La nostra
COMUNITÀ
N. 4 - Anno 5 - dicembre 2012 - Autorizzazione del Tribunale di Lodi: n. 244 del 4/02/1994
La Nostra Comunità - dicembre 2012
1
In silenzio.
“Mentre il silenzio fasciava la terra
e la notte era a metà del suo corso
Tu sei disceso, o Verbo di Dio,
in solitudine e più alto silenzio”.
In questi versi di Padre David Maria Turoldo per il Natale, sembra che
il silenzio sia l’unica, vera, necessaria parola in questo giorno.
Che contrasto con quello che ne abbiamo fatto noi! Preoccupati di
chiacchere, non troviamo la buona notizia.
Sazi di maschere, non vediamo più il volto.
Produttori di rumori, non gustiamo l’armonia.
Il silenzio ci purifica perché svuota la mente
dai pensieri sporchi di orgoglio, di violenza, di
sensualità.
Il silenzio ci fa attenti perché porta lo sguardo
sulle cose, così come sono.
Il silenzio ci fa uditori perché fa ascoltare la
vita.
A Natale c’è la Parola eterna del Padre che non
parla: è bambino, piange, mangia, dorme.
A Natale c’è il massimo dell’insignificanza:
un bambino, delle fasce, una mangiatoia di
animali.
A Natale c’è la marginalità e l’esclusione: non c’era posto per loro tra
gli altri uomini.
“Dio ha scelto ciò che è stoltezza del mondo per confondere i sapienti.
Dio ha scelto ciò che è debolezza del mondo per confondere i forti.
Dio ha scelto ciò che è ignobile nel mondo e ciò che è disprezzato
e ciò che è nulla per annientare le cose che sono” (1 Cor 1,27-28).
Perché la nostra fede in lui sia solo per amore, mai per imposizione.
Perché davanti all’uomo si liberi dal nostro cuore solo una risposta
d’amore, mai per dovere.
“Homo viator. L’uomo è un pellegrino; malato d’infinito, incamminato
verso l’eternità. La personalità è sempre in marcia, perché essa
è un valore trascendente: la sua forma perfetta non si raggiunge
che nell’altra vita, piena e indefettibile. Purché l’uomo non si lasci
stancare della lotta, purché si opponga alla sclerosi progressiva o
causata dagli anni e dalle delusioni della vita, purché dia ogni giorno
un tratto alla costruzione del suo capolavoro. In vista dell’eternità”
(d. Carlo Gnocchi, Restaurazione della persona umana).
Troveremo il Dio Bambino nel nostro natale?
Don Davide
2
2
La Nostra Comunità - dicembre 2012
La vita nuova
Steso sulla barella nell’ascensore dell’ospedale S. Giuseppe di
Milano, uno dei due infermieri dice all’altro: ”Se el ga quest chi?”.
Alla risposta: ”Le bele dalà!”, con un filo di voce, risponde: ”To surela
le da là”. Questo è Roberto Parietti. Anche sulla sponda che separa
la vita dalla morte, sa aggrapparsi all’ultimo tenue filo che lo tiene
vivo. E sa sorridere. Mi concede una mattinata, dove, di ricordo in
ricordo, ripercorre, con nostalgia e fierezza, la sua storia.
Classe 1930, a 10 anni fa già il garzone in un panificio del suo Paese,
Pont’Olio, Brescia. Era il terzo di 7 fratelli. A 18 anni, con la sua
lambretta, gira di negozio in negozio, come rappresentante di dolci
per una ditta bergamasca. Chiamato alle armi, passa il lavoro ai
fratelli e chiude in soffitta la sua lambretta. Al ritorno non trova più
né quello né questa. Il servizio militare a Messina, dove è arruolato
come conducente scelto nel quartiere generale della divisione Aosta,
gli apre strade allettanti nel mondo militare: per tre volte rifiuta il
grado di caporale, perché il suo cuore e la sua mente sono a casa.
Vuole tornare a casa. E qui, con la sua patente di guida e l’esperienza
maturata nei 18 mesi siciliani, trova un posto come camionista. Ma vi
rinuncia subito dopo pochi giorni: lui non è fatto per essere secondo
a nessuno, vuole il posto di primo camionista. Torna a casa, ma…
dimentica alla ferriera la sua tuta di lavoro. Dopo due giorni, un suo
collega gliela porta avvolta in un foglio di giornale. E’ la sua fortuna.
Sua mamma, scartando il giornale, vi trova un annuncio: ”Cercasi
famiglia numerosa per panificazione”. Subito chiama Roberto: ”Cosa
ne dici’? Ho qui 500 lire: sono sufficienti per il biglietto andata
e ritorno a Milano. Va a vedere”. Racconta Roberto: “Fui subito
interessato. Decisi di fare solo il biglietto di andata: destinazione
Milano, via Sirtori, grissinificio “Gastaldino”. Mi spiegarono di che
cosa si trattava, quello che si poteva guadagnare, qual era l’affitto.
Mi resi subito conto che nei conti che mi presentarono non tutto
era chiaro. Ma la cosa mi interessava e conclusi l’affare. Uscito dal
colloquio, vidi davanti a me un panificio e una salumeria: con il resto
delle cinquecento lire, prendo 5 michette e con gli ultimi spiccioli
mi presento al salumiere che me le riempie con i ‘fondi’ di salame.
Non ho più un soldo in tasca. E per tornare a casa? In stazione
centrale salgo ugualmente in treno: qualche santo aiuterà. Tutto ok
fino a Romano Lombardo. Ma, al primo apparire del controllore, mi
chiudo nel bagno. Ma vengo ‘disturbato’. Prontamente rispondo con
tremendo ”Occupato” che deve aver spaventato il guastafeste che…è
La Nostra Comunità - dicembre 2012
3
sparito. Arrivato a casa, decido con i miei familiari di accettare la
proposta di lavoro e, dopo 4 giorni, parto con 3 fratelli e una sorella:
inizia così l’avventura più bella della mia vita”.
A Milano, veniamo accolti dal cav. Gastaldi e sistemati in un unico
stanzone sopra il forno: per 6 mesi ci butteremo a capofitto nel
lavoro (fino a 16 ore al giorno) e mangiando pane (ce n’era a
volontà) e tonno, il vino non mancava. “Lavoravamo sodo in 5 e
l’attività andava a gonfie vele: riuscivamo a pagare il nostro affitto
e a mettere in banca un milione
di lire al mese! Nostro padre non
ci credeva: dopo sei mesi, solo
davanti al libretto della banca si
convinse della fortuna che ci era
capitata. Continuò così per 15 anni.
Nel frattempo iniziava anche una
attività in Portogallo: a Lisbona
andai ad aprire un panificio ed un
grissinificio, mentre mio fratello si
stabilì a Oporto con una pasticceria
e un panificio. In Portogallo,
incontrai anche la fortuna più
grande della mia vita, mia moglie
Meri, che con me ha condiviso
tutto. Intanto a Milano erano
attivi 4 grissinifici. Quando, però,
Roberto e Meri in un momento di vacanza
qui si crearono dei problemi, convinsi
il cav. Gastaldi a vendermi l’attività: fu un’impresa faticosissima.
Per tre giorni e tre notti, a Torino dove abitava, ci furono trattative
estenuanti. Finalmente trovammo l’accordo: 400.000 lire al mese
per 10 anni. Vendemmo a Milano e ci trasferimmo a Mombretto
di Mediglia: lì, abbiamo costruito il nostro nuovo centro operativo,
grissinificio, forni, fabbrica. In Portogallo, nelle colonie e nelle isole,
continuava la mia attività anche come rappresentante della ditta di
forni “Luigi Alisetti” di Peschiera Borromeo.
Negli anni ’70, fui costretto a ritornare in Italia per riprendere in mano
l’attività che cominciava a sentire troppe fatiche e a correre molti rischi:
dovetti mettermi all’ufficio vendite e a ricreare un’organizzazione
moderna e competitiva. Dopo pochi anni, i forni erano passati dallo
sfornare 30 Kg a 300 Kg all’ora: diventammo concorrenti della San
Carlo che si interessò ai nostri impianti e alla nostra produzione.
4
4
La Nostra Comunità - dicembre 2012
Erano gli anni ’80 e cominciò, così, una collaborazione con questa
grande catena alimentare fino alla cessione di tutta la nostra attività.
Per me si apriva un’altra fase della mia vita: l’apertura a Milano di un
supermercato all’ingrosso e al minuto”.
Come andò questa nuova attività?
“Nel 1991 fui colpito da un ictus con ischemia e paralisi. Fui costretto
ad abbandonare tutto. Iniziò così il mio calvario per ospedali: per
un anno intero al San Giuseppe di Milano; poi, al San Raffaele, al
Fatebenefratelli, a Vizzolo. Per la mia vita è stata una rivoluzione.
Anche per mia moglie, tutto è cambiato. Lei è diventata il mio angelo
custode. Grazie a lei sono qui e posso godere di una certa autonomia.”
Per lei, Meri, che cosa ha comportato la malattia di suo marito?
“Questa situazione che si è creata ha capovolto tutta la mia vita.
Lasciando il Portogallo per l’Italia, ho compiuto un grande sacrificio
che però era sostenuto dall’amore per lui e per i miei figli. Ora, la mia
vita dipende tutta da lui: come prima per l’attività lavorativa e per
la famiglia, anche ora io cerco di dedicarmi a lui. Giorno per giorno,
perché non so mai come si evolve la malattia, affronto le varie difficoltà
e situazioni che si presentano: corro
dai medici, controllo le sue terapie,
mi occupo degli esami, preparo da
mangiare in modo che, nonostante
le sue difficoltà di deglutizione, abbia
una giusta e completa alimentazione.
Cerco di mettere sempre lui al primo
posto, dopo la mia persona con le
mie esigenze, con il timore e la paura
di nuove crisi.”
Roberto, dal ’91 a oggi sono ben 21
anni! Come affronta le sue giornate?
“Le mie giornate qui a casa passano
fra le fisioterapia del mattino, il lavoro
di scrittura dei ricordi con la mia
Olivetti Lettera 22, dedico alcune ore
alla lettura del Corriere della Sera;
mi interessa la vicenda politica,
l’economia, il mondo del lavoro; mi
piace sentire la televisione anche
quella portoghese; ascolto la radio”.
Roberto, non ci sono momenti di
Roberto Parietti riceve a Roma il premio “Ercole”
La Nostra Comunità - dicembre 2012
5
stanchezza o di ribellione?
“Sono soddisfatto di tutto quello che ho fatto nella mia vita: con i
sacrifici e il tanto lavoro, ho avuto grandi soddisfazioni e riconoscimenti.
Pensi che nel 1965, a Roma, all’Eur, abbiamo ricevuto dal presidente
Andreotti il premio “Ercole” per la produzione. Ringrazio il buon Dio
che mi ha permesso di fare tutto questo e di raggiungere, qualche
giorno fa, 82 anni. Più che ribellione, a volte sono stanco. Mi ha
aiutato e mi aiuta moltissimo la fede in Dio e credo tanto alla presenza
della Madonna nella mia vita. Sono convinto che se sono qui, lo devo
a Lei. Ricordo benissimo, e mia moglie può confermare tutto questo,
che, mentre ero all’ospedale San Giuseppe, e ormai tutto sembrava
deciso e non si intravedeva alcuna possibilità di ripresa, per tre
volte ho visto entrare nella mia camera la Madonna di Fatima. Mia
moglie, che era nella chiesa dell’ospedale e, disperata, gridava e se
la prendeva con la Madonna, spaventando anche le suorine presenti,
tornata in camera mi trovò seduto sul letto. La crisi era superata,
con l’incredulità generale dei medici”.
C’è una parola e un messaggio che vorreste lasciare a chi deve
affrontare situazione così drammatiche?
Meri: “Ai familiari dico che per un malato è importante sapere che può
contare sulla loro presenza e che non sono abbandonati. E’ la prima,
necessaria, fondamentale terapia. Le altre medicine funzionano se
c’è questa. Questo comporta sacrificio e cambiamento di tutta la
vita. Ma quando tutto è fatto con il cuore e per amore, allora si
diventa fortissimi, non si ha paura di niente, e si diventa capaci di
cose impensabili. Si trova in noi una forza nuova, mai conosciuta”.
Roberto:”Mi sento di dire a un malato di non disperare mai, ma di
ritornare con la mente e il cuore alle belle imprese fatte nella vita,
alle persone incontrate, per trovare che vale la pena affrontare tutto,
anche i giorni tristi. La nostra vita è stata importante e ha portato
qualcosa di bello anche per chi viene dopo di noi”.
Grazie a Roberto e a Meri per averci aperto il loro cuore e aver
sfogliato con noi l’album dei loro ricordi: quanta saggezza!
Auguri infiniti!
Don Davide
6
6
Periodico trimestrale: anno V n. 4 “La Nostra Comunità”
Editore: Parrocchia di Tribiano
Direttore Responsabile: Don Davide Chioda
Stampa presso: tipografia Sollicitudo Lodi
Numero autorizzazione del Tribunale di Lodi: n. 244 del 4/02/1994
Redazione: Alice Andreoli, Federica Basile, Silvia Bontempi, Don Davide Chioda, Barbara Ghirlanda,
Giuliano Goi, Sergio Martini.
Hanno collaborato a questo numero: Roberto e Mery Parietti, Francesca Gandini
Si ringraziano tutti coloro che hanno partecipato rilasciando interviste o fornendo materiale fotografico
Le foto di copertina e di sfondo sono di Sergio Martini
La Nostra Comunità - dicembre 2012
La fede e la forza delle diverse abilità.
Nello scorso numero del giornalino abbiamo anticipato che le quattro
edizioni del nuovo anno pastorale avrebbero avuto come dominante
il tema della Fede, suggerito dal Papa. Lo abbiamo declinato in
altrettanti sottotitoli: “la fede e il dialogo” trattato nello scorso
numero, “la fede e la forza delle diverse abilità” che affrontiamo in
questa edizione, “la fede e la bellezza del creato nell’arte” e “la fede
e l’ambiente che ci circonda”.
Nel pensare come sviluppare il tema attuale mi è subito venuto
in mente un personaggio straordinario che ho avuto il piacere di
conoscere e la cui storia qui di seguito vi presento.
5 dicembre 1993: Alessio Tavecchio, giovane studente benestante di
Monza, è vittima di un incidente motociclistico. A causa di una buca
per lavori in corso non segnalati finisce a terra entrando in coma.
La diagnosi dei medici non lascia speranze: paraplegia. Alessio sarà
costretto sulla sedia a rotelle per tutta la vita. Improvvisamente
tutto cambia. Un giovane ventitreenne con tanti sogni e alla ricerca
della autentica pienezza di vita viene proiettato in un mondo nuovo.
Un mondo fatto di medici, interventi chirurgici e riabilitazione che
lo obbliga a ripensare la propria vita quotidiana e il rapporto con gli
altri.
In un suo libro - “Con una marcia in più”
ed. Paoline, prefazione di Valentino Rossi
– scrive: “Mentre il mio corpo giaceva
in stato di coma a causa dell’incidente
motociclistico, la mia coscienza ha
effettuato un “viaggio” in compagnia di
“un angelo” di nome Mara, che mi ha
guidato oltre i confini del razionale, in
luoghi fuori dal tempo e in avventure
sconosciute. Quest’esperienza mi ha
rivelato il mistero della vita spingendomi,
mio malgrado, a varcare quella soglia
che chiamiamo morte, ma che in verità
si è rivelata come un passaggio della
coscienza ad un livello diverso da quello
conosciuto nella dimensione fisica. La
vita continua perché la morte deve
La Nostra Comunità - dicembre 2012
7
intendersi come abbandono del corpo fisico per indossare un nuovo
corpo di luce. Mara mi disse chiaramente che la FEDE sarebbe stata
la mia unica possibilità di rinascita. La FEDE è luce che fa risorgere
e che va conquistata, che va presa e ripresa finché forte e salda
come una roccia radicata in noi permette ad ognuno di raggiungere
lo scopo e il compito prefissato…”
Alessio trova la forza di fare una scelta: una scelta forte. Questa
nuova condizione vuole viverla attivamente, da protagonista, deve
essere una rinascita, non una condanna da scontare. Con questo
spirito affronta la fase acuta (ospedaliera) e post-acuta (riabilitativa)
del suo percorso di disabile. Proprio questo spirito gli permette di
non rinchiudersi in casa davanti alla televisione tutto il giorno ma di
darsi allo sport, per sentirsi meglio, per stare con gli altri e vincere
una sfida con se stesso. Nel 1995, a soli due anni dall’incidente,
partecipa ai Campionati Europei di nuoto per disabili in Francia e nel
1996 alle Paralimpiadi di Atlanta.
Ad Alessio però manca ancora qualcosa, sente che deve utilizzare
l’opportunità che gli è stata data ancora più a fondo. In particolare,
memore di quel vuoto che lo aveva assalito nella fase riabilitativa
e, soprattutto, al suo rientro a casa, Alessio capisce che deve
trovare il modo per trasmettere la sua esperienza di rinascita a quei
circa 6 milioni di disabili che ci sono in Italia. L’intuizione è quella
di costruire un Centro che possa garantire tutto quello di cui lui
stesso, in prima persona, avrebbe avuto bisogno dopo l’incidente ma
che nessuna struttura è stata in grado di offrirgli. Un centro che si
sarebbe inserito tra la fase ospedaliera/riabilitativa e il reinserimento
fisico, mentale e sociale, colmando quello stato di abbandono in cui
si vengono a trovare improvvisamente il disabile e la sua famiglia.
Nasce così il progetto di Open Village Monza, centro polifunzionale
di riabilitazione, formazione e sport per persone con disabilità ma
aperto a tutti e impegnata in diversi progetti sul territorio: corsi di
formazione per disabili, un servizio trasporti per disabili con nove
automezzi guidati da autisti volontari, un gruppo di solidarietà e
di sostegno psicologico e il Progetto Vita dedicato alla prevenzione
stradale nelle scuole d’Italia.
Non è questa l’unica storia di disabilità, ce ne sono tante altre;
le Paralimpiadi del settembre scorso ci hanno riproposto storie di
persone che, della loro disabilità, sono riuscite a fare un punto di
forza. Purtroppo però non tutti quelli toccati dalla disabilità hanno
8
8
La Nostra Comunità - dicembre 2012
il coraggio, l’energia, la motivazione di “rialzarsi”. Allora diventa
prorompente un dubbio: c’è forse anche il silenzio di Dio in tutte
queste tragedie? Un Dio che “sembra essersi rinchiuso nel suo cielo,
quasi disgustato dall’agire dell’umanità”, com’è scritto in un testo
del profeta Geremia. La risposta al dubbio potrebbe arrivare dalla
commovente invocazione rivolta all’Eterno da Kierkegaard: “….. tu
parli anche quando taci. … Tu taci per amore e per amore parli. Così
è nel silenzio, così è nella parola. Tu sei sempre lo stesso Padre, lo
stesso cuore paterno e ci guidi con la tua voce e ci elevi con il tuo
silenzio”.
Ma perché tutto questo dolore che entra nella nostra umanità,
nelle nostre famiglie? Don Gnocchi, nel suo testo “La pedagogia
del dolore innocente”, afferma che tutto questo ha un profondo
valore pedagogico: “Nella misteriosa economia del cristianesimo, il
dolore degli innocenti è permesso perché siano manifeste le opere
di Dio e quelle degli uomini: l’amore e l’inesausto travaglio della
scienza, le opere multiformi della solidarietà, i prodigi della carità
soprannaturale”. Certo, più facile dirle queste cose che dovercisi
trovare a viverle; ma è proprio qui che subentra la fede con la
sua meravigliosa forza che ci fa accettare anche quello che non
comprendiamo e che non vorremmo ci capitasse.
Giuliano Goi
Come fare ad affrontare il destino avverso è difficile da dire, non
esiste una ricetta universale per imparare a misurarsi con le difficoltà
re le fatiche che la vita mette nel nostro cammino, mi piace però
pensare che ci sono grandi esempi di forza d’animo e di fede, alcuni
eclatanti e fortemente impattanti dal punto di vista mediatico e
altri silenziosi ma egualmente significativi perché ci dimostrano che
ognuno di noi può trovare dentro di sé la forza di reagire.
In quest’ottica ho scelto di portare, subito dopo l’articolo di Giuliano,
l’esempio di Alex Zanardi ma non quello delle paralimpiadi di Londra,
che hanno un meraviglioso riscontro dal punto di vista dei risultati
ottenuti, ma quello della maratona di Venezia perché mi ha davvero
scaldato il cuore.
Zanardi ha scelto di partecipare alla maratona insieme ad un suo
amico tetraplegico e con le bici “a mano” hanno iniziato il tragitto
verso la città lagunare; il tempo avverso, la bora violenta e il freddo
La Nostra Comunità - dicembre 2012
9
hanno messo a dura prova le già scarse forze di Eric Fornari che pur
allo stremo ha espresso con Alex il desiderio di arrivare fino in fondo;
Alex non si è perso d’animo e si è letteralmente caricato sulle spalle
l’amico e il suo mezzo di locomozione portando a termine la gara.
Lo stesso Zanardi che ha commentato così l’episodio: “E’ stata
un’avventura pazzesca. Eric ha iniziato a patire il freddo con degli
spasmi muscolari e non riusciva più a tenere la sua handbike che
piegava tutta a sinistra. A quel punto ho capito che era troppo
rischioso arrivare in queste condizioni a Venezia per cui ho deciso
di sganciare la ruota anteriore di Eric e agganciare il suo mezzo
al mio con una corda trovata per caso sul percorso, spuntata da
un bidone della spazzatura. Abbiamo smontato la ruota anteriore
della carrozzina di Eric, l’ho legato dietro a me e siamo ripartiti.
Sembravamo l’A-Team“.
La sua determinazione, la sua forza interiore e la capacità di portare
fino in fondo la promessa fatta ad un amico è la dimostrazione più
importante di ciò che può fare un uomo così.
Silvia Bontempi
10
10
La Nostra Comunità - dicembre 2012
L’ impatto della disabilità sulla famiglia
Qualsiasi nucleo familiare, nel corso della sua evoluzione, si trova
ad affrontare eventi e compiti che richiedono un più o meno vasto
processo di riorganizzazione.
Le famiglie differiscono tra loro per le modalità con cui fronteggiano
tali compiti evolutivi e anche il singolo nucleo, in questo percorso,
non rimane uguale a se stesso.
L’insorgere di un qualsiasi tipo di disabilità, rappresenta un evento
potenzialmente distruttivo per la maggior parte delle famiglie. Spiega
la psicologa e psicoterapeuta Francesca Gandini: “La disabilità è un
evento traumatico che crea uno squilibrio nel già complesso insieme
dei rapporti che si instaurano all’interno del nucleo famigliare”.
La famiglia deve quindi essere considerata come protagonista di un
processo di adattamento oltre che come vittima di una situazione
stressante e ciò è fondamentale per immetterla a pieno titolo nel
processo terapeutico, per considerare l’aspetto delle risorse attivabili
anziché quello dell’handicap. “L’impatto, dice ancora Gandini,
risulta meno grave per le famiglie
stabili, mentre può portare alla
frantumazione di quelle create
da poco o non sufficientemente
strutturate. In particolare, se
si tratta del figlio piccolo di una
famiglia giovane, l’investimento
a lungo termine dei genitori del
bimbo è maggiore e questo rende
più traumatica la differenza tra idee
e prospettive sul piccolo e la realtà
di un handicap. Per le famiglie con
genitori più ‘collaudati’ e figli più
grandi interviene la stabilità data da
un rapporto di lunga durata”.
Da una ricerca italiana del 2002, su un campione di 91 famiglie con
almeno un figlio disabile, è emerso che circa il 25% delle persone
intervistate riporta elementi di insoddisfazione rispetto al momento
della diagnosi, spesso perché le spiegazioni sono state insufficienti
o addirittura assenti. Non mancano anche denunce di incompetenza
e di durezza dei medici o degli operatori. Questi fattori, indicativi di
modalità di comunicare la diagnosi vissute come poco partecipative,
potrebbero aggravare anziché mediare l’intensità negativa
dell’impatto.
La Nostra Comunità - dicembre 2012
11
Tale impatto, naturalmente, varia a seconda della gravità e della
tipologia della menomazione, oltre che in relazione alla situazione
personale, familiare e sociale dei genitori.
È ormai riconosciuto che le modalità di comunicazione delle diagnosi
abbiano un ruolo determinante nell’accettazione dell’handicap da
parte dei genitori e nel condizionare, in senso positivo o negativo,
il rapporto affettivo con il figlio. Sembra invece che nella maggior
parte dei casi, la comunicazione avvenga in maniera inappropriata e
non supportata da corrette informazioni sulla natura dell’handicap.
In seguito alla diagnosi i genitori generalmente passano da una fase
di shock, ad una di incredulità e di elaborazione del problema; solo
successivamente potranno iniziare a costruire un rapporto reale con
il proprio figlio. Quindi, prima di giungere alla fase dell’adattamento,
i genitori attraversano lo shock e spesso, l’instaurarsi di reazioni
difensive. “Le fasi attraverso le quali si arriva all’accettazione della
disabilità, sottolinea Gandini, sono simili a quelle dell’elaborazione
del lutto, dall’incapacitazione alla rabbia. Ma se questi sentimenti
permangono e restano vivi per un tempo troppo lungo è necessario
un supporto psicologico per stabilire una modalità di confronto con il
problema, che permane nella realtà”.
La diagnosi può provocare nei genitori un forte trauma, legato alla
differenza tra il figlio “ideale” che hanno costruito come oggetto
d’amore e il figlio “imperfetto” che la realtà presenta loro.
Quest’ultimo può costituire una ferita narcisistica che mette in
discussione il loro valore di procreatori e, a volte, anche la validità
del loro rapporto di coppia.
L’intervallo che intercorre tra l’ipotesi e la conferma della diagnosi può
favorire la coltivazione della speranza che questa venga smentita. Si
tratta di un meccanismo difensivo che si instaura quando il problema
suscita un’angoscia estrema, che l’individuo è incapace di tollerare.
In alcuni casi si assiste ad una negazione totale del problema, con la
conseguente ricerca, a volte maniacale, di elementi che disconfermino
la diagnosi di handicap.
Questi atteggiamenti, se protratti nel tempo, sono molto negativi per
il figlio in quanto il genitore, completamente orientato alla ricerca
soluzioni che eliminino l’handicap, non si misura completamente
e concretamente con la realtà del figlio, non ne rileva i bisogni e
non si impegna a sufficienza nel trovare soluzioni che assicurino un
adeguato sviluppo del figlio.
La ricerca di ripetuti interventi specialistici, che spesso comportano
12
12
La Nostra Comunità - dicembre 2012
notevoli oneri finanziari e disagi, potrebbe essere legata ad un’altra
funzione, quella di soddisfare a livello profondo, un bisogno di
riparazione per il danno di cui i genitori si sentono inconsciamente
responsabili.
Nel caso in cui i genitori si sentano responsabili, si colpevolizzano e ciò
rischia di provocare ansia e sfociare addirittura in depressione, con
le inevitabili conseguenze sullo sviluppo del figlio. È anche possibile
che i genitori rifiutino il figlio, lo trascurino, o non si preoccupino del
deficit.
Altra possibile reazione è l’iperprotezione: la madre vive e fa vivere
il figlio in un’atmosfera di continuo timore che sfocia in isolamento,
poiché vengono evitati i contatti con i coetanei nel timore che gli
facciano male, non viene data al figlio l’opportunità di esplorare
oggetti, di provare nuove esperienze, di sviluppare l’autonomia in
aree quali il nutrimento, l’igiene personale, la scoperta dell’ambiente.
Tale atteggiamento deve essere necessariamente ridimensionato
per evitare che il figlio col crescere dell’età, provi un senso di rigetto,
di rifiuto, che lo porterebbe a rinchiudersi sempre più in sé stesso,
accentuando maggiormente le sue limitazioni. Viceversa, potrebbe
instaurarsi una tacita complicità tra genitori e figlio: il figlio potrebbe
facilmente “adagiarsi” alla situazione di iperprotezione e ciò potrebbe
creare una eccessiva dipendenza e una riluttanza da parte del figlio
ad abbandonare la posizione di
passività.
Infine, spesso il genitore lotta
con la paura o la certezza che il
figlio non cresca come dovrebbe.
Ciò lo può portare a spingere e
sollecitare il figlio prima che sia
pronto, ad esagerare il confronto
con gli altri, a non tener conto delle
caratteristiche e dei ritmi personali,
a sottolineare troppo le mancanze,
i ritardi, anziché le conquiste,
le acquisizioni, le capacità. “Dal
trauma
della
disabilità
deve
derivare
necessariamente
un
cambiamento di ogni componente
del nucleo famigliare e della famiglia come gruppo. Farsi aiutare
è il primo passo sul percorso che porta all’accettazione di quanto
accaduto”.
Barbara Ghirlanda
La Nostra Comunità - dicembre 2012
13
Rain Man
Charlie Babbit (Tom Cruise) è un giovane commerciante di auto
sportive in procinto di chiudere un affare importante. Per festeggiare
decide di partire con la ragazza, Susanna (Valeria Golino), ma
l’improvvisa morte del padre, che non sentiva da anni, lo costringerà
a cambiare programma.
Dalla lettura del testamento Charlie
scopre di non aver ereditato quasi nulla,
mentre tre milioni di dollari vengono
lasciati al fratello Raymond (Dustin
Hoffman), rinchiuso in un ospedale
psichiatrico perché affetto da autismo;
un fratello di cui Charlie non conosceva
nemmeno l’esistenza.
E pur di non perdere una parte
dei soldi, spinto da nuovi problemi
finanziari, Charlie decide di portare
con sé Raymond pensando di poterne
ottenere l’affidamento.
Ma il viaggio, più lungo e complicato del
previsto, costringerà Charlie a entrare
in contatto con la drammatica realtà
del fratello.
Con la sua interpretazione Dustin
Hoffman evidenzia validamente le
impuntature, la meccanicità dei gesti
e degli scarti, l’incerto procedere
nel camminare, comportamenti tutti
caratteristici di un autistico.
Il film di Levinson, naturalmente, è ben realizzato, in grado
di comunicare qualcosa e soprattutto affidato alla superba
interpretazione di Dustin Hoffman e Tom Cruise non sfigura. Valeria
Golino, invece, passava per caso.
Divertente, commovente, efficacissimo, ben in equilibrio fra
commedia e dramma, è un film interessante che pone l’accento sulla
realtà complessa e drammatica di chi vive in un mondo a parte e
non è in grado di comunicare con l’esterno o comprendere le proprie
emozioni. La straordinaria interpretazione di Dustin Hoffman fa
emergere tutte le difficoltà di chi è “condannato” a vivere isolato
all’interno della società: dall’incapacità di sopportare i rumori acuti
al fastidio di essere toccato; dall’incapacità di prendere decisioni alla
rigida e sistematica scansione delle attività giornaliere; dall’incapacità
14
14
La Nostra Comunità - dicembre 2012
di comunicare correttamente alle fobie improvvise (come la paura di
volare o semplicemente di prendere l’autostrada). Il personaggio di
Tom Cruise permette allo spettatore di immedesimarsi nei panni di
chi vive a contatto con una persona autistica ed è assolutamente
incapace di penetrare la barriera dell’altro, di comprendere certi
comportamenti e stabilire una qualsiasi forma di relazione.
Una condizione frustrante che, purtroppo, tante persone sono
costrette ad affrontare ogni giorno. Eppure, nonostante le mille
difficoltà, il regista non è pessimista fino in fondo e alla fine ci dice
che esiste comunque una possibilità di andare oltre il muro e legarsi
all’altro.
S.B.
Nati due volte
C’è chi, sfortunato quando nasce, può però avere una seconda
occasione di nascita. Se la prima è spesso legata al caso e
assolutamente imprevedibile, la seconda dipende interamente dalla
famiglia e dalla realtà che circonda il disabile.
Questa è la tematica centrale del romanzo di Giuseppe Pontiggia che
diventa momento di riflessione e di analisi del proprio rapporto con
questo universo così vicino e così distante nello stesso tempo.
L’esperienza personale dello scrittore,
il cui figlio è disabile, ha sicuramente
arricchito il libro, non tanto perché vi
siano trasferiti elementi autobiografici,
quanto per la capacità di penetrazione
nella psicologia del protagonista, padre
del ragazzo malato, e per la conoscenza
di tutti gli ostacoli e le difficoltà,
soggettivi e oggettivi, che una famiglia
in questa situazione trova davanti a sé.
Il momento della nascita si trasforma
di minuto in minuto da gioia a incubo.
La tragedia che piomba su questo
nucleo familiare, già piuttosto in crisi
è dovuto in parte alla leggerezza
dei medici, alla superficialità e alla
mancata professionalità del personale
ospedaliero; risultato di fatto è che il
giovane genitore si ritrova al centro di
un uragano di sentimenti fortemente
compenetrato da un profondo senso
di colpa: durante la gravidanza della
La Nostra Comunità - dicembre 2012
15
moglie ha avuto un rapporto extraconiugale che forse l’ha distratto,
il travaglio stesso che ha preceduto il difficile parto non l’ha visto
attento e attivo in modo da arginare la spavalda leggerezza del
ginecologo. Così quando sarà chiaro che il bambino sarà portatore di
un grave handicap, il padre dedicherà a questa creatura in difficoltà
tutte le sue energie morali e intellettuali.
Anche i vari specialisti a cui i genitori di Paolo, è questo il nome
del bambino, si rivolgono daranno spesso risposte contraddittorie,
e solo uno, tra i tanti, mostrerà umanità nel rapporto e sincerità
nella diagnosi, così da non illudere, ma neppure deprimere chi ha la
possibilità di far “nascere una seconda volta” il proprio figlio.
Questo vale in modo particolare per chi, pur gravemente disabile nel
corpo, ha però un normale (riesce difficile usare questo termine che
appare talvolta insensato) quoziente intellettivo. E ogni atto, ogni
gesto di autonomia sarà una conquista del bambino e dei suoi genitori,
ogni momento di felicità un traguardo raggiunto, ogni contatto col
mondo una battaglia vinta. Particolarmente difficile è l’inserimento
nel mondo “normale” di chi ha difficoltà: drammaticamente
complesso è il capitolo dedicato all’ingresso nella scuola elementare,
regolamentato dalla legge, ma spesso disatteso nei fatti.
Giorno dopo giorno, barriera dopo barriera da superare, il ragazzo
arriva alle superiori e, nel romanzo, diventa sempre più il vero
protagonista. Ha difficoltà a parlare, così riesce a sintetizzare in poche
battute, spesso taglienti, il proprio pensiero. Ha piena consapevolezza
della propria situazione, non autocommiserazione, ma l’amara
sensazione di essere spesso solo, se non deriso, e di avere comunque
come interlocutore privilegiato il padre. Anche i coetanei possono
essere crudeli, se lo stesso fratello, di pochi anni maggiore, nutre
nei suoi confronti una umana gelosia, in quanto oggetto privilegiato
d’amore dell’intera famiglia. Paolo non si scoraggia e conquista un
ruolo, ottiene rispetto, ha il coraggio di esporsi e, non negando né
a sé né agli altri la propria diversità, di vivere una vita sociale. E’
più saggio del padre che arriva alla piena accettazione della realtà
solo dopo anni di tormento. Il romanzo riesce a non essere sempre
drammatico, spesso è ricco di ironia, quasi divertente: questo è il
grande merito dell’autore che, pur trattando un tema così toccante,
non cade mai nella commiserazione, prevale invece il tono duro, il
dolore chiuso, la rabbia impotente, mai separata però dalla volontà
di superare, per quanto è possibile, gli ostacoli, soprattutto quelli
che la società frappone tra il critico punto di partenza e gli obiettivi
S.B.
possibili da raggiungere.
16
16
La Nostra Comunità - dicembre 2012
MI RICORDO
RICORDI, SENTIMENTI E FEDE
Oggi è una giornata particolare, sento il richiamo di Castelmonte.
Sono comodamente seduto in auto, l’aria è resa gradevole dal
condizionatore e seguo lentamente le curve ad esse della strada
un po’ capricciosa che porta al Santuario. Ho lasciato l’allegria degli
amici ed i giochi dei miei nipotini per dare spazio ai ricordi d’infanzia.
Sono stato fortunato, ho avuto genitori con la G maiuscola e, quando
i ricordi prendono il sopravvento, io mi risento ragazzino fra loro.
Papà era un friulano emigrante e all’antica, mamma era trentina,
emigrante pure lei. Persone solide e severe, i loro principi mi sono
sempre stati utili e mi hanno fatto crescere in fretta. Papà mi
insegnava più a fatti che a parole, mi diceva quanto fosse importante
per la famiglia, portare a casa sempre qualcosa, anche piccola, al
rientro. Io cercavo d’imitarlo, perché mi rendeva felice fare ciò che
lui faceva.
Quando ritornavo dalle passeggiate nei boschi, avevo sempre sulla
spalla la mia bella fascina di legna. Papà era fiero del mio operato, la
mamma un po’ meno, perché sia la camicia che i pantaloni portavano
abbondantemente le tracce di terra e anche qualche strappo qua e
la.
Una volta all’anno la parrocchia organizzava il pellegrinaggio al
Santuario, dove ora mi sto recando, ed anche noi vi partecipavamo.
La partenza avveniva al mattino molto presto e la prima parte del
viaggio era a bordo di un carro agricolo. Questo era trainato da due
cavalli, ma non era un carro con le ruote rigide di legno e ferro,
bensì quelle gommate, questo era molto apprezzato perché evitava i
duri sobbalzi. La mamma stendeva, sullo spazio dove noi dovevamo
sedere, una coperta, quella usata per stirare.
Restava solo l’inconveniente dell’inclinazione della strada, cosi
ogni tanto ci trovavamo pendenti un po’ verso destra od un po’
verso sinistra, col rischio di essere sbalzati giù. La seconda parte
del cammino, un sentiero in salita, tutti in fila, da buoni Cristiani,
camminando e recitando preghiere. Da ragazzi la concentrazione si
mantiene pochino, basta un niente per distrarsi. Vedevo ai margini
della strada molti arbusti secchi, bastoni lasciati da altri che ci
La Nostra Comunità - dicembre 2012
17
avevano preceduto, resistetti a raccoglierli per un po’, anche perché
una delle mie mani era ben stretta in quella di mia mamma. Al primo
rallentamento della stretta rimasi un po’ indietro ed in meno che non
si dica la mia fasci netta era fatta. Orgoglioso, la trascinavo accanto
a me.
L’occhio vigile della mamma mi rintracciò subito e quelle mani
operose e mai ferme più di una volta colpirono in modo molto deciso
il mio lato B.
La camminata continuava lentamente fino alla sommità della collina,
dove ora sono giunto; parcheggio e piano piano mi avvicino alla
chiesetta: all’interno poche persone come sempre, ma il mio cuore è
colmo e grato di ricordi e di commozione.
Anna
18
18
La Nostra Comunità - dicembre 2012
VITA DELLA COMUNITA’
ASPETTANDO LA LUCE
Dicembre avanza a larghi passi portando con sé giornate via via
più corte e buie. E in me, che amo incondizionatamente la luce, fa
capolino un sottile velo di malinconia. Ma non intendo lasciarmene
sopraffare così, ben imbacuccata e armata dei miei fedeli attrezzi,
appena posso esco in giardino, nell’aria chiara e frizzante del mattino.
Una sferzata di energia sulla pelle e riemerge la voglia di portare a
termine gli ultimi lavori prima della lunga pausa invernale.
Ricovero il limone che fa penzolare sonnacchioso i pochi succosi frutti
rimasti, copro con uno strato di tessuto non tessuto il cespuglio di
Anthemis, margheritine rosa che si sono instancabilmente schiuse
per tutta la bella stagione e appendo ai rami del caco alcune palle di
grasso tanto gradite alla cinciallegre. Una spolverata di cornunghia
ristoratrice sulle erbacee esaurite dalle ininterrotte fioriture, una
generosa manciata di cenere del camino alla base di rose ed ellebori
e il lavoro è quasi concluso. Manca solo uno spesso trapuntino di
foglie secche ai piedi dei miei freddolosi agapanti: il gelo come al
solito ne lesserà le lunghe foglie slanciate ma, così protetti, non ne
moriranno e saranno pronti a rivegetare a primavera. Ecco, tutto è
concluso. Posso rintanarmi in casa.
Poi, d’improvviso, una mattina... un paesaggio da fiaba. Dalla
finestra il giardino mi appare come un bosco incantato, immobile
nel suo candore, bloccato da infiniti cristalli di gelo. E’ la prima
brinata: lo stupore è quasi infantile,
la suggestione sempre forte.
Da dietro i vetri lo sguardo corre alle
trine preziose della rosa Ballerina.
Cespuglio tondeggiante e aggraziato
con minutissime bacche rosso fuoco
e sottili rametti spinosi che sembrano
imbiancati uno a uno, pazientemente,
da mano gentile e delicata. Lì accanto
emergono i ciuffi scompigliati dei
Pennisetum, graminacee leggere
le cui spighe appaiono gonfie e
consistenti sotto il peso del ghiaccio. Sì, amo davvero questo
gruppo di piante, anche e soprattutto d’inverno quando, secche e
color terracotta, con i loro pennacchi slanciati animano l’immobile
stagione del freddo. E mi fanno tenerezza anche i Carex, graminacee di dimensione
La Nostra Comunità - dicembre 2012
19
VITA DELLA COMUNITA’
più contenuta, formati da
innumerevoli esili fili color
ruggine che, per effetto
della brina, si piegano
simulando vivaci fontanelle
senz’acqua.
In mezzo al prato, a far
corona all’albizzia, l’occhio
si posa sulle bergenie,
piante antiche, coriacee,
forti, che la nonna coltivava
in alti vasoni di cemento. Le
loro foglie rossicce sono completamente prostrate, quasi appiattite al
terreno, simili a larghe orecchie abbassate in segno di sottomissione
al gelo.
Anche i fiori bianchi dell’elleboro niger – ricordate? la “rosa di
Natale” – quest’anno schiusi anzitempo, sono curvi sino a terra.
Mi fanno un po’ pena, ma sono più forti di quanto sembrino a una
prima superficiale occhiata. Basterà un timido pallido raggio di sole
a farsi largo tra la coltre di nebbia per allentare la morsa del gelo.
Allora, piano piano, le foglie delle bergenie riprenderanno vigore e
il capino degli ellebori si rialzerà, miracolosamente, fino a ergersi
dritto, quasi a proclamare: ce l’ho fatta!
Il silenzio e l’immobilità che permeano tutto
il giardino sono rotti solo dai voli radenti e
dal continuo zampettare dei pennuti. I merli,
soprattutto, avanzano a saltelli lunghi e veloci
sulle loro zampe sottili, becchettando qui e là.
Danno quasi l’impressione di sfiorare appena il
terreno muovendosi su una zampa sola o con
invisibili stampelle. Frugano instancabili tra le
foglie fradice e scure e – ahimè - le spargono a
pioggia anche sulla pavimentazione del vialetto.
Sono alla ricerca di bacche carnose o dei semi degli elianti e delle
echinacee caduti a terra. Per questo, d’autunno, non taglio queste
erbacee ormai appassite anche se, secche e scure, invogliano a
raderle al suolo. Uno stuolo di esserini affamati ne approfitterà fin
quasi a primavera.
Quando la brina si scioglie, anche la magia viene meno e il bianco
svanisce. Ma non tutto. In mezzo al bruno che riprende possesso
del giardino spiccano i boccioli chiari della Edgeworthia, una pianta
20
20
La Nostra Comunità - dicembre 2012
VITA DELLA COMUNITA’
dal nome impronunciabile, poco nota, ma coltivata anche in tempi
antichi. E’ un cespuglio a crescita lenta e dal portamento compatto;
già a dicembre, cadute le foglie, prepara dei curiosi pompon. Visti da
lontano, sembrano piccole perle iridescenti nella bruma mattutina
ma, a un esame più ravvicinato, svelano una miriade di piccole
infiorescenze tubulari.
A inizio primavera, quando si apriranno in un giallo delicato,
spanderanno all’intorno un profumo dolciastro. Delizioso!
Questi piccoli capolini sferici che brillano nel grigiore invernale mi
mettono allegria, regalandomi un prematuro ma gradito anticipo
di primavera. Pazienta solo un poco, sembrano sussurrare, poi il
Natale porterà la luce. E ancora una volta il miracolo della rinascita
sarà compiuto.
Lucilla Migliavacca
La Nostra Comunità - dicembre 2012
21
VITA DELLA COMUNITA’
Che bel sunà
Gh’e’ un rag de sul che te culpis
E prima che la luna la lusis
Te se indurmenti a l’umbra del campanin
Vegliad da le cicogne nel so nin
L’ha culpid tuti el to suris
Stampad perenne suta i cavei gris
L’ha culpid tuti la to parola buna
Sia cul seren sia cul ciel che truna
Ades da man a “fratello sole” e a “sorella luna”
Te ve vers el ciel cul to grup che suna
E te se presenti a le porte del paradis
Cun tabar, ciaramella e semper cul to suris
Gh’e’ un coro che te speta su la in sima
Te sunare’ sicurament puse’ che prima
E a la fin prima che i angeli i van a ca’
Te ghe disare’ cume a num “che bel suna’ “
gruppo zampognari“ i pastori erranti del ricordo antico” I Pedra che
si esibirà a Tribiano in questi giorni
22
22
La Nostra Comunità - dicembre 2012
1 dicembre 2012 , concerto della
Schola Cantorum Tribiano presso la
chiesa di San Michele Arcangelo e S.
Rita a Milano
chiesa di Tribiano, 27 maggio 2012, battesimo di
Simone Palumbo di Nicola e Mariapaola Diomede
chiesa di Tribiano 15 settembre 2012, battesimo di
Viola Maria Mariani di Domenico e Sara Orsini
La Nostra Comunità - dicembre 2012
23
VITA DELLA COMUNITA’
chiesa di Tribiano, 30 settembre 2012
battesimo di Lorenzo Foschini (sinistra) di
Fabio e Nadia Salerno e battesimo di Federico Barlassina (destra) di Davide e Simona
Ruitz e i fratelli
chiesa di Tribiano, 28 ottobre 2012
di Riccardo Di Lucca di Francesco e di
Pasqua Paola
chiesa di Tribiano, 1 novembre 2012
battesimo di Camilla De Ceglia di
Michele e Francesca Mulazzani
24
24
La Nostra Comunità - dicembre 2012
VITA DELLA COMUNITA’
chiesa di San Barbaziano, 25 giugno 2012 ,
matrimonio di Federica Ferri e Riccardo Goglio
chiesa di S. Barbaziano, 01 settembre 2012
matrimonio di Stefan Martin e Lamberti
Roberta
La Nostra Comunità - dicembre 2012
25
VIVONO IN DIO
Rosa Smanio Meggiorin
9-10-1920
22-11-2012
26
26
Giuseppe Milani
25-9-1928
6-11-2012
Lomolino Giovanna Zorri
05-11-1946
02-10-2012.
La Nostra Comunità - dicembre 2012
E’ nato si dice
Natale! Natale! Natale!
Allora è arrivato Natale, Natale la festa di tutti,
si scorda chi è stato cattivo, si baciano i belli ed i brutti
si mandan gli auguri agli amici, scopriamo che c’è il panettone
bottiglie di vino moscato e c’è il premio di produzione.
Astro del ciel, pargol divin, mite agnello re…
Natale! Natale! Natale!
C’è l’angolo per il presepio e l’albero per i bambini
i magi, la stella cometa e tanti altri cosi divini
i preti tirati a parata la legge racconta che è onesta
le fabbriche vanno più piano, insomma è un giorno di festa.
Astro del ciel, pargol divin, mite agnello re…
Natale! Natale! Natale!
È festa persino in galera e dentro alle case di cura
soltanto che dopo la festa la vita ritornerà dura
ma oggi baciamo il nemico o quelli che passano accanto
o l’asino dentro la greppia Natale il giorno più santo.
Astro del ciel, pargol divin, mite agnello re…
Natale! Natale! Natale!
Pierangelo Bertoli
La redazione de “la nostra comunità”
augura a tutti
un sereno Natale
La Nostra Comunità - dicembre 2012
27
Programma natalizio.
Domenica 16 dicembre: inizio Novena del Natale.
le sante messe saranno allietate dalla presenza dal gruppo degli Zampognari “I Pedra” di
Miradolo Terme
dalle ore 9, in palestra comunale, mercatini di Natale
Domenica 23 dicembre:
i ragazzi della catechesi raccolgono i generi alimentari per la Caritas parrocchiale
all’esterno delle chiesa, e nei gazebi in piazza Diaz, via Pertini-Parri-via Tobagi
ore 15.00 in chiesa parrocchiale a Tribiano benedizione dei Bambinelli dei presepi e
scambio degli auguri. Consegna iscrizione al concorso presepi nelle case
Lunedì 24 dicembre:
ore 21.00 a S. Barbaziano S. Messa della notte
ore 23.00 chiesa parrocchiale di Tribiano S. Messa della notte
Martedì 25 dicembre Natale del Signore:
ore 9.30 a S. Barbaziano S. Messa solenne dell’aurora
ore 11.00 a Tribiano: S. Messa solenne del giorno
ore 17.15 a Tribiano secondi Vespri di Natale
ore 18.00 a Tribiano S. Messa solenne del giorno
lunedì 31 dicembre: Festa di S. Barbaziano prete
ore 10.30 S. Messa Solenne
presiede S.E. Mons. Claudio Baggini, vescovo emerito di Vigevano,
con la presenza dei sacerdoti del nostro vicariato
Ore 18.00 a Tribiano S. Messa di ringraziamento con canto del Te Deum
Martedì 1 gennaio 2013: Solennità di Maria SS. Madre di Dio
Ore 9.30: a s. Barbaziano S. Messa solenne
Ore 11.00: a Tribiano S. Messa solenne
Ore 17.15: a tribiano canto dei vespri, adorazione e benedizione eucaristica
Canto del Veni Creator per invocare il dono dello Spirito Santo sul nuovo anno
Ore 18.00: a Tribiano S. Messa solenne
Al termine delle celebrazioni saranno distribuita l’immagine del santo protettore dell’anno.
Domenica 6 gennaio 2013: Epifania del Signore
Ore 9.30: a S. Barbaziano S.Messa solenne con annuncio della Pasqua
Ore 11.00: a Tribiano S. Messa solenne
Ore 16.00: a Tribiano benedizione dei bambini, premiazione concorso presepi, estrazione
della lotteria
Ore 18.00: a Tribiano S. Messa solenne con annuncio della Pasqua
Confessioni
Giovedì 20 dicembre: ore 21.00 Celebrazione penitenziale per adolescenti, giovani e
adulti con la presenza di diversi confessori
Venerdì 21 dicembre: ore 16,30 confessioni medie
Sabato 22 dicembre: ore 10.00 confessioni 4a e 5a elementare
Lunedì 24 dicembre: ore 9-12 Tribiano
ore 15-19 Tribiano
ore 15-16 S. Barbaziano
28
28
La Nostra Comunità - dicembre 2012
Scarica

comunità - PARROCCHIA DI SAN VITO