Sant’Agostino e la scoperta
della libertà
La radicalizzazione stoica
dell’aristotelismo e la novità del
cristianesimo
Libertà e autonomia
• Il concetto aristotelico di deliberazione, laddove la
volontà si esprime nella sua libertà riguardante la scelta
migliore per giungere al fine dato per natura alla volontà
umana, evidenzia l’idea di una libertà quale autonomia in
tale tipo di scelta. Autonomia vuol dire essere leggi a se
stessi, cioè avere in sé il principio dell’azione. L’aspetto
soggettivo della libertà è dunque delineato in modo
sufficientemente radicale, anche se per quanto riguarda
lo scopo esterno, il bene ultimo da conseguire con
l’azione, esso risulta ancora esercitare un’attrattiva quasi
irresistibile nei confronti di chi sa ragionare
correttamente.
Intellettualismo residuo
• Se ciò è vero, allora chi ragiona correttamente adegua il
suo ragionamento a quella natura profonda dell’uomo
che gli fa intendere e poi desiderare il bene e lo orienta
verso di esso. Vuole il male solo chi scambia il bene con
il piacere, con un errore grossolano dell’intelletto. Qui è
presente ancora un residuo di quell’intellettualismo che
fu di Socrate e di Platone e che stabilisce una naturale
armonia tra conoscenza del bene e azione buona.
Parliamo di un residuo poiché, sia in Platone e ancor più
in Aristotele, è affrontato il caso di una volontà cattiva,
che si fa trascinare dal piacere e dai sensi, e tuttavia tale
volontà così facendo devia dalla retta via o non badando
colpevolmente ai suggerimenti dell’intelletto oppure
fidandosi di un intelletto erroneo.
Lo stoicismo
• La riflessione antropologica degli stoici va
compresa all’interno del loro panlogismo.
• Si tratta di capire come nella riflessione stoica
l’uomo si staglia con la sua razionalità di fronte
ad un universo governato totalmente da una
razionalità immanente che stabilisce, in ogni sua
pur minima parte, uno sviluppo rigidamente
razionale secondo uno schema di
concatenazioni causali rigidamente necessarie.
Tutto nel cosmo è ordinato razionalmente, quindi
tutto è necessario che sia nel modo in cui è.
Lo stoicismo e la radicalizzazione
dell’ideale di autonomia 1
• Per gli stoici l’uomo è quella parte del cosmo in
cui, in modo più completo, si manifesta il logos
divino-cosmico. Quindi il cosmo intero è
finalizzato a… e centrato sull’uomo:
ANTROPOCENTRISMO.
• L’anima umana è un frammento dell’anima
cosmica. Così come il fuoco-pneuma-logos
penetra ogni oggetto del cosmo, allo stesso
modo l’anima umana pervade ogni fibra
dell’organismo.
Lo stoicismo e la radicalizzazione
dell’ideale di autonomia 2
• Se vi è un dovere, l’uomo deve essere libero. La causa perfetta del
suo volere, dice Crisippo, è la sua volontà, mentre le cause esterne
sono semplicemente condizioni.
Per es.
Quando un cilindro rotola, la condizione che lo fa rotolare è che
qualcuno o qualcosa l’abbia spinto, mentre la causa perfetta del suo
rotolare è la sua natura cilindrica.
Ciò vale anche per l’agire umano, la cui causa perfetta va ritrovata
appunto nella volontà, che dunque appare essere autonoma
rispetto alle catene causali del cosmo.
Da un lato abbiamo quindi la natura umana autonoma dalle
concatenazioni causali esterne a lei, dall’altro abbiamo l’essenza di
questa natura che è la stessa, lo stesso LOGOS, che determina
l’andamento e lo sviluppo del cosmo
Preservare la libertà
• Questo tentativo di preservare la libertà,
attribuendo alla volontà la vera ragione dell’agire
umano, che così si sottrarrebbe alla rigida
connessione delle condizioni esterne (cioè del
fato-destino), è destinata a spostare solamente il
problema.
• Infatti anche la volontà, in quanto parte
dell’anima e sua facoltà, se è reale, deve essere
inserita nella concatenazione delle cause che
costituisce tutta la realtà.
L’unica libertà
• In realtà l’unica libertà che gli stoici concedono all’uomo
è dunque quella di conformarsi al destino:
Ducunt volentem fata nolentem trahunt,
anche se, a rigore, per conformarsi al destino, bisogna
mantenere una certa libertà e autonomia del volere
(infatti il dovere di conformarsi al destino, comporta
anche la possibilità di non farlo).
Insomma per gli stoici, che in ogni momento ribadiscono
l’universale cogenza della NECESSITÀ, mantenere una
possibilità di decisione, seppur limitata all’anima umana
e alla sua ragione e seppur limitata alla possibilità di
assenso ad un destino già deciso, appare comunque
fonte di contraddizione.
Nondimeno…
• Nondimeno essi mantengono un ideale
criterio di libertà nell’ADESIONE alla
razionalità cosmica, la quale si trova in
contrasto con una specifica irrazionalità
che pure si presenta nel nostro vivere
quotidiano: l’irrazionalità delle passioni
Le passioni contro il logos
• Le passioni sono propriamente il male e la malattia
dell’uomo.
• Esse non sono naturali, quindi si allontanano dalla
razionalità cosmico-divina.
• Sono infatti dovute ad errori nel giudizio, cioè a cadute
dell’anima umana nell’ opinione comune e affrettata:
ancora qui si ripresenta l’errore dell’intelletto come
radice del male il quale accade a causa di “leggerezza”:
“I perturbamenti non sono suscitati da alcuna forza della
natura e sono tutti opinioni e giudizi di leggerezza
(Cicerone, De finibus, III, 35)
… gli stoici li chiamano malattie, non ingenite per natura,
ma prese per opinione perversa (Lattanzio, Divinae
Institutiones, VI, 14)”
Estirpare le passioni
• L’estirpazione delle passioni deve essere lo scopo
dell’agire morale in vista dell’incremento del logos.
• L’ APATIA (assenza di passioni), si ottiene facendo della
ragione la regola e misura di ogni appetito, cosa che ci
permette di conseguire la la virtù.
• La virtù fondamentale è eminentemente “logica” cioè si
identifica con la sapienza.
• Essa viene poi declinata secondo uno schema diventato
ormai tradizionale: prudenza fortezza, giustizia,
temperanza (le cosiddette virtù cardinali)
Autodominio
• Quindi la libertà stoica è data dal completo
autodminio del sé di fronte alle passioni, le quali
risultano essere dei giudizi erronei ossia
dei giudizi che si limitano ad accogliere tutto ciò
che avviene nel mondo esterno rimanendo al
livello superficiale dell’apparenza e della doxa.
Tale appare la principale fonte dell’errore che
determina spesso le relazioni umane, sociali e
politiche, allontanandole da quella naturalità
razionale in vista della quale dovrebbero invece
essere improntate.
Ritornare in sé
• Di qui la necessità di lasciar perdere tutto
ciò che è esterno:
• 1) rifiutando l’apparenza della comune
doxa e del falso ordine sociale che essa
genera
• 2) Adeguandosi alla superiore razionalità
del destino che ci ha messo in una data
situazione non senza un perché.
Libertà dell’uomo nel cosmo-Diologos
• Quindi la libertà umana all’interno dello
stoicismo si gioca tutta nel corretto rapporto tra il
sé e il cosmo-Dio-logos, evitando l’interferenza
perturbatrice delle passioni.
• In tal modo l’Io umano può diventare veramente
il signore di se stesso, a prescindere da tutte le
condizioni esteriori in cui è collocato. Essendo il
signore di se stesso, egli può definirsi
compiutamente libero.
La novità antropologicocosmologica del cristianesimo
• Rispetto alla riflessione stoica, che compie
radicalmente la precedente filosofia della
libertà platonico-aristotelica nel concetto
del completo autodominio del se in questo
rapporto ambivalente
• A con l’esteriorità-passione
• B con la verità del cosmo-ragione,
i cristiani si pongono in modo critico e
innovativo
La novità antropologicocosmologica del cristianesimo 2
• Giovanni Reale, in un saggio introduttivo alla pubblicazione
dell’opera filosofica di K. Wojtyla ha ben individuato,
citando alcuni Padri greci e latini, quale sia la novità
antropologico-cosmologica del cristianesimo. Leggiamo
alcune riflessioni qui contenute:
«Con la venuta di Cristo – ossia con il Dio che si incarna –
l’uomo viene consacrato in modo totale. I Filosofi e teologi
cristiani della Cappadocia hanno formulato e imposto in
modo splendido l’idea di uomo come quell’essere che
contiene in sé, pur nella sua piccolezza, una straordinaria
grandezza. Gregorio di Nazianzo scriveva: “L’uomo fu
creato come un secondo mondo, un mondo grande in uno
piccolo”. Gregorio di Nissa affermava che la grandezza
dell’uomo, non può essere ristretta e collocata in alcun
modo nella dimensione del mondo fisico…
Giovanni Reale sulla novità
cristiana 1
…Egli negava che l’uomo potesse considerarsi un “microcosmo”
alla maniera dei pagani, e scriveva: “I filosofi pagani hanno
immaginato cose meschine e indegne della magnificenza
dell’uomo nel tentativo di innalzare il momento umano; hanno
detto infatti che l’uomo è un microcosmo composto degli
stessi elementi del tutto e con questo splendore del nome
hanno voluto fare l’elogio della natura, dimenticando che in tal
modo rendevano l’uomo simile ai caratteri propri della
zanzara e del topo, infatti anche in essi vi è mescolanza dei
quattro elementi perché certamente negli esseri animali si
vede una parte più o meno grande di ciascuno degli elementi,
senza i quali qualsiasi essere partecipe della sensibilità non
ha natura per sussistere. Quale grandezza ha dunque l’uomo,
se lo riteniamo figura e similitudine del cosmo?”
Giovanni Reale sulla novità
cristiana
• …La grandezza dell’uomo andava ricercata in
altra dimensione, e precisamente in questa:
“Non nella somiglianza con il cosmo, ma
nell’essere immagine del Creatore della nostra
natura […] L’immagine porta in ogni momento il
carattere della bellezza prototipa”» (G. Reale, Le
tre connotazioni spirituali di Karol Wojtyla: il
“poeta”, il “filosofo” e il “teologo”, in K. Wojtyla,
Metafisica della persona. Tutte le opere
filosofiche e saggi integrativi, Bompiani, Milano,
2003, pp. IX-CXXIV, qui pp.LIX-LX)
K. Wojtyla
• Reale collega questa riflessione patristica con
un’ulteriore precisazione data dal Wojtyla filosofo. Su
tale idea, il beato pontefice aveva a sua volta specificato:
“ In certo qual modo ogni uomo è a se stesso ‘mondo’ […]
non nel senso che in lui si concentrano i differenti strati
ontici che ritroviamo negli esseri che formano questo
mondo, ma soprattutto per la proprietà e specificità del
finalismo suo proprio, per l’autoteleologia, che definisce
il livello e il finalismo dell’essere personale” (K. Wojtyla,
La famiglia come “communio personarum” in ivi, p. 1466)
L’uomo superiore al cosmo
• L’uomo dunque è più che un microcosmo, ma
contiene in sé una direzione, in grado di poter
essere stabilita da sé stesso (autoteleologia),
verso una dimensione che trascende ogni
natura data ogni ordine creaturale, proprio in
direzione dell’essere immagine del creatore
stesso della natura. In ciò sta la sua specificità
“personale”, parola, questa che introduce al
concetto fondamentale di persona di cui fra poco
si parlerà.
La conferma di Agostino
Agostino stesso conferma tale qualità superiore dell’uomo, e in
particolare della sua anima:
«Considera piuttosto l’anima con lo splendore del sole, della
luna, e delle stelle: lo splendore dell’anima è superiore.
Considera la rapidità del pensiero: non è più rapida la scintilla
dell’anima che pensa, dello splendore del sole meridiano?
Vedi colla tua anima il sole che sorge: il suo movimento
paragonato a quello del tuo pensiero appare troppo lento; in
un attimo col tuo pensiero hai abbracciato l’intero corso del
sole. Hai visto il sole seguire il suo corso da oriente a
occidente, per rispuntare domani sul lato opposto. Col tuo
pensiero hai già fatto tutto il percorso, mentre il sole segue il
suo corso con tanta lentezza. È una cosa meravigliosa
l’anima! Ma che dico è? Elevati al di sopra anche di essa,
perché anche essa è mutevole, sebbene sia migliore di
qualsiasi corpo […]
La conferma di Agostino 2
Elevati dunque al di sopra di ogni essere che muta, non
solo al di sopra di ogni essere sensibile, ma anche al di
sopra di ogni essere mutevole. Ti sei elevato al di sopra
della carne visibile, ti sei elevato al di sopra del cielo, del
sole, della luna e delle stelle che sono visibili: trascendi
tutto ciò che muta! Oltrepassa le realtà visibili, sei
pervenuto alla tua anima, ma anche lì hai trovato I
caratteri della mutabilità. E’ forse mutevole anche Dio?
Trascendi dunque anche la tua anima. Eleva la tua
anima sopra te stesso, per raggiungere Dio, del quale ti
si domanda: Dove è il tuo Dio? Non credere che questa
sia un’impresa superiore alle possibilità dell’uomo …»
(Sant’Agostino, Commento al Vangelo di Giovanni, 20,
12 segg., Città Nuova, Roma 1968, vol I, pp. 481-483, in
ivi, p. LXI)
La persona: la cosa più perfetta
• Così anche Tommaso giunge a definire che la persona,
nella sua razionalità, si qualifica come “ciò che c’è di
più perfetto in tutta la natura”.
• Quindi, alla luce di tali riflessioni possiamo concludere
che la novità cristiana introduce nel rapporto binario
uomo cosmo un terzo elemento Dio, istituendo al
contempo tra quest’ultimo e l’essere umano un rapporto
di solidarietà intima che rende la persona umana
superiore al cosmo, desacralizzando il cosmo e tutta la
natura a “cosa”, ad un “qualcosa” di notevolmente
inferiore a quel “qualcuno”, l’uomo, che è stato voluto
così dall’essere supremo stesso, che a sua volta è un
“qualcuno”.
Pensare l’essere in una
dimensione personale
• L’uomo è persona la cui dignità supera
ogni cosalità naturale. Ma la dignità della
persona umana è data dal fatto che essa è
stata voluta così da una persona divina.
Ecco la grande novità cristiana, pensare il
principio dell’universo l’Essere supremo
della metafisica greca in una dimensione
personale e non più solo cosmicomeccanica.
Che cosa distingue l’essere
personale
• L’essere personale è un singolo irripetibile, è dotato di
volontà, libertà e anche, se vogliamo di un linguaggio
che esprime e comunica ad altri la sua essenza. Tutto
ciò in Dio non è diverso dalla sua razionalità. Il fatto che
Dio sia persona ha conseguenze importantissima nella
generale visione del cosmo e dell’uomo: “Il filosofo
platonico e aristotelico, nella loro tensione verso l’Uno o
il Motore Immobile, tutt’al più contemplano Dio, ma non
lo INCONTRANO, né possono farlo entrare nella propria
vita, perché egli non RISPONDE. Al termine del proprio
processo ascetico l’uomo non si incontra con Dio, ma
nella migliore delle ipotesi, con se stesso, con la propria
perfezione, come insegna il saggio stoico” (L. Lacchini –
P.C. Rivoltella, L’avventura del pensiero, Cedam,
Padova, 1998, vol I, p. 280).
Possedere l’essere
• Questo loro carattere libero, volitivo e
razionale fa sì che l’uomo e Dio stiano in
un rapporto Io-Tu, in un dialogo solidale e
profondo che pone l’essere e la natura
solo sullo sfondo. Infatti sia Dio sia la
persona umana non sono semplicemente
quello che sono ma POSSIEDONO IL
LORO ESSERE (cfr. R . Spaemann,
Persone. Sulla differenza tra qualcosa e
qualcuno, Laterza, Bari-Roma, 2005, p.32)
Autopessesso di Dio, dell’uomo
greco e del cristiano
• Ma, a differenza di Dio, l’autopossesso e
l’autodeterminazione umana sono solo parziali. E non vi
è nessuna ascesi che possa realizzare l’autodominio
umano senza residui, cioè nella logica dell’ideale stoico
e più in generale greco. Infatti l’autopossesso stoico è
autopossesso-in-altro, laddove l’altro è il cosmo
razionale che esaurisce nei meccanismo gelidi della
ragione il calore umano e il dramma della sua personale
interiorità, mentre l’autopossesso dell’uomo cristiano è
un autopossesso-in-Altro, laddove l’Altro è
l’impescrutabile profondità della sapienza personale di
Dio, della sua iniziativa e della sua volontà, che nessun
logos puramente umano potrà mai esaurire.
Disponibilità e indisponibilità della
propria realizzazione
• Per tale motivo ,se nello stoicismo le possibilità
di realizzazione dell’uomo sono a disposizione
del saggio, nel cristiano esse si devono giocare
nel rapporto singolare e talora drammatico con
Dio. Qui non si tratta di avere a che fare con una
razionalità cosmica alla quale è necessario
adattarsi per farsi guidare invece che trascinare,
qui si gioca tutto nel dramma personale di un
rapporto singolare con il Dio che scruta la
profondità dell’animo e sa vedere il male che in
esso si annida.
Male
• Se la metafisica greca ha sempre avuto
difficoltà nel dare conto di una certa
irrazionalità che resta sullo sfondo
dell’ordine razionale dell’universo, allo
stesso modo non è riuscita a cogliere
profondamente il mistero dell’iniquità e del
male che si annida nell’animo umano,
riducendolo sempre, in modo
intellettualistico, ad un insufficiente
progresso nel cammino della conoscenza
Il male e l’ottimismo gnoseologico
antico
• “Del resto una riflessione a proposito (del
male, n.d.r.) avrebbe potuto intaccare alla
radice proprio quell’ottimismo
gnoseologico circa la perfetta razionalità
del reale che è in fondo la cifra stessa ella
filosofia antica, e la sua più grande
‘eredità’ culturale (L. Lacchini - P.C.
Rivoltella, op. cit., p. 280)
La superiorità personale fonte di
angoscia
• Se l’essere umano è dunque persona
superiore ad ogni prospettiva cosmica, se
essa fonda le sua piena realizzazione sul
rapporto con Dio, che è altresì un rapporto
personale, dunque ad un livello più
elevato, tale livello è anche più esigente e
fonte di una possibile angoscia
dell’esistere che i maggiori filosofi cristiani,
primo fra tutti Kiekegaard, hanno notato.
La sicurezza stoica…
• La grande prospettiva stoica finalizzata al
perfetto autodominio aveva come correlato il
fatto che tale autodominio era nella perfetta
disponibilità del saggio. Nella misura in cui egli
fosse riuscito ad emanciparsi dalle passioni
“esterne”, avrebbe realizzato pienamente la sua
natura in perfetta coincidenza con il logos del
cosmo, cioè nello spazio definito dalla naturalità
cosmica, dove era possibile collocarsi una volta
che si fossero abbandonate le sovrastrutture
sociali e irrazionali costruite dall’uomo schiavo
delle passioni.
…e l’abisso cristiano
• “In quest’inevitabile autoesperienza dell’uomo ridotto al
proprio sé (invece) si radica il problema cristiano della
libertà: l’essere-abbandonato-a-se-stesso, che nello
stoicismo, in quanto garanzia sicura di libertà,
rappresenta la soluzione sicura del problema, costituisce
ora proprio la questione problematica. Nello stoicismo
[…] si tratta della libertà dell’uomo (come possessore del
logos) nei confronti della natura e, in generale, della
libertà nei confronti di qualcos’altro – nel cristianesimo,
paradossalmente si tratta ella libertà della volontà nei
confronti di se stessa, cioè nei confronti dei modi di
essere suoi propri, quali la concupiscenza e la superbia
(H. Jonas, Agostino e il problema paolino della libertà.
Studio filosofico sulla disputa pelagiana, tr. it. di C.
Bonaldi, Morcelliana, Brescia, 2007, p. 44).
Uomo-Dio
• Essendo un rapporto personale, quello tra
uomo Dio comporta una dinamica più
complessa ed esigente: infatti il cristiano
“si espone allo sguardo di colui che
esamina ‘nelle profondità dell’anima’, che
tiene aperto di fronte a sé l’ abyssus
humanae coscientiae, scrutando ogni
falsità che si insinua nell’agire e
rendendola manifesta come tale” (ivi, p.
45)
La volontà fallita
• “La volontà lasciata a se stessa giunge in verità soltanto
fino al sapere della sua caduta costantemente attuantesi
(cognitio peccati) – ma non a poterla anche evitare […]
poiché Dio – o meglio l’idea di un Dio assoluto, capace
di scrutare nel profondo – lo sospinge fuori da ogni
nascondiglio della volontà, egli (l’uomo , n.d.r.) […]
comprende allo stesso tempo che la volontà in sé non è
nient’altro che uno straordinario nascondiglio per se
stessa e che svincolarla veramente in modo radicale da
esso e liberarla per un univoco esser-vero
significherebbe renderla libera da se stessa” (ivi, p. 46)
Il quasi-niente della virtù
• Proprio il rapporto con un Dio personale rivela
all’uomo l’enigma della sua personalità e
l’abisso della sua volontà. Esso rende la virtù
quel fragile “quasi niente” che V. Jankelvitch ha
intravisto nel tentativo umano di essere
profondamente veraci in quella dislocazione del
bene in altro che è l’amore, sempre esposto al
paradosso dell’autocompiacimento egoistico, in
ogni istante in agguato dietro ogni bene che noi
compiamo.
L’enigma umano e la liberazione
• Allora la libertà e l’autopossesso diventano un obiettivo
irraggiungibile nella fragilità che ci è rivelata da Dio, a
meno che questa fragilità non si ribalti in una superiore
forza, la forza dell’accoglienza di una grazia liberante.
Debolezza, cognizione del peccato, insuperabilità dello
status peccati, volontà come luogo dell’autoinganno,
potrebbero tutti essere assunti come misteriosi motivi di
una kenosi liberante, di uno spogliamento di se stessi
che prepara ad essere rivestiti dalla grazia di Cristo.
Essa si manifesterebbe nello specifico come dono
personale e frutto inaspettato di quell’ angosciante e mai
deciso rapporto personale con il Dio di Gesù Cristo,
occhio che tutto vede ma anche mistero di gloria e
autentica potenza di libertà.
Uno sguardo retrospettivo: l’uomo classico e
l’uomo cristiano di fronte alla libertà
• Dato questo percorso allora si giustifica appieno
quell’affermazione di G. M. Pizzuti, secondo cui “l’uomo
occidentale ha conosciuto la libertà, quale principio che
ne struttura e innerva lo spirito, unicamente grazie alla
rivelazione biblico-cristiana. Prescindendo dal
Cristianesimo, l’uomo occidentale non avrebbe mai colto
la libertà nella sua accezione intensiva e abissale […]
Questa affermazione ne implica un’altra […] L’uomo
classico, l’uomo pre-cristiano non conosce la libertà nella
originarietà e radicalità ontologica di principio costitutivo
dello spirito, bensì nella modalità, assolutamente
estrinseca e marginale di attributo socio-politico
dell’individuo legato alle contingenze dell’esistenza”
(Indagini filosofiche sull’essenza della libertà umana,
ESI, Napoli, 1999 pp. 16-17)
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UTE 4 - Sant`Agostino e la scoperta della libertà