Periodico della Società del Quartetto Dicembre 2007 Febbraio 2008 26 7 8 MARTEDI 4 DICEMBRE, ORE 20.30 CONSERVATORIO DI MILANO La seconda tappa dell’integrale delle Cantate italiane del giovane Händel Gemma Bertagnolli e Antonio Ballista: la gioia d’inventare Non era un bamboccione, il giovane Händel. Anche se amò da subito fatalmente l’Italia. Che però nel Settecento era il Paese simbolo della modernità della cultura. Bamboccione no, perché a 12 anni sgambettava dietro al suo maestro di Halle, Friedrich Zachow, a Berlino per assaggiare un po’ di aria meno provinciale. Fu una gita, sconsigliata dal padre, l’anziano Georg Händel, 63 anni più del figlio, sognato avvocato. Il ragazzo non disubbidì, ma imparò presto quattro lingue - l’i- taliano subito, ovviamente - e quattro strumenti, violino, oboe, clavicembalo e organo. A Halle era già diventato famoso per le improvvisazioni in Cattedrale, quando nel 1703, diciottenne, volò ad Amburgo, mantenendosi suonando il violino al Teatro del Gänsemarkt. Brillante, estroverso, arrivò a un duello con il coetaneo Johann Mattheson, in posizione preminente in orchestra. Sedeva al cembalo e una volta, per sfida, Händel gli rubò il posto. Probabilmente sfoggiò subito bravura, se poi i due arrivarono alle mani. Mattheson sarà poi il primo biografo di Händel, nella prima biografia a stampa di un musicista. A 21 anni l’Italia: Firenze, Roma, Venezia, Napoli, le quattro classiche città del viaggio diventano prestigiose occasioni di affermazione. Per gli italiani è subito il “caro Sassone” oppure “monsu Endel”. Nella cattolicissima Roma dicono che suoni così bene all’organo perché dominato dal diavolo, essendo protestante. Oppure no, forse perchè al clavicembalo tiene il cappello sotto il braccio. Händel sente le voci, lo lascia cadere (temeva un furto?) e suona ancora meglio. Aneddoti, ma testimoniano il clima di magia intorno al giovane. La storia lo dice subito amico di Corelli e Scarlatti jr., a Roma. Protetto dai potenti Pamphili, Ottoboni, Ruspoli MARTEDI 11 DICEMBRE, ORE 20.30 CONSERVATORIO DI MILANO e Colonna. Tra gelati e bevande delicate, nel teatro di Palazzo della Cancelleria, presenta le sue Cantate per il cardinale Pietro Ottoboni, che talora firma i libretti. I testi sono zuccherosi di Arcadia, mentre narrano di Ero suicida per Leandro, dopo un ultimo bacio sulle labbra gelide di morte, o di Clori pastorella che saltella tra gli amanti. Ma Händel non si balocca: con la linea del canto, l’intreccio dei pochi strumenti, disegna a rilievo lacrime vere, e passione. Tutte da riscoprire in questa seconda tappa dell’integrale proposta da Fabio Bonizzoni, con Roberta Invernizzi e l’ensemble La Risonanza. Carla Moreni La Risonanza Fabio Bonizzoni direttore Roberta Invernizzi soprano Händel - Esecuzione integrale delle cantate italiane con strumenti II - LE CANTATE PER IL CARDINALE OTTOBONI (1707) – Qual ti riveggio, oh Dio (Ero e Leandro) Hwv 150 – Clori, mia Clori bella Hwv 92 – Ah, crudel nel pianto mio Hwv 78 In collaborazione con Fondazione Arcadia Le Settimane Bach sono sostenute dal Comune di Milano Biglietti € 25 -18 Il concerto di questa sera è l’incontro con due persone libere. Lui è uno dei padri della generazione di interpreti che ha creduto nella musica del Novecento quando era musica contemporanea; ma si è avventurato nelle partiture più astruse senza condannare né trascurare quelle più divertenti; ha tocco nitido alla moderna, fraseggio che afferra sempre e trasmette una logica intelligente. Da vedere è un po’ intellettuale curioso e un altro po’ Buster Keaton. Lei è una voce melodiosa italianissima, calda e suadente anche quando s’arrampica su nelle pazzesche agilità delle fioriture barocche, figuratevi nelle dolcezze affettuose e nelle consolanti malinconie; bolzanina qual è, ha però lingua e arte tedesca nelle memorie d’una vita e nel baule della cultura, e il suo Mozart parla ecumenico alla maniera del Mozart della storia. La sua immagine femminile è tra le poche che riuniscano invogliante conforto e attrazione sottile; la direi destinata alla fermezza e alla soavità, se non l’avessi vista travestita da guerriero atzeco, nel Montezuma di Vivaldi, piumata e tinta di segnacci rossi, insieme vulnerabile e feroce. Il concerto di questa sera è l’incontro con due persone che inventano. Possono esser dunque presentati soltanto per indizi. Che cosa sarà il loro Mozart? Non, probabilmente, quello ufficiale da concerto, alla maniera severa con pizzichi di sussiego degli specialisti ufficiali, inclini a sottolineare la classicità disciplinata dello stile. Forse un’offerta di canzoni a tu per tu, di fantasie d’un adolescente senza età, confessioni a noi raccolti attorno al pianoforte, favole lette accanto al nostro letto d’infanzia, premonizioni d’un uomo che conforta di un dolore che oscuramente condivide. Con la limpidezza d’una linea che esclude già come linguaggio ogni effetto retorico e ogni compiacimento sentimentale, ma senza dimenticare che la cosa che più ricordava Mozart di Dio era la tenerezza. E di Rossini? Quale sarà la strada per raggiungere l’ironia parodistica in cui il grande ex-operista risolveva o camuffava le sue nevrosi di uomo che si sentiva anziano in un mondo non più riconoscibile? Per Antonio Ballista sarà un divertimento lucido farci intuire le invenzioni dichiaratamente tardive e distratte, come peccati di vecchiaia, che sembrano involontariamente preludere a quel romanticismo che l’autore avversava, se non all’icasticità novecentesca in cui non si sarebbe riconosciuto mai? E che misura prenderà per raccontarci la pericolosa avventura d’un viaggio in treno, con didascalie to da una fanfara di trombe e timpani, cantato dapprima all’unisono e poi scomposto e ricomposto in una fuga, mentre le voci si inseguono e si ritrovano in una prodigiosa tensione verso l’infinito, l’eternità, esprimendo l’idea di una possibile unità tra l’uomo e la sua idea di divinità. Un’opera vastissima nella sua scansione in tre parti, ma contenuta nell’organico strumentale: due oboi, due fagotti, due trombe, i timpani, il basso continuo, pochi archi. Mezzi ordinari possono raggiungere obiettivi straordinari. L’emozione e il rigore, il rispetto delle convenzioni e l’identità del genio creatore, che fa la differenza. Sandro Cappelletto Academy of Ancient Music Richard Egarr direttore Susan Gritton, Wilke te Brummelstroete, Andrew Tortise, Christopher Purves solisti Händel – The Messiah Hwv 56 e immagini sonore come nella comicità secca di un film muto? Gemma dovrà invece condurci nel mediometraggio d’una regata veneziana vista e vissuta nell’ingenuo animo della ragazza Anzoleta: ma con che occhi vista? e da lontano o da vicino? E avrà l’occasione per mostrarci la sua patente di studiosa accanita e di interprete senza mezze misure o compromessi sciorinando qualcuna delle liriche che Rossini componeva sullo stesso testo Mi lagnerò tacendo: per alcuni quasi cinico manifesto della sua indifferenza alla forza determinante della parola, per altri invece ventaglio aperto di scelte possibili da cogliere dentro la parola ed i suoi paradossi. Lorenzo Arruga Gemma Bertagnolli soprano Antonio Ballista pianoforte Mozart – Arie e Lieder per soprano e pianoforte – Rondò in re maggiore K 485 per pianoforte Rossini – Brani da “Péchés de Vieillesse” Si ringrazia UBI - Banca Regionale Europea Biglietti € 20 -15 9 MARTEDI 18 DICEMBRE, ORE 19.30 BASILICA DI SAN MARCO Il Messia di Händel: l’emozione e il rigore della tradizione esecutiva originale Un Cristo trionfante, maestoso, che sbaraglia i suoi nemici. Non sta in scena, non canta in prima persona, ma tutte le voci non parlano che di lui, a lui alludono, a lui si riferiscono: la sua attesa, la venuta, la passione, la resurrezione, la testimonianza che ha lasciato tra gli uomini. Un protagonista lontano dalla figura sofferente, riflessiva, dolente e sola che prevale nelle Passioni di area germanica. Un oratorio, che però, a differenza di tanti altri titoli sacri di Händel, non prevede personaggi individuali. Così vuole il testo inglese di Charles Jennens, autore di un libretto montato con grande abilità nel gioco dei contrasti drammatici e con disinvolta libertà di scelta delle fonti, prendendo spunto dall’Antico e dal Nuovo testamento: dai Libri dei profeti al Vangelo, alle lettere di San Paolo. Oggi lo chiameremmo un accurato lavoro di drammaturgia. Il Messiah è però debitore delle più collaudate formule del teatro musicale del tempo: recitativo, aria, qualche più raro duetto, proprio come il celebre operista, fino a pochi anni prima, aveva scritto con grandissima dovizia e con acclamato successo. Ma il gusto del pubblico britannico era mutato: ora, si pretendevano vicende più edificanti, lontane dagli irrealistici eccessi dell’opera italiana. Restava comunque difficile distinguere tra musica sacra e profana e sembra che, allora, nessuno si ponesse il problema. Un’opera nata in fretta, a Dublino, per celebrare la Pasqua imminente: era il 13 aprile 1742, Georg Friedrich Händel aveva 57 anni, era considerato, lui tedesco, il massimo compositore inglese del tempo. Era periodo pasquale anche il 23 marzo 1743, quando il lavoro conobbe la sua prima esecuzione inglese. E invece, ormai da tempo, questo Messiah si associa all’idea del Natale, della nascita del Cristo più che del mistero della sua morte e resurrezione. Una modalità di fruizione legittimata dal momento più esaltante: il coro che conclude la seconda delle tre parti, l’Hallelujah sostenu- Le Settimane Bach sono sostenute dal Comune di Milano Biglietti € 35-25 10 MARTEDI 22 GENNAIO 2008, ORE 20.30 CONSERVATORIO DI MILANO Capuçon – Angelich: il dialogo serrato e appassionato tra violino e pianoforte I due giovani protagonisti, il violinista francese Renaud Capuçon e il pianista statunitense Nicolas Angelich (classe 1976 e 1970, rispettivamente), hanno approfondito la propria educazione musicale come solisti prima di dedicarsi alla musica da camera. L’esperienza è maturata per entrambi soprattutto negli ultimi anni, con collaborazioni insigni e un approccio al repertorio sempre più consapevole nonostante l’età. Da qualche stagione sono tra i musicisti assidui alla “corte” di Martha Argerich alla quale debbono naturalezza e versatilità nel ripensare la grande letteratura per pochi strumenti e la scoperta di lavori desueti. Il programma che presentano alla Società del Quartetto è, per così dire, più tradizionale: sia per l’impaginazione che accosta tre grandi classici del sonatismo, sia per il pensiero compositivo dei lavori che rappresenta in modo compiuto un camerismo di forte impronta solistica. Considerate presenze im- mancabili nel repertorio, le tre sonate confermano come nella musica da camera la letteratura dedicata alla formazione strumentale violino e pianoforte annovera capolavori assoluti, capaci di imporsi nella mente e nell’animo e di rimanere legati al filo sottile della memoria di ciascuno. Non si tratta semplicemente di pagine che possono piacere, o attraverso lo scambio di materiale musicale, le riprese, il dialogo, ora disteso, ora serrato, intrecciando un arabesco suggestivo di note, carico di pathos e di espressione romanticamente vibranti. Anelide Nascimbene Manuel de Falla y Matheu – l’uso del doppio cognome, in Spagna, costituiva una forma di rispetto verso la famiglia materna – nacque a Cadice, in Andalusia, nel 1876, sette anni dopo l’inaugurazione del Canale di Suez. Cadice è una città di mare, posta al di là dello Stretto di Gibilterra e rivolta verso l’Atlantico. Il suo porto ha rappresentato, fino all’apertura di Suez, il principale punto di riferimento per le rotte coloniali verso le Americhe e verso l’Oriente. Anche la vita culturale della città aveva un sapore cosmopolita, ben distinto dal resto dell’Andalusia. La musica, il teatro e la letteratura delle grandi nazioni europee erano meglio conosciute lì che altrove, nel sud della Spagna. reinventò la musica gitana e l’antica musica spagnola del Siglo de Oro, non secondo un canone di verità scientifica, che non lo riguardava, bensì come espressione del sentimento di una ricca realtà umana e culturale sommersa. Il mondo andaluso, che Falla aveva rappresentato in maniera ancora convenzionale nella sua prima opera La vida breve, si presentò ai suoi occhi in forma nuova, al ritorno in patria dopo il lungo soggiorno a Parigi. L’incontro con la grande danzatrice di flamenco Pastora Imperio, nel 1915, fece conoscere a Falla una tradizione profondamente radicata nello spirito della terra in cui era nato e di cui non sapeva in realtà quasi nulla. L’amor brujo, che non ha niente a che spartire con uno spettacolo di folklore, rappresenta la reazione di un musicista sensibile al contatto con una forma d’arte originale e di grande forza espressiva. Qualcosa di simile avvenne alcuni anni più tardi, all’inizio degli anni Venti, quando la principessa di Polignac, ricchissima patronesse delle arti, chiese a Falla di scrivere uno spettacolo di burattini da rappresentare nel suo teatrino privato di Parigi. Questa volta la fantasia di Falla fu colpita dal ricordo di una delle scene più suggestive del Don Chisciotte, la recita nell’osteria dei burattini del maestro Pedro. Il mondo di Cervantes prendeva forma nell’immaginazione di Falla man mano che procedeva nella stesura del libretto e nella ricerca delle fonti musicali dell’epoca. El retablo de Maese Pedro scaturisce da una dimensione visionaria, non storicistica, del passato. Il testo di Cervantes si ripercuote in maniera profonda sulla sensibilità del musicista, che offriva un’immagine del Seicento spa- Quando la famiglia si trasferì a Madrid, verso la fine dell’Ottocento, il giovane Falla aveva già la grande aspirazione di recarsi a studiare a Parigi, ma dovette aspettare ancora una decina d’anni prima di riuscire a realizzare il suo sogno. La civiltà musicale della Spagna era un concetto ancora a lui del tutto sconosciuto, se non nelle forme più volgari del teatro di zarzuela. Questo periodo d’attesa, però, si rivelò decisivo per Falla, che entrò in contatto con la figura chiave del modernismo musicale spagnolo, Felipe Pedrell. Grazie all’opera dello studioso catalano, la generazione di Falla prese coscienza della ricchezza e della varietà del patrimonio musicale della penisola iberica, iniziando un processo di rinnovamento profondo di tutte le forme della vita musicale spagnola. Falla, come più tardi l’amico Garcia Lorca, gnolo conforme alla profondità quasi religiosa della sua lettura del romanzo. Questo aspetto immaginifico della musica di Falla risulta evidente nella nuova escursione novecentesca di Nuovo Contrappunto, un ensemble nato oltre dieci anni fa nella fucina della Scuola di Musica di Fiesole e animato da un musicista colto ed esperto come Mario Ancillotti. L’ensemble presenta infatti, anche in virtù di una voce espressiva come quella di Charo Martín, la prima, pressoché sconosciuta versione dell’Amor brujo, la più imbevuta dell’influsso diretto della musica gitana. Ma lo stesso si potrebbe dire anche per il Retablo, spettacolo immaginario già nel testo di Cervantes, in questo caso interpretato non da burattini, ma da cantanti in carne e ossa nonché di schietta vocazione teatrale, come Roberto Abbondanza, Renaud Capuçon violino Nicholas Angelich pianoforte Schumann – Sonata n. 1 in la minore op. 105 Brahms – Sonata n. 3 in re minore op. 108 Franck – Sonata in la maggiore Biglietti € 20 -15 11 MARTEDI 29 GENNAIO, ORE 20.30 CONSERVATORIO DI MILANO De Falla: l’immaginifica rilettura della musica antica spagnola verso le quali si ha una predilezione, una simpatia o un interesse particolari. È qualcosa di molto di più: sono composizioni che catturano e regalano ad ogni ascolto emozioni nuove. Il violino e il pianoforte possono raggiungere una straordinaria pienezza sonora ed elaborare un discorso musicale talmente fitto e articolato da far pensare a un’intera orchestra. Schumann, Brahms e Franck dedicarono alla letteratura per violino e pianoforte solo pochi lavori, scritti negli ultimi anni di attività. Ai grandi modelli di Mozart e Beethoven, guardati soprattutto come specchio di idealità formale, i compositori, pur in maniera diversa, legano la propria maturità creativa e poetica. Tanto i quattro movimenti delle sonate di Brahms e di Franck, quanto i tre della Sonata in la minore op.105 di Schumann, racchiudono uno slancio appassionato che si impone come una sorta di comune denominatore artistico di icastica evidenza. Nati nell’arco di meno di quarant’anni (tra il 1851 e il 1888), i lavori implicano un impegno paritario per gli interpreti. Il violino, strumento cantabile per eccellenza, non ha parti esclusivamente di tipo melodico, ma si avventura in una performance quanto mai eclettica: impegnativa per i passaggi di tipo virtuosistico, la natura del fraseggio e la qualità del suono richiesti. Il pianoforte, da parte sua, non si limita ad accompagnare e non ha un ruolo di semplice sostegno. Le due parti si compenetrano vicendevolmente: Pierluigi Paolucci e Alma Fournier Caballo, che impersona il bambino. La finezza di Ancillotti consiste nell’aver posto in apertura di un concerto quasi monografico, a mo’ di dedica ideale, l’image più sensuale della musica francese, l’Après-midi d’un faune di Debussy, in una rara trascrizione viennese d’epoca, a indicare quali imprevedibili fonti hanno alimentato il mondo severo e scabro del grande compositore spagnolo. Oreste Bossini Quando scrissero il nome di Alban Berg sul Quartetto d’archi che stavano per fondare, a pochi altri gruppi da camera. Haydn, Mozart, Beethoven, Schubert, Schumann, Brahms, Dvořák garantiscono vita eterna e programmi adeguati a qualunque tournée, ma l’Alban Berg Quartett non ha mai sentito appagata la sua vocazione alla completezza senza contemplare non solo Berg, Webern, Bartók, Debussy, Ravel, Stravinskij, ma anche Janačék, Lutoslawski, Schnittke, Berio, Rihm e ogni contemporaneo di rispetto come punto di approdo e di equilibrio naturale dei classici. La proprietà e il senso dello stile sono conseguenza naturale dell’avere aperti davanti agli occhi tutti i quadranti della mappa, senza angoli morti; la capacità di lettura è resa più elastica e pronta dalle pretese analitiche delle correnti del secondo dopoguerra, che con piacere si sono anche dedicate alla vivisezione; lo spessore del suono e il piacere del colore sono anche più grandi al ritorno da un esercizio fisico e spirituale nel segno dell’economia o della sfida alla dissoluzione del linguaggio. Di questi principi della vita e della musica, l’Alban Berg Quartett è sempre stato l’incarnazione. Trentasei anni di lavoro, trenta premi raccolti in carriera, quasi uno ogni anno. I numeri sono aridi ma espliciti: il Quartetto Alban Berg è stato per almeno due generazioni di interpreti e di ascoltatori uno dei riferimenti del mondo musicale del dopoguerra. Nel tempo, ha avuto il premio della continuità, ma anche il dolore di alcune perdite umane che sono importanti nella vita di un gruppo ristretto: la morte di Klaus Maetzl ha lasciato nel 1977 il secondo leggio di violino a Gerhard Schulz, che ancor oggi è membro del Vienna, nel 1971, Günther Pichler, Klaus Maetzl, Hatto Beyerle e Valentin Erben firmarono un programma. Berg, l’anello morbido della seconda triade viennese - in odore di zolfo ancor oggi, settant’anni dopo il suo passaggio nella storia della musica - rappresentava e continua a rappresentare distintamente il giunto elastico fra le lezioni in apparenza antitetiche della Ricerca e della Tradizione. L’Alban Berg Quartett iniziò subito, dal concerto di debutto alla Wiener Konzerthaus, a tenere ferma con rigore la sua idea di sintesi fra modernità e repertorio. Un quartetto d’archi può permettersi anche di ignorare quel che il secondo Novecento ha prodotto. L’Alban Berg, figlio della tradizionalissima Vienna, non l’ha mai fatto: tenendo il suo eponimo come cerniera, si è sempre aperto alla modernità e alla contemporaneità come gruppo; Hatto Beyerle, scomparso nel 1981, ha passato la viola a Thomas Kakuska, la cui morte recente (2005) ha indotto la quarta sostituzione (con Isabel Charisius) e forse la definitiva, consapevole decisione finale. Quest’anno il pubblico del Quartetto ascolterà Pichler e i suoi compagni per l’ultima volta. Con la tournée del 2007/2008 – ultima data in luglio, al Colón di Buenos Aires – l’Alban Berg lascia le scene. Non è il primo addio a una leggenda del camerismo che chi ha qualche anno di vita ed esperienza di musica si trova a salutare: è accaduto per il Quartetto Italiano e per il Lasalle, in tempi e circostanze diversi. La musica non muore per questo. La tentazione di vedere in queste pur normali stazioni della vita una corsa inarrestabile verso la decadenza, è infantile. Ma chi ha visto nascere Ensemble Nuovo Contrappunto Mario Ancillotti direttore Charo Martin, Alma Fournier-Carballo, Pierluigi Paulucci, Roberto Abbondanza solisti Debussy – Prélude à l’après-midi d’un faune (trascrizione per 10 strumenti sotto gli auspici di Arnold Schönberg) De Falla – “El Amor Brujo”, “Gitaneria” in un atto (versione del 1915) per cantaora di flamenco e 15 strumenti – “El Retablo de Maese Pedro”, Opera in un atto su libretto di Manuel de Falla da un episodio del Don Chisciotte di Miguel de Cervantes Progetto realizzato dagli allievi del Laboratorio Teatro di Figura dell’Accademia di Brera di Milano con la direzione e regia di Gabriele Giromella. Biglietti € 20-15 12 MARTEDI 5 FEBBRAIO, ORE 20.30 CONSERVATORIO DI MILANO L’Alban Berg lascia le scene: ascoltiamo per l’ultima volta uno dei riferimenti musicali del dopoguerra l’Alban Berg Quartett, e delle sue interpretazioni ha nutrito la sua esperienza e la sua memoria, di qualche ansia deve essere perdonato: che alla chiusura di questa lunga pagina dell’interpretazione possa non seguire l’apertura di un’altra. O, almeno, non di una che le sia pari. Carlo Maria Cella Quartetto Alban Berg Haydn – Quartetto in sol maggiore op. 77 n. 1 Hob.III.81 Berg – Quartetto op. 3 Beethoven – Quartetto n. 15 in la minore op. 132 Biglietti € 25-18 13 MARTEDI 19 FEBBRAIO, ORE 20.30 CONSERVATORIO DI MILANO Richard Goode: la naturalezza dell’eloquio frutto di una inesausta tensione «Il pianoforte non è una macchina da scrivere. I tasti non danno mai lo stesso suono, perché non ci sono mai due note uguali. Il compositore indica la durata, mette dei segni: una forcella, un pianissimo, un arpeggio… ma qual è la loro intensità? Dove cade l’accento, quale dev’essere il suono forte e quale quello debole? Questo lo decide chi suona, questa è libertà». Una convinzione ribadita da Miecio Horszowski in uno dei suoi tanti incontri con giovani pianisti che avrebbe potuto far tranquillamente sua anche Richard Goode, che del grande pianista polacco è stato uno degli allievi più fedeli. La sua formazione, infatti, dopo i primi studi nella natale New York con Nadia Reisenberg (discendente attraverso il suo maestro, Safonov, dalla linea Leszetycki) si consoliderà al Curtis Institute dei Filadelfia, con Serkin e, appunto, con Horszowski. Si può immaginare come l’apporto discendente da due fonti così autorevoli, diverse e pur convergenti nel modo di vivere la musica, si sia ramificato nell’esperienza di Goode. Non deve ingannare quel suo modo di offrirsi, quella sua aria tranquilla, quel tratto bonario: anche il caro, vecchio Miecio pareva un amabile compagno di conversazione, in realtà la sua intransigenza era tutta sotterranea, incarnata nella musica. E proprio di tale inesausta tensione volta a ridare una vita sempre nuova alla pagina scritta anche Goode è uno dei testimoni oggi più seducenti, forse sempre più rari in un universo complesso quale quello interpretativo dove l’efficientismo tecnico si intreccia con l’ossessione stilistica, così che da tale prospettiva non poco allarmata, sempre più marginale appare la naturalezza dell’eloquio. Quello, appunto, che Goode ha sempre inteso liberare nella sua ormai lunga avventura d’interprete: il Mozart parlante dei Concerti, il Beethoven mai estremizzato, soprattutto lo Schubert arioso, vissuto come un incantato narratore, con tutte le sue divagazioni eppur mai anemicamente grazioso; senza ignorare la modernità, anche in questo fedele alla mai soddisfatta curiosità intellettuale di Horszowski che si spingeva a confrontarsi con certe zone avanzate della contemporaneità. E naturalmente Bach, sempre esplorato con lo spirito di rinnovarne l’ampiezza dei contenuti emotivi, come riteneva lo eseguisse Beethoven, «alla maniera del suo tempo, senza porsi questioni di fedeltà stilistica – sottolineava Goode in una recente intervista – ritrovato quindi, libero da ansie stilistiche, sul pianoforte sul quale il pensiero di Bach viene fuori più e meglio che con altri strumenti». Da Bach a Chopin, si sa bene pur con tutte le interferenze delle coordinate storiche, il passo è breve: quello Chopin che Liszt aveva indicato come l’élève enthousiaste de Bach e che dalla unicità della sua madreperla sonora lascia trasparire in filigrana la lezione dell’amatissimo e frequentatissimo Clavicembalo ben temperato. Una linea che guida la conversazione musicale di Goode, come guidava l’ineffabile Chopin di Miecio, con quel respiro interno, quelle stupefazioni accese dalle quasi impalpabili inflessioni di una pronuncia, nativa per lui, che questa segretezza ha saputo trasmettere agli allievi più sensibili: Goode, appunto. Gian Paolo Minardi Richard Goode pianoforte OMAGGIO A CHOPIN Bach – Preludio e Fuga in sol minore Bwv 885 – Preludio e Fuga in si maggiore Bwv 892 Chopin – Mazurche op. 24 n. 2, op. 50 n. 1, op. 59 n. 1, op. 33 n. 4 – Improvviso in fa diesis minore op. 36 Mozart – Rondò in la minore K 511 Chopin – Scherzo n. 4 in mi maggiore op. 54 Debussy – “Pour les arpèges composés” da Studi, Libro II n. 11 – “Pour les octaves” da Studi, Libro I n. 5 Chopin – Notturno in do minore op. 48 n. 1 – Notturno in si bemolle maggiore op. 62 n. 1 – Polonaise in fa diesis minore op. 44 Biglietti € 25 -18 14 MARTEDI 26 FEBBRAIO, ORE 20.30 CONSERVATORIO DI MILANO prendere in considerazione. Anche perché capitano ancora, felicemente, momenti di segno opposto e i cattivi pensieri, almeno per una serata, sembrano svanire; come nel concerto inaugurale del Quartetto lo scorso ottobre, con il Bach di Ton Koopman e la sala Verdi del Conservatorio stracolma di ascoltatori di ogni età. Quando poi i giovani sono sul palco e sono loro a proporci la musica, allora la felicità si centuplica perché vuol dire che la staffetta ha attraversato le generazioni ed è arrivata fino a loro, e da loro a noi. Come lo Stradivari “Barriere”, creato quasi trecento anni fa dal genio di Cremona, che suonerà ancora una volta nelle mani della giovanissima olandese Janine Jansen per proporci in apertura la Partita in re minore di Bach. Accanto a lei altri due musicisti tra i migliori della nuova generazione: il violista ucraino Maxim Rysanov e il violoncellista svedese Torleif Thedéen. Con loro tre – ospiti tutti per la prima volta del Quartetto - ancora Bach, il Bach a un tempo algebrico ed emozionante delle Invenzioni a due voci e delle Sinfonie a tre (“Por el álgebra, palacio de precisos cristales”, cantava Borges), di cui il Trio ha appena pubblicato un cd per la Decca (Bach Inventions & Partitas) che ripercorre in parte il programma della serata: suoni sempre tersi, chiaro il pensiero musicale, geometrie in cui è un piacere perdersi. E poi uno Schnittke incastonato tra un Bach e l’altro. E Schnittke è un autore che nella sua onnivora curiosità per linguaggi e stili musicali apparentemente lontani ha sempre tenuto la bussola orientata su Bach. «Oggi la personalità del compositore conta nuovamente» chiosava Schnittke negli anni Ottanta, reagendo alle secche di un certo oggettivismo ancora in auge. Alla distanza gli risponde Thedéen che, interpellato su che cosa significhi per lui la parola “interpretazione” risponde: «Fare in modo che il testo ti parli in modo oggettivo e poi farlo uscire dal tuo strumento come la cosa più soggettiva che esista». Nicola Pedone Con il sostegno di Con il patrocinio e sostegno di Con il contributo di Con il patrocino e il contributo di Con la partecipazione di Sponsor istituzionali Janine Jansen violino Max Rysanov viola Torleif Thedéen violoncello Bach – Partita n. 2 in re minore per violino solo Bwv 1004 Bach – Invenzioni a due voci per violino e viola BWV 772 – 786 Schnittke – “String Trio” per violino, viola e violoncello (1985) Bach – Sinfonie per violino, viola e violoncello Bwv 787 – 80 Sponsor Grandi Interpreti Le Settimane Bach sono sostenute dal Comune di Milano Biglietti € 25 -18 Sponsor Settimane Bach Jansen-Rysanov-Thedéen: tra i migliori non solo della loro generazione Si sentono sempre più spesso – e non solo in Italia, per la verità - voci allarmate sull’avanzamento dell’età media del pubblico nelle sale da concerto. In una recente intervista radiofonica, il settantaduenne direttore tedesco Gerd Albrecht, attivo da anni anche nella pedagogia musicale, ha detto molto semplicemente che se non ci mettiamo presto e sistematicamente a seminare con generosità fin dall’infanzia, entro trent’anni potremo salutare la nostra bella civiltà musicale. Uno scenario apocalittico, che non vorremmo nemmeno Biglietti In vendita dai 6 giorni precedenti ogni concerto presso: • Società del Quartetto, via Durini 24, ore 13.30 - 17.30 • Call Center Charta, tel 899 666 805 (carta di credito o bonifico) • Siti internet: www.quartettomilano.it e www.vivaticket.it (carta di credito o bancomat) Riduzioni per gruppi e convenzioni speciali Giovani (fino a 26 anni) € 5 Informazioni Società del Quartetto di Milano Via Durini 24 – 20122 Milano tel. 02.795.393 – fax 02.7601.4281 www.quartettomilano.it – [email protected] PAROLE IN NOTA Parole in nota Continua il viaggio non solo musicale in compagnia di personaggi della cultura A partire da gennaio prenderà avvio il secondo ciclo di Parole in nota, la manifestazione che passa in rassegna alcuni temi importanti della musica classica oggi attraverso testimonianze di personaggi di primo piano del mondo culturale. Apre le danze Severino Salvemini, docente di organizzazione aziendale alla Bocconi, che il 23 gennaio parlerà dei Conti con la musica, ovvero della sostenibilità della musica classica nel panorama contemporaneo. Dopo un mese, il 5 marzo, sarà il turno della poetessa Patrizia Valduga, che partendo anche da alcuni testi di Giovanni Raboni, si soffermerà su Creazione artistica e creazione musicale. Il tempo di lasciar passare la Pasqua, e il 9 aprile sarà il turno di Lella Costa, attrice tra le più sensibili della nostra scena teatrale, per discorrere dello Spettacolo della musica. Il 23 aprile, poco dopo il concerto di canti e danze della tradizione yiddish della Klezmerata Fiorentina, è di scena un altro mattatore dello spettacolo, Moni Ovadia, per parlare di Musica ebraica. Concluderà Lucio Dalla – la data è ancora da stabilire – sulla Canzone e la tradizione musicale italiana. Ad accompagnare gli ospiti ci saranno ancora il filosofo e nostro consigliere Carlo Sini e l’ideatore della rassegna Andrea Kerbaker. Si ringrazia Intesa Sanpaolo Quartetto per Giovane Europa in Musica Prende il via a fine febbraio la quinta edizione del ciclo “Giovane Europa in Musica” che la Società del Quartetto organizza in collaborazione con l’Associazione Istituti di Cultura Europei a Milano (AICEM) e il Teatro Dal Verme. La rassegna presenta giovani interpreti che si sono distinti nei loro paesi d’origine e ai quali diamo l’opportunità di farsi conoscere a Milano per iniziare e continuare una carriera che auspichiamo folgorante. Il ciclo continua a privilegiare un taglio “leggero” e a suo modo innovativo dei programmi in cui gli artisti ospiti possano esprimere un tocco nazionale specifico, spesso curioso, comunque originale e con combinazioni strumentali generalmente precluse alle grandi sale. La sede dei concerti rimane invariata, il Teatro Dal Verme (Via S. Giovanni sul Muro), così come l’orario “europeo” delle ore 20. Anche questa edizione si avvale del sostegno di Banca Intermobiliare e della Fondazione Giancarlo ed Etta Rusconi. Paolo Arcà nuovo Direttore artistico Il maestro Paolo Arcà è il nuovo Direttore artistico della nostra Società. Il consiglio direttivo del Quartetto lo ha nominato dopo le dimissioni di Enzo Beacco. Romano di nascita, Paolo Arcà conosce a fondo la nostra città, la sua vita musicale e culturale. Al Teatro alla Scala è stato Direttore artistico dal 1997 al 2003. Di quegli anni ricordiamo – tra le altre le celebrazioni verdiane del 2001 e la stagione 1999-2000 dedicata al teatro d’opera del Novecento. Come responsabile artistico del Teatro degli Arcimboldi, nella stagione 2005-2006 ha realizzato una programmazione “trasversale” con diversi generi di spettacolo musicale (jazz, rock, pop, musical e danza contemporanea) che hanno richiamato un folto pubblico soprattutto di giovani. A Milano, infine, è docente di composizione al Conservatorio Giuseppe Verdi. Parallelamente agli impegni per la nostra Società, Paolo Arcà mantiene la Direzione artistica del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, incarico che ha assunto nel 2006 dopo l’omologa esperienza svolta al Teatro Carlo Felice di Genova nel triennio 2003-2006. La sua competenza lo ha però portato a svolgere attività in tutti i settori della produzione e dell’organizzazione della musica in Italia, non solo come Direttore artistico di fondazioni liriche e società di concerti (prima di assumere l’incarico alla Scala è stato anche Direttore artistico dell’Accademia Filarmonica Romana), ma anche come compositore, didatta, divulgatore della musica in campo pubblicistico, radiofonico e televisivo. www.quartettomilano.it Video, interviste, collegamenti: il nostro sito si è rinnovato Il nostro sito internet è da pochi giorni in rete totalmente rinnovato e modernizzato, ha una cornice più leggera, più suoni, più illustrazioni e immagini anche in movimento, più chiarezza e soprattutto più interattività. Man mano si arricchirà di numerosi altri contenuti informativi multimediali. Sono già presenti alcuni video girati in occasione delle nostre manifestazioni e presto sarà attiva una newsletter. Il nuovo sito è uno strumento essenziale per un contatto continuo e immediato con il Quartetto e consentirà anche di accedere a un’ampia selezione di altri siti di interesse musicale. Il colloquio diretto che auspichiamo si instauri tra il nostro pubblico e il Quartetto passa anche attraverso l’utilizzo della posta elettronica. La progressiva informatizzazione permette una grande celerità nelle comunicazioni. Invitiamo dunque chi dispone di un indirizzo e-mail, e non l’avesse ancora comunicato, a voler inviare un messaggio di posta elettronica all’indirizzo [email protected] oppure a iscriversi nell’apposita sezione del sito. Assicuriamo che, nel rispetto della normativa sulla privacy, l’indirizzo di posta elettronica non sarà comunicato a terzi e sarà utilizzato solo per le nostre informazioni. Da gennaio 2008 le comunicazioni ai Soci arriveranno via e-mail. Continueremo a mandarle in forma cartacea solo a chi NON avesse segnalato il proprio indirizzo di posta elettronica, o a chi avesse comunque richiesto l’invio per posta ordinaria. L’allestimento del nuovo sito si inserisce nel progetto di miglioramento gestionale sostenuto da importanti contributi della Fondazione Cariplo e della Fondazione Pro Musica Giancarlo ed Etta Rusconi. Periodico della Società del Quartetto Registrazione al Tribunale di Milano n. 109 del 17-2-1999 Anno VIII - n. 26, dicembre 2007-febbraio 2008 Direttore responsabile: Nicoletta Geron Redazione: Chiara Calini Grafica: G&R Associati Stampa: Grafica Aerre, Milano Editore: Società del Quartetto Direzione e redazione: Via Durini 24 - 20122 Milano Tel. 02.7600.5500 Fax 02.7601.4281 Email [email protected] www.quartettomilano.it