Sociologia della cultura Luca Salmieri Produzione e consumo di cultura 1. Scuola di Francoforte La teoria critica si identifica storicamente nel gruppo di studiosi che ha fatto capo all’Institut für Sozialforschung di Francoforte (1923), sotto la direzione di Max Horkheimer. All’avvento del Nazismo il gruppo si trasferisce negli Stati Uniti, per tornare in Germania nel 1950. Gli autori principali: Max Horkheimer, Theodor Adorno, Herbert Marcuse, Erich Fromm, Leo Lowenthal, Walter Benjamin. Riferimenti e influenze • • • • • • • Formazione marxista ma anche suo parziale superamento. [Al marxismo si contesta di ridurre troppo semplicemente la cultura e l’arte all’economia.] Influenza anche della psicologia e della psicoanalisi. Weber: critica della razionalità secondo lo scopo Trionfo della macchina (standardizzazione, omologazione, costrizione) Degradazione dell’opera d’arte (nel significato intrinseco e nella funzione sociale) Massificazione della società Totalitarismo e conformismo 1. Scuola di Francoforte L’industria culturale Horkheimer e Adorno (1947) parlano di industria culturale per distinguerla dalla cultura di massa e per escludere che si tratti di una cultura che scaturisce dalle masse stesse. In questo modo distinguono produzione e consumo. Il processo di consumo dipende ed è guidato da quello di produzione. L’industria culturale è quel complesso di apparati, strutture, organizzazioni e strumenti con cui il sistema sociale veicola un determinato insieme di valori e un determinato modello di comportamento. L’industria culturale si presenta come un sistema compatto e integrato per la produzione di “merci culturali” (prodotti culturali) La produzione di prodotti culturali segue la stessa logica di ogni altra produzione industriale. I prodotti culturali, i film, i programmi radiofonici, le riviste testimoniano la stessa razionalità tecnica, lo stesso schema di organizzazione e di pianificazione del management della fabbricazione in serie di automobili e di progetti urbanistici. il valore di sacralità ed unicità dell’oggetto artistico viene sostituito dalla “standardizzazione” e della “ripetizione” (una produzione seriale, sul modello della grande fabbrica “fordista”) che in termini sociali producono omologazione 1. Scuola di Francoforte I mass media I media costituiscono un sistema la cui offerta è solo apparentemente diversificata. I mass media non sono veicoli imparziali: essi non trasmettono, ma sono ideologia, indipendentemente dai contenuti particolari. • processi comunicativi sono unidirezionali; • il fruitore perde il senso critico; Strutture dei mass media: • accurata abolizione di ogni elemento di novità; • esaltazione dell’efficientismo tecnico. «Il consumatore non è sovrano, come l’industria culturale vorrebbe far credere, non è il suo soggetto, bensì il suo oggetto» (Adorno 1967) «Lo spettatore non deve lavorare di testa propria: il prodotto prescrive ogni reazione.[…] ogni connessione logica che richieda fiuto intellettuale, viene scrupolosamente evitata» (Horkheimer e Adorno 1947) «Quanto [l’industria culturale] comunica è stato da essa stessa organizzato allo scopo di incantare gli spettatori simultaneamente, a vari livelli psicologici » (Adorno 1954) 1. Scuola di Francoforte Divertimento, intrattenimento, conformismo • Il divertimento è sempre più una promessa di felicità non mantenuta e sempre differita • Il divertimento si trasforma, rispetto al lavoro, da dimensione alternativa a dimensione complementare • «Divertirsi significa essere d’accordo» 1. Scuola di Francoforte Max Horkheimer e Theodor W. Adorno 1947 Dialettica dell’Illuminismo Dialektik der Auklärung. Philosophische Fragmente scritta fra il 1942 e il 1944 pubblicata per la prima volta ad Amsterdam. In italiano in Id., Dialettica dell’illuminismo, Torino, Einaudi, 1966 (1982). La pretesa dell’uomo di accrescere sempre più il proprio dominio sulla natura si rovescia necessariamente nel suo contrario, nell’asservimento dell’uomo e nella sua degradazione. L’Illuminismo non è inteso come epoca storico-culturale determinata, ma come il complesso degli atteggiamenti tesi a dominare e trasformare la natura: dall’homo sapiens ai grandi laboratori della fisica contemporanea Max Horkheimer e Theodor W. Adorno • Illuminismo è sinonimo di cultura materiale, nel significato storico-antropologico • Dilatazione della società borghese • Perdita di specificità dei concetti • Critica di tutta la civiltà occidentale Kant ha anticipato intuitivamente ciò che è stato realizzato consapevolmente solo da Hollywood: le immagini sono censurate in anticipo, all’atto stesso della loro produzione, secondo i moduli dell’intelletto conforme al quale dovranno essere contemplate. Herbert Marcuse L‘uomo a una dimensione. Studio sull'ideologia della società industriale avanzata (One-Dimensional Man. Studies in the Ideology of Advanced Industrial Society, Boston 1965, trad. it. Einaudi, Torino 1967). Marcuse sostiene all'inizio del suo saggio che la tecnica in sé può promuovere libertà come autoritarismo, abbondanza come scarsità, abolizione come intensificazione del lavoro. Nel corso dell’analisi, non solo attenua, ma addirittura sopprime questo il carattere neutrale della tecnica, per vedere nella “società tecnologica” la società totalitaria per antonomasia. 1. Scuola di Francoforte Herbert Marcuse L’efficienza standardizzata Il rendimento individuale è motivato, guidato e misurato da criteri esterni, criteri che appartengono a determinati compiti e funzioni. L'individuo efficiente è quello il cui rendimento è un'azione solo nella misura in cui è la reazione più appropriata alle oggettive pretese del sistema, e la sua libertà si limita alla selezione dei mezzi più adeguati per raggiungere una meta che lui non ha stabilito. La realizzazione individuale è indipendente dal riconoscimento e si compie nel lavoro. L’efficienza è un rendimento ricompensato e si compie solo nel valore che ha per il sistema. II nuovo atteggiamento dell'individuo è caratterizzato da acquiescenza (sebbene “altamente razionale”), da una totale perdita di spontaneità e di creatività, con relativa cancellazione di tutte le potenzialità umane. 1. Scuola di Francoforte Herbert Marcuse L’uomo a una dimensione, 1964. • Sotto l’illusione della razionalità di un mondo sempre più plasmato dalla tecnologia e dalla scienza, si manifesta l’irrazionalità di un modello di organizzazione della società che sottomette l’individuo. • La razionalità tecnica ha ridotto il discorso e il pensiero ad un’unica dimensione, che fa coincidere ad es. la realtà e l’apparenza. • Questa società unidimensionale ha annullato lo spazio del pensiero critico. Edgar Morin L'homme et la morte, 1951 Il cinema e l'uomo immaginario 1956 Les stars 1957 L'esprit du temps 1962, L'industria culturale, Bologna, 1963 Il paradigma perduto 1973 Il metodo 1977 Edgar Morin non appartiene alla Scuola di Francoforte. Agisce per lo più nell’ambito del mondo intellettuale francese e lo fa a partire dalla fine degli anni Sessanta. Tuttavia, riprende molti dei temi cari alla Scuola di Francoforte rivisitandoli con un approccio più neutrale e con una metodologia più sociologica e più antropologica, allontanandosi dunque dalla visione fortemente critica della teoria francofortese sull’impoverimento culturale e sul dominio tecnicorazionalistico della civiltà occidentale-capitalistica. Edgar Morin Civiltà e cultura Morin distingue tra civiltà e cultura. La cultura è l'insieme delle credenze e dei valori caratteristici di una determinata comunità. La civiltà è invece il processo attraverso il quale si trasmettono da una comunità all'altra: le tecniche, i saperi, le scienze. Morin sostiene che «la cultura, ormai, non solo è frammentata in parti staccate, ma anche spezzata in due blocchi»: da una parte la cultura umanistica «che affronta la riflessione sui fondamentali problemi umani, stimola la riflessione sul sapere e favorisce l’integrazione personale delle conoscenze», dall’altra, la cultura scientifica che «separa i campi della conoscenza, suscita straordinarie scoperte, geniali teorie, ma non una riflessione sul destino umano e sul divenire della scienza stessa». Edgar Morin Industria culturale e immaginario collettivo Morin avverte una vera e propria sfida sociologica: «l’informazione è una materia prima che la conoscenza deve padroneggiare e integrare», una conoscenza «costantemente rivisitata e riveduta dal pensiero», il quale a sua volta «è oggi più che mai il capitale più prezioso per l’individuo e la società». La produzione (tendenzialmente orientata verso la standardizzazione e verso la concentrazione burocratica), ma non può fare a meno dell’elemento inventivo e creativo necessario ad ogni prodotto culturale (primo elemento di riequilibrio della visione pessimistica francortese) L’industria culturale, in particolare quella cinematografica, va interpretata in stretta relazione all’immaginario collettivo (insieme di bisogni, valori e pratiche sociali). La produzione deve essere avvicinata al consumo: l’industria culturale è posta al servizio dell’immaginario collettivo, come un nuovo elemento non molto diverso, sul piano funzionale, dal teatro classico, dal poema epico-cavalleresco e dal romanzo popolare (secondo elemento di riequilibrio della visione pessimistica francortese) Nella produzione si «scontrano la logica industriale, burocratica, monopolistica, centralizzatrice, standardizzatrice (da un lato), e la contrologica individualista, inventiva, concorrenziale, autonomista, innovatrice (dall’altro)» (terzo elemento di riequilibrio della visione pessimistica francortese) 2. Legittimazione della popular culture Negli Stati Uniti, nel ventennio che va dalla fine degli anni sessanta all’inizio degli ottanta, si assiste ad una doppia rivalutazione della popular culture: 1) Sul piano del dibattito pubblico, per smarcare la popular culture dall’accezione negativa e dispregiativa della cultura di massa, la cultura mainstream – ovvero la popular culture – viene collocata ad un livello neutro, privo di giudizi morali, politici, etici, fuori dalle prospettive del dominio e della subordinazione. 2) Sul piano dell’indagine sociologica ed in relazione al piano del dibattito pubblico, la popular culture entra prepotentemente a far parte dei principali oggetti di studio scientifici Il concetto di popular culture è quasi sempre utilizzato, implicitamente o esplicitamente, in contrasto con altre categorie concettuali: folklore, cultura di massa, cultura dominante, cultura della working class, etc. Questo aspetto in parte spiega il motivo per cui Fiske – sociologo americano - definisce la popular culture più come un processo che come un tipo o una serie di prodotti 2. Popular culture La popular culture, dal punto di vista degli usi sociali e culturali, viene ora vista come l’arte di fare cose con ciò che è disponibile (Fiske). Ad esempio, I tagger che imbrattano con le bombolette spray I muri delle città e dei treni metropolitani ricalcano un’arte di fare le cose con ciò che è disponibile. Nel processo di selezione, secondo Fiske, circa l'80% dei prodotti della cultura di massa sono respinti dalla popolazione. Non esiste un semplice e automatico processo di fagocitazione di tutto cià che la produzione di massa propina alle masse. Queste non sono passive, ma attivamente concorrono nel tempo a consolidare quello che entra a far parte in pianta stabile della popular culture. Nella popular culture possiamo poi distinguere tra le norme ideologiche e prescrittive insite nel testo e nel contenuto (lato della prodizione, pubblicità e distribuzione) e i bisogni e i desideri individuali provenienti dagli utilizzatori (lato del consumo, della fruzione-ricezione). L’eccesso della produzione di massa consente agli utilizzatori di ‘svestire’ di significato il contenuto prescrittivo e di assegnarvi altri significati. Vi sono processi di : Incorporazione - Scorporazione – Appropriazione - Espropriazione 3. Prospettiva della produzione di cultura e nascita della sociologia della cultura Articolatasi negli Stati Uniti a partire dai primi anni settanta, la prospettiva sociologica della produzione di cultura (POC) si concentra sui modi in cui gli esseri umani organizzano la produzione di simboli espressivi (ad esempio, arte, letteratura, musica, video) e come tale organizzazione della produzione influisca sulla natura e sul contenuto di quanto prodotto. Ad esempio, i requisiti relativi agli accordi organizzativi industriali capitalisti possono produrre simboli e significati culturali ben diversi da quelli di una società pre-industriale. Ancora, la concentrazione oligoplista dell’industria cinematografica produce stili e generi musicali conformisti rispetto ad un mercato discografico più concorrenziale che premia novità e musica alternativa. Allo stesso modo, all'interno della stessa società, gli accordi e le organizzazioni sociali che circondano la produzione di arte visiva possono funzionare nello stesso modo di quelli della pubblicazione di libri e della produzione musicale o viceversa. I cambiamenti (tecnologici, organizzativi, economici, normativi) nei processi e nelle modalità di produzione finiscono per incidere sui i contenuti della produzione e del consumo culturale. 3. Prospettiva della produzione di cultura e nascita della sociologia della cultura La prospettiva sociologica della produzione di cultura (POC) con la sua ondata di ricerche con metodi quantitativi e approcci istituzionalistiorganizzativi, concentrata sulle relazioni tra i processi produttivi e distributivi delle industrie cinematografiche, discografiche, editoriali, televisive, etc e la ricezione dei pubblici corrispondenti, segna la nascita ufficiale della sociologia della cultura come disciplina accademica riconosciuta. Ciò avviene per tre motivi: 1) La cultura (o almeno quella parte che viene prodotta, distribuita e consumata in maniera organizzata – recorded culture) viene per la prima volta studiata e analizzata con metodi logico quantitativi e il suo versante simbolico viene ricostruito attraverso le variazioni indotte dalle variabili economiche, tecnologiche, organizzative, normative che incidono sui processi di produzione e consumo. 2) Nelle ricerche della prospettiva della produzione di cultura l’approccio interpretativista e i fenomeni culturali come ‘testi’ godono di pochissimo spazio 3) I primi anni settanta segnano l’apertura della sociologia americana verso metodi e discipline differenti dalla tradizione parsonsiana che aveva di fatto escluso per lungo tempo la cultura dallo studio sociologico 3. Dalla produzione al consumo Le dinamiche di consumo e produzione generano un campo di relazioni. La considerazione delle variabili di gusto che caratterizzano tendenze e mercati dei prodotti culturali ha fatto parte sin da subito della prospettiva della produzione di cultura. Peterson si è soffermato anche su i fenomeni di autoproduzione sostenendo che esiste un rapporto circolare tra i propositi delle industrie culturali e le pratiche di consumo, simile alla reciproca influenza tra domanda e offerta di qualsiasi altro prodotto commerciale. I sociologi americani che si rifanno alla prospettiva della produzione di cultura hanno il problema di analizzare i processi di ricezione dei prodotti culturali. Il carattere polisemico della ricezione dei prodotti culturali da parte del pubblico – socialmente eterogeno – non si presta all’impiego di metodologie quantitative e organizzative. Le ricerche sul gusto e sulle ‘comunità di gusto’ che pure trovano spazio nella prospettiva della produzione di cultura riguardano lo studio delle combinazioni tra modelli di consumo e collocazione sociale. Tuttavia, le complesse teorie sui gusti in termini di classe, habitus, capitale culturale che, ad esempio, ricorrono nel lavoro di Bourdieu, passano in secondo piano nell’approccio di Peterson e seguaci e cedono il posto all’entusiasmo per la survey, per l’efficacia statistica e per ciò che tempo addietro Charles Wright Mills aveva definito ‘astratto empirismo’. Restava insomma aperto il problema dei significati che i vari tipi di pubblico associano ai vari prodotti culturali. 4. Dalla produzione al consumo Janet Wolff ha sottolineato che le analisi della prospettiva della produzione di cultura risultano disancorate dal contesto sociale e storico, poiché si concentrano sugli aspetti interni alle istituzioni e non sul loro rapporto con il mondo esterno. Cosicché, un approccio teso a garantire l’oggettività sociologica finisce per indebolire l’interesse per il valore sociale e simbolico che gli oggetti culturali rivestono per gli attori. La prospettiva rappresenta senz’altro una pietra miliare nel percorso di consolidamento della sociologia della cultura, poiché consente di misurare gli effetti dei fattori strutturali e istituzionali sugli oggetti culturali. Tuttavia, ciò avviene da un’angolatura poco feconda per cogliere i complessi significati delle attività di consumo Negli anni ottanta, il crescente interesse per la ricezione e il consumo degli oggetti culturali ha favorito l’affermarsi di un’attenzione più sensibile al carattere composito e differenziato del pubblico. Per estrapolare le divisioni tra i consumatori, per raggruppare e concettualizzare le loro ricezioni soggettive sono necessarie lunghe e approfondite ricerche sul campo: un conto è sapere che le reazioni del pubblico non sono affatto omogenee, un altro è individuare le linee di demarcazione che lo attraversano. 4. Dal consumo alla sociologia della ricezione Massa Pubblico Pubblici Target Individui (MANIPOLAZIONE): media onnipotenti (PROPAGANDA): verifica teorie sui media onnipotenti (PERSUASIONE): riscoperta del potere dei media (INFLUENZA): influenza negoziata dei media 4. Ricezione e modello cuturalista L’antropologa americana Mary Douglas ritiene che tutte le merci valgano come veicoli di rappresentazione simbolica, attraverso cui i singoli esprimono giudizi, valori, preferenze, appartenenze e quindi distinzioni (culturalismo nei consumi). Uno sviluppo recente nel campo della ricezione riguarda il cognitivismo. In che modo le informazioni acquisite dal sistema cognitivo vengono archiviate, trasformate e rielaborate? Gli individui impiegano una memoria, fatta di associazioni ed elaborazioni simboliche determinanti per gli esiti dell’interpretazione. La cultura può essere descritta come ‘una collezione di simboli e immagini’. Il modello cognitivista non distingue i lettori di un testo attraverso le preferenze, i gusti, il capitale culturale o i modelli interpretativi, ma secondo gli stili cognitivi. La domanda cruciale quando una persona incrocia un oggetto culturale è ‘in che modo gli significa che cosa?’