La nostra COMUNITÀ N. 4 - Anno 5 - dicembre 2012 - Autorizzazione del Tribunale di Lodi: n. 244 del 4/02/1994 La Nostra Comunità - dicembre 2012 1 In silenzio. “Mentre il silenzio fasciava la terra e la notte era a metà del suo corso Tu sei disceso, o Verbo di Dio, in solitudine e più alto silenzio”. In questi versi di Padre David Maria Turoldo per il Natale, sembra che il silenzio sia l’unica, vera, necessaria parola in questo giorno. Che contrasto con quello che ne abbiamo fatto noi! Preoccupati di chiacchere, non troviamo la buona notizia. Sazi di maschere, non vediamo più il volto. Produttori di rumori, non gustiamo l’armonia. Il silenzio ci purifica perché svuota la mente dai pensieri sporchi di orgoglio, di violenza, di sensualità. Il silenzio ci fa attenti perché porta lo sguardo sulle cose, così come sono. Il silenzio ci fa uditori perché fa ascoltare la vita. A Natale c’è la Parola eterna del Padre che non parla: è bambino, piange, mangia, dorme. A Natale c’è il massimo dell’insignificanza: un bambino, delle fasce, una mangiatoia di animali. A Natale c’è la marginalità e l’esclusione: non c’era posto per loro tra gli altri uomini. “Dio ha scelto ciò che è stoltezza del mondo per confondere i sapienti. Dio ha scelto ciò che è debolezza del mondo per confondere i forti. Dio ha scelto ciò che è ignobile nel mondo e ciò che è disprezzato e ciò che è nulla per annientare le cose che sono” (1 Cor 1,27-28). Perché la nostra fede in lui sia solo per amore, mai per imposizione. Perché davanti all’uomo si liberi dal nostro cuore solo una risposta d’amore, mai per dovere. “Homo viator. L’uomo è un pellegrino; malato d’infinito, incamminato verso l’eternità. La personalità è sempre in marcia, perché essa è un valore trascendente: la sua forma perfetta non si raggiunge che nell’altra vita, piena e indefettibile. Purché l’uomo non si lasci stancare della lotta, purché si opponga alla sclerosi progressiva o causata dagli anni e dalle delusioni della vita, purché dia ogni giorno un tratto alla costruzione del suo capolavoro. In vista dell’eternità” (d. Carlo Gnocchi, Restaurazione della persona umana). Troveremo il Dio Bambino nel nostro natale? Don Davide 2 2 La Nostra Comunità - dicembre 2012 La vita nuova Steso sulla barella nell’ascensore dell’ospedale S. Giuseppe di Milano, uno dei due infermieri dice all’altro: ”Se el ga quest chi?”. Alla risposta: ”Le bele dalà!”, con un filo di voce, risponde: ”To surela le da là”. Questo è Roberto Parietti. Anche sulla sponda che separa la vita dalla morte, sa aggrapparsi all’ultimo tenue filo che lo tiene vivo. E sa sorridere. Mi concede una mattinata, dove, di ricordo in ricordo, ripercorre, con nostalgia e fierezza, la sua storia. Classe 1930, a 10 anni fa già il garzone in un panificio del suo Paese, Pont’Olio, Brescia. Era il terzo di 7 fratelli. A 18 anni, con la sua lambretta, gira di negozio in negozio, come rappresentante di dolci per una ditta bergamasca. Chiamato alle armi, passa il lavoro ai fratelli e chiude in soffitta la sua lambretta. Al ritorno non trova più né quello né questa. Il servizio militare a Messina, dove è arruolato come conducente scelto nel quartiere generale della divisione Aosta, gli apre strade allettanti nel mondo militare: per tre volte rifiuta il grado di caporale, perché il suo cuore e la sua mente sono a casa. Vuole tornare a casa. E qui, con la sua patente di guida e l’esperienza maturata nei 18 mesi siciliani, trova un posto come camionista. Ma vi rinuncia subito dopo pochi giorni: lui non è fatto per essere secondo a nessuno, vuole il posto di primo camionista. Torna a casa, ma… dimentica alla ferriera la sua tuta di lavoro. Dopo due giorni, un suo collega gliela porta avvolta in un foglio di giornale. E’ la sua fortuna. Sua mamma, scartando il giornale, vi trova un annuncio: ”Cercasi famiglia numerosa per panificazione”. Subito chiama Roberto: ”Cosa ne dici’? Ho qui 500 lire: sono sufficienti per il biglietto andata e ritorno a Milano. Va a vedere”. Racconta Roberto: “Fui subito interessato. Decisi di fare solo il biglietto di andata: destinazione Milano, via Sirtori, grissinificio “Gastaldino”. Mi spiegarono di che cosa si trattava, quello che si poteva guadagnare, qual era l’affitto. Mi resi subito conto che nei conti che mi presentarono non tutto era chiaro. Ma la cosa mi interessava e conclusi l’affare. Uscito dal colloquio, vidi davanti a me un panificio e una salumeria: con il resto delle cinquecento lire, prendo 5 michette e con gli ultimi spiccioli mi presento al salumiere che me le riempie con i ‘fondi’ di salame. Non ho più un soldo in tasca. E per tornare a casa? In stazione centrale salgo ugualmente in treno: qualche santo aiuterà. Tutto ok fino a Romano Lombardo. Ma, al primo apparire del controllore, mi chiudo nel bagno. Ma vengo ‘disturbato’. Prontamente rispondo con tremendo ”Occupato” che deve aver spaventato il guastafeste che…è La Nostra Comunità - dicembre 2012 3 sparito. Arrivato a casa, decido con i miei familiari di accettare la proposta di lavoro e, dopo 4 giorni, parto con 3 fratelli e una sorella: inizia così l’avventura più bella della mia vita”. A Milano, veniamo accolti dal cav. Gastaldi e sistemati in un unico stanzone sopra il forno: per 6 mesi ci butteremo a capofitto nel lavoro (fino a 16 ore al giorno) e mangiando pane (ce n’era a volontà) e tonno, il vino non mancava. “Lavoravamo sodo in 5 e l’attività andava a gonfie vele: riuscivamo a pagare il nostro affitto e a mettere in banca un milione di lire al mese! Nostro padre non ci credeva: dopo sei mesi, solo davanti al libretto della banca si convinse della fortuna che ci era capitata. Continuò così per 15 anni. Nel frattempo iniziava anche una attività in Portogallo: a Lisbona andai ad aprire un panificio ed un grissinificio, mentre mio fratello si stabilì a Oporto con una pasticceria e un panificio. In Portogallo, incontrai anche la fortuna più grande della mia vita, mia moglie Meri, che con me ha condiviso tutto. Intanto a Milano erano attivi 4 grissinifici. Quando, però, Roberto e Meri in un momento di vacanza qui si crearono dei problemi, convinsi il cav. Gastaldi a vendermi l’attività: fu un’impresa faticosissima. Per tre giorni e tre notti, a Torino dove abitava, ci furono trattative estenuanti. Finalmente trovammo l’accordo: 400.000 lire al mese per 10 anni. Vendemmo a Milano e ci trasferimmo a Mombretto di Mediglia: lì, abbiamo costruito il nostro nuovo centro operativo, grissinificio, forni, fabbrica. In Portogallo, nelle colonie e nelle isole, continuava la mia attività anche come rappresentante della ditta di forni “Luigi Alisetti” di Peschiera Borromeo. Negli anni ’70, fui costretto a ritornare in Italia per riprendere in mano l’attività che cominciava a sentire troppe fatiche e a correre molti rischi: dovetti mettermi all’ufficio vendite e a ricreare un’organizzazione moderna e competitiva. Dopo pochi anni, i forni erano passati dallo sfornare 30 Kg a 300 Kg all’ora: diventammo concorrenti della San Carlo che si interessò ai nostri impianti e alla nostra produzione. 4 4 La Nostra Comunità - dicembre 2012 Erano gli anni ’80 e cominciò, così, una collaborazione con questa grande catena alimentare fino alla cessione di tutta la nostra attività. Per me si apriva un’altra fase della mia vita: l’apertura a Milano di un supermercato all’ingrosso e al minuto”. Come andò questa nuova attività? “Nel 1991 fui colpito da un ictus con ischemia e paralisi. Fui costretto ad abbandonare tutto. Iniziò così il mio calvario per ospedali: per un anno intero al San Giuseppe di Milano; poi, al San Raffaele, al Fatebenefratelli, a Vizzolo. Per la mia vita è stata una rivoluzione. Anche per mia moglie, tutto è cambiato. Lei è diventata il mio angelo custode. Grazie a lei sono qui e posso godere di una certa autonomia.” Per lei, Meri, che cosa ha comportato la malattia di suo marito? “Questa situazione che si è creata ha capovolto tutta la mia vita. Lasciando il Portogallo per l’Italia, ho compiuto un grande sacrificio che però era sostenuto dall’amore per lui e per i miei figli. Ora, la mia vita dipende tutta da lui: come prima per l’attività lavorativa e per la famiglia, anche ora io cerco di dedicarmi a lui. Giorno per giorno, perché non so mai come si evolve la malattia, affronto le varie difficoltà e situazioni che si presentano: corro dai medici, controllo le sue terapie, mi occupo degli esami, preparo da mangiare in modo che, nonostante le sue difficoltà di deglutizione, abbia una giusta e completa alimentazione. Cerco di mettere sempre lui al primo posto, dopo la mia persona con le mie esigenze, con il timore e la paura di nuove crisi.” Roberto, dal ’91 a oggi sono ben 21 anni! Come affronta le sue giornate? “Le mie giornate qui a casa passano fra le fisioterapia del mattino, il lavoro di scrittura dei ricordi con la mia Olivetti Lettera 22, dedico alcune ore alla lettura del Corriere della Sera; mi interessa la vicenda politica, l’economia, il mondo del lavoro; mi piace sentire la televisione anche quella portoghese; ascolto la radio”. Roberto, non ci sono momenti di Roberto Parietti riceve a Roma il premio “Ercole” La Nostra Comunità - dicembre 2012 5 stanchezza o di ribellione? “Sono soddisfatto di tutto quello che ho fatto nella mia vita: con i sacrifici e il tanto lavoro, ho avuto grandi soddisfazioni e riconoscimenti. Pensi che nel 1965, a Roma, all’Eur, abbiamo ricevuto dal presidente Andreotti il premio “Ercole” per la produzione. Ringrazio il buon Dio che mi ha permesso di fare tutto questo e di raggiungere, qualche giorno fa, 82 anni. Più che ribellione, a volte sono stanco. Mi ha aiutato e mi aiuta moltissimo la fede in Dio e credo tanto alla presenza della Madonna nella mia vita. Sono convinto che se sono qui, lo devo a Lei. Ricordo benissimo, e mia moglie può confermare tutto questo, che, mentre ero all’ospedale San Giuseppe, e ormai tutto sembrava deciso e non si intravedeva alcuna possibilità di ripresa, per tre volte ho visto entrare nella mia camera la Madonna di Fatima. Mia moglie, che era nella chiesa dell’ospedale e, disperata, gridava e se la prendeva con la Madonna, spaventando anche le suorine presenti, tornata in camera mi trovò seduto sul letto. La crisi era superata, con l’incredulità generale dei medici”. C’è una parola e un messaggio che vorreste lasciare a chi deve affrontare situazione così drammatiche? Meri: “Ai familiari dico che per un malato è importante sapere che può contare sulla loro presenza e che non sono abbandonati. E’ la prima, necessaria, fondamentale terapia. Le altre medicine funzionano se c’è questa. Questo comporta sacrificio e cambiamento di tutta la vita. Ma quando tutto è fatto con il cuore e per amore, allora si diventa fortissimi, non si ha paura di niente, e si diventa capaci di cose impensabili. Si trova in noi una forza nuova, mai conosciuta”. Roberto:”Mi sento di dire a un malato di non disperare mai, ma di ritornare con la mente e il cuore alle belle imprese fatte nella vita, alle persone incontrate, per trovare che vale la pena affrontare tutto, anche i giorni tristi. La nostra vita è stata importante e ha portato qualcosa di bello anche per chi viene dopo di noi”. Grazie a Roberto e a Meri per averci aperto il loro cuore e aver sfogliato con noi l’album dei loro ricordi: quanta saggezza! Auguri infiniti! Don Davide 6 6 Periodico trimestrale: anno V n. 4 “La Nostra Comunità” Editore: Parrocchia di Tribiano Direttore Responsabile: Don Davide Chioda Stampa presso: tipografia Sollicitudo Lodi Numero autorizzazione del Tribunale di Lodi: n. 244 del 4/02/1994 Redazione: Alice Andreoli, Federica Basile, Silvia Bontempi, Don Davide Chioda, Barbara Ghirlanda, Giuliano Goi, Sergio Martini. Hanno collaborato a questo numero: Roberto e Mery Parietti, Francesca Gandini Si ringraziano tutti coloro che hanno partecipato rilasciando interviste o fornendo materiale fotografico Le foto di copertina e di sfondo sono di Sergio Martini La Nostra Comunità - dicembre 2012 La fede e la forza delle diverse abilità. Nello scorso numero del giornalino abbiamo anticipato che le quattro edizioni del nuovo anno pastorale avrebbero avuto come dominante il tema della Fede, suggerito dal Papa. Lo abbiamo declinato in altrettanti sottotitoli: “la fede e il dialogo” trattato nello scorso numero, “la fede e la forza delle diverse abilità” che affrontiamo in questa edizione, “la fede e la bellezza del creato nell’arte” e “la fede e l’ambiente che ci circonda”. Nel pensare come sviluppare il tema attuale mi è subito venuto in mente un personaggio straordinario che ho avuto il piacere di conoscere e la cui storia qui di seguito vi presento. 5 dicembre 1993: Alessio Tavecchio, giovane studente benestante di Monza, è vittima di un incidente motociclistico. A causa di una buca per lavori in corso non segnalati finisce a terra entrando in coma. La diagnosi dei medici non lascia speranze: paraplegia. Alessio sarà costretto sulla sedia a rotelle per tutta la vita. Improvvisamente tutto cambia. Un giovane ventitreenne con tanti sogni e alla ricerca della autentica pienezza di vita viene proiettato in un mondo nuovo. Un mondo fatto di medici, interventi chirurgici e riabilitazione che lo obbliga a ripensare la propria vita quotidiana e il rapporto con gli altri. In un suo libro - “Con una marcia in più” ed. Paoline, prefazione di Valentino Rossi – scrive: “Mentre il mio corpo giaceva in stato di coma a causa dell’incidente motociclistico, la mia coscienza ha effettuato un “viaggio” in compagnia di “un angelo” di nome Mara, che mi ha guidato oltre i confini del razionale, in luoghi fuori dal tempo e in avventure sconosciute. Quest’esperienza mi ha rivelato il mistero della vita spingendomi, mio malgrado, a varcare quella soglia che chiamiamo morte, ma che in verità si è rivelata come un passaggio della coscienza ad un livello diverso da quello conosciuto nella dimensione fisica. La vita continua perché la morte deve La Nostra Comunità - dicembre 2012 7 intendersi come abbandono del corpo fisico per indossare un nuovo corpo di luce. Mara mi disse chiaramente che la FEDE sarebbe stata la mia unica possibilità di rinascita. La FEDE è luce che fa risorgere e che va conquistata, che va presa e ripresa finché forte e salda come una roccia radicata in noi permette ad ognuno di raggiungere lo scopo e il compito prefissato…” Alessio trova la forza di fare una scelta: una scelta forte. Questa nuova condizione vuole viverla attivamente, da protagonista, deve essere una rinascita, non una condanna da scontare. Con questo spirito affronta la fase acuta (ospedaliera) e post-acuta (riabilitativa) del suo percorso di disabile. Proprio questo spirito gli permette di non rinchiudersi in casa davanti alla televisione tutto il giorno ma di darsi allo sport, per sentirsi meglio, per stare con gli altri e vincere una sfida con se stesso. Nel 1995, a soli due anni dall’incidente, partecipa ai Campionati Europei di nuoto per disabili in Francia e nel 1996 alle Paralimpiadi di Atlanta. Ad Alessio però manca ancora qualcosa, sente che deve utilizzare l’opportunità che gli è stata data ancora più a fondo. In particolare, memore di quel vuoto che lo aveva assalito nella fase riabilitativa e, soprattutto, al suo rientro a casa, Alessio capisce che deve trovare il modo per trasmettere la sua esperienza di rinascita a quei circa 6 milioni di disabili che ci sono in Italia. L’intuizione è quella di costruire un Centro che possa garantire tutto quello di cui lui stesso, in prima persona, avrebbe avuto bisogno dopo l’incidente ma che nessuna struttura è stata in grado di offrirgli. Un centro che si sarebbe inserito tra la fase ospedaliera/riabilitativa e il reinserimento fisico, mentale e sociale, colmando quello stato di abbandono in cui si vengono a trovare improvvisamente il disabile e la sua famiglia. Nasce così il progetto di Open Village Monza, centro polifunzionale di riabilitazione, formazione e sport per persone con disabilità ma aperto a tutti e impegnata in diversi progetti sul territorio: corsi di formazione per disabili, un servizio trasporti per disabili con nove automezzi guidati da autisti volontari, un gruppo di solidarietà e di sostegno psicologico e il Progetto Vita dedicato alla prevenzione stradale nelle scuole d’Italia. Non è questa l’unica storia di disabilità, ce ne sono tante altre; le Paralimpiadi del settembre scorso ci hanno riproposto storie di persone che, della loro disabilità, sono riuscite a fare un punto di forza. Purtroppo però non tutti quelli toccati dalla disabilità hanno 8 8 La Nostra Comunità - dicembre 2012 il coraggio, l’energia, la motivazione di “rialzarsi”. Allora diventa prorompente un dubbio: c’è forse anche il silenzio di Dio in tutte queste tragedie? Un Dio che “sembra essersi rinchiuso nel suo cielo, quasi disgustato dall’agire dell’umanità”, com’è scritto in un testo del profeta Geremia. La risposta al dubbio potrebbe arrivare dalla commovente invocazione rivolta all’Eterno da Kierkegaard: “….. tu parli anche quando taci. … Tu taci per amore e per amore parli. Così è nel silenzio, così è nella parola. Tu sei sempre lo stesso Padre, lo stesso cuore paterno e ci guidi con la tua voce e ci elevi con il tuo silenzio”. Ma perché tutto questo dolore che entra nella nostra umanità, nelle nostre famiglie? Don Gnocchi, nel suo testo “La pedagogia del dolore innocente”, afferma che tutto questo ha un profondo valore pedagogico: “Nella misteriosa economia del cristianesimo, il dolore degli innocenti è permesso perché siano manifeste le opere di Dio e quelle degli uomini: l’amore e l’inesausto travaglio della scienza, le opere multiformi della solidarietà, i prodigi della carità soprannaturale”. Certo, più facile dirle queste cose che dovercisi trovare a viverle; ma è proprio qui che subentra la fede con la sua meravigliosa forza che ci fa accettare anche quello che non comprendiamo e che non vorremmo ci capitasse. Giuliano Goi Come fare ad affrontare il destino avverso è difficile da dire, non esiste una ricetta universale per imparare a misurarsi con le difficoltà re le fatiche che la vita mette nel nostro cammino, mi piace però pensare che ci sono grandi esempi di forza d’animo e di fede, alcuni eclatanti e fortemente impattanti dal punto di vista mediatico e altri silenziosi ma egualmente significativi perché ci dimostrano che ognuno di noi può trovare dentro di sé la forza di reagire. In quest’ottica ho scelto di portare, subito dopo l’articolo di Giuliano, l’esempio di Alex Zanardi ma non quello delle paralimpiadi di Londra, che hanno un meraviglioso riscontro dal punto di vista dei risultati ottenuti, ma quello della maratona di Venezia perché mi ha davvero scaldato il cuore. Zanardi ha scelto di partecipare alla maratona insieme ad un suo amico tetraplegico e con le bici “a mano” hanno iniziato il tragitto verso la città lagunare; il tempo avverso, la bora violenta e il freddo La Nostra Comunità - dicembre 2012 9 hanno messo a dura prova le già scarse forze di Eric Fornari che pur allo stremo ha espresso con Alex il desiderio di arrivare fino in fondo; Alex non si è perso d’animo e si è letteralmente caricato sulle spalle l’amico e il suo mezzo di locomozione portando a termine la gara. Lo stesso Zanardi che ha commentato così l’episodio: “E’ stata un’avventura pazzesca. Eric ha iniziato a patire il freddo con degli spasmi muscolari e non riusciva più a tenere la sua handbike che piegava tutta a sinistra. A quel punto ho capito che era troppo rischioso arrivare in queste condizioni a Venezia per cui ho deciso di sganciare la ruota anteriore di Eric e agganciare il suo mezzo al mio con una corda trovata per caso sul percorso, spuntata da un bidone della spazzatura. Abbiamo smontato la ruota anteriore della carrozzina di Eric, l’ho legato dietro a me e siamo ripartiti. Sembravamo l’A-Team“. La sua determinazione, la sua forza interiore e la capacità di portare fino in fondo la promessa fatta ad un amico è la dimostrazione più importante di ciò che può fare un uomo così. Silvia Bontempi 10 10 La Nostra Comunità - dicembre 2012 L’ impatto della disabilità sulla famiglia Qualsiasi nucleo familiare, nel corso della sua evoluzione, si trova ad affrontare eventi e compiti che richiedono un più o meno vasto processo di riorganizzazione. Le famiglie differiscono tra loro per le modalità con cui fronteggiano tali compiti evolutivi e anche il singolo nucleo, in questo percorso, non rimane uguale a se stesso. L’insorgere di un qualsiasi tipo di disabilità, rappresenta un evento potenzialmente distruttivo per la maggior parte delle famiglie. Spiega la psicologa e psicoterapeuta Francesca Gandini: “La disabilità è un evento traumatico che crea uno squilibrio nel già complesso insieme dei rapporti che si instaurano all’interno del nucleo famigliare”. La famiglia deve quindi essere considerata come protagonista di un processo di adattamento oltre che come vittima di una situazione stressante e ciò è fondamentale per immetterla a pieno titolo nel processo terapeutico, per considerare l’aspetto delle risorse attivabili anziché quello dell’handicap. “L’impatto, dice ancora Gandini, risulta meno grave per le famiglie stabili, mentre può portare alla frantumazione di quelle create da poco o non sufficientemente strutturate. In particolare, se si tratta del figlio piccolo di una famiglia giovane, l’investimento a lungo termine dei genitori del bimbo è maggiore e questo rende più traumatica la differenza tra idee e prospettive sul piccolo e la realtà di un handicap. Per le famiglie con genitori più ‘collaudati’ e figli più grandi interviene la stabilità data da un rapporto di lunga durata”. Da una ricerca italiana del 2002, su un campione di 91 famiglie con almeno un figlio disabile, è emerso che circa il 25% delle persone intervistate riporta elementi di insoddisfazione rispetto al momento della diagnosi, spesso perché le spiegazioni sono state insufficienti o addirittura assenti. Non mancano anche denunce di incompetenza e di durezza dei medici o degli operatori. Questi fattori, indicativi di modalità di comunicare la diagnosi vissute come poco partecipative, potrebbero aggravare anziché mediare l’intensità negativa dell’impatto. La Nostra Comunità - dicembre 2012 11 Tale impatto, naturalmente, varia a seconda della gravità e della tipologia della menomazione, oltre che in relazione alla situazione personale, familiare e sociale dei genitori. È ormai riconosciuto che le modalità di comunicazione delle diagnosi abbiano un ruolo determinante nell’accettazione dell’handicap da parte dei genitori e nel condizionare, in senso positivo o negativo, il rapporto affettivo con il figlio. Sembra invece che nella maggior parte dei casi, la comunicazione avvenga in maniera inappropriata e non supportata da corrette informazioni sulla natura dell’handicap. In seguito alla diagnosi i genitori generalmente passano da una fase di shock, ad una di incredulità e di elaborazione del problema; solo successivamente potranno iniziare a costruire un rapporto reale con il proprio figlio. Quindi, prima di giungere alla fase dell’adattamento, i genitori attraversano lo shock e spesso, l’instaurarsi di reazioni difensive. “Le fasi attraverso le quali si arriva all’accettazione della disabilità, sottolinea Gandini, sono simili a quelle dell’elaborazione del lutto, dall’incapacitazione alla rabbia. Ma se questi sentimenti permangono e restano vivi per un tempo troppo lungo è necessario un supporto psicologico per stabilire una modalità di confronto con il problema, che permane nella realtà”. La diagnosi può provocare nei genitori un forte trauma, legato alla differenza tra il figlio “ideale” che hanno costruito come oggetto d’amore e il figlio “imperfetto” che la realtà presenta loro. Quest’ultimo può costituire una ferita narcisistica che mette in discussione il loro valore di procreatori e, a volte, anche la validità del loro rapporto di coppia. L’intervallo che intercorre tra l’ipotesi e la conferma della diagnosi può favorire la coltivazione della speranza che questa venga smentita. Si tratta di un meccanismo difensivo che si instaura quando il problema suscita un’angoscia estrema, che l’individuo è incapace di tollerare. In alcuni casi si assiste ad una negazione totale del problema, con la conseguente ricerca, a volte maniacale, di elementi che disconfermino la diagnosi di handicap. Questi atteggiamenti, se protratti nel tempo, sono molto negativi per il figlio in quanto il genitore, completamente orientato alla ricerca soluzioni che eliminino l’handicap, non si misura completamente e concretamente con la realtà del figlio, non ne rileva i bisogni e non si impegna a sufficienza nel trovare soluzioni che assicurino un adeguato sviluppo del figlio. La ricerca di ripetuti interventi specialistici, che spesso comportano 12 12 La Nostra Comunità - dicembre 2012 notevoli oneri finanziari e disagi, potrebbe essere legata ad un’altra funzione, quella di soddisfare a livello profondo, un bisogno di riparazione per il danno di cui i genitori si sentono inconsciamente responsabili. Nel caso in cui i genitori si sentano responsabili, si colpevolizzano e ciò rischia di provocare ansia e sfociare addirittura in depressione, con le inevitabili conseguenze sullo sviluppo del figlio. È anche possibile che i genitori rifiutino il figlio, lo trascurino, o non si preoccupino del deficit. Altra possibile reazione è l’iperprotezione: la madre vive e fa vivere il figlio in un’atmosfera di continuo timore che sfocia in isolamento, poiché vengono evitati i contatti con i coetanei nel timore che gli facciano male, non viene data al figlio l’opportunità di esplorare oggetti, di provare nuove esperienze, di sviluppare l’autonomia in aree quali il nutrimento, l’igiene personale, la scoperta dell’ambiente. Tale atteggiamento deve essere necessariamente ridimensionato per evitare che il figlio col crescere dell’età, provi un senso di rigetto, di rifiuto, che lo porterebbe a rinchiudersi sempre più in sé stesso, accentuando maggiormente le sue limitazioni. Viceversa, potrebbe instaurarsi una tacita complicità tra genitori e figlio: il figlio potrebbe facilmente “adagiarsi” alla situazione di iperprotezione e ciò potrebbe creare una eccessiva dipendenza e una riluttanza da parte del figlio ad abbandonare la posizione di passività. Infine, spesso il genitore lotta con la paura o la certezza che il figlio non cresca come dovrebbe. Ciò lo può portare a spingere e sollecitare il figlio prima che sia pronto, ad esagerare il confronto con gli altri, a non tener conto delle caratteristiche e dei ritmi personali, a sottolineare troppo le mancanze, i ritardi, anziché le conquiste, le acquisizioni, le capacità. “Dal trauma della disabilità deve derivare necessariamente un cambiamento di ogni componente del nucleo famigliare e della famiglia come gruppo. Farsi aiutare è il primo passo sul percorso che porta all’accettazione di quanto accaduto”. Barbara Ghirlanda La Nostra Comunità - dicembre 2012 13 Rain Man Charlie Babbit (Tom Cruise) è un giovane commerciante di auto sportive in procinto di chiudere un affare importante. Per festeggiare decide di partire con la ragazza, Susanna (Valeria Golino), ma l’improvvisa morte del padre, che non sentiva da anni, lo costringerà a cambiare programma. Dalla lettura del testamento Charlie scopre di non aver ereditato quasi nulla, mentre tre milioni di dollari vengono lasciati al fratello Raymond (Dustin Hoffman), rinchiuso in un ospedale psichiatrico perché affetto da autismo; un fratello di cui Charlie non conosceva nemmeno l’esistenza. E pur di non perdere una parte dei soldi, spinto da nuovi problemi finanziari, Charlie decide di portare con sé Raymond pensando di poterne ottenere l’affidamento. Ma il viaggio, più lungo e complicato del previsto, costringerà Charlie a entrare in contatto con la drammatica realtà del fratello. Con la sua interpretazione Dustin Hoffman evidenzia validamente le impuntature, la meccanicità dei gesti e degli scarti, l’incerto procedere nel camminare, comportamenti tutti caratteristici di un autistico. Il film di Levinson, naturalmente, è ben realizzato, in grado di comunicare qualcosa e soprattutto affidato alla superba interpretazione di Dustin Hoffman e Tom Cruise non sfigura. Valeria Golino, invece, passava per caso. Divertente, commovente, efficacissimo, ben in equilibrio fra commedia e dramma, è un film interessante che pone l’accento sulla realtà complessa e drammatica di chi vive in un mondo a parte e non è in grado di comunicare con l’esterno o comprendere le proprie emozioni. La straordinaria interpretazione di Dustin Hoffman fa emergere tutte le difficoltà di chi è “condannato” a vivere isolato all’interno della società: dall’incapacità di sopportare i rumori acuti al fastidio di essere toccato; dall’incapacità di prendere decisioni alla rigida e sistematica scansione delle attività giornaliere; dall’incapacità 14 14 La Nostra Comunità - dicembre 2012 di comunicare correttamente alle fobie improvvise (come la paura di volare o semplicemente di prendere l’autostrada). Il personaggio di Tom Cruise permette allo spettatore di immedesimarsi nei panni di chi vive a contatto con una persona autistica ed è assolutamente incapace di penetrare la barriera dell’altro, di comprendere certi comportamenti e stabilire una qualsiasi forma di relazione. Una condizione frustrante che, purtroppo, tante persone sono costrette ad affrontare ogni giorno. Eppure, nonostante le mille difficoltà, il regista non è pessimista fino in fondo e alla fine ci dice che esiste comunque una possibilità di andare oltre il muro e legarsi all’altro. S.B. Nati due volte C’è chi, sfortunato quando nasce, può però avere una seconda occasione di nascita. Se la prima è spesso legata al caso e assolutamente imprevedibile, la seconda dipende interamente dalla famiglia e dalla realtà che circonda il disabile. Questa è la tematica centrale del romanzo di Giuseppe Pontiggia che diventa momento di riflessione e di analisi del proprio rapporto con questo universo così vicino e così distante nello stesso tempo. L’esperienza personale dello scrittore, il cui figlio è disabile, ha sicuramente arricchito il libro, non tanto perché vi siano trasferiti elementi autobiografici, quanto per la capacità di penetrazione nella psicologia del protagonista, padre del ragazzo malato, e per la conoscenza di tutti gli ostacoli e le difficoltà, soggettivi e oggettivi, che una famiglia in questa situazione trova davanti a sé. Il momento della nascita si trasforma di minuto in minuto da gioia a incubo. La tragedia che piomba su questo nucleo familiare, già piuttosto in crisi è dovuto in parte alla leggerezza dei medici, alla superficialità e alla mancata professionalità del personale ospedaliero; risultato di fatto è che il giovane genitore si ritrova al centro di un uragano di sentimenti fortemente compenetrato da un profondo senso di colpa: durante la gravidanza della La Nostra Comunità - dicembre 2012 15 moglie ha avuto un rapporto extraconiugale che forse l’ha distratto, il travaglio stesso che ha preceduto il difficile parto non l’ha visto attento e attivo in modo da arginare la spavalda leggerezza del ginecologo. Così quando sarà chiaro che il bambino sarà portatore di un grave handicap, il padre dedicherà a questa creatura in difficoltà tutte le sue energie morali e intellettuali. Anche i vari specialisti a cui i genitori di Paolo, è questo il nome del bambino, si rivolgono daranno spesso risposte contraddittorie, e solo uno, tra i tanti, mostrerà umanità nel rapporto e sincerità nella diagnosi, così da non illudere, ma neppure deprimere chi ha la possibilità di far “nascere una seconda volta” il proprio figlio. Questo vale in modo particolare per chi, pur gravemente disabile nel corpo, ha però un normale (riesce difficile usare questo termine che appare talvolta insensato) quoziente intellettivo. E ogni atto, ogni gesto di autonomia sarà una conquista del bambino e dei suoi genitori, ogni momento di felicità un traguardo raggiunto, ogni contatto col mondo una battaglia vinta. Particolarmente difficile è l’inserimento nel mondo “normale” di chi ha difficoltà: drammaticamente complesso è il capitolo dedicato all’ingresso nella scuola elementare, regolamentato dalla legge, ma spesso disatteso nei fatti. Giorno dopo giorno, barriera dopo barriera da superare, il ragazzo arriva alle superiori e, nel romanzo, diventa sempre più il vero protagonista. Ha difficoltà a parlare, così riesce a sintetizzare in poche battute, spesso taglienti, il proprio pensiero. Ha piena consapevolezza della propria situazione, non autocommiserazione, ma l’amara sensazione di essere spesso solo, se non deriso, e di avere comunque come interlocutore privilegiato il padre. Anche i coetanei possono essere crudeli, se lo stesso fratello, di pochi anni maggiore, nutre nei suoi confronti una umana gelosia, in quanto oggetto privilegiato d’amore dell’intera famiglia. Paolo non si scoraggia e conquista un ruolo, ottiene rispetto, ha il coraggio di esporsi e, non negando né a sé né agli altri la propria diversità, di vivere una vita sociale. E’ più saggio del padre che arriva alla piena accettazione della realtà solo dopo anni di tormento. Il romanzo riesce a non essere sempre drammatico, spesso è ricco di ironia, quasi divertente: questo è il grande merito dell’autore che, pur trattando un tema così toccante, non cade mai nella commiserazione, prevale invece il tono duro, il dolore chiuso, la rabbia impotente, mai separata però dalla volontà di superare, per quanto è possibile, gli ostacoli, soprattutto quelli che la società frappone tra il critico punto di partenza e gli obiettivi S.B. possibili da raggiungere. 16 16 La Nostra Comunità - dicembre 2012 MI RICORDO RICORDI, SENTIMENTI E FEDE Oggi è una giornata particolare, sento il richiamo di Castelmonte. Sono comodamente seduto in auto, l’aria è resa gradevole dal condizionatore e seguo lentamente le curve ad esse della strada un po’ capricciosa che porta al Santuario. Ho lasciato l’allegria degli amici ed i giochi dei miei nipotini per dare spazio ai ricordi d’infanzia. Sono stato fortunato, ho avuto genitori con la G maiuscola e, quando i ricordi prendono il sopravvento, io mi risento ragazzino fra loro. Papà era un friulano emigrante e all’antica, mamma era trentina, emigrante pure lei. Persone solide e severe, i loro principi mi sono sempre stati utili e mi hanno fatto crescere in fretta. Papà mi insegnava più a fatti che a parole, mi diceva quanto fosse importante per la famiglia, portare a casa sempre qualcosa, anche piccola, al rientro. Io cercavo d’imitarlo, perché mi rendeva felice fare ciò che lui faceva. Quando ritornavo dalle passeggiate nei boschi, avevo sempre sulla spalla la mia bella fascina di legna. Papà era fiero del mio operato, la mamma un po’ meno, perché sia la camicia che i pantaloni portavano abbondantemente le tracce di terra e anche qualche strappo qua e la. Una volta all’anno la parrocchia organizzava il pellegrinaggio al Santuario, dove ora mi sto recando, ed anche noi vi partecipavamo. La partenza avveniva al mattino molto presto e la prima parte del viaggio era a bordo di un carro agricolo. Questo era trainato da due cavalli, ma non era un carro con le ruote rigide di legno e ferro, bensì quelle gommate, questo era molto apprezzato perché evitava i duri sobbalzi. La mamma stendeva, sullo spazio dove noi dovevamo sedere, una coperta, quella usata per stirare. Restava solo l’inconveniente dell’inclinazione della strada, cosi ogni tanto ci trovavamo pendenti un po’ verso destra od un po’ verso sinistra, col rischio di essere sbalzati giù. La seconda parte del cammino, un sentiero in salita, tutti in fila, da buoni Cristiani, camminando e recitando preghiere. Da ragazzi la concentrazione si mantiene pochino, basta un niente per distrarsi. Vedevo ai margini della strada molti arbusti secchi, bastoni lasciati da altri che ci La Nostra Comunità - dicembre 2012 17 avevano preceduto, resistetti a raccoglierli per un po’, anche perché una delle mie mani era ben stretta in quella di mia mamma. Al primo rallentamento della stretta rimasi un po’ indietro ed in meno che non si dica la mia fasci netta era fatta. Orgoglioso, la trascinavo accanto a me. L’occhio vigile della mamma mi rintracciò subito e quelle mani operose e mai ferme più di una volta colpirono in modo molto deciso il mio lato B. La camminata continuava lentamente fino alla sommità della collina, dove ora sono giunto; parcheggio e piano piano mi avvicino alla chiesetta: all’interno poche persone come sempre, ma il mio cuore è colmo e grato di ricordi e di commozione. Anna 18 18 La Nostra Comunità - dicembre 2012 VITA DELLA COMUNITA’ ASPETTANDO LA LUCE Dicembre avanza a larghi passi portando con sé giornate via via più corte e buie. E in me, che amo incondizionatamente la luce, fa capolino un sottile velo di malinconia. Ma non intendo lasciarmene sopraffare così, ben imbacuccata e armata dei miei fedeli attrezzi, appena posso esco in giardino, nell’aria chiara e frizzante del mattino. Una sferzata di energia sulla pelle e riemerge la voglia di portare a termine gli ultimi lavori prima della lunga pausa invernale. Ricovero il limone che fa penzolare sonnacchioso i pochi succosi frutti rimasti, copro con uno strato di tessuto non tessuto il cespuglio di Anthemis, margheritine rosa che si sono instancabilmente schiuse per tutta la bella stagione e appendo ai rami del caco alcune palle di grasso tanto gradite alla cinciallegre. Una spolverata di cornunghia ristoratrice sulle erbacee esaurite dalle ininterrotte fioriture, una generosa manciata di cenere del camino alla base di rose ed ellebori e il lavoro è quasi concluso. Manca solo uno spesso trapuntino di foglie secche ai piedi dei miei freddolosi agapanti: il gelo come al solito ne lesserà le lunghe foglie slanciate ma, così protetti, non ne moriranno e saranno pronti a rivegetare a primavera. Ecco, tutto è concluso. Posso rintanarmi in casa. Poi, d’improvviso, una mattina... un paesaggio da fiaba. Dalla finestra il giardino mi appare come un bosco incantato, immobile nel suo candore, bloccato da infiniti cristalli di gelo. E’ la prima brinata: lo stupore è quasi infantile, la suggestione sempre forte. Da dietro i vetri lo sguardo corre alle trine preziose della rosa Ballerina. Cespuglio tondeggiante e aggraziato con minutissime bacche rosso fuoco e sottili rametti spinosi che sembrano imbiancati uno a uno, pazientemente, da mano gentile e delicata. Lì accanto emergono i ciuffi scompigliati dei Pennisetum, graminacee leggere le cui spighe appaiono gonfie e consistenti sotto il peso del ghiaccio. Sì, amo davvero questo gruppo di piante, anche e soprattutto d’inverno quando, secche e color terracotta, con i loro pennacchi slanciati animano l’immobile stagione del freddo. E mi fanno tenerezza anche i Carex, graminacee di dimensione La Nostra Comunità - dicembre 2012 19 VITA DELLA COMUNITA’ più contenuta, formati da innumerevoli esili fili color ruggine che, per effetto della brina, si piegano simulando vivaci fontanelle senz’acqua. In mezzo al prato, a far corona all’albizzia, l’occhio si posa sulle bergenie, piante antiche, coriacee, forti, che la nonna coltivava in alti vasoni di cemento. Le loro foglie rossicce sono completamente prostrate, quasi appiattite al terreno, simili a larghe orecchie abbassate in segno di sottomissione al gelo. Anche i fiori bianchi dell’elleboro niger – ricordate? la “rosa di Natale” – quest’anno schiusi anzitempo, sono curvi sino a terra. Mi fanno un po’ pena, ma sono più forti di quanto sembrino a una prima superficiale occhiata. Basterà un timido pallido raggio di sole a farsi largo tra la coltre di nebbia per allentare la morsa del gelo. Allora, piano piano, le foglie delle bergenie riprenderanno vigore e il capino degli ellebori si rialzerà, miracolosamente, fino a ergersi dritto, quasi a proclamare: ce l’ho fatta! Il silenzio e l’immobilità che permeano tutto il giardino sono rotti solo dai voli radenti e dal continuo zampettare dei pennuti. I merli, soprattutto, avanzano a saltelli lunghi e veloci sulle loro zampe sottili, becchettando qui e là. Danno quasi l’impressione di sfiorare appena il terreno muovendosi su una zampa sola o con invisibili stampelle. Frugano instancabili tra le foglie fradice e scure e – ahimè - le spargono a pioggia anche sulla pavimentazione del vialetto. Sono alla ricerca di bacche carnose o dei semi degli elianti e delle echinacee caduti a terra. Per questo, d’autunno, non taglio queste erbacee ormai appassite anche se, secche e scure, invogliano a raderle al suolo. Uno stuolo di esserini affamati ne approfitterà fin quasi a primavera. Quando la brina si scioglie, anche la magia viene meno e il bianco svanisce. Ma non tutto. In mezzo al bruno che riprende possesso del giardino spiccano i boccioli chiari della Edgeworthia, una pianta 20 20 La Nostra Comunità - dicembre 2012 VITA DELLA COMUNITA’ dal nome impronunciabile, poco nota, ma coltivata anche in tempi antichi. E’ un cespuglio a crescita lenta e dal portamento compatto; già a dicembre, cadute le foglie, prepara dei curiosi pompon. Visti da lontano, sembrano piccole perle iridescenti nella bruma mattutina ma, a un esame più ravvicinato, svelano una miriade di piccole infiorescenze tubulari. A inizio primavera, quando si apriranno in un giallo delicato, spanderanno all’intorno un profumo dolciastro. Delizioso! Questi piccoli capolini sferici che brillano nel grigiore invernale mi mettono allegria, regalandomi un prematuro ma gradito anticipo di primavera. Pazienta solo un poco, sembrano sussurrare, poi il Natale porterà la luce. E ancora una volta il miracolo della rinascita sarà compiuto. Lucilla Migliavacca La Nostra Comunità - dicembre 2012 21 VITA DELLA COMUNITA’ Che bel sunà Gh’e’ un rag de sul che te culpis E prima che la luna la lusis Te se indurmenti a l’umbra del campanin Vegliad da le cicogne nel so nin L’ha culpid tuti el to suris Stampad perenne suta i cavei gris L’ha culpid tuti la to parola buna Sia cul seren sia cul ciel che truna Ades da man a “fratello sole” e a “sorella luna” Te ve vers el ciel cul to grup che suna E te se presenti a le porte del paradis Cun tabar, ciaramella e semper cul to suris Gh’e’ un coro che te speta su la in sima Te sunare’ sicurament puse’ che prima E a la fin prima che i angeli i van a ca’ Te ghe disare’ cume a num “che bel suna’ “ gruppo zampognari“ i pastori erranti del ricordo antico” I Pedra che si esibirà a Tribiano in questi giorni 22 22 La Nostra Comunità - dicembre 2012 1 dicembre 2012 , concerto della Schola Cantorum Tribiano presso la chiesa di San Michele Arcangelo e S. Rita a Milano chiesa di Tribiano, 27 maggio 2012, battesimo di Simone Palumbo di Nicola e Mariapaola Diomede chiesa di Tribiano 15 settembre 2012, battesimo di Viola Maria Mariani di Domenico e Sara Orsini La Nostra Comunità - dicembre 2012 23 VITA DELLA COMUNITA’ chiesa di Tribiano, 30 settembre 2012 battesimo di Lorenzo Foschini (sinistra) di Fabio e Nadia Salerno e battesimo di Federico Barlassina (destra) di Davide e Simona Ruitz e i fratelli chiesa di Tribiano, 28 ottobre 2012 di Riccardo Di Lucca di Francesco e di Pasqua Paola chiesa di Tribiano, 1 novembre 2012 battesimo di Camilla De Ceglia di Michele e Francesca Mulazzani 24 24 La Nostra Comunità - dicembre 2012 VITA DELLA COMUNITA’ chiesa di San Barbaziano, 25 giugno 2012 , matrimonio di Federica Ferri e Riccardo Goglio chiesa di S. Barbaziano, 01 settembre 2012 matrimonio di Stefan Martin e Lamberti Roberta La Nostra Comunità - dicembre 2012 25 VIVONO IN DIO Rosa Smanio Meggiorin 9-10-1920 22-11-2012 26 26 Giuseppe Milani 25-9-1928 6-11-2012 Lomolino Giovanna Zorri 05-11-1946 02-10-2012. La Nostra Comunità - dicembre 2012 E’ nato si dice Natale! Natale! Natale! Allora è arrivato Natale, Natale la festa di tutti, si scorda chi è stato cattivo, si baciano i belli ed i brutti si mandan gli auguri agli amici, scopriamo che c’è il panettone bottiglie di vino moscato e c’è il premio di produzione. Astro del ciel, pargol divin, mite agnello re Natale! Natale! Natale! C’è l’angolo per il presepio e l’albero per i bambini i magi, la stella cometa e tanti altri cosi divini i preti tirati a parata la legge racconta che è onesta le fabbriche vanno più piano, insomma è un giorno di festa. Astro del ciel, pargol divin, mite agnello re Natale! Natale! Natale! È festa persino in galera e dentro alle case di cura soltanto che dopo la festa la vita ritornerà dura ma oggi baciamo il nemico o quelli che passano accanto o l’asino dentro la greppia Natale il giorno più santo. Astro del ciel, pargol divin, mite agnello re Natale! Natale! Natale! Pierangelo Bertoli La redazione de “la nostra comunità” augura a tutti un sereno Natale La Nostra Comunità - dicembre 2012 27 Programma natalizio. Domenica 16 dicembre: inizio Novena del Natale. le sante messe saranno allietate dalla presenza dal gruppo degli Zampognari “I Pedra” di Miradolo Terme dalle ore 9, in palestra comunale, mercatini di Natale Domenica 23 dicembre: i ragazzi della catechesi raccolgono i generi alimentari per la Caritas parrocchiale all’esterno delle chiesa, e nei gazebi in piazza Diaz, via Pertini-Parri-via Tobagi ore 15.00 in chiesa parrocchiale a Tribiano benedizione dei Bambinelli dei presepi e scambio degli auguri. Consegna iscrizione al concorso presepi nelle case Lunedì 24 dicembre: ore 21.00 a S. Barbaziano S. Messa della notte ore 23.00 chiesa parrocchiale di Tribiano S. Messa della notte Martedì 25 dicembre Natale del Signore: ore 9.30 a S. Barbaziano S. Messa solenne dell’aurora ore 11.00 a Tribiano: S. Messa solenne del giorno ore 17.15 a Tribiano secondi Vespri di Natale ore 18.00 a Tribiano S. Messa solenne del giorno lunedì 31 dicembre: Festa di S. Barbaziano prete ore 10.30 S. Messa Solenne presiede S.E. Mons. Claudio Baggini, vescovo emerito di Vigevano, con la presenza dei sacerdoti del nostro vicariato Ore 18.00 a Tribiano S. Messa di ringraziamento con canto del Te Deum Martedì 1 gennaio 2013: Solennità di Maria SS. Madre di Dio Ore 9.30: a s. Barbaziano S. Messa solenne Ore 11.00: a Tribiano S. Messa solenne Ore 17.15: a tribiano canto dei vespri, adorazione e benedizione eucaristica Canto del Veni Creator per invocare il dono dello Spirito Santo sul nuovo anno Ore 18.00: a Tribiano S. Messa solenne Al termine delle celebrazioni saranno distribuita l’immagine del santo protettore dell’anno. Domenica 6 gennaio 2013: Epifania del Signore Ore 9.30: a S. Barbaziano S.Messa solenne con annuncio della Pasqua Ore 11.00: a Tribiano S. Messa solenne Ore 16.00: a Tribiano benedizione dei bambini, premiazione concorso presepi, estrazione della lotteria Ore 18.00: a Tribiano S. Messa solenne con annuncio della Pasqua Confessioni Giovedì 20 dicembre: ore 21.00 Celebrazione penitenziale per adolescenti, giovani e adulti con la presenza di diversi confessori Venerdì 21 dicembre: ore 16,30 confessioni medie Sabato 22 dicembre: ore 10.00 confessioni 4a e 5a elementare Lunedì 24 dicembre: ore 9-12 Tribiano ore 15-19 Tribiano ore 15-16 S. Barbaziano 28 28 La Nostra Comunità - dicembre 2012