., 2011. Gastone Novelli, Il linguaggio e la sua funzione, febbraio 1968, pubblicato postumo in “Civiltà delle Macchine”, n.1, 1969, ora in “Grammatica” 1976, cit., p.46. Gastone Novelli 1988, cit., p.108. 87 legno, fuoco, terra, metallo, acqua; cinque le partizioni dello spazio; cinque le “direttive” cioè: nord, sud, est, ovest, centro; cinque i colori, vale a dire : giallo, azzurro, rosso, bianco e nero; e cinque i minerali dai quali l'uomo aveva imparato a estrarre il rame».177 Tra i simboli alchemici, il triangolo con la punta verso l’alto significa il fuoco. Un abbozzo di montagna tondeggiante appare nella carta senza titolo dello stesso ’61 (fig.51) che è da collegare al dipinto Liuba dello stesso anno. A sinistra, disposte su righe, compaiono lettere dell’alfabeto dalla A alla F, composte in varie combinazioni fino a formare la parola CADE. A destra, più o meno per ogni composizione di lettere, ci sono numeri nella serie: 1 2 3 4 5 6 8 11 20 21 0. Apparentemente tra i numeri e le lettere non ci sono legami, ma la composizione sembra rispondere a una personale cabala dell’autore. Nel lavoro su carta senza titolo del 1962 (Arch. Nov. c.1962/11) composto da foglietti che hanno numeri stampati tipograficamente e attaccati con la colla su un foglio di carta in modo da formare sei colonne su cinque righe. In basso, sotto ogni fila di foglietti, Novelli ha tracciato altri numeri con pastello blu che sono la somma della colonna e ha infine firmato e datato. La sequenza numerica che si viene a formare è: 68 71 79 76 77 75 72 80 98 100 99 85 74 78 96 73 95 86 97 84 92 93 81 87 89 88 91 94 82 90 400 330 456 436 433 423 Tra i numeri scritti a mano, il 330 è cerchiato come per metterlo in evidenza: è infatti un 177 Eric John Holmyard, Storia dell'alchimia, Sansoni, Firenze 1972, p. 33. 88 numero molto lontano dalla somma della colonna. Il disegno del 1962-63 (fig.52), è su un foglio di piccole dimensioni (Arch. Nov. c 196263/22) che presenta una figura trapezoidale riempita dalla serie numerica completa che va da 1 a 100, tracciata a matita. La fitta sequenza di numeri senza soluzione di continuità crea una texture che a una prima lettura prevale sulla percezione della precisa successione numerica. La semplicità dell'operazione lascia interdetti, crea in chi guarda indecisione tra impulso a contare ordinatamente o considerare i numeri trasformati in significanti che hanno perduto il loro abituale significato. Anni dopo questo piccolo disegno e dopo che Novelli avrà tracciato numerose serie numeriche nelle sue opere, nel '68, viene stampato a Roma un curioso volume intitolato Coazione a contare di Gian Pio Torricelli178 (fig.53) che contiene una lunghissima sequenza di pagine (non numerate) in cui l'unico accadimento è la conta - in lettere - da uno a cinquemilacentotrentadue, numero, quest'ultimo, ripetuto più volte nelle ultime pagine. Questo volume è stato pubblicato nell'ambito della collana di nuova scrittura Marcalibri, curata da Magdalo Mussio che lo introduce, utilizzando il linguaggio critico tipico di quegli anni, parlando di «istanza assolutamente funzionale: è un'apologia della simulazione artistica oculatamente esemplarizzata nella caricatura tautologica che è propria al procedimento dell'enumerazione e, in altri termini, alla coazione a contare come cerimoniale ossessivo coatto; o come nesso nevrotico specifico della freudiana “coazione a ripetere”: qui iperbolicamente eletta quale unica ipostasi canonica d'ogni fenomeno ideativo. Tale esito thanatologico abolisce l'epopea narrativa appunto col darla per estendibile all'infinito, cosicché il romanzo - il genere culturale - diviene allora un'istituzione suicida, e il fare artistico una sublimazione caratterale impotente. Ed è 178 Gian Pio Torricelli, Coazione a contare, Lerici, Roma 1968. 89 proprio in ragione di questi indispensabili paradossi che la lezione di Torricelli si sconta come una sana eutanasia dell'arte». La freudiana “coazione a ripetere” che viene citata è quella modalità tra patologia e normalità in cui un individuo è spinto a riprodurre nel presente situazioni spiacevoli vissute nel passato, dove la passività e la fatalità sono un elemento importante da considerare. Invece la “coazione a contare” è nota in psichiatria come aritmomania. S.t. (casellario), 1964 (fig.54). Anche in questa complessa opera di montaggio di quadratini di carta con impressi numeri e parti scritte, Novelli gioca con le serie numeriche e sfida a misurarci con una serie di calcoli che lui fa addizionando i numeri presenti nelle varie caselle. In alto a sinistra scrive: ora può dedurre che sono numerosi i punti alti che quelli bassi, ora anche perché a Saturnia si sono raccolti un gran numero di 12. Infatti i punti più numerosi sono i dodici, seguiti dai 10, otto e sette, mentre i meno numerosi sono gli undici seguiti da 1, 2, 5 e 6. Anche se esiste un errore. Cercare l'errore. Nell'opera su carta senza titolo (1 2 3 4 5) del 1966 (fig.55), oltre ai numeri della sequenza da 1 a 5 inseriti in cerchi fatti con pastelli di colori diversi posti in alto sul foglio, leggiamo in basso a sinistra sei combinazioni degli stessi numeri: 12, 13, 14, 42, 45, 43, 32. In un riquadro disegnato nella parte inferiore del foglio, le stesse combinazioni sono tradotte con strisce colorate. Dalla comparazione numeri/colori vediamo che al numero 1 corrisponde il rosso, al numero 2 il rosa, al 3 il blu, al 4 il verde e al 5 il nero. È questo un esempio della relazione che Novelli vuole creare tra mondo dei numeri e mondo della pittura in un sistema dove gli elementi diventano interscambiabili, strutturato analogicamente ma, come sempre, casuale. 90 Novelli inserisce serie numeriche anche nelle sue opere video. In una delle scene più interessanti de Il parto addomesticato,179vengono inquadrate delle mani che spostano foglietti con numeri scritti sopra a mano, un sasso e una carta da gioco con il tre di coppe. Insieme a altri oggetti è inscenata una sorta di gioco di azzardo tra personaggi misteriosi che contribuisce all’enigmaticità del contesto. Anche Magdalo Mussio (1925-2006) inserisce spesso numeri nei suoi lavori su carta. Egli è un artista che per il suo particolare uso di segni grafici eterogenei strutturati in forme geometriche più o meno coerenti è stato avvicinato a Novelli in varie occasioni, ma è da questi in realtà lontano per un andamento più collagistico dei suoi lavori. In un catalogo del '77 Luigi Ballerini scrive: «I dati “intimi” del suo apparato (l'icasticità dei suoi grafologismi, le sorprese speculari della sua tendenza al regesto, i sussulti sinestetici della sedimentazione mnemonica ecc.) si costituiscono in geometria morbida, linfale, in cerchio e corda dietro i vetri, in reticolato osmotico, in tetragonia casuale, in calcolata ortometria, in ricettacolo/punto di convergenza, da cui, con deiscenza rigorosa cadono efferati dittonghi, metatesi terremotanti, nomi propri di persona e di cosa, anacoluti, elenchi, isteriche paratassi, sintesi direzionali, numeri».180 Con la sua “violenza antiscrittoria” Mussio negli stessi anni Sessanta utilizza numeri sparsi in ordine almeno apparentemente casuale o in serie progressiva dall’1 in poi, ponendosi sulla stessa lunghezza d'onda di Novelli per l'andamento calligrafico e di Torricelli per l'assidua frequentazione al tema (fig.56). Nello stesso catalogo è illuminante un breve testo di Madeline Blanchot: «l’occupazione dello spazio numerando non significa altro, o non vuole essere altro, che il trasferimento in 176 180 Gastone Novelli, Il parto addomesticato, 1964, lungo 21,20 minuti. Nel film compare lo stesso Novelli, Marina Lund e Manganelli rappresentato dalla sua fotografia che compare sulla copertina della prima edizione di Hilarotragoedia. Ringrazio l’Archivio Novelli per avermi dato la possibilità di vedere il film. Luigi Ballerini, Logos al di sotto del logos, in Magdalo Mussio, Scritture, La Nuova Foglio, PollenzaMacerata, 1977, p.84. 91 numerazione progressiva dei momenti necessari (come tempo) impiegati nella realizzazione. Tempo che corrisponde all’occupazione e misurazione della stessa superficie. Nessuna dicotomia quindi tra allusione ad una figura e allusione a ciò che è senza figura come fatto letterario. Quale sia il codice risultante è nell’impronta stessa lasciata dagli inchiostri o dagli altri materiali; la traccia di un’azione che nel tempo e nella prassi si svolge nell’inscindibile contemporaneità mentale di lettura e percezione estetica. Parlerei allora di evento, accadimento, di verifica memorizzante dell’esistenza o, al limite, parafrasando, di action painting». Anche nella Poesia concreta compaiono serie numeriche, come nel Soneto soma 14x di de Melo e Castro (fig.57) del ‘63. Ogni ‘frase’ arriva alla somma di 14, tranne l’ultima la cui somma è 28. Il componimento sembra giocare sulla struttura del sonetto che normalmente è composto da quattordici versi endecasillabi raggruppati in due quartine e due terzine (nel componimento le ‘frasi’ sono raggruppate in due ‘strofe’ di quattro e due di tre). Scrivere e pronunciare numeri è una pratica che negli anni Sessanta (e poi oltre) ha molti seguaci.181 Dopo le esperienze delle avanguardie storiche, artisti di tendenze diverse che vanno dalla Pop al Fluxus al concettuale alla Poesia visiva hanno inserito numeri nelle loro opere; per l’Italia si possono citare ancora Kounellis, Boetti e Calzolari. In molti casi è una pratica che ferma il tempo in un esercizio declamatorio che annulla il potenziale evocativo di questi segni, spesso utilizzati in una combinatoria astratta. Per Novelli non è possibile isolare l'uso che egli fa dei numeri dal contesto in cui si muove tra attenzione al ritmo come fa Klee e alla lettura esoterica acquisita dalla conoscenza della Cabala e, probabilmente, dell’ermetismo massonico praticato da alcuni intellettuali e artisti 181 Lorenzo Fusi, Marco Pierini (a cura di), Numerica, catalogo della mostra al Palazzo delle Papesse Centro Arte Contemporanea Siena, 22.6.2007-6.1.2008, Silvana, Milano 2007. 92 da lui frequentati. Fu Villa che dedicò i suoi studi anche al valore simbolico e magico dei numeri a partire dalle concezioni primordiali nelle civiltà arcaiche, riallacciandosi agli studi etno-antropologici che affascinavano anche Novelli. Scrisse a questo proposito un saggio pubblicato nel '56 su “Civiltà delle macchine” (cfr. §1.3.6). 93 1.3.5 Combinazioni foniche immaginarie, anagrammi, palindromi Il continuo gioco di destrutturazione e ristrutturazione operato sulla lingua, porta Novelli a sbriciolare parole, a spostare grafemi, a invertirne l’ordine di lettura, non sempre con un senso compiuto che spesso è sentito come non necessario. Nelle sue opere entrano anagrammi e palindromi che danno a volte luogo a parole inesistenti, combinazioni che eludono un significato preciso ovvero combinazioni foniche non codificate, categoria in cui rientra anche il carme sesquipedàle già visto. In alcuni fogli (e dipinti) troviamo schemi, anche appena abbozzati, che cercano di dare una sistematicità allo sgretolamento e all’infinita possibilità combinatoria delle particelle che si prestano alla manipolazione. Ma ancora una volta sono evitate regole precise di origine matematica. È il caso che detta di volta in volta il proprio ordine provvisorio. L’artista non ha mai un approccio rigoroso ai giochi linguistici, convinto di liberare così il potenziale espressivo del linguaggio. Bartezzaghi definisce scherzosamente l’anagramma come «una parola messa nel frullatore»,182una parola che desidera il caos stravolgendo o illuminando di nuovi significati il vocabolo di partenza. E il disordine deve essere inavvertibile all’orecchio e all’occhio anche se l’elemento dinamico è evidente. Questa forma di gioco linguistico ha un’antica tradizione iniziata nell’ambito sia della poesia delle corti ellenistiche sia della mistica sacra (Bartezzaghi parla anche di anagrammi legati alla pratica oniromantica descritta da Artemidoro). Si ritiene inventata dal poeta della corte del re Tolomeo Filadelfo, Licofrone il Tragico (330 a.C.), che la utilizzò a fini encomiastici. Quando, nel XVI secolo si riaffacciò in modo esplicito nel campo della letteratura, fu mantenuto il carattere profano e elogiativo, usato parallelamente a quello di tipo mistico e religioso. I 182 Stefano Bartezzaghi, Incontri con la sfinge. Nuove lezioni di enigmistica, Einaudi, Torino 2004, p.49. 94 cabalisti ebraici sapevano (e sanno) coniugare decine di anagrammi del sacro nome di Iahwè in quanto, con raffinata capacità, usano la lingua ebraica come un crogiuolo di mutazioni per distillare fino in fondo l’esegesi dei testi sacri. Il linguaggio viene così decomposto per diventare realtà spirituale. Nella Cabala mistica, con Avraham Abulafia, l’anagramma - la temurah, l’arte di permutazione delle lettere assieme al notarikon, l’acrostico - è uno dei mezzi di lettura privilegiato. Nella mistica ebraica le lettere della lingua scritta, dell’alfabeto ebraico e la loro combinazione come elementi del nome di Dio sono ‘oggetto di meditazione assoluto’ come osserva Frances Yates.183 I cabalisti, convinti “dell’immutabile presente a cui ogni alfabeto dà vita”, scompongono «interi versetti biblici, o singole parti di essi per trasformarli in nuove unità significanti, in base a precise norme di equivalenza e di intercambiabilità delle lettere»184 secondo le leggi dell’ equivalenza tra lettere e numeri propri della gimatreya. Nell’arte del XX secolo, tra prima e seconda avanguardia, ritroviamo anagrammi e altre possibilità combinatorie grazie al fatto che «la storia di quelli che oggi chiamiamo giochi enigmistici, e in particolare di quei giochi che sia gli enigmisti che i cabalisti chiamano “combinazioni”, è la storia della loro continua reinvenzione».185 Basti pensare ai surrealisti che amavano anagrammare soprattutto nomi propri. Famoso quello che si diede André Breton per firmare le sue poesie, René Dobrant, o quello che diede in senso spregiativo a Dalì, Avida Dollars. Hans Bellmer e la sua compagna Unica Zurn, li adottano sostenendo che la disarticolazione è strettamente legata a quella del corpo che lo stesso Bellmer rappresentava in scultura e nei disegni. Per arrivare alle prove di Poesia concreta, molti sono gli esempi di componimenti che presentano giochi di permutazioni, integrazioni, sottrazioni, sostituzioni di lettere da una 183 184 185 Frances A.Yates, L’arte della memoria, Einaudi, Torino 1993 [1972]. Giulio Busi, Introduzione a Busi, Loewenthal, 2006 [1995], cit., pp. XIX e XXX. Bartezzaghi 2004, cit., p.67. 95 matrice letterale, da cui scaturisce il testo poetico (Accame 1977) a seconda delle posizioni delle lettere così come vengono ricomposte. La Poesia concreta mettendo in atto un dinamismo linguistico estremamente fluido, mette in gioco diverse combinazioni. Una delle pratiche più usate è quella del metagramma, ovvero attraverso la sostituzione di una lettera di una parola si arriva a un altro vocabolo come nel famoso pluvial fluvial di Augusto de Campos (fig.58), oppure giocando tra due vocaboli si arriva alla definizione di un terzo, arrivando a una frase anagrammata (imperfetta) come nel caso di Cloaca di Decio Pignatari (fig.59). I poeti concreti - paragonati da Pozzi agli antichi anagrammisti utilizzano anche metanagrammi186 e metatesi.187 Anche se nel 1960 Novelli probabilmente non conosceva ancora Les Bigarrures (dove un intero capitolo è dedicato all’anagramma, ai versi retrogradi e alle contrepéterie), era informato comunque circa le sperimentazioni di Villa e degli scrittori francesi. E sapeva probabilmente del carattere sacro che l’anagramma aveva presso i cabalisti, così come di quello encomiastico che aveva nel mondo antico. È un fatto comunque che in uno dei fogli che analizziamo, archiviato come Composizione n.11 del '60 (fig.60), leggiamo in alto due parole a stampatello, da TABRAS, che a prima vista e escludendo il fatto che si possa trattare di un luogo geografico, non sembrano avere alcun significato. Potrebbero essere in realtà l’anagramma della parola bastarda, termine che rientra tra quelli usati da Novelli nelle sue dichiarazioni più irriverenti. La combinazione delle lettere dello strano sintagma, mentre può essere considerato un vero anagramma in quanto utilizza tutte le lettere188 del ‘programma’ (termine con il quale si definisce la parola di partenza di un anagramma) non 186 187 188 Metanagramma: gioco basato sull’applicazione simultanea del principio dell’anagramma e del cambio per cui, sostituendo di volta in volta, in una parola, una lettera vocalica con le altre quattro lettere vocaliche e rimescolando opportunamente le lettere rimanenti, si ottengono altre quattro parole (Dossena 2004). Metàtesi: mutamento fonetico che si riscontra quando una parola con due suoni o gruppi di suoni si scambiano di posto (Dossena 2004). Pozzi 2002[1981], cit., p. 369. 96 ha senso, e si può per questo definire non sensico secondo la precisazione di Giampaolo Dossena,189 e che viene ammesso anche da Pozzi. Nel caso di Novelli, visto il significato della parola di partenza, è evidente che al posto del carattere encomiastico si abbia il suo opposto, fatto questo che dichiara ancora una volta la libertà di Novelli nell’utilizzazione delle forme di gioco verbale. Già il contributo dell’enigmistica contemporanea aveva riscattato l’anagramma dal carattere adulatorio liberando il suo contenuto dai vincoli dell’autocensura (Bartezzaghi 2004), ma l’artista aggiunge anche un carattere dissacratorio all’antico gioco linguistico. Ancora una volta Novelli assume un atteggiamento che era già stato tipico del Manierismo letterario di fine XVI secolo e che viene utilizzato con altri fini dalla neoavanguardia novecentesca, in cui «tutto può essere rovesciato, mutato nel suo opposto».190 L’arte combinatoria, che è alla base dell’anagramma, nega ancora una volta la sua finalità conoscitiva di nessi razionali per diventare “strumento di relazioni irrazionali”. L’effetto cinetico che secondo Pozzi è dato dall’anagramma e che viene utilizzato anche dai poeti concreti, in quest’opera fa da complemento al dinamismo implicito ai segni di carattere informale e lo troviamo anche nelle opere di Novelli di questo periodo. L’altra parola scritta a stampatello, SCROCIATE, fa chiaramente riferimento alla griglia della tabellina pitagorica applicata a collage, vuota in origine e riempita di diversi segni dall’artista. In questo modo ricorda la griglia utilizzata per le parole crociate e schemi di antiche crittografie, figura che si troverà di frequente nel lavoro dell’artista come nelle altre opere della serie degli alfabetari (v.oltre). Come nella maggior parte delle opere di Novelli, sono molti gli aspetti da analizzare e gli 189 190 Dossena 2004, cit., p.37. Gustav René Hocke, Il manierismo in letteratura, Il Saggiatore, Milano 1965, p.61. 97 intrecci spesso impossibili da districare. In questo caso troviamo le due parole principali (delle quali una è un anagramma con lettere rovesciate e l’altra presenta una s negativa), la griglia e un testo il quale pur in modo sibillino fa riferimento al mondo dei simboli inseriti nella tabellina: anche se spesso sono del tutto sbagliati questi segni sono buoni sono sempre stati la passione della gente di tutti i posti sono sempre stati la passione questi calcoli sono sempre stati la passione della gente! come si è detto. La presenza di griglie nell’opera di Novelli è un aspetto dal quale non si può prescindere per analizzare la sua produzione degli anni Sessanta. In questo foglio vediamo come l’artista inizi a prendere in considerazione la struttura a scacchiera attraverso l’applicazione a collage. In seguito vedremo come lo schema sarà utilizzato in maniera libera e meno geometrica. In questa composizione serve da contrasto a segni di carattere informale e come riferimento alle parole scritte nella parte centrale del foglio. Acquisito il fatto che la griglia sia uno schema tipico delle avanguardie artistiche del Novecento191 a partire dal Cubismo, nelle opere dell’artista si verifica una ricorrenza significativa che, unita all’inserimento di frammenti sintagmatici all’interno delle caselle, non può non far riferimento al famoso gioco enigmistico introdotto in Italia a partire dal 1925: il cruciverba.192 (cfr. §1.3.9) L’ampia diffusione del gioco su numerose riviste popolari e sulle pagine di quotidiani molto letti, potrebbe aver ispirato l’artista nell’uso dello schema, anche se non sembra si possa prescindere dalla conoscenza delle scacchiere presenti in molte opere di Paul Klee, artista che si può considerare un forte riferimento per l’opera di Novelli. 191 192 Rosalind Krauss, Griglie in Originalità dell’avanguardia e altri miti modernisti, Fazi, Roma 2007, tr.it. di E.Grazioli, pp.13-27; tit.or. The Originality of the Avant-garde and Other Modernist Mythos, Mit Press, Cambridge 1985. Il tema è ripreso in Stefano Bartezzaghi, L’orizzonte verticale. Invenzione e storia del cruciverba, Einaudi, Torino 2007. Stefano Bartezzaghi, L’orizzonte verticale, Einaudi, Torino 2007a, p.103. Dopo aver raccontato l’avvento del popolare gioco in America nel 1913, e averne analizzato la genesi d’oltreoceano, l’autore parla della fortuna del cruciverba in Italia. La “Domenica del Corriere”, rivista del “Corriere della Sera”, ne inizia a pubblicare dal febbraio 1925, con un “lancio sontuoso” che ne decretò la fortuna, anche se con le critiche mosse dagli enigmisti ‘classici’, almeno all’inizio del suo percorso. 98 Se in Trum trpe rpe del 1961 (fig.61) osserviamo una combinatoria di fonemi almeno apparentemente senza senso e inseriti liberamente tra due linee parallele, nel disegno senza titolo (usare) ancora del 1961 (fig.62), troviamo una combinazione di fonemi e monemi che partono dalla verbo ‘usare’. Tutto il gioco di scomposizione utilizza linee verticali che vanno ad accennare a una griglia irregolare. Questa impostazione ricorda molto da vicino quella adottata da Klee nel suo testo Teoria della forma e della figurazione, dove tratta della suddivisione ritmica delle parole193 (fig.63). Non si può escludere che Novelli, tra le molte suggestioni che ebbe da tanti testi, possa avere adottato la stessa impostazione grafica anche se per fini diversi da quelli del pittore svizzero. In alto u / s / a / r / e diventa e / r / a / s / u per poi trasformarsi in esrase e poi ursasru da cui parte una lunga sequenza che sembra un gioco di composizione di monemi alla ricerca di parole che possano avere un senso. ‘Usare / erasu’ è un palindromo o sotadico - inventato da Sotade sotto Tolomeo Filadelfo - senza senso, in quanto la parola (può essere) letta all’indietro (come dovrebbe essere ma) perde significato. Giovanni Caramuel de Lobkowitz nel suo Metametrica194 si rifà all’immagine del labirinto quando si trova davanti a giochi linguistici difficili da definire. Per i palindromi di questo tipo dice che «se non fosse oscuro ed esposto alle deviazioni, non sarebbe un labirinto; perciò hai bisogno di un filo, a meno che tu non ti sia proposto di andare errando per non tornare mai alla luce».195 Le successive esrase / ursasru è un ulteriore gioco di ricombinazione tra i vocaboli. Frammentazione e aggiunta di altri fonemi chiudono la sequenza. Nel collage senza titolo del '62 (fig.64), oltre a sequenze di numeri e lettere che si trovano 193 194 195 Paul Klee, Teoria della forma e della figurazione, Feltrinelli, Milano 1959, p.267. Giovanni Caramuel de Lobkowitz, Primus calamus, ob oculos ponens/ metametricam …, Romae, Fabius Falconius, 1668. Bartezzaghi 2007b, cit. 99 su un lato, in un riquadro sulla sinistra leggiamo parole invertite di senso di lettura e grafica: ovit al (elle al contrario); assor asor (= rosa rossa, lettere scritte al contrario); ojor (= rojo, lettere scritte al contrario); la otses (= al sesto, lettere scritte al contrario); icid im (= mi dici, lettere scritte al contrario); efisis (= sisife, lettere scritte al contrario);atineles (=selenita, lettere scritte al contrario). Quest'ultimo termine “selenita” ci riporta agli alfabeti inventati (cfr.§ 1.3.1). Tra i libri appartenuti all’artista (Arch. Nov.) ce n’è uno con un titolo significativo, L’apprentissage du langage del linguista belga e studioso di fonetica Antoine Grégoire (1871-1955).196 Il volume non è stato aperto (le pagine sono ancora incollate), ma evidentemente il titolo è stato adottato per l’opera omonima del 1964. Il tema dell’apprendimento del linguaggio da parte dei bambini, sia dal punto di vista grafico che fonetico, poteva interessarlo - com’è dimostrato anche dalle sue opere sugli alfabetari - anche in relazione alla sua ricerca sull’origine delle lingue. Nel foglio che ha per titolo lo stesso del saggio francese (fig.65) è ancora una volta presente l’idea della combinatoria di particelle linguistiche, ma in questo caso sembrano esercizi fonetici vicini effettivamente alla lallazione infantile. Il disegno si apre con un arco che rimanda alle forme curve di altre montagne, tema molto frequente nell’opera di Novelli in questi anni. Mentre le vocali svolazzano sotto la grande curva assieme ad altre forme astratte, ventinove consonanti sono messe in fila. In corrispondenza di alcune di esse troviamo scritta una serie di balbettamenti mono e bisillabici dalla quale vengono estratte: bibba da mene pupù pus tu dadà lilli pop, una sequenza di parole collegate da freccette. Il risultato della ricombinazione è ancora una volta molto vicino ai pronunciamenti 196 Antoine Grégoire, L’apprentissage du langage, II. La troisiéme année et les années suivantes, Faculté de Philosophie et lettres Liege, Librairire E.Droz, Paris, 1947. 100 glossolalici (cfr.§1.3.2). La creazione di nonsense, nei giochi linguistici e nelle composizioni di Novelli, è spesso da considerare come una delle finalità non lontana da altre sperimentazioni come quella di Carrega con i suoi ‘Poemi astratti’ del 1958 (fig.66). Queste composizioni sono «poesie fatte di parole inventate per una sonorità al di là del significato»,197 che mantengono comunque memoria della lingua di partenza. A differenza di questo tipo di pratica, Novelli arriva alle sue frasi senza senso attraverso il lavoro di scomposizione e ricomposizione che invece si avvicina moltissimo a un’altra serie di lavori di Carrega, i ‘Babeismi’ (cfr.§1.3.10). Come noto, una particolare forma di anagramma, l’ipogramma, è stato studiato anche se in forma di appunti da Ferdinand de Saussure.198 Secondo l’intuizione del linguista ginevrino, i poeti e i letterati hanno fatto uso fin dall’antichità di questa forma di gioco linguistico che mette in relazione, seguendo una logica specifica della quale è difficile stabilire una regola, fonemi e monemi all’interno di sintagmi più o meno complessi. Nonostante i numerosi studi successivi sul tema affrontato da varie prospettive da grandi studiosi della lingua come Jakobson, Baudrillard, Agosti e molti altri,199 è sempre rimasto il sospetto che «l’anagramma o l’ipogramma sia la vocazione della combinatoria linguistica dei fonemi». Nel saggio di Caterina Marrone viene accettata come un’ipotesi di grande interesse quella messa a punto dallo studioso della mente Giampaolo Sasso che ipotizza200 - partendo dall’esuberante presenza di anagrammi nei testi poetici e il loro studio attraverso l’uso di particolari software - «un’intenzionalità inconscia» nell’uso di segni instabili. Questa analisi potrebbe risultare particolarmente interessante se applicata anche ad altri giochi 197 198 199 200 Carrega 1985, cit., p.10. Jean Starobinski, Le mots sous les mots. Les anagrammes de Ferdinand de Saussure, Gallimard, Paris 1971. Negli appunti sono stati trovati studi su: versi saturni, Omero, Virgilio, Seneca, Orazio, Ovidio, altri autori latini, carmina epigraphica, Poliziano, traduzioni da Thomas Johnson, Rosati, Pascoli. Caterina Marrone, Il libro della parole o gli ipogrammi saussuriani, in I segni dell’inganno. Semiotica della crittografia, Stampa Alternativa & Graffiti, Viterbo 2010, pp.165 e segg. Giampaolo Sasso, La mente intralinguistica. L’instabilità del segno: anagrammi e parole dentro le parole, Marietti, Genova 1993. 101 linguistici a cui l’autore fa cenno introducendo il suo studio. Nel saggio viene infatti trattata solo di sfuggita l’area “ludica” che comprende l’uso di sciarade, rebus, crittografie mnemoniche e altro, ma, come ci avverte la Marrone, quello di Sasso è uno studio ancora aperto, orientato a scoprire diverse modalità di approccio al tema. Alla ricerca di regole sottese alla pratica dell’anagramma - dopo il frustrante silenzio di Pascoli che non rispose a una domanda di de Saussure in merito a un ipotetico «sapere occulto tramandato da poeta a poeta attraverso i secoli» - Sasso approda dunque a formulare la possibilità che esista un luogo nella nostra mente dove si possa dare spazio a sottili giochi verbali. Sasso analizza i cosiddetti fenomeni “intralinguistici”, chiamati così perché derivano da «un uso del segno linguistico più complesso di quello consueto nel campo grammaticale e sintattico» fenomeni che si esprimono come «ricombinazioni o riorganizzazioni delle lettere della parola». I segni intralinguistici sono quelli che si annidano tra i criteri di stabilità del rapporto tra significato e significante creando “organizzazioni più fluide”. L’autore si sofferma dunque a analizzare ‘parole dentro le parole’ e gli anagrammi nella loro forma tradizionale (e non dunque gli ipogrammi e paragrammi di de Saussure) aprendo però di fatto alla possibilità di studiare altri fenomeni che riguardano «l’uso intenzionale, da parte della mente intralinguistica, della particolare instabilità del significante dovuta ad una intrinseca difficoltà nei processi di segmentazione degli enunciati linguistici».201 Ai fini di questo studio, appare interessante la possibilità di studiare tutta la complessa potenzialità delle varie forme di giochi verbali nelle varie accezioni del campo della scrittura, anche dal punto di vista dei riscontri scientifici che tali giochi hanno sulla nostra mente e che mettono in luce quanto l’instabilità del segno possa aprire margini di libertà espressiva che confina da un lato con il mondo onirico e dall’altro con la patologia. 201 Sasso 1993, cit., pp.7-13. 102 Nelle opere di Novelli e degli artisti che hanno fatto uso dei giochi linguistici si può riscontrare una tendenza all’esplorazione di zone della propria mente, anche ad esempio con l’uso di sostanze stupefacenti così come aveva fatto Artaud (e altri surrealisti) con il peyote e la mescalina. Rimangono in ogni caso interessanti le parole di Baratta a proposito dei giochi verbali di Novelli: «i palindromi, le particolari anfiglossie, le isopsefie che frequentemente si rinvengono nelle sue opere, nei fogli sparsi, nei disegni che accompagnano la terza stesura del Viaggio in Grecia, assumono il senso di strumenti propedeutici, di pratiche che ci iniziano al percorso e quindi alla ricognizione di una fotografia dell'immaginario, di una utopia nella cui realizzazione linguistica è ancora come sospesa, e pochizzata l'intenzione cronografica: conseguenza questa di una sfiducia di Novelli nella storia e insieme di una condizione essenziale in cui viene a trovarsi chi linguisticamente progetta l'immaginario». 202 202 Gino Baratta, Segni per il futuro, in Gastone Novelli, catalogo della mostra alla Galleria Civica di Arte Moderna di Torino, 24.2-25.4.1972, p.27. 103 1.3.6 Corrispondenza lettere/ numeri/ figura umana Corpo e fisicità sono sempre sottesi all'opera di Novelli, presenti già nelle sue sperimentazioni informali e materiche degli anni Cinquanta. Negli scritti di quegli anni l'artista prova a analizzare il rapporto che automaticamente si instaura tra approccio intellettivo e gestuale che dà 'corpo' all'opera. «La creazione di un'opera plastica valida ha le sue origini nell'impulso che spinge ad agire e finisce con l'atto fisico dell'esecuzione. Investe quindi l'individuo intero, dalla capacità intuitiva del suo subcosciente, alla conoscenza intellettuale ed alla preparazione fisica stessa dei suoi gesti». Queste capacità devono essere proprie dell'artista che «non è uomo differente dagli altri, incomprensibile e sospetto. Un pittore è solamente un intermediario, un individuo che attinge qualche cosa dalla verità più nascosta, più valida, al di fuori di se stesso e nel più intimo del proprio io, e ne fissa l'essere e il divenire in una immagine che è da guardare».203 La critica ha affrontato l’argomento analizzando giustamente la relazione che intercorre tra modalità esecutive e la fisicità dell'artista, «per un verso, la questione viene posta come se si trattasse di ricondurre dentro il proprio corpo il processo della vita e dell'essere. (…) Per un altro verso, però, il processo risulta spostato ad un altro corpo, ad una sua somiglianza: il territorio della tela, il sistema della pittura»,204 in un'ottica filosofica di relazione tra macrocosmo e microcosmo. Nella complessa e stratificata opera di Novelli, anche il tema del corpo assume valenze diverse. Una di queste è certamente quella erotica. Nella sua biblioteca (Arch. Mich.) è conservata una copia del 'romanzo' erotico del 1960 di Isidore Isou, Initiation à la haute 203 204 Gastone Novelli, La creazione di un'opera plastica, in Gastone Novelli, pieghevole della mostra alla Galleria La Salita, Roma 15-26.4.1957, ora in “Grammatica” 1976, cit., p.26. Francesco Bartoli, Il vuoto e lo sguardo, in Birolli 1976, p.40. Per lo stesso argomento cfr. anche Flaminio Gualdoni, Le tue parole inciampano nelle mie estasi. Gastone Novelli, opere su carta, Mazzotta, Milano 1983, p.11-12. 104 volupté, rénouvellement de l'érotisme. Revolution de l'art de roman.205 Soprattutto alcune immagini di questo particolare testo del fondatore del Lettrismo, hanno molti riscontri in opere di Novelli in cui sono rappresentate donne in pose erotiche, a iniziare dai disegni eseguiti per l'Histoire de l'oeil di Bataille (gennaio 1962). Molti sono i riferimenti all'erotismo nei suoi scritti, come si può leggere ad esempio nei fogli dattiloscritti per Viaggio in Grecia. Nei primi anni Sessanta, le sue opere iniziano a essere costellate di immagini frammentate del corpo femminile, con significato più sfumato anche se sempre orientato: seni stilizzati, fianchi, sessi, diventano altri segni da aggiungere al suo repertorio che si va arricchendo di sempre nuovi materiali iconografici. La frequente rappresentazione di seni - anche se appena accennati - è un simbolo erotico tra i più comuni e ricorda quello, per altro citato palesemente più volte da Novelli in alcune sue opere, utilizzato da Duchamp per la copertina del catalogo della mostra Le Surrealisme en 1947, che ne presentava uno in gommapiuma colorata di rosa con priére de toucher. Ma quando in alcune opere compaiono parti anatomiche messe in rapporto con lettere dell'alfabeto e/o numeri, si intuisce che i riferimenti vadano cercati altrove. In uno dei saggi di Villa sui numeri,206vi sono interessanti riferimenti alla strettissima relazione tra l'avvento della numerazione e il corpo umano per le popolazioni primitive. Ancora per alcune tribù sparse per il mondo, infatti, alle varie parti anatomiche - dita, orecchi, seni, ombelichi e altro - corrispondono, in relazione magica, determinati numeri. Mentre nel saggio di Lévi-Strauss, letto e citato più volte da Novelli, ci sono riferimenti a una «numerologia mistica» in relazione sia sul piano cosmologico sia su quello sociale. In 205 206 Isidore Isou, Initiation à la haute volupte, renouvellement de l'érotisme. Revolution de l'art de roman, autore-editore Isidore Isou, Paris 1960. Oltre che immagini erotiche il libro contiene alfabeti e abbecedari inventati, materiale di sicuro interesse per Novelli. Villa 1954, cit., pp.80-81. Nel saggio sono citati alcuni idiomi: la lingua delle isole Murray (Melanesia), la lingua Ono della Patagonia e una delle lingue caraibiche, il Tamanaco, che indicano con precisione i particolari anatomici da mettere in relazione con i numeri. 105 questa complessa numerologia, invece che parti umane vengono coinvolte parti di animali che hanno un valore simbolico fondamentale nei sistemi di classificazione primitivi.207 In Alfabetario 6 del 1962 (fig.67), un'altra importante opera su carta della serie già incontrata, sono tracciati a pastello molti segni che possono essere messi in relazione con figure stilizzate di seni. A prima vista è chiaro l'intento da parte di Novelli di voler creare una serie di analogie tra parti anatomiche, lettere, numeri e colori. Sulla sinistra del foglio l'alfabeto latino è, per ogni lettera, messo in relazione con diverse tracce colorate. La parte centrale è occupata da molte linee sinuose, i seni, riconoscibili anche attraverso il confronto che si può fare con altre opere. A ogni sinuosità corrisponde, più o meno, una lettera. In basso è messo in evidenza l'aspetto linguistico del gioco di analogie. Vicino alle parole situazioni vocali l'artista riscrive tutte le vocali presenti nella parte superiore del foglio, inserite tra linee verticali. Questa struttura ricorda molto da vicino il modo con cui Klee affronta il secondo esempio di ritmo utilizzato nelle sue lezioni (cfr.§1.3.5) che, secondo l'artista, possiamo afferrare «con tre sensi: in primo luogo, udirlo; secondo: vederlo; terzo, sentirlo nei nostri muscoli. È per questo che il suo effetto sul nostro organismo è tanto potente».208 La parola Papileo viene suddivisa da Klee da linee verticali secondo una accentuazione qualitativa che la frammenta seguendo la sillabazione (fig.63). Nello stesso modo Novelli in Alfabetario 6 organizza, seguendo un (personale) ritmo, le vocali che poi coniuga con alcune consonanti. Questa operazione è riassunta dal sintagma scelta consonanti, che lo porta a selezionare BI e FI a cui aggiunge una L per ottenere ancora una volta la parola FIELE, già presente in altre opere. In questo disegno Novelli offre una sintesi del suo lavoro analogico tra segni (numeri, lettere, colori) e il corpo, rappresentato per frammenti, viene acquisito tra questi. 207 208 Lévi-Strauss 2010 [2003], cit. Si fa qui riferimento al capitolo V, Categorie, elementi, specie, numeri, pp.151-175. Klee 1976 [1959], cit., p.267. 106 Con Operazione analitica del 1963 (fig.68), l'artista crea una vera e propria personale catalogazione di parti anatomiche del corpo femminile a cui assegna un numero: 1 alla testa; 2 al collo; 3 al seno; 4 alla pancia; 5 al pube; 6 alla coscia (di “madre” e “figlia”). Dopo aver incolonnato tutte le sei definizioni, conta tutte le vocali e le consonanti presenti: T 3E C 2O S N 2P U C A 2S T 3A N L 2O E N I G 2C E B S da cui: 4A 1B. 3E 5C.. 1I. 2L 4O. 3N 1U. 2P 4S. 2T Toglie quindi l'equivalente numerico di buio sacca, e ottiene: 3E. 2A 3O. 2L 3C. 2P 3N. 2T 3S fig.68. Operazione analitica (particolare). Poi toglie l'equivalente numerico di con se, e ottiene: 2E 2O 2C 2N 2S. In questo disegno Novelli sembra aver portato alle estreme conseguenze il gioco di frammentazione linguistica associata a lettere dell'alfabeto e numeri, utilizzando l'operazione matematica della sottrazione per continuare la sua opera combinatoria. Il riferimento al corpo femminile è qui probabilmente da mettere in relazione con il saggio di Lévi-Strauss, ma anche i riferimenti alla Cabala non possono essere esclusi. Il gioco di 107 relazione tra quantità di lettere presenti nelle definizioni di parti del corpo, sembra un riferimento irriverente alla gimatreya. Anche se difficile perché l'originale è stato tradotto in inglese solo nel 1985, non si può escludere che Novelli avesse avuto notizia da Villa di un testo mistico - probabilmente del VII-VIII secolo d.C. - La misura della statua. Questo è un percorso iniziatico attraverso l'immedesimazione con il corpo divino che «veniva ottenuto mediante il concorso di due ingredienti simbolici: in primo luogo attraverso il crescendo dei numeri smisurati, che definiscono la dimensione delle diverse membra, e in secondo luogo per mezzo dell'elencazione dei nomi propri di ciascuna di queste membra».209 La concezione magica del nome si afferma attraverso la ripetizione delle membra divine e il credente si impossessa così di tutto il suo potere. Lontano da credenze magiche ma in stretta relazione con la mistica ebraica a partire dal Rinascimento, nei trattati medievali di arte della memoria si fa riferimento al corpo. Per alcuni autori, tra cui anche Tommaso d'Aquino - la cui fama di “professore di memoria” arriva attraverso trattati cinque-seicenteschi fino al XIX secolo -, è espressa la necessità di adottare simboli corporei.210 Difficile dire per quali vie, visto che anche il testo della Yates fu pubblicato in inglese solo nel '66 (Manganelli lo aveva nella sua biblioteca), ma sapendo quanto l'interesse di Novelli per argomenti legati alla scrittura e all'esoterismo fosse forte, è suggestiva l'idea che avesse notizia anche delle ricerche sull'argomento fatte negli anni Cinquanta dagli storici del Warburg Institute di Londra e che precedono quello della grande studiosa. In testi antichi che trattano argomenti diversi compaiono tavole che illustrano, a vario titolo, studi comparativi tra corpo umano e numeri. Nel caso della tavola che illustra lo 209 210 Busi, Loewenthal 2006 [1995], cit., p.75. Yates 1972, cit., p.77. 108 Sciathericon Medicinae Coelestis (fig.69) dell'Ars Magna Lucis et Umbrae di Kircher,211 il corpo umano è rappresentato in una delle tavole di gnomonica fisico-astrologica elaborate dall'eclettico studioso seicentesco nel suo trattato di ottica. L'orologio solare orizzontale è, come gli altri presenti nel capitolo IV, «una sintesi globale tra Gnomonica, Geometria, Astronomia, Astrologia e Astroiatria mai tentata, ma neppure pensata»212 da altri studiosi prima di lui. Nell'ipotesi che Novelli possa essere entrato in contatto con il testo scientifico, l'aspetto che può averlo interessato di questa tavola è nella visualizzazione della relazione tra corpo umano, lettere e segni zodiacali, studiati da Jung e da Ernst Bernhard (v.oltre). Nel numero di “Bizarre” dedicato al Lettrismo e ai suoi precursori, Littérature illettrée ou La littérature à la lettre213 vengono riportate immagini tratte dal testo di Geoffroy Tory sulla proporzione delle lettere.214 All'umanista francese viene dedicato ampio spazio all'inizio della pubblicazione, definito «fondatore del nostro alfabeto tipografico»,215 colui il quale ha imposto i caratteri romani, accenti e apostrofi a cui attribuì virtù divine. Secondo le sue convinzioni filosofiche e religiose, egli studiò le proporzioni delle lettere secondo quelle del corpo e del volto dell'uomo come immagine di Dio. Partendo dalla convinzione che tutte le lettere nascono dalla I, arrivò attraverso una lunga analisi a sintetizzare i suoi studi attraverso due figure l'Homme-Lettré (fig.70) e l'HommeScientifique. L'autore del saggio sui precursori del lettrismo utilizza quindi il testo del XVI secolo per provare quanto importanti siano stati gli studi sull'alfabeto nel corso del tempo e nelle diverse culture. 211 212 213 214 215 Athanasius Kircher, Ars Magna lucis et umbrae, in decem libros digesta, Ludovici Grignani, Romae 1646, p.46. www.nicolaseverino.it “Bizarre” n.32-33, Parigi 1964, pp.4-5. Novelli conservava nella sua biblioteca, (Arch. Mich.), i numeri n.4 aprile '56, n. 8 giugno '57, n. 11-12 maggio '59, n.16 settembre-ottobre '60, 27 1° trimestre '63 della rivista. Geoffroy Tory, Champ FleuryChamp fleury. Auquel est contenu lart & science de la deue & vraye proportion des lettres attiques, quon dit autrement lettres antiques, & vulgairement lettres romaines proportionnees selon le corps & visage humain, Giles Gourmont, Paris 1529. Noël Arnaud, Vers une litterature illettree in “Littérature Illettrée” 1964, cit., p.3. 109 Possiamo immaginare che anche a Novelli e agli altri artisti che si avvicinarono al tema del linguaggio, possa aver interessato il sistema di accordi con il corpo umano così come veniva coniugato nel Rinascimento. Lontani da qualsiasi idea di ricerca della perfezione, rimaneva, per lui e per gli altri, l'attrazione per le mitiche e arcane connessioni tra microcosmo e macrocosmo attraverso la figura umana che aveva ogni sua parte in relazione anche con muse, arti e virtù secondo un sincretismo di origine neoplatonica. A fronte di quest'ultima ipotesi, è invece certo che Novelli rimase colpito dalle immagini di 'scorticati' presi da un trattato di anatomia del XVII secolo. Il testo è il Corporis Humani Anatomiae di Filippo Verheyen216 che l'artista cita in due dipinti del 1963, il primo ha un titolo leggermente modificato (Corpus invece di Corporis), il secondo, Supplementum anatomicum, (fig.71) cita il II libro del trattato. 217 I due quadri, ambedue su fondo bianco lattiginoso, riportano con un complesso lavoro di montaggio, frammenti di figure estratte dalle tavole del libro di anatomia. I due disegni senza titolo dello stesso anno (fig.71a,71b) sono citazioni, non precise, di tre tavole del libro che non è tra quelli della sua biblioteca ma che l'artista potrebbe aver consultato anche in Francia perché presente in più copie presso la Bibliotèque Nationale di Parigi. Il primo disegno riporta nello stesso spazio le figure delle tavole III (fig.72a) e IV (fig.72b) a cui aggiunge anche dei puntini colorati di rosso. Il secondo è una copia, appena accennata, dell'immagine femminile incisa nella tavola XVIII (fig.72c). Nei due disegni, e nei dipinti, sono particolarmente evidenziate le lettere che denotano le varie parti del corpo, a sottolineare quanto importante fosse per l'artista la loro presenza 216 Philippo Verheyen, Corporis humani anatomiae, in qua omnia tam veterum, quam recentiorum anatomicorum inventa. Methodo nova & intellectu facillima describuntur, ac tabulis æneis repræsentantur. Ægidium Denique, Lovanii 1693. Copia consultata edita da Carteron, Lugduni 1712. 217 Philippo Verheyen, Supplementum anatomicum sive Anatomiae corporis humani liber secundus, in quo partium solidarum libro primo descriptarum usus & munia explicantur. Accedit descriptio anatomica partium foetui et recenter nato propriarum. Item Controversia de foramine ovali inter authorem, & D. Mery. Authore Philippo Verheyen ... opus variis figuris illustratum. Carteron, Lugduni 1712. 110 rispetto al tema delle tavole a cui fa riferimento. Al di là dunque di qualsiasi significato simbolico specifico, come può essere stato visto ad esempio nell'ambito della psicoanalisi freudiana, Novelli gioca ancora una volta con immagini verbovisive prelevate per frammenti da testi antichi e da lui assunte come materiale da utilizzare per nuove creazioni. 111 1.3.7 Diario e dichiarazioni di poetica Per un artista amante degli anacronismi e che non credeva nella storia come Novelli era forse difficile concepire l'idea di tenere un diario scritto premurosamente ogni giorno, come invece fece ad esempio Klee, anche se per un periodo limitato della sua vita.218 Ma tutta la sua opera, soprattutto quella degli anni Sessanta, può essere considerata come un lungo e articolato diario. Una forma di diario sono i suoi scritti e i suoi appunti, un diario di viaggio è sicuramente quello tenuto durante i suoi attraversamenti della Grecia e poi rielaborato per farne un'edizione a stampa. Tra dipinti, disegni, scritti sono frequenti le dichiarazioni di poetica, come accade nei diari di artista.219 Le parole scritte sui suoi quadri o nelle opere su carta sono spesso una forma di annotazione veloce, a volte più dettagliata, che testimonia di fatti anche marginali delle sue giornate o riflessioni profonde sull'arte, la società, la cultura e molto altro. Già Crispolti nel '58 notò la “componente diaristica” della sua opera. Anni dopo, Maurizio Fagiolo analizzò questa particolare attitudine: «Novelli è un grafico, ha bisogno di lasciar correre la mano su un campo bianco (il foglio da disegno): la costruzione viene soltanto dopo. È quasi una registrazione completa dei dati sensoriali, senza sospetti di automatismo (di tipo surrealista), quasi un diario giorno per giorno delle proprie idee o anche dell'assenza di idee. 'Diario' significa prima di tutto adesione alla realtà, mentre i surrealisti, almeno quelli veri la rifiutavano. Una forma di diario che potrebbe anche essere un ermetico 'manoscritto nella bottiglia', un messaggio destinato a giorni futuri. La sua iconografia varia è come agitata da una brezza sottile, un diario scritto sul muro (come sembra proporre un suo libro del '58) o meglio il muro bianco-calce si sovrappone allo 218 219 Paul Klee 1976 [1960], cit. Antonella Sbrilli, Diari di artista, Università Sapienza di Roma, Facoltà di Lettere e Filosofia, ciclo di lezioni, secondo semestre, A.A. 2010-2011. 112 scritto per cercare di annullarlo; un diario scritto sulla sabbia; un diario scritto sull'acqua che subito si richiude. “Un lungo diario per fortuna non esclusivamente mio perché non ha una misura stabile. Un 'diario elastico' lo vorrei chiamare, un filo a piombo senza però il piombo in fondo”».220 Quest'ultima frase è presa da PPQ, lo scritto già citato in cui Novelli riprende alcuni passi letti da Duchamp. Cosa intendesse l'artista dicendo che non è 'esclusivamente mio' lo spiega ancora Fagiolo in una presentazione dello stesso anno: «Novelli: il tempo del diario. Non intimismo ma rapporto con la vita (quella che pulsa nei titoli dei quotidiani): un diario di lavoro che fissa le mille piccole scoperte linguistiche, la rivelazione del sesso, il gioco del giocare».221 Il rapporto, dunque, con la vita, con il mondo, che per Novelli è costituito da tanti aspetti che diventeranno negli anni sempre più di carattere sociale e politico, intrecciato comunque sempre all'aspetto privato. Nel suo diario, Klee annota che «un diario non è, appunto, un'opera d'arte, ma un'opera del tempo» (170). L'artista svizzero scrive il suo diario in età giovanile, nel pieno del suo periodo di formazione e quindi prima della fase teorica e artisticamente matura. Come sottolinea Argan nella sua prefazione, «al diario, dunque, è affidata la giustificazione del carattere segretamente autobiografico della pittura e del disegno»,222 aspetto questo che ritroviamo in tutta la produzione successiva alla stesura del diario. Novelli invece ha sempre affidato ai suoi lavori artistici il compito di registrare, senza seguire almeno in apparenza un metodo preciso, i percorsi autobiografici e artistici. Se nel periodo informale della fine anni Cinquanta questo compito era affidato al gesto e ai materiali che andava sperimentando, successivamente fu la parola a diventare veicolo privilegiato per la sua creatività. La maggior parte delle sue opere diventano pagine su cui 220 221 222 Fagiolo 1966a, cit., p.119. Novelli Perilli Scialoja Twombly, catalogo mostra alla Galleria Dè Foscherari a cura di Maurizio Calvesi e Maurizio Fagiolo, 2-22 aprile, Bologna 1966. Giulio Carlo Argan, Prefazione a Klee 1976 [1960], cit., p. X. 113 scrivere. Oltre ai giochi linguistici che si possono incontrare, a volte compaiono dichiarazioni compiute e scritte con precisione per essere lette, altre volte frammentate e da ricomporre. L'inquietudine che Novelli iniziò a manifestare dal '57 con la separazione dalla moglie, il tentativo di suicidio223 e una vita piuttosto disordinata, culminò nell'agosto '59 con il ricovero in clinica. In questa occasione scrisse della sua esperienza e degli effetti che la cura del sonno ebbe rispetto alla sua percezione,224 e che può essere considerata una particolare pagina di diario. È un testo interessante sia perché è una registrazione dal vivo e senza filtri di un'esperienza intensa e dolorosa sia perché sembra un punto di svolta nel rapporto di Novelli con scrittura: molto vicino a uno stream of consciousness ma con una forte aderenza alla realtà dei fatti reali. Come già accennato, poco tempo dopo, Novelli si troverà a fare esperienza di allucinogeni insieme al suo amico René de Solier nella casa di campagna in Francia di questi, approfondendo dunque la conoscenza di stati alterati della percezione. A quella circostanza si potrebbe far risalire il primo dei disegni scelti per questo paragrafo, Mi trovo ad avere un colloquio del 1961 (fig.73), è la registrazione di un incontro con una gallina. A metà tra la descrizione di qualcosa realmente accaduto all'artista e la sua ricostruzione di fantasia, utilizzato come materiale da trascrivere per una delle sue opere dove il carattere ironico e surreale sembra prevalere su tutti. Il foglio, lavorato in orizzontale, ha nella parte inferiore una sorta di linea di orizzonte e un grande semicerchio intorno a uno spazio vuoto, la metà superiore è interamente scritta: mi trovo ad avere un colloquio con una gallina. Non è per niente divertente a parte il fatto che è del tutto incomprensibile. Quella non si muove e guarda fisso e fa dei versi con un 223 224 Giovanola Ripandelli, Album di famiglia, in Catalogo Generale 2011, cit., p. 90. Vedi nota 123 e §1.3.2. 114 evidente desiderio di essere capita. Intendo dire che modula la voce è orribile ma assolutamente vero oltre a tutto non credo che mi fosse mai capitata una cosa del genere, ho provato anche ad entrare in casa e la gallina è arrivata sulla porta con l’intenzione chiarissima di seguirmi costringendomi così a fare un grande salto per impedirle di entrare PER IMPEDIRLE DI ENTRARE se fosse entrata non so proprio cosa poteva succedere. È una grossa gallina BIANCA le altre, quelle colorate, stanno fuori del recinto a guardarla FORSE PER VEDERE SE RIUSCIRA’ A IMPADRONIRSI DI ME. IO SONO IN OGNI MODO DECISO A RESISTERE. Molto diverso è il foglio della serie degli alfabetieri, La voie de la guérison, del '62 (fig.74). Si tratta di un collage di carte diverse scritte fittamente e incollate su un foglio Fabriano. La struttura è quella della scrittura su colonne, molto usata da Novelli in questi anni anche nei dipinti e che ricorda da vicino l'impaginazione dei quotidiani. Anche nell'originale, che ho potuto vedere presso l'Archivio Novelli, alcune parti sono illeggibili come le parole in basso in francese e in latino come signum signi sui generis... signum aenigmatis. Su un rettangolino di carta assorbente sono tracciate anche parole scritte al contrario, e su un frammento di carta a quadretti (sembra una pagina di diario strappata) ci sono parole sottolineate di un altro scritto che sono poi riportate a lato. Alla fine della quarta colonna c'è un reticolato a quadretti con sillabe inserite, annunciato dalle parole dell'artista anche questo secondo metodo sembra del tutto efficace quello delle parole incrociate l'ho già provato (cfr.§1.3.9) e funziona benissimo ne farò un esempio in piccolo: fa fe ha ch li di la le DICI LEDI FEDI HA. Ma l'incipit dell'opera è la parte più interessante: LA VOIE DE LA GUÉRISON. Con la scusa di mandare un oggetto a due amici, mi si offre così finalmente l’occasione di scrivere più di quanto non mi sia concesso fare sui quadri e questa è per me decisamente 115 una grande soddisfazione. Ho sempre pensato che sia necessario sviluppare quella glandola che sicuramente esiste in qualche parte dentro al corpo e che è destinata a servire da TERZO OCCHIO non si può passare tutta la propria vita a guardare e sentire allo stesso modo, qu’en est-il de l’imagination? Est-ce sur que vous m’ indiquez ce que j’ai vecu? Anche per questo è necessario procurarsi un testimonio interno del quale ci si possa in qualche modo/ fidare, appunto un senso supplementare e non visibile, sembrava così facile ed invece sono già profondamente stanco e anche svogliato un mot una parola sola che valga ancora il proprio suono, che non sia consumata da tanti anni di usi sbagliati di sovrastrutture inutili, ma plume aggravant, non mi permette di stabilire la diagnosi in modo preciso è molto più probabile che ci riesca la carta assorbente con cui ho asciugato queste poche pagine il deserto di certo contro... È stato lo scrittore suo amico Bataille a teorizzare l'importanza dell'occhio pineale o terzo occhio o anche ano solare225 che Novelli cita spesso in questi anni. «L'occhio che è posto nel mezzo e in cima al cranio e che, per contemplarlo in una sinistra solitudine, si apre sul sole incandescente, non è un prodotto dell'intelletto, ma bensì un'esistenza immediata: si apre e si acceca come una consumazione o come una febbre che mangia l'essere o più esattamente la testa, e rappresenta così la parte dell'incendio in una casa».226 In un'altra descrizione, spiega il compito della ghiandola: «Ogni uomo possiede alla sommità del cranio una ghiandola conosciuta sotto il nome di occhio pineale che presenta effettivamente i caratteri di un occhio embrionale. Ora le considerazioni sull'esistenza possibile di un occhio di asse verticale (…) permettono di rendere sensibile la portata decisiva dei differenti percorsi ai quali siamo così generalmente abituati che siamo arrivati 225 226 Georges Bataille, L'ano solare, SE, Milano 1998. La prima edizione de L'agnus solare fu pubblicato nel novembre 1931 da Editions de la Galerie Simon con illustrazioni di André Masson, il Dossier de l'œil pinéal in Œuvres complètes, vol.II, Gallimard, Paris 1970. Bataille 1998, ivi, p.38. 116 a negarli qualificandoli come percorsi normali e naturali. Così l'opposizione dell'occhio pineale alla visione reale appare come il solo mezzo per svelare la situazione precaria - per così dire braccata - dell'uomo al centro degli elementi universali».227 La finalità liberatoria della 'riscoperta' del terzo occhio è evidente e per Novelli rappresenta una delle tappe del suo percorso di formazione della sua coscienza creativa. Con Ombra del pensiero del '66 (fig.75), entriamo in un ambito ancora diverso. Nel foglio le parole scritte sono commentate dai piccoli disegni inframmezzati. La notazione di tipo diaristico è in basso e spiega il senso delle altre dichiarazioni: ho sognato di avere un buco nella mano. Il carattere surreale della composizione è evidente fin dall’inizio costituito da domande circa il rapporto tra i nomi e le cose designate: la luna, il pesce, il sole, il sogno. I sogni sono poeticamente fatti derivare dalla luna, vengono da fuori e li mandano dei signori io sogno un signore schiacciato davanti a me sotto la mia finestra si forma nella camera in cielo, vicino o dentro, li fanno i sognati, non si possono toccare sono luci si vedono solo al buio e solo la notte. Fra interrogativi di ordine linguistico e poesia, Novelli annota pensieri, sensazioni, sogni per dare spazio a quell'immaginazione a cui faceva riferimento parlando del terzo occhio. 227 Bataille 1998, cit., pp.56-57. 117 1.3.8 Gioco dell’Oca, gioco dei dadi, disco di Festo È tra il ‘62 e il ‘63 che nei quadri di Novelli iniziano a comparire forme circolari spiraliformi o strutturate in fasce concentriche suddivise in caselle riempite da segni di vario tipo. Anche nei lavori su carta, semplici appunti o opere grafiche compiute, troviamo queste figure. Da vari indizi, i titoli dati alle opere (La ruota della fortuna, Il gioco dell’oca, Phestos) e le memorie dattiloscritte dei suoi viaggi in Grecia, è facile capire l'origine di queste forme. Com’è già stato messo in evidenza da vari studiosi, e come viene analizzato anche nel recente catalogo generale,228 queste forme circolari assolvono a molteplici funzioni che vanno dal riferimento alla 'ruota della fortuna', al 'gioco dell'Oca' e ancora al 'disco di Festo' e ai 'mandala' a cui si possono aggiungere antiche forme di oroscopo e una particolare icona bizantina. Anche se è difficile affermare con certezza dire quale di tutte le figure citate sopra Novelli abbia preso in considerazione per prima, è probabile che, quando vide per la prima volta nel museo archeologico di Heraklion (Creta) il disco di Festo avesse già accolto nel suo repertorio di immagini e suggestioni le altre forme citate. Dalle pagine dattiloscritte del suo Viaggio in Grecia, si evince che il pittore arrivò a Creta nel corso del suo terzo viaggio nel Mare Egeo nell’aprile del 1963, raggiungendo da lì anche l'isola di Rodi. L'ipotesi è confermata dal fatto che in uno dei block notes con gli appunti presi durante i suoi viaggi in Grecia (Arch. Mich.), viene riportata la data 11.4.63 relativa al suo arrivo a Creta. È un fatto comunque che sia rimasto molto colpito da quell'oggetto così arcaico e misterioso avendolo descritto nel diario e appuntato degli schizzi. Da allora e per un numero abbastanza consistente di opere lo ha fatto contaminare 228 Rinaldi 2011, cit., p. 57-58. 118 dalle altre forme simili e ugualmente cariche di storia, di fato e di gioco e come per il mandala, di riferimenti a culture e spiritualità lontane. L'unico dipinto dove riporta su un lato il disco cretese in versione intera e particolareggiata è Il grande linguaggio (fig.76) eseguito lo stesso anno del viaggio. La fascia in cui è contenuto il disco presenta frammenti di immagini e le tre parole catalogo, la testimonianza (in relazione al disco), gli abitanti: sembra la prova dell’acquisizione ‘ufficiale’ del reperto cretese tra i materiali del suo lavoro. La parola ‘abitanti’ conferma invece l’attenzione - dichiarata in più punti del suo diario - circa le persone e i luoghi geografici visitati tanto che la maggior parte del dipinto è occupata da una sorta di mappa astratta densa di segni e riferimenti. I due disegni con Disco di Phestos faccia “A” (fig.77) e Disco di Phestos faccia “B” con i soli principali simboli (fig.78) sono da datare dunque al '63 (e non al '62-'63) anno del viaggio a Creta. I due fogli sono collocati nella pagina che segue un’indicazione di un sistema per visitare un museo (quello di Heraklion). L'artista presenta i due disegni scrivendo che «Il disco di Phestos è in terracotta, una specie di gioco dell'oca che comprende tutta la storia dell'uomo, il suo oroscopo e le sue gesta».229 Con queste parole Novelli semplifica molto la complessità del disco che ancora non ha avuto una precisa decifrazione nonostante i numerosi tentativi. Diringer nel suo importante saggio sulla storia dell'alfabeto230 parla del disco dopo aver trattato delle scritture sillabiche, la lineare A e B, indigene dell'isola, mettendolo in parte in collegamento ma sostenendo che non era possibile decifrarlo. Il reperto in terracotta fu scoperto dalla missione italiana diretta da Luigi Pernier nel 1908 e appartiene al periodo finale del medio minoico, sec.XVII. La 229 230 Gastone Novelli, Histoire de l'oeil, Il viaggio in Grecia, Hilarotragoedia, Baldini & Castoldi, Milano 1999, p.82 (p.66 del dattiloscritto). David Diringer, L'alfabeto nella storia della civiltà, Giunti, Firenze 1969 (1a ed. S.A.G. Barbera, Firenze 1937. 119 conservazione è perfetta, il diametro leggermente irregolare (158-165 mm.) Le due facce sono coperte di linee graffite di due specie. Su ambedue le superfici fu tracciata una linea irregolare a spirale partente dal centro; da un giro all’altro della spirale sono tracciate linee allo scopo di separare i diversi gruppi di segni. La direzione della scrittura è destrograda (dall’esterno verso l’interno). I segni sono puramente pittografici, in tutto 241, di cui 123 (31 gruppi) su una faccia, e 118 (30 gruppi) sull’altra, solo un segno è scomparso. Pernier ha riconosciuto 45 tipi diversi che raggruppa nelle seguenti classi: 1. figura umana e sue parti; 2. animali e parti di essi; 3. vegetali e loro derivati; 4.espressioni topografiche e marine; 5. costruzioni e suppellettili; 6. armi, strumenti, utensili; 7. simboli incerti. Nessuna interpretazione è certa e la decifrazione enigmatica anche perché è difficile stabilire se sia appartenente alla civiltà minoica o no. Per alcuni si tratta di un testo religioso, per altri è un calendario, o un trattato commerciale o politico, oppure un inno di vittoria, una lettera privata o altro. Le scritture su elementi circolari, anche vasi sono condivise da altre civiltà come quella etrusca e quella ebraica, mentre gli aztechi hanno prodotto anche calendari con lo stesso andamento. Lontano da preoccupazioni circa la decifrazione, Novelli vede nel disco sicuramente un altro di quegli esempi di «frammenti e scorie di forme e di segni da introdurre nel proprio alfabeto», da accogliere anche senza conoscerne il significato, anzi proprio per questo, perché - aggiunge - «dei segni e delle scorie di forme di cui, per fortuna, non si può avere cognizione scientifica, ma sotto di esse sarà un giorno deciso il destino e la comunicazione di un universo».231 L'artista torna sul tema nel '64 con un disegno su carta di grandi dimensioni (fig.79) dove sembra anche fondere la forma del disco di Phesto con altre che nel frattempo aveva iniziato ad assumere, come quella derivata dall'impresa quattrocentesca e trasformata in 231 Novelli 1999, cit., p.78 (p.62 del dattiloscritto). 120 immagine-rebus, ripresa dal testo del Tabourot (cfr.§1.3.12). Per l'edizione ridotta e definitiva del suo Viaggio in Grecia del '66, fa una versione del disco con tecniche calcografiche (fig.80). La forma a spirale del disco di Festo è da associare a quella del labirinto. E, come noto, l'isola di Creta è anche il luogo del labirinto più famoso dell'antichità. Novelli, come possiamo leggere nelle memorie dattiloscritte dei suoi viaggi in Grecia, rimase colpito dalla storia di Teseo alle prese con il Minotauro prigioniero nei sotterranei del palazzo di Cnosso.232 Gli dei e gli eroi della Grecia, il famoso testo di Kerényi tradotto in italiano, faceva parte della sua biblioteca.233 Il libro è stato sicuramente molto studiato dall’artista che lo ha chiosato e sottolineato in più punti, oltre ad aver appuntato nell’occhiello le pagine secondo lui più importanti.234 È molto probabile che nel suo viaggio a Creta lo avesse con sé assieme alla guida Hachette del '62.235 Affascinato dunque dalla figura del labirinto, deve essere rimasto colpito dalla descrizione di quello cretese fatta da Kerényi quando parla della mitica vicenda a cui è legato. «Il labirinto non era un meandro di strade, nel senso che chi entrava non poteva trovare la parte più interna, ma nel ritorno doveva saper riprendere la stessa strada usata nell'entrare e ciò era difficile. Quando più tardi l'ateniese Dedalo, il costruttore stesso, vi fu rinchiuso col figlio Icaro, poté sfuggire soltanto costruendo delle ali di penne e cera e così inventò l'arte del volo.(...) Nella parte più interna del labirinto dormiva il Minotauro».236 Ma, al di là delle ricostruzioni del mito, il simbolismo di questa forma arcaica e comune a molte civiltà 232 233 234 235 236 Novelli 1999, cit., p.75 (p.59 del dattiloscritto). Kàroly Kérenyi, Gli dei e gli eroi della Grecia, Il Saggiatore, Milano 1963. (Arch.Mich.) Nel 1962 Novelli intitola un dipinto Gli dei e gli eroi. Si può pertanto ipotizzare che conoscesse anche la versione originale del saggio uscita in tedesco a Zurigo nel 1958. Grèce – Les Guides Bleus, Hachette, Paris 1962. Nell’Archivio Michielin è conservata la copia usata da Novelli e la sua compagna Marina Lund nei loro viaggi in Grecia. Purtroppo la carta geografica che vi era allegata è stata perduta, servì all’artista per ricostruire il percorso dei suoi viaggi in alcune opere grafiche. Kàroly Kéreny, Gli dei e gli eroi della Grecia, Garzanti, Milano 1981, p.248. 121 mediterranee237 ha sicuramente interessato anche il pittore che conosceva alcuni simboli preistorici o comunque appartenenti a epoche e luoghi anche molto lontani tra loro, così come è dimostrato dai numerosi esempi in alcune sue opere. E il carattere enigmatico e misterioso deve aver coinvolto l'artista che visse in un clima di rinnovato interesse per alcune forme che rispecchiano l'andamento dedalico di alcune riproduzioni dello schema «nella gestazione umana originaria», tipico della produzione manierista,238 a cui si mostrarono interessati alcuni artisti e scrittori della neoavanguardia. Il saggio di Hocke, letto attentamente anche da Manganelli, fa in più punti riferimento al labirinto come forma archetipica «dell'essere, ventre del mondo, che al di fuori si stende in apollineo splendore immutabilmente eterno, essente» e che riemerge in epoche problematiche come quella del secondo dopoguerra, dall'autore chiamata “neomanierismo”. A questo proposito cita da Baudelaire: «In alto in alto scricchiola una colonna e le sue due estremità si spostano. Nulla è ancora crollato. Non riesco a ritrovare l'uscita. Scendo, poi risalgo. Una torre. Labirinto. Non sono mai potuto uscire. Abito per sempre in un edificio che sta per crollare, un edificio corroso da una malattia segreta».239 Nei tre piccoli disegni di taccuino del 1962-63 (fig.81a, 81b, 81c) conservati presso l'Archivio Novelli, l'artista copia alcune immagini tratte dal più volte citato Psicologia e alchimia di Jung che corredano il testo nel capitolo riguardante i mandala,240 la cui simbologia è stata messa in relazione con i cosiddetti sogni di mandala. 237 238 239 240 Paolo Santarcangeli, Il libro dei labirinti. Storia di un mito e di un simbolo, Vallecchi, Firenze 1967, pp.61 e segg. Hocke 1975 [1965], cit., pp.248 e segg. Hocke 1975 [1965], cit., pp.329-330. Questo passo è stato sottolineato da Manganelli nella sua copia del libro conservata presso il Fondo Manoscritti dell'Università di Pavia. Mandala: il termine sanscrito, oggetto prevalentemente buddista, originariamente significava cerchio, disco, alone, ma anche distretto, territorio. Il termine assunse ben presto un'accezione più specializzata e fu usato per indicare un cerchio magico. In ultimo, “mandala” finì per designare una mappa cosmica, un simbolo dell'universo, “una proiezione geometrica del mondo ridotto a uno schema essenziale” (Tucci). Il concetto di mandala è così vasto e comprensivo, che può essere applicato a fenomeni che trascendono i limiti dell'arte e della religione asiatiche. Molte icone ortodosse hanno l'aspetto e la prerogativa di un mandala, da: Fosco Maraini, Giappone mandala, Electa, Milano 2006, 1a ed. Tokio, NY, Londra 2001. 122 Trattandosi di figure inserite entro forme circolari, esse sono da collegare al tema fin qui trattato che riguarda il disco di Festo e, fino ad ora, il labirinto. Da questi disegni e dai dipinti che a questi si possono collegare, possiamo vedere come Novelli, partendo dal testo di Jung, metta insieme ancora una volta diversi riferimenti culturali. A quelli già citati, il disco di Festo e il labirinto, possiamo ora aggiungere la ruota e, appunto, i mandala. Il primo disegno (81a), è una trascrizione non fedele della “Ruota dell'universo” (sidpekorlo) tibetana241 che rappresenta «il corso delle forme umane di esistenza secondo la concezione buddhistica» basata su un sistema ternario e non quaternario come il mandala da cui deve essere distinta (82a). Secondo l'autore, infatti, la parola mandala «designa il circolo rituale o magico che viene usato, particolarmente nel lamaismo e anche nello yoga tantrico, come yantra, come strumento di contemplazione» e ha una finalità diversa essendo immagine mentale elaborata mediante l'immaginazione solo da un lama istruito. A questa fa riferimento il terzo disegno (81c) che presenta anche un'altra forma, un fiore circondato dalla scritta il fiore a sette petali che si riferisce all'illustrazione dal Summum bonum di Fludd (1629) con la “Rosa a sette petali come allegoria dei sette pianeti, delle sette fasi di trasmutazione” riportata nel saggio di Jung,242 utilizzata dallo studioso svizzero per illustrare l'equivalenza tra la figura del fiore e quella del sole nella simbologia alchemica (82c). L'altro disegno (81b), rappresenta un “Vajramandala lamaistico” 243 utilizzato da Jung (82b) per spiegare che «nel loro uso cultuale i mandala hanno grande importanza, perché il loro centro contiene di regola una figura di supremo valore religioso: o lo stesso Śiva, spesso abbracciato alla Śakti, o Buddha, Amitabha, Avalokiteśvara, o uno dei grandi maestri del Mahāyāna oppure semplicemente il dorje, simbolo della concentrazione di tutte le forze 241 242 243 Jung 2008 [1992], cit., p.99. Jung 2008 [1992], cit., p.81. Jung 2008 [1992], cit., p.102. 123 divine di natura creativa o distruttiva».244 Jung era convinto che tutti questi simboli orientali fossero frutto di sogni e visioni e non invenzioni estemporanee in quanto condivisi a livello universale fin dalla preistoria. Il sistema quaternario di riferimento dei mandala è da ricondurre alle ricerche sulla quadratura circuli, un problema che ha interessato molto la cultura medievale come «simbolo dell'opus alchymicum, in quanto essa scompone l'unità iniziale caotica nei quattro elementi, per poi ricomporli in un'unità superiore. L'unità è rappresentata dal circolo, i quattro elementi dal quadrato».245 La trasformazione di un cerchio in un quadrato di eguale superficie, mediante procedimenti geometrici, simboleggia il desiderio di ricondurre l'elemento “terrestre” e quello “celeste” a una ideale concordanza (coincidentia oppositorum). Quando invece prevale la forma circolare della ruota, questa è uno dei simboli privilegiati dell'alchimia e indica «il processo circolatorio, la circulatio».246 Infatti i raggi conferiscono l'elemento dinamico alla forma del cerchio che ha un effetto visivo statico e con significati relativi al movimento è presente in molte culture. In occidente, nell'arte medievale, la ruota diventa “Ruota della vita” o “Ruota della Fortuna”247 «che non è mai ferma, ma è sempre soggetta a mutamento. La dea della Fortuna viene solitamente raffigurata su di una sfera, ma talvolta anche su di una ruota. A forma di ruota sono anche le raffigurazioni dello zodiaco e dello svolgersi annuale del tempo.(…) Il simbolo “Ruota della Fortuna” corrisponde anche al decimo degli Arcani Maggiori dei Tarocchi e sta a indicare “il salire e lo scendere della vita, il destino, l'inevitabilità”».248 244 245 246 247 248 Jung 2008 [1992], cit., p.100. Jung 2008 [1992], cit., p.127. Jung 2008 [1992], cit., p.164. Per un quadro di riferimento sul tema della Fortuna, si rimanda al numero monografico di “Engramma” n.92, agosto 2011, Fortuna nel Rinascimento a cura di G.Bordignon e A.Sbrilli. Biedermann 2001 [1991], cit., pp.453-456. 124 In molti quadri a partire dalla fine del '62 Novelli fa riferimento a varie forme rotanti che prendono di volta in volta vari titoli che vanno dalla già citata La ruota della fortuna, a Tabella guida e Di che occuparsi se non dell'uomo? (fig.83) tutti del '63. È utile ricordare che nel corso del suoi viaggi in Grecia Novelli rimase colpito da un'icona del museo Benaki vista probabilmente nel '62, riportando nel suo diario di viaggio l'impressione avuta. «9,30 al museo Banaki (Benaki) che è pieno di Icone. Una in particolare sembra spettacolosa, è sulla destra antrando (entrando), dipinta in tondo, come il gioco dell'oca, e in questo tondo si svolge una specie di storia a fumetti di santi, mercanti, cavalieri col naso grasso e curvo da turchi, animali e tutto. Nel pomeriggio: Acropoli».249 Con questa nota l'artista ci indica un'altra fonte iconografica delle sue immagini circolari. La bellissima icona bizantina (fig.84) del pittore cretese Theodoros Poulakis (1622-1692), ha uno schema molto simile alle forme utilizzate nel corso del '62 e oltre (in particolare in Di che occuparsi se non dell'uomo? si riscontra un’impressionante analogia) e che successivamente sarà fuso con le altre a partire dal disco di Festo, che, come detto, dovrebbe aver visto dal vero non prima del '63. L'icona è un inno alla Vergine della seconda metà del XVII secolo e presenta una grande figura circolare a fasce concentriche suddivise in caselle in cui sono illustrati temi del Vecchio Testamento, versi dell'inno di Akathistos e le dodici grandi feste della Chiesa. Nel giro di pochi mesi l'artista arriva poi a usare lo schema del gioco dell'oca, un altro riferimento da associare a tutti quelli visti finora. Il dipinto intitolato Il gioco dell'oca (fig.85) è stato eseguito nel '63 o forse l'anno dopo secondo la data riportata sul verso. Se la figura del labirinto è simbolo di un percorso iniziatico alla ricerca di un “centro”, che lo avvicina molto ai mandala e al viaggio alchemico (oltre che alla figura dell’omphalos, 249 Novelli 1999, cit., p.39 (p. 23 del dattiloscritto). 125 uno dei soggetti preferiti delle sue sculture), ha anche forti analogie con il gioco dell'oca, l'antico gioco da tavolo che sicuramente Novelli conosceva in qualche antica edizione. Oltre al dipinto che porta come titolo proprio il nome del gioco, ripetuto all'interno dell'opera con l'aggiunta dell'aggettivo dilettevole, anche in tre altri quadri del '64 vediamo ricomparire lo schema, Ha vinto il Bologna, Il gioco del re e il Rito dell'amore. In quest'ultimo dipinto il pittore inserisce in una delle caselle le parole: un grande gioco dell'oca; in un'altra scrive partenza. Il gioco dell'oca è un passatempo di epoca moderna che ha origine dai giochi di fortuna, chiamati dai Romani genericamente alea,250 che in varie epoche sono stati oggetti di repressione penale da parte dei governanti. Soprattutto l'antico gioco dei dadi, praticato da ogni ceto sociale, era condannato per il fatto di essere un gioco d'azzardo. Il più innocuo gioco dell'oca è stato inventato nel XVII secolo e si è stabilizzato nel secolo successivo con l'itinerario “a chiocciola”.251 Da allora è stato spesso chiamato “nobile” per il posto privilegiato che ha occupato nella storia, nella letteratura e nell'arte. Esso consiste in un percorso dalla prima casella con il numero 1, all'ultima con il numero 63. Questo gioco e altri derivati provengono dal labirinto, un percorso iniziatico ai misteri della vita e della morte trasformato in divertimento ma che comporta dei “rischi”. Chi inizia il gioco ha la consapevolezza che questo avrà una fine, ma è indotto comunque alla sfida, che è in sé qualcosa di vitale. «Ormai private di significato esoterico-religioso, queste caselle, illustrano solo i simulacri degli ostacoli che l'uomo deve affrontare nella propria vita, una nota simbologia che rappresentava le difficoltà dell'anima del defunto a non perdersi nel limbo tra la vita e la morte, per poter raggiungere serenamente l'aldilà». La metafora del gioco dell'oca è duplice: percorso con ostacoli per i vivi e per i morti. La meta convenzionalmente stabilita dei giochi dell'oca è il numero 63, formato dalla 250 251 Caterina Santoro, Presentazione a I giochi di dadi, d'azzardo e di passatempo dei gentiluomini e dei pirati, a cura di I.Negri e V.Vercelloni, Lerici, Roma 1958. M.Alberini, Una partita lunga un viaggio, in “Qui Touring”, Milano marzo 1988, pp.58-61. 126 moltiplicazione di 9x7, numeri a valenza magica fin dall'antichità e che nel Medio Evo indicavano il numero di volte (7) cui cambiava ogni 9 anni l'età dell'uomo, per arrivare al termine della vita a 63 anni d'età».252 Questo è il tipico risultato di un processo di modellizzazione in cui i giocatori hanno la possibilità di simulare avvenimenti reali, caricando quindi un oggetto formale di espressioni simboliche o analogiche. Così come è strutturato, tale gioco simula un modello statico di percorso lineare; ogni giocatore ha solo tre possibilità: avanzare, stare fermo, arretrare, ma non può andare a destra o a sinistra: è quindi una schematizzazione non complessa del percorso della vita. Concezione lineare dello spazio e del tempo. Le immagini stilizzate all'interno delle caselle ne costituiscono gli indicatori-segnali di rappresentazione. Alla casella 42 compare sempre l'immagine del labirinto che vuol dire anche “paga e torna indietro”. Tutte le immagini hanno una doppia significazione, una “sorta di embrionale sapere enciclopedico”. Simboli e regole-convenzioni che intervengono nel vivere sociale. Tutte le attitudini e i processi riscontrabili all'interno del gioco dell'oca non inficiano il fatto che esso possa essere anche utilizzato come puro gioco d'azzardo, regolato quindi esclusivamente dal caso.253 Santarcangeli nota «un curioso legame tra i labirinti e il gioco dell'oca» che «ha nei suoi cerchi concentrici un andamento quasi labirintico; e, se vi è una raffigurazione visiva completamente intenzionale e cosciente del “peregrinare impedito”, è proprio questa. La vera essenza del giuoco così popolare - sorto intorno al 1650 e diffusosi per tre secoli in cento e cento varianti, umoristiche, caricaturali, pseudo-educative, storiche e perfino politiche - è proprio una progressione “per accidentia”, da nessun'altra forza governata se non dal cieco capriccio dei dadi».254 Non sembra un caso se, osservando i quadri di 252 253 254 Roberto Gardelli, La danza dell'anima. Dal labirinto al gioco dell'oca, in “Charta” 1998, n.36, pp. 58- 62. Donatino Domini, Giochi a stampa in Europa, dal XVII al XIX secolo, Longo, Ravenna 1985, pp.14-16. Santarcangeli 1967, cit., p.316. 127 Novelli, Maurizio Fagiolo si chiede: «Sarà pure il labirinto l'immagine del “profondo” alla base di questa pittura, o sarà il “gioco dell'oca”, una struttura che racchiude silenziosamente la possibilità di vincere o di perdere?».255 Come il labirinto anche il gioco dell'oca è uno schema evocativo e misterioso che deve aver attratto l'artista per la stratificazione simbolica e archetipica che lo sostanzia. Come vedremo anche questa forma faceva parte del materiale a cui attingere da parte di un importante scrittore della neo avanguardia. In un disegno molto interessante Il reale gioco dell'oca del '65 (fig.86), Novelli associa il gioco da tavolo alla sua amicizia con Giorgio Manganelli, dedicandolo a lui e alla sua opera Hilarotragoedia che aveva da poco 'illustrato' (§ 2.3.1). L'opera inizia in alto a sinistra con Onore a costui, al più dappoco, il più frivolo, il più perdigiorno dei suicidi, e più sotto ora lento si libera dita divergenti medita e lavora la propria fine. Ade libidine indugiata al suicidio... Al centro del disegno campeggia una grande freccia con scritto il reale gioco dell'oca che finisce nel mezzo di uno schema del gioco, a forma di spirale e con le caselle, con la dedica: a Giorgio Manganelli in omaggio alla Hilarotragoedia. Qui e lì sul foglio alcune scritte come di consueto sono intercalate a figure e in basso dopo i riferimenti all'opera del suo amico scrittore, Novelli fa un riferimento al gioco scrivendo nuovi giochi ogni colore si muove e para sei volte per attingere nel centro prima mossa il giallo perde attacco rosa il giallo vince talpone. Tutto il disegno vuole essere letto come un percorso, così come molte opere di Novelli, e così non sembra casuale la scelta del riferimento al gioco dell'oca fatto anche per il suo significato simbolico legato al mondo dei vivi come a quello dei morti: Hilarotragoedia è la narrazione di un percorso 'discenditivo' verso l'Ade che accompagna l'uomo in tutto la 255 Fagiolo, Opmet, in Novelli, Perilli, Scialoja, Twombly 1966 cit. Alla mostra era esposto il dipinto Il gioco dell'oca del 1964. 128 sua la vita. L'artista crea così un'intelligente equivalenza tra i due percorsi, operando ancora una volta una sintesi culturale di straordinaria efficacia. Alla sua prima raccolta di ventisette poesie, Edoardo Sanguineti diede come titolo Laborintus,256 «perché, secondo me, il mondo è un labirinto in cui è difficile orientarsi» ha detto in un'intervista. Il complesso mondo poetico dello scrittore recentemente scomparso è stato più volte messo in relazione, per le sue prime prove, con la pittura informale e con l'assemblage. Anni dopo, nel '67, con il secondo 'romanzo', Il giuoco dell'oca,257 ricorre alla combinatoria di matrice oulipiana. La stessa complessità è rappresentata questa volta con piglio decisamente ludico: l'io narrante assiste a tutte le vicende dalla sua postazione dentro una bara e tutto il racconto si svolge con la contrainte di una pagina e mezzo al massimo per ognuna delle tappe del suo percorso. Rifacendosi così alla suddivisione in caselle del famoso gioco da tavolo, la narrazione è segmentata e ogni parte è componibile liberamente con le altre, così come è indicato nella quarta di copertina della prima edizione: «Questo Giuoco è composto di 111 numeri, e può anche servire a giocare fino a 79. Ciò deve convenirsi prima di cominciare la lettura. Per giocare ci si serve di due dadi numerati dall'uno al 6, e si tira chi debba giocare per primo, e si conviene la posta al giuoco». La pubblicazione ha la riproduzione di un'opera di Gianfranco Baruchello che interpreta il tema del libro del suo amico scrittore (fig.87). L'artista, che faceva parte del Gruppo 63 usa 111 moduli quadrati disposti a forma di spirale come altrettante caselle del gioco dell'oca. In ogni modulo inserisce, come di consueto, una miriade di frammenti di immagini disegnate e ritagli fotografici composte con numeri e lettere: in ogni stazione accade qualcosa, bisogna solo cercare un filo conduttore che possa legare le singole situazioni 256 257 Edoardo Sanguineti, Laborintus, Magenta, Varese 1956. Edoardo Sanguineti, Il giuoco dell’oca, Feltrinelli, Milano 1967. 129 secondo una logica casuale, aiutandosi con un lancio di dadi. I dadi sono lo strumento del gioco di alea. Novelli soprattutto nelle opere degli anni '65-'67 inserisce spesso le loro facce con i puntini. Il disegno 33 dadi da gioco del '67 (fig.88), oltre a essere un'altra forma di catalogazione, è la presentazione di un divertissement basato sulla geometria della forma cubica del dado e la sua scomposizione. L'artista alla metà degli anni Sessanta sviluppa un certo interesse per le forme geometriche, soprattutto il quadrato e poi il cubo, inserendone molti e a diverso titolo nelle sue opere. I dadi sono sicuramente da mettere in relazione con il gioco d'azzardo ma anche con la componente aleatoria nell'opera di Novelli che è forte se proviamo a considerare la modalità di alcuni suoi accostamenti da cui deriva un'idea di montaggio di frammenti eterogenei frutto di una destrutturazione e strutturazione continua dei materiali che utilizza. Non sappiamo con precisione come arriva a interessarsi alla forma del dado, che pur è presente nell'arte italiana del Novecento a partire da Carrà, ma è interessante ricordare che anche nel testo amato e studiato da Novelli, Les Bigarrures, vi è una pagina dedicata a rebus in forma di piccoli dadi (fig.89) che assomigliano molto a quelli presentati nel disegno del '67. Ma è probabile che l'artista sapesse che i dadi come altri dispositivi divinatori sono legati alla numerologia e alle sue molteplici implicazioni e pertanto rientrano nella sfera dei suoi interessi. Il concetto di sincronicità, preso da Leibniz, era stato studiato da Jung per spiegare ad esempio il funzionamento de I Ching - che avevano interessato anche Bernhard e Manganelli - che non è finalizzato a emettere sentenze o previsioni sul futuro, bensì a offrire consigli e suggerimenti al fine di sfruttare al massimo alcune potenzialità del presente. In Oriente come in Occidente si ricorre spesso all'uso di combinazioni numeriche per poter leggere in modo intuitivo una situazione nel suo insieme e cercare attraverso atti sincronici (mediante dadi, estrazioni a sorte, gambi di achillea, 130 lettura dei granuli ecc.) l'opinione dell'inconscio.258 Nel suo saggio sul Dadaismo, Valerio Magrelli ricorda che il termine “azzardo”, in francese hasard, deriva dall'arabo az-zahr, ossia “dado”259 e che in Italia fin dal Medioevo il gioco dei dadi era chiamato della “zara”. Da qui il termine Dada, il movimento che «si rivela inestricabilmente collegato all'azione del caso» e che è stato da Maurizio Calvesi messo direttamente in collegamento con il gioco dei dadi.260 Con radici nel Simbolismo francese - Un coup de des di Mallarmé ne è l'emblema - il caso occupa un ruolo molto attivo nell'arte del Novecento e vede nella figura di Duchamp uno dei più significativi interpreti. In Italia uno degli artisti che ha giocato con il caso è sicuramente Boetti che ha assunto l'aleatorietà delle sue azioni a base concettuale in molte sue opere. Questo particolare aspetto è riassunto efficacemente da Ammann quando afferma che di fronte a alcune opere dell'artista torinese «va infatti considerata anche la conoscenza intuitiva, immanente al sistema, del principio riassunto dalla celebre frase di Einstein “Dio non gioca ai dadi”. Abbiamo nel frattempo appreso che in realtà Dio gioca ai dadi ma, come rivela Boetti in qualità di artista, il suo campo da gioco è in fondo delimitato da ordine/disordine ed espansione. L'entropia, il massimo disordine (regolarmente strutturato), si rivolta come un guanto e si rivitalizza in una conclusione ragionando al contrario».261 258 259 260 261 Roberta Bellinzaghi, Cubomanzia, dadi e mistero, Castel Negrino, Milano 2007. Valerio Magrelli, Il caso come principio compositivo, in Profilo del Dada, Laterza, Roma-Bari 2006, pp.103-112. Maurizio Calvesi, Un coup dada. Il caso nell'arte contemporanea, in Avanguardia di massa, Feltrinelli, Milano 1978, p.40. Jean-Cristophe Ammann, Il regno 'intermedio' nella creatività di Alighiero e Boetti, in cit., 2009, p.17. 131 1.3.9 Griglie e frammentazione organizzata della parola A partire dal 1960 nei dipinti di Novelli troviamo molti riquadri, spesso senza un ordine ben preciso, nei quali sono inseriti soprattutto brani di scrittura. Nel corso dello stesso anno, in un importante dipinto, II sala del museo (fig.90), oltre ai riquadri, l’artista inizia a inserire reticoli di linee verticali e orizzontali, più o meno grandi, colorati a campitura piatta o riempiti da figure o da lettere. Nelle opere su carta l’inserimento di griglie sembra precedere quelle presenti nei dipinti, come nel caso di (commento) del ‘58 (fig.91). L’opera si presenta come uno dei primi tentativi di combinatoria linguistica organizzata dentro i singoli spazi attraverso l’incasellamento di lettere e numeri. La presenza di macchie di colore sgocciolate casualmente ‘sporcando’ il disegno, collocano l’opera nella fase di transizione che portò l’artista a superare la gestualità e matericità informale attraverso l'inserimento di segni grafici e verbali. In questo disegno sono compresi in nuce molti elementi che si ritrovano nelle opere successive dove sono utilizzate griglie. Nel corpus di opere eseguite su tela e su carta rintracciamo chiari riferimenti sia ai popolari schemi per cruciverba sia a quelli utilizzati negli antichi trattati di crittografia, conosciuti da Novelli e citati in altre opere. Senza dimenticare le scacchiere di Duchamp e il fatto che la forma di scacchiera era anche uno strumento di divinazione262 di cui poteva essere a conoscenza grazie ai agli studi antropologici, sappiamo dallo stesso artista che riferimenti furono anche gli alfabetieri e le tavole pitagoriche. Griglie strutturate in forme spesso libere e irregolari sono presenti nella produzione di Novelli fino al ’65. 262 Agamben 2001 [1978], cit., p.72. 132 Prima di iniziare ad analizzare questo particolare tipo di schema nelle sue opere, è opportuno ricordare ancora una volta l'importanza da lui data alla catalogazione nella prima metà degli anni Sessanta (cfr.§1.3.3), condivisa anche con gli esponenti dell'avanguardia letteraria del Gruppo 63 che si definivano 'catalogatori'. Novelli ha dichiarato il suo interesse per il metodo strutturalista di Lévi-Strauss che, tra l'altro, adotta in maniera massiccia griglie e tabelle per semplificare dinamiche anche molto complesse che vogliono diventare visivamente comprensibili. In La pensée sauvage, testo di riferimento per alcune opere, la catalogazione è in funzione della costruzione di una “memoria”. Questa possibilità è ancora una volta legata a una pratica antica quanto l’invenzione della stampa ed è stata studiata da Lina Bolzoni nel suo testo sull’arte della memoria. Secondo la studiosa i diagrammi, le tavole, e i vari schemi danno la possibilità di rendere chiari e leggibili i percorsi logici seguiti dall’autore,263 utili anche ai fini della memorizzazione. Il ricorso a schemi, spesso approssimativi e non geometrici nell’opera dell’artista, si discosta dalle motivazioni proprie dell’adozione di queste strutture da parte delle avanguardie artistiche del Novecento così come analizzato dalla Krauss, ma ne mantiene in definitiva l’aspetto modernista per «la sua capacità di servire da paradigma o da modello all’antisviluppo, all’antiracconto, all’antistoria».264 Nel suo testo la studiosa americana affronta il tema della griglia parlando del suo “potere mitico” rifacendosi proprio alla procedura strutturalista di Lévi-Strauss che la usa per rappresentare spazialmente (e sinotticamente) diverse concezioni mitiche, annullando così qualsiasi approccio storico al materiale antropologico. Novelli aderisce in più occasioni a questa visione astorica, assorbe il pensiero del grande 263 264 Lina Bolzoni 1995, cit., pp.XX e segg. Krauss 2007, cit., p.27. 133 antropologo francese e adotta la griglia come schema di riferimento che usa in maniera alquanto mobile nelle sue opere, in cui il linguaggio ormai sgretolato cerca una sistemazione seppur arbitraria e temporanea. Le complesse operazioni di 'montaggio' presenti nelle opere di Novelli dei primi anni Sessanta riflettono l'attitudine anti storica condivisa da molti intellettuali e artisti265 della sua epoca. In accordo con quanto affermato da Didi-Huberman, Novelli e gli altri che adottano questa pratica, sostituiscono all'idea di tempo quella di 'memoria' e in nome di questa ci presentano «una poetica, ossia una configurazione impura, di un montaggio - non scientifico - del sapere».266 La griglia ha, come detto, lo scopo di organizzare visivamente le conoscenze in diverse discipline, anche attraverso una simbologia estremamente sintetica, ma Novelli, adottando sia griglie regolari sia fortemente irregolari, dimostra di non essere interessato alla costruzione di sistemi coerenti secondo le indicazioni strutturaliste ma di voler adottare schemi di riferimento per mettere in gioco, ancora una volta, una combinatoria di elementi linguistici regolata da norme arbitrarie e mutevoli. Anche i disegni per Histoire de l'oeil, eseguiti in copia unica tra il 15 e il 17 gennaio del 1962, presentano molte griglie. Molto significativo è quello che riporta, inserite nelle caselle, le parole la confession simon a la petite fenetre grillee,267 la stessa usata anche nel dipinto del '63 che porta il titolo dell'opera di Bataille (fig.92). Tra le opere su carta che presentano griglie regolari, uuna si scrive con due u del '61 (fig.93) e il disegno eseguito per “Il Verri” n.7 del 1963 (fig.94) sono molto interessanti perché vi è adottato un tipo di schema ricorrente in importanti dipinti degli stessi anni 265 266 267 Gianfranco Baruchello con Il Montaggio alla Galleria Il Mercato del Sale nel 1977, dedica un’intera mostra al tema. L’artista ha fondato la sua opera sull’idea di montaggio, significativo a questo proposito il film Verifica incerta del 1964. Georges Didi-Huberman, Storia dell'arte e anacronismo delle immagini, Bollati-Boringhieri, Torino 2007, p.37. Histoire de l'oeil, Il viaggio in Grecia, Hilarotragoedia 1999, cit., p.14. 134 come il già citato II sala del museo e Il re del sole (1961), dove l'artista inquadra, all’interno di un reticolo di linee ortogonali, scritte e segni di vario tipo, in un tentativo di organizzazione del materiale che nelle opere precedenti era tracciato in maniera (almeno in apparenza) casuale. Nel primo dei dodici riquadri del primo disegno, leggiamo la frase scritta a stampatello che potrebbe essere il titolo per esteso dell'opera uuna si scrive con due u u cosi e capace che diventi un nome vero. In questa frase possiamo vedere la traduzione fonetica della vocale 'u' attraverso la sua ripetizione. É questo uno dei caratteri della scrittura di Novelli nei suoi lavori, che lo avvicina, come già accennato, alla Poesia sonora piuttosto che a quella visiva, come nelle lunghe sequenze di lettere 'A' presenti in molte sue opere. Negli altri riquadri leggiamo annotazioni che sembrano avere un carattere più intimista come: voglio finalmente liberarmi di tutto, tracciato in basso a sinistra. Nel disegno per “Il Verri” sono tracciate due griglie, una più regolare sulla destra del foglio, e una meno nella parte sinistra. Nello schema di destra, le caselle sono riempite di segni ricorrenti nelle opere di Novelli di quegli anni (facce di dadi, scacchiera, seni, frecce e altro), una sorta di prontuario di segni per un possibile vocabolario iconico, mentre nell'altro è tracciata una suddivisione in quattro livelli. Il reticolo disegnato da Novelli in queste opere, ma in maniera più evidente in altre, anche quelle con schemi meno regolari, ricorda il popolare gioco enigmistico del cruciverba e anche le tavole pitagoriche, le tabelline, usate dai bambini a scuola. In Ogni momento costretti a una scelta (fig.95), Alfabetiere 4 (fig.96) e Alfabetario 7 (fig.97) lo schema del cruciverba, come vedremo associato ad altre tipologie, sembra essere il più importante riferimento per l'artista. 135 Non è dato sapere se Novelli facesse parole crociate, ma, come messo già in evidenza da Stefano Bartezzaghi, “alcuni principi e alcune morfologie” del cruciverba hanno «agito contemporaneamente nell'arte e nella letteratura del Novecento»268 (quando non vi sia un diretto riferimento). Lo stesso studioso cita il nome di Gastone Novelli tra quelli, nel cui lavoro, «l'incrocio delle parole pare risentire direttamente della forma del cruciverba, che viene evocata esplicitamente da George Brecht (Postkarten zum Mitmachen, 1982) e da Andy Warhol (Crossword Puzzle, 1960)».269 Questo gioco, arrivato in Italia dall'America nel 1925,270 era molto noto anche negli anni Sessanta, grazie a pubblicazioni come “La Settimana Enigmistica”.271 La grande diffusione (e popolarità) della rivista contribuì a far diventare i giochi enigmistici materiale di lavoro per artisti dell'area pop romana, come ad esempio da Renato Mambor che, a partire dal '64, iniziò a prelevare vignette dei rebus per inserirle nelle sue opere (cfr.§1.3.12). Ma la moda fu europea e invase contemporaneamente altri paesi, soprattutto Inghilterra e Francia. Il cruciverba francese (mots croisés) in particolare potrebbe essere stato fonte, tra le altre, per le opere di Novelli grazie a una caratteristica che lo diversifica da quello italiano. «A essere numerate non sono le prime caselle bianche di ogni soluzione orizzontale o verticale, ma le righe o le colonne, mediante numeri scritti in corrispondenza di ognuna di esse, all'esterno del perimetro della griglia (a volte si tratta di numeri arabi per le colonne e romani per le righe): è il sistema di numerazione usato per le scacchiere, dove 268 269 270 271 Bartezzaghi 2007, cit., p.295. L'autore individua nei seguenti elementi i motivi della ripresa: morfologia griglia; visibilità parola; intervento del pubblico; frantumazione linguaggio e sapere; oscillazione continua tra sapere e non sapere. Bartezzaghi 2007, cit., p.299. Bartezzaghi 2007, cit., p.103. Dopo aver raccontato l’avvento del popolare gioco in America a partire dal 1913, ed averne analizzato la genesi d’oltreoceano, l’autore parla della fortuna del cruciverba in Italia. La “Domenica del Corriere”, rivista del “Corriere della Sera”, ne inizia a pubblicare dal febbraio 1925, con un “lancio sontuoso” che ne decretò la fortuna, anche se con le critiche mosse dagli enigmisti ‘classici’, almeno all’inizio del suo percorso. “La Settimana Enigmistica”, n.1, 23 gennaio 1932. Fu fondata dall'ingegnere sardo Giorgio Sisini. 136 però si impiegano numeri e lettere».272 É curioso notare che il cruciverba francese, con la sua forma quadrata e i numeri posti fuori, ricorda anche gli schemi delle antiche crittografie (fig.98) come quelle presenti nel trattato di Blaise de Vigenère, che come visto, era conosciuto e citato da Novelli. Non stupisce l'ipotesi che egli abbia trovato affinità tra gli antichi sistemi di cifratura e i moderni cruciverba. Dopotutto gli schemi riportano entrambi lettere di codici alfabetici frammentati dei quali si deve ricomporre un senso. Così come, qualora i cruciverba possano realmente aver ispirato l'artista, probabilmente anche di questo popolare gioco di parole egli non ignorava le antiche origini che vedevano nel verso intessuto di carattere sacro il suo nobile antenato.273 In ogni caso, come vedremo, in una sua opera cita un'altra fonte che ha ancora una forma quadrata e un reticolo dove però sono inseriti numeri: la tavola pitagorica. Con la serie degli alfabetieri, Alfabetiere 1 (fig.99) e Alfabetiere 4, del 1962, Novelli ci indica invece con sicurezza la fonte anche se, come ha notato Giorgio de Marchis, queste opere possono essere messe in relazione agli schemi di cruciverba, «strani cruciverba alla rovescia, il cui risultato non è quello giusto».274 Chiamati a volte alfabetario, i lessèmi sono sinonimi di «serie di tavolette su cui sono riportate le lettere dell’alfabeto (usate in passato come sussidiario didattico)».275 Lo schema grafico di questi lavori si ritrova soprattutto in dipinti come Totolettera (fig.100) del 1962 e L’asino Timone (fig.101) del 1962/'63 (molto vicino al disegno Alfabetiere 1), ma se ne trovano tracce anche in molti altri. 272 273 274 275 Bartezzaghi 2007, cit., p.74. Vedi: Pozzi 1981, cit., e Bartezzaghi 2007, cit. Giorgio de Marchis, Le alfabetologie di Gastone Novelli, in “Art International”, n.6, Lugano 25 giugno 1963, ora in Birolli 1976, cit., p. 113. lo Zingarelli 2010, vocabolario della lingua italiana di Nicola Zingarelli, Zanichelli, Bologna 2010 [1993]. 137 Già Klee, tra le sue numerose opere che riportano lettere dell’alfabeto, dipinge nel ‘38 ABC für Wandmaler (ABC per pittore murale) (fig.102) e Alfabeto II. Da ricordare anche il libro-oggetto di Munari, ABC Dadà del 1944 (fig.103) che presenta ogni lettera dell’alfabeto corredata da un breve testo tautogrammatico illustrato da vari oggetti.276 Questa è l’opera che più si avvicina al modello degli alfabetari o alfabetieri che venivano, e vengono, utilizzati nell’apprendimento dell’alfabeto dei bambini ai primi approcci con la lettura. Le singole lettere separate e senza figure spingono il bambino a comporre singole parole sperimentando varie combinazioni. E’ per questo motivo che Novelli sceglie il termine alfabetario o alfabetiere per le sue opere, preferendolo al più comune abbecedario (famoso quello di Pinocchio) che è invece un libretto con una storia antica che parte dal XVI secolo e che associa le lettere a figure. Queste pubblicazioni hanno affascinato artisti e intellettuali, basti pensare a Magritte e a Walter Benjamin che ne collezionò molti.277 Il filosofo tedesco ricorda con intensa nostalgia il suo alfabetario: «era costituito da lettere dell’alfabeto impresse singolarmente su piccole tavolette, lettere in caratteri gotici che le facevano apparire più giovani e anche più aggraziate di quelle stampate. Giacevano delicatamente su un piano inclinato, ciascuna in sé compiuta, e nella loro sequenza assoggettate alle regole dell’ordine - la parola - di cui erano sorelle. Ero ammirato per come tanta modestia potesse affiancarsi a tanta grandiosità. Era uno stato di grazia.(…) la nostalgia che suscita in me, rivela quanto l’alfabetario sia stato parte integrante della mia infanzia. In esso, in realtà cerco l’infanzia stessa: tutta l’infanzia, come si dispiegava nel gesto con il quale la mano inseriva le lettere nel listello in cui si allineavano a formare parole. La mano può ancora sognare quel gesto, ma non può mai più ridestarsi per eseguirlo realmente. Similmente posso sognare come 277 277 Paolo Albani, Calvino e i plagi anticipati, in Italo Calvino: percorsi potenziali, a cura di R. Aragona, Manni, San Cesario di Lecce 2008, pp.33-44. Walter Benjamin, Bambini, abbecedari, giocattoli, Archetipo, Bologna 2010. 138 una volta imparai a camminare. Ma non mi serve a nulla. Adesso sono capace di camminare; non posso più imparare a farlo».278 L’evoluzione di questo genere di libri per l’infanzia è strettamente legata all’esigenza pedagogica dell’insegnamento fonetico della lingua che, già a partire dall’opera del predicatore luterano Valentin Ickelsamer (1527), si accostò all’uso delle figure per rendere più immediato l’apprendimento. Immagini e lettere dell’alfabeto saranno definitivamente associate nella famosa opera Orbis pictus (1°ed.Norimberga 1658) del pedagogista ceco Comenius (Johan Amos Komensky 1592-1670), uno dei primi autori che interessò al genere in maniera sistematica. Alla fine del XVIII secolo, la storia dell’abbecedario si lega strettamente a quella dei sillabari altro strumento didattico fondamentale, per poi diventarne sinonimo. La serie di opere di Novelli che fanno riferimento alle tavolette didattiche senza figure si rivolge dunque alla possibilità combinatoria di lettere e sillabe ma, lontana da qualsiasi intento didascalico, dichiara la curiosità (e forse nostalgia) dell'artista per questi strumenti. Bartezzaghi associa «il fascino degli alfabetieri e delle tavole su cui i bambini imparano l’abicì» alle parole che rivelano la propria materialità una volta collocate «fuori da una concatenazione sintattica e semantica (e non contribuisce alla costruzione del discorso)».279 Le parole diventano così objet trouvé, composte attraverso vari tentativi associativi, così come fa Novelli. In Alfabetiere 1 (1962) egli aggiunge un elemento molto interessante e che si ritroverà in alcune sue opere dell’inizio degli anni Sessanta come nella già citata L’asino Timone: la presenza di lettere sul perimetro esterno ricorda alcune delle fonti che abbiamo visto sopra, 278 279 Benjamin 2010, cit., pp.35-36. Bartezzaghi 2004, cit., p.41. 139 ma in questo caso lo schema adottato sembra essere vicino alle crittografie antiche, anche se totalmente scompaginate. Le singole lettere, unite al centro del foglio da linee che le mettono in relazione, creano sillabe che poi l'artista compone al centro segnalandole con un colore diverso dal fondo: tu tu/ reso/ polon/ sono/ nelo/ none/ reno/ sorelo/ tuso/ dono/ lo re. Una griglia, anche se non quadrata ma rettangolare, è tracciata in Alfabetiere 4 (1962) e dà luogo a un complicato gioco di frammentazione e ricomposizione di parole. Mentre gli spazi vuoti sono riempiti da un tratteggio fitto o sbarrati da due linee in diagonale, sul lato sinistro del foglio sono tracciate due serie alfabetiche non complete che sembrano essere il materiale di partenza con cui l'artista gioca all'interno della scacchiera. Il gioco prosegue con l'individuazione di alcune sillabe che iniziano con le lettere corrispondenti sulla linea. Dopodiché si incontra un intreccio di termini anagrammati che danno luogo a parole diverse. Alla base sembra esserci la scomposizione e ricomposizione per allitterazioni di vario tipo. In basso, in fondo alla griglia, una frase, apparentemente senza senso, potrebbe riassumere il gioco svolto sopra: Le mene male lega, gli poni vaste dighe, voli truce e reca rude ruga l’omino, ode meno il mio piolo, il limo, gli dei gai, c’è Resete Dodi, ci ha e va. E ancora, “Resete Dodi” anagramma di “Desidero Te”, enunciato molto coerente con lo spirito di Novelli che spesso fa riferimenti erotico-amorosi. In Alfabetario 7 del 1962 troviamo una interessante metamorfosi della griglia che in questo caso somiglia maggiormente alla scacchiera. Partendo da uno schema vagamente regolare in cui lateralmente l'artista inserisce le lettere da A a D in orizzontale e da D a H in verticale con cui crea sequenze che combinano i fonemi in diversi modi, passa, tracciando linee sinuose, a disegnare una griglia più 'morbida' dove inserisce, sempre esternamente, le rimanenti lettere dell'alfabeto. Tra una griglia e l'altra dà spazio a parole come facce, seno, 140 facce in celo. Questo sintagma lo ripete in un'altra griglia, stravolta a tal punto che prende la forma di una montagna aguzza (molto simile al disegno e al dipinto Il tetto del mondo). La metamorfosi si chiude con una scacchiera in cui alle lettere sono sostituiti i segni iconici frequenti nelle sue opere. Anche Italo Calvino ha fatto un omaggio alle pubblicazioni didattiche per l'infanzia. In Piccolo sillabario illustrato,280 lo scrittore si ispira al Petit Abécédaire illustré di Georges Perec, del '69. «Il sillabario è costituito da 19 brevi narrazioni, corrispondenti ad altrettante strisce fonematiche, costituite di cinque sillabe; tutte iniziano con la stessa consonante, e sono completate da una diversa vocale, nella canonica successione di a, e, i, o, e u».281 Il testo è dunque una parodia dei sillabari per bambini e si compone di 19 strisce consonantiche orizzontali e 5 strisce vocaliche verticali. Il testo, grazie alle restrizioni autoimposte, è un omaggio all'opera dello scrittore francese, esponente del gruppo dell' Oulipo di cui fece parte anche Calvino a partire dal '72. La tecnica mista su carta, Antologia del ‘61 (fig.104), è un'opera importante per il valore programmatico delle dichiarazioni contenute e per la particolare interpretazione della griglia, che parte dalla regolarità delle caselle per trasformarsi in un intrico di linee verticali, orizzontali, oblique grazie alle quali la linearità della lettura è totalmente persa. La composizione ha un impatto fondamentalmente visivo e mette in evidenza l'arbitrarietà degli incroci che si vengono a formulare tra i vari spezzoni di frasi inseriti nelle caselle irregolari. Si assiste a una frammentazione caleidoscopica del linguaggio: come nei giochi per bambini, con un piccolo movimento, si possono ottenere figure diverse, qui si ha la sensazione che i sintagmi possano casualmente scomporsi o ricomporsi nelle nostre mani. 280 281 Italo Calvino, Piccolo sillabario illustrato,“il Caffè”, n. 1, 1977, p. 7-18. Matteo D'Ambrosio, Italo Calvino e il gioco di parole, in Aragona (a cura di), cit., 2008, p.146. 141 Il coup de dés, la casualità assunta a emblema della distruzione della logica. Eppure in questa opera Novelli esprime a modo suo concetti, dà indicazioni programmatiche al suo lavoro. Intercalando numeri, date, lettere e frasi ripetute in serie, invita a leggere le sue parole scritte seguendo l’andamento di lettura basato sia sulle linee orizzontali che sulle diagonali: ogni tentativo usato in questo testo assume un significato diverso secondo la direzione che si vuole dare alla lettura della/ pagina ogni lettera dell’alfabeto è un segno con un suo passato preciso e ogni parola contiene oltre al suo/ significato individ/ uale/ anche la somma dei ricordi suscitati dalla conformazione delle singole lettere/ che/ la compongono se mi sarà possibile dare vita ad/ un linguaggio ricco di tutte le/ sue insite risorse, un linguaggio in cui ogni origine sia leggibile e/ chiara/ rio negro al/ centro/ gastone novelli/ antologia per gente/ 1961/ raggruppiamo gente semplice/ il padre è un tipo abbastanza curioso con tutte quelle sue manie esoteriche primitive e io non lo posso immaginare altro che seduto mi dovrai riconoscere che è triste non essere in grado di fare di più per lui arrivato qui/ ma quello che ci vuole per sopravvivere in un paese come questo con amici come voi che dio ce ne scampi e liberi il più presto possibile/ questo ha tutta l’aria di diventare una nuova tavola pitagorica per i popoli a venire ammesso che ce ne saranno e di questo possiamo essere sicure/ pitagorica antologia di gastone novelli 1961/ 1960/ 1958/ 1959/ 1975 1976/ 1978/ 197/ alfabeto dimesso come un relitto che si avvicina a una sua conclusione/ 1/ 2/ 3/ 4/ 5/ 6/ 7/ alba/ 8/ divenire/ 9/ 10/ semplice/ 10/ gastone novelli/ bacato/ nesetc/ da leggere/ in tutti i sensi con la/ massima attenzione/ per vedere se sarà almeno/ possibile arrivare al silenzio/ silenzio come attesa officina per/ la povera gente di questo mondo. La possibilità di avere direzioni di lettura diverse proposta all’inizio del testo, sembra anticipare alcuni giochi combinatori adottati nell’ambito delle sperimentazioni dell’Oulipo francese (Ouvroir de Littérature Potentielle) e del successivo Oplepo (Opificio di Letteratura Potenziale) italiano. 142 É in questo lavoro che l'artista dà indicazione circa un'altra possibile fonte per le sue griglie: la tavola pitagorica (o tabellina), un altro strumento didattico per l'infanzia, in questo caso utile alla computazione. La tavola pitagorica è molto vicina ai quadrati magici di cui si occupò, anche se marginalmente, Novelli. (cfr. §1.3.11). Con le sue ultime due opere su carta selezionate, il foglio Senza titolo del 1962 (fig.105) e la litografia In fondo vengono tutti i colori del 1963 (fig.106), possiamo notare quanto in realtà venga mantenuta solo un pallida idea di griglia. Sembra di assistere all'ultima tappa di un processo distruttivo dello schema, ma che viene comunque utilizzato dall'artista come riferimento in spazi vaghi e fluttuanti, ancora senza alcun senso prospettico ma con il vago andamento di mappa geografica. L'opera senza titolo presenta alcuni segni lineari verticali e orizzontali sovrapposti a formare un morbido reticolo. Altri segni sinuosi sono tracciati sopra e sembrano una scrittura illeggibile. Qua e là lettere e sillabe sono scritte a stampatello senza rispettare uno schema preciso. Alcune parole, più o meno senza senso, si possono leggere: Ala alalab malalab bela cama fede... Attorno a un cerchietto con un puntino al centro leggiamo una delle scritte glossolaliche care a Novelli, fedebeladalalamela, una parola senza senso (apparentemente), calale. Tra queste due troviamo calaba, anagramma di 'cabala', parola chiave per tutto il lavoro di trasformazione linguistica a cui Novelli sottopone il linguaggio. Nella litografia In fondo vengono tutti i colori che può essere considerata parte del breve ciclo di opere sul Rebus di Piccardia (cfr.§1.3.12), è tracciato su tutta la superficie del foglio un segno spiraliforme e leggermente ovale dove sono inserite parole, numeri e altri segni secondo il consueto vocabolario dell’artista. Nella parte inferiore alcuni riquadri sono 143 colorati di blu e verde. É impossibile rendere a parole la complessità dell’opera e giochi grafici usati dall’artista che a volte pone lettere e numeri ribaltati, a volte usa il corsivo e altre lettere capitali. Tra tutti i segni leggiamo, a parte la frase che dà il titolo all'opera, le origini l'uomo per (in verde) e il centro del giardino (in blu). Il carattere autobiografico dell'opera è evidente: avendo inserito la forma curva riferita al giardino si pensa a quello della sua casa di Saturnia dove costruì in quegli anni la grande montagna in cemento. L’uso dell’immagine mitica e primordiale della montagna nelle sue opere è da anticipare dunque al 1963, l’anno in cui eseguì le litografie. Le linee intrecciate, che circondano tutta la composizione, sono un altro esempio di metamorfosi della struttura della griglia e anche in questo caso - come in quello precedente - le fonti sembrano essere ancora altre. Alcune tavole con illustrazioni a corredo del già citato trattato di Athanasius Kircher, l'Ars Magna Lucis et Umbrae, presentano reticolati molto più fluidi delle consuete griglie e servono a chiarire le teorie dello scienziato circa l'andamento delle ombre delle meridiane (fig.107) e dei cicli degli astri (fig.108). 282 Questi grafici potrebbero essere un'ulteriore fonte per le griglie di Novelli che, vista la dimestichezza con i testi antichi anche di carattere esoterico, potrebbe inoltre aver consultato trattati di chiromanzia - l'antica arte della lettura della mano - che presentano illustrazioni con figure simili. Altre caselle Tra gli anni Sessanta e Settanta in Italia, il modulo della griglia è stato utilizzato sia nell' ambito concettuale che in quello dell'arte optical e cinetica. Ma, oltre al caso particolare di Novelli, anche in altri contesti nel campo della sperimentazione verbo-visiva, è stato fatto riferimento a schemi, tabelle e griglie nell'ottica di impaginare visivamente frammenti 282 Kircher 1646, cit., f.357 e f.404. 144 linguistici, come nel caso di Villa e Oberto. La logica è chiaramente quella di visualizzare le possibilità combinatorie, così come si andava elaborando anche attraverso esperimenti con i primi processori elettronici, come aveva ad esempio fatto Nanni Balestrini con la Poesia elettronica del 1961. Nel 1964, Ugo Carrega elabora il progetto dei Permutatori manuali (fig.109). «In questa dimensione di continua ricerca, venivo a trovarmi continuamente tra SIGNIFICANTE e SIGNIFICATO. Inizi(av)o una cosa per divertimento, per curiosità, per intuizione (da me definita “calcolo esatto in natura”) e poi, finito il lavoro, mi veniva voglia di indagarla. Cosa succede allora se, prese delle proposizioni costruite con la stessa struttura grammaticale, una parte di una proposizione viene permutata con la parte di un'altra? (...)Ne feci degli oggetti (permutatori manuali) in cui le parti della proposizione vengono scritte ognuna su una striscia di carta verticale. Spostando le strisce verticali, mediante delle finestrelle di lettura praticate in un contenitore, si hanno tutte le varianti possibili».283 Vicine a questa esperienza, le due opere di Villa, il s.t. e senza data (fig.110) e Vertiges del 1975 (fig.111) provenienti dalla Fondazione Museion, di cui la prima è un’interessante sperimentazione linguistica in lingua latina e la seconda in inglese. Il poeta ha frammentato i testi scrivendo su dei piccoli tasselli le componenti sillabiche e ricomponendo alcune frasi, cambiandole anche di direzione. Anche se in queste opere non vediamo una vera e propria griglia, la particolare tecnica di composizione fa pensare a un inquadramento invisibile che dà ordine allo schema. Nell'opera senza titolo viene ripetuta la frase Adoro te devote (che potrebbe diventare il titolo). L'Adoro te devote è uno dei cinque inni eucaristici ritenuti scritti da San Tommaso 283 Carrega 1985, cit., p.38-39. 145 d'Aquino, in occasione dell'introduzione della solennità del Corpus Domini nel 1264, su commissione di papa Urbano IV, ma l'attribuzione non è certa. Viene utilizzato durante le adorazioni eucaristiche e nelle preghiere di ringraziamento al termine della messa.284 I primi versi dell'inno recitano: Adóro te devóte, látens Déitas, Quæ sub his figúris, vere látitas: Tibi se cor meum totum súbjicit, Quia, te contémplans, totum déficit. Visus, tactus, gustus, in te fállitur, Sed audítu solo tuto créditur: Credo quidquid díxit Dei Fílius; Nil hoc verbo veritátis vérius. L'esperimento linguistico di Villa rientra dunque tra i numerosi che egli fece sui testi sacri che studiava e interpretava. É noto l'interesse per il latino che egli coltivò, avendolo studiato da giovane in seminario. Anche nell'altra opera, Vertiges, viene utilizzato un accenno di grafico a caselle dove le sillabe giacciono però in prossimità di esse, come in attesa di essere inserite. Il testo in inglese sembra avere i caratteri di una poesia romantica, anche se è difficile poter affermare con certezza quale. In Ana didascalica del 1974 (fig.112), Martino Oberto, uno dei più importanti esponenti dell’avanguardia letteraria ligure, fin dagli anni Cinquanta utilizza l'idea di griglia per inquadrare una sequenza della parola ana. Il termine è alla base di tutta la sua produzione a partire dal ‘55 e diventerà anche parte del titolo della rivista Ana etcetera, creata con la moglie Anna e Gabriele Stocchi tra il 1958 e il 1970. OM (sua firma-acronimo) sviluppa, influenzato dalla lettura dell'opera di Wittgenstein e di Ezra Pound, una personale 'ana-philosofia' che diventerà parte integrante della sua opera verbo-visiva tendente all'astrazione più radicale. Le sue opere sono complessi montaggi di parti scritte, ritagli, fotografie, grafici e altro e hanno sempre un intento didascalico, come 284 Notizie tratte dal sito www.vicariatusurbis.org 146 nel foglio preso in esame. Come spesso fa, anche in questo caso Oberto traccia forme geometriche rettangolari in cui inserisce scritte. Ricordando in alcuni casi una modalità utilizzata anche da Novelli all'inizio degli anni Sessanta, sembra simulare in questo modo l'applicazione a collage di frammenti di colonne di giornale. Il passaggio alla forma della griglia è breve, anche se Oberto non la utilizza mai in senso ordinatore o classificatore, ma come supporto per mettere in evidenza particelle verbali. Emilio Cecchi in uno scritto della raccolta Qualche cosa,285 aveva affrontato il tema della moda delle parole crociate arrivate in Italia dall'America nel 1925. Esprime un parere decisamente positivo sul gioco enigmistico che appassionava un grande numero di italiani e coglie perfettamente il tipo di operazione linguistica accessibile a tutti. La moltitudine di parole che si intrecciano in un «mostruoso caleidoscopio ideologico» è come un «vocabolario che contiene i vocabolari di tutte le lingue, e l'enciclopedia che somma tutte le enciclopedie, squadernati e sfogliati pazzamente sul genere umano e lascianti cadere come areoliti parole che battendo in terra mandano faville». Il cruciverba è «l'ultimo e mastodontico trionfo della parola in sé; appunto, della parola in libertà». E dopo aver citato i collages di Picasso, enigmi antichi e bisticci rinascimentali oltre al Coup de dés di Mallarmé, afferma che le parole del puzzle (adotta la parola anglosassone) «comunque paiano disciolte e gratuite, in realtà si attraggono, si pungono, reagiscono una sull'altra come l'acido sul metallo, e sul ferro la calamita. E non c'è puzzle nel quale non dorma, in potenza, un poema». cruciverba In molti casi i poeti visivi del fiorentino Gruppo 70 hanno utilizzato nelle loro opere 285 Emilio Cecchi, Parole incrociate, dalla raccolta Qualche cosa del 1931, ora in Saggi e viaggi, Mondadori, Milano 1997, pp.301-306. 147 diagrammi di vario tipo, prelevati da pubblicazioni scientifiche e altro e riadattati in funzione ironica. Tra i vari materiali presenti nelle riviste popolari, hanno utilizzato anche i cruciverba. Questi venivano prelevati direttamente dalle riviste di enigmistica popolare o dalle pagine dei giochi presenti nei quotidiani. Eugenio Miccini (1925-2007), essendo interessato ai “codici della quotidianità”, aveva iniziato nel '64 a creare rebus (cfr.§ 1.3.12), negli stessi anni si dedicò anche ai cruciverba. L'interessante esempio de Il kitsch è del '65 (fig.113). Il cruciverba rettangolare è riportato vuoto, senza interventi di scrittura, e con le lettere dell'alfabeto dalla 'a' alla 'f' in verticale lungo il perimetro esterno. L'unica manipolazione fatta dall'artista è sulle caselle nere che, discretamente unite tra di loro, creano impercettibili segni supplementari, come lettere di un linguaggio segreto o un accenno di arabesco. Il titolo sembra spiegare il tema della composizione: il cattivo gusto della cultura di massa è espresso attraverso l'intervento minimalista dell'artista. Con un piccolo intervento quasi invisibile, viene chiusa la possibilità di giocare e soprattutto di completare lo schema. Anche questo è un gesto di “guerriglia semiologica”, incruenta: quella che viene uccisa è ancora una volta la norma, la regola del gioco, il patto che per abitudine viene accettato dal fruitore. Nella seconda opera scelta, senza titolo del '75 (fig.114), Miccini ritaglia un cruciverba, ne colora di rosso le caselle normalmente nere e riempe con parole come azione, operazione e rivoluzione le caselle bianche. A fronte della scritta lasciata volutamente in evidenza che compare in alto parole e cose crociate facil, egli gioca con il linguaggio spezzando le parole e scompaginando il senso di lettura. Anche qui c'è un modo anarchico nell'interpretazione del gioco linguistico oltre al messaggio rivoluzionario che vuole essere veicolato. 148 Michele Perfetti, altro esponente del Gruppo 70 ha lavorato a un numero consistente di opere in cui compaiono schemi di cruciverba prelevati. Per sua stessa affermazione, li ha utilizzati partendo dal presupposto che «durante gli anni Settanta, la comunicazione era vista come un aspetto reiterato» perché «più che parlare, siamo parlati e quindi il cruciverba è un aspetto di questa visione».286 La comunicazione 'chiusa' del tipo 'a domanda risponde' è l'aspetto che maggiormente interessa l'artista e viene espresso attraverso il facile meccanismo del cruciverba. In Utopia? Del '73 (fig.115), uno dei molti collage con cruciverba della collezione Palli, una ragazza nuda tiene in mano un cruciverba riempito con la parola a stampatello che dà il titolo all'opera. Il suo volto è coperto da un piccolo mappamondo che la rende irriconoscibile. Uno dei temi cari alla Poesia tecnologica di quegli anni è presente: i messaggi pubblicitari con la presenza del corpo femminile come richiamo erotico, esposto in questo caso su un ripiano e davanti a un vero cartellone pubblicitario. La parola 'utopia' che trova spazio nelle caselle vuote del cruciverba, è contornata da molti punti interrogativi sparsi qui e lì e completa il senso dell'immagine. Con il collage Niente e nessuno del '79 (fig.116), Perfetti riprende il tema del prelievo di cruciverba fatto negli anni precedenti, a cui aggiunge il livello della manualità che in genere non utilizza. In questa opera ricrea infatti a mano libera tutta la griglia di un cruciverba disegnandola a pennarello sopra la foto di un giornale che rappresenta due ragazzi sorridenti seduti sul bagnasciuga. All'immagine allegra e positiva sovrappone, per contrasto, le due parole del titolo, ripetute anche scritte al contrario. Le parole negano il contenuto dell'immagine creando una sorta di ossimoro visivo che vuole mettere l'accento sulle convenzioni implicite nel linguaggio. In anni recenti, Giuseppe Chiari, artista di ambito Fluxus ma vicino alla Poesia visiva, ha 286 Intervista telefonica del 25 settembre 2011. 149 inserito cruciverba nelle sue opere come in una della serie Non c'è musica più bella del '90 (fig.117). Il foglio del giornale, aperto sulla pagina dei giochi, campeggia nella sua composizione con uno schema di cruciverba ben in mostra. Anche nei «giochi di scrittura» inseriti dentro forme quadrate da Alighiero Boetti (cfr.§ 1.3.11), rintracciamo lo schema delle parole crociate.287 Bartezzaghi individua nella volontà ordinatrice di Boetti l'utopia, sconfitta in partenza, del voler catturare e classificare elementi fluidi come può essere la lunghezza di un fiume o l'aleatorietà del linguaggio. In queste sue opere ononime (neologismo che Boetti utilizzava per definire sue opere che progettava e faceva poi eseguire da altri, nel caso dei quadrati da cucitrici orientali),288 come in altre, Boetti inventa le proprie regole e invita il fruitore a assumere una «attitudine linguistica»289 per decifrarle. La griglia, nei suoi vari aspetti, dal semplice reticolo di linee ortogonali, ai diagrammi più complessi, dai cruciverba ai tracciati più irregolari è stata dunque riferimento importante per le sperimentazioni verbo-visive dell'avanguardia degli anni Sessanta e Settanta. Lo schema, già utilizzato come sottotraccia nell'ambito della pittura astratta è dichiarato in maniera palese in queste opere focalizzate alla destrutturazione del linguaggio e, come nel caso della Poesia visiva, a una critica al linguaggio dei mass-media. Nel caso di Novelli, la griglia, come visto, ha diversi riferimenti nella sua opera, dal ricordo di strumenti didattici per l'infanzia (alfabetari e tavole pitagoriche) al cruciverba (francese), alle tavole crittografiche (Vigenère), con uno sguardo, forse, alle tavole di chiromanzia. Di fondo rimane però l'adesione al pensiero strutturalista di Lévi-Strauss, e all'uso di griglie e tabelle che tanto lo attrassero. Con la sua continua opera di scomposizione, Novelli sembra cercare sempre la dimensione del nonsense, una delle 287 288 289 Bartezzaghi 2004, cit., pp.301-303. Stefano Bartezzaghi, Scrittori giocatori, Einaudi, Torino 2010, pp.284-285. Bartezzaghi 2010, ivi, p.287. 150 costanti della sua opera. Come sostiene de Marchis, entrando in gioco l'esperienza, «il rapporto, l'ordinamento che questa struttura istituisce fra i fenomeni non si presenta più come possibilità di scoprire o applicare una legge universale, o di ridurre a legge l'esperienza. É una volontà di ordine senza possibilità di verifica attraverso un riferimento, è un ordinamento che esclude ogni gerarchia deterministica. Non un giudizio sull'intima razionalità del mondo, ma un continuo impegno di giudizio, l'impegno della coscienza nel presente dove ogni soluzione è possibile».290 In questo caso dunque Novelli - che come 'poieta' ricrea costantemente tutti i materiali con cui entra in contatto - offre una «lettura cruciverbista» alla lingua e alla sua scomposizione. Bartezzaghi, a proposito dell'interesse di Greimas per il cruciverba - che avvicina alla poesia in quanto realizzatori entrambi di una «comunicazione differita» dove cioè il destinatario deve indagare in tutti e due i casi per comprenderli - dice che il primo parte dal senso per ottenere un non senso, mentre la poesia «ricostruisce la significazione a partire da un non-senso apparente».291 Infine, ricordo le parole di Claude Simon scritte nel testo apparso su “Il Verri”: «L'alfabeto così accuratamente ordinato, classificato, si sparpaglia nell'immensità dello spazio. Qui le parallele s'incontrano prima dell'infinito, o, se si preferisce, l'infinito fa intrusione dentro la dimensione della tela. Le linee della rete, la scacchiera che si voleva rigida, le sue rette ondeggiano, si spezzano, si allargano, si avvicinano, ripartono in nuove direzioni, come quelle di un lastricato che adorni il fondo di una piscina. Lo spazio qui non è 'imitato' dagli artifici del trompe-l'oeil, come quelli usati dai pittori che amano la prospettiva, ma sulla superficie a due dimensioni, intangibili, della tela, ci viene rappresentata l'idea stessa dello spazio».292 290 291 292 De Marchis 1976, cit., p.114. Bartezzaghi 2004, cit., p.285. Simon 1963, cit., p.65. 151 1.3.10 Parole rovesciate Parole o singole lettere rovesciate, sopra/sotto o destra/sinistra, sono frequenti nell'opera di Novelli. I disegni scelti rappresentano un esempio di un altro gioco visivo con il linguaggio inserito nei suoi lavori dall'artista già dalla fine degli anni Cinquanta, anni in cui l’impaginazione rovesciata di parole o frasi inizia a essere utilizzata anche nell’ambito della pubblicistica d’avanguardia,293 con un effetto cinetico molto evidente. Nonostante il fatto che Novelli usi esclusivamente scrittura calligrafica, il riferimento può essere individuato principalmente nelle sperimentazioni di Poesia concreta che il pittore italiano iniziò a conoscere durante il suo soggiorno brasiliano. Vicino in quegli anni all'astrattismo concreto teorizzato da Max Bill (che aveva conosciuto a Zurigo nel '47), Novelli ebbe anche modo di vedere l'importante mostra di Carlo Belloli che si svolse a San Paolo.294 Come noto, il ruolo svolto dall'artista tardo futurista apprezzato anche da Marinetti, fu fondamentale sia come precursore, sia come tramite per lo sviluppo della Poesia concreta in Italia (da cui si dissociò in un secondo momento). Novelli ebbe probabilmente anche la possibilità di leggere nella lingua originale l'Antologia internazionale di Poesia concreta di Eugen Gomringer che uscì nel '57, dove era espressa l’adesione alla teoria concretista di Bill, anche se l'artista svizzero era in parte critico rispetto alle sue posizioni. In Scorcio del primo tema del '58 (fig.118), leggiamo alcune parole in corsivo altre in stampatello, inserite a volte entro riquadri, alcune sono scritte al contrario e con le lettere ribaltate come quelle che danno il titolo all'opera. Da quello che capiamo, sembra una delle 293 In “Phases” 1954, cit., il saggio di Claude Tarnaud, La forme réfléchie, pp.21-22, ha il titolo impaginato specularmente. 294 Arrigo Lora-Totino, Poesia concreta in Alfabeto in sogno 2002, cit., p.406. Nel 1953 furono esposte tutte le pubblicazioni di Belloli al Club Ipitiranga e all'Istituto culturale italo-brasiliano. 152 cronache di qualche evento sportivo (in questo caso forse più di uno) che Novelli a volte riporta nelle sue opere: una favorevole occasione per pareggiare se non che al momento di effettuare piazzati … per merito del fotografo...1 minuto e ½...fallo laterale NAGYRA VIDALA...entra in area ma l’arbitro termina l’azione 3 a tre è partita la fine pericolosa 30 secondi al termine della partita...daki-sp 1-0...I N I 24...Fuori la linea i tre sciabolatori azzurri hanno superato il I turno. In questa opera come in altre, il gioco del rovesciamento di alcune lettere sembra avere come scopo quello di rendere dinamica la visualizzazione delle parole, che qui riguardano le azioni di alcune partite, anche se descritte solo per cenni. I volta, del ‘60 (fig.119) è una dichiarazione di gioiosa appropriazione di qualcosa che evidentemente prima era negato. Sul lato sinistro, sopra una pennellata di colore campeggia a caratteri cubitali I VOLTA. Dentro la pennellata leggiamo: neo ora scrivo come/ mi pare e piace/ per la prima/ volta in bella/ calligrafia e/ senza rumore. Sul lato destro, dentro un riquadro: I VOLTA per la prima volta/ nella mia vita/ mi è venuto/ in mente che/ fosse possibile di/ trovare qualche/ cosa di così/ dolce come un/ cono gelato/ CONO GELATO/ CONO GELATO/ per la prima/ volta nella/ mia vita. Evidentemente per dar loro importanza, solo le parole cono gelato sono perfettamente rovesciate e speculari. Un interessante confronto con il rovesciamento operato da Novelli nel suo lavoro si può fare con un particolare di una tavola illustrativa di una macchina catottrica della già citata Ars magna di Kircher (fig.120). In basso sono riportati gli alfabeti latino, ebraico, greco, sia in forma normale che speculare, come esempio delle possibilità date da uno dei dispositivi ottici che creavano grande meraviglia presso i contemporanei. Questo è uno dei tanti esempi di quanto nei testi antichi si possano rintracciare materiali a vario titolo interessanti 153 per gli artisti del XX secolo che più o meno consapevolmente si sono ritrovati a utilizzarli. In un riquadro in alto a sinistra di Farlo divertire del '62 (fig.121), si leggono le due parole che danno il titolo al foglio, I farlo sopra a II divertire separate da una linea. Di seguito le due parole unite come in un'operazione matematica che fonde i due termini. Poi, dopo un segno di uguaglianza, leggiamo alle 21 e 30 vita pubblica e segreta Segreta a. Più sotto, in un altro riquadro buonanotte non riesco a capire perché e non con parole oscure. Ancora più in basso l'unica parola che si riesce a distinguere è matti. Il senso di questo disegno, che ha una struttura abbastanza regolare con i suoi riquadri tracciati in maniera piuttosto precisa, è negato. In questo caso il rovesciamento assomiglia a una lingua segreta, come sembra dichiarare una delle parole scritte. Il linguaggio non è da prendere sul serio, si può utilizzare per comunicare, ma anche per nascondere il significato delle parole, definitivamente. Le date dei disegni presi in considerazione fanno dunque effettivamente pensare a precise suggestioni dalla Poesia concreta. Novelli, che in quegli anni iniziava a inserire la scrittura nei suoi lavori, deve essere rimasto colpito dal sovvertimento visivo operato dagli sperimentatori nei riguardi della tipografia (come già i futuristi). Alcuni particolari del Piano pilota per la poesia concreta scritto dai fondatori del movimento brasiliano,295 possono essere messi in relazione con determinati aspetti del suo approccio linguistico tra fine anni Cinquanta e inizio Sessanta: ad esempio lì dove viene messa in risalto l'importanza dello «spazio grafico come elemento strutturale» e del «concetto di ideogramma, sia nel senso specifico (Fenollosa - Pound) di metodo di composizione basato su una giustapposizione diretta-analogica, non logico-discorsiva degli elementi» con un 295 Augusto e Haroldo de Campos, Décio Pignatari, Piano-pilota per la poesia concreta, 1953-1958, in Archivio di Nuova Scrittura, Milano 1991, p.32, ora in Arrigo Lora-Totino (a cura di), Poesia concreta, Sometti, Mantova 2002, pp.29-32. 154 riferimento all'idea del montaggio. Da tutti i diretti precursori, poi, Mallarmé Pound Joyce Cummings Apollinaire, Futurismo e Dadaismo oltre a vari altri autori, i concretisti prendono stratagemmi tipografici, l'atomizzazione delle parole e molto altro, cosa che Novelli inizia a usare e che approfondirà negli anni Sessanta. Come questi poeti egli, in maniera ludica - come sempre non sistematica e per il tempo limitato di alcuni esempi -, usa le parole anche dal punto di vista visivo, dando valore semantico alla struttura con cui le compone sul foglio. In definitiva anche lui preferisce alla sintassi consueta quella che si può definire «sintassi della superficie».296 Seppure con la sostanziale differenza che la Poesia concreta utilizza solo caratteri tipografici e Novelli solo scritte calligrafiche, si può fare dunque un confronto tra i rovesciamenti operati da Novelli e opere di Poesia concreta, ad esempio con Mensch, la famosa composizione di Gomringer del 1960 (fig.122), in cui sono presenti sia l'anagramma nonsensico che la specularità della stessa parola ripetuta nelle diverse versioni. Anche nella composizione di Lora-Totino, Tempo del '65 (fig.123) ci sono vari tipi di rovesciamento della stessa parola che poi viene sovrapposta a simulare l'idea di accumulo temporale. Il tema del tempo è uno dei più importanti per i concretisti e come in questo caso «si può definire con la formula: forma = contenuto e viceversa (isomorfismo). I suoi materiali, parole: suono, forma tipografica e grado semantico, e la sua situazione un problema di funzioni-relazioni di tale materiale».297 Con l'opera Love is a bitter mystery, del '65 (fig.124) di Reinhard Döhl abbiamo la prova di quanto la poesia concreta conferisca alla lingua, secondo le parole di Accame, «le qualità, se così si può dire, di un organismo vivente, dotato di energia. La parola in sé non è soltanto un frammento linguistico, come in un discorso poetico lineare (…) bensì anche e 296 297 Andreas Hapkemeyer, Poesia Concreta, in La parola nell'arte, Mart, Skira, Milano 2007, p. 237. Lora-Totino, cit., 2002b, p.408. 155 soprattutto una materia semanticamente fluida, che i processi compositivi trasformano in un ‘modello tipografico’, in un fatto segnico autonomo, evadendo, tramite l’invenzione, il codice linguistico di partenza. (…) Il senso dell’esperienza concreta è intimamente racchiuso nel valore che viene ad assumere la quantità, la fisicità della parola, che nella sua concettualizzazione giustifica se stessa, polverizzando la struttura della sintassi e della grammatica, cioè di quelle strutture linguali entro i cui limiti era stata sempre confinata».298 La poesia concreta lavora dunque sulla parola e sulla forma che può assumere nello spazio, ma come pratica di tipo costruttivista piuttosto che espressionista a cui Novelli si è interessato dal punto di vista strutturale, ma che ha utilizzato secondo una propria forma personale. Egli sembra essere interessato al sistema combinatorio-permutazionale dei blocchi linguistici per poi distruggerlo. Nel suo caso potrebbe essere semplicemente attinente la definizione di “Imaged Words e Words Images” coniata da Kostelanetz (Balboni 2007) nel suo testo, dove una parola o una frase significante è dotata di una forma visuale, così che il linguaggio è valorizzato dal mezzo pittorico. Per finire, a dichiarare ancora una volta la varietà dei suoi interessi, nella biblioteca di Novelli (Arch. Mich.) c'è una copia del famoso haiku giapponese del 1686 rielaborato in forma di raffinato origami e composto come un'opera concreta nel '65, Old pond ya: a frog jumps in: water 460/500, di Matsuo Bashō,299 il più importante poeta del periodo Edo. 298 Vincenzo Accame, Il segno poetico. Riferimenti per una storia della ricerca poetico-visuale e interdisciplinare, Munt Press, Samedan (Svizzera) 1977, p.61. 301 Matsuo Bashō, Old pond ya: a frog jumps in: water 460/500, J.Furnival Rookmoor House, Woodchester Glostershire 1965. 156 1.3.11 Quadrato magico Tra gli appunti di Novelli appare, forse un unicum, un quadrato magico. Lo schizzo a penna (fig.125) fa parte di uno dei tre taccuini di appunti eseguiti nel '67 durante il suo soggiorno veneziano.300 Il carattere spontaneo del disegno e soprattutto i tre tentativi che precedono sullo stesso foglietto il quadrato magico finito che compare in alto sulla sinistra, fa pensare a un gioco con se stesso più che a una copia da un modello. O forse semplicemente a un esercizio di memoria da qualche figura vista in precedenza. È un fatto che il quadrato magico tracciato dal pittore su un taccuino che riporta molti riferimenti alla città di Venezia, sia identico, anche se rovesciato, a uno degli amuleti riportato da Agrippa (fig.126) nel suo De Occulta Philosophia.301 L'autore del trattato sulla magia presenta il quadrato magico di lato tre a cui sembra riferirsi Novelli. Secondo la tradizione, questo era uno degli amuleti utilizzati in varie occasioni e era messo in analogia con il pianeta Saturno e con il piombo: ogni pianeta ha un quadrato magico con un numero di caselle variabili (quello di Saturno è il più piccolo con le sue nove caselle) e un metallo abbinato. Il piombo era fin dall'antichità considerato magico e corrispondente terreno di Saturno, mentre per gli alchimisti era il metallo che trasmutato avrebbe dato l'oro. Nel capitolo XXII del secondo libro, Agrippa riporta sia il quadrato con le cifre arabe sia il suo equivalente in caratteri ebraici. Il prototipo al quale attinge fu con molta probabilità un testo alchemico-cabalista arabo. Prima dei grafici riassume le caratteristiche di ogni quadrato: «La prima tavola, attribuita a Saturno, è composta d'un quadrato a tre colonne 300 301 Il taccuino B4, conservato presso l'archivio Novelli. Agrippa 1533, cit., cap.XXII. 157 contenente nove numeri particolari ed in ogni linea i tre per ogni verso ed i tre di ciascuna diagonale costituiscono il numero quindici e la somma di tutti i numeri dà un totale di quarantacinque. Presiedono a questa tavola i nomi che formano i numeri indicati, tratti dai nomi divini, insieme a una intelligenza pel bene e a un demone pel male e dagli stessi numeri si ricavano i segni o caratteri di Saturno e dei suoi spiriti, che riproduciamo più avanti. Questa tavola incisa su disco di piombo con l'immagine di Saturno glorioso, facilita i parti, rende l'uomo sicuro e possente e fa ottenere dai principi quanto si chieda. Ma se è dedicata a Saturno infortunato, è contraria agli edifici e ai campi, fa decadere dagli onori e dalle dignità, fomenta le liti e i disordini, fa disperdere le armate».302 Alla fine della descrizione di tutti i quadrati, avvisa che «un abile indagatore potrà facilmente trovare il modo di ricavare da queste tavole i sigilli e i caratteri dei pianeti e dei loro spiriti».303 4 9 2 3 5 7 8 1 6 A ogni numero del quadrato magico di Saturno corrispondono, come nella tradizione islamica, nomi divini: al 3 Ab; al 9 Hod; al 15 Iah e Hod; al 45 Di quattro lettere, Agiel o l'intelligenza di Saturno, Zazel o il demone di Saturno. Sul suo foglietto Novelli ricostruisce dunque il quadrato di Agrippa con il numero magico di 15, che evidentemente cercava, visto che lo indica esternamente al perimetro più volte. Rispetto a quello, la sequenza dei numeri è però invertita: 302 303 2 9 4 7 5 3 6 1 8 Agrippa 2008 [1972], cit., p.70. Agrippa 2008 [1972], cit., p.73. 158 Questo esercizio fatto dall'artista non sembra sia stato utilizzato in qualche sua opera grafica o pittorica (siamo al '67 e forse non ha avuto il tempo), ma è molto interessante che tra i suoi appunti compaia anche questo riferimento all'antica cultura esoterica. Abbiamo già detto dei suoi interessi per le scienze occulte, la numerologia, la Cabala e l'alchimia e il quadrato magico sembra compendiare tutti questi saperi. Anche se non è possibile ora stabilire con certezza come egli sia venuto a conoscenza dell'amuleto numerico di Agrippa, tentiamo di fare delle ipotesi. Novelli conosceva certamente la 'tavola di Giove' tracciata da Dürer nella sua famosa incisione Melancolia I del 1514 - che costituisce il primo esempio di quadrato magico in un'opera d'arte (anche questa, ripresa da Agrippa o più probabilmente da Marsilio Ficino, risulta invertita nell'ordine) - almeno per il fatto che il suo amico René de Solier aveva studiato l'opera dell'artista rinascimentale e ne aveva dato un ampio resoconto nel suo L'art fantastique,304 che come vedremo (cfr.§3.1.12), avrà riscontri anche per un altro argomento di questo studio. Nella nota relativa all'opera di Dürer, lo scrittore parla anche di Agrippa che «evoca la tragedia dell'ispirazione», citando a questo proposito lo studio di André Chastel su Marsilio Ficino il quale afferma che lo strano ardore malinconico non stimola solo chi è sottomesso a Saturno, ma anche gli uomini di immaginazione e gli artisti dotati di genio superiore e adatti a presentire le catastrofi del mondo fisico. Procedendo nell'analisi della complessa simbologia delle figure contenute nell'incisione, si sofferma sul quadrato magico, dandone un'accurata descrizione e fornendo dettagli di numerologia per ogni cifra relativa al quadrato. La 'chiaroveggenza' a cui la malinconia orienta viene analizzata dallo scrittore francese in modo molto accurato che non dovrebbe essere sfuggito a Novelli. Egli sembra 304 Solier 1961, cit., pp.178 e segg. 159 ripensare anni dopo alle nozioni di cultura magica apprese dalla loro frequentazione, che ricordiamo, proseguirà fino al '68, anno della sua morte ma anche della Biennale di Venezia per la quale de Solier scrisse la presentazione sul catalogo, che fu poi ritirato in seguito alla protesta.305 Ne Il quadrato di Munari, che come visto era nella sua biblioteca, tra i tanti esempi storici di forme quadrate compaiono i quadrati magici e tra questi la stessa combinazione utilizzata da Novelli nel suo taccuino di appunti.306 Nel paragrafo dedicato, prima di fornire l'esempio di otto quadrati magici di ordine tre, Munari dà alcune notizie 'tecniche' sui quadrati magici e spiega anche quelle che vengono definite 'semplici' trasformazioni che consentono al quadrato di rimanere comunque magico: «a. rotazione attorno al centro di uno, due o tre angoli retti, per esempio in senso orario; b. simmetria secondo la mediana orizzontale o verticale; c. simmetria rispetto a una o all'altra diagonale; d. la sostituzione di ogni numero con il suo complementare rispetto a n2+1». Non è possibile sapere quando il pittore entrò in possesso del libro del suo amico,307 anche se si può pensare che al più tardi fu quando si occupò della redazione di Antologia del possibile, pubblicato nel '62 dalla stessa casa editrice. Le due pubblicazioni, di identico formato, facevano parte entrambe della serie “il quadrato”, curata dallo stesso Munari. In ogni caso, sembra un fatto che quando Novelli tracciò quei tentativi di quadrato magico sul suo taccuino di appunti, cercava di ricordare quello che aveva potuto vedere nel libretto del suo amico. Anche se negli ultimi anni il suo lavoro è sempre più impegnato a prendere una posizione politica, Novelli rimane affascinato dalla cultura esoterica e dalla numerologia (il numero 305 306 307 De Pirro 2011, cit., p.80. Munari 1960, cit., p.62. I due artisti si conoscevano dal 1955 quando Munari invitò Novelli a esporre alla galleria B24 di Milano le sue opere con uso di materiali sperimentali. 160 quattro è un numero simbolico con un forte potere di associazione). Disegna il suo quadrato magico dopo anni in cui aveva inserito nei suoi lavori griglie e aveva giocato con i quadrati, mentre il cubo era comparso come forma di alcune sue sculture già nel '62. Anche il suo interesse per la forma dei mandala si può riferire alla sua preferenza per la forma quadrata (cfr.§1.3.8) ed è da mettere in rapporto con il testo di Jung.308 Solo con l'uso di tasselli cromatici, come noto, Klee fece molti dipinti che si possono definire quadrati magici, i cui titoli sono significativi e dichiarano l'intenzione poetica del pittore, come ad esempio Armonia, Armonia in azzurro e arancio, Architettura: cubi sfumati dal giallo al porpora, Architettura del quadro rossa gialla blu (fig.127). Novelli conosceva probabilmente anche i dipinti di Klee con le scacchiere colorate, di cui si parla in un libretto di Grohmann su Klee uscito in Italia probabilmente nel 1959. A proposito del dipinto Architettura del '23, il critico scriveva: «È uno dei quadrati “magici”, che iniziano nel 1923 e che s'incontrano fino al 1940. Anche in questi dipinti a scacchiera, composti da quadrati e rettangoli colorati, Klee ha pensato a esperienze vissute ed ha identificato le forme astratte con fatti concreti. In un quadro come Architettura sarebbe possibile vedere, nei rettangoli gialli, verdi e violetti, cubi e case, tanto più che i triangoli verso il margine superiore suggeriscono l'idea di torri. Così pure, in un altro quadro di questa serie, si potrebbe vedere, nei rosa chiari e nei gialli biancastri, qualcosa “in fiore”. Il punto di partenza è l'invenzione di segni pittorici, che celano come un velo un fatto misterioso. Vi sono fogli di appunti di Klee, sui quali egli ha scritto, nelle singole caselle, numeri in una determinata successione, e le somme delle cifre in senso orizzontale e quelle in senso verticale danno il medesimo risultato, come nel quadrato magico. La struttura è da un lato ritmica, dall'altro cromatica-armonica, con tendenza a superare maggiore e 308 Jung 2008 [1992], cit., p.97. 161 minore».309 Inoltre nell'introduzione Grohmann mette in relazione i quadrati con la musica contemporanea: «lo schema con i quadrati presenta certe analogie con la teoria dodecafonica di Schönberg, e tanto nell'uno che nell'altro caso si potrebbe parlare di “quadrati magici”. Ma mentre il musicista rimane fermo al suo schema per lungo tempo, sia pure con variazioni, Klee passa a nuovi schemi, per esempio a componimenti dal carattere di fuga». Afferma poi che Klee considera suo compito decisivo rendere visibile, non riprodurre ciò che visibile è già, volendo porre l'oggetto in rapporto visibile con la terra e l'universo: «molto tempo prima di Heidegger, Klee inventa dunque un “quadrato” composto dall'Io e dal Tu, dalla terra e dall'universo». Oltre a Klee, il quadrato magico nell'arte evoca di nuovo il nome di Alighiero Boetti che ha fatto realizzare opere ononime310 di tipo 'orientale' (ricamate su stoffa) con lettere entro riquadri che all'apparenza formano parole senza senso, ma che lette seguendo l'andamento verticale e spaziandole danno frasi compiute di lunghezza variabile. Bartezzaghi racconta come venivano creati: «scelta una parola o una frase da quadrare, Boetti preparava un modello. Su un telo disegnava il quadrato; lo divideva nei quattro, nove, venticinque, trentasei quadratini, disegnava in ogni quadratino il contorno della lettera corrispondente. Il telo così preparato veniva inviato a una donna afgana che ricamava ogni area delimitata dal disegno di Boetti con un filo di colore diverso. I colori li sceglieva la stessa ricamatrice fra quelli concordati in precedenza».311 Le frasi contenute nei suoi quadrati, come Non parto non resto, Ordine disordine, Perdita di identità e molte altre, hanno la forza e l'incisività di aforismi, spesso spiazzanti e che a volte sono citazioni colte come la prima che è tratta da un'aria della Didone abbandonata 309 310 311 Grohmann s.d., cit., tavola 13. Nel 1973 Boetti inventò il neologismo che spiegava con la formula: ononimo = omonimo più anonimo, cioè opere progettate dall’artista e eseguite da altri. Bartezzaghi 2010a, cit., p.285. 162 di Metastasio. I quadrati di Boetti invitano alla lettura e alle diverse stratificazioni che una simile operazione propone. Ancora una volta il carattere magico sembra riposto nel corto circuito che si viene a creare tra opera visiva, lettura e linguaggio, e se vogliamo, con la ricerca delle regole che di volta in volta l'artista - in questo caso Boetti, ma abbiamo visto come per Novelli fosse lo stesso anche se da prospettive diverse - inventa. Anche le opere autografe su carta quadrettata che precedono le più famose opere ononime si possono considerare quadrati magici letterari formati dalle lettere che compongono l’espressione fonetica di alcune date (fig.128). Anche Mario Ceroli creò un quadrato magico in pino di Russia bruciato,312 evidente citazione del quadrato magico di ordine tre di Agrippa. Il quadrato magico alfabetico, o letterale, ha origini antichissime e magiche. Il quadrato magico in latino, Sator arepo tenet opera rotas, le cui parole lette in successione costituiscono un palindromo di primo tipo, è ancora oggetto di interpretazioni.313 Un fatto certo è che l'anagramma delle venticinque lettere dà pater noster, scritto in verticale e orizzontale, le A e le O che avanzano hanno il valore di alfa e omega.314 Stabilito il carattere sacro di questo quadrato, esemplari del quale sono stati ritrovati in luoghi lontanissimi fra loro e di epoche diverse, rimane «il primatista dell'enigmatica, intesa come ermeneutica dell'enigma senza soluzione. È infatti dubbio che, in assenza di nuova documentazione storica, si possa arrivare mai a una soluzione definitiva e scientificamente inoppugnabile del caso del Sator».315 Dall'antichità al contemporaneo, attraverso determinati artifici, il linguaggio dei segni alfabetici, numerici o cromatici si avvale della facoltà di poter svelare/velare i propri significati. 312 313 314 315 Marco Pierini, Numerica, in Numerica, cit., 2007, p.46. Si rimanda alla nutrita bibliografia che tratta l'argomento. Dossena, cit., 2004, p.225. Bartezzaghi, cit., 2007, p.222. 163 1.3.12 Rebus Il gioco linguistico del rebus, dove figura e parola coesistono, ha una storia antichissima anzi più storie perché è impossibile individuare date e origini certe316 - che si può far risalire alla nascita della scrittura. A partire dal XV secolo tra Francia e Italia inizia a essere utilizzato nella letteratura amorosa, nei manuali di calligrafia e nei trattati di arte della memoria con importanti esempi nel campo delle arti figurative, basti pensare ai numerosi rebus lasciati in forma di appunto da Leonardo e al famoso rebus a incastro per formare il nome di Lu-ci-na del quadro di Lorenzo Lotto (1518 c.). Dopo alcune riprese e allusioni a questa forma da parte delle avanguardie artistiche di inizio secolo, nella seconda metà del Novecento la neoavanguardia, tra letteratura e arte figurativa, torna sul dispositivo verbovisivo del rebus. Diverse sono le coniugazioni che vanno dalla rielaborazione di vignette prelevate da riviste di enigmistica popolare (che nel frattempo aveva avuto un notevole sviluppo) a colte citazioni da testi antichi, come fece Novelli. Nel 1963, l'artista dedica due litografie alla libera interpretazione del cosiddetto rebus di Piccardia, soggetto decisamente inconsueto in Italia. Le due opere si intitolano Rebus di Piccardia: una è di 33x53 cm. (fig.129), l'altra di 50x70 cm. (fig.130) è il frutto dell’assemblaggio tra la prima e l’altra opera già analizzata: In fondo vengono tutti i colori (cfr.§1.3.9). Presso l’Archivio Novelli di Roma è stato rintracciato un interessante foglio di un piccolo taccuino di appunti appartenuto all’artista - di cm.10x15 e archiviato come materiale del 1963/64 (fig.131). Questo foglio è dedicato esclusivamente al tema trattato nelle tre opere ed è da mettere senza dubbio in relazione alle litografie sia per la coincidenza delle date sia per il soggetto. Dall’analisi fatta si deduce che il foglio di taccuino sia da ritenersi uno dei 316 Stefano Bartezzaghi, Rebus sic mutantibus, in Ah, che rebus! 2010, cit., pp.17-18. Per un’analisi dettagliata del rapporto tra arte e rebus si rimanda al catalogo della mostra. 164 primi appunti presi dall’artista per l’elaborazione successiva delle opere e che dunque possa essere datato 1963. In questo foglio spicca in alto il titolo del tema: REBUS di PICCARDIA,317 poi una S sbarrata seguita dalla parola fermesse (fermé S), più sotto un disegno che rappresenta una catena con la parola spezzata in CATE NA, divisa da un rettangolo che sembra rappresentare una carta da gioco con un asso di quadri con una lettera R sopra e un’altra rovesciata sotto. Sopra la carta c’è una RY, accanto al disegno ancora RY e sotto, l’intero nome Caterina, scritto in corsivo. Sempre nella metà superiore è presente un disegno che rappresenta una barba e al suo interno la parola BARBA. Attaccata sotto una figura che porta la scritta 1/2 RANA e accanto il nome Barbara. Al centro del foglio, nella metà inferiore, campeggia l’intera citazione di un rebus di Piccardia che viene riportato nel foglio 6v del più antico testo francese che tratta l’argomento - citato più volte in questo studio-, Les Bigarrures du seigneur des Accords.318 L’interessante libro di bizzarrie letterarie, citato più volte nel corso di questo studio, è di Etienne Tabourot avvocato, procuratore del re e poeta che discendeva da una facoltosa famiglia borgognona nella cui impresa parlante si vedevano un tambour e un cartiglio con il motto A tous accords.319 Il piccolo volume illustrato (in 8°), è un repertorio per la composizione di forme poetiche eccentriche, una specie di enciclopedia di “retorica divertente”,320 tratta di emblemi, anagrammi, versi retrogradi, acrostici e rebus. Nel capitolo che parla dei rebus di Piccardia, non si riferisce in realtà alle due raccolte conservate presso la Bibliothèque Nationale di Parigi. Tabourot parla principalmente di 317 Per ‘Rebus di Piccardia’ si intendono i rebus miniati presenti in due manoscritti conservati presso la Bibliotèque Nationale di Parigi e sono databili tra la fine del '400 e l'inizio del '500. Anche le monete dette des Innocents, che si riferiscono alla festa dei folli, sono da riferire ai rebus di Piccardia. 318 Tabourot 1583, cit. 319 Il testo fu scritto dall’autore dopo alcune opere poetiche e un dizionario di rime francesi. È il primo libro di artifici linguistici e poetici pubblicato in lingua francese. Fu ristampato con alcune varianti fino al 1662. Dei quattro libri previsti ne furono pubblicati due: il primo e il quarto. 320 Estienne Tabourot, Les Bigarrures du seigneur des Accords (premiere livre), 1588. Traduction et notes par Francis Goyet, Droz, Ginevra 1986. Questa è la riproduzione anastatica dell’edizione del 1588. 165 emblemi e imprese, in francese devise (divisa, marca distintiva), illustrando esempi della tradizione italiana e citando anche il celebre trattato di Paolo Giovio su questo argomento.321 L'uso dell'aggettivo piccardo si riferisce al fatto che proprio in quella regione del Nord della Francia era diffusa sia la tradizione delle devise, sia la loro parodia in forma di scherzo popolare. E fu in Piccardia, secondo Tabourot, che si attestò l'uso del termine di derivazione latina rebus, preferito al più generico francese des choses, per indicare l'uso di cose, cioè di immagini, al posto delle parole. Les Bigarrures è una curiosità letteraria, messa in relazione dagli studiosi, da una parte, con la ricchezza linguistica di François Rabelais (che però si espresse con salace ironia su questi giochi) e, in avanti, con gli esperimenti ludici dell'Oulipo. Nel foglietto, accanto al rebus riportato in quasi tutti i suoi particolari, Novelli scrive una sorta di appunto inserito in un riquadro, REBUS: scrivere usando invece che le parole disegni rappresentanti oggetti noti messi insieme. La nota di Novelli è la traduzione della frase del Tabourot, Rebus: laquelle se pourroit ainsì definir que ce sont peinctures de diverses choses ordinairemenmt cognues (f.4v). L’originale dell’impresa-rebus riportato da Novelli presenta nella fascia esterna di un campo circolare il motto tracciato a lettere capitali, TRE DI AMANTI IN UNO (fig.132), il quale si riferisce all’immagine centrale che presenta un prezioso pendente, con tre diamanti incastonati. Contrariamente al titolo, l'impresa (o emblema) non fa parte di uno dei rebus incisi su monete di piombo tra il 1495 e il 1570 e riconducibili alle due serie di rebus miniati riportati in due manoscritti piccardi della fine del ‘400, ma è una della tante citazioni che Tabourot fa nel suo libro da Paolo Giovio. 321 Paolo Giovio, Dialogo dell’imprese militari e amorose, 1° ed., Antonio Barrè, Roma 1555. 166 I rebus di Piccardia si basano di solito sulle omofonie, operazione alla quale la lingua francese si presta particolarmente. Riferimento per questo tipo di composizioni che hanno il carattere giocoso dell’intrattenimento popolare, dove la relazione tra immagini e parole ha sempre carattere burlesco322 è la serie di racconti scritti tra il 1530 e il ’40, Gargantua e Pantagruele323 dove Rabelais usa numerosi calembours, giochi di omofonia e rebus.324 Ma nel caso specifico del rebus ‘scelto’ da Gastone Novelli, egli riporta una frase in lingua italiana e non si presta dunque al gioco di noms transportés, amato da Rabelais. La storia del motto e dell’intera impresa-rebus325 è riportata dal Tabourot. Sotto un papa serio e austero come Adriano VI (1522-1523), un nunzio apostolico si permise di ricorrere alla fantasia del rebus e di adattare la moda delle divise alla sua funzione e alla sua fede, in sacrificio del piacere mondano di portare gioielli. Il pendente ha tre diamanti incastonati uno vicino all’altro e inseriti in una forma circolare. Questa disposizione ha, secondo il Tabourot, un significato mistico. Infatti Tre diamante in uno (sottinteso circulo) significa “tre di amante in uno” ovvero “amante tre dei in uno”, che è evidentemente un simbolo della Trinità. E’ difficile non notare una certa distanza dalle cose di fede mostrata da questo rebus, che fa pensare a una qualche libertà critica nei confronti della Chiesa.326 Pur tuttavia questa impresa ha un significato di fede. Gastone Novelli già nel foglio di taccuino, e poi soprattutto nelle litografie, approfondisce, appropriandosene, la distanza culturale dall’originale mettendo in evidenza la libera interpretazione dell’immagine verbovisiva prelevata. Anzi, arriva a fondere significati ‘amorosi’ a sacri lavorando sul testo dal quale cita. 322 323 324 325 326 Franco Bosio, Il libro dei rebus, Vallardi-Garzanti, Milano 1993, p.21. François Rabelais, Gargantua e Pantagruel, in cinque libri pubblicati a Parigi tra il 1534 e il 1564. Jean Céard, Jean-Claude Margolin, Rébus de la Renaissance. Des images qui parlent, Maisonneuve & Larose, Paris 1986, p.17. Céard, Margolin, ivi, 1986, p.21, fig.9. Céard, Margolin, ivi, 1986, p.264-5, nota 128. Libera traduzione di chi scrive. 167 Infatti, la palese citazione fatta da Novelli dall’impresa-rebus illustrata dal Tabourot, conduce sulle tracce dei nomi-rebus. Nel foglio 5v. dello stesso testo - siamo alle pagine introduttive ai rebus di Piccardia - l’autore francese ci mette al corrente dell’invenzione tutta italiana di nomi di donna trasformati in imprese. E per introdurre questa particolare forma di devozione di amanti innamorati fa l’esempio di quattro nomi di donna: Caterina, Giovannella, Barbara e Margherita, aggiungendo anche la descrizione verbale del rebus con i tre diamanti del quale darà poi anche l’immagine. Le notizie circa i nomi arrivano al Tabourot dal Dialogo di Giovio. Eccoci dunque ai nomi di Caterina e Barbara citati da Novelli. In questo caso però la citazione è una traduzione per immagine di una descrizione verbale.327 L’artista interpreta ‘alla lettera’ la descrizione evidentemente letta sul testo antico consultato,328 a cui aggiunge aspetti del tutto personali. In fondo vengono i colori, (fig.106) presenta un segno spiraliforme e leggermente ovale in cui sono inserite parole, numeri e altri segni secondo il consueto vocabolario dell’artista. Nella parte inferiore alcuni riquadri sono colorati di blu e verde. Come appare evidente in questo lavoro il riferimento al rebus è vagamente espresso oltre che dall’andamento spiraliforme della struttura che avvolge l’immagine, dalla presenza di una figura circolare concentrica in alto sulla sinistra che richiama la forma delle imprese. Mentre è sicuramente più evidente il carattere autobiografico dell’immagine (cfr. §1.3.9). La scritta le origini vie l’uomo per/ il centro del giardino sembrano essere un chiaro riferimento alla montagna posta subito sopra. 327 328 Nell’edizione del 1588 è inserita anche un’impresa dedicata al nome di Caterina che reca come motto: “Caterina sopra tutti gli denari” dove la figura del re di denari è chiaramente ispirata alla carta dei tarocchi. Nelle edizioni successive e soprattutto in quella del 1662, probabile fonte di ispirazione per Novelli, l’impresa non è più presente. Il Tabourot parla del nome di Caterina derivato da una catena portata da un amante che aveva al centro una carta di re di denari (RY in bolognese) che stava a significare “questa Caterina valeva tutti i denari del mondo”. Mentre per il nome Barbara, dopo la descrizione di un innamorato che usava portare sotto la barba, una mezza rana, aggiunge una nota spiritosa “sarebbe stato meglio se avesse portato la barba rasata a metà: così avrebbe potuto fare barbara-za”. 168 Rebus di Piccardia (fig.129) è invece di un bel colore giallo oro e non presenta campiture colorate. La figura principale ha una forma circolare ed è posta sopra un’altra che ricorda ancora una volta il profilo di una montagna. Questa ha una figura a forma di spirale all’interno. La figura circolare con cerchi concentrici al suo interno divisi a loro volta in riquadri come si è visto sopra, è stata usata spesso da Novelli con vari riferimenti che di volta in volta sono stati la ruota della fortuna, il gioco dell’oca, il disco di Festo. I temi si sono anche sovrapposti come in questo caso in cui il riferimento alla forma circolare è sicuramente riconducibile alla forma delle imprese-rebus a cui si è ispirato. E’ utile leggere le immagini inserite da Novelli nelle ‘caselle’ iniziando dal cerchio più esterno: si tratta di segni vagamente geometrici, in uno dei quali vi è un tipico accenno a una ripartizione a fasce, frequente nel vocabolario espressivo dell’artista. Nel cerchio mediano troviamo: il motto IN UNO TRE DIAMANTE con il disegno del pendaglio, simile a quello riportato sul foglietto di appunti ma semplificato. Nel riquadro successivo il disegno di una barba con la scritta BARBA al centro, sotto la parte superiore di una rana. Più sotto la scritta ribaltata del nome BARBARA, 1/2 RANA e sotto la scritta REBUS DI PICCARDIA. Nel riquadro successivo il nome MARIA con figure che potrebbero essere conchiglie (mare/Maria? o forse Marina, che era la sua compagna all'epoca e alla quale dedica tantissime opere). Nello spazio successivo c’è il disegno di una catena interrotto dalla figura di una carta da gioco con un asso di quadri con due K e sopra le lettere RY. Si tratta evidentemente di un rebus a incastro che dà il nome di CATE RY NA, non nuovo nella tradizione delle imprese. Il cerchio interno presenta una composizione piramidale di numeri che vanno da 1 a 6 sopra una figura vagamente antropomorfa che di lato presenta la serie 4 7 4 7. Come noto, l’inserimento di numeri è fatto molto frequente nelle opere di Novelli con il carattere di 169 serialità implicito e con i forti riferimenti alla numerologia cabalistica alla quale i numeri quattro e sette ad esempio rispondono. La terza litografia si presenta come l’accostamento delle prime due, senza campiture colorate e con l’aggiunta di poche lettere, dunque sostanzialmente simile nella struttura alle altre. Come già riscontrato, anche in questa breve serie sul rebus troviamo un uso ‘personalizzato’ del materiale prelevato. Al significato religioso dato dal prelato italiano (in relazione con la divina Trinità), Novelli sovrappone evidentemente il significato più prosaico e comune del termine ‘amante’ accostando all’immagine del gioiello con tre pietre preziose, tre nomi di donna, Caterina, Barbara e Marina, dei quali i primi due ‘prelevati dal Tabourot. Tre (di) amanti in uno. E’ molto interessante notare come Novelli abbia attinto, ancora una volta a materiali iconografici e verbali di testi antichi. La sua frequentazione con la Francia (e con gli artisti e intellettuali francesi già dal 1956) lo portò evidentemente a conoscenza del testo del Tabourot e poi al suo possesso. Il testo viene citato dal letterato René de Solier nel suo libro L'art fantastique del 1961,329in relazione alla Melancholia I di Dürer. De Solier mette in rapporto la celebre incisione con la cultura degli emblemi e delle devise, rappresentazioni di proverbi o di rebus, come quelli di Piccardia, evocati da Tabourot. E’ un fatto che Novelli nel ‘63 aveva già maturato una serie di esperienze espressive fondamentali ed era già entrato in contatto con testi esoterici, che trattavano di magia, alchimia, Cabala e crittografia dai quali trasse ispirazione per molte sue opere e che furono di fondamentale importanza per la costruzione della sua particolare cifra espressiva basata su una forte compresenza della parte verbale, il più delle volte scarnificata fino all’uso di semplici vocali, e immagini che molto spesso 329 Solier 1961, cit. Vedi nota 75. Lo scrittore francese riporta un'altra definizione di rebus: «ce sont équivoques de la peinture à la parole». 170 fanno riferimento al personale vocabolario iconico derivato da immagini antiche che vengono utilizzate anche in modo ironico e ludico. Gastone Novelli cita più volte Les Bigarrures. Nel ‘66, nella risposta a un’inchiesta sul Surrealismo, lo mise al primo posto di una lista di libri fondamentali, seguito da Rimbaud, Jarry, Klossowski.330 Nell’articolo Sul linguaggio, scritto per la rivista “Bit” n.2 del ‘67, a proposito della sua convinzione che alcuni testi di altre epoche, anche se non molto conosciuti, sono comunque “la testimonianza di un mondo possibile e valido: deux cinq signifient quines, deux trois ternes, deux six Seines…purgatorii loco liberatus”.331 Nel suo testo del ‘68, Il linguaggio e la sua funzione scrive esplicitamente: «Les Bigarrures (Seigneur des Accords) non ha certamente, negli ultimi due secoli, avuto molti lettori ma rimane egualmente la testimonianza di un mondo possibile e valido, universo stimolante, frammento significante e assorbibile in una nuova struttura di un universo simile».332 Il nome del Seigneur des Accords torna in molte opere pittoriche (ad esempio ne Il vocabolario), come omaggio a un autore che gioca con i linguaggi, memore del potere magico della parola. La prova che l'antico testo francese glielo abbia fatto conoscere proprio René de Solier è data dal reperimento presso la biblioteca di Novelli (Arch. Mich.) di due sue lettere dattiloscritte e una bozza di layout indirizzate al pittore italiano.333 Nella prima, lo scrittore propone il progetto di un piccolo libro, metà foglio di macchina da scrivere, il cui titolo doveva essere PROPOSITION II. BIGARRURES. Questa pubblicazione, che sarebbe dovuta essere stampata dalla galleria Du Fleuve di Parigi, avrebbe dovuto contenere una serie di giochi linguistici e tipografici, tutti riprodotti in «bianco e nero per non complicare». A questo proposito, sempre nella prima lettera, de Solier dà precise 330 331 332 333 Novelli, Inchiesta sul Surrealismo, ora in “Grammatica” 1976, cit., p.88. Gastone Novelli, Sul linguaggio, ora in “Grammatica” 1976, cit., pp.38-39. In questo testo Novelli cita dal f.23v. de Les Bigarrures. Novelli, Il linguaggio e la sua funzione, ora in “Grammatica” 1976, cit., p.47. La prima, datata 12.5.1962, è accompagnata dal layout, la seconda è del 11.12.1962. 171 indicazioni a Novelli su cosa deve preparare per la pubblicazione, e, per questo, oltre ai particolari tecnici, allega il layout della copertina e del colophon, dando anche il numero di copie previste che dovevano essere mille, delle quali alcune di lusso con incisioni originali dello stesso Novelli. Aggiunge poi di avere «materiale curioso» da mostrargli. Nella seconda lettera però il progetto sembra sfumare. Lo scrittore, dopo essersi scusato del lungo silenzio, dice di averlo ancora in mente, ma che non ha i finanziamenti sufficienti. Si sofferma invece su un contenzioso tra Novelli e la galleria Du Fleuve a causa della restituzione di alcuni quadri.334 Come accennato sopra, oltre alla citazione di Novelli, negli anni Sessanta e Settanta la forma rebus è usata da alcuni artisti significativi335 sia in forma di prelievo dalle riviste di enigmistica popolare come Renato Mambor, Lamberto Pignotti e soprattutto Tano Festa (1938-1988), sia reinventata ai fini della comunicazione di messaggi politici e sociali come fece Miccini. Come forma verbovisiva ha interessato artisti come Sarenco e Corrado D'Ottavi (19341984), mentre Arrigo Lora-Totino ha creato una forma non canonica di rebus nell'ambito delle sue sperimentazioni concrete. Nella frammentazione di immagini e linguaggio, si può ravvisare anche nell'opera di Baruchello percorsi di ricostituzione impossibile di discorsi compiuti, come ci indica Lyotard.336 Le sue opere non sono rebus nel senso canonico del gioco linguistico ma nella minuziosa frammentazione di scritte di ogni tipo e in diverse lingue associate a piccole figure anch'esse frammentate, si possono intraprendere vari percorsi interpretativi che inducono a cercare il primo e il secondo livello di lettura come 334 335 336 Lo scrittore francese nel testo Foret d’ecritures scritto nel ’71 per Gastone Novelli 1972, cita la Proposition II di Novelli (la prima riguardava la fase Nature et physis) chiamandola Cycle des bigarrures: Tableaux-diagrammes. Per un approfondimento si rimanda a: Ah, che rebus! 2010, cit. Jean-François Lyotard, La pittura del segreto nell'epoca postmoderna. Baruchello, Feltrinelli, Milano 1982. 172 nei rebus enigmistici, ma per scoprire ben presto dell'impossibilità di questa operazione, arrivando a cogliere quello che rimane dell'aura di enigmaticità implicita al rebus stesso. Su un versante molto diverso, quello della Poesia visiva, tra il 1963 e il '64 (curiosamente gli stessi anni delle opere di Novelli) Miccini fu molto probabilmente il primo che iniziò a interessarsi ai rebus enigmistici, creandone da allora moltissimi. Semiologo e fondatore insieme a Pignotti del Gruppo 70, utilizzò il rebus come parte di una iconografia popolare nell'ambito della sua ricerca che prese avvio dalla poesia postermetica e approdata alle sperimentazioni verbo visive. Con un'ottica di condivisione, i suoi rebus degli anni Sessanta sono frutto della collaborazione con i pittori della Scuola di Pistoia (Barni, Coppini, Ruffi), mentre quelli successivi si sono avvalsi del contributo di fotografi che spesso lo hanno ritratto in scene poi utilizzate per le opere. Miccini si è comunque sempre posto nel ruolo dell'ideatore della frase risolutiva, quello che viene definito 'rebussista'. I titoli delle opere sono sempre in latino, considerata “lingua imperiale” dall'artista che aveva una formazione classica, e le soluzioni del gioco sono molto spesso cariche di significati politici e sociali molto accesi come nel caso dell'Adversis rebus del '72 (fig.133). Anche Pignotti nei primi anni Settanta ha lavorato sul rebus, prelevando vignette dalle pagine dei quotidiani per i quali lavorava, intervenendo poi con scritte o collage che rimandano alla eterna enigmaticità del Mondo che diventò titolo anche di un libro di artista in alluminio anodizzato (1975) con vignette di rebus serigrafate (fig.134). Sempre nell'ambito della Poesia visiva negli stessi anni, anche Sarenco (Isaia Mabellini) ha giocato con la forma rebus in opere di assemblaggio come Musica politica. Omaggio a Feuer-bach, del '75 (fig.135). In questo caso, il nome del filosofo della sinistra hegeliana, scomposto in Feuer, fuoco e Bach, torrente (il “torrente di fuoco” citato da Marx), è stato tradotto in forma verbo visiva con uno spartito di Bach, dei fiammiferi bruciati su uno 173 spartito musicale. Si può far rientrare nell'ambito della segmentazione operata sulla parola nel gioco del rebus anche il lavoro di Corrado D'Ottavi con l'omaggio alla 'Ana-filosophia' di Martino e Anna Oberto che è contenuto in Anagramma filo/sofia del '79. Nell'ambito della Poesia concreta italiana, la figura di Lora-Totino è tra le più attive e propositive. Si potrebbe quasi affermare che in Parole ai quattro venti del '71 (fig.136), l'artista abbia fatto riferimento al rebus in maniera 'naturale', partendo dai presupposti spaziali della sperimentazione concreta e dalla consuetudine con i giochi di parole. Sul foglio stampato in offset infatti, sono distribuiti spazialmente parole e numeri, mettendo in gioco sia lo spazio quadrato in cui sono disposti i frammenti, pa/ ro/ le/ ai, sia l'ambiguità tra il numero 20 e la parola vènti, mentre il numero 4 ha la posizione centrale della composizione. È calzante in questo caso la definizione di 'rebus informale' dato da Bartezzaghi per questo tipo di operazioni in cui è necessario compiere un percorso tra i caratteri tipografici e la loro disposizione sul foglio. Dalla recente mostra sui rapporti tra arte e rebus nell'arte italiana, è emersa la figura della più prolifica e valida disegnatrice di rebus per “La Settimana Enigmistica”, Maria Ghezzi, in arte Brighella. Questa straordinaria interprete dei più grandi inventori di rebus, a partire dal marito Giancarlo Brighenti, in arte Briga, è stata più volte, inconsapevolmente, citata dai due artisti della Scuola di piazza del Popolo, Mambor e Festa, che hanno lavorato sulle vignette del settimanale popolare. Mambor inizia nel '64 a ricalcare i disegni di rebus perché era alla ricerca di immagini stereotipe nella prospettiva dell'azzeramento tipica degli anni in cui si cercava un'alternativa all'informale. Ma nei suoi lavori i rebus perdono la loro identità di gioco linguistico, anche nei rari casi in cui introduce lettere. Le figure 'importate' dall'artista 174 romano assumono una funzione metalinguistica, legate, come sono al loro equivalente verbale ma senza l'intenzione di voler costituire altro che un repertorio di immagini avvolte da una distanza 'metafisica', creata anche da accostamenti incongrui. Unico vero rebus della sua produzione è il montaggio fotografico A + mare (fig.137) in cui gioca con la lettera A e l'immagine del mare. È stato Tano Festa (1938-1988), nel 1979, a creare numerose opere intitolate Rebus337 riproducendo, come aveva già fatto Mambor, soprattutto vignette disegnate dalla Brighella. I prelievi fatti da Festa subiscono sempre delle manipolazioni che portano spesso alla cancellazione - con i colori industriali che utilizzava sulla tela emulsionata - di alcuni grafemi e di parti consistenti di immagini, operazione questa che interrompe la narrazione del rebus stesso con l’eliminazione gli elementi indispensabili alla lettura e alla soluzione del gioco.338 L'impossibilità di lettura è il carattere distintivo di tutta la serie e ha reso difficile in molti casi, risalire alle vignette originali da cui era partito. Il suo lavoro dimostra, ancora una volta per un artista della neoavanguardia, quanto facile sia interrompere il filo logico della comunicazione facendo saltare qualche regola del gioco. L'interesse per l'aspetto metafisico delle vignette di Maria Ghezzi è importante anche per Festa e viene in alcuni casi accentuato come in Rebus (U.I) della collezione Franchetti (fig.138 e 138a), che può essere considerato uno dei numerosi omaggi alla Metafisica di de Chirico che l'artista ha fatto. Il dispositivo linguistico del rebus è presente anche nella produzione più recente di alcuni artisti, dichiarando la vitalità di un gioco verbovisivo antico che si rinnova adattandosi a diverse situazioni culturali e semantiche. 337 338 Per un'analisi approfondita sui Rebus di Tano Festa si rimanda a: Ada De Pirro, La serie dei rebus di Tano Festa: analisi e proposte di lettura, in “RolSA. Rivista online di Storia dell'Arte”, n.7, 2007, www.scriptaweb.it Per poter risalire alle vignette originali, fonte iconografica per l’artista, è stata indispensabile la competenza e la disponibiltà degli esperti rebussisti Franco Diotallevi (Tiberino) e Federico Mussano. 175 1.3.13 Testi plurilinguistici Anche Novelli, come alcuni scrittori e pittori tra primo e secondo dopoguerra, inserisce frequentemente nelle sue opere parole o frasi di diverse lingue, antiche e moderne. Nella letteratura e nel teatro italiano il plurilinguismo339 ha una lunga tradizione. L'autore rinascimentale Teofilo Folengo è stato uno degli scrittori più studiati per l'uso di diversi codici linguistici, lingue naturali, forme dialettali e 'macheroniche', utilizzate nei suoi testi. L'aspetto plurilinguistico in Carlo Emilio Gadda (1893-1973) è stato messo in relazione con questo importante precursore di una pratica che nella neoavanguardia letteraria italiana e francese ha avuto alcuni interpreti di grande rilievo. 340 Ferroni ha parlato del plurilinguismo di Gadda come di una delle coniugazioni dell'anticlassicismo dell'ingegnere milanese (oltre all'altrettanto fondamentale aspetto del non-finito),341 rapportandolo sia a un «oscuro fondo personale» che lo conduce a affrontare con aggressività la realtà ma con uno spiccato senso della molteplicità, creando un personale espressionismo naturalistico. «Il miscuglio linguistico dà largo spazio all'aggressione comica, alla parodia delle forme serie, al grottesco, all'umorismo: si piega verso gli aspetti più “bassi” della realtà, ma sa anche scattare verso i più laceranti toni lirici o riflessivi, verso un “sublime” pieno di sofferenza e di forza contraddittoria».342 Calvino parla di Gadda nel capitolo dedicato alla Molteplicità delle sue Lezioni americane a proposito del tema «il romanzo contemporaneo come enciclopedia, come metodo di conoscenza, e soprattutto come rete di connessione tra i fatti, tra le persone, tra le cose del mondo»343 e, si potrebbe aggiungere, tra le varie lingue e dialetti. 339 340 341 342 331 Albani, Buonarroti 2011 [1994], cit., voce Plurilinguismo, p.334. Giulio Ferroni, Passioni del Novecento, Donzelli, Roma 1999, p.45. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Einaudi, Milano 1992, pp.1011-1012. Ferroni 1992, cit., p.1011. Italo Calvino, Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, Garzanti, Milano 1988, p.103. 176 Altri scrittori contemporanei di Gadda sperimentarono il plurilinguismo nelle loro opere, tra i più significativi Villa e Sanguineti, entrambi autori che a diverso titolo entrarono in contatto con Novelli, soprattutto il primo. L'autore di Laborintus, opera in cui coesistono parole in latino, greco, italiano e francese, fu accusato di plagio da Villa che mescolava nei suoi testi lingue moderne e lingue antiche (o arcaiche). Ma in realtà questo esercizio si può far risalire alla stessa radice, al comune interesse per «modelli poetici desunti dagli insegnamenti di Eliot e Pound, ormai diffusi in tutta la cultura europea e liberamente impiegati dai due italiani alle ragioni di poetiche personali e divergenti tra loro».344 I due scrittori statunitensi, riferimento per tutta la neoavanguardia europea, hanno di fatto avuto un ruolo determinante anche per l'uso di più lingue contemporaneamente. Novelli assorbe questa pratica aiutato anche dal fatto di conoscere altre lingue oltre l'italiano. Oltre a vivere in un ambiente cosmopolita parlava tedesco essendo di madre austriaca, francese e inglese per le sue frequentazioni, il portoghese e lo spagnolo imparati durante il suo lungo soggiorno in Brasile. La sensazione che si ha di fronte al plurilinguismo di Novelli e alla luce di quanto detto finora, è che egli sia interessato soprattutto al montaggio di lingue diverse, altra dimostrazione implicita dell'arbitrarietà dei codici linguistici, e di un atteggiamento che va a privilegiare un poliglottismo babelico piuttosto che un uso del linguaggio ordinato e consequenziale. Come operazione di montaggio, il pluringuismo si può definire anche gioco linguistico, ma più propriamente può essere considerato un gioco fonetico. Questo aspetto avvalora la presenza di un doppio registro di Novelli rispetto all'uso del linguaggio nella sua opera: da un lato un gioco puramente verbovisivo e dall'altro un forte riferimento alla sonorità della lingua che avvicina le sue opere alle pratiche proprie della poesia sonora che iniziò a 344 Tagliaferri 2005 [2004], cit., p.118. 177 svilupparsi, dopo le fondamentali esperienze futuriste e dada, proprio negli anni Sessanta. In questo particolare ambito, il cosiddetto simultaneismo ha molto a che vedere con il plurilinguismo, per l'utilizzazione in contemporanea di più registri sonori che porta a utilizzare suoni, rumori e lingue diverse. Ancora una volta è in pratiche antiche che si devono andarne a cercare le radici se, come afferma Lora-Totino, è in tecniche polifoniche medievali come l'Ars Antiqua e poi Nova, che si trovano più voci, spesso in lingue diverse, sovrapposte a un testo.345 Padre Pozzi dà indicazioni sulla lettura del plurilinguismo che avvicina all'effetto cinetico dato dalla «trascrizione di finche, colonne, scomparti, circoli», tutte strutture che peraltro Novelli utilizza. Lo studioso mette l'accento sull'aspetto sonoro, meno evidente rispetto a altre forme ma analogo, che «sembra uscire da quei componimenti plurilingui in cui la successione di vari idiomi è regolata secondo schemi fissi. È in se stessa una cinetica che riguarda solo l'orecchio; l'occhio vede sì trascritti linguaggi diversi, ma, non percependo alfabeti diversi, non può fissarsi su un'iconicità mediata e riflessa, e tuttavia non del tutto inapparente».346 Pur mancando in Novelli - che aveva una vera passione per la musica, soprattutto jazz -, gli schemi fissi, la pronuncia e la sonorità delle parole deve aver avuto una certa importanza nella sua produzione, basti pensare alle numerose sequenze di A che sono tracciate nelle sue opere, come quelle presenti anche nel primo disegno che sarà analizzato. L'opera su carta senza titolo del '61 (fig.139), è una delle tre versioni quasi identiche che sono conservate in diverse collezioni. Oltre alle sequenze di A, molti sono gli aspetti 345 346 Giovanni Fontana, Simultaneismo come contrappunto poetico, in La voce in movimento. Vocalità, scritture e strutture intermediali nella sperimentazione poetico-sonora, Harta Performing & Momo, Monza, 2003, pp. 41-45. lI testo citato di Lora Totino è: Arrigo Lora Totino, L’Orphéide, epopea della simultaneità, in Simultanéisme - Simultaneità, Quaderni del Novecento Francese, n. 10, Istituti di Lingua e Letteratura Francese delle Facoltà di Magistero di Roma e Torino. Pozzi 2002 [1981], cit., p.44. 178 interessanti del disegno scelto, come ad esempio le facce di dado con uno, due, tre pallini a cui sono associate le lettere di un nome che nell'ultimo si rivela per 'Rosaria'. Frasi in italiano, francese e in una lingua misteriosa sono composte in riquadri distribuiti sul foglio. Oltre a quelle in italiano, leggiamo: ANASTASIA ARSE/ ARDESUAN TELC/ POPOCATL ITLU/ SA HA MEXICO, che campeggia al centro del foglio, sembra utilizzare un idioma vicino allo spagnolo ma incomprensibile. Oltre alla parola Mexico si distingue Popocatl, che è il nome di famose cascate e grotte vicino a Veracruz. In un altro riquadro leggiamo: et nacha me mechante/ langue de fou-de Frisè/ exécante une quart/ de tour en pliant les/ genoux et il s’affala/ sur la chaussée/ sur la chaussée. Sembrano versi di una poesia o di una canzone. In un altro disegno del '61, Posso fare una serie (fig.140), tra tanti elementi (serie numeriche, appunti diaristici, griglia e altro), si notano parole in più lingue inserite tra due linee al centro della composizione, LA QUAUHNAHUAC POPECAPETL LAKE DISTRICT EVENTI IRREALI. Le prime due fanno riferimento alla città e al vulcano messicani dove si svolge la 'faustiana' vicenda di Under the volcano di Malcolm Lowry che ebbe la prima traduzione italiana proprio nel '61.347 Le parole che l'artista inserisce nella griglia irregolare sotto, sembrano fare riferimento al protagonista della storia, il console francese Geoffrey Firmin: (1)difesa. questa lunga storia si ripeterà per sempre senza/ dare a nessuno di noi la possibilità di salvezza/ anche se ogni speranza e ancora pienamente/ giustificata dalla mancanza assoluta di/ nemici cosa questa che pero/ ci toglie anche ogni possibilità di individua/ re la giusta posizione da dare ad una eventuale (1)/seni/ sono solo/ seni se sono/ seni sono sempre seni/ aaasessualità senile. 347 Malcom Lowry, Sotto il vulcano, Feltrinelli, Milano 1961, tit. or. Under the volcano, Reynal and Hitchcock, New York 1947. 179 Il personaggio 'maledetto' e senza speranza della storia viene delineato in queste frasi che dichiarano anche, da parte dell'artista, un certa identificazione. Questa opera è vicina a quegli aspetti glossolalici già analizzati, nonostante sia presente una struttura data dalla griglia, dai riquadri e dall'ordine seppur apparente che gli è stato dato. Tra i quattro disegni del '62 pubblicati l'anno successivo per il numero de “Il Verri” dove fu pubblicato un importante testo di Claude Simon,348 ve ne è uno che presenta più lingue contemporaneamente (fig.141). La presenza di parole in greco antico e di indicazioni turistiche in francese fanno pensare al suo primo viaggio in Grecia, fatto nello stesso anno. πον πον ΕΜΙΣΘΟ ΑΛΣΟΣ. Questa frase potrebbe essere tradotta letteralmente con “dov'è dov'è noi il boschetto?” o, più probabilmente “il nostro boschetto?”.349 Una lingua, il greco, che forse Novelli andava conoscendo in quel viaggio e di cui, in questo foglio, dà un breve esempio. Una freccia indica l'altra scritta, SITES HISTORIQUES ROUTES PITTORESQUES ITINERAIRES MINERAUX ANIMAUX. L'indicazione dell'itinerario potrebbe essere stata copiata da Novelli da un cartello turistico o da una guida in francese: era infatti partito per la Grecia con una guida Hachette della Grecia.350 Tenendo anche in considerazione che furono i lettristi a inserire per primi nelle loro opere elementi polisegnici, fino a aggiungere alla scrittura latina tutti gli elementi fonetici, sillabici e ideografici esistenti (Balboni 1977), in Italia, oltre a Villa e Mario Diacono, numerosi artisti inserirono lingue diverse nelle opere, come ad esempio fece Martino Oberto. 348 349 350 Simon, cit., 1963. Il testo di Simon era stato pubblicato sul catalogo della mostra alla Alan Gallery di New York del 1962. Ringrazio la Dott.ssa Michela Santoro per la traduzione. Vedi nota 235. 180 Il montaggio scritturale nelle opere di Oberto presenta l'inserimento di più codici linguistici che vanno dal latino, all'inglese, al francese e altri. Nella pagina del Journal anaphilosophicus scelta e già citata (fig.32), sono applicati a collage tanti fogli manoscritti e dattiloscritti in italiano e altre lingue. Tra le dichiarazioni di poetica colpisce il riquadro in basso a sinistra intitolato Una idea piena di idee. Non è una semplice composizione di più lingue, ma un linguaggio inventato, una specie di esperanto costituito da alcuni idiomi conosciuti. Oberto non è nuovo alle lingue inventate e alle lingue illeggibili, per usare un termine di Barthes, «la generale diffidenza che circonda il linguaggio»,351 sembra, con la sua opera e quella degli artisti della neovanguardia, definitivamente prendere corpo. 351 Roland Barthes, Il grado zero della scrittura, Einaudi, Torino 2003 [1982], p.60. 181 Cap. II Il gioco linguistico tra arte e letteratura della neoavanguardia 182 2.1 Sperimentazioni linguistiche tra neoavanguardia e artifici manieristici Il «presente allargato» di cui parla Barilli,352 la compresenza di tutte le epoche storiche, di maniere e forme d'arte del passato, è, tra gli anni Sessanta e Settanta, una delle cifre che distinguono la letteratura e l'arte figurativa. La pratica diffusa del plurilinguismo esteso a stili e modi già usati, comprende quella della citazione che per i pittori significa prelevare da opere di un passato più o meno recente immagini intere o loro particolari e per gli scrittori fare riferimento a forme della prosa o della poesia appartenenti a tempi e culture lontani. 353 A questo proposito Sanguineti afferma che «si possono amare gli autori del passato, ma vengono riletti eventualmente in modo nuovo, e non più utilizzati come fornitori di regole e modelli ai quali guardare come incarnazioni perenni, ma a qualcosa che è certo tesoro culturale, perpetuamente riesplorabile, ma anche con netti spostamenti».354 Barilli individua nella figura di de Chirico il capostipite degli artisti italiani che fanno della 'rivisitazione del museo' una delle pratiche fondanti del loro lavoro. Tra citazione e autocitazione de Chirico è stato un esempio per molti della neoavanguardia soprattutto di area Pop (Festa, Schifano), pittori inseriti da Maurizio Fagiolo tra quelli vicini al gruppo dei Novissimi. Anche se lontani dalla Stimmung metafisica, gli altri artisti che sono vicini a quel gruppo di scrittori, come Novelli e Perilli (ma molti sono i nomi fatti e che esprimono realtà molto 352 352 353 Renato Barilli, Informale Oggetto Comportamento. Volume secondo. La ricerca artistica negli anni '70, Feltrinelli, Milano 2006 [1979], p.108. Interessante a questo proposito: Susan Sontag, Sulla fotografia, Einaudi, Torino 1978. La studiosa americana nel suo saggio, a proposito delle citazioni, parla della loro ascendenza surrealista e paragonadole all’opera del collezionista ne mette in evidenza il carattere malinconico. Questo particolare aspetto è, per chi scrive, più vicino all’opera degli artisti dell’area Pop e al loro uso del medium fotografico. Giuliano Galletta (a cura di), Sanguineti/Novecento. Conversazioni sulla cultura del ventesimo secolo, Il Melangolo, Genova 2005, pag.24. 183 diverse tra loro) si possono assimilare, secondo lo studioso, al loro stesso livello linguistico. A questo si può aggiungere la possibilità (o la necessità) di adottare particolari forme di prelievo da scrittori e letterature di altre epoche e ancora, sempre secondo logiche non descrittive, l’uso di altre lingue e forme verbali, in un’ottica di appropriazione linguistica che non esclude nulla. Secondo Sanguineti, per tutte le arti del Novecento, l’ottica compositiva di tutti frammenti linguistici (e non) è quella del montaggio. Le varie operazioni «diventano arti di montaggio, non necessariamente in base al modello cinematografico, ma perché appartengono a uno stesso orizzonte di comunicazione linguistica, di sintassi, tipicamente novecentesca».355 L'assimilazione al metodo di composizione cinematografica è accolta anche da Vescovo quando afferma che in generale in quegli anni «gli artisti lavorano su frammenti di senso, che non danno vita a forme chiuse, ma lasciano ben visibili delle traiettorie, delle orditure iconiche e di pensiero, su cui si può camminare verso altri orizzonti. La pittura è lo specchio che deforma e sposta le 'figure' dalla loro sede propria, cambiandone le proporzioni, l'asincronia della percezione a intravvedere la possibilità di una superficie che riflette cose del passato, ma che mostra anche, come in un film, l'avvenire, diventando sistema di metafore e allegorie».356 Il particolare modo di costruzione dell'immagine fu registrato anche da un interprete attento come Alberto Boatto che già nel 1970 prese atto che «l'esercizio critico si configura come un lavoro di smontaggio, là dove la costituzione dell'opera moderna risulta in larga maggioranza il prodotto di un cosciente lavoro di montaggio»,357 considerazione basata sull’attitudine strutturalista che molto segnò l’attività critica degli anni Sessanta. In tempi meno lontani, Hans Belting ha affrontato il problema del rapporto critica/arte 355 356 357 Galletta 2005, cit., pag.71. Marisa Vescovo, I luoghi del Ritorno, dell'Enigma, della Fuga, in XLI Biennale di Venezia, Electa per la Biennale, Milano 1984, p.41. Alberto Boatto, Discorso personale indiretto, in Vitalità del negativo nell'arte italiana 1960/70, catalogo mostra Palazzo delle Esposizioni, Roma novembre 1970 - gennaio 1971, p. 11. 184 sostenendo che «l'arte recente si costituisce come una sorta di 'testo', un discorso sull'arte per proprio conto. Il montaggio sostituisce la rappresentazione coerente smembrando la primitiva unità dell'opera».358 Anche le opere presentate in questa ricerca possono essere analizzate dalla prospettiva della citazione e del montaggio o piuttosto della citazione come montaggio. In particolare Novelli, in tutta la sua produzione, riflette questa modalità. Tutta la sua opera, come visto, può essere considerata un grande lavoro sulla memoria, costruita su un'enorme quantità di frammenti eterogenei, costituiti in buona parte di citazioni da opere e testi antichi o contemporanei, fatti biografici, loro rielaborazioni. Il suo assomiglia molto al metodo indicato da Didi-Huberman, sulla scorta degli studi di Bloch, che vede la memoria come «una configurazione impura, di un montaggio - non storico del tempo»,359 in quanto viene negata l'idea di storia come «scienza del passato» perché questo non esiste. Novelli, come molti dei suoi amici intellettuali, negava l'idea di storia come successione coerente di fatti che devono essere registrati, accogliendo invece il concetto più fluido di memoria che ha una connotazione più personale e non regolamentata. Nella sua opera degli anni Sessanta, il montaggio tra figura e scrittura è l'aspetto più evidente e assolve al compito di rendere equivalenti i due strumenti di comunicazione e di creare un flusso continuo di riferimenti, fatti e analisi in un riuso continuo di materiali che, da bricoleur, mette a sua disposizione. L'uso indifferenziato di frammenti testuali eterogenei, da collegare a pratiche analoghe della letteratura della neoavanguardia, è stato più volte messo in collegamento dalla critica contemporanea con l'atteggiamento che gli scrittori manieristi adottarono in contrasto con la normatività della cultura rinascimentale, alla quale sostituirono modelli artificiosi 358 359 Hans Belting, La fine della storia dell'arte o la libertà dell'arte, Einaudi, Torino 1990, p.53. Didi-Huberman 2007, cit., p.37. 185 distanti dalla natura e dalla realtà. Sedlmayr notò che sia il contatto privilegiato con la morte, sia la citazione di forme artistiche di varie epoche, sono elementi che accomunano l’anticlassicismo manierista e l’arte contemporanea.360 Fu infatti a partire dalla fine degli anni Cinquanta che gli artisti operarono, secondo il saggio di Bonito Oliva del ‘76, «in un mondo dove tutto è già stato detto, e non rimane che la citazione o la coscienza dell’essere parlati»361 in un momento in cui, come nel Manierismo inteso nel senso di superamento dell’utopia rinascimentale, si torna ad avere «quella coscienza di thanatos» con cui è necessario il confronto. Il rapporto positivo con la tradizione che si poteva ancora avere nel modernismo, assume i caratteri angosciosi della consapevolezza del ‘già detto’ che porta all’appropriazione di opere e stili del passato senza un progetto di identificazione ideale ma con il senso, in generale, di riuso di materiale messo a disposizione dalla storia. Negli studi di quegli anni emerge che come il Manierismo si configura come un antirinascimento che scompagina, dopo averli assunti, tutti i parametri classici, così la neoavanguardia del Novecento lavorava sulla citazione. La comune consapevolezza dell’impossibilità di presa sul mondo, avvicinano le due epoche centrando sul linguaggio la loro arte e sul potenziale occultamento che questo consente. «Il linguaggio poetico del secondo ‘500 lavora più su quello che è taciuto, interdetto, che su ciò che è svelato e palese: la metafora è sempre una forma di rimando più che una presa concreta sulle cose del mondo»,362 e così il ricorso all'artificio, compresa l'intera gamma di giochi linguistici adottati, che dichiarano la sovrastante «potenza del significante»,363 sono specchio di un mutato rapporto con la parola. 360 361 362 363 Hans Sedlmayr, Perdita del centro, Rusconi, Milano 1974. Achille Bonito Oliva, L’ideologia del traditore: arte, maniera, manierismo, Feltrinelli, Milano 1976, p.11. Bonito Oliva 1976, cit., p.75. Giancarlo Innocenti, L'immagine significante. Studio sull'emblematica cinquecentesca, Liviana, Padova 1981, p.37. 186 Manganelli, uno degli scrittori più significativi della neoavanguardia italiana e che ebbe un profondo rapporto di amicizia e professionale con Novelli (che sarà analizzato in seguito), nella presentazione di Della dissimulazione onesta,364 ammette che a lui «forse il trattatello dell’Accetto interessava soprattutto perché supremamente ambiguo, di esigua luce e folto della amara sapienza dell’ombra», esaltando così quel luogo di margine dato dall'incertezza dove possono coesistere parole e immagini, corporeità e intelletto, intuizione ed errore. Poi definisce le cancellazioni, la frammentazione e le operazioni di nascondimento fatte dall'autore sul testo prima di pubblicarlo come «cicatrice che strazia il mondo». Lo stesso Accetto, nel suo testo, elogia Pitagora, il quale «sapendo parlare, insegnò di tacere; e in questo esercizio è maggior fatica, ancorché paia d'esser ozio».365 L’onestà della dissimulazione per l’autore seicentesco (e per Manganelli) è la pura accettazione di una condizione esistenziale, senza gli infingimenti della illuminante razionalità che nasconde per eccesso di volontà chiarificatrice. La dissimulazione, come la menzogna, è per lo scrittore milanese una pratica che rappresenta meglio la capacità della parola di dire tacendo. Uno dei primi studi sul rapporto tra Manierismo e età contemporanea è quello di Hocke (1959) pubblicato in Italia nel ‘65, e presente - con chiose e molte sottolineature soprattutto dove si parla di giochi verbali - nella biblioteca di Manganelli conservata presso il Fondo Manoscritti dell'Università di Pavia. La prima edizione tedesca è del '59366 (dunque potrebbe esser stato letto anche da Novelli in lingua originale), e fu un testo analizzato da molti esponenti della neovanguardia, alcuni dei quali si trovarono anche a criticarlo per i passaggi considerati azzardati e per i confronti tra forme artistiche estrapolate forzatamente dai rispettivi contesti storici. 364 365 366 Torquato Accetto, Della dissimulazione onesta, edizione critica a cura di S.S. Nigro e presentazione di G. Manganelli, Costa & Nolan, Genova 1983. Accetto 1983, ivi, p.69. Gustav René Hocke, Manierismus in der Literatur, Sprach-Alchimie und esoterische Kombinationskunst, Rohwolt, Hamburg 1959. 187 Anche se con alcune confusioni, nel saggio sono messi in evidenza gli aspetti più significativi che emergono dal confronto tra gli artifici della lingua nei due momenti culturali: arte combinatoria, deformazione delle regole, uso di figure retoriche, tendenza alla follia, figure enigmatiche, plurilinguismo, sperimentazione. Oltre a insistere su figure come il labirinto o la torre di Babele e all’importanza della Cabala, sono delineati interessanti riferimenti ai giochi linguistici: quadrati magici letterari, lipogramma, pangramma, crittografie e poesia-rebus, fino a parlare del fascino del gioco di parole. Come sottolinea Hauser nel suo importante saggio del 1965, il Manierismo non si ripete nelle forme, ma è riemerso, dopo il '600, in diversi periodi storici connotati da una profonda crisi di valori come quella contemporanea.367 Il fenomeno è diffuso in tutta la letteratura europea e americana di avanguardia, ma per questo studio è importante sottolineare che particolarmente in Italia e in Francia si possono operare confronti con il Manierismo. Da mettere senz’altro in evidenza è il profondo legame che nella ripresa di temi e iconografie del passato si manifesta nei due paesi. L'aspetto specifico del gioco linguistico è un argomento che mette in rilievo uno degli aspetti più interessanti del paragone che si può operare. Le lingue dei due paesi si prestano particolarmente alle varie coniugazioni di giochi verbali, che si basano soprattutto sull’omofonia per il francese, più sulla frammentazione sintagmatica per l’italiano. In tutt’e due i paesi è radicata l’interazione tra campo letterario e iconico che creò terreno fertile per la produzione di giochi, come è stato sottolineato a proposito del rebus. Gli artifici della lingua, il sottile gioco sotteso tra aspetto iconico della lingua scritta, impaginazione tipografica e sistema interattivo tra chi crea e chi legge le scritture figurate (anche se non chiedono una soluzione), la ripresa in generale di forme e modi del passato nella coscienza di operare una 'ripetizione differente' di modelli già dati, consentono agli 367 Arnold Hauser, Il manierismo. La crisi del rinascimento e l'origine dell'arte moderna, Einaudi, Torino 1988 [1965], pp.327-329. 188 artisti e scrittori di re-inventare liberamente le rigide regole sottese ai modelli più antichi. Sono rari infatti i casi di interpretazione ‘filologica’ dei codici costruttivi. La libertà rispetto alle regole codificate è molto evidente nell'opera di Novelli, ma, a diversi livelli, tutti gli artisti presi in considerazione non si sono attenuti alle costrizioni implicite. (È nell'ambito dell'Oulipo francese, che fu fondato da Queneau e Le Lionnais nel 1960 e di cui farà parte Calvino che, al contrario, rigide contraintes sono cercate e utilizzate come stimolo creativo e per annullare l'idea della 'ispirazione artistica'). Tra gli scrittori italiani del Gruppo 63 è proprio Manganelli a mostrare un interesse maggiore verso forme letterarie manieriste e barocche, a iniziare dalla sua tesi laurea sul pensiero politico dopo Machiavelli.368 La sua propensione verso forme e artifici di epoche passate è testimoniata dalla sua opera letteraria e dal grande rilievo che alle tecniche della retorica viene dato nelle sue opere e nelle sue dichiarazioni di poetica. Dalla recente pubblicazione di scritti inediti (1940 - 1982),369si può verificare quanto lo scrittore 'diventi' manierista nel tempo, ovvero non prima della pubblicazione del suo primo libro, Hilarotragoedia,370 in quanto all'inizio della sua produzione 'privata' tende a censurare tutti i termini troppo arcaici e le forme complesse che diventeranno in seguito cifra della sua scrittura. Non è naturalmente questa la sede per analizzare uno scrittore tanto complesso e tanto studiato, ma è interessante sapere che nella sua biblioteca, oltre al già citato testo di Hocke, sono ancora presenti numerosi volumi che dichiarano il suo interesse per la cultura manierista e barocca e il suo ripresentarsi come modello per il contemporaneo. 368 369 370 Giorgio Manganelli, Contributo critico allo studio delle dottrine politiche del '600 italiano, a cura di P.Napoli, Quodlibet, Macerata 1999. Giorgio Manganelli, Ti ucciderò mia capitale, Adelphi, Milano 2011. Giorgio Manganelli, Hilarotragoedia, Feltrinelli, Milano 1964. Edizione consultata Adelphi, Milano 2003 [1987]. 189 2.2 Novelli e il Gruppo 63 Nel suo confronto tempestivo tra artisti figurativi e letteratura contemporanea, Fagiolo dell'Arco ha ricordato che «molti artisti guardano al simbolo, all'oggetto, alla realtà, innovando gli schemi eidetici e iconologici. Per il livello linguistico, molte di queste ricerche si apparentano, in letteratura, alle proposte del ‘gruppo 63’ e dei poeti ‘novissimi’ (pensiamo alla poesia collage di Balestrini, alla poesia racconto di Giuliani, alla poesia romanzo di Pagliarani, alla poesia fisica di Porta, alla poesia fiume di Sanguineti). Anzi si adattano molto bene a questi pittori i 'caratteri tipici' del poeta moderno distinti da Alfredo Giuliani per la discontinuità del processo immaginativo, l'asintattismo, la violenza operata sui segni, la compresenza di vari ordini del discorso, la scomposizione e ricomposizione della struttura sintattica, la frase sospesa o interrotta dal premere di altre frasi, l'asprezza o l'atonalismo del metro e così via».371 Fagiolo fa poi i nomi di Rotella, Perilli e Novelli per la prospettiva 'novissima' della generazione più anziana. Con questo termine non vuole però indicare una generazione di 'giovanissimi' anche perché giovani e anziani del Gruppo 63 condivisero la scelta del non più giovane Gadda come padre putativo dello sperimentalismo. Sempre secondo il critico, «Gastone Novelli va alle basi di un nuovo linguaggio. Non cerca l'immagine ma il segno, non la parola ma la lettera, auspica un ritorno al nucleo originario della vita. Si sforza di sapere tutto per dimenticare subito tutto: una “docta ignorantia” per ritrovare un'impossibile spontaneità. I suoi quadri sono una difficile operazione di equilibrio: tra vita e gioco, tra cielo e terra, tra temps perdu e tempo ritrovato, tra parola e immagine, tra classicità e romanticismo, tra autobiografia intimistica e società».372 Molti sono i modi e temi trattati parallelamente da scrittori e pittori, alcuni dei quali sono stati messi in evidenza nel corso del presente studio. 371 372 Fagiolo 1966a, cit., p.21. Fagiolo 1966a, cit., p.23. 190 Documentato dalle fotografie di Mario Dondero, il grande fotografo amico personale del pittore, e dalla testimonianza di Eco,373 Novelli partecipò alla prima riunione degli scrittori del Gruppo 63 che si tenne a Palermo dal 2 al 9 ottobre nell'ambito della manifestazione Settimana internazionale Nuova Musica.374 L'antologia degli scritti dei trentaquattro partecipanti a quel primo convegno, edita da Feltrinelli,375 porta sulla copertina un suo disegno (fig.142) che si presenta come un disordinato elenco in ordine alfabetico dei nomi, più altri disposti seguendo una numerazione misteriosa. Il nome che gli scrittori diedero al movimento fu su suggerimento di Luigi Nono, e fa riferimento al tedesco Gruppo 47. Si formò sulla spinta dalle sperimentazioni letterarie de “Il Verri” di Luciano Anceschi. Le riunioni - aperte a scrittori, pittori, musicisti e persone interessate - erano incontri con letture seguiti da dibattiti molto accesi, ben lontani dalle discussioni accademiche tanto aborrite. Novelli entrò in contatto con gli scrittori Novissimi alla fine degli anni Cinquanta attraverso Perilli - con il quale aveva già vissuto la breve ma significativa avventura della rivista “Esperienza Moderna”- e tramite Plinio de Martiis e l'attività della galleria La Tartaruga, che frequentava. Contemporaneamente iniziò a trascorrere periodi a Parigi e incontrare gli scrittori della neoavanguardia francese di area tardo surrealista e del Nouveau Roman, conosciuti soprattutto attraverso lo stesso Perilli, Giancarlo Marmori e Nello Ponente che lo presentò nel ’61 alla Galerie du Fleuve. Le sperimentazioni degli scrittori italiani furono senz'altro un riferimento importante per lo sviluppo dell'aspetto linguistico nelle opere degli anni Sessanta e andarono a integrarsi con il ricco bagaglio culturale che Novelli si era creato negli anni Cinquanta anche grazie alla 373 374 375 Umberto Eco, Il Gruppo 63 quarant'anni dopo, in Costruire il nemico, Bompiani, Milano, 2011, p.144. Tra gli artisti oltre a Novelli, c'erano Perilli, Angeli, Mauri e Baruchello. I giorni 3,4,6,7 ottobre si svolsero nella Sala Scarlatti incontri con il pubblico introdotti da Gillo Dorfles, Achille Perilli e Nello Ponente (Balestrini, Giuliani 2002). Nanni Balestrini, Alfredo Giuliani (a cura), Gruppo 63. La nuova letteratura. 34 scrittori. Palermo ottobre 1963, Feltrinelli, Milano 1964. 191 frequentazione di Emilio Villa. Infatti si può affermare che il poeta milanese, conosciuto in Brasile nel '51 e frequentato anche dopo il loro rientro in Italia, abbia significato molto per la sua formazione e per la produzione di carattere informale di quegli anni, ma poi, dovuta in parte a una divaricazione di interessi e al fatto che Villa non vedeva di buon occhio gli sperimentatori italiani - soprattutto Sanguineti, come già visto - ci fu un allontanamento e una diversa scelta di campo. Il profondo mutamento che si avverte nel passaggio tra anni Cinquanta e Sessanta nell'opera dell'artista va in parallelo con diversi interessi che andò maturando in campo linguistico. Novelli si era trovato a condividere con Villa l'assoluta centralità data al logos, unità primigenia dell'esistente, a cui il poeta approdò in seguito alla sua adesione al neognosticismo, vista alla luce di una incolmabile distanza tra l'uomo e il mondo. Villa fu inoltre un autore di avanguardia complesso e molto attivo nella sua incessante ricerca dell'originarietà, del linguaggio primordiale che si sovrappose agli studi di antropologia che Novelli andava compiendo negli anni brasiliani.376 Partendo dalla certezza che il valore fonico e visivo della parola abbia scardinato tutti gli elementi denotativi del linguaggio, Villa era un infaticabile studioso di testi esoterici e un grande sperimentatore di forme linguistiche alternative. Le sue conoscenze si andranno a intersecare con gli studi di alchimia, Cabala e numerologia che Novelli stava approfondendo soprattutto attraverso la fondamentale opera di Jung. Dopo alcuni anni di frequentazione con gli scrittori d'avanguardia italiana e francese, la cura del già citato volumetto Antologia del possibile,377 porta Novelli a comporre insieme testi e illustrazioni di scrittori e artisti di vari generi e nazionalità. Gli scrittori italiani sono quasi tutti Novissimi: Balestrini, Giuliani, Pagliarani, Sanguineti. 376 377 Spano 2002, cit. Per un'analisi dell'opera vedi Marco Rinaldi, L'Antologia del possibile di Gastone Novelli: narrazioni e linguaggi per gli anni Sessanta, in “Avanguardia”, n. 45, Roma 2010, pp.93-107. 192 La rivista “Grammatica” fondata nel '64 con Perilli, Manganelli e Giuliani e la collaborazione di molti altri, fu invece un luogo di confronto tra letteratura, arte figurativa, teatro e musica aperto alla progettualità e alla sperimentazione. In un’intervista a me rilasciata,378 Perilli ha ricordato che l’idea di “Grammatica” gli venne con la nascita del Gruppo 63, di cui lui faceva parte, e grazie agli stretti rapporti che aveva con Giuliani e Manganelli. Lo spirito era anche quello di aiutare giovani artisti e scrittori con la pubblicazione delle loro opere. Tutti i cinque numeri della rivista vennero finanziati da lui stesso, così come l'altra rivista, “Esperienza Moderna”, che si poneva contro l'informale e in favore di una pittura di 'narrazione astratta' di apertura europea, mentre la nuova rivista non aveva bisogno di questa apertura perché con il Gruppo 63 si era formata un’avanguardia letteraria italiana. “Grammatica” non era stata concepita come serie di numeri unici, come poi risultò, ma la discontinuità era dovuta alla difficoltà di Perilli a pubblicarla. Sulla rivista sono accolti anche contributi di musicisti e registi teatrali in contatto con lui. Novelli partecipò in realtà a soli due numeri: il primo del 1 novembre del '64 in cui la copertina è occupata dalla stesura della dialogo a più voci tra Balestrini, Giuliani, Manganelli, Novelli, Pagliarani, Perilli (cfr.§1.3.3) che affronta il significato del titolo dato alla rivista, il tema dell'arbitrarietà (a cui sembrano interessati soprattutto Novelli e Perilli), l'universo inteso in primo luogo come linguistico (Manganelli), l'importanza della catalogazione, alcune interpretazioni del concetto di linguaggio considerato come vero dato oggettuale o come organizzazione di niente se non di sé stesso o ancora come un luogo abitabile in cui si può trovare il suo significato. Il secondo numero del 2 gennaio '67 riguardò il teatro d'avanguardia e fu curato soprattutto da Perilli e Giuliani. Quando uscì il terzo numero, il 3 luglio del '69, Novelli era già scomparso, e fu utilizzato materiale già pronto da tempo. Il quarto, del settembre '72 e sottotitolato Kombinat Joey, è 378 Intervista del 26.6. e 10.8.2009. Ringrazio Achille Perilli e Lucia Latour per la loro ospitalità e disponibilità. 193 dedicato a una esperienza interdisciplinare che diede luogo a uno spettacolo teatrale nel luglio dello stesso anno. L'ultimo numero, uscito nel maggio del '76 e curato dal solo Perilli, è un omaggio all'amico scomparso, con la pubblicazione di tutti gli scritti, conservati soprattutto presso l'Archivio Novelli di Roma, di cui molti a quel tempo ancora inediti. Il materiale di redazione della rivista è andato in buona parte disperso. La parte conservata in nove cartelle presso l'Archivio Perilli riguarda soprattutto bozze di articoli, interessanti appunti con dichiarazioni di intenti, alcuni bozzetti di opere, foto. Tra le lettere conservate, quella manoscritta di Luciano Anceschi del 20.9.’69 su carta intestata Cattedra di Estetica, Università di Bologna, è un bel commento di un grande intellettuale: «Caro Perilli, grazie per l’invio di Grammatica. Non da ora ammiro questa rivista. La veste grafica trova un suo ritmo leggero, profondo, non conforme a modelli standard, non senza certa allusività e particolare sensibilità, in cui il gesto pittorico e una linea inventata si risolve tutto in grafismo. Ottimo. Spero di venire presto a Roma; e spero anche di vederla presto. Quel che ha lasciato scritto Novelli è importante! Molte cose cordiali, suo Luciano Anceschi». Perilli ricorda che i redattori della rivista decisero di non aderire a ideologie politiche anche se soprattutto Balestrini e Pagliarani erano molto schierati mentre Giuliani no. Anche se Novelli dal maggio del '64 era iscritto al sindacato degli artisti, in quegli anni, dal punto di vista ideologico, con la sua opera e con le sue dichiarazioni, sembra schierarsi con quelli del Gruppo che, come Guglielmi, credono in un’avanguardia «a-idelogica, disimpegnata, astorica, in una parola 'atemporale'; non produce messaggi, né produce significati di carattere generale» a differenza della posizione, ad esempio, di Sanguineti che credeva nel rapporto tra ideologia e linguaggio. Cambierà idea nel '66, quando la guerra in Vietnam e la protesta studentesca non potette essere più ignorata e iniziò anche in Italia un 194 forte movimento di opinione antiamericano a cui Novelli aderì, iniziando a esprimere anche nelle sue opere una forte presa di posizione politica. Per quanto riguarda poi la codificazione di regole certe a cui far riferimento è ancora Guglielmi che crede che l'avanguardia «non conosce regole (o leggi) né come condizione di partenza, né come risultato di arrivo. Suo scopo è quello di recuperare il reale nella sua intattezza: ciò che può fare sottraendolo alla Storia, scoprendolo nella sua accezione più neutra, nella sua versione più imparziale, al grado zero».379 Con i componenti del Gruppo Novelli strinse importanti rapporti professionali e di amicizia, condividendo aspetti essenziali del suo lavoro soprattutto dal punto di vista della linguistica, a cui si interessò studiando testi, alcuni dei quali ancora presenti nella sua biblioteca (Arch. Mich.) come i due di Jakobson, Théorie de la littérature, Éditions de Seuil, Paris 1965, senza chiose e Saggi di linguistica generale del 1966 di cui ha sottolineato alcune parti significative e il testo di Stephen Ullmann, La semantica, dello stesso anno. Con i due scrittori che fondarono la rivista “Grammatica”, Manganelli e Giuliani, ebbe un legame particolare, soprattutto con il primo di cui parlerò nel prossimo paragrafo. Con Giuliani eseguì due opere a quattro mani: interventi a matita di Novelli (1963) su due poesie visive dello scrittore. Tra i libri ora nell'Archivio Michielin sono conservati molti testi di Giuliani, come Povera Juliet e altre poesie, (Feltrinelli 1965) con una bellissima dedica a Novelli. Lo stesso libro si apre con un componimento dedicato al pittore. Tra i numerosi testi di Pagliarani, c'è un bel libro d'artista eseguito dallo scrittore con interventi di alcuni amici pittori. Dello stesso Pagliarani è conservato anche ma il sangue è vero che ha un ritmo, un testo autografo in 379 Nanni Balestrini, Alfredo Giuliani, Gruppo 63. L'Antologia, Testo&Immagine, Torino 2002. 195 copia unica con cinque disegni originali di Franco Angeli. La presenza di questi due libri è sicuramente una prova del loro legame. Ci sono inoltre testi di Porta, Balestrini, Vasio, Niccolai e le due antologie del Gruppo, quella del '64 e quella del '65. Tra le opere eseguite per scritti di autori del Gruppo, nel '64 illustra con disegni Pelle d'asino di Giuliani e Pagliarani.380 Nello stesso anno esegue il dipinto Barcelona (omaggio a Germano Lombardi) dedicato al libro del suo amico, uno dei fondatori del Gruppo,381 ancora presente nella sua biblioteca insieme a L'occhio di Heinrich382 (Arch. Mich.). Una lettera di Lombardi a Novelli, senza data, è conservata tra le carte del pittore e sancisce il rapporto di affetto tra i due che condividevano molte amicizie legate anche alla frequentazione della galleria La Tartaruga. Novelli curò nel '66 la veste grafica (copertina e una litografia) del poema satirico Vita vita vita!383 di Augusto Frassineti, grande amico anche di Manganelli con cui condivise una certa distanza dal Gruppo. 380 381 382 383 A.Giuliani, E.Pagliarani, Pelle d'asino. Grottesco per musica, Scheiwiller, Milano 1964. I disegni originali sono ora conservati presso l'Archivio Michielin. Germano Lombardi, Barcelona, Feltrinelli, Milano 1963. Germano Lombardi, L'occhio di Heinrich, Feltrinelli, Milano 1965. Augusto Frassineti, Vita vita vita, Alfa, Bologna 1966. In 50 copie numerate e 15 contrassegnate da lettere con una litografia firmata tirata dal litografo Bulla di Roma. Il testo era già comparso su “Il Caffè letterario” a.XII, n.6, dicembre 1964. 196 2.3 Manganelli e Novelli Anche la figlia Lietta ricorda che il padre ebbe pochi amici nel Gruppo 63 a causa della sua tagliente vena polemica che non risparmiava nessuno «per cui sinceramente non era molto amato, infatti sono pochissimi quelli che poi sono rimasti amici suoi, Gastone Novelli, Baruchello, più che altro i pittori; o i giovanissimi, Nanni Balestrini ecc.».384 Arte figurativa L’interesse di Giorgio Manganelli per l’arte figurativa è testimoniato dal grande numero di scritti lasciati su artisti di vari periodi e pubblicati in cataloghi, saggi e riviste che sono in via di catalogazione presso il Fondo Manoscritti dell'Università di Pavia. Oltre ai già citati Novelli e Baruchello, altri sono gli artisti d'avanguardia di cui si occupò come Toti Scialoja, Gina Pane e Giovanna Sandri con cui ebbe un intenso rapporto di affettuosa amicizia. L'interesse invece per Pontormo e per il Manierismo è testimoniato anche dalla segnalazione del Libro mio tra i cinquanta libri da lui consigliati in una pubblicazione.385 In Salons386 sono riportati gli articoli su oggetti artistici di epoche e ambienti culturali eterogenei pubblicati su “FMR” nel 1986. In ognuno di questi oggetti lo scrittore riesce a raccontare, in maniera colta e visionaria, la particolare immagine del mondo che lasciano intuire. Gioco Manganelli assume la dimensione del gioco come necessaria alla scrittura. La letteratura è immorale e l’arte retorica ne è la forma. «Il terribile lanciatore di fulmini, entrato nella fragile rete della retorica, cessa totalmente di esistere, si trasforma in invenzione, gioco, 384 385 386 Ermanno Cavazzoni (a cura di), Album fotografico di Giorgio Manganelli. Racconto biografico di Lietta Mangaelli, Quodlibet, Macerata 2010, p.63. Cesare Garboli, Giorgio Manganelli, Cento libri, Archinto, Milano 1997. Giorgio Manganelli, Salons, Adelphi, Milano 2000. 197 menzogna».387 Il «disordinato rigore» delle figure retoriche riporta con evidenza all’idea del linguaggio come un gioco linguistico continuo. «Il destino dello scrittore è lavorare con sempre maggior coscienza su di un testo sempre più estraneo al senso»388 e che dunque si presta, nella certezza di non dover rivelare alcuna ‘verità’, al gioco, al nascondimento, al nonsenso e all’enigmaticità intrinseca del linguaggio. L’esattezza coincide per Manganelli con la menzogna del congegno letterario, che «possiede e governa il nulla. Lo ordina secondo il catalogo dei disegni, dei segni, degli schemi. Ci provoca e sfida, offrendoci un illusionistico, araldico pelame di belva, un ordigno, un dado, una reliquia, la distratta ironia di uno stemma».389 La letteratura diventa costruzione di una struttura composta di parti che entrano in un gioco perfettamente ordinato. La prossimità di queste affermazioni con l’assunto di base di ogni gioco linguistico è evidente. Manganelli non si è mai espresso direttamente circa il suo interesse a questo particolare ambito della linguistica, lasciando però numerosi indizi nei suoi scritti, nelle sue dichiarazioni e, non ultimo, nella sua biblioteca dove sono presenti testi di autori come Perec, Queneau e tanti altri, interessanti ai fini della nostra ricerca. Sotto questo profilo è significativa l’amicizia e la reciproca stima che ebbe con Italo Calvino (il quale, tra l’altro, si può considerare tramite tra l’Oulipo390 e l’Italia) e con Giampaolo Dossena documentata da due lettere conservate presso il Fondo Manoscritti dell’Università di Pavia. Le due lettere di Dossena, scritte il 18.2.1985 e il 24.3.1985 dichiarano un rapporto epistolare solo agli inizi, da mettere in relazione con l’attività dello 387 388 389 390 Giorgio Manganelli, La letteratura come menzogna, Adelphi, Milano 2004 [1985], p.217. Manganelli 2004 [1985], cit., p.222. Manganelli 2004 [1985], cit., p.223. La nascita dell’Oulipo si fa risalire alla prima riunione del gruppo il 24.11.1960. Nel 1973 uscì La littérature potentielle (Créations Re-créations Récréations), Gallimard. La traduzione italiana si ebbe solo nel 1985 a cura di R.Campagnoli e Y.Hersant con la Clueb di Bologna. La particolare impostazione della letteratura oulipiana è quella delle palesi restrizioni autoimposte dagli autori. 198 studioso di giochi per varie testate italiane. Nel suo dizionario dei giochi con le parole,391 Dossena cita Manganelli nell’introduzione, come uno degli scrittori che si mostrarono molto interessati all'argomento. Manganelli e Novelli Molti sono dunque gli interessi che, da prospettive molto diverse, legano Manganelli e Novelli. Non ultimo il fatto sottolineato anche da Perilli nel suo racconto sui rapporti tra i redattori della rivista “Grammatica”, che solo Manganelli era interessato all'esoterismo, alla Cabala e all'alchimia perché era stato in analisi con lo psicanalista junghiano Ernst Berhnard che era un cultore di scienze esoteriche. Dall'analisi fin qui svolta sono emersi particolari aspetti del lavoro del pittore che possono essere messi in relazione con alcuni di quelli dello scrittore. Si vogliono qui dare delle ipotesi di lettura e di confronto. Ne La palude definitiva,392 ultimo testo uscito postumo di Giorgio Manganelli, leggiamo: «i vapori, prossimi e lontani, vanno disegnando ipotesi di edifici, subito sciolti e ricomposti in una catena montana, e forse in una folla di taciturni quanto enormi animali in marcia cadenzata; ma venti, che ignoro donde vengano, ridisegnano nell’aria segni araldici, alfabeti, ideogrammi, disegni complicatamente enigmatici quanto effimeri, che sperimentano una istantanea soluzione, lo scioglimento di un rèfolo subitaneo e squisito. Tutto ciò, questo costruire e disfare, questo nascere e disperdersi, avviene in un attimo di perfetto silenzio, come se io fossi coinvolto in un momento sacro all’inizio del mondo, quando ancora non esiste il progetto del rumore».393 Il viaggio attraverso una palude fantastica e senza confini, sul dorso di un’enigmatica figura di cavallo, offre, oltre questa, altre numerose immagini visive che ricordano molto 391 392 393 Dossena 2004, cit. Giorgio Manganelli, La palude definitiva, Adelphi, Milano 1991. Manganelli 1991, ivi, pag.27. 199 da vicino tratti fondamentali delle opere di Novelli. Appare a volte evidente il carattere di ekphrasis del testo manganelliano, dove vivida sembra essere la memoria dei segni del lavoro del suo amico artista scomparso molti anni prima. La qualità dinamica delle immagini che si offrono al lettore, lontane dalla geometrica evidenza del viaggio immaginato da Calvino ne Le città invisibili, riporta «all’interno di uno spazio mutante»394 molto vicino alla destrutturata composizione di segni operata dall’artista figurativo. Il concatenarsi di immagini che appaiono con la lettura del testo offre molti spunti per far entrare in un “labirinto proliferante” molto praticato dall’autore fin dall’esordio con Hilarotragoedia, opera illustrata da Novelli e di cui si parlerà in seguito. La palude definitiva, titolo del testo di Manganelli, proposto dalla curatrice Ebe Flamini, fa riferimento allo specchio d’acqua attorno al quale si svolge l’azione del protagonista. Il viaggio onirico rappresentato in forma di ‘non-romanzo’ ricorda, a mio avviso, il viaggio dell’Ebdòmero dechirichiano, presentato da Manganelli all’inizio degli anni Settanta per l’edizione Longanesi,395 quando l’esperienza letteraria dello scrittore milanese iniziava ad «abbandonare le complesse strutture di tipo manieristico la sintassi argomentativa, e perciò molto ipotattica, i giochi d’artificio di tropi e le altre retoriche figure»396 e dopo aver definito cinica, disubbidiente, manipolatoria e fondamentalmente menzognera la pratica letteraria. La letteratura come menzogna,397scritto nel 1967, sembra riassumere il senso dell’adesione di Manganelli all’avanguardia letteraria degli anni Sessanta, secondo la particolare prospettiva dei modi della retorica, eccellente manifestazione della finzione delle costruzioni verbali scritte, per altro, in una lingua considerata ‘morta’, come l’italiano. 394 395 396 397 Mario Barenghi, Narrazione, in Belpoliti, Cortellessa 2006, pag.412. Giorgio de Chirico, Hebdòmero, presentazione di G.Manganelli, Longanesi, Milano 1971. Maria Corti, Gli infiniti possibili di Manganelli, in Belpoliti, Cortellessa, cit. 2006, pag.243. Giorgio Manganelli, La letteratura come menzogna, Feltrinelli, Milano 1967. 200 E’ interessante notare come l’apparizione di Manganelli nel 1964 con l’opera che lo farà entrare di diritto nel Gruppo 63, sia stata subito accompagnata dalla presenza di Gastone Novelli, il quale, suo amico da alcuni anni, oltre che a lavorare per Hilarotragoedia, come visto, fonderà con lui e altri la rivista “Grammatica”. Già De Benedictis ha messo in rilievo la profonda comunicazione che si venne a creare tra il pensiero di Manganelli e l’opera di Novelli. Un aspetto interessante che viene evidenziato in uno dei suoi saggi è quello che riguarda la ‘spazialità’ nel testo che avvicina particolarmente Manganelli alle arti visive (e sicuramente all’opera di Novelli).398 Così come la ‘passione’ per il catalogo, l’enumerazione di quantità e infine la letteratura come gioco arbitrario, contro, in definitiva qualsiasi intento positivo e costruttivo della letteratura. Dopo aver sottolineato quanto il bianco delle opere di Novelli possa esser messo in relazione con il concetto di ‘abitabilità’ dell’universo linguistico secondo Manganelli, lo studioso fa un accenno alla «ricerca comune sul linguaggio» con artisti, oltre Novelli, come Perilli, Scanavino, Baruchello e Twombly. Tra Manganelli e Novelli si creò un sodalizio che andò evidentemente oltre la collaborazione tra lo scrittore e il pittore. Le reciproche dichiarazioni di stima uscite ufficialmente nell’intervista rilasciata da Novelli a Crispolti nel '64399 e poi ribadite nel '66, nello scritto dedicato da Manganelli all’amico pittore e presentato in forma di fumetto in occasione della mostra sui disegni per Hilarotragoedia nel '65400 e poi ancora nella presentazione alla mostra sempre presso la galleria Il Segno,401 mostrano un’affinità di intenti espressivi riconosciuti dagli stessi autori e molto evidenti per tutti. 398 399 400 401 Maurizio De Benedictis, Manganelli e la finzione, Lithos, Roma 1998, pag.56. In “Marcatrè”n.8-9-10, 1964, ora in “Grammatica” 1976, cit., pp.36-37, Novelli dichiara: «I novissimi, poi come ti ho detto prima Germano Lombardi, Giorgio Manganelli che ha scritto un libro, dirompente, con una lingua perfettamente italiana, per la prima volta da duecento anni, esiste un gruppo di gente che lavora, in un modo, diciamo, non provinciale, più aperto e quindi, vicino a quella che è la nostra pittura. Fino a oggi siamo rimasti sempre un po’ isolati e a me il dialogo fra letteratura, pittura, musica, sembra necessario». Gastone Novelli. Le radici dei segni, Galleria Il Segno, Roma aprile 1965. Nel pieghevole testi di Klossowsky, Manganelli, Giuliani in forma di fumetto. Gastone Novelli. “I segni, le lettere, i frammenti…”.Opere su carta 1957-1968, galleria Il Segno, Roma 1985. 201 Classificazione e mistero In Nuovo commento leggiamo: «Non sarà inutile concisamente catalogare gli oggetti tra i quali si è svolta la mia lenta e mutriosa infanzia (…) assai presto avevo scoperto l’appartato gaudio di classificare con ingegnosa minuzia gli oggetti che affollavano la mia casa; sui quali tentai le prime prove della mia fatale vocazione». E poi aggiunge: «certo la mia ars classificatoria mancava affatto di basi scientifiche; tuttavia non sarà sfuggita al lettore la rigorosa impostazione, che voleva smentita qualsivoglia descrizione funzionale, laica, agnostica».402 L’attrazione di Manganelli per la catalogazione è ben rappresentata da questi brani, ma molte sono le testimonianze in tal senso. Mentre la catalogazione di elementi eterogenei, all’interno delle opere di Novelli è molto evidente (cfr.§1.3.3), una pratica diffusa nella neovanguardia ma che mostra anche l'attrazione per il significato esoterico della catalogazione dei segni del mondo presenti nella mistica ebraica. Mentre l’enigmaticità, la stratificazione dei codici e l’assurda pretesa di poter, definitivamente, catalogare i segni del mondo è dichiarata poco dopo sempre nel paragrafo de Il caso del commentatore fortunato del quale Manganelli afferma che «Oh quell’uomo aveva ben capito, aveva saputo: certe scoperte ad ogni apparenza inutili, e tuttavia perseguite per tenebrosi quartieri, smaniosamente inseguite, saldamente colte, trascritte in quella puntigliosa grafia, svelavano le gioie impervie, le astuzie di una sapiente follia. Egli aveva odorato, auscultato, lappato, colto in tralice l’altro universo, che ignora mappe e segnaletica, che si concede ai numeri casuali, l’ossuta iracondia dei dadi, la frivola moneta frullata per l’aria, il libro spalancato con temeraria furia in attesa della indubitabile proposizione, l’esauriente ed astruso crittogramma delle linee del palmo».403 Le ‘astuzie di una sapiente follia’, uno dei tanti ossimori presenti nell’opera dello scrittore, dichiara la 402 403 Giorgio Manganelli, Nuovo commento, Adelphi, Milano 1993, pag.56-57. Manganelli 1993, cit., pag.64. 202 possibilità manipolatoria, mistificatrice del linguaggio. Una ‘onesta dissimulazione’ nell’uso dei codici espressivi. Combinatoria La morte precoce di Novelli ha interrotto l’opera di un artista che era approdato nella prima metà degli anni Sessanta a un linguaggio figurativo carico di suggestioni letterarie e ‘grammaticali’ che si erano consolidate nel giro di pochi anni. D’altro canto l’opera letteraria di Manganelli subisce un’evoluzione che però non ha mai rinnegato le radici di ricerca e sperimentazione del periodo di revisione radicale dei parametri linguistici accademici. La costellazione di segni, la pratica della serialità e delle ipotesi combinatorie molto evidenti in Centuria404 e così prepotentemente presenti nell’opera di Novelli degli anni Sessanta, tornano in una caleidoscopica frammentazione a presentarsi in forma ‘affabulatoria’ nella sua ultima opera, La palude definitiva. Il riferimento alla teoria e prassi manierista propri di una parte della neoavanguardia contribuisce in larga parte alla creazione del particolare linguaggio manganelliano e del suo vasto repertorio di immagini. A proposito di combinatoria, Pegoraro afferma che è proprio l’artificiosità dell’immagine manierista a suggerire «un ingegnoso gioco di combinazioni sempre rivolto all’interno, alla necessità che il linguaggio stesso si risolva su di sé, senza varcare la soglia e il limite che la realtà gli oppone».405 Il grande uso di figure retoriche diventa un infinito gioco linguistico, dove le diverse possibilità combinatorie del linguaggio sono elemento essenziale che svela il carattere ‘menzognero’ della letteratura. Seguendo poi il ragionamento della Pegoraro, si arriva a considerare l’artificiosità come creatrice di immagini. È questo che sembra avvicini molto Manganelli al mondo dell’arte 404 405 Giorgio Manganelli, Centuria, cento piccoli romanzi fiume, Adelphi, Milano 1979. Silvia Pegoraro, Il “Fool” degli inferi. Spazio e immagine in Giorgio Manganelli, Bulzoni, Roma 2000, pag.54. 203 figurativa. L’aderenza alla ‘realtà’ o il suo contrario, lasciare libero sfogo all’immaginazione partendo da un alfabeto (e una grammatica) di segni, è il campo dove gli artisti figurativi si muovono. Nell’opera di Novelli, con la combinazione di linguaggio e immagine sempre presente, troviamo una sintesi tra i diversi atteggiamenti. Sintesi che diventa una sorta di ossimorica compresenza tra artificiosità e realtà che spesso gioca tanto con la pratica della frammentazione sia delle immagini che delle parole. Così come in quella di Manganelli troviamo espressa la stessa pulsione ricreatrice di un ‘universo linguistico’ attraverso la scomposizione e ricomposizione dei codici conosciuti. In alcune opere di Novelli troviamo una radicalizzazione del principio di artificio-scomposizione-ricreazione quando arriva a trattare il linguaggio in una sorta di 'affabulazione glossolalica' propria dei mistici o degli alienati o a usare 'glossomanie', ovvero giochi verbali non sistematici. Tali aspetti collocano l’opera di Novelli vicino ad alcune manifestazioni della cosiddetta Art Brut. L’assenza di segni di interpunzione, la presentazione senza soluzione di continuità delle parole, o la ripetizione di singole vocali, lettere o sillabe come in una specie di mantra è da ricollegarsi nell’opera del pittore alla ricerca dell’originarietà del linguaggio che lo avvicina comunque all’esigenza da parte degli scrittori di avanguardia come Manganelli di svelare il mondo sotterraneo e oscuro del rapporto tra significato e significante e quindi dell’uomo con il mondo positivamente rappresentato dal linguaggio. Se Novelli si muove dunque alla ricerca dell’originarietà che include la dimensione magica in contrasto con il ‘linguaggio accademico’ come affermava, Manganelli vede che proprio «l’accadimento magico della verbalità distingue, frantuma continuamente la serie di possibili universi».406 406 Graziella Pulce (a cura di), Lettura d’autore, citato in Pegoraro 2000, cit., pag.61. 204 Elenchi Il tema dell'elenco, catalogo, lista è molto presente nell'ambito delle sperimentazioni di avanguardia e già Sanguineti in Laborintus inserisce «sfilate, elenchi, serie interminabili come le seguenti: “La caldaia o la sillaba del tuo cono e dei tuoi cammelli/ dei tuoi papaveri delle tue tenaglie/ dei tuoi guinzagli/ del vetro o della collina/ del vocabolo prescelto”».407 Ne Il rumore sottile della prosa408 troviamo molti articoli scritti tra la metà degli anni Settanta e fino al 1990. In alcuni di questi testi sono numerosi i riferimenti alla pratica catalogatoria e combinatoria che condivise anche con Novelli negli anni Sessanta. A proposito di elenchi, Manganelli arriva a paragonare il romanzo alla guida del telefono, «oggetto affascinante», definendolo «abisso insondabile ma illuminato da una volontà di completezza e totalità che non ha l’esempio».409 E, a proposito di ‘miniaturizzazione’ del sapere, affronta il tema dell’enciclopedia in polemica con chi professa una ‘ideologia enciclopedica’, cioè con chi le attribuisca un intento pedagogico, egli è infatti interessato molto più al suo aspetto magico ed evocativo. Nell’articolo Gli incantesimi dell’enciclopedia fa una vera dichiarazione d’amore per questo tipo di opere dove «l’universo si sbriciola e ricompone, secondo l’incredibile superstizione dell’ordine alfabetico».410 (È interessante notare come Manganelli userà di nuovo il verbo “sbriciolare” a proposito dell’uso della parola nei giochi linguistici degli amici esperti in giochi.) L’enciclopedia Sonzogno letta durante l’adolescenza, era per lui affascinante perché immersa in un’atmosfera magica. «Vi è qualcosa di stupendamente arcaico in questi tentativi di ridisporre alfabeticamente il mondo, questa macchinosa, ma non codarda classificazione, questo tendenzialmente infinito indice del mondo», aggiungendo che 407 408 409 410 Renato Barilli, La neoavanguardia italiana. Dalla nascita del “Verri” alla fine di “Quindici”, Manni, Lecce 2007, p.56-57. Giorgio Manganelli, Il rumore sottile della prosa, a cura di P. Italia, Adelphi, Milano1994. Giorgio Manganelli, Che cosa non è un racconto, in “Nuovi argomenti”, aprile-giugno 1986, ora in Manganelli 1994, cit., pag.33. Giorgio Manganelli, Gli incantesimi dell’enciclopedia, in “Corriere della sera”, 8.6.1977, ora in Manganelli 1994, cit., p.167. 205 «l’enciclopedia resta, a mio avviso, un genere letterario, vicino, almeno quanto i nonsense, ai carmina, agli incantamenti; è, insomma, magia razionalizzata».411 Negli scritti di Novelli sono frequenti i riferimenti alla necessità per l’artista di formulare cataloghi di segni, lettere e forme, frutto di una voluta o casuale frammentazione di sistemi preesistenti. Lo ‘sbriciolamento’ che tanto incantava Manganelli - e che naturalmente è da collegare con la scomposizione semantica operata dalle avanguardie della seconda metà del Novecento - seduce dunque anche l’artista figurativo. La fascinazione per la catalogazione del sapere secondo la casualità regolamentata ma necessaria dell’ordine alfabetico, sarà propria anche di chi, come Novelli, ha usato in modo quasi ossessivo grafici nei quali sono organizzati frammenti provenienti da culture e discipline diverse in una sorta di ricomposizione immaginaria, “arbitraria” come diceva lo stesso pittore, del mondo inteso come universo di segni eterogenei. Il pittore coglieva inoltre l’aspetto ‘magico’ di questa operazione e anzi ne faceva uno degli elementi fondanti del proprio fare artistico. Numerose sono le dichiarazioni a riguardo, nelle quali la ‘magia’ è sempre contrapposta alla normativa accademica, statica e ormai morta. La ricerca della dimensione magica non è in contraddizione con l’esigenza razionalizzatrice che si consolida in Novelli sia attraverso il contatto con l’opera teorica e artistica di Paul Klee che con i suoi studi concretisti degli anni Cinquanta. Impostazione già presente negli anni brasiliani, quando l’artista fu chiamato a tenere dei corsi di design.412 Impossibilità della storia L’attenzione dedicata da Manganelli a dizionari di sinonimi, vocabolari, repertori 411 412 Manganelli 1994, cit., pag.168. Tra il '51 e il '54 insegna composizione all'Istituto Superiore del Museo di San Paolo (Bonmassar 2011). Appunti per il corso, sviluppati in seguito per programmarne uno a Roma che non svolgerà, sono in “Grammatica” 1976, cit. 206 cronologici, annali - negli articoli tra gli anni Settanta e Ottanta - dichiara un gioco effimero ma dilettevole che lo scrittore instaura con il sapere. I vocabolari sono «dormitoi di parole, dove quelle stanno appese, come vipistrelli, e come alcuno le chiama a voce, sùbito una si stacca».413 I repertori cronologici e gli annali riportano anche al tema dell’impossibilità della storia. La successione degli avvenimenti e il loro concatenarsi non hanno più senso in quanto per Manganelli dobbiamo considerare «la storia non come momenti successivi, ma come momenti contemporanei».414 La contemporaneità di tutte le epoche (“tutte le età sono contemporanee” di Eliot) annulla evidentemente la necessità della storia e apre al panorama culturale delle neoavanguardie artistiche e figurative del Novecento portando a pratiche come quella della citazione e dell’autocitazione, molto seguita come visto anche da Novelli. Nell’intervista a Crispolti,415 già citata, Novelli prima dichiara, a proposito di memoria nella sua opera, di credere in un andamento ‘orizzontale’, dove passato e presente siano posti sullo stesso piano, e interrogato a proposito della sua visione del passato storico afferma che «la storia non esiste, cioè la storia è una mistificazione del passato, in quanto la storia è un passato presentato secondo una certa teoria». Ma pone poi un rimedio a questa mancanza associandosi in qualche modo all’elogio della frammentarietà fatto da Manganelli, affermando di credere all’«esistenza di una infinità di frammenti umani o sociologici o linguistici reperibili e che esistono in quanto sono stati forse fatti o nati o percepiti in una certa epoca, ma che continuano a esistere e sono percepibili in qualsiasi epoca», tornando così a parlare di elenchi, repertori di segni a disposizione di chi voglia imbastire con la memoria un dialogo più libero, svincolato da una progressione temporale di fatti definita e definitiva. Il rapporto di Novelli con la storia è dunque negativo, come lo era per Villa. 413 414 415 Giorgio Manganelli, Tutto il gotha dei fantasmi, in Manganelli 1994, cit., p. 173. Giorgio Manganelli, Scritti inediti, (10.v) in Belpoliti, Cortellessa 2006, cit. Vedi nota 399. 207 La sfiducia nella storia lo porta alla presentificazione di elementi provenienti da luoghi e tempi remoti. Ma se Novelli crede comunque nella creazione di un proprio tempo attraverso la creazione di nuove forme partendo dall’acquisizione di frammenti eterogenei, Manganelli sembra essere molto meno ottimista. Le sue considerazioni e, dopotutto, la sua opera non escono mai dalla dimensione dolorosamente ludica e consapevolmente menzognera del gioco fine a se stesso. E se la negazione della storia porta l’artista figurativo a cercare nel linguaggio l'originarietà primordiale con la speranza di poter ricreare un mondo, per lo scrittore l’assurdità della storia coincide con l’assurdità dell’agire umano, volto a coprire il vuoto e, in definitiva, il destino di morte. Il dialogo con il Nulla è la costante di tutta l'opera di Manganelli. Nonostante i diversi approdi, i temi del tempo e della storia sembrano essere dunque un altro terreno di incontro tra i due artisti. La visione negativa del proprio presente porta entrambi a considerare il tentativo di ordinare razionalmente la successione dei fatti come qualcosa di impossibile o di inutile. Quello che rimane è adeguarsi alla disposizione casuale e imposta dell’ordine alfabetico o cronologico. Nell’impossibilità di dare una base logica e veritiera ci si affida alla casualità regolamentata. «Il fatto che niente significhi ma tutto sia, è il significato della storia ‘per annali’.(…) Labirinto di cui si è persa la mappa, la storia diventa un ricalco della nostra vita; ogni evento è privo di un prima e di un dopo, non è garantito da nulla, si libra sul nulla».416 E dopo aver paragonato la Cronologia a una grandiosa figura retorica, la definisce «una magìa che tiene saldo e placato il mondo, come fosse morto, e finalmente lo si potesse percorrere tutto, in tutte le direzioni, insieme labirinto e rovina». L’annullamento del concetto di storia apre a quello di sincronicità lontano dalla concezione occidentale. Jung417 e molti intellettuali di avanguardia come Manganelli furono grandi 416 417 Manganelli 1994, cit., p.175. Carl Gustav Jung, Prefazione all’edizione inglese, 1949, ora in I Ching il libro dei mutamenti, a cura di R.Wilhelm, Adelphi, Milano 1991. 208 ammiratori de I Ching, il Libro dei Mutamenti, che con il suo approccio alla casualità degli eventi annulla il concetto di causalità che descrive la successione dei fatti, fondamento della mentalità occidentale. Viaggi Entrambi animati da una inquietudine costante, un altro aspetto che accomuna i due artisti è il viaggio inteso, pur con finalità e modalità diverse, sempre come strumento di ricerca. Capace di affrontare lo spostamento in lambretta da Milano a Roma nel '53, Manganelli viaggiò molto anche in paesi lontani come l'Estremo oriente, vincendo a fatica il terrore per gli aerei. Le cronache che ne riportò sono piene di immagini e rimandi curiosi e inaspettati, delle vere e proprie visioni a volte anche angosciate. Spesso è la geometria dei luoghi che lo colpisce o particolari della scrittura e dell'idioma del luogo. Novelli da giovane viaggiò in Brasile avventurandosi all'interno dell'Amazzonia alla ricerca di tribù primitive e a caccia di reperti linguistici. I suoi successivi viaggi in Grecia, a cui si è fatto cenno, sono stati importanti momenti di riflessione e di confronto come emerge dagli appunti di viaggio in cui i luoghi attraversati diventano lo sfondo di un lungo viaggio interiore.418 Una curiosa coincidenza si può riscontrare, a proposito di viaggi con un'altra figura di artista-viaggiatore che si mosse tra Sud America e Grecia: Guido Boggiani (1861-1902), pittore, disegnatore, fotografo, etnologo piemontese.419 Formatosi come pittore all'Accademia di Brera, nel 1887 iniziò a viaggiare tra Brasile Bolivia e Paraguay. La sua opera sui Caduvei era conosciuta da Levi-Strauss che ne parlò in Tristi tropici (1955) un saggio che molto probabilmente Novelli conosceva. Studiò la lingua Chamacoco e ne 418 419 Il tema del viaggio è stato trattato approfonditamente in Birolli 1976, cit., e in Rinaldi 2011, cit. Le notizie su Guido Boggiani sono tratte da: M.Leigheb, Lo sguardo del viaggiatore. Vita e opere di Guido Boggiani, Interlinea, Novara 1997 e G.R.Cardona, Il contributo linguistico di Guido Boggiani in Guido Boggiani pittore esploratore etnografo: la vita i viaggi le opere, Regione Piemonte 1986. 209 compilò il vocabolario, così come aveva fatto per l'idioma Guanà.420 Anche Novelli si avventurò durante gli anni brasiliani tra le tribù indigene che vivevano in Brasile per studiarne la lingua, iniziando a compilare un vocabolario della lingua Guaranì. Boggiani, dopo aver compiuto anche lui un viaggio in Grecia al seguito di D’Annunzio per studiare da vicino quella civiltà, ritornò presto tra i suoi indios dove trovò la morte in circostanze misteriose. I suoi diari di viaggio sono importanti fonti di notizie (1985, 1987). Al museo Pigorini sono conservati molti reperti da lui raccolti. La sua figura è stata per molto tempo ignorata e solo di recente rivalutata. Manganelli, Novelli, Jung Mentre sembra non avere fondamento l'ipotesi che Novelli si sia sottoposto a una terapia psicanalitica dopo la crisi che lo portò al ricovero per la cura del sonno, è stato più volte analizzato il grande influsso che sulla sua opera ebbe almeno uno dei testi di Jung, Psicologia e alchimia. Giorgio Manganelli, introdotto dalla sua amica Cristina Campo, nel '59 conobbe Ernst Bernhard che diventò il suo psicanalista fino alla morte di questi nel '65. Poi continuò la terapia con altri, sempre di scuola junghiana. Il tema del viaggio ritorna nella dimensione del percorso analitico, come «esperienza cardinale per guardare alla trasformazione del paziente».421 In una comunicazione fatta a Carotenuto, Manganelli definisce la figura dell'autore di Mitobiografia,422 come «l'uomo che mi ha insegnato a mentire», aprendo a un non voluto 'elogio della menzogna', «dal momento in cui si toccano le parole sapendo che esse continuamente mentono, se ne scopre l'infinita fecondità e inafferrabilità. Il mentitore è 420 421 422 Guido Boggiani, Vocabolario dell’Idioma Guanà, in “Atti della Reale Accademia dei Lincei”, serie V, vol.III, 1895, pp.59-80. Graziella Pulce, Viaggi, in Belpoliti, Cortellessa 2006, cit., p.507. Ernst Bernhard, Mitobiografia, a cura di H.Erba-Tissot, Adelphi, Milano 1969. 210 proprietario di tutte le favole possibili».423 Come altri intellettuali che lo frequentarono, anche Manganelli subì il fascino del medico che si poneva come guida spirituale. Ebreo hassidico, la sua eredità culturale tedesca lo riconduce alla tradizione dei filosofi romantici della natura, come fu anche per Jung. La sua ricerca si orientò particolarmente sul rapporto con la ‘madre mediterranea’, con tutto il bagaglio di immagini e simboli che si andarono a intersecare con altri miti e altri simboli. I suoi studi, che riportava nel setting analitico, riguardavano temi diversi: i grandi archetipi delle culture indù e cinese, la teoria degli strati e dell’entelechia (realizzazione del proprio fine) in rapporto all’evoluzione cosmica, dall’analisi dell’inconscio familiare, alla legge del karma, dalla delineazione dei conflitti della nostra società ai problemi della presa di coscienza collettiva. A tutti suoi pazienti Bernhard faceva l'oroscopo e a volte leggeva la mano. «Egli traccia la carta del cielo natale per ogni paziente e lo fa dopo poche sedute, e la utilizza come Jung, come la radiografia del condizionamento psicologico ricevuto alla nascita, la mappa dei freni e delle risorse; di fronte a questa immagine egli invita vigorosamente a un comportamento adeguato, dunque a un uso attivo».424 L'approccio astrologico esoterico del medico, i suoi studi su Freud, Jung, Kereny e su I Ching, su forme primordiali quali il mandala e il labirinto che, come visto, sono spesso usati come materiali per artisti e scrittori della neoavanguardia, hanno svolto un ruolo di importante apertura per artisti e intellettuali che, come Manganelli, sono entrati in contatto con il medico tedesco. Un mondo di immagini e parole da assumere e riutilizzare nel gioco menzognero della creazione. Un brano del testo che Manganelli scrisse in memoria dell’amico scomparso, è 423 424 Aldo Carotenuto, Jung e la cultura italiana, Astrolabio, Roma 1977, p.147. Luciana Marinangeli, Risonanze celesti. L'aiuto dell'astrologia nella cura della psiche, Marsilio, Venezia 2007, p.232. 211 particolarmente significativo: «Novelli amava gli enigmi, perché gli enigmi sono insieme sapienza e gioco, perché richiedono astuzia e fulminea intelligenza, sono antichi e infantili: e Novelli era appunto arcaico e iniziale, un esempio affascinante di puerizia sapiente. Irrequieto, ilare e disagevole a se stesso, inseguito da una dinamica mercuriale, Novelli era destinato e condannato e privilegiato da una definitiva giovinezza, un perenne stupore iniziale, stupenda cicatrice di una intelligenza pittorica folgorante».425 425 Testo pubblicato nel pieghevole della mostra Gastone Novelli. “i segni, le lettere, i frammenti…” Opere su carta 1957-1968, Galleria Il Segno, Roma 1985. 212 2.3.1 Hilarotragoedia, i disegni di Novelli. Ne Il reale gioco dell'oca del '65 (fig.86), al centro, dentro uno schema del gioco dell'oca c'è scritto: A GIORGIO MANGANELLI IN OMAGGIO A HILAROTRAGOEDIA. Nell'opera già analizzata (cfr.§1.3.8) molti sono i riferimenti al testo dello scrittore milanese. Novelli possedeva due copie della prima edizione di Hilarotragoedia ora conservate presso l’Archivio Novelli e l’Archivio Michielin, dove c'è anche la prima edizione de La letteratura come menzogna, con la dedica: «Giorgio → Gastone, aprile 1967». Nel '64, lo stesso anno dell'uscita del libro, esegue ventiquattro disegni a tecnica mista ispirandosi all'opera.426 L'anno successivo le opere saranno esposte in una mostra alla galleria Il Segno di Roma con la presentazione dello scrittore.427 Nel 1964, a quarantadue anni, Giorgio Manganelli pubblica con Feltrinelli la sua opera prima. Presso il Fondo Manoscritti dell’Università di Pavia sono conservate le cinque stesure dattiloscritte (oltre a fogli ancora da sistemare) che documentano la lunga gestazione del libro che va dal dicembre ‘60 a maggio ‘64, data della pubblicazione. Le varie stesure sono una rielaborazione molto accurata della prima, scritta di getto in soli quaranta giorni. Tra le carte è conservato un piccolo quaderno di appunti a righe e con la spirale, di 60 pagine, dove tra il 14.XII.60 e il 11.1.61 (date scritte dall’autore), lo scrittore ha annotato numerosi appunti e grafici che riconducono alla elaborazione del testo. Questi appunti nacquero su suggerimento di Ernst Bernhard.428 Come dimostrato da Bricchi nella sua approfondita analisi dei materiali a disposizione,429 il 426 428 428 429 I 23 disegni (uno è andato disperso) in collezione privata a Milano sono tutti pubblicati nel catalogo della mostra Histoire de l'oeil, Il viaggio in Grecia, Hilarotragoedia 1999, cit. I disegni, in collezione privata milanese, sono stati esposti nell’ambito della mostra Il disegno della scrittura: i libri di Gastone Novelli, Museo del Novecento, 29.3.2012-17.6.2012 Milano. Marinangeli 2007, cit., p.234. Mariarosa Bricchi, Manganelli e la menzogna. Notizie su Hilarotragoedia con testi inediti, Interlinea, 213 quadernetto è stato iniziato esattamente il giorno dopo l’inizio della prima stesura del testo, ed è stato più o meno completato alla fine. Con il suo carattere estremamente schematico assume dunque una grande importanza per l’analisi dell’opera finita. La funzione che evidentemente ebbe per l’autore fu quella di uno spazio dove fissare prima di tutto la struttura dell’opera che si stava accingendo a scrivere e in secondo luogo per organizzare tramite elenchi una serie di termini che sarebbero stati utilizzati. Molti sono i temi che via via prendono corpo nel taccuino dalle tipologie dell'angoscia, degli addii, a «segnali vari di burla e di tragedia, uno sconvolgente meccanismo di ipotesi mentali, cui si alternano colonne di parole che rappresentano pseudosinonimi, alla maniera delle colonne di verbi e sostantivi della Selva delle parole di Daniello Bartoli, autore amatissimo da Manganelli».430 Dalla prospettiva di questa ricerca il quadernetto assume una straordinaria importanza per la presenza di grafici e schizzi inerenti al testo che sono da mettere in relazione con i disegni eseguiti tre anni più tardi da Gastone Novelli. Tre delle cinque pagine sono state già pubblicate nel 1992,431 ma non sono ancora state analizzate alla luce delle analogie riscontrabili tra gli appunti dello scrittore e le opere del pittore. L’aspetto più significativo è probabilmente quella certa 'aria di famiglia' che salta subito agli occhi. E’ da verificare se, come è probabile, ci sia stato uno scambio di idee su come affrontare il difficile tema dell’illustrazione di un libro così complesso. Per effettuare un confronto è necessario partire dal fatto che nel 1960 l’opera di Novelli stava iniziando a muoversi da poco nei luoghi della scrittura, del gioco linguistico, delle griglie, degli schemi e delle serie di numeri e segni che poi diventeranno sua cifra di riconoscimento, ma che non presentava ancora segni vettoriali, formati da linee e freccette 430 431 Novara 2002. Maria Corti, Manganelli: incontri e corrispondenze, in Per Giorgio Manganelli, a cura di A.Stella, Guardamagna, Varzi-Pavia 1992, p. 24. Stella 1992, cit. 214 che entreranno solo successivamente nel suo vocabolario espressivo. Tenendo presente che molti simboli di questo tipo erano già stati utilizzati da alcuni artisti all’inizio del XX secolo - basti pensare ancora una volta a Klee -, entrano definitivamente nel vocabolario iconico di artisti della neovanguardia (primo fra tutti Baruchello) solo agli inizi degli anni Sessanta e con un accento fortemente grafico. È dunque interessante notare che Manganelli li abbia adottati nei suoi quaderni di appunti cronologicamente prima dei suoi amici pittori. Con questa osservazione può sembrare azzardato affermare che Novelli possa aver assorbito tali segni dallo scrittore, ma è comunque significativa la condivisione che si viene a creare tra i due. Se, come probabile, Novelli fosse venuto a conoscenza degli appunti dell’amico, magari anche di altri, allora i grafici eseguiti dallo scrittore sembrano aver avuto un ruolo, quantomeno esplicativo di un metodo di approccio tra testo e immagini. Come si può vedere dal confronto tra i fogli del quadernetto e alcuni dei disegni di Novelli, qualche elemento ritorna. Nel foglio con il “grafico della discesa” (fig.143)432 Manganelli traccia due linee che formano una specie di imbuto e una serie di frecce a lato. Tratti simili si ritrovano in uno dei disegni del pittore (fig.143a) dove nella parte destra del foglio vediamo linee oblique e una freccia nella stessa direzione. Nella seconda pagina degli appunti scelta (fig.144), lo scrittore inserisce una griglia, uno degli schemi più usati da Novelli nelle sue opere all'inizio degli anni Sessanta. La freccia verso il basso con la breve serie numerica di un altro foglio (fig.145)433 è da mettere a confronto con almeno due disegni eseguiti per Hilarotragoedia (fig.145a, fig.145b), mentre le linee a spirale e spezzate con andamento 'discenditivo' in altre due pagine (fig.146, 432 433 Pubblicato in Stella 1992, cit., p.43. Le pagine delle figg.132 e 133 sono inedite. 215 fig.147) 434 con un altro disegno (fig.147a). Se è pur vero che Novelli ha sempre dichiarato che per lui i testi letterari hanno avuto un ruolo di stimolo e che i suoi lavori non sono mai stati delle semplici ‘illustrazioni’ dei testi stessi, (il suo «rapporto con certi testi letterari è un rapporto di intervento» e dunque «non di rappresentazione di un testo in quanto affine (…), ma di utilizzazione»,435) nel caso di Hilarotragoedia la fusione tra scritto e immagine che la rappresenta assume il carattere di una totale osmosi e identificazione. Per Bartoli Novelli ha in comune con Manganelli «il modo con cui riesce ad innescare la produzione del testo fuori del testo attraverso le forme del commento e della nota. Si può quindi capire perché Novelli esegua, nel '64, una ventina di disegni che illustrano l'Hilarotragoedia e riscriva figuralmente tutto il capitolo sui sobborghi dell'Ade. Manganelli lo attrae come tetro raccoglitore di cataloghi, glossatore di voci impantanate: un “re delle parole” che mette in scena la spettacolarità della scrittura e la fa danzare clownescamente sulla corda, in bilico nel vuoto».436 Se da un lato poi Novelli si espresse con toni altamente lusinghieri rispetto alla scrittura di Manganelli, dall’altro per lo scrittore la soddisfazione di avere la propria opera così ben accompagnata, fu dichiarata nella presentazione dei disegni presso la galleria Il Segno di Roma nell’aprile ‘65. Il testo che all’epoca non ebbe una grande diffusione, ma che fu successivamente riprodotto e citato, contiene considerazioni sui disegni come necessario complemento del suo lavoro letterario. Leggiamo: «Eccoli: i tuoi cartelli sospingono il turista perplesso sulla propria destinazione verso una regione che veramente più di ogni altra lo attende. E’ un invito sapiente, di rari suoni essenziali, ben custoditi da cauti spazi bianchi. Ed ecco la bella e bizzarra fauna, gli orbetti, i vipistrelli, i rospi (di ruspa), le serpi 434 435 436 Le pagine delle figg.136 e 137 sono state pubblicate in Stella 1992, cit., pp. 46 e 50. La fig.137 anche in Bricchi 2002, cit., p.26. Dall’intervista a Crispolti (cfr. nota 399). Birolli 1976, cit., p.43. 216 amiche - ma quaggiù è tutto amico; e i vegetali falansteri, le tane fastose, e le nobili, anche se sommarie dimore. E brevi mappe fitte di frecce direzionali, di incredibile giovamento al candido curioso». E’ interessante notare che lo stesso Manganelli si sia soffermato sulle “frecce direzionali”, che molto hanno a che fare con i grafici presenti nel suo quadernetto. 217 2.3.2 Hilarotragoedia, i dipinti inediti di Giovanna Sandri. Nell’ambito della ricerca è emerso che il primo libro di Giorgio Manganelli ha ispirato anche alcuni lavori pittorici di Giovanna Sandri (1923-2002) eseguiti tra il ’64 e il ’65 e rimasti finora inediti. Queste opere precedono di poco la più nota produzione dell’artista nell’ambito della Poesia concreta e colpiscono per la qualità completamente diversa del lavoro. Al momento sono sette le opere che sono riuscita a rintracciare che traggono ispirazione dal non-romanzo di Manganelli. Alcune di esse riportano il titolo autografo sul retro, altre sono documentate da due lettere, anche queste autografe, una conservata presso l’archivio del Fondo Manoscritti dell’Università di Pavia, l'altra presso l’Archivio di Nuova Scrittura della biblioteca del Mart di Rovereto. Dei dipinti, quattro sono conservati presso il Museion di Bolzano (fig.148, fig.149), uno presso il Fondo Manoscritti di Pavia e altri tre presso il suo erede. Le dimensioni dei lavori sono ridotte e la tecnica usata è olio su legno o su carta. Si avvicina alla serie un numero di altri lavori che probabilmente non sono in diretto rapporto con l’opera letteraria, ma risentono fortemente della stessa atmosfera. In Obliquo specchio, contenuto nella pubblicazione che è la testimonianza più compiuta del rapporto tra i due intellettuali,437 Giovanna Sandri non fa mai riferimento alla serie ispirata alla prima opera di Manganelli. Come racconta, i due scrittori si conobbero nel '55 al Centro di Studi Americani di Roma, città nella quale Manganelli era approdato due anni prima viaggiando a bordo della storica Bachunina, la sua lambretta. Il rapporto che ne seguì è documentato dallo scambio di lettere che testimonia la loro relazione durata circa fino al '59. Manganelli non era ancora lo scrittore d’avanguardia e viveva allora una forte condizione di disagio alla quale riuscì a 437 Giorgio Manganelli, Giovanna Sandri, Costruire ricordi, ventisei lettere di Giorgio Manganelli e una memoria di Giovanna Sandri, a cura di G.Pulce, Archinto, Milano 2003. 218 dare una forma proprio attraverso la scrittura della sua opera prima. Nel capitolo che parla del loro soggiorno a Londra nell’estate del '56, Giovanna Sandri, dopo aver raccontato l’episodio del drammatico smarrimento di Manganelli nei giardini di Hampton Court, nella parte chiamata ‘The Wilderness’ ornata di un labirinto arboreo, associa la preferenza per alcuni “luoghi deputati” della futura scrittura del suo compagno a quell’esperienza di perdita nel “magnetico maze”.438 La Sandri aveva perfettamente compreso, collegando i suoi ricordi personali e la forma della scrittura del Manga, quanto i fantasmi della sua mente avessero potuto contribuire a creare le immagini che poi riverserà nelle parole dei suoi libri. I dipinti figurativi e onirici che la futura poetessa visiva dedicò all’opera più visionaria dello scrittore milanese, sembrano dare forma a quei fantasmi, a metà strada tra interpretazione dell’opera e scavo nella psiche dell’autore. Le opere della Sandri assumono così la potenza di un ritratto dello scrittore reso attraverso l’interpretazione della carica immaginativa delle parole da lui usate. Il carattere barocco delle forme utilizzate dall'artista sembra adombrare l’amore di Manganelli per le forme della retorica, la menzogna del linguaggio e l’adesione al mondo delle ombre, in cui parole e forme sembrano muoversi a loro agio. Le figure graffiate sulla superficie pittorica sono inquietanti presenze che emergono da una primordiale materia oscura e informe. Il lavoro successivo della Sandri sarà modulato su raffinate forme grafiche rigorosamente campite in bianco e nero. 438 Manganelli, Sandri 2003, cit., p.50. Nella pagina precedente la Sandri annota dopo la fuga di Manganelli dal parco: «Lo ritrovai la sera in camera mia (…).Mi avvicinai. In silenzio gli posi una mano sulla spalla. Non si voltò. Con un filo di voce mi chiamò mamma». 219 2.4 Novelli e l'avanguardia letteraria francese La frequentazione da parte di Novelli di molti esponenti dell'avanguardia francese, aiutato anche dal fatto che parlava perfettamente la lingua, è un aspetto già studiato e analizzato in molte occasioni. Spesso è stato fatto riferimento ai suoi numerosi soggiorni a Parigi soprattutto tra il '56 e il '61 dove ebbe occasione di frequentare artisti come Masson, Arp, Man Ray e scrittori come Beckett, Bataille, Simon, Klossowsky e de Solier,439 più volte citati anche nello svolgimento di questa ricerca. Fu Achille Perilli, incontrato nel '55, a introdurre Novelli alla conoscenza degli intellettuali francesi che vennero in buona parte ospitati con alcuni interventi sulle pagine di “Esperienza Moderna”. Attraverso l'attività della rivista furono instaurati contatti anche con Edouard Jaguer che dirigeva “Phases” (1954-1975), una rivista di ascendenza surrealista dove veniva coltivato un particolare interesse per le grafie in varie coniugazioni, un aspetto condiviso con i due artisti italiani. Quando nel '61 espone alla Galerie du Fleuve in una mostra dedicata all'opera poetica di Lambert,440 conosce la gallerista Viviane Stoloff e René de Solier con cui ebbe un lungo rapporto di amicizia e collaborazione (cfr.§ 1.3.12). Fu quest'ultimo che probabilmente, come visto, fece conoscere a Novelli alcuni testi francesi antichi come Les Bigarrures e probabilmente il Traicté de Chiffres. Come già messo in evidenza nel corso del presente studio, lo scrittore francese aveva anche un progetto che non andò a buon fine: la pubblicazione di un libro d'artista a tiratura limitata che faceva esplicito riferimento al libro di Tabourot, tenuto evidentemente in grande considerazione dai due. Il legame si consolidò anche grazie alle esperienze con allucinogeni fatte per studiare gli 439 440 Brigitte Ferrato-Combe, Novelli e gli scrittori francesi, in Gastone Novelli, catalogo mostra Galerie Di Meo, Parigi 10.10-29.11 2008. Le voir-dit. Peintures sculptures dessins objects de Aldine...Novelli...Viseux. Sur de poèmes de JeanClarence Lambert, Galerie du Fleuve, Parigi 7-28 febbraio 1961. Lambert era amico personale di Perilli. Presso l'Archivio Michielin sono conservati documenti relativi a un progetto del poeta con Novelli, anche questo non realizzato. 220 effetti degli stati di trance indotti da sostanze psicotrope così come avviene nelle pratiche sciamaniche, studiate e conosciute da Novelli già nel suo soggiorno brasiliano. È noto a questo proposito il testo di de Solier che tratta dell'argomento: Curandera. Les champignons hallucinogenes del '65441. Per vari aspetti dunque il rapporto tra i due sembra molto importante per il percorso del pittore italiano e meriterebbe un approfondimento anche attraverso lo studio dei materiali in via di sistemazione nel Fondo de Solier conservato alla Sorbona. Novelli illustrò opere di Beckett, Bataille e Klossowsky, autori che conobbe e che influirono molto sulla sua opera per l’approfondimento di tematiche legate ai temi dell'incomunicabilità, del nonsense e dell'erotismo, coniugate secondo audaci libertà espressive. Per l’artista italiano fu in particolare molto importante il rapporto con Samuel Beckett con cui è stato amico fino all'ultimo e con cui condivise «una strategia del fallimento» attuata con «la ripetizione della frase, l'errore, il lapsus, il balbettio, il privilegio accordato alla forma o al suono significante, la grafia incerta, la cancellatura».442 Le litografie per Comme c'est sono del 1961443 e testimoniano ancora una volta la capacità dell'artista di immedesimarsi nella difficile tematica del testo. Nei disegni a tecnica mista per Histoire de l'Oeil di Georges Bataille datati dall'artista il 15 e il 17 gennaio 1962, fa un largo uso di griglie perché Bataille tratta temi «di natura più simbolica che semiotica, temi aggirantisi intorno al perno topico della globularità, dell'occhio rovesciato. Allora bisognava padroneggiare, rendere semiotizzabile, fin dove possibile, una materia che scorreva dilagante e si condensava in piramidi metaforiche. Occorreva arginarla entro un reticolato, fissarla in architettura di pietra almeno per un momento, prima che divenisse troppo abbagliante. Opporsi al delirio con la controforza 441 René de Solier, Curandera, les champignons hallucinogènes, Jean-Jacques Pauvert, Paris 1965. Rinaldi 2010, cit., p.54. 443 Le litografie originali di Novelli stampate da Bulla nel '61 per L'image di Beckett, parte di Comment c'est, edizioni Minuit 1961, sono state edite in forma di libro d'artista in 50 copie numerate da Francesco Michielin nel 2008, a quarant’anni di distanza dalla morte del pittore. 442 221 della forma».444 La correlazione tra la forma circolare, l'orifizio solare (anus solaire), cavità che risucchia nel nulla o nella sovrapposizione tra abisso dell'io fisico e psichico e abisso cosmico è un concetto che fu applicato da Villa ai tagli e ai buchi di Fontana e che doveva essere già noto a Novelli. Il saggio sul mito di Diana e Atteone, Das Bad der Diana, scritto nel '56 da Klossowsky, fu illustrato con nove incisioni calcografiche da Novelli per un'edizione tedesca del '65.445 Il carattere sensuale delle immagini offerte dal testo è reso da Novelli con forme simili alla stilizzazione del fumetto che andava sperimentando in quegli anni. L'artista italiano in Francia conobbe anche gli scrittori del Nouveau Roman - Butor, Robbe-Grillet, e il già citato Simon - di cui molti testi che gli erano appartenuti sono ancora conservati. Le opere di questi autori, molto conosciuti in Italia da scrittori e artisti della neoavanguardia, si possono considerare un interessante esempio per Novelli di nuda elencazione di 'cose' che creano il mondo circostante. Fu Claude Simon che ebbe con il pittore il rapporto più intenso. Dopo essere stato insignito del premio Nobel per la letteratura nell'85, nel 1997 scrisse Le Jardin des Plantes in cui, all'interno di un romanzo dove la memoria determina la struttura anche tipografica del libro, traccia un commovente ritratto di Novelli. I vari riferimenti al pittore fatti in questo testo costruiscono un affettuoso e intenso ricordo che fa lo apparire «come un tragico gemello dello scrittore, segnato come lui nella carne, nella sensibilità e nel pensiero dall'esperienza della guerra, del dolore, della paura della morte»,446 avendo ambedue vissuto le tragiche esperienza della guerra e della violenza nazista. Simon aveva presentato Novelli alla mostra del '62 alla Alan Gallery di New York con un testo che diventò un riferimento per la critica successiva, intitolato Novelli o il problema del linguaggio. 444 445 446 Bartoli 1976, cit. Pierre Klossowsky, Das Bad der Diana, Abstracta Verlag, Friburgo. Roma, Stamperia Romero, 1965. Nello stesso anno, con Giuliani e Manganelli, lo scrittore presentò il pittore alla mostra Gastone Novelli. Le radici dei segni, Galleria Il Segno, dal 9 aprile. Ferrato-Combe 2008, cit., p.17. 222 L'artista conservava due lettere autografe dello scrittore. Nella lettera manoscritta del '62, Simon si riferisce all'edizione italiana del suo La Route des Flandres del '60 (cfr.§1.3.3), pure presente tra i libri di Novelli; nell'altra, del '64, lo ringrazia per un quadro. Scorrendo i titoli dei volumi della sua biblioteca (Arch. Mich.), si può approfondire l’ interesse di Novelli per la Patafisica (e l'Oulipo), mai dichiarato esplicitamente dall’artista. È infatti presente l'opera completa di Alfred Jarry e alcuni “Cahiers du Collège de Pataphysique” oltre a due libri di Queneau che fu nominato 'Dignitaire du Collège' (come molti altri scrittori e artisti tra cui Duchamp) e che fu uno dei fondatori dell'Oulipo, una delle più autorevoli ‘Sottocommissioni di Lavoro’. La Patafisica o «scienza delle soluzioni immaginarie che accorda simbolicamente ai lineamenti le proprietà degli oggetti descritti nella loro virtualità» dai seguaci è anche considerata la scienza che si sovrappone alla metafisica.447 Celebrando in Alfred Jarry il padre indiscusso di questa scienza 'assoluta' - che fa pronunciare al suo Ubu cornuto la fatidica definizione «la Patafisica è una scienza che noi abbiamo inventato perché ve ne era un gran bisogno» e poi in Gesta e opinioni del dottor Faustroll (parodistica citazione dal Tristram Shandy) «la Patafisica è la scienza» -, l'idea delle Soluzioni Immaginarie nasce dalla considerazione del fatto che la scienza ufficiale basa la soluzione di ogni problema particolare «su una scelta arbitraria». Per questo alla Patafisica ogni soluzione va sempre bene, in quanto «l'idea di “verità” è la più immaginaria fra tutte le soluzioni»448 e non è interessata a “salvare il mondo”. L'aspetto libertario e anarchico è evidente come anche quello esoterico e occultista in nome di un forte spirito evolutivo di tutta la dottrina. Emblema dell'ordine del Collège è l'ombelico di Padre Ubu, detto giduglia, «rappresentato da una spirale che la Patafisica traspone in simbolo di eterna ricerca, rotante senza fine su sé medesima». Un altro omphalos, molto lontano dal significato mitico dato dagli antichi e 447 448 Enrico Baj, Patafisica, Bompiani, Milano 1982, p.18. Baj 1982, ivi, pp.33-34. 223 ricontestualizzato da Novelli con le sue sculture, ma un simbolo che torna unito alla forma della spirale e del labirinto. Il Collège de Pataphysique fu fondato a Parigi l'11 maggio del 1948 durante una riunione letteraria e fin dal giorno seguente si diede degli statuti, una gerarchia, un ordine, un calendario e si costituì come una «società di ricerche scientifiche e inutili».449 Della complessa gerarchia hanno fatto parte molti artisti e scrittori francesi con molti riferenti in altri paesi tra cui l'Italia (tra gli artisti ricordiamo Nespolo, Fontana e lo stesso Baj). I “Cahiers” sono stati pubblicati in ventotto numeri tra il 1950 e il '57. I testi riguardano temi del passato o del presente di qualche interesse per i membri del Collegio. Un probabile tramite tra Novelli e la Patafisica fu Enrico Baj (1924-2003) con cui espose alla mostra di New York del '62 e alla Biennale di Venezia del'64. Una lettera manoscritta di Baj a Novelli del 2.3.65 da Milano parla di quadri da mandare per una mostra di New York, probabilmente quella che si tenne sempre all'Alan Gallery nel marzo di quell'anno. Baj fondò con Dangelo la Pittura nucleare (il manifesto è del '52), il Movimento internazionale per un Bauhaus Imaginiste insieme a Jorn (1954) e un movimento Contro lo stile (1957), collaborò alle riviste “Il Gesto” e “Phases” conoscendo Jaguer e molti intellettuali francesi. Dopo l'incontro con Queneau nel '59 si avvicinò al Collège fino a diventare Satrapo e Imperatore Analogico, cariche che gli consentirono di fondare nel'63 alla presenza di personalità come lo stesso Queneau, Man Ray e il poeta futurista Farfa, l'Istitutum Patafisicum Mediolanense.450 Nel '94 fonda con Nespolo e Afro Somenzari l’Istituto Patafisico Vitellianense di Viadana. Nella lista dei suoi libri preferiti stilata nel '66, Novelli inserisce L'amour absolu di 449 450 Baj 1982, cit., pp.49-50. Angela Sanna, Patafisica di Baj, in Enrico Baj, La patafisica, Abscondita, Milano 2009, p.101. 224 Jarry,451 il libro considerato dalla critica blasfemo per i continui rimandi biblici e autobiografici. L'interesse di Novelli per la scienza delle soluzioni immaginarie nacque probabilmente dal lavoro dissacrante e estremo che caratterizza l'opera del padre della Patafisica, oltre che dalla curiosità suscitata dalla cerimoniosa e complessa struttura dell'organizzazione che promuoveva una liberatoria attività creativa basata sulla illogicità dell'arbitrio. Una coniugazione dell'Assurdo assunto come regola che pervade i campi di tutte le istituzioni umane. Ma è comunque interessante la presenza di testi che riguardano quella strana disciplina. Fu nell'opera di Jarry che Novelli poté cogliere la complessità variabile di sistemi di segni che vanno oltre il loro significato e con cui «l'opera diventa forma pura. Si possono quindi isolare dal loro contesto le due formule di Jarry che rendono conto di tale atteggiamento: “il segno soltanto esiste” (César Antéchrist), “soltanto la lettera è letteratura” (Spéculations)».452 Baj era in contatto con Gianni Bertini (1922-2010) altro artista che può essere considerato tramite tra Italia e Francia. Si stabilì a Parigi nel '52 dove visse fino agli inizi anni Settanta. Collaborò alla rivista “Il Gesto” quando aderì al movimento nuclearista. Non sono documentati rapporti diretti con Novelli ma anche Bertini conobbe de Solier che lo presentò nel '63 al Palais des Beaux-Arts di Bruxelles e da cui fu pubblicata una plaquette.453 Un ruolo attivo per l'introduzione di Novelli nell'ambiente parigino lo ebbe sicuramente il suo amico personale Giancarlo Marmori (1926-1982),454 scrittore e giornalista ligure che viveva a Parigi dall'inizio degli anni Cinquanta. Partecipò alla prima e alla terza riunione del Gruppo 63, è presente nella prima antologia. Tra le carte della biblioteca di Novelli 451 452 453 454 Novelli, Inchiesta sul surrealismo, in “Grammatica” 1976, cit., p.88. M.Arrivé, Alfred Jarry, in Storia della letteratura francese, cit., 1985, p.145. René de Solier, Bertini, s.e., Bruxelles 1963. Gualdoni 1983, cit., p. 10. 225 (Arch. Mich.) è conservato un disegno di Marmori che era all'interno del suo primo romanzo, La parlerie. Il testo, centrato sulle figure di due vagabondi, è impregnato di grottesco e nonsense che ricordano Beckett e Jonesco, «nonsenso dell'esistenza in rapporto all'essere, vanità del linguaggio, vanità e impotenza dello scrivere e del sapere»,455 ma espresso con uno stile più elaborato e poetico. Il mondo raccontato dallo scrittore ligure risente dunque delle tematiche dell'assurdo e successivamente anche dell'erotismo delle opere di Bataille e Klossowsky di cui fu il suo traduttore per l'italiano della trilogia di Roberta: Roberte ce soir, Le révocation de l'Edit de Nantes e Le souffleur. Il tema dell'erotismo, già presente nel romanzo Storia di vous (Feltrinelli 65), è stato approfondito nei saggi Le vergini funeste (Sugar 1966) e Senso e anagramma (Feltrinelli 68), un'analisi sui messaggi sottesi nell'uso del corpo femminile nella pubblicità. Marmori si può considerare uno dei principali tramiti tra avanguardia francese e italiana, con Novelli condivise evidentemente alcune preferenze letterarie, e fu probabilmente lui a introdurlo a Klossowsky. 455 Articolo della Nouvelle Revue Français di Robert André, trascritto nella seconda di copertina di: Giancarlo Marmori, Lo sproloquio, (tit.or. Le parlerie) Feltrinelli, Milano 1963. 226 Conclusioni Alla fine di questo studio centrato sulla figura di Gastone Novelli dalla prospettiva delle varie forme di gioco linguistico presenti nelle sue opere, appare evidente quanto per l'artista (e per molti altri messi a confronto) il gioco stesso sia stato di fondamentale importanza per mettere in luce il carattere autoreferenziale del linguaggio. Il grande numero di giochi individuati dà la misura di quanto ampia sia stata la libertà nell’uso della parola nelle opere di arte figurativa da parte degli artisti della neovanguardia. La ricerca ha sostanzialmente messo in luce la quantità e la qualità dei riferimenti culturali di Novelli, nutriti dai rapporti intrattenuti con intellettuali italiani e francesi, in particolare Giorgio Manganelli e René de Solier, che, su fronti diversi, hanno contribuito all’approfondimento di alcune tematiche riguardanti il linguaggio e la sua artificiosità e l’apertura a discipline e pratiche esoteriche. Lo studio approfondito del rapporto con Manganelli, ha permesso di individuare elementi di forte coesione nel loro lavoro e utili anche per la lettura dei disegni per Hilarotragoedia, e permesso inoltre di rintracciare i lavori di Giovanna Sandri con lo stesso tema. La possibilità di studiare le opere e i documenti presso l’Archivio Novelli ha consentito di selezionare un significativo campione di opere utili allo studio del tema. Mentre la consultazione di testi e documenti della biblioteca di Novelli conservata all’Archivio Michielin, ha permesso di individuare - o di approfondire - una serie di collegamenti, anche inediti, tra Novelli e la cultura contemporanea nutrita, in alcuni casi, di testi antichi utili come riferimento per i giochi linguistici utilizzati dall’artista nelle sue opere, primo fra tutti il testo di bizzarrie letterarie di Tabourot e (probabilmente) quello sulle crittografie di Vigenère. Rispetto alle categorie codificate da Caillois, entrare nel gioco, in-ludere, è entrare in una situazione illusoria, instabile e rischiosa. Novelli accetta la sfida e propone continuamente 227 giochi verbali che non possono che mostrare continuamente l'incertezza della condizione in cui si trovava a operare. La sua incessante opera di citazione, prelievo o imitazione fa pensare alla categoria della mimicry, ma per lui non c'è travestimento, vestire i panni dell'altro, né parodia. Per Novelli è importante selezionare frasi, brani, parole, immagini che possano costituire una propria personale memoria, materiali con cui identificarsi in un dato momento, ma da tenere in realtà sempre alla giusta distanza per essere poi riutilizzati secondo la tipica operazione del bricoleur. A un primo sguardo inoltre il suo lavoro può far pensare all'altra categoria di Caillois, l'alea, il caso. Ma da quanto emerge anche da questa ricerca, il caos o almeno il disordine di molte sue composizioni che a volte vogliono essere imbrigliati dentro griglie e scacchiere, non sono mai realmente tali ma sempre organizzati seguendo un filo rosso che con una propria logica interna costruisce un discorso. È dunque difficile far rientrare i giochi di Novelli dentro categorie già date: sembra infatti muoversi entro luoghi di margine che danno al suo lavoro una costante sensazione di instabilità e di costruzione al tempo stesso. E non c'è gratuità nel gioco di Novelli, è mosso sempre dall'impegno della comunicazione. Per quanto riguarda poi il ruolo a cui è chiamato lo spettatore, sembra in apparenza essere sempre attivo, soprattutto in presenza di giochi verbali, o anche in presenza di citazioni più o meno facili da ricostruire. Eppure nell'opera di Novelli questo avviene solo in parte. Le cause sono da cercare nella grande frammentarietà in cui tutto è presentato ma soprattutto nel fatto che nei suoi giochi linguistici c'è un continuo cambiamento delle regole che sono alla base di ognuno di essi. Questo porta allo stravolgimento della stessa idea di gioco che non esiste se non secondo regole certe. In assenza di regole non sono inoltre date soluzioni certe. Il gioco (l'opera) rimane quanto mai aperto. La necessità di un qualsiasi testo di significare solo attraverso la lettura e al tempo che 228 occorre, teorizzata da Iser,456sottintende un’indispensabile interazione tra opera e spettatore (lettore). Nel caso di Novelli, lo spettatore è chiamato ad assistere a una rappresentazione piena di potenzialità sonore, visuali e memorative: un’appercezione sinestetica che non chiede una sintesi né un significato complessivo ma pretende di essere lasciata nella sua forma sgretolata senza possibilità di ricostruzione. Il carattere che è più evidente nell'opera di Novelli degli anni Sessanta è quello della continua re-invenzione di codici in un infinito gioco di destrutturazione e ricomposizione di forme. Re-invenzione da identificare con la capacità poietica, elemento fondante della poesia. A questo proposito, particolarmente significativo è il tema dell'invenzione di lingue proposto all'inizio di questo studio e messo in relazione anche con il tema vichiano della possibilità data al poieta di creare le proprie origini. La ricerca dell’origine è stata momento fondamentale, con varie declinazioni, delle sperimentazioni della prima metà del XX secolo, per poi essere trattata di nuovo, con diversi presupposti, nel secondo dopoguerra. La potenziale capacità dell’artista di costruire autonomamente le proprie origini culturali scegliendo nel vasto mondo, sembra chiudere il breve ciclo artistico di Novelli, che vede i suoi esordi agli inizi degli anni Cinquanta, molto influenzato dalle letture fatte e soprattutto dall’incontro con Emilio Villa, con il quale, come noto, condivise la ricerca dell’ originarietà primigenia che sembrava perduta per sempre nella civiltà occidentale. L’accostamento alle avanguardie letterarie degli anni Sessanta portò evidentemente l’artista a procedere nella sua ricerca, muovendosi con convinzione nel mondo dei segni prodotti dall’uomo fin dalle epoche più remote. Nel secondo Novecento, quando ormai esiste la piena consapevolezza circa l’ambiguità del linguaggio, si può entrare nella dimensione del ri-creare i propri codici. Il carattere 456 Wolfang Iser, L'atto della lettura. Una teoria della risposta estetica, Il Mulino, Bologna 1987. 229 diaristico della sua opera, la continua inclusione di elementi eterogenei dà la dimensione di apertura dell’opera di Novelli, uno stare costantemente in quella zona di confine tra più discipline e molteplici modi espressivi, un non-scegliere in maniera definitiva una forma o uno stile per coglierne le infinite potenzialità creative e espressive. Questa è la forza della sua opera. Le parole di Simon scritte agli inizi degli anni Sessanta furono profetiche rispetto a un percorso che si sarebbe svolto intensamente ancora per pochi anni: «In realtà, alle prese con le difficoltà dell'espressione, quelle stesse del linguaggio, Novelli le affronta in tutta la loro ambiguità. Ingannevole, illusorio, magnifico, imperfetto e perfettissimo nel medesimo tempo, limitante e universale, sfuggente al suo inventore per vivere un'esistenza propria, per inventare e creare a sua volta, fino a comandare e fecondare con la propria magia che credeva di servirsene come strumento: il linguaggio».457 457 Simon 1963, cit., p.63. 230 BIBLIOGRAFIA AA VV 1991 AA VV, Morale del giocattolo. Tre incursioni nell’immaginario dell’infanzia, Stampa Alternativa, Roma 1991. Abbagnano, Fornero 1996 Nicola Abbagnano, Giovanni Fornero, Protagonisti e testi della filosofia, vol.II, Paravia, Torino 1996. Abraham, Desné 1985 P.Abraham, R. Desné, Storia della letteratura francese, tr. it. A. Dittel, A. Riganti, P. Veronesi, A. Vigna, Garzanti, Milano 1985. Accame 1977 Vincenzo Accame, Il segno poetico. Riferimenti per una storia della ricerca poetico-visuale e interdisciplinare, Munt Press, Samedan (Svizzera) 1977. Accetto 1983 Tommaso Accetto, Della dissimulazione onesta, edizione critica a cura di S. S. Nigro, presentazione di G. Manganelli, Costa & Nolan, Genova 1983. Agamben 1978 Giorgio Agamben, Infanzia e storia, Einaudi, Torino 1978. Agrippa 1533 H.C. Agrippa von Nettesheim, De Occulta Philosophia libri tres, Colonia 1533. Agrippa 2008 [1972] Enrico Cornelio Agrippa, La filosofia occulta o La magia, vol.II, tr.it. di A. Fidi, Edizioni Mediterranee, Roma 2008 [1972]. Ah, che rebus! 2010 Ah, che rebus! Cinque secoli di enigmi fra arte e gioco in Italia, mostra a cura di Antonella Sbrilli, Ada De Pirro, Istituto Nazionale per la Grafica, Roma 17.12.2010-8.3.2011. Catalogo Mazzotta, Milano 2010. Albani 2008 Paolo Albani, Calvino e i plagi anticipati, in Aragona 2008. Albani, Buonarroti 2010 [2004] Paolo Albani, Berlinghiero Buonarroti, Aga Magera Difura. Dizionario delle lingue immaginarie, Zanichelli, Bologna 2010 [2004]. Albani, Della Bella 1999 Paolo Albani, Paolo Della Bella, Forse Queneau. Enciclopedia delle scienze anomale, Zanichelli, Bologna 1999. Alberini 1988 M.Alberini, Una partita lunga un viaggio, in “Qui Touring”, Milano marzo 1988. Alfabeto in sogno 2002 Alfabeto in sogno. Dal carme figurato alla poesia concreta, mostra a cura di Claudio Parmiggiani, Chiostri di San Domenico, Reggio Emila 20.1-3.3.2002. Catalogo Mazzotta, Milano 2002. Ammann 2009 Jean-Cristophe Ammann, Il regno 'intermedio' nella creatività di Alighiero e Boetti, in Alighiero Boetti: catalogo generale, vol.1, Mondadori Electa, Milano 2009. 231 Aragona 2008 Raffaele Aragona (a cura), Italo Calvino. Percorsi potenziali, Manni, San Cesario di Lecce 2008. Argan 1976 [1960] Giulio Carlo Argan, Prefazione, in Klee 1976 [1960]. Arnaud 1964 Noël Arnaud, Vers une littérature illettrée, in “Littérature Illettrée” 1964. Arrivé 1985 M.Arrivé, Alfred Jarry, in Abraham, Desné 1985. Attraversamenti 1984 Attraversamenti. Linee della nuova arte contemporanea italiana, mostra a cura di Maurizio Calvesi e Marisa Vescovo, Rocca Paolina, Palazzo dei Priori, Palazzo del capitano del Popolo, Perugia settembre-novembre 1984. Balboni 1977 Maria Teresa Balboni, La pratica visuale del linguaggio. Dalla poesia concreta alla nuova scrittura, La Nuova Foglio, Pollenza-Macerata 1977. Balestrini 1963 Nanni Balestrini, Come si agisce, Feltrinelli, Milano 1963. Balestrini 2007 Nanni Balestrini, Tristano, KL5176, copia unica, DeriveApprodi, Roma 2007. Balestrini, Giuliani 1964 Nanni Balestrini, Alfredo Giuliani (a cura di), Gruppo 63. La nuova letteratura, 34 scrittori, Palermo ottobre 1963, Feltrinelli, Milano 1964. Balestrini, Giuliani 2002 Nanni Balestrini, Alfredo Giuliani (a cura di), Gruppo 63. L'Antologia, Testo & Immagine, Torino 2002. Baj 1982 Enrico Baj, Patafisica, Bompiani, Milano 1982. Baj 2009 Enrico Baj, La Patafisica, Abscondita, Milano 2009. Ballerini 1977 Luigi Ballerini, Logos al di sotto del logos, in Magdalo Mussio, Scritture, La Nuova Foglio, PollenzaMacerata 1977. Bandini 2005 Mirella Bandini, Per una storia del Lettrismo, Traccedizioni, Gavorrano, Grosseto 2005. Baratta 1972 Gino Baratta, Segni per il futuro, in Gastone Novelli, catalogo della mostra alla Galleria Civica di Arte Moderna di Torino, 24.2-25.4.1972. Barenghi 2006 Mario Barenghi, Narrazione, in Belpoliti, Cortellessa 2006. Barilli 1979 Renato Barilli, Informale Oggetto Comportamento, Feltrinelli, Milano 1979. Barilli 1981 Renato Barilli, Viaggio al termine della parola. La ricerca intraverbale, Feltrinelli, Milano 1981. 232 Barilli 2005 Renato Barilli, L’arte contemporanea. Da Cézanne alle ultime tendenze, Feltrinelli, Milano 2005. Barilli 2007 Renato Barilli, La neoavanguardia italiana. Dalla nascita del “Verri” alla fine di “Quindici”, Manni, Lecce 2007. Bartezzaghi 2001 Stefano Bartezzaghi, Lezioni di enigmistica, Einaudi, Torino 2001. Bartezzaghi 2004 Stefano Bartezzaghi, Incontri con la sfinge. Nuove lezioni di enigmistica, Einaudi, Torino 2004. Bartezzaghi 2007a Stefano Bartezzaghi, Orizzonte verticale, Einaudi, Torino 2007. Bartezzaghi 2007b Stefano Bartezzaghi, Combinazioni segrete e figure di parole. La Metametrica di Caramuel e l’impossibile storia dell’enigmistica, in www.engramma.it, n.54, marzo 2007. Bartezzaghi 2010a Stefano Bartezzaghi, Scrittori giocatori, Einaudi, Torino 2010. Bartezzaghi 2010b Stefano Bartezzaghi, Rebus sic mutantibus, in Ah, che rebus! 2010. Barthes 2003 [1982] Roland Barthes, Il grado zero della scrittura, Einaudi, Torino 2003 [1982]. Bartoli 1976 Francesco Bartoli, Il vuoto e lo sguardo, in Birolli 1976. Baruchello. Certe idee 2011 Baruchello. Certe idee, mostra a cura di Achille Bonito Oliva e Carla Subrizi, Galleria Nazionale d’Arte Moderna Roma, 21.12.2011-4.3.2012. Catalogo Mondadori Electa, Milano 2012. Bashō 1965 Matsuo Bashō, Old pond ya: a frog jumps in: water 460/500, J.Furnival Rookmoor House, Woodchester Glostershire 1965. Bataille 1994 Georges Bataille, Su Nietzsche, tr.it. A.Zanzotto, SE, Milano 1994. Bataille 1998 Georges Bataille, L’ano solare, a cura di S.Finzi, SE, Milano 1998. Battisti 1962 Eugenio Battisti, L’antirinascimento, Feltrinelli, Milano 1962. Bausani 1974 Alessandro Bausani, Le lingue inventate, Ubaldini, Roma 1974. Bellini 1992 Paolo Bellini (a cura di), L’incisione in Italia nel xx secolo: cento stampe dalla raccolta Bertarelli, Vangelista, Milano 1992. Bellinzaghi 2007 Roberta Bellinzaghi, Cubomanzia, dadi e mistero, Castel Negrino, Milano 2007. Belpoliti, Cortellessa 2006 Marco Belpoliti, Andrea Cortellessa, Giorgio Manganelli, Marcos y Marcos, Milano 2006 233 Belting 1990 Hans Belting, La fine della storia dell’arte o la libertà dell’arte, Einaudi, Torino 1990. Benincasa 1981 Carmine Benincasa, Nel giardino del mondo, in Paul Klee, catalogo della mostra a Orsanmichele, Firenze giugno-settembre 1981, Electa, Torino 1981. Benjamin 1979[1966] Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi, Torino, 1979 [1966]. Benjamin 2010 Walter Benjamin, Bambini, abbecedari, giocattoli, a cura di S.Calabrese e A.De Blasio, Archetipolibri, Bologna 2010. Bense 1974 Max Bense, Estetica, con introduzione di L.Anceschi, Bompiani, Milano 1974. Bernhard 1969 Ernst Bernhard, Mitobiografia, a cura di H.Erba-Tissot, Adelphi, Milano 1969. Berto 1998 Graziella Berto, Freud Heidegger. Lo spaesamento, Bompiani, Milano 1998. Biedermann 2001[1991] Hans Biedermann, Enciclopedia dei simboli, Garzanti, Milano 2001[1991]. Boatto 1970 Alberto Boatto, Discorso personale indiretto, in Vitalità del negativo 1970. Boggiani 1895 Guido Boggiani, Vocabolario dell’idioma Guanà, in “Atti della Reale Accademia dei Lincei”, serie V, vol.III, 1895. Bonani 2011 Paola Bonani, Mondi, montagne, segni di terra. La scultura di Gastone Novelli, in Catalogo Generale Novelli 2011. Bonito Oliva 1976 Achille Bonito Oliva, L’ideologia del traditore: arte, maniera, manierismo, Feltrinelli, Milano 1976. Bonito Oliva 1978 Achille Bonito Oliva (a cura di), Il mercante di segni, Lerici, Cosenza 1978. Bonmassar 2011 Maria Bonmassar, Biografia, in Catalogo Generale Novelli 2011. Bordignon, Sbrilli 2011 Giulia Bordignon, Antonella Sbrilli (a cura di), Fortuna nel Rinascimento, in www.engramma, n.92, agosto 2011. Borges 1995 [1955] Jorge Luis Borges, La biblioteca di Babele, in Finzioni (1935-1944), 1995 [1955]. Bosio 1993 Franco Bosio, Il libro dei rebus, Vallardi Garzanti, Milano 1993. Breton 1987, 2003 [1966] André Breton, Manifesti del Surrealismo, Einaudi, Torino 1987, 2003 [1966]. Breton 2003 [1991] André Breton, L’arte magica, Adelphi, Milano 2003 [1991]. 234 Bricchi 2002 Mariarosa Bricchi, Manganelli e la menzogna. Notizie su Hilarotragoedia con testi inediti, Interlinea, Novara 2002. Busi, Loewenthal 2006 [1995] Giulio Busi, Elena Loewenthal (a cura di), Mistica ebraica. Testi della tradizione segreta del giudaismo dal III al XVIII secolo, Einaudi, Torino 2006 [1995]. Butor 1961 Michel Butor, L’alchimia e il suo linguaggio, in “Repertorio”, Il Saggiatore, Milano 1961. Cagli 1956 Corrado Cagli, G. Novelli, numero unico edito da “Dimensione”, ottobre, Roma 1956. Caillois 2007 [1967] Roger Caillois, I giochi e gli uomini. La maschera e la vertigine, Bompiani, Milano 2007 [1967]. Calvesi 1975a Maurizio Calvesi, Duchamp invisibile, Officina Edizioni, Roma 1975. Calvesi 1975b Maurizio Calvesi, Le due avanguardie, vol.II, Universale Laterza, Roma Bari 1975. Calvesi 1978 Maurizio Calvesi, Un coup dada. Il caso nell’arte contemporanea, in Avanguardia di massa, Feltrinelli, Milano 1978. Calvesi 1984 Maurizio Calvesi, L’arte allo specchio, in LXI Biennale di Venezia, catalogo Electa per la Biennale, Venezia 1984. Calvino1973 Italo Calvino, Il castello dei destini incrociati, Einaudi, Torino 1973. Calvino 1977 Italo Calvino, Piccolo sillabario illustrato, in “Il Caffè”, n. 1, Montecalvo in Foglia (PU) 1977. Calvino 1988 Italo Calvino, Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, Garzanti, Milano 1988. Campagnoli 1995 Ruggero Campagnoli (a cura di), Oulipiana, Guida, Napoli 1995. Campos, Pignatari 1991 Augusto e Haroldo de Campos, Decio Pignatari, Piano-pilota per la poesia concreta, 1953-1958, in Archivio di Nuova Scrittura, Milano 1991, ora in Lora-Totino 2002a. Cangiullo 1916 Francesco Cangiullo, Piedigrotta parole in libertà col Manifesto sulla declamazione dinamica sinottica di Marinetti, Edizioni Futuriste di Poesia, Milano 1916. Caramuel 1668 Giovanni Caramuel de Lobkowitz, Primus calamus, ob oculos ponens/ metametricam …, Romae, Fabius Falconius, 1668. Cardona 1986 Giorgio Raimondo Cardona, Il contributo linguistico di Guido Boggiani, in Guido Boggiani pittore esploratore etnografo: la vita i viaggi le opere, a cura di M. Leigheb, Regione Piemonte 1986. Carotenuto 1977 Aldo Carotenuto, Jung e la cultura italiana, Astrolabio, Roma 1977. 235 Carrega 1985 Ugo Carrega, Commentario, Morra, Napoli 1985. Caruso, Martini 1975 Luciano Caruso, Stelio Maria Martini, Tavole parolibere futuriste (1912-1944), Liguori, Napoli 1975. Catalogo generale Boetti 2009 Jean-Christophe Ammann (a cura di), Alighiero Boetti. Catalogo generale, tomo primo, Electa, Torino 2009. Catalogo generale Miccini 2005 Catalogo generale delle opere di Eugenio Miccini, 1° volume dal 1962 al 2003, a cura di Carlo Palli, Bandecchi & Vivaldi, Pontedera 2005. Cavazzoni 2010 Ermanno Cavazzoni (a cura di), Album fotografico di Giorgio Manganelli. Racconto biografico di Lietta Manganelli, Quodilibet, Macerata 2010. Céard, Margolin 1986 Jean Céard, Jean-Claude Margolin, Rébus de la Reinaissance. Des images qui parlent, Maisonneuve et Larose, Paris 1986. Cecchi 1997 Emilio Cecchi, Parole incrociate, dalla raccolta Qualche cosa del 1931, ora in Saggi e viaggi, Mondadori, Milano 1997. Collange 1561 Gabriel de Collange, Polygraphie et universelle éscriture cabalistique de M.I.Trithème Abbé, Jacques Kerver, Paris 1561. Corti 1992 Maria Corti, Manganelli: incontri e corrispondenze, in Stella 1992. Corti 2006 Maria Corti, Gli infiniti possibili di Manganelli, in Belpoliti, Cortellessa 2006. Cuzin, Dupuy 1993 J. P. Cuzin, M.A. Dupuy, Copier Créer. De Turner a Picasso, catalogue de l’exposition, Musée du Louvre 26 avril – 26 juillet, Parigi 1993. D’Ambrosio 2008 Matteo D'Ambrosio, Italo Calvino e il gioco di parole, in Aragona 2008. De Benedictis 1996 Maurizio De Benedictis, Come su un muro al buio, in Avanguardia, rivista di letteratura contemporanea, n.2, Roma 1996. De Benedictis 1997 Maurizio De Benedictis, Il re e il suddito. Piccola mappa della letteratura di Giorgio Manganelli, in Avanguardia, rivista di letteratura contemporanea, n.6, Roma 1997. De Benedictis 1998 Maurizio De Benedictis, Manganelli e la finzione, Lithos, Roma 1998. De Chirico 1971 Giorgio de Chirico, Hebdòmero, presentazione di G. Manganelli, Longanesi, Milano 1971. De Donato 2005 Agnese De Donato, Via Ripetta 67, Dedalo, Bari 2005. Deleuze 1971 Gilles Deleuze, Differenza e ripetizione, Il Mulino, Bologna 1971. 236 Della Porta 1602 [1563] Giovan Battista Della Porta, De furtivis literarum notis vulgo. De ziferis libri quinque, Mariam Scotum, Napoli 1563. Edizione consultata Napoli 1602. De Marchis 1963 Giorgio de Marchis, Le alfabetologie di Gastone Novelli, in “Art International”, n.6, Lugano 25 giugno 1963, ora in Birolli 1976. De Pirro 2007 Ada De Pirro, La serie dei rebus di Tano Festa: analisi e proposte di lettura, in “RolSA. Rivista online di Storia dell’Arte”, n.7, 2007, www.scriptaweb.it De Pirro 2011 Ada De Pirro, Gastone Novelli e la contestazione alla biennale del sessantotto, in “Arte e Critica” n.67, giugno-agosto 2011. Diacono 2002 Mario Diacono, Il linguaggio della magia, la magia del linguaggio, in Alfabeto in sogno 2002. Di Castro 1980 Federica Di Castro (a cura di), Disegni del XX secolo nella collezione del Gabinetto delle Stampe, De Luca, Roma 1980. Didi-Huberman 2007 Georges Didi-Huberman, Storia dell’arte e anacronismo delle immagini, Bollati-Boringhieri, Torino 2007. Diringer 1969 [1937] David Diringer, L’alfabeto nella storia della civiltà, S.A.G. Barbera, Firenze 1937, 2° ed. Giunti, Firenze 1969. Domini 1985 Donatino Domini, Giochi a stampa in Europa, dal XVII al XIX secolo, Longo, Ravenna 1985. Dossena 2004 Giampaolo Dossena, Il dado e l’alfabeto. Nuovo dizionario di giochi con le parole, Zanichelli, Bologna 2004. Duchamp 1959 Marcel Duchamp, Marchand du sel, Le Terrain Vague, Paris 1959. Duchamp 2005 Marcel Duchamp, Scritti, a cura di M. Sanouillet, tr. it. M. R. D’Angelo, Abscondita, Milano 2005. Eco 1993 Umberto Eco, La ricerca della lingua perfetta nella cultura europea, Laterza, Roma-Bari 1993. Eco 2006 [1962] Umberto Eco, Opera aperta, Bompiani, Milano 2006 [1962]. Eco 2008 [1968] Umberto Eco, La struttura assente. La ricerca semiotica e il metodo strutturale, Bompiani, Milano 2008 [1968]. Eco 2009 Umberto Eco, Vertigine della lista, Bompiani, Milano 2009. Eco 2011 Umberto Eco, Il Gruppo 63, quarant'anni dopo, in Costruire il nemico, Bompiani, Milano 2011. 237 Emilio Villa poeta e scrittore 2008 Emilio Villa poeta e scrittore, mostra acura di Claudio Parmiggiani, Chiesa di San Giorgio, Reggio Emilia 24.2 - 6.4.2008. Catalogo Mazzotta, Milano 2008. Eruli 1994 Brunella Eruli (a cura di), Attenzione al potenziale! Il gioco della letteratura, Marco Nardi, Firenze 1994. “Esperienza Moderna” 1957a “Esperienza Moderna”, n.1, a cura di A. Perilli e G. Novelli, aprile 1957. “Esperienza Moderna” 1957b “Esperienza Moderna”, n.2, a cura di A. Perilli e G. Novelli, agosto 1957. “Esperienza Moderna” 1957c “Esperienza Moderna”, n.3-4, a cura di A. Perilli e G. Novelli, Roma dicembre 1957. “Esperienza Moderna” 1959 “Esperienza Moderna”, n.5, a cura di A. Perilli e G. Novelli, Roma, marzo 1959. Fagiolo 1966a Maurizio Fagiolo dell’Arco, Rapporto 60. Le arti oggi in Italia, Roma 1966. Fagiolo 1966b Maurizio Fagiolo dell’Arco, Opmet, in Calvesi, Fagiolo 1966. Ferrato-Combe 2008 Brigitte Ferrato-Combe, Novelli e gli scrittori francesi, in Novelli 2008. Ferroni 1992 Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Einaudi, Milano 1992. Ferroni 1999 Giulio Ferroni, Passioni del Novecento, Donzelli, Roma 1999. Fink 1969 Eugen Fink, Il gioco come simbolo del mondo, Lerici, Roma 1969. Fontana 2003 Giovanni Fontana, Simultaneismo come contrappunto poetico, in La voce in movimento. Vocalità, scritture e strutture intermediali nella sperimentazione poetico-sonora, Harta Performing & Momo, Monza, 2003. Foucault 2007 [1967] Michel Foucault, Le parole e le cose. Un' archeologia delle scienze umane, Rizzoli, Milano 2007 [1967]. Foucault 1992 [1962] Michel Foucault, La follia, l’assenza di opera, in Storia della follia nell’età classica, Rizzoli, Milano 1992 [1962] Frassineti 1966 Augusto Frassineti, Vita vita vita, realizzazione grafica di Gastone Novelli, Edizioni Alfa, Bologna 1966. Freud 2010 Sigmund Freud, Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio, tr. it. S. Giametta, Rizzoli, Milano 2010. Fulcanelli 1973 Fulcanelli, Le dimore filosofali, Edizioni Mediterranee, Roma 1973. Gagnebin 2009 Murielle Gagnebin, Follia e genio. Un chiasmo innovatore: il surrealismo, in Arte Genio Follia. Il giorno e la notte dell’artista, a cura di V. Sgarbi, Mazzotta, Milano 2009. 238 Galletta 2005 Giuliano Galletta (a cura di), Sanguineti/Novecento. Conversazioni sulla cultura del ventesimo secolo, Il Melangolo, Genova 2005. Garboli, Manganelli 1997 Cesare Garboli, Giorgio Manganelli, Cento libri, Archinto, Milano 1997. Gardelli 1998 Roberto Gardelli, La danza dell'anima. Dal labirinto al gioco dell'oca, in “Charta”, n.36, Padova 1998. Giovio 1555 Paolo Giovio, Dialogo dell’ imprese militari e amorose, Antonio Barrè, Roma 1555. Consultata anche l’edizione a cura di M.L.Doglio, Bulzoni, Roma 1978. Giuliani 1961 Alfredo Giuliani, Introduzione a “I Novissimi”, in Novissimi. Poesie per gli anni Sessanta, Rusconi e Paolazzi, Milano 1961. Giuliani 1965 Alfredo Giuliani, Immagini e maniere, Feltrinelli, Milano 1965. Giuliani, Novelli 1967 Alfredo Giuliani, Gastone Novelli, L’acqua alle piante (storia di Eva), racconto in forma di fumetto e lineare, in “Grammatica” 1967. Giuliani, Pagliarani 1964 Alfredo Giuliani, Elio Pagliarani, Pelle d’asino. Grottesco per musica, Scheiwiller, Milano 1964. Glidden 1982 Hope H. Glidden, Babil/Babel. Language games in the Bigarrures of Estienne Tabourot, in “Studies in Philology”, vol. LXXXIX, n.3, The University of North Carolina Press, Chapel Hill, estate 1982. Goyet 1986 Francis Goyet, Les Bigarrures du Seigneur des Accords (premiere livre), Estienne Tabourot, traduction et notes par Francis Goyet, Droz, Genève 1986. “Grammatica” 1964 “Grammatica” n.1, a cura di A. Perilli, G. Novelli, A. Giuliani, G. Manganelli, Roma 1 novembre 1964. “Grammatica” 1967 “Grammatica”, n.2, a cura di A. Perilli e A. Giuliani, Roma 2 gennaio 1967. “Grammatica” 1969 “Grammatica”, n.3, a cura di A. Perilli e G.Novelli, Roma 3 luglio 1969. “Grammatica” 1970 “Grammatica. Kombinat Joey”, n.4, Roma 1 2 3 4 5 luglio. “Grammatica” 1976 “Grammatica 5. Gli scritti di Gastone Novelli” a cura di A. Perilli, Roma 5 maggio 1976. Giraud 1976 Pierre Giraud, Les jeux des mots, Presses Universitaires de France, Paris 1976. Grana 1991 Gianni Grana, Babele e il silenzio: genio “orfico” di Villa. La neg-azione apoetica: cos e cosmos, vertigini e metàstasi della parola nell’èra telematica, Marzorati, Settimo Milanese 1991. Grohmann 1959 Will Grohmann, Klee, Garzanti, Milano, 1959. 239 Grohmann s.d. Will Grohmann, Klee, Garzanti, Milano s.d. Guglielmino 1971 Salvatore Guglielmino, Guida al Novecento, Principato, Milano 1971. Hapkemeyer 2007 Andreas Hapkemeyer, Poesia Concreta, in La parola nell'arte 2007. Hauser 1988 Arnold Hauser, Il Manierismo. La crisi del rinascimento e l’origine dell’arte moderna, Einaudi, Torino 1988. Hocke 1965 Gustav René Hocke, Il manierismo in letteratura, Il Saggiatore, Milano 1965. Holmyard 1959 Eric John Holmyard, Storia dell’alchimia, Sansoni, Firenze 1959. Huizinga 2002 [1938, 1955] Johan Huizinga, Homo ludens, Einaudi, Torino 2002 [1938, 1955] Humbert 1994 Michèle Humbert, Giochi linguistici e linguaggio in Duchamp: dalla ruota di bicicletta a ‘With my tongue in my cheek’, in “Studi in onore di G.C.Argan”, La Nuova Italia, Firenze 1994. “Il Gesto” 1955 “Il Gesto. Rassegna internazionale delle forme libere”, n.1, a cura del Movimento Arte Nucleare, EPI, Milano giugno 1955. “Il Gesto” 1958 “Il Gesto. Rassegna internazionale delle forme libere”, n. 3, a cura del Movimento Arte Nucleare, EPI , Milano settembre 1958. “Il Verri” 1963 “Il Verri”, n.7, febbraio, Milano 1963. Innocenti 1981 Giancarlo Innocenti, L'immagine significante. Studio sull'emblematica cinquecentesca, Liviana, Padova 1981. Iser 1987 Wolfgang Iser, L’atto della lettura. Una teoria della risposta estetica, Il Mulino, Bologna 1987. Isou 1960 Isidore Isou, Initiation à la haute volupte, renouvellement de l’érotisme. Revolution de l’art de roman, autoeditore Isidore Isou, Paris 1960. Isou 1989 Isidore Isou, Ce qu’il faut savoir de la peinture lettriste et infinitésimale, in R. Sabatier, Le lettrisme. Les création et les créateurs, Z éditions, Nizza 1989. Jakobson 1985 [1966] Roman Jakobson, Saggi di linguistica generale, Feltrinelli, Milano 1985 [1966]. Jung 1949 Carl Gustav Jung, Prefazione all’edizione inglese de I Ching, ora in I Ching, il Libro dei Mutamenti, a cura di R. Wilhem, Adelphi, Milano 1991. Jung 1950, 2008 [1992] Carl Gustav Jung, Psicologia e alchimia, tr. it. R. Bazlen, Astrolabio, Roma 1950; altra ed. Bollati Boringhieri, Torino 2008 [1992] 240 Kéreny 1963 Kàroly Kéreny, Gli dei e gli eroi della Grecia, Il Saggiatore, Milano 1963. Altra: Garzanti, Milano1981. Kircher 1646 Athanasius Kircher, Ars Magna lucis et umbrae, in decem libros digesta, Ludovici Grignani, Romae 1946. Klee F. 1971 Felix Klee, Vita e opere di Paul Klee, Einaudi, Torino 1971. Klee 1957 Paul Klee, Le cose della natura analizzate dal loro interno. Essenza ed apparenza, tr.it. di G. Novelli da Paul Klee, das bildnerische Denken, a cura di J. Spiller, Benno Schwabe & Co., Basel-Stuttgard 1956, in “Esperienza Moderna” 1957a. Klee 1960 Paul Klee, Discorso sull'arte moderna, Grafica edizioni d'Arte, Roma 1960. Klee 1976 [1959] Paul Klee, Teoria della forma e figurazione, Feltrinelli, Milano 1976 [1959]. Klee 1976 [1960] Paul Klee, Diari 1898-1918, Il Saggiatore, Milano 1976 [1960]. Klee 2002 Paul Klee, Quaderno di schizzi pedagogici, a cura di Mario Lupano, Abscondita, Milano 2002. Krauss 2007 Rosalind Krauss, Griglie, in Originalità dell’avanguardia e altri miti modernisti, tr.it. E.Grazioli, Fazi, Roma 2007. Krestovsky 1947 Lydia Krestovsky, Le lettrisme avant la lettre, in “Esprit”, Parigi novembre 1947. La parola nell’arte 2007 La parola nell’arte. Ricerche d’avanguardia nel ‘900 dal Futurismo a oggi attraverso le collezioni del Mart, a cura di Melania Gazzotti e Julia Trolp, mostra 10.11.2007 - 6.4.2008, Mart Rovereto. Catalogo Skira, Ginevra-Milano 2007. L’arte del gioco 2002 L’arte del gioco da Klee a Boetti, a cura di Pietro Bellasi, Alberto Fiz, Tulliola Sparagni, mostra al Museo Archeologico Aosta, 20.12.2002 - 13.5.2003. Catalogo Marsilio, Milano 2002. Leigheb 1997 Maurizio Leigheb, Lo sguardo del viaggiatore. Vita e opere di Guido Boggiani, Interlinea, Novara 1997. Lévi-Strauss 1962 Claude Lévi-Strauss, La pensèe sauvage, Plon, Paris 1962. Lévi-Strauss 2010 [2003] Claude Lévi-Strauss, Il pensiero selvaggio, tr.it. P.Caruso, Il Saggiatore, Milano 2010 [2003]. La linea astratta dell’incisione italiana 1989 La linea astratta dell’incisione italiana. Stamperia Romero 1960-1986 mostra a cura di Federica Di Castro, Calcografia Nazionale Roma 18.10-30.11.1989. Catalogo Electa, Milano 1989. Lionni 1976 Leo Lionni, La botanica parallela, Adelphi, Milano 1976. “Littérature Illettrée” 1964 “Littérature Illettrée ou La littérature a la lettre” a cura di N.Arnaud e F. Caradec, “Bizarre”, n.32-33, Parigi 1° trimestre 1964. 241 Lombardi 1963 Germano Lombardi, Barcelona, Feltrinelli, Milano 1963. Lombardi 1965 Germano Lombardi, L’occhio di Heinrich, Feltrinelli, Milano 1965. Lora-Totino 2002a Arrigo Lora Totino (a cura di), Poesia concreta, Sometti, Mantova 2002. Lora-Totino 2002b Arrigo Lora-Totino, Poesia concreta, in Alfabeto in sogno 2002. Lowry 1961 Malcom Lowry, Sotto il vulcano, Feltrinelli, Milano 1961. Lyotard 1982 Jean-François Lyotard, La pittura del segreto nell’epoca postmoderna. Baruchello, Feltrinelli, Milano 1982. Magrelli 2006 Valerio Magrelli, Il caso come principio compositivo, in Profilo del Dada, Laterza, Roma-Bari 2006. Manganelli 1991 Giorgio Manganelli, La palude definitiva, Adelphi, Milano 1991. Manganelli 1992 Giorgio Manganelli, Esperimento con l’India, Adelphi, Milano 1992. Manganelli 1993 Giorgio Manganelli, Nuovo commento, Adelphi, Milano 1993. Manganelli 1994 Giorgio Manganelli, Il rumore sottile della prosa, a cura di P. Italia, Adelphi, Milano 1994. Manganelli 1995 Giorgio Manganelli, Centuria, cento piccoli romanzi fiume, Adelphi, Milano 1995. Manganelli 2000 Giorgio Manganelli, Salons, Adelphi, Milano 2000. Manganelli 2011 Giorgio Manganelli, La penombra mentale. Interviste e conversazioni 1965-1990, a cura di R. Deidier, Editori Riuniti, Roma, 2001. Manganelli 2003 [1987] Giorgio Manganelli, Hilarotragoedia, Adelphi, Milano 2003 [1987]. Manganelli, Sandri 2003 Giorgio Manganelli, Giovanna Sandri, Costruire ricordi: ventisei lettere di Manganelli e una memoria di Giovanna Sandri, a cura di G. Pulce, Archinto, Milano 2003. Manganelli 2004 [1985] Giorgio Manganelli, La letteratura come menzogna, Adelphi, Milano 2004 [1985]. Manganelli 2006 Giorgio Manganelli, Scritti inediti, in Belpoliti, Cortellessa 2006. Manganelli 2011 Giorgio Manganelli, Ti ucciderò mia capitale, Adelphi, Milano 2011. Maraini 1957 Fosco Maraini, Il segno nella scrittura giapponese, in “Esperienza Moderna” 1957a. 242 Maraini 2006 Fosco Maraini, Giappone mandala, Electa, Milano 2006. Marinangeli 2007 Luciana Marinangeli, Risonanze celesti. L’aiuto dell’astrologia nella cura della psiche, Marsilio, Venezia 2007. Marmori 1963 Giancarlo marmori, Lo sproloquio, Feltrinelli, Milano 1963. Marrone 1995 Caterina Marrone, Le lingue utopiche, Melusina Editrice, Roma 1995. Marrone 2010 Caterina Marrone, I segni dell’inganno. Semiotica della crittografia, Stampa Alternativa & Graffiti, Viterbo 2010. Meneghelli 1985 Luigi Meneghelli, L’uomo che rifece l’universo, in “Alto Adige” del 3.3.1985. Miccini 1970 Eugenio Miccini, Ex rebus, Tèchne, Firenze 1970. Miccini 1991 Eugenio Miccini, Poesia visiva 1962-1991, Adriano Parise, Colognola ai Colli-Varese, 1991. Munari 1960 Bruno Munari, Il quadrato, Scheiwiller, Milano 1960. Mussio 1968 Magdalo Mussio, In pratica, Lerici, Roma 1968. Mussio 1977 Magdalo Mussio, Scritture, La Nuova Foglio, Pollenza-Macerata 1977. Negri, Vercelloni 1958 Ilio Negri, Virgilio Vercelloni, I giochi di dadi d'azzardo e di passatempo dei gentiluomini e dei pirati, presentazione di C. Santoro, Lerici, Roma 1958 Novelli Principali cataloghi di mostre di Novelli consultati (per un elenco completo si rimanda al Catalogo generale Novelli 2011): Novelli 1963 Gastone Novelli, presentazione di N. Ponente. Galleria Levi, Milano dal 4 giugno 1963. Disegni di Gastone Novelli 1964 Disegni di Gastone Novelli, presentazione di A. Giuliani. Galleria Arco d’Alibert, Roma 10.2.-10.3.1964. XXXII Biennale di Venezia 1964 Gastone Novelli, presentazione di N. Ponente. XXXII Esposizione Biennale Internazionale d’Arte, Venezia 1964 Gastone Novelli. Le radici dei segni 1965 Gastone Novelli. Le radici dei segni, presentazione di A. Giuliani, P. Klossowsky, G. Manganelli, pieghevole della mostra alla Galleria Il Segno, Roma dal 9 aprile 1965. Gastone Novelli 1966 Gastone Novelli, presentazioni di E. Pagliarani e C.Simon. Galleria Marlborough Roma, 8.11 - 30.11.1966 (da comunicato stampa conservato presso Arch.Nov.). 243 Novelli, Perilli, Scialoja, Twombly 1966 Novelli, Perilli, Scialoja, Twombly, mostra a cura di Maurizio Calvesi, Maurizio Fagiolo, Galleria Dè Foscherari, Bologna 2-22 aprile 1966. XXXIV Biennale di Venezia 1968 Gastone Novelli. I geroglifici oggi, presentazione di R. de Solier. XXXIV Esposizione Biennale Internazionale d’Arte, Venezia 1968. Testo presente nella prima edizione del catalogo (giugno) eliminato, insieme alla parte riguardante Carlo Mattioli, nella seconda edizione (agosto) in seguito alla protesta dei due artisti. Gastone Novelli 1970 Gastone Novelli, presentazione di G. Ballo, con scritto dell’artista e impaginazione di A.Perilli. Galleria Marlborough Roma 28 aprile-maggio 1970. Gastone Novelli 1972 Zeno Birolli (a cura di), Gastone Novelli, Galleria Civica d’Arte Moderna, 24.2-25.4.1972, Torino. Novelli 1976 Novelli, a cura di Zeno Birolli, Feltrinelli, Milano 1976. Le tue parole inciampano nella mia estasi 1983 Le tue parole inciampano nella mia estasi. Novelli, opere su carta, a cura di Flaminio Gualdoni, Mazzotta, Milano 1983. Gastone Novelli “i segni, le lettere, i frammenti…” 1985 Gastone Novelli “i segni, le lettere, i frammenti…”. Opere su carta (1957-1968, presentazione di G. Manganelli, pieghevole della mostra alla Galleria Il Segno, Roma 23gennaio – [30] marzo 1985. Gastone Novelli 1988 Gastone Novelli 1925 - 1968, a cura di Pia Vivarelli Mondadori De Luca, Milano-Roma 1988. Gastone Novelli 1999 Gastone Novelli 1925-1968, a cura di Pia Vivarelli, catalogo mostra Palazzo delle Albere Trento, Skira, Ginevra-Milano 1999. Histoire de l'oeil, Il viaggio in Grecia, Hilarotragoedia 1999 Gastone Novelli, Histoire de l'oeil, Il viaggio in Grecia, Hilarotragoedia, mostra allo Spazio Labs Milano, 4.2 - 3.4.2009. Catalogo Baldini & Castoldi, Milano 1999. Gastone Novelli 2006 Flaminio Gualdoni, Walter Guadagnini, Gastone Novelli, catalogo mostra Fondazione Arnaldo Pomodoro, Skira, Ginevra-Milano 2006. Novelli 2008 Gastone Novelli, prefazione di Brigitte Ferrato-Combe, catalogo della mostra alla Galerie Di Meo, Parigi 10.10-29.11.2008. Catalogo generale Novelli 2011 Paola Bonani, Marco Rinaldi, Alessandra Tiddia, Gastone Novelli. Catalogo generale 1. Pittura e scultura, Silvana, Milano 2011. Principali scritti di Novelli analizzati, ora in “Grammatica” 1976: Discorso ai critici, ai poeti, agli amatori, ai passanti, due versioni manoscritte di cui la seconda è del 1957. La macchina Totem, da “Esperienza Moderna” 1957a. La creazione di un’opera plastica, in Gastone Novelli, pieghevole mostra alla Galleria La Salita, Roma 15 26.4.1957. 244 Analizzare il processo creativo, da “Esperienza Moderna” 1957b, con il titolo Documenti di una nuova figurazione: Scialoja, Novelli, Alechinsky, Perilli, Twombly in “Grammatica” 1976. Scritto sul muro, dalla cartella con 26 litografie, Edizioni de “L’Esperienza moderna”, Roma 1958. PPQ, da Crack. Documenti d’arte moderna, a cura di G. Marotta, F.Mauri, C.Vivaldi, G.Marotta, F.Mauri, C.Vivaldi, I.Krachmalnicoff, Milano 1960. Pittura procedente da segni, da “Grammatica”1964. Inchiesta sul surrealismo, da manoscritto probabilmente per l’inchiesta della rivista “Malebolge”, n.3, s.d. [1966]. Sul Linguaggio, da “Bit”, n.2, 1967. Se volete imputridire in pace, da “Che fare”, n.3, Milano 1 giugno 1968. Dipingere è anche esprimere per segni, da “Grammatica” 1969. Il linguaggio figurativo e la sua funzione, da “Civiltà delle macchine”, n.1, Roma 1969. La causa fondamentale, da “Flash Art”, n.19, Milano sett.-ott. 1970. Novelli 1962 Gastone Novelli (a cura di), Antologia del possibile, All’insegna del pesce d’oro, Milano 1962 (in mille copie copyrigth di Novelli e Munari) Novelli 1999 Gastone Novelli, Histoire de l'oeil, Il viaggio in Grecia, Hilarotragoedia, Baldini & Castoldi, Milano 1999. Numerica 2007 Lorenzo Fusi, Marco Pierini (a cura di), Numerica, catalogo mostra Palazzo delle Papesse Centro Arte Contemporanea Siena, 22 giugno 2007-6 gennaio 2008, Silvana, Milano 2007. Pegoraro 2000 Silvia Pegoraro, Il “Fool” degli inferi. Spazio e immagine in Giorgio Manganelli, Bulzoni, Roma 2000. Pellerey 1992 Roberto Pellerey, Le lingue perfette nel secolo dell’Utopia, Laterza Bari-Roma, 1992. “Phases” 1954 “Phases, Cahiers internationaux de recherches litteraires et plastique”, n.1, Facchetti, Parigi 1954. “Phases” 1955 “Phases. Cahiers internationaux de recherches litteraires et plastique”, n.2, Falaize, pubblicato in occasione dell’esposizione Phases de l’Art Contemporain alla Galerie R.Creuze, Parigi marzo 1955. Pignotti, Stefanelli 2011 Lamberto Pignotti, Stefania Stefanelli, Scrittura verbovisiva e sinestetica, Campanotto, Udine 2011. Pozzi 1984 Giovanni Pozzi, Poesia per gioco. Prontuario di figure artificiose, Il Mulino, Bologna 1984. Pozzi 1993 Giovanni Pozzi, Sull'orlo del visibile parlare, Adelphi, Milano 1993. Pozzi 2002 [1981] Giovanni Pozzi, La parola dipinta, Adelphi, Milano 2002 [1981]. Pulce 2006 Graziella Pulce, Viaggi, in Belpoliti, Cortellessa 2006. 245 Quaritch 2002 Bernard Quaritch, Criptography, catalogue 1300, London 2002. Quaritch 2009 Bernard Quaritch, Mathematics, Logic and Criptography, catalogue 1384, London 2009. Queneau 1981 Raymond Queneau, Segni, cifre e lettere e altri saggi, Einaudi, Torino 1981. Queneau 1982 Raymond Queneau, I fiori blu, prefazione di I. Calvino, Einaudi, Torino 1982. Reghini 1994 [1947] Arturo Reghini, I numeri sacri nella tradizione pitagorica massonica, Atànor, Roma 1994[1947] Rinaldi 2008 Marco Rinaldi, Dal linguaggio magico alla coscienza semiotica: l’universo poetico di Gastone Novelli, in Strappare il mondo al caso: comunicazione estetica e neovanguardia in Italia (1956-1964), Bagatto, Roma 2008. Rinaldi 2010 Marco Rinaldi, L'Antologia del possibile di Gastone Novelli: narrazioni e linguaggi per gli anni Sessanta, in “Avanguardia”, n. 45, Roma 2010. Rinaldi 2011 Marco Rinaldi, Il viaggio della farfalla. Temi e immagini della pittura di Novelli, in Catalogo Generale Novelli 2011. Riout 2002 Denys Riout, L’arte del ventesimo secolo. Protagonisti, temi, correnti, Einaudi, Torino 2002. Ripandelli 2011 Giovanola Ripandelli, Album di famiglia, in Catalogo Generale Novelli 2011. Rossi A., Balboni 1976 Aldo Rossi, Maria Teresa Balboni (a cura di), Ugo Carrega, Carucci, Roma 1976. Rossi P. 1960 Paolo Rossi, Clavis universalis. Arti mnemoniche e logica combinatoria da Lullo a Leibniz, Ricciardi, Milano-Napoli 1960. Sandri 1969 Giovanna Sandri, Capitolo zero, Lerici, Roma 1969. Sandri 1983 Giovanna Sandri, Hermes the jolly joker, Le Parole Gelate, Roma-Venezia 1983. Sanguineti 1956 Edoardo Sanguineti, Laborintus, Magenta, Varese 1956. Sanguineti 1967 Edoardo Sanguineti, Il giuoco dell’oca, Feltrinelli, Milano 1967. Sanguineti 1975 Edoardo Sanguineti, La visione fluttuante, presentazione mostra alla Galleria Unimedia, Genova 1975. Sanna 2009 Angela Sanna, Patafisica di Baj, in Baj 2009. Santarcangeli 1967 Paolo Santarcangeli, Il libro dei labirinti. Storia di un mito e di un simbolo, Vallecchi, Firenze 1967. 246 Santoro 1958 Caterina Santoro, Presentazione a Negri, Vercelloni 1958. Sasso 1993 Giampaolo Sasso, La mente intralinguistica. L’instabilità del segno: anagrammi e parole dentro le parole, Marietti, Genova 1993. Saussure 2008 Ferdinand de Saussure, Corso di linguistica generale, Laterza, Roma-Bari 2008. Sbrilli 2005 Antonella Sbrilli, In forma di rebus. Una tecnica per percepire e risolvere l’opera d’arte nel contemporaneo, in “RolSA. Rivista on line di Storia dell’Arte”, n.3, 2005, www.scriptaweb.it Sbrilli 2010 Antonella Sbrilli, Arte e rebus, in Ah, che rebus! 2010. Scherer 1957 Jacques Scherer, Le livre de Mallarmé. Premières recherches sur des documents inédits, Gallimard, Parigi 1957. Scholem 2008 Gerschom Scholem, Le grandi correnti della mistica ebraica, tr.it. G. Russo, Einaudi, Torino 2008. Schwarz 1986 Arturo Schwarz, Arte e alchimia, in Catalogo generale XLII Biennale di Venezia, Electa, Milano 1986. Sedlmayr 1974 Hans Sedlmayr, Perdita del centro, Rusconi, Milano 1974. Selenus 1624 Selenus Gustavus, Cryptomenytices et cryptographiae libri IX, Johannes e Heinrich Stern, Luneburg 1624. Seligmann 1951 Kurt Seligmann, Lo specchio della magia, Gherardo Casini, Roma 1951. Sentieri interrotti 2000 Sentieri interrotti. Crisi della rappresentazione e iconoclastia nelle arti dagli anni Cinquanta alla fine del secolo, mostra a cura di Luigi Bonotto, Mario Guderzo, Roberto Melchiori, Tiziano Santi, Palazzo Bonaguro Bassano del Grappa 17.6-20.8. 2000. Catalogo Charta, Milano 2000. Serra 2002 Alessandro Serra, La poesia figurata in età moderna: i nodi di una storia, in Alfabeto in sogno 2002. Simon 1963 Claude Simon, Novelli e il problema del linguaggio, in “Il Verri” 1963. Simon 1997 Claude Simon, Le jardin des plantes, Minuit, Paris 1997. Solier 1961 René de Solier, L’art fantastique, Jean Jacques Pauvert, Paris 1961. Solier 1963 René de Solier, Bertini, s.e., Bruxelles 1963. Solier 1965 René de Solier, Curandera, les champignons hallucinogènes, J.J.Pauvert, Paris 1965. Sontag 1978 Susan Sontag, Sulla fotografia, Einaudi, Torino 1978. 247 Spano 2002 Nicola Spano, Il concetto di “origine” di Emilio Villa nell’arte di Gastone Novelli, tesi di dottorato (XVII ciclo), Università di Siena, Dottorato di ricerca in “Innovazione e tradizione. Eredità dell’antico nel moderno e nel contemporaneo” (XVII ciclo), A.A. 2001/2002. Starobinski 1971 Jean Starobinski, Les mots sous les mots. Les anagrammes de Ferdinand de Saussure, Gallimard, Paris 1971. Stella 1992 Angelo Stella (a cura di), Per Giorgio Manganelli, Pavia 28 maggio 1992, Guardamagna, Varzi-Pavia 1992. Subrizi 2008 Carla Subrizi, Introduzione a Duchamp, Laterza, Roma-Bari 2008. Tabarroni 2004 Luciana Tabarroni, L’Europa nella grafica del ‘900: la collezione Luciana Tabarroni della Pinacoteca nazionale di Bologna”, Venezia 2004. Tabourot 1662 [1583] Ètienne Tabourot, Les Bigarrures du seigneur des Accords. De la derniere main de l’Autheur. Livre premiere, Claude de Montr’oeil et Jean Richer, Paris 1588, 1595, 1608, 1622, 1662 [1583] (edizioni consultate). Tagliaferri 1998 Aldo Tagliaferri (a cura di), “Il Verri su Emilio Villa”, n.7-8, Milano novembre 1998. Tagliaferri 2005 [2004] Aldo Tagliaferri, Il clandestino. Vita e opere di Emilio Villa, DeriveApprodi, Roma 2005 [2004]. Tiddia 2011 Alessandra Tiddia, Novelli: un’arte nomadica, in Catalogo Generale Novelli 2011. Torricelli 1968 Gian Pio Torricelli, Coazione a contare, Fondazione Lerici, Roma 1968. Tory 1529 Geoffroy Tory, Champ FleuryChamp fleury. Auquel est contenu lart & science de la deue & vraye proportion des lettres attiques, quon dit autrement lettres antiques, & vulgairement lettres romaines proportionnees selon le corps & visage humain, Giles Gourmont, Paris 1529. 13 pittori a Roma, 1963 13 pittori a Roma, presentati da vari poeti, catalogo mostra galleria La Tartaruga, Roma 1963. Trismegisto 1962 Ermete Trismegisto, Il cratere della Sapienza, a cura di C.Croce, Giovanni Semeraro, Roma 1962. Trinci 1993 M. Trinci (a cura di), Il bambino che gioca, Bollati Boringhieri, Torino 1993. Vasio 1957 Carla Vasio, introduzione a Frammento di delirio, in “Esperienza Moderna” 1957c. Verheyen 1712 [1693]a Philippe Verheyen, Corporis humani anatomiae, in qua omnia tam veterum, quam recentiorum anatomicorum inventa. Methodo nova & intellectu facillima describuntur, ac tabulis æneis repræsentantur. Ægidium Denique, Lovanii 1693. Copia consultata edita da Carteron, Lugduni 1712. Verheyen 1712 [1693]b Philippe Verheyen, Supplementum anatomicum sive Anatomiae corporis humani liber secundus, in quo partium solidarum libro primo descriptarum usus & munia explicantur. Accedit descriptio anatomica partium foetui et recenter nato propriarum. Item Controversia de foramine ovali inter authorem, & D. Mery. 248 Authore Philippo Verheyen ... opus variis figuris illustratum. Carteron, Lugduni 1712, Lovanio 1712. Vescovo 1984 Marisa Vescovo, I luoghi del Ritorno, dell'Enigma, della Fuga, in XLI Biennale di Venezia, Electa per la Biennale, Milano 1984. Vigenère 1587 Blaise de Vigenère, Traicté des Chiffres, ou secretes maniere de ecrire, Abel l’Angelier, Paris 1587. Vico 2006 Giovan Battista Vico, La scienza nuova, RCS, Milano 2006. Villa 1954 Emilio Villa, Noi e la preistoria in “Arti visive” n.1, 1954. Villa 1956 Emilio Villa, La nascita dei numeri, in “Civiltà delle macchine”, a. IV, n.2, marzo-aprile 1956. Vitalità del negativo nell’arte italiana 1970 Vitalità del negativo nell’arte italiana 1960/70, a cura di Achille Bonito Oliva, mostra Palazzo delle Esposizioni, Roma novembre 1970/gennaio1971. Catalogo Centro Di, Firenze 1970. Wittgenstein 2006 [1967] Ludwig Wittgenstein, Ricerche filosofiche, ed. italiana a cura di M.Trichero, Einaudi, Torino 2006 [1967]. Yates 1993 Francis Amelia Yates, L’arte della memoria, Einaudi, Torino 1993. Yates 2002 Francis Amelia Yates, Cabala e occultismo nell’età elisabettiana, Einaudi, Torino 2002. Zanchetti 2007 Giorgio Zanchetti, Esploratori di parole, in La parola nell’arte 2007. SITOGRAFIA www.bnf.fr/ www.bvh.univ-tours.fr www.engramma.it www.nicolaseverino.it www.scriptaweb.it www.vicariatusurbis.org 249 RINGRAZIAMENTI Alla fine di questo studio intendo ringraziare quanti hanno permesso la sua realizzazione. Un ringraziamento speciale a chi ne ha seguito il percorso e condiviso le finalità. Il primo pensiero va alle istituzioni private e pubbliche che hanno messo con generosità a disposizione il materiale indispensabile ai fini della ricerca, primo fra tutti l’Archivio Novelli di Roma con Maria Bonmassar, Ivan Novelli, Giovanola Ripandelli. E ancora: l’Archivio Michielin di Treviso con Francesco Michielin; l’Archivio Perilli di Orvieto con Achille Perilli, Nadja Perilli e Lucia Latour; l’Archivio del ‘900 presso il Mart di Rovereto con Duccio Dogheria e Paola Pettenella; Il Museion di Bolzano con Elena Bini e Katia Cont; il Fondo Manoscritti dell’ Università di Pavia con Jader Bosio e Nicoletta Trotta; l’Istituto Nazionale per la Grafica con Alida Moltedo Mapelli, Marinella Monarca, Danila Rizza; il Gabinetto dei Disegni e delle Stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna con Elena Rossoni. Ricordo inoltre l’indispensabile contributo materiale (e immateriale) ricevuto da: Paolo Albani, Raffaele Aragona, Stefano Bartezzaghi, Giuseppe De Maria, Beatrice De Pirro, Franco Diotallevi, Marina Lund, Lietta Manganelli, Luciana Marinangeli, Caterina Marrone, Claudia Matera, Arianna Mercanti, Carlo Mezzanotte, Federico Mussano, Carlo Palli, Michele Perfetti, Rocco Pettini, Sergio Ruschena, Carla Subrizi, Michela Santoro, Antonella Sbrilli, Nicola Spano, Guido Strazza, Carla Vasio, Silvia Vessella. Roma, maggio 2012. 250