Comunità Pastorale Regina degli Apostoli
Parrocchie di Bernareggio, Villanova, Aicurzio, Sulbiate
Scuola della Parola anno pastorale 2013 – 2014
“Il campo è il mondo:
vie da percorrere incontro all’umano”
Itinerario spirituale dal Vangelo secondo Luca
Primo incontro: Venerdì 18 ottobre 2013 - Chiesa parrocchiale di Bernareggio
Pietro, l’umano che scopre la fede (Lc 5, 1-11)
1
Mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gen‐
nèsaret, 2vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. 3Salì in una
barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla bar‐
ca. 4Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: "Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca".
5
Simone rispose: "Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua paro‐
la getterò le reti". 6Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano.
7
Allora fecero cenno ai compagni dell'altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono
tutte e due le barche fino a farle quasi affondare. Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di
Gesù, dicendo: "Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore". 9Lo stupore infatti aveva invaso
lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; 10così pure Giacomo e Giovanni, figli di
Zebedeo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: "Non temere; d'ora in poi sarai pescatore di
uomini". 11E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.
RIFLESSIONE DI DON LUCA:
Un incontro speciale
Questa pagina del Vangelo, vi
dico, come confessione perso‐
nale, mi è molto cara: mi è mol‐
to cara e ogni volta che la incon‐
tro ci trovo sempre qualcosa di
nuovo. Mi è molto cara perché,
dopo un periodo di ‘svarione’ (si
dice così) nell’epoca in cui ero in
seminario, dopo un periodo in
cui ho sbagliato tanto e in cui
volevo dimostrare al Signore
che la mia vocazione non era
vera, nella Quaresima del 1988
questa pagina mi ha convinto a
diventare prete. Prete lo diven‐
terò poi nel 1992, ma pensate
come si parte a volte da un in‐
contro semplice ed è lì che mi
sono convinto, grazie anche al
vescovo che ci guidava in quegli
anni sulla Parola: la Parola di
Dio, se la prendi sul serio, vuol
dire incontrare una Persona che
ti convince.
Anche l’evangelista Luca si è
convinto incontrando Paolo: noi
non incontriamo mai Gesù per‐
ché è dipinto sui muri, abbiamo
bisogno di incontrarlo nella con‐
cretezza, nella ‘ciccia’ come dico
io, e a volte questa ‘ciccia’ si ri‐
vela, si mostra, in una pagina di
Vangelo, in una persona che ci
dice una cosa: è importantissi‐
mo.
Il metodo
Per chi di voi non è avvezzo a
questa cosa, ora rileggerò il
brano di Vangelo secondo il me‐
todo che ci ha insegnato padre
Carlo Maria Martini. Procederò
alla Lectio, cioè alla lettura del
testo (e io vi ringrazio perché
grazie a questa esperienza devo
mettere da parte tante cose e
rimettermi prima a studiare co‐
sa dice Gesù Cristo, parola per
parola); poi passerò alla Medita‐
tio, io ho scelto di farla su tre
punti; ci sarà poi la Contempla‐
tio o Oratio, ossia la preghiera, e
abbiamo fatto la scelta di dare
spazio
al
silenzio;
poi,
quest’anno c’è una novità che vi
dirò alla fine.
Lo ritengo un metodo meravi‐
glioso: i monaci stanno una
giornata intera su una pagina
del Vangelo, Carlo Maria Martini
ci ha insegnato che anche in un
quarto d’ora si può fare… noi ci
prenderemo un pochino più di
un quarto d’ora, ve lo dico subi‐
to, però è importante sapere
che una pagina al giorno può
aiutarci: meglio dell’antibiotico!
Contestualizzazione
Ripercorriamo questa scena,
siamo al capitolo 5: dopo che
Gesù è stato tentato nel deserto
e si è presentato alla sinagoga di
Nazareth. Negli altri evangelisti
sinottici (quelli che si possono
leggere insieme, salvo qualche
aggiunta dipendente dalla co‐
munità che ha riportato i detti e
i fatti legati alla persona di Ge‐
sù), tutti gli altri parlano della
chiamata di pescatori.
Luca, discepolo di Paolo già den‐
tro le cose di chiesa, sente il bi‐
sogno di parlarci di Pietro che è
uno dei personaggi meravigliosi
del Nuovo Testamento: appas‐
sionato, sanguigno, …
Ho letto, grazie ad un libretto
che mi ha regalato una suora
che adesso è in Francia a Besa‐
nçòn e che è qui di Bernareggio,
di questo prete che andava nel‐
le carceri dove c’era la feccia
dell’umanità e diceva: “Vedete,
Giovanni era così puro: quello
che appoggia il capo sul petto
del Signore durante l’ultima ce‐
na, quello che mentre tutti
scappano è solo sotto la croce.
Ebbene, Gesù non l’ha scelto;
cioè l’ha scelto come apostolo,
ma per capo ha preso quello
che l’ha tradito, quello che sba‐
gliava, quello che… “ e questa
cosa, detta ai detenuti, è una
consolazione grandissima.
Veniamo al testo. C’è la folla
che fa ressa intorno a Gesù che,
quindi, è già noto. Immaginatevi
la scena, e chi è stato in Terra
Santa si immagini Cafarnao, sul‐
la riva del lago di Galilea, la sce‐
na è quella.
Barche e pescatori
“Vide due barche” che sono lì
sulla sponda. I pescatori sono
scesi e lavano le reti: è
l’introduzione. Poi comincia la
scena: senza dire niente Gesù
sale su una barca. Perché quel‐
la? …perché tu hai sposato quel‐
la donna lì? perché ti è successa
quella roba lì? Boh, succede!
Sale su quella barca lì e: “Lo
pregò di scostarsi dalla riva”.
Sembra un espediente tecnico
perché Gesù, che è un abile co‐
municatore, se si sposta al largo
tutti possono ascoltarlo, non
c’erano megafoni o amplificato‐
ri, sembra un escamotage tecni‐
co: già che sei qui e non hai fat‐
to niente, che stai lavando le re‐
ti, almeno aiutami con la tua
barca come “palco”. Quando ha
finito di parlare: “Disse a Simo‐
ne”. Al versetto 2 si era detto:
“Salì sulla barca che era di Si‐
mone”. Notate il nome, poi
quando ebbe finito di parlare:
“Disse a Simone: “Prendi il largo
– il verbo è al singolare: tu
prendi – e gettate – al plurale,
non è un caso e dopo lo vedre‐
mo ‐ le reti”. Cioè “Prendi… e
gettate”: sarebbe stato più logi‐
co “Prendi e getta” o “Prendete
e gettate”, non: “Prendi ‐ tu Si‐
mone ‐ e gettate ‐ voi”.
Ancora al versetto 5, Simone ri‐
sponde: “Maestro, abbiamo fa‐
ticato tutta la notte e non ab‐
biamo preso nulla”. Sono pesca‐
tori: soltanto un deficiente non
sa che non si va fuori di mattina.
Perché questo riferimento alla
notte? Il Vangelo di Luca era ini‐
ziato con Elisabetta, sterile, che
rimane incinta e quando si scio‐
glie la lingua a Zaccaria (era ri‐
masto muto perché non ha cre‐
duto alle parole che ha ricevuto
nel Tempio dall’angelo) che di‐
ce: “Verrà a visitarci dall’alto un
sole che sorge per illuminare
quelli che stanno nelle tenebre
e nell’ombra di morte”. Un par‐
ticolare interessante quando
Simone, al versetto 5, risponde:
“Maestro, abbiamo faticato tut‐
ta la notte…”. C’è il riferimento
alla notte, al buio.
Gesù prima ha detto: “Prendi il
largo”. In realtà quel ‘largo’ in
greco è il termine che indica
non il largo, il lontano, ma ‘il
profondo’ cioè: ‘prendi il pro‐
fondo’. È passata la notte e nella
notte non hai trovato niente al‐
lora ritorna nel tuo profondo
perché solo così può accadere
qualcosa. Pietro ha paura, ha
vergogna forse, ma ha il corag‐
gio del leone e dice: “Non ab‐
biamo preso nulla ma sulla tua
parola…". La figura di ‘palta’ a‐
desso la fai tu con noi: su quello
che tu dici io provo a fidarmi,
sappi che se va male so di chi è
la colpa.
“Fecero così e presero una
quantità enorme di pesci che le
loro reti quasi si rompevano. Al‐
lora fecero cenno – notate, an‐
cora al plurale – ai compagni
dell'altra barca – il plurale si al‐
larga – che venissero ad aiutar‐
li”.
Un incontro che cambia la vita
Riempiono tutte e due le barche
che quasi affondano e al vedere
questo, attenzione, cambia il
nome: non è più Simone, è Si‐
mon Pietro, entra questo nome.
Matteo lo spiega in un altro
modo: “Tu sei Pietro e su questa
pietra…”. Qui invece entra così.
Pietro sta facendo l’esperienza
del suo peccato, ha messo la sua
paura nel suo interlocutore che
è Gesù: nel momento in cui fa
esperienza del suo peccato e lo
confessa, Gesù nel Vangelo gli
ha già cambiato nome: è Pietro,
è quello che conoscevano tutti i
cristiani. Come se oggi dicessi‐
mo, scusate: “Salì sulla barca,
che era di Jorge Mario, sedette
e disse a Jorge Mario…” e, dopo
la pesca miracolosa: “Francesco
si gettò alle ginocchia di Gesù”.
È un’altra cosa, avverti che c’è
stato un cambiamento nella vita
di una persona: tornate indietro
265 successori e arrivate a Pie‐
tro. E non sono tante 265 per‐
sone in fila… in uno stadio non
si vedono, ma la storia è questa.
“Pietro si gettò alle ginocchia di
Gesù”. Sono andato a vedere
per curiosità la radice verbale di
quel ‘si gettò alle ginocchia’: è la
stessa radice verbale che in gre‐
co, al capitolo 15, si usa per dire
la gioia del padre che al figlio
bastardo che ritorna gettò le
braccia al collo. Pensate che qui
lo si dice di un uomo che, nella
posizione dello schiavo, si getta
alle ginocchia, là nella posizione
dello schiavo, il Padre miseri‐
cordioso si getta al collo: è bel‐
lissimo questo parallelismo. È
un gettarsi a piedi pari, non ho
capito ancora niente, ma mi
butto, mi abbandono, sono tuo
servo.
E ancora, Pietro dice, siamo lì
quando si getta alle ginocchia di
Gesù al versetto 8: "Signore,
allontanati da me”. In greco il
verbo è ‘esci’, ‘vattene’: mi fai
paura, cosa stai facendo dentro
la mia vita? Pietro si accorge che
è impegnativo questo Signore:
‘esci da me’ perché tu hai biso‐
gno di gente brava, invece io
“sono un peccatore”, vattene,
non perdere tempo con me. Io
ho capito chi sei tu, il Signore
non scherza, ho creduto alla tua
parola e tu l’hai mantenuta e
allora: esci da me perché guarda
che io scherzavo, Signore.
Pescatori di uomini
E poi, si dice al versetto 9, dello
stupore che in realtà, in greco, è
‘lo spavento’: lo stupore ha
un’accezione positiva, invece
qui è uno spavento che aveva
invaso tutti quelli che erano con
lui per la pesca. Ecco il volto de‐
gli altri: Giovanni e Giacomo so‐
no i figli di Zebedeo, soci di Pie‐
tro. E Gesù dice a Simone quella
frase meravigliosa: “Non teme‐
re; d'ora in poi sarai pescatore
di uomini”.
In realtà ‘pescatori di uomini’,
mi sono accorto per la prima
volta andando a vedere in gre‐
co, che è un’immagine meravi‐
gliosa perché Israele non è mai
stato un popolo di navigatori:
per loro il lago è il mare di Gali‐
lea, che non è neanche il lago di
Garda. Rispetto ai fenici o agli
egiziani, anche se si affacciava
sul mar Mediterraneo, il popolo
ebraico non ha mai navigato,
neanche basso cabotaggio, cioè
tenendo la riva in vista: il mare
era, nella loro mentalità, il male.
Lo dicevamo già l’anno scorso
quando Gesù quieta la tempe‐
sta: il mare si apre, Israele passa
all’asciutto, e il mare/male si ri‐
chiude sugli egiziani. Se tu sei
‘pescatore di uomini’, tradotto
letteralmente sei ‘prendente
uomini vivi’ che è un’immagine
bellissima per un cristiano. Chi è
il cristiano? È colui che prende
uomini vivi dal male. Cosa vi
viene in mente in questi giorni?
Il cristiano è quello che prende
gli uomini vivi dal mare: vedete
l’attualità di questa parola, in
questi giorni con Lampedusa e
quant’altro? C’è l’idea che tu,
siccome il mare è il male, tu sei
quello che tira fuori dal male gli
altri uomini e gli da un senso per
vivere.
Non temere
Ma, soprattutto, c’è quella pa‐
rola: “Non temere”. L’abbiamo
commentata coi giovani, se an‐
date sul sito la trovate, quando
ci siamo fermati nel mezzo del
lago di Galilea: ‘Me fobou’. ‘Fo‐
bou’, ‘fobia’ è la paura; ‘me’, no
quindi ‘non paura’, ‘non teme‐
re’. Io ho fatto fare una ricerca
ad una mia amica suora di clau‐
sura che adesso è a Gerusa‐
lemme, si chiama Maria Chiara
e l’abbiamo incontrata con i
giovani. Suor Maria Chiara ha
fatto passare tutto il testo in
greco del Nuovo Testamento e
abbiamo dimostrato che, con le
150 volte in cui compare, ‘Me
fobou’ è la parola che nel Nuovo
Testamento Gesù ripete di più:
non temere, non avere paura. E
sarà importante se l’ha ripetuta
tante volte. Ha detto tante cose
Gesù, ma la frase che ha ripetu‐
to di più, che è uscita di più dal‐
la sua bocca e che i suoi amici si
ricordavano di più era: “Non
temere, non avere paura”. Al
capitolo 1 del vangelo di Luca la
prima cosa che dice l’angelo a
Maria è: “Non temere, Maria –
Me fobou”. È proprio quella pa‐
rola lì, non avere fobie, rassere‐
nati, stai calma. La paura uccide.
La paura è peggio dell’odio per‐
ché l’odio è una forma di amore
impazzito: il femminicidio dice
di un amore impazzito che di‐
venta odio e ti porta a uccidere.
Il contrario dell’amore non è
l’odio, ma la paura perché ti
blocca, sei paralizzato e non ti
muovi più.
E infine: “Lasciarono tutto e lo
seguirono”. Ancora al plurale.
La meditatio
Voglio farvi fare queste rifles‐
sioni prima di lasciarvi un ab‐
bondante silenzio con tre do‐
mande: potevamo prenderne
tante, ma io ve ne lascerò tre in
particolare.
Innanzitutto, ho voluto rileggere
comunque questo testo perché,
anche se lo conoscete già e
l’avete già sentito, ma alcune
cose e alcune parole non le ave‐
te mai notate. Se uno fa il torni‐
tore non sa cosa significa in gre‐
co ‘Me fobou’ …e c’ha ragione,
ma ora può riflettere anche lui.
Nella mediatio vi spiegherò an‐
che di questo titolo importantis‐
simo: “L’umano che scopre la
fede.
La fede: una scoperta ecclesiale
Allora, il primo punto su cui
meditare è che la fede è una
scoperta ecclesiale. Noi siamo
fatti così, purtroppo, perché
siamo individualisti, figli di una
società individualista, figli di
gente che privatizza tutto. Prima
c’è il mio cammino col mio Ge‐
sù, poi scopro che c’è anche
l’umanità. Per i primi cristiani,
invece, non era così. Luca, con‐
vertito dal paganesimo al cri‐
stianesimo da Paolo, sente il bi‐
sogno, mentre dice la scoperta
della fede, di incarnarla subito
dentro la comunità. C’è Pietro, il
capo, fetente fin che vuoi, ma è
quello che Gesù ha scelto per
tenerci insieme e avete visto
che i verbi passano dal singolare
al plurale e che poi non basta
più una barca, ma ce ne vuole
un’altra. Cioè l’esperienza del
Signore che mi salva dal peccato
e dà un senso alla mia vita, che
mi tira fuori dal male, la faccio
solo in una comunità e la frase
“io credo in Dio ma non nella
Chiesa” è una scemenza
all’origine del Vangelo perché
fin dal suo inizio è smentita: o è
cammino di Chiesa o non è fe‐
de. Potrà essere una scienza o
un sentimento, e io rispetto chi
non si ritrova nella Chiesa, ma la
fede vissuta da soli non fa parte
del vangelo di Gesù.
Questa Chiesa è fatta di persone
che puzzano, che sono peccato‐
ri, c’è una storia di papi da
scandalo, ma questa Chiesa l’ha
voluta il Signore. Non ha voluto
la Chiesa ideale, dei puri perché
questa, come ha detto Papa
Francesco, è un’eresia. Questa
Chiesa, noi, ci ha voluto Gesù:
noi, non io e te, ma noi; ci ha
insegnato non a dire Padre mio,
ma Padre nostro, anche quando
lo diciamo da soli. È fondamen‐
tale questa cosa. C’è la comu‐
nione con Pietro, la comunione
con gli altri, la barca e le barche,
la barca che è simbolo della
Chiesa: anche nel nuovo taber‐
nacolo abbiamo voluto rappre‐
sentare questa barca dove c’è al
centro il Signore. La barca è la
chiesa e tu della barca hai biso‐
gno: anche Gesù ha avuto biso‐
gno della barca per parlare a più
persone, ma vi rendete conto.
Lui non si è messo a fare il mo‐
naco Zen sulla spiaggia colle‐
gandosi con la mente di ciascu‐
no perché tutti potessero sentir‐
lo bene nell’auricolare del loro
cuore: ha voluto la barca di Pie‐
tro, ci sarà un perché. E noi
dobbiamo convertirci, pensarci
anche noi a questa Chiesa, an‐
che quando c’è il prete che non
ci piace, anche quando c’è qual‐
cuno che ci irrita, sappi che su
questa barca c’è il Signore. E il
Signore sta anche con quelli che
non ti piacciono, sta con il prete
che ti annoia, con quello che ti
disturba.
La fede: senso della distanza
Seconda riflessione: la fede è
una scoperta del senso di di‐
stanza tra noi e Gesù. “Signore
vattene da me, io sono troppo
lontano da te”. Non so se anche
voi avete fatto l’esperienza che,
a volte, più si prega, più si va in
chiesa, più ci si confessa e più si
scopre di essere lontani: è
un’esperienza bellissima perché
la fede è quella roba lì.
Ho già citato quest’immagine
ma è la più bella che mi viene in
mente: è come Willy il Coyote
con Bip Bip. Lui sa che non lo
prenderà mai, ma continua a
inseguirlo. Il cristiano è così,
come Willy il Coyote (e io sono
per sua la beatificazione). È così.
Il cristiano è un coyote, passa‐
temi il termine, che vede questa
distanza e sente che in questa
distanza c’è la sfida, ecco, que‐
sta è la fede.
Io allora mi ricordo, nel 1988,
quando ho capito quanto ho
sbagliato e mi sono incontrato
di più, è cosi. Il problema è
quando non riconosci questo, il
problema è quando sei a posto,
il problema è quando ti senti in
una falsa capacità: è lì che sei
morto perché non ti importa più
di nessuno e di niente. È come
nel rapporto di coppia: come fai
a ri‐innamorarti di una donna, di
un uomo se non ti riconosci bi‐
sognoso di cambiamento. Come
fai se non senti la distanza che
c’è tra te e lei, tra te e lui e non
hai voglia di colmarla, anche se
sai che non ce la farai mai? È co‐
sì, anche con il Signore: la fede è
percepire questo senso della di‐
stanza così la propria povertà
diventa una ricchezza.
Io lo so che questo Papa tra i più
tradizionalisti dà fastidio perché
continua a dire che lui è un pec‐
catore però, scusate, non mi
sembra che Pietro abbia comin‐
ciato diversamente. E forse po‐
trà risultare più incisiva una
Chiesa che dice anche ai nostri
figli, ai nostri ragazzi: “Guarda
che ho sbagliato anch’io, come
te – come te ‐ però vediamo che
cammino possiamo fare insie‐
me”. Il senso della distanza è
una bellissima cosa: quando uno
dice che non può fare il catechi‐
sta, che non può prendere que‐
sto ministero della Chiesa per‐
ché… non ne è all’altezza, allora
va benissimo! Se non sei
all’altezza, allora vai bene!
La fede: antidoto alla paura
Terza e ultima cosa è che la fede
è l’antidoto migliore alla paura.
Ho in mente una frase di Luigi
Santucci nel suo commento
all’Apocalisse. Luigi Santucci è
questo scrittore bravissimo che
dice. “Un giorno la paura bussò
alla porta: la fede andò ad apri‐
re ed ecco, non c’era nessuno”.
La porta è quella della tua vita,
della nostra vita; prima o poi la
paura di qualcosa, dalla paura
del buio che abbiamo da piccoli
alla paura di rimanere soli en‐
trano nella nostra vita, e tutte le
paure, dicono gli psicanalisti,
sono tutte figlie dell’unica gran‐
de paura: la paura della morte.
L’affidamento, la consegna di sé
ad un Dio che ha vinto la morte
è la sfida di tutta una vita. La
paura è il contrario della fede!
La paura che il Signore ti chieda
di più, la paura che il Signore ti
impegni, la paura che il Signore
ti metta in discussione. Sì, chi
non ha fede è perché ha paura.
E la paura è normale.
Domande per riflettere
Allora vi lascio queste tre do‐
mande su queste tre piste molto
semplici.
La prima, sulla fede che è una
scoperta di Chiesa: è bello nel
silenzio chiederci cosa è per me
la Chiesa. Cosa vuol dire per me
la Comunità, cosa vogliono dire
per me le nostre parrocchie,
l’esperienza ecclesiale che sto
facendo, che magari mi fa veni‐
re il vomito. Cerco la comunità
ideale o la comunità così com’è
perché ci sono dentro anch’io
che non sono l’ideale di uomo o
di donna. E se ci sto dentro
anch’io, perché non possono
starci dentro gli altri che non
sono ideali secondo me?
La seconda domanda potrebbe
essere questa: la mia fede quan‐
to mi inquieta? La fede è la sco‐
perta del senso della distanza.
Allora che cosa mi inquieta nel
mio modo di vivere la Chiesa?
Che senso ho della distanza tra
me e Cristo? Mi sento a posto?
E la terza domanda sulle paure:
che paure ho io nella vita? È bel‐
lo ogni tanto ricordarselo: la pa‐
ura di rimanere soli, la paura
della vecchiaia, quella della sof‐
ferenza. La morte mi fa paura?
Ho paura che i miei figli ne
combinino qualcuna? Signore,
ho paura di questo, tirami sulla
barca. Quali sono le paure che
abbiamo?
Ecco, vi invito a riprendere il
salmo che trovate sul foglio e a
rileggerlo come Pietro l’avrebbe
letto quella sera lì. Poi scoprite
quella bellissima preghiera di
Sant’Ignazio che è un affida‐
mento meraviglioso. Lui ci è ar‐
rivato alla fine della vita, nella
Compagnia. Noi la reciteremo
insieme alla fine.
Esponiamo ora il Santissimo Sa‐
cramento e stiamo in silenzio
davanti a Lui.
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La trascrizione della riflessione