3 marzo
2011
anno
XI
n. 13
Periodico a cura della Scuola di giornalismo diretta da Paolo Mieli nell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli
www. unisob.na.it/inchiostro
Che cosa c’è
oltre le icone
di Livio Pane
L’attore Gaetano Esposito Pulcinella per Inchiostro (foto di Enrico Parolisi)
Il rapporto tra Napoli e le sue maschere
è tutt’altro che svanito. Nonostante passino gli anni e le mode, Pulcinella resta un
simbolo. Ferito, agonizzante, continua a vivere nei vicoli, nelle botteghe d’artigianato
visitate - sempre meno - dai turisti di tutto il mondo. Si nasconde nelle viscere che
custodiscono tesori antichi e mal sfruttati;
nei volti e nei gesti di chi ha portato Napoli nel mondo, a teatro come al cinema e in
tv; nelle mille produzioni, appuntamenti e
idee che questa terra partorisce e che spesso
passano inosservate.
In queste pagine abbiamo cercato di
portare alla luce quello che c’è dietro la maschera, nel bene come nel male. L’abbiamo
fatto non solo parlando dell’icona più riconoscibile e famosa, ma anche portando alla
luce una città lontana dagli stereotipi che
crea e produce. Abbiamo chiesto a Renzo
Arbore di raccontarci il suo Massimo Troisi,
ultima maschera nell’immaginario collettivo. E ci siamo addentrati nelle strade di San
Giorgio a Cremano dove è vissuto. Napoli è
ancora nelle rughe di Pulcinella. E l’uomo,
come Pulcinella, “è ora naufrago, ora superstite”, scrive Domenico Rea. Intorno alla
sua figura da decenni c’è dibattito. C’è chi,
come il maestro Oliva, chiede che cambi
per continuare ad essere ambasciatore della città. Altri, come Lello Esposito, pensano
che la maschera resti la più fedele rappresentazione della tradizione napoletana. La
storia resta sempre la stessa alle pendici del
vulcano: gioie e dolori, a turno, “se palesano
e s’ammacchiano” in un simbolico nascondino immutabile da secoli.
Giù la
maschera
Oliva: «Pulcinella è fermo a Petito, bisogna guardare avanti»
Il maestro artigiano descrive come vorrebbe il futuro ambasciatore napoletano
di Enrico Parolisi
«Pulcinella oggi deve cambiare. Così com’è, è una figura statica e irreale». Il maestro Salvatore Oliva, artista e
storico creatore di maschere che lavora nel cuore di Napoli, ha le idee chiare sull’icona partenopea, a cui riconosce
una potenza comunicativa unica.
«Attraverso Pulcinella – afferma Oliva – si può comunicare con chiunque, anche se non napoletano. Infatti ce
n’è uno srilankese, francese, americano, inglese. Questa
figura ha avuto la capacità di propagarsi a 360 gradi sul
globo, ha il dono innato di raggiungere l’animo umano.
Vuoi per la gestualità, per i suoi colori bianco e nero, due
estremi che si riuniscono in una sola figura e contengono
tutto il fascio cromatico… Non ha bisogno di aprire porte
per comunicare».
Secondo il maestro artigiano, queste doti lo rendono
il giusto ambasciatore di Napoli nel mondo, ma è rimasto fermo al primo ‘900. «Inviamo nel mondo un oggetto
della nostra cultura fermo a Petito, esportiamo un’imma-
gine che non è dei nostri tempi. Spaghetti e mandolino li
abbiamo abbandonati da tempo”.
Allora Pulcinella è morto? Qualcuno ha tentato nobilmente di dare modernità al personaggio. Oliva ha la sua
ricetta per dare nuovo lustro alla maschera: «Chi vuole
risollevarla deve parlare da subito, all’intero mondo, delle problematiche contemporanee. Pulcinella deve essere
come la Pietà di Michelangelo: quando
la vedi, non pensi
che è stata scolpita
nel ‘500, ne resti
semplicemente
stupito».
Diventare eterni e parlare di attualità, usare una
maschera secolare
per parlare di oggi.
Salvatore Oliva
«Non siamo distanti
così tanto da “Chisto è ‘o paese d’o sole”. Pulcinella gioca
ancora con il sole, non quello che si vede in cielo però.
Il sole diventa un concetto cosmico in contrasto con la
guerra ad esempio. E Pulcinella diventa un tramite per
rappresentare altre cose, inviare altri messaggi».
Altrimenti si finisce, come oggi, con il trasmettere
un’immagine falsa della città attraverso il suo simbolo.
«Il turista arriva a Napoli – conclude Oliva – e compra
il Pulcinella a 2 euro con il tamburello o il numero del
lotto. Prima di tutto, a quel prezzo non puoi comprare
l’artigianato vero. E ancor peggio in tutto il mondo si diffonde un’immagine oleografica in centinaia di migliaia
di copie sotto forma di pupazzetti. Che cosa trasmettono
questi pupazzi? Che ai napoletani piace il lotto, la cabala».
Il video su InchiostrOnline:
http://www.unisob.na.it/
inchiostro/video.htm?idvd=785
SOTTOSUOLO
L’ULTIMA MASCHERA
PLASTICA ADDIO
SPORT
La città e le ricchezze
delle sue viscere
Le foto della polis
sotto i Girolamini
Renzo Arbore ricorda
Massimo Troisi:
«Pensavamo di incidere
un album insieme»
La busta shopper
va in pensione
Siamo pronti
all’eco-rivoluzione?
I supporter azzurri
non piangono più
Come è cambiato il tifo
da Diego a Cavani
pagg. 2-3
pag. 5
pag. 8
pag. 12
NAPOLI UNDERGROUND
pagina
2
pagina
inchiostro n. XIII – 2011
Napoli underground: riscoprire
Sotto l’asfalto c’è una Partenope tutta
di Giulia Savignano
In queste pagine, le foto esclusive scattate da Livio Pane
e Jessica Mariana Masucci nel complesso di Girolamini.
Sopra, l’ingresso principale all’acquedotto della «Bolla»
Città stratificata e preziosa
ma i napoletani non lo sanno
di Sergio Napolitano
A distanza di quasi tremila anni Napoli è una città
poggiata sulla sua storia. Una storia riscoperta, come
spiega l’architetto e urbanista Salvatore Di Liello, grazie anche ai finanziamenti che hanno permesso al
capolougo campano di poter costruire la nuova linea
della metropolitana.
Per Di Liello Napoli è immersa e sommersa dalla
storia ma resta ancora poco valorizzata.
I cittadini napoletani conoscono realmente la propria città?
«In modo superficiale. Se facciamo riferimento a
una conoscenza della sedimentazione urbana, poi, la
formazione dei cittadini partenopei è estremamente
fragile».
Che cosa si può fare per diffondere meglio la cultura delle stratificazioni?
«Innanzitutto, la conoscenza negli abitanti di Napoli si deve creare nelle scuole a tutti i livelli, dalle primarie alle secondarie senza tralasciare nessuno».
Il ventre della città è ricco di stratificazioni di diverse epoche. Secondo lei cosa ancora la città di Napoli
può restituire ai suoi abitanti? C’è ancora qualcosa che
non è emerso?
«In seguito alle nuove acquisizioni dagli scavi archeologici della metropolitana ci sono molte cose da riscrivere. Mi riferisco alla fase greca e, forse precedente
a quella greca, in particolare ai ritrovamenti avvenuti
nel cantiere della metropolitana di piazza Nicola Amore. Parte di questi reperti emersi nelle diverse fasi dei
lavori sono stati mostrati a lungo nella mostra permanente del Museo Archeologico».
In che modo è possibile valorizzare il sottosuolo?
«In parte lo si sta facendo con i nuovi progetti e finanziamenti destinati alla costruzione della linea della
metropolitana: ne sono un esempio le fermate di piazza Nicola Amore, della Borsa, del Municipio. Grazie ai
nuovi fondi destinati alla costruzione della nuova linea
ferroviaria per queste nuove acquisizioni sono stati
previsti itinerari fruibili».
I lavori della metropolitana stanno invadendo o
aiutando a riscoprire il patrimonio partenopeo ancora
nascosto?
«Hanno favorito un approfondimento della conoscenza perché altrimenti non ci sarebbero mai stati
fondi da spendere in maniera concreta rispetto allo
scavo archeologico. Ai fini conoscitivi non si sarebbero
mai investiti capitali. La costruzione della nuova linea
della metropolitana è stata un motore di approfondimento».
Immaginiamo Napoli come una maschera. Se
all’improvviso la togliessimo cosa vedremmo?
«Bisognerebbe essere estremamente distratti per
non accorgersi delle stratificazioni che offre la città di
Napoli. Molto spesso questo patrimonio colpisce di più
la suggestione dello straniero che l’occhio del cittadino
partenopeo. Non c’è bisogno di togliere maschere».
Dire che sappiamo cosa c’è sotto i nostri piedi è sbagliato.
C’è tutto un mondo al riparo dalle luci e dai suoni della città, che svela di volta in volta i suoi segreti. L’ultimo, qualche
giorno fa, è la scoperta del ponte più antico di Napoli, che ha
resistito a guerre e terremoti da 2000 anni a questa parte,
dall’epoca romana a oggi. Una meraviglia architettonica nascosta nelle viscere del chiostro dei Girolamini.
L’ennesima dimostrazione che nel ventre di Napoli riposa
un’altra città che, come la sorella del piano di sopra, non riesce a trovare pace.
Cavità naturali, testimonianza della sua natura tufacea
si alternano a gallerie artificiali scavate nella roccia per allungare la lista degli itinerari turistici o per motivi legati al
miglioramento di servizi del territorio soprastante. Spesso
poi, come testimonia la cronaca degli ultimi anni, i corridoi
sotterranei si trasformano nella via di fuga di ladri o nella
peggiore delle ipotesi entrano nei piani di smaltimento dei
rifiuti come eventuale discarica sotterranea.
Da sempre oggetto di scavo per la presenza di materiali
idonei alla costruzione, il sottosuolo napoletano è stato sfruttato dai Greci per rispondere alle esigenze di approvvigionamento idrico della città e per recuperare materiale da costruzione per erigere gli edifici. Da qui la realizzazione di un
acquedotto che permetteva di raccogliere e distribuire acqua
potabile grazie a una serie di cisterne collegate a una fitta rete
di cunicoli, l’acquedotto della Bolla.
In epoca romana urbanisti e ingegneri arricchirono la città
dell’acquedotto Augusteo convogliando a Napoli l’acqua del
Serino. Una rete di approvvigionamento che arrivava fino
alla Piscina Mirabilis, struttura inserita oggi nel complesso
archeologico di Miseno.
I Romani realizzarono notevoli scavi per la costruzione di
strade che collegassero con percorsi brevi le località costiere.
La Grotta di Seiano venne realizzata per congiungere la piana
di Bagnoli con il vallone della Gaiola e oggi fa parte del Parco
Archeologico-Ambientale del Pausilypon. Anche la Grotta di
Cocceio, un traforo che collegava Cuma con il lago di Averno,
testimonia l’attenzione degli antichi per lo sfruttamento del
sottosuolo.
Ma tra le gallerie
ereditate
dai Romani la
Crypta Neapolitana è senza
dubbio
quella
che più ha influenzato le tradizioni di Napoli. Scavato nel
tufo della collina
di Posillipo, il
tunnel collega
Piedigrotta con
Il secondo ingresso che porta al tunnel
Fuorigrotta,
dei Girolamini recentemente scoperto
quartieri
che
devono appunto l’origine dei loro nomi al fatto di collocarsi
l’una ai piedi e l’altra al di là della grotta. Tradizione vuole
che la galleria sia stata realizzata da Virgilio in una sola notte
col ricorso alla sua potente arte magica, leggenda alimentata
dal fatto che nei pressi dell’ingresso orientale c’è un colombario identificato con la tomba del poeta.
Successivamente, agli acquedotti di epoca greco-romana
Un percorso di 530 metri risalente all’epoca borbonica
Viaggio nel tempo con il “tunnel”
di Emanuela Vernetti
che permetteva ai “monacielli” di non perdersi nelle cavità
sotterranee. Il disegno di una montagna sovrastata da una
Il ventre di Napoli si apre al pubblico e svela i segreti del croce indicava l’arrivo a Monte di Dio. Lungo i cunicoli tufasottosuolo. Otto rampe di scale, dal basso di un ex studio vete- cei, tradizione e storia si intrecciano perché le testimonianze
rinario, diventano la porta d’ingresso per le viscere della città. ritrovate parlano di diverse epoche passate. Durante la seDopo 150 anni dal progetto ideato da Ferdinando II di Borbo- conda guerra mondiale il tunnel si trasforma in un ricovero
ne e del suo architetto Enrico Alvino, l’associazione cultura- bellico, come testimoniano le scritte sui muri: “Noi vivi” o
le “Borbonica Sotterranea” guida i visitatori in un percorso la data di un bombardamento “26 aprile 1943 allarme delle 13,20”. «Vicino a ogni
a spasso nel tempo. Una
rampa d’accesso ci sono
vera a propria finestra sul
dei bagni – continua Mipassato resa possibile dal
nin –. Una posizione strageologo Gianluca Minin,
tegica per facilitare chi si
ideatore del progetto e dalla
sentiva male, dopo essere
passione di tanti volontari
sfuggito a un bombardache in cinque anni hanno
mento. Accanto agli schetrasformato un cumulo di
letri dei letti abbiamo tropietre e rifiuti in un percorvato dei giocattoli costosi
so avventura. Per i lavori di
per l’epoca, segno che le
sistemazione, iniziati nel
persone che qui si rifugia2005, si sono potuti avvavano erano benestanti».
lere solo di pale, picconi e
Le auto e le moto d’epoca
carriole. Comune e privati
rendono poi ancora più
non hanno dato una mano
suggestivo il percorso.
per agevolare l’iniziativa.
Nel dopoguerra infatti il
Il tunnel borbonico
L’unico finanziatore dello
tunnel era utilizzato come
scavo è la Banca Popolare di
Milano. Lungo 530 metri, il tunnel attraversa il Monte Echia deposito giudiziario per le auto accidentate, non omologate e
fino ad arrivare a via Morelli. Un percorso sotterraneo nato quindi sequestrate. Ogni lamiera nasconde una storia. C’è la
con scopi militari per consentire lo spostamento delle truppe Fiat usata dai contrabbandieri di sigarette che porta ancora i
borboniche dal Palazzo Reale alla caserma di via della Pace. segni dello speronamento delle gazzelle dell’epoca, una veUn passaggio segreto e non solo. Il tunnel, infatti, intercetta spa con l’adesivo della soubrette del momento e una Gilera
anche le cisterne dell’acquedotto settecentesco ed è in questa contraffatta che si ispira al modello Harley Davinson. Nel
rete di cunicoli che nasce la leggenda del “monaciello” che dopoguerra, infatti, era diventato usuale imitare i modelli
l’associazione borbonica omaggia, riproducendo le fattezze americani. In queste cattedrali nel tufo spuntano anche deldegli antichi “pozzari” nell’atto di arrampicarsi lungo i poz- le statue bianche, squadrate risalenti all’epoca fascista. Altra
zi. «Sembravano dei piccoli monaci – spiega Gianluca Minin chicca storica è il cumulo di materiali di risulta e rifiuti da– per i cappelli che indossavano per proteggersi dall’umidità. tati almeno tre secoli. Un piccolo ammasso è rimasto all’inConoscevano talmente bene il sottosuolo che sapevano per- terno del tunnel, per sensibilizzare le persone al problema
ambientale. «E’ quasi un simbolo della città far convivere i
fettamente a ogni pozzo che casa corrispondeva».
Ed è ancora visibile l’incisione di un “segnale stradale” rifiuti accanto a bellezze che tutto il mondo ci invidia».
3
il passato guardando al futuro
da sfruttare, tra caverne e catacombe
si aggiunse quello moderno del Carmignano.
Dopo alcuni anni durante i quali le cavità caddero in disuso, lo scoppio della seconda guerra mondiale segnò l’inizio
del loro nuovo utilizzo.
Per offrire rifugi sicuri alla popolazione si decise di adattare le strutture dell’antico acquedotto alle esigenze dei cittadini. Furono allestiti in tutta Napoli 369 ricoveri in grotta e
247 ricoveri anticrollo. Testimonianze di vita quotidiana di
cui sono piene
anche le pareti della cavità
utilizzate come
rifugio. Dopo la
guerra il sottosuolo divenne
lo
sversatoio
privilegiato delle macerie dei
bombardamenti
e di altri rifiuti.
Dopo anni
di scavi e di bonifica, e grazie
Particolari della città greca nascosta sotto
il chiostro dei Girolamini
all’impegno di
volontari che si
calavano nelle viscere di Napoli oggi è possibile conoscere
quel tesoro attraverso l’itinerario della “Napoli Sotterranea”.
Una discesa nel cuore del centro storico della città che regala ai suoi visitatori un viaggio a ritroso nel tempo. Scavo
dopo scavo dalle viscere di Napoli emerge sempre qualcosa di antico. È accaduto con i lavori della metropolitana, più
volte interrotti nei cantieri di Piazza Municipio a causa del
ritrovamento dell’antico porto romano. È successo anche
con l’anfiteatro flavio ridato alla luce all’Anticaglia, in pieno centro storico. Una straordinaria testimonianza di epoca
romana adibita nei secoli a diversi usi: prima cisterne, poi
stanze di appartamenti e una fabbrica di camicie.
Nello spazio che fu del teatro anche i resti di una piccola
necropoli.
Di cimiteri sotterranei è piena la città. Le catacombe di
San Gennaro, San Gaudioso e San Severo sono state riscoperte e valorizzate attraverso percorsi guidati e visite serali
che hanno restituito a una zona degradata come il rione Sanità la speranza del riscatto, almeno attraverso il tesoro artistico che custodisce.
Il sottosuolo partenopeo rappresenta una risorsa preziosa
per la realizzazione di parcheggi interrati. Ultimo in ordine
temporale il garage Morelli, ricavato nei sotterranei che si
incrociano con le gallerie del tunnel borbonico. Nel progetto
del Comune sono previsti diversi parcheggi sotterranei nel
quartiere Vomero-Arenella. I lavori per la costruzione sono
già cominciati, accompagnati dall’ira dei residenti e dei commercianti della zona.
Pochi fondi e tanti reperti: le stazioni saranno museo
A lezione di storia in metrò
di Francesca Marra
se dal passato e ricostruire l’intero paesaggio costiero degli
antichi siti di Parthenope e Neapolis. «La straordinarietà dei
Il sottosuolo napoletano smetterà di regalarci pezzi di sto- resti emersi in piazza Municipio ha comportato variazioni al
progetto, i reperti saranno valorizzati all’interno della futura
ria. O forse no.
«In questo momento tutto ciò che c’era da scoprire è stato stazione», conferma Daniela Gianpaola, responsabile degli
scoperto, gli scavi per i lavori di costruzione del metrò hanno lavori degli scavi del centro storico. Se questo però sarà possiraggiunto il tufo, sotto il quale non vi è più nulla» si dice cer- bile nel caso delle anfore, dei vasi e delle ceramiche, nonché
ta Giovanna Torcia, responsabile per la stampa della società dei fondali del porto di Neapolis, risalenti a un periodo che
va dal IV sec. a. C al V sec.
Metropolitana di Napoli.
d. C., la situazione per le
Dal 1999, anno d’inautre imbarcazioni romane
gurazione della tratta metrovate nel 2004 durante
tropolitana Dante - Garii lavori è più complicata.
baldi, con l’apertura dei
Al momento i relitti si
cantieri per la realizzazione
trovano presso un capandei tunnel sotterranei, tannone climatizzato a Piscitissimi sono stati i ritrovanola, conservati all’intermenti archeologici che hanno di vasche. Dovranno
no visto la luce. Sepolti sotto
essere restaurate: «L’opeanni di storia, hanno resirazione è complessa e
stito a passaggi di epoche
onerosa e vanno acquisite
e d’influenze artistiche. Le
ingenti risorse economisorprese, però, potrebbero
che – continua Gianpaola
arrivare ancora dal cantiere
–. L’esposizione richiede
di piazza Municipio, scelta
un luogo appositamente
La linea 1 del sistema metropolitano di Napoli
come stazione d’interscamdedicato, che non può esbio tra la Linea 1 e la Linea
6 della metropolitana. Dai sondaggi geo-archeologici svolti sere individuato all’interno di spazi museali già esistenti».
dalle squadre di esperti coordinate dalla Soprintendenza per Caso diverso è quello del tempio risalente al I-II sec. d.C.
i Beni Archelogici nello scavo della Linea 6 ci sarebbero al- rinvenuto a piazza Nicola Amore durante i lavori per la cotri reperti relativi a edifici di età angioina e fortificazioni di struzione della fermata Duomo. Smontato e catalogato, sarà
epoca aragonese che diventeranno materiale espositivo della ri-allestito interamente nella stazione ed esposto al pubblico.
stazione. «Le indagini provocheranno nuovi ritardi – conti- Anche in questo caso, conferma la Soprintendenza, non si
nua Torcia – anche se da questo momento in poi contiamo può ancora parlare di tempi e modalità. «Dipenderà dalla
di non avere più alcun impedimento nel rispettare la tabella programmazione del completamento della linea e dalle ridi marcia». In questi 12 anni i lavori per la costruzione del sorse finanziarie concesse dal Comune», conclude Gianmetrò, se da un lato hanno riconsegnato un patrimonio arti- paola. Le lastre marmoree e le decorazioni rinvenute nello
stico e storico d’inestimabile valore, dall’altro hanno subito scavo dei Quattro Palazzi, sulle quali compaiono i nomi dei
continui rallentamenti, a volte dei veri blocchi delle attività, vincitori dei giochi Isolimpici, si trovano attualmente presso
dovuti agli interventi di tutela del patrimonio da parte della la galleria di collegamento tra la stazione Museo della metro
Soprintendenza, interpellata per analizzare le vestigia emer- e il Museo Archeologico Nazionale.
Il pozzo bianco dei Girolamini
Parla Bruno Discepolo:
utilizziamo le grotte
di Angelo De Nicola
Quando si parla di sviluppo delle aree urbane ci si
imbatte nel fenomeno dello “sviluppo verticale”. Partendo dal basso molte zone di Napoli hanno recuperato spazi che sembravano difficili da trovare. Il Centro
Direzionale di Napoli è un esempio: un insieme di
moderni grattacieli che, sorti nel quartiere di Poggioreale, a ridosso della Stazione Centrale di Napoli, costituiscono un’intera cittadella. Progettato dall’architetto
giapponese Kenzo Tange, l’intero complesso è stato
completato nel 1995. È l’unico insieme di grattacieli
d’Italia e dell’Europa meridionale. Abbiamo chiesto a
Bruno Discepolo, presidente dell’Associazione Sirena,
le prospettive per la città partenopea.
Il garage di via Domenico Morelli è ricavato dalle
grotte sottostanti Monte Echia. Opere del genere, nel
prossimo futuro, cambieranno il volto di Napoli?
«L’esempio del garage di via Morelli è significativo
per capire quali sbocchi possa avere lo sviluppo sotterraneo. Il garage è stato, per tutta la sua lunghezza,
costruito in una serie di grotte e caverne che non venivano utilizzate. Questo comporta non solo benefici per
i cittadini, per l’eventuale parcheggio, ma anche meno
problemi di viabilità in superficie con meno traffico».
Il futuro dello sviluppo verticale sembra portare a
Bagnoli...
«È in corso una profonda trasformazione che porterà al riutilizzo di molte aree nei Campi Flegrei. Ci sono
progetti in corso e sarà possibile costruire per sfruttare
al massimo gli spazi disponibili, cambiando parzialmente il volto di uno dei quartieri più importanti».
Le vele di Scampia sono un esempio di sviluppo verticale, ma la struttura, nel corso di tanti anni, ha subito
sia elogi che critiche. Perché il progetto ha in parte fallito i suoi propositi?
«Scampia e Bagnoli sono profondamente diverse e
non è possibile applicare, a entrambe, lo stesso concetto. Costruite tra il 1962 e il 1975 e progettate da Franz
Di Salvo, facevano parte di un progetto abitativo di
larghe vedute che prevedeva anche uno sviluppo della
città di Napoli nella zona est, ovvero Ponticelli. Si è parlato di possibili migliorie alla struttura, che non sono
mai state fatte».
Nel centro storico qual è l’obiettivo da perseguire?
«Napoli ha delle aree antichissime che raccontano,
attraverso le strutture e le sue opere, la storia della città. Il centro antico corrisponde al primo insediamento di Neapolis del V secolo a.C. città nuova, chiamata
così per differenziarla da Palepolis, o Partenope, città
vecchia che sorgeva nella zona di Pizzofalcone. L’impianto urbanistico di Neapolis aveva una struttura “a
scacchiera” formata da tre grandi strade orientate da
est a ovest, dette decumani. Il centro antico di Napoli
riveste una notevole peculiarità rispetto a quello delle
altre città italiane».
LE MASCHERE DI NAPOLI pagina 4
pagina
inchiostro n. XIII – 2011
Napoli è la capitale del barocco
Lello Esposito racconta la città attraverso le maschere, dal primo Pulcinella a Ranieri
di Gennaro Di Biase
Napoli non esiste forse come città, ma come teatro esiste sicuramente. Eduardo Scarpetta, suo figlio Eduardo De
Filippo, il principe Antonio de Curtis, Massimo Troisi: in
molti hanno vestito l’anima della Napoli del Novecento. Ma
descrivere il volto della maschera passata è difficile come
indovinare il volto di quella futura. Eppure Pulcinella, l’incontrastato eroe al contrario di Partenope, è stato afferrato
da Domenico Rea, in “Gesù, fate
luce” del 1950: «La sua astuzia
nasce dalla necessità di difendersi, il suo amore è sempre totale.
La sua brama di mangiare e bere
senza far niente contiene un’accusa contro la società parassitaria
in cui Pulcinella si mosse. Questa
maschera è positiva e resta ancora
la più seria interpretazione della mentalità napoletana, attenta
a rubare un attimo di godimento, con qualunque mezzo, per la
fondamentale ragione che la vita
è un mare, ora buono ora cattivo,
e l’uomo ora un naufrago, ora un superstite».
Raccontare la maschera equivale ad alterarne l’immagine. «Ho provato a scolpire il volto di Totò, il mento, la mimica di
volto e corpo – dice Lello Esposito, artista
napoletano -, ma mi sono accorto che è impossibile riprodurne l’espressione. A un
certo punto è necessario forzare la mano e
trasformarlo in maschera».
Con Esposito, che ha costruito una
carriera vincente sui simboli riconoscibili
della città, si può viaggiare comodamente tra le maschere
napoletane. Il suo atelier, a palazzo San Severo in piazza
San Domenico, è la casa di Pulcinella, vari San Gennaro e
Vulcani stilizzati; l’altra casa (l’altro atelier) dei simboli partenopei l’ha costruita a New York nel 1975, nel cuore dell’arte globale. Solo a Napoli il santo può diventare maschera,
e per il giubileo Esposito ha preparato su commissione del
cardinale Sepe un San Gennaro di marmo da 4 metri, per
esporlo in museo: «Napoli è un barocco esistenziale. In questo barocco ho scelto Pulcinella come compagno di viaggio
scomodo, e l’ho rilanciato negli anni Settanta come un virus
che si diffonde. Molti bottegai di San Gregorio
Armeno hanno imparato da me. La maschera che
ci appartiene è fatta di viscere, di forte identità e
metamorfosi. Più sono forti le identità e più si comunica: sono le viscere a comunicare».
La domanda è istintiva: cosa
hanno in comune i grandi
interpreti della maschera napoletana del Novecento? «Peppe Barra, Rino Marcelli, Tommaso Bianco e Massimo Ranieri sono stati grandi
Pulcinella. Oggi non vedo interpreti in grado di esprimere
la contemporaneità di Pulcinella. Per quanto riguarda la
grande triade, Eduardo è popolare e sofisticato, il mio amico
Troisi disperato e comico, Totò il vero maestro della smorfia.
Tutti hanno in comune un segreto: essere geniali significa
essere semplicemente veri. Essere se stessi, raccontare le
proprie verità emotive. Nel comunicare se stessi, più si riesce a essere legati alle proprie radici e più si è universali. Al
contrario, più ci si sente universali più si resta provinciali».
In un filmato
esclusivo, Troisi rende omaggio a Esposito: «Il merito dell’arte
di Lello è che anche
un ignorante come
me si è innamorato
di lui. E noi ignoranti siamo tantissimi.
Io parlo, come lui, a
tutti gli ignoranti del
mondo».
Mettersi in gioco
anche tra le lacrime,
imbarazzarsi e giocare d’astuzia: spogliarsi è il carattere
principale della maschera napoletana,
che spunta fuori da
ogni gesto di Troisi,
timido ma provocatorio, garbato ma
indiscreto.
Il fatto è che togliendo la maschera, sotto può apparire qualsiasi
cosa. Ed è esattamente questo diritto
dell’immaginario che essa rivendica
con la sua esistenza. «La nostra maschera ci consente di parlare napoletano in tutto il mondo», conclude
Esposito.
Napoli-teatro è lo specchio di un palcoscenico sociale
in cui la maschera è tutto ciò che resta per smascherarsi,
per parlare la lingua della verità. Come scrive il semiologo
Roland Barthes in “La camera chiara” del 1980, «la società
diffida del senso puro: essa vuole che vi sia del senso, ma al
tempo stesso vuole che questo senso sia circondato da qualcosa, un rumore che lo renda meno acuto».
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«Io, Massimo e il disco mai inciso»
Arbore: «Avevamo in progetto di registrare un album di canzoni napoletane»
di Pasquale Napolitano
di canzoni napoletane». Il comico amava molto la tradizione musicale della
Firenze, trasmissione televisiva sui sua terra: «Le sue canzoni preferite erarapporti tra Italia e Stati Uniti d’Ame- no “Palomma” e “Lusingame”». Non
rica,
consolo melodie,
duce Renzo
Massimo
Arbore. Lo
Troisi viveva
sketch cotutte le facmico, ideato
ce di Napoli,
dal condutche riportava
tore, ruota
nei suoi film
attorno a un
e nelle sue
equivoco:
apparizioni:
l’ospite non
«Dopo granha capito il
di maschere
tema della
come Eduarserata e si è
do De Filippo
preparato a
e Totò, Masomaggiare
simo è stato
Firenze con
l’erede della
Arbore e Troisi
una canzorappresenne; il conduttore accetta il cambiamen- tazione delle tematiche napoletane: il
to, ma l’invitato, al suono di un man- disincanto, la religione, l’ironia». Altro
dolino, inizia a cantare in napoletano. pregio: «riusciva ad affrontare i luoghi
Quell’ospite non è toscano, ma cam- comuni con originalità, ribaltando la
pano e viene da S.Giorgio a Cremano: concezione della città». Difficile, per i
Massimo Troisi interpreta la gag tra le nuovi comici, raccogliere questa ererisate del pubblico e del conduttore.
dità: «Oggi non c’è la stessa potenza,
«Andai a trovare Massimo per pro- manca la capacità di improvvisare. Vieporgli questa scenetta – racconta Arbo- ne costruito tutto a tavolino, usando lo
re – e lui accettò subito. Non c’era un stile di Drive-in». Nemmeno un nome?
gran lavoro dietro le sue apparizioni, Si, se si resta nel campo dello “scrivere e
molto era lasciato all’improvvisazione». recitare”: «Io trovo molto bravo VincenRenzo Arbore, clarinettista jazz (stando zo Salemme, ma non viene sfruttato abal suo bigliettino da visita), ama prepa- bastanza». L’improvvisazione di Troisi
rare numeri per gli artisti a cui poi fa da è lontana. Sono lontani la sua mimica,
spalla. Per Massimo Troisi nutriva una il suo coinvolgimento, la sua generosiforte ammirazione, come del resto per tà. Distanti anche le sue pellicole. «Non
la città partenopea: «Amo Napoli e Mas- so su cosa avrebbe fatto un film oggi.
simo ne è stato un grande interprete. Ultimamente si era dedicato a storie di
Pensammo anche di incidere un album fantasia e preferiva farsi guidare. Non
credo avrebbe trattato argomenti di cronaca, ma sicuramente sarebbe riuscito
a trovare un’altra idea potente: riusciva
a fare sempre cose diverse». Arbore porta con sé un ricordo prezioso sul primo
film girato da Massimo Troisi: «M’invitò a una proiezione privata di “Ricomincio da tre”. Nessuno poteva prevedere il
successo di quella sua prima avventura
cinematografica, anche lui si sentiva
messo alla prova e non era convinto del
risultato». Com’era l’ultima grande maschera partenopea lontano dai riflettori? «Timido e riservato: spesso evitava
di accompagnarmi
a teatro, per evitare
di firmare i tanti autografi che gli avrebbero chiesto». Nella
vita di tutti i giorni,
«Massimo era preoccupato per la sua città, anche se gli anni
in cui ha vissuto hanno avuto momenti di
grande gioia, come la
vittoria del secondo
scudetto». Non aveva un carattere o degli sitli di vita molto
elaborati, restava semplice in ogni cosa.
Anche in cucina: «Non ricordo un suo
piatto preferito, solo che gradiva molto
le frittate che spesso gli mandavo tramite una donna delle pulizie che avevamo
in comune».
Con semplicità, dal cabaret al cinema, Massimo Troisi ha trasformato la
“smorfia” (quella del trio) in irripetibile
ritratto della città di Partenope.
Di Carlo, le “spalle” del Postino
di Violetta Luongo
Di spalle attraversa in biciclette le stradine procidane,
il suo profilo è noto e caro a tutti. È quello di Massimo
Troisi nel suo ultimo film “Il postino”. Un pulcinella
senza maschera che vive di spontaneità senza tradire
mai le sue radici napoletane. Questo è il Troisi di Gianni
Scotto Di Carlo. È lui nelle scene in cui l’attore sangiorgese appare di spalle. Scotto di Carlo aveva 20 anni quando
ha recitato come controfigura di Troisi.
Che compito aveva?
«Aiutavo Troisi nella fase di preparazione della scena, da regista aveva bisogno di studiare la
sequenza dall’esterno. Mancando la controfigura
ufficiale, suo cugino, l’ho sostituito per cinque
giorni».
Che cosa ha significato lavorare con Troisi?
«Ero un suo grande fan lo imitavo da ragazzino
e mi identificavo con lui. Incontrarlo è stata la realizzazione di un sogno, durato però poco. Alla gioia dell’incontro e della breve condivisione di lavoro
è subentrato il dolore alla notizia della sua scomparsa a pochi giorni dalla sua partenza da Procida.
Il dispiacere è stato condiviso da tutta l’isola».
Come fu il vostro primo incontro?
«Mi accostai con la trepidazione di un fan che
incontra il proprio idolo, Massimo si comportò con
spontaneità e umanità come un amico di vecchia data.
Era un uomo semplice e alla mano».
Ricorda un aneddoto particolare?
«Il film era girato nel villaggio dei Pescatori della Corricella. C’erano i mondiali di calcio e la regia chiese di
togliere le antenne che contrastavano con il tempo storico del film, gli isolani protestarono e la troupe per farsi
perdonare mise un maxischermo. Ogni sera vedevamo
tutti insieme le partite, fu indimenticabile».
A San Giorgio Troisi vive ancora
Dal Bar dello Sport al teatro degli esordi: viaggio nella città natale dell’attore
di Alberto Canonico
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Il 19 febbraio Massimo Troisi avrebbe compiuto 58 anni
e, come ogni anno, San Giorgio a Cremano, la sua città natale, lo ha ricordato con varie iniziative. La città è da sempre
legata a un filo diretto con l’attore sangiorgese. Negli anni,
senza non qualche difficoltà, l’amministrazione comunale
ha cercato di mantenere viva l’immagine di Troisi nei cuori
della cittadinanza e di chi volesse conoscere più da vicino i
luoghi che accompagnarono l’infanzia e la crescita dell’attore dal punto di vista professionale e non solo. «Un tour
ufficiale dei luoghi da poter visitare, dove conoscere la storia
di Troisi, al momento non esiste - dice Michele M. Ippolito,
capo ufficio stampa del Comune di San Giorgio a Cremano ma si può immaginare una passeggiata in città alla scoperta
dei luoghi dove Troisi mosse i primi passi della sua intensa
carriera».
L’attore di “Ricomincio da tre”, “Scusate il ritardo” e “Il
postino”, solo per citarne alcuni, era molto legato alla sua
città natale e non mancava mai di ricordarlo. Intervistato da
Gianni Minà in occasione della vittoria dello scudetto del
Napoli Troisi ringraziò Maradona e compagni come cittadino di San Giorgio a Cremano e a nome di tutta la cittadinanza.
Immaginando un itinerario tra i luoghi
rappresentativi della vita di Troisi non si
può che partire dalla piazza a lui dedicata:
un’ampia agorà, costituita da panchine e
giardinetti, inaugurata dall’amministrazione comunale nel 1998 alla presenza
dell’allora ministro degli Interni Giorgio
Napolitano. Nei pressi di Piazza Troisi è
sempre aperto il “Bar dello sport” dove
l’attore amava trascorrere le sue giorna-
te in compagnia degli amici. Molte battute, riprese nei suoi
film, sono nate proprio dalle chiacchierate tra ragazzi che
avvenivano seduti ai tavolini del bar. Poco più in là, a sinistra della Piazza, c’è un muro rosso, quel che resta della
casa dove l’attore passò la sua infanzia. Continuando questo
ideale giro turistico si imbocca via Sant’Anna dove c’è l’omonima parrocchia dove Troisi fu battezzato. Di fronte alla
chiesetta, a pochi passi dalla strada principale, al turista che
è alla ricerca dei luoghi dove Troisi è vissuto, si presenta una
piccola cappella votiva, dove campeggia una foto dell’attore.
A 50 metri abita la sua famiglia, da sempre molto riservata, che ama ricordare il proprio caro in forma privata e senza
clamori. Ripercorrendo a ritroso il tragitto, ripassando per
Piazza Troisi, si prende via Cavalli di Bronzo e si arriva a Villa Bruno. La struttura fa parte del percorso delle ville vesuviane del Miglio d’Oro, definito così per la ricchezza storica
e paesaggistica e per la presenza dei palazzi del Settecento.
Da molto tempo Villa Bruno è il centro culturale della
cittadina; ospita concerti, manifestazioni e, soprattutto, il
premio dedicato all’attore Troisi, rivolto ai giovani comici
emergenti. Al primo piano della villa si può ammirare la
bicicletta del film “Il postino”, acquistata dall’amministrazione comunale a un’asta di beneficenza per la cifra di 15
milioni di lire. L’attore riuscì a terminare, a fatica, il grande capolavoro cinematografico e morì nel sonno, nella casa
della sorella Annamaria a Ostia, per attacco cardiaco, il 4
giugno 1994, lasciando così un vuoto incolmabile nella cinematografia italiana.
Da Ostia le spoglie dell’attore arrivarono al cimitero comunale di via San Giorgio Vecchio. Qui, la tomba dell’attore
prende posto all’interno della congrega di San Raffaele, che
non è visitabile. Per chi vuole pregare e rendere omaggio
all’attore, in fondo al cimitero, c’è il monumento funebre
dedicato a Troisi. Ogni anno, il 19 febbraio, alla presenza
delle istituzioni cittadine, un fascio di luce blu parte dalla
struttura in pietra a simboleggiare la continua connessione
tra cielo e terra, tra la città e l’attore sangiorgese. A San Giorgio Vecchio c’è, poi, il “Centro Teatro Spazio”, un teatro sperimentale che si può visitare previo accordo con la famiglia
Borrelli che lo gestisce. Qui nacque “la Smorfia”, il gruppo cabarettistico formato dal trio Troisi – Arena – De Caro,
attivo negli anni settanta e ottanta che, prendendo spunto
dalle situazioni quotidiane della Napoli dell’epoca, puntava
l’indice su temi più disparati quali la religione, l’occupazione (e disoccupazione), il folklore e le tradizioni ancora vive
nel napoletano. Uno show che è rimasto nelle menti dei cittadini per la novità e le battute esilaranti.
Per concludere questa ideale visita non va
dimenticata Villa Vannucchi, un’altra delle ville del Miglio d’oro, dove si girò la primissima scena del film “Ricomincio da tre”
in cui Lello (Arena) chiama a squarciagola
Gaetano (Troisi). La villa è stata restaurata
grazie ai 10 milioni di euro stanziati dalla
Regione Campania e oggi è diventata il “Palazzo delle Arti Vesuviane”, che ogni anno
ospita mostre d’arte e fotografiche.
Da sinistra la chiesa di Sant’Anna, il palco del Centro Teatro Spazio, villa Vannucchi
EVENTI pagina 6
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inchiostro n. XIII – 2011
La città ecosostenibile al Nauticsud
Le novità dell’edizione 2011 tra gare veliche e convegni
zioni (50 a vela) per le prove tecniche. Tra le iniziative collaterali figurano diverse regate veliche e gare di pesca d’altura
La 42esima edizione della fiera del mare Nauticsud apre i e incontri tematici con tavole rotonde, convegni e work shop
battenti sabato 12 e termina domenica 20 marzo. Nove gior- sugli argomenti economici e di sviluppo portuale collegati al
ni di esposizione suddivisi fra due siti: quello oramai storico mondo della nautica. Infatti il Presidente del Nauticsud Lino
della Mostra d’Oltremare e gli spazi del “Marina Nauticsud” Ferrara è anche presidente dell’Unad (Unione nazionale ara Mergellina. Nel quartiere fieristico di Fuorigrotta si potran- matori da diporto), associazione che rappresenta la categoria
no ammirare tutte le novità riguardanti la nautica 2011, ma dei diportisti, che ha tra le sue funzioni il supporto allo svinon solo. Infatti gli oltre 350 espositori forniscono una gam- luppo del settore della nautica e del diportismo attraverso le
ma di prodotti molto ampia. Oltre al mondo del mare saran- idee e la progettualità. Da anni combatte contro l’immobilino presenti stand che promuoveranno novità per la casa, il smo delle istituzioni per la creazione di nuovi waterfront per
la città di Napoli.
giardino e per la cura del corpo.
Porto come centro della città dunque, sulla scia di BarAlla Marina invece saranno presenti centodieci imbarcacellona e Valencia, per rendere
Napoli città di riferimento nel
Mediterraneo per i traffici turistici e di merci. Quest’anno al
Nauticsud particolare attenzione è dedicata alle problematiche
relative all’ecosostenibilità, alle
barche e motorizzazioni ecologiche, alle regole del navigare
sostenibile, alle tecnologie e alle
soluzioni per minimizzare l’impatto ambientale, senza rinunciare al comfort.
L’ampliamento dello spazio
riservato al mercato della vela,
con oltre 50 imbarcazioni esposte al “Marina Nauticsud” di
Mergellina, si riscontra anche
nella sezione “terrestre” alla
Mostra d’Oltremare con una
rappresentanza di prodotti e serLa zona espositiva di “Marina Nauticsud”
7
La Carmen al San Carlo dopo 11 anni
Seguirà il “Romeo e Giulietta” con Bolle protagonista
di Anna Elena Caputano
di Enrico Parolisi
vizi dedicati ai velisti.
Altra presenza alla 42esima edizione del Nauticsud è
quella del settore artigianale che ha avuto un incremento e
maggiori consensi in virtù della crisi economica mondiale,
che ha invece penalizzato le grandi industrie e i grandi cantieri. Alla Mostra d’Oltremare oltre 47.000 metri quadri di
superficie espositiva, tra aree coperte e scoperte, accoglieranno i visitatori con orario prolungato il sabato e la domenica
(10,30 – 21,00), mentre durante la settimana il Salone sarà
visitabile dalle 12,30 alle 20,00. Apertura costante invece,
dalle 10,30 alle 19,30, per tutti i nove giorni di esposizione
e prove a mare al “Marina Nauticsud” di Mergellina, dove
sono ben 720.000 i metri quadri a disposizione dell’evento.
Carnevale, la riscoperta delle radici
La passione torna al San Carlo. Nel
cartellone di marzo del Massimo ci
sono due ritorni: la “Carmen” di George
Bizet e il balletto “Romeo e Giulietta”.
Entrambi gli spettacoli non venivano
rappresentati da tempo: l’ultima messa
in scena della “Carmen” risale al 2000
per la regia di Pappi Corsicato, mentre
l’ultimo “Romeo e Giulietta” è del 2003.
La regia dell’opera lirica è del coreografo
Micha van Hoecke, mentre Romeo verrà interpretato da Roberto Bolle. L’etoile
della Scala ha ricoperto lo stesso ruolo
nel 2003, alternandosi all’epoca con il
napoletano Giuseppe Picone, nello spettacolo con la coreografia di sir Kennett
McMillan su musiche di Sergej Prokofiev. Stavolta danzerà la coreografia di
Amedeo Amodio sulle musiche di Hector Berlioz.
Se “Romeo e Giulietta” è stato rappresentato un numero esiguo di volte al San Carlo,
la “Carmen” vanta molte rappresentazioni. «Napoli è legata a quest’opera perché la prima
esecuzione assoluta in Italia è stata proprio qui», ricorda Enrico Tellini, corrispondente della
rivista inglese “Opera” e tra i fondatori dell’associazione “Gli amici del San Carlo”. «Era il 15
novembre 1879 e fu rappresentata al teatro Bellini - continua -. La prima messa in scena era
avvenuta il 3 marzo 1875, all’Opéra Comique di Parigi. La “Carmen” è arrivata al San Carlo
qualche anno più tardi, nel 1885». L’opera, in quattro atti, su libretto di Henry Meilhac e Ludovic Halévy, è tratta dalla novella omonima di Prosper Mérimée del 1845.
Tanti i ricordi delle messe in scena, ma qualcuno è davvero particolare. «In passato l’opera veniva cantata in italiano, non nella lingua originale francese - dice Tellini -. Nel 1960 il tenore Mario Del Monaco convinse l’allora sovrintendente Pasquale Di Costanzo a realizzare una versione
della “Carmen” con il mezzosoprano russo Irina Arkhipova, che aveva conosciuto durante una
tournèe in Russia. La cantante conosceva l’opera in francese, non in italiano. La sera della
prima, l’11 dicembre 1960, Del Monaco con lei cantava nella lingua originale mentre con gli
altri personaggi e con il coro in italiano. Nell’ultimo atto, al momento del duetto finale, la
Arkhipova dimenticò il francese e cantò in russo. Quella sera l’opera fu cantata in tre lingue:
in italiano, francese e russo». Per Tellini, «la “Carmen” migliore è andata in scena il 28
marzo 1968, con protagonista Grace Bumbry, una cantante dalla voce suggestiva e dalla forte
presenza scenica. Per molti melomani è la più bella “Carmen” in assoluto. La versione della
regista Lina Wertmuller, andata in scena il 10 dicembre 1986, è stata geniale. All’epoca rappresentò una modernizzazione, per le scenografie di legno diverse dalle solite e le automobili
Cabriolet d’epoca sul palco. Martha Senn e Luis Lima interpretarono benissimo i protagonisti
Carmen e Don Josè. La regista fece muovere benissimo tutti i cantanti e la messa in scena
ebbe una forte aderenza con il testo». La “Carmen” andrà in scena dall’8 al 13 marzo, mentre
“Romeo e Giulietta” sarà rappresentato dal 22 al 29 marzo.
Il San Carlo di Napoli
Marzo tra sculture e notti d’Oriente
MONTEMARANO
SAVIANO
AGROPOLI
LO SPETTACOLO
LA MOSTRA
IL MUSICAL
Con i Caporabballo
tra sfilate e tammorra
Satira ed enogastronomia
nel Carnevale agronolano
La festa è una maratona
Dura trentotto giorni
“La scuola delle mogli”
smaschera Molière
Il Cristo Rivelato
dello scultore non vedente
I Pooh musicano
la favola di Aladin
di Emanuele De Lucia
di Romolo Napolitano
di Alessandro Di Liegro
di Paola Cacace
di Cristiano M.G. Faranna
di Lorenzo Marinelli
Una festa danzante, liberatoria, ai limiti frenetici del
delirio. A 820 metri di altezza, Montemarano, in provincia di Avellino, tutto l’anno aspetta il Carnevale per ritrovare il sapore della tradizione. S’indossa una maschera,
s’impugnano ciaramelle, tammorre e castagnole e ci si
scatena fino all’alba. Il Carnevale montemaranese inizia il 17 gennaio, giorno dedicato a Sant’Antonio abate
e si conclude la domenica
dopo le Ceneri. Tutto il
paese viene allestito con
decorazioni carnevalizie
ed è un tripudio di colori,
suoni e maschere. Si celebra un rito che ha origini
pagane, ripreso e divulgato nel XVII secolo dal poeta e scrittore napoletano
Giambattista Basile che fu
signore e governatore di
Montemarano. Gli appuntamenti più importanti
sono fissati nella settimana di Carnevale. Domenica 6 e lunedì 7 marzo si sfila in maschera con gli alunni
delle scuole elementari, accompagnati dal gruppo folkloristico Zompacardillo; la sera lo spettacolo continua
nei locali. La mattina di martedì grasso un laboratorio
introdurrà i partecipanti alla tarantella montemaranese,
guidata dai Caporabballo, originali pulcinella della zona.
Venerdì 11 e sabato 12 gli spettacoli “La tarantella più lunga della storia” e “Piccimondo Folk”.
L’appuntamento più atteso è previsto domenica 13,
con il “Carnevale morto”: un commiato funebre e ironico
da Carnevale, la lettura del suo grottesco testamento e le
danze fino a notte inoltrata, quando viene rotta la “Pignata”, dalla quale fuoriescono biscotti e dolciumi.
Domenica 6 e martedì 8 marzo si svolgerà a Saviano la
trentatreesima edizione del “Carnevale… se chiammava”.
Per le strade della cittadina dell’agronolano sfileranno
13 carri frutto del lavoro di altrettanti rioni. I temi, come
ogni anno, variano dai cartoni animati, come “I puffi” e
“Cattivissimo me”, all’Oroscopo passando per la politica, il tutto trattato con ironia e nell’ottica dissacrante del
Carnevale. Nato nel 1979,
la sfilata dei carri allegorici
affonda le sue radici nelle
feste contadine legate al
martedì grasso e ad altre
manifestazioni più esotiche, come il Carnevale africano, diffuso sul territorio
già a partire dagli anni ’30.
L’evento sarà preceduto e
seguito da tutta una serie
di appuntamenti enogastronomici organizzati nei
rioni e da altre manifestazioni come il torneo di
scacchi, l’esibizione di artisti di strada e la Coppa Carnevale di ciclismo. «Abbiamo
addobbato le 4 porte della città grazie agli artisti savianesi – spiega il neo presidente della Fondazione Carnevale
Pasquale Napolitano -. Stiamo cercando di far diventare
la sfilata un po’ più competitiva con premi per la migliore
coreografia, il miglior balletto e il miglior travestimento,
così da stimolare e incentivare la creatività. L’obiettivo
per i prossimi anni è quello di potenziare il ruolo dei ragazzi nella manifestazione».
Nel Carnevale savianese non ci sono né lanci di uova
o farina, né l’uso di bombolette spray. Inoltre è vietata
la vendita di superalcolici. Qui si ci può divertire senza
esagerare né danneggiare nessuno.
Ad Agropoli il Carnevale dura 38 giorni. Tanti quanti
quelli che trascorrono dal primo evento programmato alla
chiusura della manifestazione. Per festeggiare i 40 anni
di Carnevale gli organizzatori dell’associazione “Il Carro”
hanno pensato di fare le cose in grande. Quest’anno si è
cominciato il 29 gennaio con il concorso nazionale “Maschera, identità, metamorfosi” per la realizzazione del
manifesto del Carnevale,
che ha visto vincere un’interpretazione del pirata
Kajardin. In realtà si tratta di una rievocazione del
saraceno Kair El Din, che
nel XVI secolo ha invaso
Agropoli. Per esorcizzarne
la figura gli organizzatori
hanno pensato di adottarlo come simbolo di gioia
e felicità mascherandolo
e vestendolo a festa. Il 26
febbraio l’elezione di Miss
Carnevale è il secondo degli step di avvicinamento
alla sfilata dei carri. Il 5 marzo, vigilia dell’inizio della
festa, nella piazza principale di Agropoli “Quest’anno
il vestito me lo faccio da me”, evento onnicomprensivo
dove fra musica e balli tutti i partecipanti, soprattutto i
bambini, avranno a disposizione tessuti e altri materiali
per realizzarsi da soli il propri abito carnevalesco. L’evento vero e proprio inizierà però il 6 marzo, con la prima
sfilata dei carri allegorici condotti dai maestri cartapestai,
che partiranno dal Lungomare e arriveranno a piazza Vittorio Veneto. L’otto marzo la sfilata conclusiva. Musica,
balli e scherzi faranno da cornice e accompagneranno i
visitatori del Carnevale. L’anno scorso furono 80.000,
quest’anno gli organizzatori ne attendono molti di più.
«Molière è il primo a togliersi la maschera». A parlare è Valter Malosti, premio Ubu 2009, regista e attore
del Teatro di Dioniso. La sua compagnia sarà a Napoli
con “La scuola delle mogli” del drammaturgo francese.
«Ho scelto un testo carico di tutta l’eversività di Molière,
tradotto male in Italia per anni e quindi non compreso
a fondo». Più che uno scrittore un teatrante scontratosi
con la realtà napoletana: «Di grande ispirazione per lui
era la maschera di Scaramouche, di origini partenopee».
Sul palcoscenico costumi dai colori neutri ma carichi, in
contrasto con i colori vivi della scenografia le cui ombre
rendono l’atmosfera visionaria: «Mi sono ispirato a Fellini, e a Tim Burton – confessa il regista che specifica –
l’ambientazione è un immaginario ‘800, rispetto al ‘600
di Molière». Un trucco perché i protagonisti sono borghesi: «Ma in Italia il secolo della borghesia è l’ottocento,
mentre il nostro è il secolo in cui si tenta di mantenere
l’ignoranza».
Il Molière politicamente scorretto e crudele dava
in realtà voce a tutti, e grazie a rime e ritmo faceva
ridere. «Per renderne la
musicalità in scena portiamo un mix d’italiano e
francese maccheronico».
Ma è pur sempre la storia
di una bambina di 4 anni
«venduta per essere impalmata qualche anno più
tardi. Strano. Mi ricorda
qualcosa che ho letto sui
giornali».
Il “Cristo Rivelato”, la scultura creata dall’artista non
vedente Felice Tagliaferri che già dal nome richiama il
Cristo Velato di Sammartino, verrà esposta fino al 13
marzo nel Museo Archeologico. «L’opera nasce da un
rifiuto di farmi toccare l’originale – dice il maestro – ed
è una scultura molto simile al Cristo Velato, ma per i
non vedenti. La sua particolarità è che non si rovina con
una sfregata di mani». Una denuncia forte nei confronti
dell’intero mondo dell’arte per dimostrare che «non succede niente se 2000 mani toccano un’opera. È come un
ricco possidente che ha una bella statua in giardino. Non
la fa toccare ma sole, pioggia, grandine, la scalfiscono
ugualmente». La rivelazione è un processo triplice che
coinvolge e richiama autore, pubblico, arte. «È nato senza
fede, ma mano a mano che lavoravo il sentire è cresciuto.
Non si può, senza fede, usare quella dolcezza, delicatezza, che servono per plasmare il Cristo deposto».
«Durante la rifinitura
ho assistito a miracoli davvero grandi. Da tutta Italia
sono arrivati pullman colmi di persone disabili che
armate di pietra hanno levigato il marmo». L’artista
gestisce una scuola di arti
plastiche a Sala Bolognese.
La “Chiesa dell’arte” offre a
bambini, anziani e disabili
l’opportunità di esprimere
la propria creatività.
«Diciamo che io ho dato
qualcosa a Cristo e Cristo
ha dato qualcosa a me».
Dal 4 al 13 marzo atmosfere da Mille e una Notte nel
colossal di danza e musica, prodotto dalla romana Nausicaa, che ha richiesto 3 anni di progettazione. La regia è di
Fabrizio Angelini, le musiche dei Pooh, e poi effetti speciali, imponenti scenografie, sontuosi costumi e maschere: “Aladin” è frutto delle ambizioni di Stefano D’Orazio
che, dopo il successo del musical “Pinocchio”, decide
di portare in giro per l’Italia le atmosfere delle strade di
Baghdad. «Ho subito parlato del progetto con Manuel
Frattini – dice D’Orazio – per me era l’unico possibile
protagonista. Il mio Aladin è uno scugnizzo scanzonato,
generoso, con un bel senso dell’amicizia, curioso e intraprendente, ma anche tenero e disperato quando gli eventi
lo mettono di fronte a un amore impossibile». A indossare il gilet del genio della lampada è un Roberto Ciufoli
adrenalinico, fanatico, imponente e fracassone. La Principessa Jasmine è interpretata da Valentina Spalletta, che
in passato ha preso parte
ad altre grosse produzioni. «Nel corso della lavorazione – racconta D’Orazio – questa Jasmine, la
scoprivo un’antesignana
femminista». I 18 brani
sullo sfondo sono in tipico stile Pooh. Un mix che
sorprende e riempie i teatri. Una fiaba che racconta
un Oriente affascinante e
lontano. Dopotutto, chi,
almeno una volta, non ha
sognato di fare un giro sul
tappeto volante?
DATA: dal 16 al 27 marzo
LUOGO: Teatro Mercadante, piazza Municipio (NA)
DATA: dal 26 febbraio al 13 marzo
LUOGO: Museo Archeologico, piazza Museo (NA)
DATA: dal 4 al 13 marzo
LUOGO: Teatro Augusteo, piazza Duca D’Aosta (NA)
AMBIENTE ED ECONOMIA
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COSTUME E SOCIETÀ
inchiostro n.XIII – 2011
Buste di plastica, pronti all’addio
Dal primo gennaio le classiche shopper sono finite nel cassetto, ma non i problemi
di Annalisa Perla
Addio vecchi sacchetti di plastica. Dal primo giorno del nuovo anno è vietata la commercializzazione delle buste in polietilene.
Almeno sulla carta. Sono ancora molte, infatti, le scorte di magazzino che potranno essere distribuite gratuitamente fino a esaurimento. «Una svolta epocale» per il Wwf, che
da anni ne denuncia la dannosità ambientale. Ma le polemiche non mancano. «Queste
buste biodegradabili si rompono subito». E’
la lamentela di Anna, all’uscita di un minimarket nel centro di Napoli. E non è la sola
ad avere problemi. Il signor Nicola è scettico: «Vado spesso a far la spesa nei centri
commerciali fuori città. Mi riprometto sempre di portarmi dietro i sacchetti riutilizzabili che ho comprato, ma puntualmente me ne
dimentico e sono costretto a comprarne di
nuovi». I clienti non hanno reagito benissimo alla nuova norma. «Ma è solo questione
di abitudine», dice ottimista un negoziante
del Vomero.
I problemi, però, non riguardano solo la
propensione dei consumatori all’utilizzo dei
sacchetti bio. «Dopo il divieto, si è creata una
vera giungla», ha denunciato Unionchimica. Secondo l’unione della piccola e media
industria chimica che associa produttori e
trasformatori di materie plastiche il problema è «la mancanza di decreti attuativi che
regolamentino, in maniera chiara, tempi e
modi di smaltimento delle scorte e che indi-
chino i requisiti tecnici che i materiali da utilizzare per le nuove buste devono avere per
rispondere alla biodegradabilità richiesta».
Perciò, Delio Dalola, presidente nazionale dell’associazione, ha scritto al ministro
dell’Ambiente chiedendo
regole certe.
Il divieto, introdotto
dalla Finanziaria 2007,
doveva
inizialmente
scattare nel 2010, termine successivamente
prorogato dal governo.
Ma anche quest’anno
il rischio proroga era
nell’aria. Il ministro
Prestigiacomo si è
battuto per evitarne
lo slittamento.
Le associazioni
dei
consumatori
hanno gioito della
decisione e spesso
spronato gli amministratori locali a
lanciare campagne
di sensibilizzazione già mesi prima
dell’entrata in vigore. Com’è accaduto a Caiazzo, piccolo comune del Casertano, uno
dei primi in Italia a bandire il polietilene,
con il progetto “No plastic bag”.
Esultano naturalmente le associazioni
ecologiste. Legambiente a dicembre ha effettuato un sondaggio in 80 città, dal quale
emergeva la disponibilità degli
italiani a dire addio
alla vecchia borsa in
plastica. «E’ la rivincita degli strumenti
utilizzati dalle nonne, come sporte
in tela e carrelli
della spesa» si
legge in una
nota del Wwf.
Una
minaccia in meno
per l’ecosistema.
Secondo
il Programma
delle
Nazioni
Unite per l’ambiente, infatti,
l’immissione dei
sacchetti in polietilene ogni anno
provoca la morte
di 100mila mammiferi
marini,
oltre a danneggiare agricoltura
e pesca. Per essere prodotti, hanno bisogno
di grandi quantità di petrolio e possono rimanere nell’ambiente dai 15 ai 1000 anni.
L’Italia deterrebbe il record dei consumi,
con oltre il 25% del totale dei sacchetti uti-
lizzati nell’Unione Europea. Inoltre, sono in
molti a pensare che riciclarli o recuperarli
non conviene, dati gli elevati costi.
Di diverso avviso Walter Regis, direttore
generale di Assorimap, l’associazione nazionale dei riciclatori delle materie plastiche,
che preme sul Ministero affinché riveda la
legge. Secondo Regis, infatti, oggi il circuito italiano della raccolta differenziata svolge
un’attività di riciclo di circa 300mila tonnellate all’anno di rifiuti di imballaggio in
plastica. Il 20% è costituito dalle shopper.
«Andando verso l’azzeramento della produzione di buste di plastica si mette in ginocchio un comparto, quello delle aziende
del riciclo, tra le più efficienti d’Europa».
A difesa della plastica come importante risorsa se raccolta e riciclata, Assoripam sta
lanciando una campagna per l’uso delle bag
riutilizzabili ottenute da materiale plastico
al 100% riciclato. Intanto le grandi catene
di distribuzione hanno dovuto adeguarsi e
propongono diverse alternative al vecchio
bistrattato sacchetto. Oltre alle borse in bioplastica riutilizzabile, che si degradano naturalmente nell’ambiente, sacchetti di carta
e sacchi in tessuto: cotone, iuta o canapa.
Auchan s.p.a. era stato pioniere, anticipando
di oltre un anno l’iniziativa ecologica. Dal 1°
luglio 2009, infatti, nei negozi della catena
di supermercati francesi si è detto addio al
sacchetto di plastica. Al loro posto alle casse
diverse eco-opportunità: dalla sporta biodegradabile a quella riutilizzabile.
Luca, il batterio salvaspazzatura è senza fondi
Il microrganismo che trasforma rifiuti in energia non è finanziato dal ministero
di Francesca Romaldo
Munnezza: Napoli la crea e Napoli la distrugge. La soluzione allo smaltimento dell’immondizia nasce da un’idea
tutta partenopea. I rifiuti organici saranno alla base della
produzione di idrogeno, grazie all’aiuto di un batterio marino scovato nelle fumarole di Pozzuoli, il Thermotoga neapolitana, in grado di sopravvivere a temperature altissime.
Il microrganismo estremofilo produce idrogeno quando
digerisce il glucosio, che ricava facilmente dagli avanzi alimentari o da qualsiasi altro carboidrato di scarto, persino dai
trucioli di legno. Da questo processo nasce anche un terreno
sul quale altri batteri possono continuare a banchettare producendo ancora idrogeno o molecole utili per la medicina e
per la chimica. Il ciclo in terreno di scarto permetterà l’uso
dei derivati organici come materiale di partenza per uno
smaltimento diretto ed ecocompatibile.
«E’ un processo che ci ha permesso una resa teorica pari
o addirittura maggiore di quella avuta con i metodi tradizionali», dice Agata Gambacorta, direttore dell’Istituto di
Chimica Biomolecolare al Cnr di Pozzuoli e responsabile
del progetto. Partendo da composti organici e batteri vulcanici sarà possibile, quindi, creare un impianto per la produ-
La sede del Cnr di Pozzuoli
zione di idrogeno che potrà essere trasformato in energia cerche all’avanguardia. Ci sono tuttora punte d’eccellenza.
elettrica. Si potranno, insomma, affrontare in un colpo solo Oggi però non si investe più in strutture e persone. Da quindue emergenze attuali: quella dei rifiuti e quella energetica. dici anni il sistema è totalmente miope. Non capiscono che
L’entusiasmo non manca. A mancare però sono i soldi. «I fi- senza ricerca di base non ci può essere innovazione». Una
nanziamenti si sono bloccati sulla scrivania di Tremonti e là situazione comune all’Italia intera e che costringe i ricercasono restati – dice Gambacorta – e senza finanziamenti non tori a cercare fortuna all’estero.
possiamo andare avanti. Abbiamo a malapena i soldi per
«Soffriamo un gap che sarà difficilissimo da colmare in
pagare la bolletta della luce». Ma non è stato sempre così. futuro. Il problema è che qui in Italia si lavora male. C’è
Come testimonia Luca, il
batterio napoletano scoperto per caso da Agata
Gambacorta. «Quarantadue anni fa – racconta –
il Cnr aveva un consiglio
scientifico di altissimo
livello e c’era bisogno
di lanciare l’istituto di
Pozzuoli». Si rivolsero
al territorio che offriva
un ottimo materiale di
partenza: le solfatare e il
mare.
«Io ero stata destinata
con il professor Mario
De Rosa all’area delle
solfatare. Ci portarono
nella zona di Agnano e ci
dissero che c’erano delle
pozze calde. Analizzando dei campioni in laboratorio ci accorgemmo di
Fumarole del vulcano Solfatara dove è stato scoperto il batterio Luca
qualcosa in crescita. La
chiamammo Caldariella
acidofila. Ci abbiamo lavorato tantissimo». Questa è la sto- stata una lenta erosione fino ad oggi. Quest’anno abbiamo
ria della scoperta dell’Ultimo antenato comune universale raggiunto livelli minimi impensabili. Così non possiamo
(Last Universal Common Ancestor), Luca appunto, da cui andare avanti».
discendono gli esseri viventi terrestri. Il nome napoletano è
I finanziamenti pubblici sono bloccati e i fondi europei
stato cambiato, per adeguarsi agli standard di nomenclatura pochi e difficili da avere, solo le industrie private sono diufficiali, ma l’estro partenopeo è restato.
sposte a investire nella ricerca, ma ancora per poco. «E’ una
«La Campania ha una marcia in più – continua Agata realtà triste. L’Italia si è chiusa in se stessa e io, in tanti anni
Gambacorta –. Intorno agli anni Cinquanta sono nate ri- di carriera, non ho mai vissuto un momento così buio».
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9
Tutti detective subito!
Il mercato delle microspie è diventato prêt-à-porter
di Jessica Mariana Masucci
Da soli montiamo i mobili dell’Ikea e i video che finiscono
su You Tube, organizziamo i viaggi estromettendo tour operator e agenzie. Sospettosi cronici, diventiamo anche investigatori fai da te.
Attorno al bricolage delle indagini ruota un mercato di
vendite di microspie e software specifici. A Napoli se ne trova
un esempio fisico. Passeggiando per una via del centro ci si
imbatte in una vetrina che attira continuamente l’attenzione dei curiosi. Sono esposti aggeggi sofisticati per filmare,
registrare o compiere altre azioni utili alla raccolta di informazioni. A volte assumono forma di oggetti
Si possono acquistare innocui, ma dal prezzo
cappellini, cravatte, all’apparenza tutt’altro
che modesto, in tempi
ganci appendiabiti
di crisi. E così un gancio
appendiabiti, semplice,
e lattine-spia
nero, costa 320 euro; un
cappellino con la visiera
290 euro, una cravatta
190; lattine uguali a quelle reali di Coca Cola 268 euro, senza
alcuna differenza tra la classica rossa e quella a zero calorie.
Il titolare del negozio, Antimo Capasso, ha aperto a inizio
febbraio questo punto vendita. Il novanta percento del lavoro della “No Detective” però si svolge su internet, da quattro
anni. Scrivendo la parola “microspia” sul motore di ricerca, il
sito campano è tra i primi dieci risultati. La rete è il più grande spazio espositivo per questi articoli, soprattutto se diretti
a una clientela di privati, che trovano in questo mezzo un
modo per mantenere la riservatezza sull’acquisto. «Di persona il cliente si presenta per comprare solo se è particolarmente motivato. Altrimenti entrano persone incuriosite, danno
un occhio ai prodotti e poi vanno via», dice Capasso. Il target
dell’acquirente medio, spiega, è adulto: «I ragazzi sono abituati a smanettare da soli al computer». I prodotti più richiesti sono i software-spia per i cellulari. Facciamo un esempio.
Con un colpo di mouse si può spalancare la porta a pagine e
pagine di siti sugli “spy phone”. È un comune telefonino al
quale un programma permette di intercettare le telefonate,
le conversazioni ambientali, messaggi di testo in entrata e in
uscita e altre funzioni.
Le intercettazioni in questo caso sono solo un tassello della delicata questione del rispetto della privacy. Il rischio per
chi si avventura nel campo
dell’indagine fatta in casa
è penale, una violazione
di norme sulla tutela della
libertà e segretezza delle
comunicazioni che può
costare la reclusione in
carcere da sei mesi a quattro anni. I siti avvisano di
non essere responsabili se
l’acquirente fa un uso improprio di un registratore,
una telecamerina o altro.
Capasso conferma: «Non
vogliamo conoscere le motivazioni personali dell’acquisto.
Sono i clienti che fanno esternazioni spontanee. Una signora
è entrata dicendo: “Mi sto vedendo con il mio ex fidanzato,
ma lui non mi vuole più… Cosa posso fare?”».
Schizzo d’Inchiostro di Anna Lucia Esposito
Lo spettacolo campano:
ecco le cifre della crisi
di Egidio Lofrano
Fare spettacolo non è solo un tassello, seppure importante, dell’offerta culturale di una regione. È anche un comparto, economicamente
rilevante e collegato a tanti segmenti produttivi,
che può diventare la leva per rilanciare lo sviluppo di un territorio. Questa la tesi degli operatori campani del mondo dello spettacolo, che
si oppongono alla riduzione degli incentivi, e in
particolare alla scelta del governo di dimezzare
il Fus, il Fondo unico per lo spettacolo.
Basta scorrere i dati per capire quanto il settore in Campania sia in sofferenza, con distanze
nette rispetto ai prodotti di regioni come Lazio,
Toscana, Veneto ed Emilia Romagna. Dal volume “L’industria dello spettacolo in Campania”,
diffuso dalla sezione regionale dell’Agis, l’associazione generale italiana dello spettacolo,
emerge una fotografia aggiornata al 2009 con
dati significativi: 12 mila addetti direttamente
impiegati nel settore, oltre 15 milioni di spettatori, un volume d’affari di 215 milioni e un calo
degli incentivi statali e regionali al comparto.
Nel solo triennio 2007-2009 si è registrata
una diminuzione di oltre 2 milioni e mezzo di
persone che hanno seguito un evento teatrale,
una rappresentazione musicale o una proiezione cinematografica. Il dato non ha influito sul
monte ricavi, vista la spesa superiore pro capite
dei cittadini campani ai botteghini, 31 euro contro i 25 euro della media italiana.
A questo bisogna aggiungere il taglio degli
incentivi statali e regionali, che ammontano a
210 milioni tra il 2007 e il 2009. Primo nodo
spinoso è l’entità del fondo Fus, di cui la Campania riceve il 6% del totale nel 2009: a livello nazionale il record negativo di 414 milioni
di euro previsti nel 2010 (pari allo 0,026% di
incidenza sul prodotto interno lordo) è solo un
gradino verso una diminuzione ulteriore, che
porterà il fondo a poco oltre i 300 milioni nel
biennio 2011/2012, vista l’esclusione di un provvedimento di reintegro delle risorse nel decreto
Milleproroghe. Se si passa al sostegno regionale previsto dalla legge quadro n°6 del 2007 si
registra un ulteriore calo del 15%, con lo stanziamento di 54 milioni di euro a fronte dei 60
disponibili. Ultimo punto è l’intervento comunitario. Nell’ambito dei 110 milioni previsti per
lo sviluppo regionale dal Por Fesr 2007-2013
sono stati impegnati già oltre 78 milioni, con
altri 31 ancora da assegnare.
Una situazione critica che spinge a individuare nuove forme di finanziamento. Da un
lato «bisogna studiare un piano per suddividere le risorse, definendo le priorità», commenta
Riccardo Mercurio, docente di Economia aziendale all’Università “Federico II” di Napoli, e
dall’altro «è fondamentale coinvolgere nel settore i privati per coprire una fase di debolezza della pubblica amministrazione, semplificando le
procedure burocratiche per poter attrarre nuovi
capitali». Per Bruno Zambardino, docente di
Organizzazione ed Economia dello spettacolo
all’Università “La Sapienza” di Roma, «lo spettacolo deve essere inserito nel perimetro dell’industria della creatività, con nuovi parametri per
la valutazione dei risultati finali che influiscano
sulla distribuzione dei fondi».
L’avvocato: «Legge incerta
No all’uso in tribunale»
di Antonio Frascadore
La vendita e l’usufrutto di telecamere nascoste è legale ma si corre il rischio di intaccare la privacy delle
persone. «Cimici e miscrospie possono essere venduti
liberamente, il problema vero è l’utilizzo». Parla l’avvocato penalista Paola Iazzeolla che non ha dubbi sull’argomento. «In realtà - sottolinea - non
è vietata la vendita di questi oggetti.
Il rischio è l’utilizzo improprio che
spesso si fa di queste cose».
Secondo la penalista l’esistenza
di negozi che fisicamente o attraverso siti on line vendono prodotti da
007 non è contraria alla legge ma gli
eventuali risultati di indagini personali non possono poi essere utilizzati
in giudizio.
«Non vi sono leggi che regolano
l’utilizzo di oggetti da investigazione - prosegue -. Per ora è possibile la
commercializzazione di questi prodotti ma la dottrina
non si è ancora espressa a riguardo o almeno non lo ha
fatto nel dettaglio. Assistiamo a un tam tam mediatico
senza precedenti. Anche una intercettazione sembra
una alternativa all’ordine del giorno. Non è cosi».
«Prima di procedere all’ascolto di una conversazione
il giudice deve autorizzare l’operatore rispettando tutti
i criteri e gli iter legislativi - continua -. In questo caso
l’acquisto di prodotti da agente investigativo non presuppone autorizzazioni, quindi concluderei affermando che questi oggetti anche se acquistati possono essere
utilizzati solo a scopo personale senza la possibilità di
successivo utilizzo dei risultati in sede penale o civile».
Alle aziende, invece, tutto o quasi è permesso. «La
Corte di Appello - conclude -, invocando precedenti della Corte di Cassazione, ha dichiarato legittimi i controlli esercitati da dipendenti di una agenzia investigativa
operanti come normali clienti di un esercizio commerciale».
LA NAPOLI CHE PRODUCE pagina 10
pagina
inchiostro n. XIII – 2011
Napoli produce: un mese di parole,
11
suoni, arte e software per cucinare
IL LIBRO
LA MOSTRA
IL REPORTAGE
L’APPLICAZIONE IPOD
L’Italia spaccata in due dal “Terronismo”
Castel Nuovo ospita la “risonanza” di Fiore
In Tanzania per salvare gli albini
La cucina partenopea si fa app
di J.M.M.
di Francesca Saccenti
Il 23 marzo, a sei giorni dal 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia, esce il nuovo
libro di Marco Demarco “Terronismo - Perché l’orgoglio (sudista) e il pregiudizio (nordista) stanno spaccando l’Italia in due”, edito da Rizzoli. A Napoli sarà presentato il 29
marzo, presso la Feltrinelli di piazza dei Martiri.
«Dopo la pubblicazione di “Terroni” di Pino Aprile (ed. Piemme, 2010 ndr.) mi hanno
chiesto di scrivere una replica o comunque un’interlocuzione - afferma l’autore -. Alla fine
non è stata una risposta a quel libro, quanto piuttosto una riflessione su atteggiamenti
neo sudisti e neo borbonici». Demarco è direttore del Corriere del Mezzogiorno, fondato
nel 1997 insieme con Paolo Mieli, al ritorno dal viaggio in cui è diventato cittadino onorario di Memphis.
“Terronismo” è un saggio nel quale sono analizzati vari modi di essere meridionalista: critico, orgoglioso, antirisorgimentale. Soprattutto pone l’attenzione sui localismi
estremi, il leghismo (o come il direttore lo chiama: “turboleghismo”) e il meridionalismo
neoborbonico: «Sono due opposti che si toccano, come avvenne per il terrorismo politico
degli anni Settanta. L’affinità sta nel preferire entrambi un’Italia pre-risorgimentale».
Non è il solo punto di contatto. «Alcuni leghisti,
tra cui Miglio - continua -, guardano con ammirazione al fenomeno del brigantaggio e lo considerano di grande importanza storica».
Le radici affondano nel secolo scorso, ma per
l’autore il fenomeno del sudismo estremo si è rinnovato negli ultimi cinque o sei anni come controproposta agli sviluppi della questione settentrionale: «Si è risposto nel peggiore dei modi, basandosi
sull’ipotesi di un Sud che non accetta la sfida della
modernità e preferisce ritrarsi in un ideale ritorno
all’Arcadia».
Al direttore è stato chiesto più volte cosa ne
pensasse della nascita di un Partito del Sud. «Non
sono scettico - ribadisce - su questa possibilità; un
partito di questo tipo potrebbe fare bene se legato
a un’aspirazione nazionale e risolvere il problema Il direttore del Corriere del Mezzogiorno
Marco Demarco
della selezione della classe dirigente politica al Meridione, dove adesso c’è solo un pulviscolo di partitini. E attrarrebbe anche l’elettorato di centro».
Tonalità intense, antichi tessuti e forme geometriche al servizio della pittura spirituale. Sono gli ingredienti dell’artista Mattia Fiore, che dà vita alla mostra “Risonanza
Interiore”, dal 16 al 28 marzo, nella sala Carlo V del Castel Nuovo. Un viaggio alla ricerca
dei colori caldi in un luogo d’eccezione, un percorso di immagini per raccontare, secondo
l’artista, l’essenza della vita. Pittura a olio, colori acrilici, tinte forti per descrivere gli stati
d’animo e le emozioni dell’autore. «L’universo è vibrazione. Tutto si muove. Gli atomi
si uniscono e si fondono, mentre noi percepiamo i
diversi aspetti della realtà attraverso la risonanza spiega Fiore -. Del resto diceva Goethe: se l’occhio
non fosse solare, non potrebbe fissare il cielo. E
se non avessimo una forza divina, non potremmo
estasiarci di fronte alla vita».
Il pittore napoletano, membro dell’Accademia
Internazionale d’Arte Moderna di Roma, ha esposto le sue opere in sedi nazionali e internazionali
come Londra, Montecarlo, Berlino, New York, ricevendo numerosi premi e riconoscimenti per il suo
stile, che predilige il gesto e non la forma. I suoi
lavori sono in esposizione permanente presso il
museo di Morcone di Benevento e il Convento della Basilica di San Francesco di Assisi, e non solo.
Le opere di Mattia Fiore
Uno stile che abbandona il reale, per portare avanti
in mostra a Castel Nuovo
la concezione dell’arte spirituale: i sacchi di iuta di
cento anni fa, che servivano a coprire le foglie di
tabacco, le lenzuola e i teli di lino, che venivano date in dote nell’Ottocento in Campania,
diventano i veri protagonisti della mostra. «I tessuti che utilizzo rappresentano un mezzo
dietro il quale si nasconde la sofferenza, il tempo e l’invecchiamento. La materia logora,
deteriorata dall’uso, rievoca il passato». Uno stile che si avvicina a quello del pittore perugino Alberto Burri: attraverso la negazione della forma in quanto tale, l’artista libera le
sue pulsioni attraverso il dominio del gesto, della materia e del segno. Lo spettatore non
è solo spettatore di fronte ai suoi quadri, ma diventa il vero creatore di un’opera in continua trasformazione. L’astrattismo di Fiore nasce dal desiderio di dipingere le forme per
rappresentare il loro contenuto, senza l’intervento della ragione, della logica: raccontare
il reale filtrandolo attraverso l’occhio dell’artista, l’unico vero mediatore.
LA MUSICA
Nel rap di Lucariello 150 anni d’Italia
Inchiostro
Anno XI numero 13
marzo 2011
chiuso in redazione
martedi 1 marzo 2011
di Marco Cavero
www.unisob.na.it/inchiostro
Dagli Almamegretta all’Unità. È il percorso di Lucariello, rapper napoletano che canta
oggi “I nuovi mille” in occasione del 150° anniversario dell’Italia unita. La canzone nasce
dalla penna di Giorgio Sangiuliano dei Negramaro e dell’ex Pfm Vittorio Cosma, ed è
interpretata da Lucariello in compagnia di Gerardina Trovato e del Coro di voci bianche
del Teatro San Carlo di Napoli.
Lucariello, chi sono “i nuovi mille” di cui si parla
nella canzone?
«I nuovi mille sono ragazzi di oggi, che hanno in
comune con i garibaldini il fatto di essere molto giovani e di portare avanti una battaglia anche a costo
della propria vita, per migliorare la terra nella quale
vivono. Ho cercato di descrivere dei casi limite: come
il ricercatore che continua a lavorare in Italia e il giornalista che non ha paura di fare nomi nonostante le
minacce».
Lei, Gerardina Trovato e Giuliano Sangiorgi dei
Negramaro siete giovani artisti del Sud. Quale pensa
che sia il rapporto tra meridione e resto d’Italia dopo
150 anni dall’Unità?
«I nuovi mille partono dal Sud, è qui che si vedoLucariello
no maggiormente i fenomeni che abbiamo descritto
nella canzone. Ma viviamo in un momento storico nel quale dobbiamo pensare all’unità
tra le persone ed evitare la tentazione di mettere limiti e separazioni. È una forma di egoismo che ci chiude sempre di più, in una civiltà che invece si sta globalizzando».
Che idea si è fatto delle polemiche per la festa del 17 marzo lanciate dai ministri Calderoli e Maroni?
«Provo totale disprezzo nei confronti di queste persone. Le affermazioni mi provocano
una sorta di moto neoborbonico».
Che è una cosa un po’ in contraddizione con una canzone scritta per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia.
«È una cosa che farebbe il gioco loro, infatti. Com’è andata storicamente lo sappiamo: il Nord dopo il 1861 ha preso il sopravvento sul Sud, saccheggiando le sue risorse
economiche e umane. Ma l’Unità dev’essere parità di condizioni e di possibilità, non
sentimento di rivalsa».
Periodico a cura
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diretta da Paolo Mieli nell’Università
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Condirettore
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Raffaele de Chiara, Emanuele De Lucia,
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Alessandro Di Liegro, Anna Lucia Esposito,
Cristiano Marco Giulio Faranna, Antonio
Frascadore, Egidio Lofrano, Violetta Luongo, Lorenzo Marinelli, Francesca Marra,
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di Ludovica Criscitiello
di Anna Lucia Esposito
Li chiamano “bianchi d’Africa”, come se fossero una rarità. Parliamo degli albini che in Africa, in particolare in Tanzania, rappresentano una comunità numerosa. Peccato che la loro singolarità sia motivo di
discriminazione e rappresenti la loro condanna a morte. Sandro e Carlo Maddalena, free lance napoletani,
sono volati il primo marzo alla volta di Dar Es Salaam, capitale della Tanzania, per documentare la persecuzione degli albini in un reportage. «In Africa l’albinismo non è soltanto una malattia genetica – racconta
Sandro – ma rappresenta il motivo che ha portato alla mutilazione e all’uccisione di esseri umani».
Nel continente nero i bianchi d’Africa rappresentano un caso sorprendente. Sono africani al cento per
cento, eppure hanno la pelle bianchissima, i capelli biondi, gli occhi chiari. Non possono stare troppo al
sole, perché rischiano scottature pericolose e danni alla vista che è già molto debole. Una gran parte vive
in povertà, senza potersi permettere di comprare creme solari, occhiali e cappello per difendersi dai raggi
solari. Sono discriminati in famiglia perché i genitori si vergognano di loro, sul lavoro perché il colore della
pelle è un deterrente per i clienti, dai governi che non si preoccupano di tutelarli. Sul sito www.albinismo.it
si leggono numerose testimonianze di giornalisti e membri di Ong sulle condizioni di vita e sulle angherie
subite dagli albini. Il vero problema però è che sono vittima di atroci mutilazioni, pratica molto diffusa in
Tanzania. Secondo gli stregoni, personaggi che hanno una grande influenza sulla popolazione con le loro
presunte arti magiche, sono “esseri” che portano fortuna. I loro organi servono a preparare pozioni magiche per avere amore, ricchezza e potere. In un rapporto di Amnesty International si parla di almeno venti
persone uccise solo nel 2009, più di cinquanta, se si aggiungono quelle del 2008. E parliamo della sola
Tanzania, più precisamente di tre regioni, Mwanza, Shinyanga e Mara, dove la concentrazione di albini è
più forte. Braccia, gambe e genitali sono le parti del corpo più richieste. Non sono risparmiati neanche i
bambini, costretti a vivere, secondo fonti ufficiali, in rifugi isolati o
scuole per non vedenti, sotto la protezione del governo tanzaniano. Il
Parlamento Europeo, insieme al capo di stato della Tanzania, Jakaya
Kikwete, ha condannato i crimini contro gli albini. «Staremo lì per
venti giorni in modo da osservare da vicino la vita di queste persone
e per raccogliere testimonianze, racconti, tutto ciò che possa servire a capire il perché di questo assurdo sterminio». Non è la prima
volta che i due fratelli partono. «Prima di partire prendiamo sempre
contatti sicuri in ogni posto dove andiamo per farci guidare e poi
via, senza pensarci troppo». Nel 2009 erano in Egitto, nella capitale,
per documentare le condizioni di lavoro nella “città della spazzatura”, un luogo chiamato “Srib”, dove confluiscono i rifiuti di tutto Il
Cairo. «Assistere a uomini che maneggiavano immondizia di ogni
tipo senza mascherine o protezioni mi ha fatto pensare che ciò che
avviene da noi, anche se si tratta di emergenza, non è paragonabile». In Tanzania gli albini vengono uccisi e i
Lasagne alla napoletana, ragù della
domenica, babà e sfogliatelle non si preparano più sui fornelli ma su un iPhone.
Arriva l’app “Ricette Napoli” e con essa
la possibilità di imparare a cucinare 120
piatti, tra primi, secondi, antipasti, contorni e dolci, della tradizione partenopea.
Per diventare cuochi basterà indossare
un toque bianco sulla testa e accendere
il cellulare. L’app segue passo dopo passo l’aspirante chef che prima sceglierà il
Lo chef virtuale sull’iPod
piatto dall’acquolina in bocca facile e poi
leggerà il grado di difficoltà, il tempo e la
modalità di preparazione della leccornia.
Non mancherà un’immagine in alta risoluzione della ricetta conclusa e
il consiglio sul vino da abbinare. Indispensabile per chi tiene all’incolumità
del proprio iPhone, anche la possibilità di inviare la ricetta sulla casella di
posta così da stamparla su carta e metterla in pratica come le nonne con il
loro ricettario. Un ricettario dalle fattezze “sociali”, visto che gli ingredienti
di ogni piatto potranno essere condivisi sulla propria bacheca Facebook. E
per chi ha gusti un po’ difficili, c’è la funzione di modifica delle informazioni: con un click sarà possibile sostituire il parmigiano con il pecorino,
l’aglio con la cipolla e viceversa.
«Ricette Napoli è nata perché sono una buona forchetta e amo la cucina
napoletana – ammette il suo creatore Luigi Marino –. È stata una delle mie
prime applicazioni, uscita ancor prima della famosissima iMussolini. A
dicembre è stata pubblicata una nuova versione completamente rivista in
grafica e contenuti». Luigi Marino, noto per le sue applicazioni dedicate
a personaggi controversi della storia, ha creato numerose app ispirandosi
alla “napoletanità”: «Anche “Tifo Napoli” e “iDettiNapoli” hanno avuto un
discreto successo. Sono passate più inosservate rispetto ad iMussolini per
ovvi motivi. Amo molto la mia città anche se è spesso bistrattata. Un’idea
che voglio da tempo sviluppare riguarda il problema della raccolta differenziata ma, nonostante diverse email inviate alla sezione di competenza del
Comune, non ho mai avuto risposta».
loro corpi straziati per superstizione
SPORT pagina 12
inchiostro n. XIII – 2011
Anche i tifosi sono diventati grandi
I supporter azzurri non sono più quelli dello scudetto. Parola ai nomi illustri
di Ernesto Mugione
anni che non vinci ci fai il callo. La gente a Napoli vuole che ra differente, senza enfasi. La gente non si illude. Tutti sono
la squadra lasci tutto quello che ha in campo. Se dai l’anima consapevoli della forza del Napoli, solo che nessuno si dà
false speranze».
Sono passati più di vent’anni dall’ultimo scudetto del paradossalmente puoi anche perdere».
«Da quando c’è De Laurentiis c’è stata una crescita co«I tifosi azzurri - sottolinea Salvatore Carmando, storico
Napoli. Quasi un’eternità per i tifosi azzurri. Anche perché
l’ultimo ventennio non è che sia stato ricco di soddisfazio- stante – aggiunge l’editorialista Italo Cucci –. La gente que- fisioterapista del Calcio Napoli - sono sempre stati maturi.
ni. Ci sono state retrocessioni, un fallimento, gli anni bui sto lo ha capito. Il Napoli viene da anni di sconfitte, truffe Non so perché ci vogliono sempre far passare per le vittidella serie C. Roba da mandare al tappeto pure Rocky, uno e fallimenti. Adesso, invece, c’è uno stato di grazia che si me della situazione. La gente non si sentiva e non si sente
abituato a prendere cazzotti. Napoli – e la sua gente –, però, rispecchia nel comportamento della tifoseria. La mentalità schiava dei poteri forti. L’entusiasmo c’è sempre stato e ci
hanno saputo rialzarsi e adesso si gustano la rivincita. La che ha acquisito la gente e la naturale espressione di quello sarà sempre perché i napoletani sono fatti così: vivono per il
Napoli. È una passione viscerale che non si può descrivere
squadra partenopea è tornata ai vertici del calcio italiano. E che la squadra fa in campo».
Anche il noto giornalista sportivo Salvatore Biazzo pro- o spiegare. Per questo spero che quest’anno vinca lo scurispetto all’era Maradona qualcosa è cambiato.
È cambiato qualcosa soprattutto nella testa della gente. muove il tifo azzurro: «Il primo scudetto era il sogno di una detto perché lo merita la gente e la squadra che, a mio pareNiente più vittimismo. Niente più contestazioni o lamente- vita. Lo si aspettava da tre generazioni. Il Napoli, nonostante re, esprime il miglior calcio d’Italia». È presto per dire se e
le. Adesso la torcida azzurra è più matura. La dimostrazione fosse il più grande club del Mezzogiorno, non aveva ancora quando la banda Mazzarri riuscirà a conquistare il tricolore
è stata la reazione all’eliminazione dall’Europa League con- vinto il tricolore. Era quasi un obbligo. Oggi il contesto sto- ma a quanto pare i tifosi sono entrati nell’ottica giusta. Il
rico è completamente diverso. vero obiettivo, del resto, è ascoltare quella musichetta che al
tro il Villarreal e la batosta a San Siro
Non dico che c’è meno entu- San Paolo non hanno mai suonato. Sarebbe lo scudetto che
contro il Milan. A un primo iniziale
siasmo ma lo si vive in manie- tutti avrebbero voluti vincere a inizio campionato.
e comprensibile scoramento, la città “I sostenitori sono più maturi”
non ne ha fatto un dramma. «La gen- Giuseppe Bruscolotti
te è più matura – spiega lo storico capitano del Napoli Giuseppe Bruscolotti –. I tifosi sono più coscienti della
realtà e del potenziale della squadra. “Conta solo la maglia sudata”
C’è meno pressione e questo aiuta
Salvatore Bagni
molto la squadra. Gli anni della C
sono serviti a togliere le ossessioni.
Il Napoli, comunque, è una grande
squadra e la gente fa bene a sognare.
“Anche i tifosi in stato di grazia”
Solo che adesso lo fa nella maniera
Italo Cucci
giusta».
Differente il pensiero di Salvatore
Bagni, altro protagonista del primo
tricolore partenopeo: «Andare in C
a me non piace e penso non sia pia- “L’entusiasmo è diverso”
ciuto nemmeno alla gente. Per me Salvatore Biazzo
i tifosi del Napoli sono sempre stati
maturi. Non abbiamo mai subito
pressioni perché quella squadra,
“Non siamo schiavi di nessuno”
seppur fortissima, non era la più
accreditata a vincere il campionaSalvatore Carmando
to. Un po’ come adesso. Dopo 60
Lo stadio San Paolo visto dalla curva A (foto di Livio Pane)
De Laurentiis e il tabellone “fantasma”
UNIVERSITÀ
DEGLI STUDÎ
SUOR ORSOLA
BENINCASA
FACOLTÀ DI
GIURISPRUDENZA
di Marco Borrillo
SPROZZILLO + FSOPRANI
www.imagosas.it
Napoli ad andare a seguire la trasferta in
Spagna a carico della Società. «InopporDa una parte la forza di un gruppo, tuno»: così Sandro Fucito, consigliere codall’altra quella dei tifosi. Sarebbe la ricetta munale per Rifondazione, ha commentato
perfetta se non fosse per quel piccolo par- l’invito della Società. «Io e il mio capogrupticolare che, come spesso capita, rischia po Raffaele Carotenuto siamo stati gli unici a non sottoscrivere la convendi rovinare anche il miglior
zione nel 2005», spiega Fucito.
piatto. Nel mezzo c’è il San Pa«Ogni anno il Comune paga
olo. Non è un semplice palcomilioni di euro e dalle casse
scenico della Napoli calcistica
della società escono appena 30
o l’arena del suo pubblico. È
o 40mila euro all’anno». Anqualcosa di più, che da anni
che lui ha declinato l’invito alla
crea problemi al Comune, che
trasferta, senza tradire l’amore
ne mantiene la proprietà, e alla
per la squadra. La partita l’ha
Società. Motivo della discordia
una convenzione del 2005 che Aurelio De Laurentiis vista da casa. Insomma, non
elenca i diritti e i doveri di entrambe le par- solo gioie in casa Napoli. Se il San Paolo
ti. Su quel documento c’è anche e soprat- dovesse aprire le sue porte all’Europa nella
tutto la firma del patron Aurelio De Lau- prossima stagione sarebbero molti i punti
rentiis e l’impegno della Società Sportiva da perfezionare. I servizi igieni all’interno
Calcio Napoli a installare due maxischermi dello stadio sono pochi e maltenuti. Qualnello stadio. I tabelloni elettronici che i so- che tifoso ha addirittura notato che duranstenitori azzurri aspettano da anni ancora te le gare di Europa League al San Paolo
non si vedono. L’illusione ottica l’hanno venivano installati bagni chimici per stare
data in occasione della gara di Europa Le- in linea con le disposizioni della Uefa. Per
ague contro il Villarreal. Dalla curva B del quanto riguarda il restyling dello stadio per
San Paolo è spuntato un grande tabellone ora è stato realizzato solo il rifacimento del
segnatempo con tanto di loghi ufficiali, mi- prato. E così, all’inizio di questa stagione,
nuti, secondi e risultato parziale (0-0 ndr). su Facebook sono nati gruppi di tifosi che
Una provocazione che riflette attraverso la protestano contro le promesse non ancora
grande ironia dei tifosi partenopei le om- mantenute. “Petizione per il tabellone allo
bre della gestione De Laurentiis. Anche la stadio San Paolo”, “vogliamo il tabellogara di ritorno, che ha visto la definitiva eli- ne al San Paolo” e addirittura un gruppo
minazione del Napoli dal torneo, ha susci- “anti De Laurentiis”. Quest’ultimo è decitato qualche polemica. Alcuni consiglieri samente troppo, visto il singolare numero
comunali del Pdci e Rifondazione Comu- di iscritti: solo quattro. Il più popolare di
nista hanno scelto di declinare l’invito del questi conta 517 iscritti.
LA
RAGIONEVOLEZZA
ciclo di
DEL DIRITTO
lezioni magistrali
20102011
anno VII
martedì
22 marzo
ore 16.00
martedì
29 marzo
ore 16.00
martedì
12 aprile
ore 16.00
martedì
19 aprile
ore 16.00
martedì
3 maggio
ore 16.00
MASSIMO LA TORRE
Dello spirito mite della legge.
Ragione e ragionevolezza.
ENZO CHELI
Stato costituzionale
e ragionevolezza
FABIO MERUSI
Ragionevolezza
e discrezionalità amministrativa
martedì
10 maggio
ore 16.00
martedì
17 maggio
ore 16.00
martedì
24 maggio
ore 16.00
SERGIO CHIARLONI
La ragionevolezza
delle garanzie processuali
GIUSEPPE TESAURO
La ragionevolezza nella giurisprudenza
della Corte di giustizia
GIUSEPPE BENEDETTO PORTALE
Adeguatezza della congruità
del capitale e principio
di ragionevolezza
SALVATORE PATTI
La ragionevolezza
nel diritto civile
DOMENICO PULITANÒ
Ragionevolezza e diritto penale
editoriale scientifica
www.unisob.na.it
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Pulcinella è fermo a Petito, bisogna guardare avanti