3 marzo 2011 anno XI n. 13 Periodico a cura della Scuola di giornalismo diretta da Paolo Mieli nell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli www. unisob.na.it/inchiostro Che cosa c’è oltre le icone di Livio Pane L’attore Gaetano Esposito Pulcinella per Inchiostro (foto di Enrico Parolisi) Il rapporto tra Napoli e le sue maschere è tutt’altro che svanito. Nonostante passino gli anni e le mode, Pulcinella resta un simbolo. Ferito, agonizzante, continua a vivere nei vicoli, nelle botteghe d’artigianato visitate - sempre meno - dai turisti di tutto il mondo. Si nasconde nelle viscere che custodiscono tesori antichi e mal sfruttati; nei volti e nei gesti di chi ha portato Napoli nel mondo, a teatro come al cinema e in tv; nelle mille produzioni, appuntamenti e idee che questa terra partorisce e che spesso passano inosservate. In queste pagine abbiamo cercato di portare alla luce quello che c’è dietro la maschera, nel bene come nel male. L’abbiamo fatto non solo parlando dell’icona più riconoscibile e famosa, ma anche portando alla luce una città lontana dagli stereotipi che crea e produce. Abbiamo chiesto a Renzo Arbore di raccontarci il suo Massimo Troisi, ultima maschera nell’immaginario collettivo. E ci siamo addentrati nelle strade di San Giorgio a Cremano dove è vissuto. Napoli è ancora nelle rughe di Pulcinella. E l’uomo, come Pulcinella, “è ora naufrago, ora superstite”, scrive Domenico Rea. Intorno alla sua figura da decenni c’è dibattito. C’è chi, come il maestro Oliva, chiede che cambi per continuare ad essere ambasciatore della città. Altri, come Lello Esposito, pensano che la maschera resti la più fedele rappresentazione della tradizione napoletana. La storia resta sempre la stessa alle pendici del vulcano: gioie e dolori, a turno, “se palesano e s’ammacchiano” in un simbolico nascondino immutabile da secoli. Giù la maschera Oliva: «Pulcinella è fermo a Petito, bisogna guardare avanti» Il maestro artigiano descrive come vorrebbe il futuro ambasciatore napoletano di Enrico Parolisi «Pulcinella oggi deve cambiare. Così com’è, è una figura statica e irreale». Il maestro Salvatore Oliva, artista e storico creatore di maschere che lavora nel cuore di Napoli, ha le idee chiare sull’icona partenopea, a cui riconosce una potenza comunicativa unica. «Attraverso Pulcinella – afferma Oliva – si può comunicare con chiunque, anche se non napoletano. Infatti ce n’è uno srilankese, francese, americano, inglese. Questa figura ha avuto la capacità di propagarsi a 360 gradi sul globo, ha il dono innato di raggiungere l’animo umano. Vuoi per la gestualità, per i suoi colori bianco e nero, due estremi che si riuniscono in una sola figura e contengono tutto il fascio cromatico… Non ha bisogno di aprire porte per comunicare». Secondo il maestro artigiano, queste doti lo rendono il giusto ambasciatore di Napoli nel mondo, ma è rimasto fermo al primo ‘900. «Inviamo nel mondo un oggetto della nostra cultura fermo a Petito, esportiamo un’imma- gine che non è dei nostri tempi. Spaghetti e mandolino li abbiamo abbandonati da tempo”. Allora Pulcinella è morto? Qualcuno ha tentato nobilmente di dare modernità al personaggio. Oliva ha la sua ricetta per dare nuovo lustro alla maschera: «Chi vuole risollevarla deve parlare da subito, all’intero mondo, delle problematiche contemporanee. Pulcinella deve essere come la Pietà di Michelangelo: quando la vedi, non pensi che è stata scolpita nel ‘500, ne resti semplicemente stupito». Diventare eterni e parlare di attualità, usare una maschera secolare per parlare di oggi. Salvatore Oliva «Non siamo distanti così tanto da “Chisto è ‘o paese d’o sole”. Pulcinella gioca ancora con il sole, non quello che si vede in cielo però. Il sole diventa un concetto cosmico in contrasto con la guerra ad esempio. E Pulcinella diventa un tramite per rappresentare altre cose, inviare altri messaggi». Altrimenti si finisce, come oggi, con il trasmettere un’immagine falsa della città attraverso il suo simbolo. «Il turista arriva a Napoli – conclude Oliva – e compra il Pulcinella a 2 euro con il tamburello o il numero del lotto. Prima di tutto, a quel prezzo non puoi comprare l’artigianato vero. E ancor peggio in tutto il mondo si diffonde un’immagine oleografica in centinaia di migliaia di copie sotto forma di pupazzetti. Che cosa trasmettono questi pupazzi? Che ai napoletani piace il lotto, la cabala». Il video su InchiostrOnline: http://www.unisob.na.it/ inchiostro/video.htm?idvd=785 SOTTOSUOLO L’ULTIMA MASCHERA PLASTICA ADDIO SPORT La città e le ricchezze delle sue viscere Le foto della polis sotto i Girolamini Renzo Arbore ricorda Massimo Troisi: «Pensavamo di incidere un album insieme» La busta shopper va in pensione Siamo pronti all’eco-rivoluzione? I supporter azzurri non piangono più Come è cambiato il tifo da Diego a Cavani pagg. 2-3 pag. 5 pag. 8 pag. 12 NAPOLI UNDERGROUND pagina 2 pagina inchiostro n. XIII – 2011 Napoli underground: riscoprire Sotto l’asfalto c’è una Partenope tutta di Giulia Savignano In queste pagine, le foto esclusive scattate da Livio Pane e Jessica Mariana Masucci nel complesso di Girolamini. Sopra, l’ingresso principale all’acquedotto della «Bolla» Città stratificata e preziosa ma i napoletani non lo sanno di Sergio Napolitano A distanza di quasi tremila anni Napoli è una città poggiata sulla sua storia. Una storia riscoperta, come spiega l’architetto e urbanista Salvatore Di Liello, grazie anche ai finanziamenti che hanno permesso al capolougo campano di poter costruire la nuova linea della metropolitana. Per Di Liello Napoli è immersa e sommersa dalla storia ma resta ancora poco valorizzata. I cittadini napoletani conoscono realmente la propria città? «In modo superficiale. Se facciamo riferimento a una conoscenza della sedimentazione urbana, poi, la formazione dei cittadini partenopei è estremamente fragile». Che cosa si può fare per diffondere meglio la cultura delle stratificazioni? «Innanzitutto, la conoscenza negli abitanti di Napoli si deve creare nelle scuole a tutti i livelli, dalle primarie alle secondarie senza tralasciare nessuno». Il ventre della città è ricco di stratificazioni di diverse epoche. Secondo lei cosa ancora la città di Napoli può restituire ai suoi abitanti? C’è ancora qualcosa che non è emerso? «In seguito alle nuove acquisizioni dagli scavi archeologici della metropolitana ci sono molte cose da riscrivere. Mi riferisco alla fase greca e, forse precedente a quella greca, in particolare ai ritrovamenti avvenuti nel cantiere della metropolitana di piazza Nicola Amore. Parte di questi reperti emersi nelle diverse fasi dei lavori sono stati mostrati a lungo nella mostra permanente del Museo Archeologico». In che modo è possibile valorizzare il sottosuolo? «In parte lo si sta facendo con i nuovi progetti e finanziamenti destinati alla costruzione della linea della metropolitana: ne sono un esempio le fermate di piazza Nicola Amore, della Borsa, del Municipio. Grazie ai nuovi fondi destinati alla costruzione della nuova linea ferroviaria per queste nuove acquisizioni sono stati previsti itinerari fruibili». I lavori della metropolitana stanno invadendo o aiutando a riscoprire il patrimonio partenopeo ancora nascosto? «Hanno favorito un approfondimento della conoscenza perché altrimenti non ci sarebbero mai stati fondi da spendere in maniera concreta rispetto allo scavo archeologico. Ai fini conoscitivi non si sarebbero mai investiti capitali. La costruzione della nuova linea della metropolitana è stata un motore di approfondimento». Immaginiamo Napoli come una maschera. Se all’improvviso la togliessimo cosa vedremmo? «Bisognerebbe essere estremamente distratti per non accorgersi delle stratificazioni che offre la città di Napoli. Molto spesso questo patrimonio colpisce di più la suggestione dello straniero che l’occhio del cittadino partenopeo. Non c’è bisogno di togliere maschere». Dire che sappiamo cosa c’è sotto i nostri piedi è sbagliato. C’è tutto un mondo al riparo dalle luci e dai suoni della città, che svela di volta in volta i suoi segreti. L’ultimo, qualche giorno fa, è la scoperta del ponte più antico di Napoli, che ha resistito a guerre e terremoti da 2000 anni a questa parte, dall’epoca romana a oggi. Una meraviglia architettonica nascosta nelle viscere del chiostro dei Girolamini. L’ennesima dimostrazione che nel ventre di Napoli riposa un’altra città che, come la sorella del piano di sopra, non riesce a trovare pace. Cavità naturali, testimonianza della sua natura tufacea si alternano a gallerie artificiali scavate nella roccia per allungare la lista degli itinerari turistici o per motivi legati al miglioramento di servizi del territorio soprastante. Spesso poi, come testimonia la cronaca degli ultimi anni, i corridoi sotterranei si trasformano nella via di fuga di ladri o nella peggiore delle ipotesi entrano nei piani di smaltimento dei rifiuti come eventuale discarica sotterranea. Da sempre oggetto di scavo per la presenza di materiali idonei alla costruzione, il sottosuolo napoletano è stato sfruttato dai Greci per rispondere alle esigenze di approvvigionamento idrico della città e per recuperare materiale da costruzione per erigere gli edifici. Da qui la realizzazione di un acquedotto che permetteva di raccogliere e distribuire acqua potabile grazie a una serie di cisterne collegate a una fitta rete di cunicoli, l’acquedotto della Bolla. In epoca romana urbanisti e ingegneri arricchirono la città dell’acquedotto Augusteo convogliando a Napoli l’acqua del Serino. Una rete di approvvigionamento che arrivava fino alla Piscina Mirabilis, struttura inserita oggi nel complesso archeologico di Miseno. I Romani realizzarono notevoli scavi per la costruzione di strade che collegassero con percorsi brevi le località costiere. La Grotta di Seiano venne realizzata per congiungere la piana di Bagnoli con il vallone della Gaiola e oggi fa parte del Parco Archeologico-Ambientale del Pausilypon. Anche la Grotta di Cocceio, un traforo che collegava Cuma con il lago di Averno, testimonia l’attenzione degli antichi per lo sfruttamento del sottosuolo. Ma tra le gallerie ereditate dai Romani la Crypta Neapolitana è senza dubbio quella che più ha influenzato le tradizioni di Napoli. Scavato nel tufo della collina di Posillipo, il tunnel collega Piedigrotta con Il secondo ingresso che porta al tunnel Fuorigrotta, dei Girolamini recentemente scoperto quartieri che devono appunto l’origine dei loro nomi al fatto di collocarsi l’una ai piedi e l’altra al di là della grotta. Tradizione vuole che la galleria sia stata realizzata da Virgilio in una sola notte col ricorso alla sua potente arte magica, leggenda alimentata dal fatto che nei pressi dell’ingresso orientale c’è un colombario identificato con la tomba del poeta. Successivamente, agli acquedotti di epoca greco-romana Un percorso di 530 metri risalente all’epoca borbonica Viaggio nel tempo con il “tunnel” di Emanuela Vernetti che permetteva ai “monacielli” di non perdersi nelle cavità sotterranee. Il disegno di una montagna sovrastata da una Il ventre di Napoli si apre al pubblico e svela i segreti del croce indicava l’arrivo a Monte di Dio. Lungo i cunicoli tufasottosuolo. Otto rampe di scale, dal basso di un ex studio vete- cei, tradizione e storia si intrecciano perché le testimonianze rinario, diventano la porta d’ingresso per le viscere della città. ritrovate parlano di diverse epoche passate. Durante la seDopo 150 anni dal progetto ideato da Ferdinando II di Borbo- conda guerra mondiale il tunnel si trasforma in un ricovero ne e del suo architetto Enrico Alvino, l’associazione cultura- bellico, come testimoniano le scritte sui muri: “Noi vivi” o le “Borbonica Sotterranea” guida i visitatori in un percorso la data di un bombardamento “26 aprile 1943 allarme delle 13,20”. «Vicino a ogni a spasso nel tempo. Una rampa d’accesso ci sono vera a propria finestra sul dei bagni – continua Mipassato resa possibile dal nin –. Una posizione strageologo Gianluca Minin, tegica per facilitare chi si ideatore del progetto e dalla sentiva male, dopo essere passione di tanti volontari sfuggito a un bombardache in cinque anni hanno mento. Accanto agli schetrasformato un cumulo di letri dei letti abbiamo tropietre e rifiuti in un percorvato dei giocattoli costosi so avventura. Per i lavori di per l’epoca, segno che le sistemazione, iniziati nel persone che qui si rifugia2005, si sono potuti avvavano erano benestanti». lere solo di pale, picconi e Le auto e le moto d’epoca carriole. Comune e privati rendono poi ancora più non hanno dato una mano suggestivo il percorso. per agevolare l’iniziativa. Nel dopoguerra infatti il Il tunnel borbonico L’unico finanziatore dello tunnel era utilizzato come scavo è la Banca Popolare di Milano. Lungo 530 metri, il tunnel attraversa il Monte Echia deposito giudiziario per le auto accidentate, non omologate e fino ad arrivare a via Morelli. Un percorso sotterraneo nato quindi sequestrate. Ogni lamiera nasconde una storia. C’è la con scopi militari per consentire lo spostamento delle truppe Fiat usata dai contrabbandieri di sigarette che porta ancora i borboniche dal Palazzo Reale alla caserma di via della Pace. segni dello speronamento delle gazzelle dell’epoca, una veUn passaggio segreto e non solo. Il tunnel, infatti, intercetta spa con l’adesivo della soubrette del momento e una Gilera anche le cisterne dell’acquedotto settecentesco ed è in questa contraffatta che si ispira al modello Harley Davinson. Nel rete di cunicoli che nasce la leggenda del “monaciello” che dopoguerra, infatti, era diventato usuale imitare i modelli l’associazione borbonica omaggia, riproducendo le fattezze americani. In queste cattedrali nel tufo spuntano anche deldegli antichi “pozzari” nell’atto di arrampicarsi lungo i poz- le statue bianche, squadrate risalenti all’epoca fascista. Altra zi. «Sembravano dei piccoli monaci – spiega Gianluca Minin chicca storica è il cumulo di materiali di risulta e rifiuti da– per i cappelli che indossavano per proteggersi dall’umidità. tati almeno tre secoli. Un piccolo ammasso è rimasto all’inConoscevano talmente bene il sottosuolo che sapevano per- terno del tunnel, per sensibilizzare le persone al problema ambientale. «E’ quasi un simbolo della città far convivere i fettamente a ogni pozzo che casa corrispondeva». Ed è ancora visibile l’incisione di un “segnale stradale” rifiuti accanto a bellezze che tutto il mondo ci invidia». 3 il passato guardando al futuro da sfruttare, tra caverne e catacombe si aggiunse quello moderno del Carmignano. Dopo alcuni anni durante i quali le cavità caddero in disuso, lo scoppio della seconda guerra mondiale segnò l’inizio del loro nuovo utilizzo. Per offrire rifugi sicuri alla popolazione si decise di adattare le strutture dell’antico acquedotto alle esigenze dei cittadini. Furono allestiti in tutta Napoli 369 ricoveri in grotta e 247 ricoveri anticrollo. Testimonianze di vita quotidiana di cui sono piene anche le pareti della cavità utilizzate come rifugio. Dopo la guerra il sottosuolo divenne lo sversatoio privilegiato delle macerie dei bombardamenti e di altri rifiuti. Dopo anni di scavi e di bonifica, e grazie Particolari della città greca nascosta sotto il chiostro dei Girolamini all’impegno di volontari che si calavano nelle viscere di Napoli oggi è possibile conoscere quel tesoro attraverso l’itinerario della “Napoli Sotterranea”. Una discesa nel cuore del centro storico della città che regala ai suoi visitatori un viaggio a ritroso nel tempo. Scavo dopo scavo dalle viscere di Napoli emerge sempre qualcosa di antico. È accaduto con i lavori della metropolitana, più volte interrotti nei cantieri di Piazza Municipio a causa del ritrovamento dell’antico porto romano. È successo anche con l’anfiteatro flavio ridato alla luce all’Anticaglia, in pieno centro storico. Una straordinaria testimonianza di epoca romana adibita nei secoli a diversi usi: prima cisterne, poi stanze di appartamenti e una fabbrica di camicie. Nello spazio che fu del teatro anche i resti di una piccola necropoli. Di cimiteri sotterranei è piena la città. Le catacombe di San Gennaro, San Gaudioso e San Severo sono state riscoperte e valorizzate attraverso percorsi guidati e visite serali che hanno restituito a una zona degradata come il rione Sanità la speranza del riscatto, almeno attraverso il tesoro artistico che custodisce. Il sottosuolo partenopeo rappresenta una risorsa preziosa per la realizzazione di parcheggi interrati. Ultimo in ordine temporale il garage Morelli, ricavato nei sotterranei che si incrociano con le gallerie del tunnel borbonico. Nel progetto del Comune sono previsti diversi parcheggi sotterranei nel quartiere Vomero-Arenella. I lavori per la costruzione sono già cominciati, accompagnati dall’ira dei residenti e dei commercianti della zona. Pochi fondi e tanti reperti: le stazioni saranno museo A lezione di storia in metrò di Francesca Marra se dal passato e ricostruire l’intero paesaggio costiero degli antichi siti di Parthenope e Neapolis. «La straordinarietà dei Il sottosuolo napoletano smetterà di regalarci pezzi di sto- resti emersi in piazza Municipio ha comportato variazioni al progetto, i reperti saranno valorizzati all’interno della futura ria. O forse no. «In questo momento tutto ciò che c’era da scoprire è stato stazione», conferma Daniela Gianpaola, responsabile degli scoperto, gli scavi per i lavori di costruzione del metrò hanno lavori degli scavi del centro storico. Se questo però sarà possiraggiunto il tufo, sotto il quale non vi è più nulla» si dice cer- bile nel caso delle anfore, dei vasi e delle ceramiche, nonché ta Giovanna Torcia, responsabile per la stampa della società dei fondali del porto di Neapolis, risalenti a un periodo che va dal IV sec. a. C al V sec. Metropolitana di Napoli. d. C., la situazione per le Dal 1999, anno d’inautre imbarcazioni romane gurazione della tratta metrovate nel 2004 durante tropolitana Dante - Garii lavori è più complicata. baldi, con l’apertura dei Al momento i relitti si cantieri per la realizzazione trovano presso un capandei tunnel sotterranei, tannone climatizzato a Piscitissimi sono stati i ritrovanola, conservati all’intermenti archeologici che hanno di vasche. Dovranno no visto la luce. Sepolti sotto essere restaurate: «L’opeanni di storia, hanno resirazione è complessa e stito a passaggi di epoche onerosa e vanno acquisite e d’influenze artistiche. Le ingenti risorse economisorprese, però, potrebbero che – continua Gianpaola arrivare ancora dal cantiere –. L’esposizione richiede di piazza Municipio, scelta un luogo appositamente La linea 1 del sistema metropolitano di Napoli come stazione d’interscamdedicato, che non può esbio tra la Linea 1 e la Linea 6 della metropolitana. Dai sondaggi geo-archeologici svolti sere individuato all’interno di spazi museali già esistenti». dalle squadre di esperti coordinate dalla Soprintendenza per Caso diverso è quello del tempio risalente al I-II sec. d.C. i Beni Archelogici nello scavo della Linea 6 ci sarebbero al- rinvenuto a piazza Nicola Amore durante i lavori per la cotri reperti relativi a edifici di età angioina e fortificazioni di struzione della fermata Duomo. Smontato e catalogato, sarà epoca aragonese che diventeranno materiale espositivo della ri-allestito interamente nella stazione ed esposto al pubblico. stazione. «Le indagini provocheranno nuovi ritardi – conti- Anche in questo caso, conferma la Soprintendenza, non si nua Torcia – anche se da questo momento in poi contiamo può ancora parlare di tempi e modalità. «Dipenderà dalla di non avere più alcun impedimento nel rispettare la tabella programmazione del completamento della linea e dalle ridi marcia». In questi 12 anni i lavori per la costruzione del sorse finanziarie concesse dal Comune», conclude Gianmetrò, se da un lato hanno riconsegnato un patrimonio arti- paola. Le lastre marmoree e le decorazioni rinvenute nello stico e storico d’inestimabile valore, dall’altro hanno subito scavo dei Quattro Palazzi, sulle quali compaiono i nomi dei continui rallentamenti, a volte dei veri blocchi delle attività, vincitori dei giochi Isolimpici, si trovano attualmente presso dovuti agli interventi di tutela del patrimonio da parte della la galleria di collegamento tra la stazione Museo della metro Soprintendenza, interpellata per analizzare le vestigia emer- e il Museo Archeologico Nazionale. Il pozzo bianco dei Girolamini Parla Bruno Discepolo: utilizziamo le grotte di Angelo De Nicola Quando si parla di sviluppo delle aree urbane ci si imbatte nel fenomeno dello “sviluppo verticale”. Partendo dal basso molte zone di Napoli hanno recuperato spazi che sembravano difficili da trovare. Il Centro Direzionale di Napoli è un esempio: un insieme di moderni grattacieli che, sorti nel quartiere di Poggioreale, a ridosso della Stazione Centrale di Napoli, costituiscono un’intera cittadella. Progettato dall’architetto giapponese Kenzo Tange, l’intero complesso è stato completato nel 1995. È l’unico insieme di grattacieli d’Italia e dell’Europa meridionale. Abbiamo chiesto a Bruno Discepolo, presidente dell’Associazione Sirena, le prospettive per la città partenopea. Il garage di via Domenico Morelli è ricavato dalle grotte sottostanti Monte Echia. Opere del genere, nel prossimo futuro, cambieranno il volto di Napoli? «L’esempio del garage di via Morelli è significativo per capire quali sbocchi possa avere lo sviluppo sotterraneo. Il garage è stato, per tutta la sua lunghezza, costruito in una serie di grotte e caverne che non venivano utilizzate. Questo comporta non solo benefici per i cittadini, per l’eventuale parcheggio, ma anche meno problemi di viabilità in superficie con meno traffico». Il futuro dello sviluppo verticale sembra portare a Bagnoli... «È in corso una profonda trasformazione che porterà al riutilizzo di molte aree nei Campi Flegrei. Ci sono progetti in corso e sarà possibile costruire per sfruttare al massimo gli spazi disponibili, cambiando parzialmente il volto di uno dei quartieri più importanti». Le vele di Scampia sono un esempio di sviluppo verticale, ma la struttura, nel corso di tanti anni, ha subito sia elogi che critiche. Perché il progetto ha in parte fallito i suoi propositi? «Scampia e Bagnoli sono profondamente diverse e non è possibile applicare, a entrambe, lo stesso concetto. Costruite tra il 1962 e il 1975 e progettate da Franz Di Salvo, facevano parte di un progetto abitativo di larghe vedute che prevedeva anche uno sviluppo della città di Napoli nella zona est, ovvero Ponticelli. Si è parlato di possibili migliorie alla struttura, che non sono mai state fatte». Nel centro storico qual è l’obiettivo da perseguire? «Napoli ha delle aree antichissime che raccontano, attraverso le strutture e le sue opere, la storia della città. Il centro antico corrisponde al primo insediamento di Neapolis del V secolo a.C. città nuova, chiamata così per differenziarla da Palepolis, o Partenope, città vecchia che sorgeva nella zona di Pizzofalcone. L’impianto urbanistico di Neapolis aveva una struttura “a scacchiera” formata da tre grandi strade orientate da est a ovest, dette decumani. Il centro antico di Napoli riveste una notevole peculiarità rispetto a quello delle altre città italiane». LE MASCHERE DI NAPOLI pagina 4 pagina inchiostro n. XIII – 2011 Napoli è la capitale del barocco Lello Esposito racconta la città attraverso le maschere, dal primo Pulcinella a Ranieri di Gennaro Di Biase Napoli non esiste forse come città, ma come teatro esiste sicuramente. Eduardo Scarpetta, suo figlio Eduardo De Filippo, il principe Antonio de Curtis, Massimo Troisi: in molti hanno vestito l’anima della Napoli del Novecento. Ma descrivere il volto della maschera passata è difficile come indovinare il volto di quella futura. Eppure Pulcinella, l’incontrastato eroe al contrario di Partenope, è stato afferrato da Domenico Rea, in “Gesù, fate luce” del 1950: «La sua astuzia nasce dalla necessità di difendersi, il suo amore è sempre totale. La sua brama di mangiare e bere senza far niente contiene un’accusa contro la società parassitaria in cui Pulcinella si mosse. Questa maschera è positiva e resta ancora la più seria interpretazione della mentalità napoletana, attenta a rubare un attimo di godimento, con qualunque mezzo, per la fondamentale ragione che la vita è un mare, ora buono ora cattivo, e l’uomo ora un naufrago, ora un superstite». Raccontare la maschera equivale ad alterarne l’immagine. «Ho provato a scolpire il volto di Totò, il mento, la mimica di volto e corpo – dice Lello Esposito, artista napoletano -, ma mi sono accorto che è impossibile riprodurne l’espressione. A un certo punto è necessario forzare la mano e trasformarlo in maschera». Con Esposito, che ha costruito una carriera vincente sui simboli riconoscibili della città, si può viaggiare comodamente tra le maschere napoletane. Il suo atelier, a palazzo San Severo in piazza San Domenico, è la casa di Pulcinella, vari San Gennaro e Vulcani stilizzati; l’altra casa (l’altro atelier) dei simboli partenopei l’ha costruita a New York nel 1975, nel cuore dell’arte globale. Solo a Napoli il santo può diventare maschera, e per il giubileo Esposito ha preparato su commissione del cardinale Sepe un San Gennaro di marmo da 4 metri, per esporlo in museo: «Napoli è un barocco esistenziale. In questo barocco ho scelto Pulcinella come compagno di viaggio scomodo, e l’ho rilanciato negli anni Settanta come un virus che si diffonde. Molti bottegai di San Gregorio Armeno hanno imparato da me. La maschera che ci appartiene è fatta di viscere, di forte identità e metamorfosi. Più sono forti le identità e più si comunica: sono le viscere a comunicare». La domanda è istintiva: cosa hanno in comune i grandi interpreti della maschera napoletana del Novecento? «Peppe Barra, Rino Marcelli, Tommaso Bianco e Massimo Ranieri sono stati grandi Pulcinella. Oggi non vedo interpreti in grado di esprimere la contemporaneità di Pulcinella. Per quanto riguarda la grande triade, Eduardo è popolare e sofisticato, il mio amico Troisi disperato e comico, Totò il vero maestro della smorfia. Tutti hanno in comune un segreto: essere geniali significa essere semplicemente veri. Essere se stessi, raccontare le proprie verità emotive. Nel comunicare se stessi, più si riesce a essere legati alle proprie radici e più si è universali. Al contrario, più ci si sente universali più si resta provinciali». In un filmato esclusivo, Troisi rende omaggio a Esposito: «Il merito dell’arte di Lello è che anche un ignorante come me si è innamorato di lui. E noi ignoranti siamo tantissimi. Io parlo, come lui, a tutti gli ignoranti del mondo». Mettersi in gioco anche tra le lacrime, imbarazzarsi e giocare d’astuzia: spogliarsi è il carattere principale della maschera napoletana, che spunta fuori da ogni gesto di Troisi, timido ma provocatorio, garbato ma indiscreto. Il fatto è che togliendo la maschera, sotto può apparire qualsiasi cosa. Ed è esattamente questo diritto dell’immaginario che essa rivendica con la sua esistenza. «La nostra maschera ci consente di parlare napoletano in tutto il mondo», conclude Esposito. Napoli-teatro è lo specchio di un palcoscenico sociale in cui la maschera è tutto ciò che resta per smascherarsi, per parlare la lingua della verità. Come scrive il semiologo Roland Barthes in “La camera chiara” del 1980, «la società diffida del senso puro: essa vuole che vi sia del senso, ma al tempo stesso vuole che questo senso sia circondato da qualcosa, un rumore che lo renda meno acuto». 5 «Io, Massimo e il disco mai inciso» Arbore: «Avevamo in progetto di registrare un album di canzoni napoletane» di Pasquale Napolitano di canzoni napoletane». Il comico amava molto la tradizione musicale della Firenze, trasmissione televisiva sui sua terra: «Le sue canzoni preferite erarapporti tra Italia e Stati Uniti d’Ame- no “Palomma” e “Lusingame”». Non rica, consolo melodie, duce Renzo Massimo Arbore. Lo Troisi viveva sketch cotutte le facmico, ideato ce di Napoli, dal condutche riportava tore, ruota nei suoi film attorno a un e nelle sue equivoco: apparizioni: l’ospite non «Dopo granha capito il di maschere tema della come Eduarserata e si è do De Filippo preparato a e Totò, Masomaggiare simo è stato Firenze con l’erede della Arbore e Troisi una canzorappresenne; il conduttore accetta il cambiamen- tazione delle tematiche napoletane: il to, ma l’invitato, al suono di un man- disincanto, la religione, l’ironia». Altro dolino, inizia a cantare in napoletano. pregio: «riusciva ad affrontare i luoghi Quell’ospite non è toscano, ma cam- comuni con originalità, ribaltando la pano e viene da S.Giorgio a Cremano: concezione della città». Difficile, per i Massimo Troisi interpreta la gag tra le nuovi comici, raccogliere questa ererisate del pubblico e del conduttore. dità: «Oggi non c’è la stessa potenza, «Andai a trovare Massimo per pro- manca la capacità di improvvisare. Vieporgli questa scenetta – racconta Arbo- ne costruito tutto a tavolino, usando lo re – e lui accettò subito. Non c’era un stile di Drive-in». Nemmeno un nome? gran lavoro dietro le sue apparizioni, Si, se si resta nel campo dello “scrivere e molto era lasciato all’improvvisazione». recitare”: «Io trovo molto bravo VincenRenzo Arbore, clarinettista jazz (stando zo Salemme, ma non viene sfruttato abal suo bigliettino da visita), ama prepa- bastanza». L’improvvisazione di Troisi rare numeri per gli artisti a cui poi fa da è lontana. Sono lontani la sua mimica, spalla. Per Massimo Troisi nutriva una il suo coinvolgimento, la sua generosiforte ammirazione, come del resto per tà. Distanti anche le sue pellicole. «Non la città partenopea: «Amo Napoli e Mas- so su cosa avrebbe fatto un film oggi. simo ne è stato un grande interprete. Ultimamente si era dedicato a storie di Pensammo anche di incidere un album fantasia e preferiva farsi guidare. Non credo avrebbe trattato argomenti di cronaca, ma sicuramente sarebbe riuscito a trovare un’altra idea potente: riusciva a fare sempre cose diverse». Arbore porta con sé un ricordo prezioso sul primo film girato da Massimo Troisi: «M’invitò a una proiezione privata di “Ricomincio da tre”. Nessuno poteva prevedere il successo di quella sua prima avventura cinematografica, anche lui si sentiva messo alla prova e non era convinto del risultato». Com’era l’ultima grande maschera partenopea lontano dai riflettori? «Timido e riservato: spesso evitava di accompagnarmi a teatro, per evitare di firmare i tanti autografi che gli avrebbero chiesto». Nella vita di tutti i giorni, «Massimo era preoccupato per la sua città, anche se gli anni in cui ha vissuto hanno avuto momenti di grande gioia, come la vittoria del secondo scudetto». Non aveva un carattere o degli sitli di vita molto elaborati, restava semplice in ogni cosa. Anche in cucina: «Non ricordo un suo piatto preferito, solo che gradiva molto le frittate che spesso gli mandavo tramite una donna delle pulizie che avevamo in comune». Con semplicità, dal cabaret al cinema, Massimo Troisi ha trasformato la “smorfia” (quella del trio) in irripetibile ritratto della città di Partenope. Di Carlo, le “spalle” del Postino di Violetta Luongo Di spalle attraversa in biciclette le stradine procidane, il suo profilo è noto e caro a tutti. È quello di Massimo Troisi nel suo ultimo film “Il postino”. Un pulcinella senza maschera che vive di spontaneità senza tradire mai le sue radici napoletane. Questo è il Troisi di Gianni Scotto Di Carlo. È lui nelle scene in cui l’attore sangiorgese appare di spalle. Scotto di Carlo aveva 20 anni quando ha recitato come controfigura di Troisi. Che compito aveva? «Aiutavo Troisi nella fase di preparazione della scena, da regista aveva bisogno di studiare la sequenza dall’esterno. Mancando la controfigura ufficiale, suo cugino, l’ho sostituito per cinque giorni». Che cosa ha significato lavorare con Troisi? «Ero un suo grande fan lo imitavo da ragazzino e mi identificavo con lui. Incontrarlo è stata la realizzazione di un sogno, durato però poco. Alla gioia dell’incontro e della breve condivisione di lavoro è subentrato il dolore alla notizia della sua scomparsa a pochi giorni dalla sua partenza da Procida. Il dispiacere è stato condiviso da tutta l’isola». Come fu il vostro primo incontro? «Mi accostai con la trepidazione di un fan che incontra il proprio idolo, Massimo si comportò con spontaneità e umanità come un amico di vecchia data. Era un uomo semplice e alla mano». Ricorda un aneddoto particolare? «Il film era girato nel villaggio dei Pescatori della Corricella. C’erano i mondiali di calcio e la regia chiese di togliere le antenne che contrastavano con il tempo storico del film, gli isolani protestarono e la troupe per farsi perdonare mise un maxischermo. Ogni sera vedevamo tutti insieme le partite, fu indimenticabile». A San Giorgio Troisi vive ancora Dal Bar dello Sport al teatro degli esordi: viaggio nella città natale dell’attore di Alberto Canonico Per raggiungerci digitate www.runradio.it oppure cliccate RunRadio sul sito dell’Università Suor Orsola Benincasa www.unisob.na.it Per vedere e ascoltare la radio in streaming-video: www.livestream.com/runradiounisob Il 19 febbraio Massimo Troisi avrebbe compiuto 58 anni e, come ogni anno, San Giorgio a Cremano, la sua città natale, lo ha ricordato con varie iniziative. La città è da sempre legata a un filo diretto con l’attore sangiorgese. Negli anni, senza non qualche difficoltà, l’amministrazione comunale ha cercato di mantenere viva l’immagine di Troisi nei cuori della cittadinanza e di chi volesse conoscere più da vicino i luoghi che accompagnarono l’infanzia e la crescita dell’attore dal punto di vista professionale e non solo. «Un tour ufficiale dei luoghi da poter visitare, dove conoscere la storia di Troisi, al momento non esiste - dice Michele M. Ippolito, capo ufficio stampa del Comune di San Giorgio a Cremano ma si può immaginare una passeggiata in città alla scoperta dei luoghi dove Troisi mosse i primi passi della sua intensa carriera». L’attore di “Ricomincio da tre”, “Scusate il ritardo” e “Il postino”, solo per citarne alcuni, era molto legato alla sua città natale e non mancava mai di ricordarlo. Intervistato da Gianni Minà in occasione della vittoria dello scudetto del Napoli Troisi ringraziò Maradona e compagni come cittadino di San Giorgio a Cremano e a nome di tutta la cittadinanza. Immaginando un itinerario tra i luoghi rappresentativi della vita di Troisi non si può che partire dalla piazza a lui dedicata: un’ampia agorà, costituita da panchine e giardinetti, inaugurata dall’amministrazione comunale nel 1998 alla presenza dell’allora ministro degli Interni Giorgio Napolitano. Nei pressi di Piazza Troisi è sempre aperto il “Bar dello sport” dove l’attore amava trascorrere le sue giorna- te in compagnia degli amici. Molte battute, riprese nei suoi film, sono nate proprio dalle chiacchierate tra ragazzi che avvenivano seduti ai tavolini del bar. Poco più in là, a sinistra della Piazza, c’è un muro rosso, quel che resta della casa dove l’attore passò la sua infanzia. Continuando questo ideale giro turistico si imbocca via Sant’Anna dove c’è l’omonima parrocchia dove Troisi fu battezzato. Di fronte alla chiesetta, a pochi passi dalla strada principale, al turista che è alla ricerca dei luoghi dove Troisi è vissuto, si presenta una piccola cappella votiva, dove campeggia una foto dell’attore. A 50 metri abita la sua famiglia, da sempre molto riservata, che ama ricordare il proprio caro in forma privata e senza clamori. Ripercorrendo a ritroso il tragitto, ripassando per Piazza Troisi, si prende via Cavalli di Bronzo e si arriva a Villa Bruno. La struttura fa parte del percorso delle ville vesuviane del Miglio d’Oro, definito così per la ricchezza storica e paesaggistica e per la presenza dei palazzi del Settecento. Da molto tempo Villa Bruno è il centro culturale della cittadina; ospita concerti, manifestazioni e, soprattutto, il premio dedicato all’attore Troisi, rivolto ai giovani comici emergenti. Al primo piano della villa si può ammirare la bicicletta del film “Il postino”, acquistata dall’amministrazione comunale a un’asta di beneficenza per la cifra di 15 milioni di lire. L’attore riuscì a terminare, a fatica, il grande capolavoro cinematografico e morì nel sonno, nella casa della sorella Annamaria a Ostia, per attacco cardiaco, il 4 giugno 1994, lasciando così un vuoto incolmabile nella cinematografia italiana. Da Ostia le spoglie dell’attore arrivarono al cimitero comunale di via San Giorgio Vecchio. Qui, la tomba dell’attore prende posto all’interno della congrega di San Raffaele, che non è visitabile. Per chi vuole pregare e rendere omaggio all’attore, in fondo al cimitero, c’è il monumento funebre dedicato a Troisi. Ogni anno, il 19 febbraio, alla presenza delle istituzioni cittadine, un fascio di luce blu parte dalla struttura in pietra a simboleggiare la continua connessione tra cielo e terra, tra la città e l’attore sangiorgese. A San Giorgio Vecchio c’è, poi, il “Centro Teatro Spazio”, un teatro sperimentale che si può visitare previo accordo con la famiglia Borrelli che lo gestisce. Qui nacque “la Smorfia”, il gruppo cabarettistico formato dal trio Troisi – Arena – De Caro, attivo negli anni settanta e ottanta che, prendendo spunto dalle situazioni quotidiane della Napoli dell’epoca, puntava l’indice su temi più disparati quali la religione, l’occupazione (e disoccupazione), il folklore e le tradizioni ancora vive nel napoletano. Uno show che è rimasto nelle menti dei cittadini per la novità e le battute esilaranti. Per concludere questa ideale visita non va dimenticata Villa Vannucchi, un’altra delle ville del Miglio d’oro, dove si girò la primissima scena del film “Ricomincio da tre” in cui Lello (Arena) chiama a squarciagola Gaetano (Troisi). La villa è stata restaurata grazie ai 10 milioni di euro stanziati dalla Regione Campania e oggi è diventata il “Palazzo delle Arti Vesuviane”, che ogni anno ospita mostre d’arte e fotografiche. Da sinistra la chiesa di Sant’Anna, il palco del Centro Teatro Spazio, villa Vannucchi EVENTI pagina 6 pagina inchiostro n. XIII – 2011 La città ecosostenibile al Nauticsud Le novità dell’edizione 2011 tra gare veliche e convegni zioni (50 a vela) per le prove tecniche. Tra le iniziative collaterali figurano diverse regate veliche e gare di pesca d’altura La 42esima edizione della fiera del mare Nauticsud apre i e incontri tematici con tavole rotonde, convegni e work shop battenti sabato 12 e termina domenica 20 marzo. Nove gior- sugli argomenti economici e di sviluppo portuale collegati al ni di esposizione suddivisi fra due siti: quello oramai storico mondo della nautica. Infatti il Presidente del Nauticsud Lino della Mostra d’Oltremare e gli spazi del “Marina Nauticsud” Ferrara è anche presidente dell’Unad (Unione nazionale ara Mergellina. Nel quartiere fieristico di Fuorigrotta si potran- matori da diporto), associazione che rappresenta la categoria no ammirare tutte le novità riguardanti la nautica 2011, ma dei diportisti, che ha tra le sue funzioni il supporto allo svinon solo. Infatti gli oltre 350 espositori forniscono una gam- luppo del settore della nautica e del diportismo attraverso le ma di prodotti molto ampia. Oltre al mondo del mare saran- idee e la progettualità. Da anni combatte contro l’immobilino presenti stand che promuoveranno novità per la casa, il smo delle istituzioni per la creazione di nuovi waterfront per la città di Napoli. giardino e per la cura del corpo. Porto come centro della città dunque, sulla scia di BarAlla Marina invece saranno presenti centodieci imbarcacellona e Valencia, per rendere Napoli città di riferimento nel Mediterraneo per i traffici turistici e di merci. Quest’anno al Nauticsud particolare attenzione è dedicata alle problematiche relative all’ecosostenibilità, alle barche e motorizzazioni ecologiche, alle regole del navigare sostenibile, alle tecnologie e alle soluzioni per minimizzare l’impatto ambientale, senza rinunciare al comfort. L’ampliamento dello spazio riservato al mercato della vela, con oltre 50 imbarcazioni esposte al “Marina Nauticsud” di Mergellina, si riscontra anche nella sezione “terrestre” alla Mostra d’Oltremare con una rappresentanza di prodotti e serLa zona espositiva di “Marina Nauticsud” 7 La Carmen al San Carlo dopo 11 anni Seguirà il “Romeo e Giulietta” con Bolle protagonista di Anna Elena Caputano di Enrico Parolisi vizi dedicati ai velisti. Altra presenza alla 42esima edizione del Nauticsud è quella del settore artigianale che ha avuto un incremento e maggiori consensi in virtù della crisi economica mondiale, che ha invece penalizzato le grandi industrie e i grandi cantieri. Alla Mostra d’Oltremare oltre 47.000 metri quadri di superficie espositiva, tra aree coperte e scoperte, accoglieranno i visitatori con orario prolungato il sabato e la domenica (10,30 – 21,00), mentre durante la settimana il Salone sarà visitabile dalle 12,30 alle 20,00. Apertura costante invece, dalle 10,30 alle 19,30, per tutti i nove giorni di esposizione e prove a mare al “Marina Nauticsud” di Mergellina, dove sono ben 720.000 i metri quadri a disposizione dell’evento. Carnevale, la riscoperta delle radici La passione torna al San Carlo. Nel cartellone di marzo del Massimo ci sono due ritorni: la “Carmen” di George Bizet e il balletto “Romeo e Giulietta”. Entrambi gli spettacoli non venivano rappresentati da tempo: l’ultima messa in scena della “Carmen” risale al 2000 per la regia di Pappi Corsicato, mentre l’ultimo “Romeo e Giulietta” è del 2003. La regia dell’opera lirica è del coreografo Micha van Hoecke, mentre Romeo verrà interpretato da Roberto Bolle. L’etoile della Scala ha ricoperto lo stesso ruolo nel 2003, alternandosi all’epoca con il napoletano Giuseppe Picone, nello spettacolo con la coreografia di sir Kennett McMillan su musiche di Sergej Prokofiev. Stavolta danzerà la coreografia di Amedeo Amodio sulle musiche di Hector Berlioz. Se “Romeo e Giulietta” è stato rappresentato un numero esiguo di volte al San Carlo, la “Carmen” vanta molte rappresentazioni. «Napoli è legata a quest’opera perché la prima esecuzione assoluta in Italia è stata proprio qui», ricorda Enrico Tellini, corrispondente della rivista inglese “Opera” e tra i fondatori dell’associazione “Gli amici del San Carlo”. «Era il 15 novembre 1879 e fu rappresentata al teatro Bellini - continua -. La prima messa in scena era avvenuta il 3 marzo 1875, all’Opéra Comique di Parigi. La “Carmen” è arrivata al San Carlo qualche anno più tardi, nel 1885». L’opera, in quattro atti, su libretto di Henry Meilhac e Ludovic Halévy, è tratta dalla novella omonima di Prosper Mérimée del 1845. Tanti i ricordi delle messe in scena, ma qualcuno è davvero particolare. «In passato l’opera veniva cantata in italiano, non nella lingua originale francese - dice Tellini -. Nel 1960 il tenore Mario Del Monaco convinse l’allora sovrintendente Pasquale Di Costanzo a realizzare una versione della “Carmen” con il mezzosoprano russo Irina Arkhipova, che aveva conosciuto durante una tournèe in Russia. La cantante conosceva l’opera in francese, non in italiano. La sera della prima, l’11 dicembre 1960, Del Monaco con lei cantava nella lingua originale mentre con gli altri personaggi e con il coro in italiano. Nell’ultimo atto, al momento del duetto finale, la Arkhipova dimenticò il francese e cantò in russo. Quella sera l’opera fu cantata in tre lingue: in italiano, francese e russo». Per Tellini, «la “Carmen” migliore è andata in scena il 28 marzo 1968, con protagonista Grace Bumbry, una cantante dalla voce suggestiva e dalla forte presenza scenica. Per molti melomani è la più bella “Carmen” in assoluto. La versione della regista Lina Wertmuller, andata in scena il 10 dicembre 1986, è stata geniale. All’epoca rappresentò una modernizzazione, per le scenografie di legno diverse dalle solite e le automobili Cabriolet d’epoca sul palco. Martha Senn e Luis Lima interpretarono benissimo i protagonisti Carmen e Don Josè. La regista fece muovere benissimo tutti i cantanti e la messa in scena ebbe una forte aderenza con il testo». La “Carmen” andrà in scena dall’8 al 13 marzo, mentre “Romeo e Giulietta” sarà rappresentato dal 22 al 29 marzo. Il San Carlo di Napoli Marzo tra sculture e notti d’Oriente MONTEMARANO SAVIANO AGROPOLI LO SPETTACOLO LA MOSTRA IL MUSICAL Con i Caporabballo tra sfilate e tammorra Satira ed enogastronomia nel Carnevale agronolano La festa è una maratona Dura trentotto giorni “La scuola delle mogli” smaschera Molière Il Cristo Rivelato dello scultore non vedente I Pooh musicano la favola di Aladin di Emanuele De Lucia di Romolo Napolitano di Alessandro Di Liegro di Paola Cacace di Cristiano M.G. Faranna di Lorenzo Marinelli Una festa danzante, liberatoria, ai limiti frenetici del delirio. A 820 metri di altezza, Montemarano, in provincia di Avellino, tutto l’anno aspetta il Carnevale per ritrovare il sapore della tradizione. S’indossa una maschera, s’impugnano ciaramelle, tammorre e castagnole e ci si scatena fino all’alba. Il Carnevale montemaranese inizia il 17 gennaio, giorno dedicato a Sant’Antonio abate e si conclude la domenica dopo le Ceneri. Tutto il paese viene allestito con decorazioni carnevalizie ed è un tripudio di colori, suoni e maschere. Si celebra un rito che ha origini pagane, ripreso e divulgato nel XVII secolo dal poeta e scrittore napoletano Giambattista Basile che fu signore e governatore di Montemarano. Gli appuntamenti più importanti sono fissati nella settimana di Carnevale. Domenica 6 e lunedì 7 marzo si sfila in maschera con gli alunni delle scuole elementari, accompagnati dal gruppo folkloristico Zompacardillo; la sera lo spettacolo continua nei locali. La mattina di martedì grasso un laboratorio introdurrà i partecipanti alla tarantella montemaranese, guidata dai Caporabballo, originali pulcinella della zona. Venerdì 11 e sabato 12 gli spettacoli “La tarantella più lunga della storia” e “Piccimondo Folk”. L’appuntamento più atteso è previsto domenica 13, con il “Carnevale morto”: un commiato funebre e ironico da Carnevale, la lettura del suo grottesco testamento e le danze fino a notte inoltrata, quando viene rotta la “Pignata”, dalla quale fuoriescono biscotti e dolciumi. Domenica 6 e martedì 8 marzo si svolgerà a Saviano la trentatreesima edizione del “Carnevale… se chiammava”. Per le strade della cittadina dell’agronolano sfileranno 13 carri frutto del lavoro di altrettanti rioni. I temi, come ogni anno, variano dai cartoni animati, come “I puffi” e “Cattivissimo me”, all’Oroscopo passando per la politica, il tutto trattato con ironia e nell’ottica dissacrante del Carnevale. Nato nel 1979, la sfilata dei carri allegorici affonda le sue radici nelle feste contadine legate al martedì grasso e ad altre manifestazioni più esotiche, come il Carnevale africano, diffuso sul territorio già a partire dagli anni ’30. L’evento sarà preceduto e seguito da tutta una serie di appuntamenti enogastronomici organizzati nei rioni e da altre manifestazioni come il torneo di scacchi, l’esibizione di artisti di strada e la Coppa Carnevale di ciclismo. «Abbiamo addobbato le 4 porte della città grazie agli artisti savianesi – spiega il neo presidente della Fondazione Carnevale Pasquale Napolitano -. Stiamo cercando di far diventare la sfilata un po’ più competitiva con premi per la migliore coreografia, il miglior balletto e il miglior travestimento, così da stimolare e incentivare la creatività. L’obiettivo per i prossimi anni è quello di potenziare il ruolo dei ragazzi nella manifestazione». Nel Carnevale savianese non ci sono né lanci di uova o farina, né l’uso di bombolette spray. Inoltre è vietata la vendita di superalcolici. Qui si ci può divertire senza esagerare né danneggiare nessuno. Ad Agropoli il Carnevale dura 38 giorni. Tanti quanti quelli che trascorrono dal primo evento programmato alla chiusura della manifestazione. Per festeggiare i 40 anni di Carnevale gli organizzatori dell’associazione “Il Carro” hanno pensato di fare le cose in grande. Quest’anno si è cominciato il 29 gennaio con il concorso nazionale “Maschera, identità, metamorfosi” per la realizzazione del manifesto del Carnevale, che ha visto vincere un’interpretazione del pirata Kajardin. In realtà si tratta di una rievocazione del saraceno Kair El Din, che nel XVI secolo ha invaso Agropoli. Per esorcizzarne la figura gli organizzatori hanno pensato di adottarlo come simbolo di gioia e felicità mascherandolo e vestendolo a festa. Il 26 febbraio l’elezione di Miss Carnevale è il secondo degli step di avvicinamento alla sfilata dei carri. Il 5 marzo, vigilia dell’inizio della festa, nella piazza principale di Agropoli “Quest’anno il vestito me lo faccio da me”, evento onnicomprensivo dove fra musica e balli tutti i partecipanti, soprattutto i bambini, avranno a disposizione tessuti e altri materiali per realizzarsi da soli il propri abito carnevalesco. L’evento vero e proprio inizierà però il 6 marzo, con la prima sfilata dei carri allegorici condotti dai maestri cartapestai, che partiranno dal Lungomare e arriveranno a piazza Vittorio Veneto. L’otto marzo la sfilata conclusiva. Musica, balli e scherzi faranno da cornice e accompagneranno i visitatori del Carnevale. L’anno scorso furono 80.000, quest’anno gli organizzatori ne attendono molti di più. «Molière è il primo a togliersi la maschera». A parlare è Valter Malosti, premio Ubu 2009, regista e attore del Teatro di Dioniso. La sua compagnia sarà a Napoli con “La scuola delle mogli” del drammaturgo francese. «Ho scelto un testo carico di tutta l’eversività di Molière, tradotto male in Italia per anni e quindi non compreso a fondo». Più che uno scrittore un teatrante scontratosi con la realtà napoletana: «Di grande ispirazione per lui era la maschera di Scaramouche, di origini partenopee». Sul palcoscenico costumi dai colori neutri ma carichi, in contrasto con i colori vivi della scenografia le cui ombre rendono l’atmosfera visionaria: «Mi sono ispirato a Fellini, e a Tim Burton – confessa il regista che specifica – l’ambientazione è un immaginario ‘800, rispetto al ‘600 di Molière». Un trucco perché i protagonisti sono borghesi: «Ma in Italia il secolo della borghesia è l’ottocento, mentre il nostro è il secolo in cui si tenta di mantenere l’ignoranza». Il Molière politicamente scorretto e crudele dava in realtà voce a tutti, e grazie a rime e ritmo faceva ridere. «Per renderne la musicalità in scena portiamo un mix d’italiano e francese maccheronico». Ma è pur sempre la storia di una bambina di 4 anni «venduta per essere impalmata qualche anno più tardi. Strano. Mi ricorda qualcosa che ho letto sui giornali». Il “Cristo Rivelato”, la scultura creata dall’artista non vedente Felice Tagliaferri che già dal nome richiama il Cristo Velato di Sammartino, verrà esposta fino al 13 marzo nel Museo Archeologico. «L’opera nasce da un rifiuto di farmi toccare l’originale – dice il maestro – ed è una scultura molto simile al Cristo Velato, ma per i non vedenti. La sua particolarità è che non si rovina con una sfregata di mani». Una denuncia forte nei confronti dell’intero mondo dell’arte per dimostrare che «non succede niente se 2000 mani toccano un’opera. È come un ricco possidente che ha una bella statua in giardino. Non la fa toccare ma sole, pioggia, grandine, la scalfiscono ugualmente». La rivelazione è un processo triplice che coinvolge e richiama autore, pubblico, arte. «È nato senza fede, ma mano a mano che lavoravo il sentire è cresciuto. Non si può, senza fede, usare quella dolcezza, delicatezza, che servono per plasmare il Cristo deposto». «Durante la rifinitura ho assistito a miracoli davvero grandi. Da tutta Italia sono arrivati pullman colmi di persone disabili che armate di pietra hanno levigato il marmo». L’artista gestisce una scuola di arti plastiche a Sala Bolognese. La “Chiesa dell’arte” offre a bambini, anziani e disabili l’opportunità di esprimere la propria creatività. «Diciamo che io ho dato qualcosa a Cristo e Cristo ha dato qualcosa a me». Dal 4 al 13 marzo atmosfere da Mille e una Notte nel colossal di danza e musica, prodotto dalla romana Nausicaa, che ha richiesto 3 anni di progettazione. La regia è di Fabrizio Angelini, le musiche dei Pooh, e poi effetti speciali, imponenti scenografie, sontuosi costumi e maschere: “Aladin” è frutto delle ambizioni di Stefano D’Orazio che, dopo il successo del musical “Pinocchio”, decide di portare in giro per l’Italia le atmosfere delle strade di Baghdad. «Ho subito parlato del progetto con Manuel Frattini – dice D’Orazio – per me era l’unico possibile protagonista. Il mio Aladin è uno scugnizzo scanzonato, generoso, con un bel senso dell’amicizia, curioso e intraprendente, ma anche tenero e disperato quando gli eventi lo mettono di fronte a un amore impossibile». A indossare il gilet del genio della lampada è un Roberto Ciufoli adrenalinico, fanatico, imponente e fracassone. La Principessa Jasmine è interpretata da Valentina Spalletta, che in passato ha preso parte ad altre grosse produzioni. «Nel corso della lavorazione – racconta D’Orazio – questa Jasmine, la scoprivo un’antesignana femminista». I 18 brani sullo sfondo sono in tipico stile Pooh. Un mix che sorprende e riempie i teatri. Una fiaba che racconta un Oriente affascinante e lontano. Dopotutto, chi, almeno una volta, non ha sognato di fare un giro sul tappeto volante? DATA: dal 16 al 27 marzo LUOGO: Teatro Mercadante, piazza Municipio (NA) DATA: dal 26 febbraio al 13 marzo LUOGO: Museo Archeologico, piazza Museo (NA) DATA: dal 4 al 13 marzo LUOGO: Teatro Augusteo, piazza Duca D’Aosta (NA) AMBIENTE ED ECONOMIA pagina 8 COSTUME E SOCIETÀ inchiostro n.XIII – 2011 Buste di plastica, pronti all’addio Dal primo gennaio le classiche shopper sono finite nel cassetto, ma non i problemi di Annalisa Perla Addio vecchi sacchetti di plastica. Dal primo giorno del nuovo anno è vietata la commercializzazione delle buste in polietilene. Almeno sulla carta. Sono ancora molte, infatti, le scorte di magazzino che potranno essere distribuite gratuitamente fino a esaurimento. «Una svolta epocale» per il Wwf, che da anni ne denuncia la dannosità ambientale. Ma le polemiche non mancano. «Queste buste biodegradabili si rompono subito». E’ la lamentela di Anna, all’uscita di un minimarket nel centro di Napoli. E non è la sola ad avere problemi. Il signor Nicola è scettico: «Vado spesso a far la spesa nei centri commerciali fuori città. Mi riprometto sempre di portarmi dietro i sacchetti riutilizzabili che ho comprato, ma puntualmente me ne dimentico e sono costretto a comprarne di nuovi». I clienti non hanno reagito benissimo alla nuova norma. «Ma è solo questione di abitudine», dice ottimista un negoziante del Vomero. I problemi, però, non riguardano solo la propensione dei consumatori all’utilizzo dei sacchetti bio. «Dopo il divieto, si è creata una vera giungla», ha denunciato Unionchimica. Secondo l’unione della piccola e media industria chimica che associa produttori e trasformatori di materie plastiche il problema è «la mancanza di decreti attuativi che regolamentino, in maniera chiara, tempi e modi di smaltimento delle scorte e che indi- chino i requisiti tecnici che i materiali da utilizzare per le nuove buste devono avere per rispondere alla biodegradabilità richiesta». Perciò, Delio Dalola, presidente nazionale dell’associazione, ha scritto al ministro dell’Ambiente chiedendo regole certe. Il divieto, introdotto dalla Finanziaria 2007, doveva inizialmente scattare nel 2010, termine successivamente prorogato dal governo. Ma anche quest’anno il rischio proroga era nell’aria. Il ministro Prestigiacomo si è battuto per evitarne lo slittamento. Le associazioni dei consumatori hanno gioito della decisione e spesso spronato gli amministratori locali a lanciare campagne di sensibilizzazione già mesi prima dell’entrata in vigore. Com’è accaduto a Caiazzo, piccolo comune del Casertano, uno dei primi in Italia a bandire il polietilene, con il progetto “No plastic bag”. Esultano naturalmente le associazioni ecologiste. Legambiente a dicembre ha effettuato un sondaggio in 80 città, dal quale emergeva la disponibilità degli italiani a dire addio alla vecchia borsa in plastica. «E’ la rivincita degli strumenti utilizzati dalle nonne, come sporte in tela e carrelli della spesa» si legge in una nota del Wwf. Una minaccia in meno per l’ecosistema. Secondo il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, infatti, l’immissione dei sacchetti in polietilene ogni anno provoca la morte di 100mila mammiferi marini, oltre a danneggiare agricoltura e pesca. Per essere prodotti, hanno bisogno di grandi quantità di petrolio e possono rimanere nell’ambiente dai 15 ai 1000 anni. L’Italia deterrebbe il record dei consumi, con oltre il 25% del totale dei sacchetti uti- lizzati nell’Unione Europea. Inoltre, sono in molti a pensare che riciclarli o recuperarli non conviene, dati gli elevati costi. Di diverso avviso Walter Regis, direttore generale di Assorimap, l’associazione nazionale dei riciclatori delle materie plastiche, che preme sul Ministero affinché riveda la legge. Secondo Regis, infatti, oggi il circuito italiano della raccolta differenziata svolge un’attività di riciclo di circa 300mila tonnellate all’anno di rifiuti di imballaggio in plastica. Il 20% è costituito dalle shopper. «Andando verso l’azzeramento della produzione di buste di plastica si mette in ginocchio un comparto, quello delle aziende del riciclo, tra le più efficienti d’Europa». A difesa della plastica come importante risorsa se raccolta e riciclata, Assoripam sta lanciando una campagna per l’uso delle bag riutilizzabili ottenute da materiale plastico al 100% riciclato. Intanto le grandi catene di distribuzione hanno dovuto adeguarsi e propongono diverse alternative al vecchio bistrattato sacchetto. Oltre alle borse in bioplastica riutilizzabile, che si degradano naturalmente nell’ambiente, sacchetti di carta e sacchi in tessuto: cotone, iuta o canapa. Auchan s.p.a. era stato pioniere, anticipando di oltre un anno l’iniziativa ecologica. Dal 1° luglio 2009, infatti, nei negozi della catena di supermercati francesi si è detto addio al sacchetto di plastica. Al loro posto alle casse diverse eco-opportunità: dalla sporta biodegradabile a quella riutilizzabile. Luca, il batterio salvaspazzatura è senza fondi Il microrganismo che trasforma rifiuti in energia non è finanziato dal ministero di Francesca Romaldo Munnezza: Napoli la crea e Napoli la distrugge. La soluzione allo smaltimento dell’immondizia nasce da un’idea tutta partenopea. I rifiuti organici saranno alla base della produzione di idrogeno, grazie all’aiuto di un batterio marino scovato nelle fumarole di Pozzuoli, il Thermotoga neapolitana, in grado di sopravvivere a temperature altissime. Il microrganismo estremofilo produce idrogeno quando digerisce il glucosio, che ricava facilmente dagli avanzi alimentari o da qualsiasi altro carboidrato di scarto, persino dai trucioli di legno. Da questo processo nasce anche un terreno sul quale altri batteri possono continuare a banchettare producendo ancora idrogeno o molecole utili per la medicina e per la chimica. Il ciclo in terreno di scarto permetterà l’uso dei derivati organici come materiale di partenza per uno smaltimento diretto ed ecocompatibile. «E’ un processo che ci ha permesso una resa teorica pari o addirittura maggiore di quella avuta con i metodi tradizionali», dice Agata Gambacorta, direttore dell’Istituto di Chimica Biomolecolare al Cnr di Pozzuoli e responsabile del progetto. Partendo da composti organici e batteri vulcanici sarà possibile, quindi, creare un impianto per la produ- La sede del Cnr di Pozzuoli zione di idrogeno che potrà essere trasformato in energia cerche all’avanguardia. Ci sono tuttora punte d’eccellenza. elettrica. Si potranno, insomma, affrontare in un colpo solo Oggi però non si investe più in strutture e persone. Da quindue emergenze attuali: quella dei rifiuti e quella energetica. dici anni il sistema è totalmente miope. Non capiscono che L’entusiasmo non manca. A mancare però sono i soldi. «I fi- senza ricerca di base non ci può essere innovazione». Una nanziamenti si sono bloccati sulla scrivania di Tremonti e là situazione comune all’Italia intera e che costringe i ricercasono restati – dice Gambacorta – e senza finanziamenti non tori a cercare fortuna all’estero. possiamo andare avanti. Abbiamo a malapena i soldi per «Soffriamo un gap che sarà difficilissimo da colmare in pagare la bolletta della luce». Ma non è stato sempre così. futuro. Il problema è che qui in Italia si lavora male. C’è Come testimonia Luca, il batterio napoletano scoperto per caso da Agata Gambacorta. «Quarantadue anni fa – racconta – il Cnr aveva un consiglio scientifico di altissimo livello e c’era bisogno di lanciare l’istituto di Pozzuoli». Si rivolsero al territorio che offriva un ottimo materiale di partenza: le solfatare e il mare. «Io ero stata destinata con il professor Mario De Rosa all’area delle solfatare. Ci portarono nella zona di Agnano e ci dissero che c’erano delle pozze calde. Analizzando dei campioni in laboratorio ci accorgemmo di Fumarole del vulcano Solfatara dove è stato scoperto il batterio Luca qualcosa in crescita. La chiamammo Caldariella acidofila. Ci abbiamo lavorato tantissimo». Questa è la sto- stata una lenta erosione fino ad oggi. Quest’anno abbiamo ria della scoperta dell’Ultimo antenato comune universale raggiunto livelli minimi impensabili. Così non possiamo (Last Universal Common Ancestor), Luca appunto, da cui andare avanti». discendono gli esseri viventi terrestri. Il nome napoletano è I finanziamenti pubblici sono bloccati e i fondi europei stato cambiato, per adeguarsi agli standard di nomenclatura pochi e difficili da avere, solo le industrie private sono diufficiali, ma l’estro partenopeo è restato. sposte a investire nella ricerca, ma ancora per poco. «E’ una «La Campania ha una marcia in più – continua Agata realtà triste. L’Italia si è chiusa in se stessa e io, in tanti anni Gambacorta –. Intorno agli anni Cinquanta sono nate ri- di carriera, non ho mai vissuto un momento così buio». pagina 9 Tutti detective subito! Il mercato delle microspie è diventato prêt-à-porter di Jessica Mariana Masucci Da soli montiamo i mobili dell’Ikea e i video che finiscono su You Tube, organizziamo i viaggi estromettendo tour operator e agenzie. Sospettosi cronici, diventiamo anche investigatori fai da te. Attorno al bricolage delle indagini ruota un mercato di vendite di microspie e software specifici. A Napoli se ne trova un esempio fisico. Passeggiando per una via del centro ci si imbatte in una vetrina che attira continuamente l’attenzione dei curiosi. Sono esposti aggeggi sofisticati per filmare, registrare o compiere altre azioni utili alla raccolta di informazioni. A volte assumono forma di oggetti Si possono acquistare innocui, ma dal prezzo cappellini, cravatte, all’apparenza tutt’altro che modesto, in tempi ganci appendiabiti di crisi. E così un gancio appendiabiti, semplice, e lattine-spia nero, costa 320 euro; un cappellino con la visiera 290 euro, una cravatta 190; lattine uguali a quelle reali di Coca Cola 268 euro, senza alcuna differenza tra la classica rossa e quella a zero calorie. Il titolare del negozio, Antimo Capasso, ha aperto a inizio febbraio questo punto vendita. Il novanta percento del lavoro della “No Detective” però si svolge su internet, da quattro anni. Scrivendo la parola “microspia” sul motore di ricerca, il sito campano è tra i primi dieci risultati. La rete è il più grande spazio espositivo per questi articoli, soprattutto se diretti a una clientela di privati, che trovano in questo mezzo un modo per mantenere la riservatezza sull’acquisto. «Di persona il cliente si presenta per comprare solo se è particolarmente motivato. Altrimenti entrano persone incuriosite, danno un occhio ai prodotti e poi vanno via», dice Capasso. Il target dell’acquirente medio, spiega, è adulto: «I ragazzi sono abituati a smanettare da soli al computer». I prodotti più richiesti sono i software-spia per i cellulari. Facciamo un esempio. Con un colpo di mouse si può spalancare la porta a pagine e pagine di siti sugli “spy phone”. È un comune telefonino al quale un programma permette di intercettare le telefonate, le conversazioni ambientali, messaggi di testo in entrata e in uscita e altre funzioni. Le intercettazioni in questo caso sono solo un tassello della delicata questione del rispetto della privacy. Il rischio per chi si avventura nel campo dell’indagine fatta in casa è penale, una violazione di norme sulla tutela della libertà e segretezza delle comunicazioni che può costare la reclusione in carcere da sei mesi a quattro anni. I siti avvisano di non essere responsabili se l’acquirente fa un uso improprio di un registratore, una telecamerina o altro. Capasso conferma: «Non vogliamo conoscere le motivazioni personali dell’acquisto. Sono i clienti che fanno esternazioni spontanee. Una signora è entrata dicendo: “Mi sto vedendo con il mio ex fidanzato, ma lui non mi vuole più… Cosa posso fare?”». Schizzo d’Inchiostro di Anna Lucia Esposito Lo spettacolo campano: ecco le cifre della crisi di Egidio Lofrano Fare spettacolo non è solo un tassello, seppure importante, dell’offerta culturale di una regione. È anche un comparto, economicamente rilevante e collegato a tanti segmenti produttivi, che può diventare la leva per rilanciare lo sviluppo di un territorio. Questa la tesi degli operatori campani del mondo dello spettacolo, che si oppongono alla riduzione degli incentivi, e in particolare alla scelta del governo di dimezzare il Fus, il Fondo unico per lo spettacolo. Basta scorrere i dati per capire quanto il settore in Campania sia in sofferenza, con distanze nette rispetto ai prodotti di regioni come Lazio, Toscana, Veneto ed Emilia Romagna. Dal volume “L’industria dello spettacolo in Campania”, diffuso dalla sezione regionale dell’Agis, l’associazione generale italiana dello spettacolo, emerge una fotografia aggiornata al 2009 con dati significativi: 12 mila addetti direttamente impiegati nel settore, oltre 15 milioni di spettatori, un volume d’affari di 215 milioni e un calo degli incentivi statali e regionali al comparto. Nel solo triennio 2007-2009 si è registrata una diminuzione di oltre 2 milioni e mezzo di persone che hanno seguito un evento teatrale, una rappresentazione musicale o una proiezione cinematografica. Il dato non ha influito sul monte ricavi, vista la spesa superiore pro capite dei cittadini campani ai botteghini, 31 euro contro i 25 euro della media italiana. A questo bisogna aggiungere il taglio degli incentivi statali e regionali, che ammontano a 210 milioni tra il 2007 e il 2009. Primo nodo spinoso è l’entità del fondo Fus, di cui la Campania riceve il 6% del totale nel 2009: a livello nazionale il record negativo di 414 milioni di euro previsti nel 2010 (pari allo 0,026% di incidenza sul prodotto interno lordo) è solo un gradino verso una diminuzione ulteriore, che porterà il fondo a poco oltre i 300 milioni nel biennio 2011/2012, vista l’esclusione di un provvedimento di reintegro delle risorse nel decreto Milleproroghe. Se si passa al sostegno regionale previsto dalla legge quadro n°6 del 2007 si registra un ulteriore calo del 15%, con lo stanziamento di 54 milioni di euro a fronte dei 60 disponibili. Ultimo punto è l’intervento comunitario. Nell’ambito dei 110 milioni previsti per lo sviluppo regionale dal Por Fesr 2007-2013 sono stati impegnati già oltre 78 milioni, con altri 31 ancora da assegnare. Una situazione critica che spinge a individuare nuove forme di finanziamento. Da un lato «bisogna studiare un piano per suddividere le risorse, definendo le priorità», commenta Riccardo Mercurio, docente di Economia aziendale all’Università “Federico II” di Napoli, e dall’altro «è fondamentale coinvolgere nel settore i privati per coprire una fase di debolezza della pubblica amministrazione, semplificando le procedure burocratiche per poter attrarre nuovi capitali». Per Bruno Zambardino, docente di Organizzazione ed Economia dello spettacolo all’Università “La Sapienza” di Roma, «lo spettacolo deve essere inserito nel perimetro dell’industria della creatività, con nuovi parametri per la valutazione dei risultati finali che influiscano sulla distribuzione dei fondi». L’avvocato: «Legge incerta No all’uso in tribunale» di Antonio Frascadore La vendita e l’usufrutto di telecamere nascoste è legale ma si corre il rischio di intaccare la privacy delle persone. «Cimici e miscrospie possono essere venduti liberamente, il problema vero è l’utilizzo». Parla l’avvocato penalista Paola Iazzeolla che non ha dubbi sull’argomento. «In realtà - sottolinea - non è vietata la vendita di questi oggetti. Il rischio è l’utilizzo improprio che spesso si fa di queste cose». Secondo la penalista l’esistenza di negozi che fisicamente o attraverso siti on line vendono prodotti da 007 non è contraria alla legge ma gli eventuali risultati di indagini personali non possono poi essere utilizzati in giudizio. «Non vi sono leggi che regolano l’utilizzo di oggetti da investigazione - prosegue -. Per ora è possibile la commercializzazione di questi prodotti ma la dottrina non si è ancora espressa a riguardo o almeno non lo ha fatto nel dettaglio. Assistiamo a un tam tam mediatico senza precedenti. Anche una intercettazione sembra una alternativa all’ordine del giorno. Non è cosi». «Prima di procedere all’ascolto di una conversazione il giudice deve autorizzare l’operatore rispettando tutti i criteri e gli iter legislativi - continua -. In questo caso l’acquisto di prodotti da agente investigativo non presuppone autorizzazioni, quindi concluderei affermando che questi oggetti anche se acquistati possono essere utilizzati solo a scopo personale senza la possibilità di successivo utilizzo dei risultati in sede penale o civile». Alle aziende, invece, tutto o quasi è permesso. «La Corte di Appello - conclude -, invocando precedenti della Corte di Cassazione, ha dichiarato legittimi i controlli esercitati da dipendenti di una agenzia investigativa operanti come normali clienti di un esercizio commerciale». LA NAPOLI CHE PRODUCE pagina 10 pagina inchiostro n. XIII – 2011 Napoli produce: un mese di parole, 11 suoni, arte e software per cucinare IL LIBRO LA MOSTRA IL REPORTAGE L’APPLICAZIONE IPOD L’Italia spaccata in due dal “Terronismo” Castel Nuovo ospita la “risonanza” di Fiore In Tanzania per salvare gli albini La cucina partenopea si fa app di J.M.M. di Francesca Saccenti Il 23 marzo, a sei giorni dal 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia, esce il nuovo libro di Marco Demarco “Terronismo - Perché l’orgoglio (sudista) e il pregiudizio (nordista) stanno spaccando l’Italia in due”, edito da Rizzoli. A Napoli sarà presentato il 29 marzo, presso la Feltrinelli di piazza dei Martiri. «Dopo la pubblicazione di “Terroni” di Pino Aprile (ed. Piemme, 2010 ndr.) mi hanno chiesto di scrivere una replica o comunque un’interlocuzione - afferma l’autore -. Alla fine non è stata una risposta a quel libro, quanto piuttosto una riflessione su atteggiamenti neo sudisti e neo borbonici». Demarco è direttore del Corriere del Mezzogiorno, fondato nel 1997 insieme con Paolo Mieli, al ritorno dal viaggio in cui è diventato cittadino onorario di Memphis. “Terronismo” è un saggio nel quale sono analizzati vari modi di essere meridionalista: critico, orgoglioso, antirisorgimentale. Soprattutto pone l’attenzione sui localismi estremi, il leghismo (o come il direttore lo chiama: “turboleghismo”) e il meridionalismo neoborbonico: «Sono due opposti che si toccano, come avvenne per il terrorismo politico degli anni Settanta. L’affinità sta nel preferire entrambi un’Italia pre-risorgimentale». Non è il solo punto di contatto. «Alcuni leghisti, tra cui Miglio - continua -, guardano con ammirazione al fenomeno del brigantaggio e lo considerano di grande importanza storica». Le radici affondano nel secolo scorso, ma per l’autore il fenomeno del sudismo estremo si è rinnovato negli ultimi cinque o sei anni come controproposta agli sviluppi della questione settentrionale: «Si è risposto nel peggiore dei modi, basandosi sull’ipotesi di un Sud che non accetta la sfida della modernità e preferisce ritrarsi in un ideale ritorno all’Arcadia». Al direttore è stato chiesto più volte cosa ne pensasse della nascita di un Partito del Sud. «Non sono scettico - ribadisce - su questa possibilità; un partito di questo tipo potrebbe fare bene se legato a un’aspirazione nazionale e risolvere il problema Il direttore del Corriere del Mezzogiorno Marco Demarco della selezione della classe dirigente politica al Meridione, dove adesso c’è solo un pulviscolo di partitini. E attrarrebbe anche l’elettorato di centro». Tonalità intense, antichi tessuti e forme geometriche al servizio della pittura spirituale. Sono gli ingredienti dell’artista Mattia Fiore, che dà vita alla mostra “Risonanza Interiore”, dal 16 al 28 marzo, nella sala Carlo V del Castel Nuovo. Un viaggio alla ricerca dei colori caldi in un luogo d’eccezione, un percorso di immagini per raccontare, secondo l’artista, l’essenza della vita. Pittura a olio, colori acrilici, tinte forti per descrivere gli stati d’animo e le emozioni dell’autore. «L’universo è vibrazione. Tutto si muove. Gli atomi si uniscono e si fondono, mentre noi percepiamo i diversi aspetti della realtà attraverso la risonanza spiega Fiore -. Del resto diceva Goethe: se l’occhio non fosse solare, non potrebbe fissare il cielo. E se non avessimo una forza divina, non potremmo estasiarci di fronte alla vita». Il pittore napoletano, membro dell’Accademia Internazionale d’Arte Moderna di Roma, ha esposto le sue opere in sedi nazionali e internazionali come Londra, Montecarlo, Berlino, New York, ricevendo numerosi premi e riconoscimenti per il suo stile, che predilige il gesto e non la forma. I suoi lavori sono in esposizione permanente presso il museo di Morcone di Benevento e il Convento della Basilica di San Francesco di Assisi, e non solo. Le opere di Mattia Fiore Uno stile che abbandona il reale, per portare avanti in mostra a Castel Nuovo la concezione dell’arte spirituale: i sacchi di iuta di cento anni fa, che servivano a coprire le foglie di tabacco, le lenzuola e i teli di lino, che venivano date in dote nell’Ottocento in Campania, diventano i veri protagonisti della mostra. «I tessuti che utilizzo rappresentano un mezzo dietro il quale si nasconde la sofferenza, il tempo e l’invecchiamento. La materia logora, deteriorata dall’uso, rievoca il passato». Uno stile che si avvicina a quello del pittore perugino Alberto Burri: attraverso la negazione della forma in quanto tale, l’artista libera le sue pulsioni attraverso il dominio del gesto, della materia e del segno. Lo spettatore non è solo spettatore di fronte ai suoi quadri, ma diventa il vero creatore di un’opera in continua trasformazione. L’astrattismo di Fiore nasce dal desiderio di dipingere le forme per rappresentare il loro contenuto, senza l’intervento della ragione, della logica: raccontare il reale filtrandolo attraverso l’occhio dell’artista, l’unico vero mediatore. LA MUSICA Nel rap di Lucariello 150 anni d’Italia Inchiostro Anno XI numero 13 marzo 2011 chiuso in redazione martedi 1 marzo 2011 di Marco Cavero www.unisob.na.it/inchiostro Dagli Almamegretta all’Unità. È il percorso di Lucariello, rapper napoletano che canta oggi “I nuovi mille” in occasione del 150° anniversario dell’Italia unita. La canzone nasce dalla penna di Giorgio Sangiuliano dei Negramaro e dell’ex Pfm Vittorio Cosma, ed è interpretata da Lucariello in compagnia di Gerardina Trovato e del Coro di voci bianche del Teatro San Carlo di Napoli. Lucariello, chi sono “i nuovi mille” di cui si parla nella canzone? «I nuovi mille sono ragazzi di oggi, che hanno in comune con i garibaldini il fatto di essere molto giovani e di portare avanti una battaglia anche a costo della propria vita, per migliorare la terra nella quale vivono. Ho cercato di descrivere dei casi limite: come il ricercatore che continua a lavorare in Italia e il giornalista che non ha paura di fare nomi nonostante le minacce». Lei, Gerardina Trovato e Giuliano Sangiorgi dei Negramaro siete giovani artisti del Sud. Quale pensa che sia il rapporto tra meridione e resto d’Italia dopo 150 anni dall’Unità? «I nuovi mille partono dal Sud, è qui che si vedoLucariello no maggiormente i fenomeni che abbiamo descritto nella canzone. Ma viviamo in un momento storico nel quale dobbiamo pensare all’unità tra le persone ed evitare la tentazione di mettere limiti e separazioni. È una forma di egoismo che ci chiude sempre di più, in una civiltà che invece si sta globalizzando». Che idea si è fatto delle polemiche per la festa del 17 marzo lanciate dai ministri Calderoli e Maroni? «Provo totale disprezzo nei confronti di queste persone. Le affermazioni mi provocano una sorta di moto neoborbonico». Che è una cosa un po’ in contraddizione con una canzone scritta per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia. «È una cosa che farebbe il gioco loro, infatti. Com’è andata storicamente lo sappiamo: il Nord dopo il 1861 ha preso il sopravvento sul Sud, saccheggiando le sue risorse economiche e umane. Ma l’Unità dev’essere parità di condizioni e di possibilità, non sentimento di rivalsa». Periodico a cura della Scuola di giornalismo diretta da Paolo Mieli nell’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa Direttore editoriale Francesco M. De Sanctis Condirettore Lucio d’Alessandro Direttore responsabile Pierluigi Camilli Coordinamento scientifico-didattico Arturo Lando Coordinamento redazionale Alfredo d’Agnese Carla Mannelli Alessandra Origo Guido Pocobelli Ragosta Caporedattore Livio Pane Capi servizio Anna Elena Caputano Sergio Napolitano Enrico Parolisi In redazione Marco Borrillo, Paola Cacace, Alberto Canonico, Marco Cavero, Ludovica Criscitiello, Raffaele de Chiara, Emanuele De Lucia, Angelo De Nicola, Gennario Di Biase, Alessandro Di Liegro, Anna Lucia Esposito, Cristiano Marco Giulio Faranna, Antonio Frascadore, Egidio Lofrano, Violetta Luongo, Lorenzo Marinelli, Francesca Marra, Jessica Mariana Masucci, Ernesto Mugione, Pasquale Napolitano, Romolo Napolitano, Annalisa Perla, Francesca Romaldo, Francesca Saccenti, Giulia Savignano, Emanuela Vernetti Spedizioni Vincenzo Crispino Ciro Crispino Alessandra Cacace tel. 081-2522232 Editore Università degli Studi Suor Orsola Benincasa 80135 Napoli via Suor Orsola 10 Partita Iva 03375800632 Redazione 80135 Napoli via Suor Orsola 10 tel. 081.2522229/226/234 fax 081.2522212 Registrazione Tribunale di Napoli n. 5210 del 2/5/2001 Stampa Imago sas di Elisabetta Prozzillo Napoli 80123 via del Marzano 6 Partita Iva 05499970639 Impaginazione Biagio Di Stefano di Ludovica Criscitiello di Anna Lucia Esposito Li chiamano “bianchi d’Africa”, come se fossero una rarità. Parliamo degli albini che in Africa, in particolare in Tanzania, rappresentano una comunità numerosa. Peccato che la loro singolarità sia motivo di discriminazione e rappresenti la loro condanna a morte. Sandro e Carlo Maddalena, free lance napoletani, sono volati il primo marzo alla volta di Dar Es Salaam, capitale della Tanzania, per documentare la persecuzione degli albini in un reportage. «In Africa l’albinismo non è soltanto una malattia genetica – racconta Sandro – ma rappresenta il motivo che ha portato alla mutilazione e all’uccisione di esseri umani». Nel continente nero i bianchi d’Africa rappresentano un caso sorprendente. Sono africani al cento per cento, eppure hanno la pelle bianchissima, i capelli biondi, gli occhi chiari. Non possono stare troppo al sole, perché rischiano scottature pericolose e danni alla vista che è già molto debole. Una gran parte vive in povertà, senza potersi permettere di comprare creme solari, occhiali e cappello per difendersi dai raggi solari. Sono discriminati in famiglia perché i genitori si vergognano di loro, sul lavoro perché il colore della pelle è un deterrente per i clienti, dai governi che non si preoccupano di tutelarli. Sul sito www.albinismo.it si leggono numerose testimonianze di giornalisti e membri di Ong sulle condizioni di vita e sulle angherie subite dagli albini. Il vero problema però è che sono vittima di atroci mutilazioni, pratica molto diffusa in Tanzania. Secondo gli stregoni, personaggi che hanno una grande influenza sulla popolazione con le loro presunte arti magiche, sono “esseri” che portano fortuna. I loro organi servono a preparare pozioni magiche per avere amore, ricchezza e potere. In un rapporto di Amnesty International si parla di almeno venti persone uccise solo nel 2009, più di cinquanta, se si aggiungono quelle del 2008. E parliamo della sola Tanzania, più precisamente di tre regioni, Mwanza, Shinyanga e Mara, dove la concentrazione di albini è più forte. Braccia, gambe e genitali sono le parti del corpo più richieste. Non sono risparmiati neanche i bambini, costretti a vivere, secondo fonti ufficiali, in rifugi isolati o scuole per non vedenti, sotto la protezione del governo tanzaniano. Il Parlamento Europeo, insieme al capo di stato della Tanzania, Jakaya Kikwete, ha condannato i crimini contro gli albini. «Staremo lì per venti giorni in modo da osservare da vicino la vita di queste persone e per raccogliere testimonianze, racconti, tutto ciò che possa servire a capire il perché di questo assurdo sterminio». Non è la prima volta che i due fratelli partono. «Prima di partire prendiamo sempre contatti sicuri in ogni posto dove andiamo per farci guidare e poi via, senza pensarci troppo». Nel 2009 erano in Egitto, nella capitale, per documentare le condizioni di lavoro nella “città della spazzatura”, un luogo chiamato “Srib”, dove confluiscono i rifiuti di tutto Il Cairo. «Assistere a uomini che maneggiavano immondizia di ogni tipo senza mascherine o protezioni mi ha fatto pensare che ciò che avviene da noi, anche se si tratta di emergenza, non è paragonabile». In Tanzania gli albini vengono uccisi e i Lasagne alla napoletana, ragù della domenica, babà e sfogliatelle non si preparano più sui fornelli ma su un iPhone. Arriva l’app “Ricette Napoli” e con essa la possibilità di imparare a cucinare 120 piatti, tra primi, secondi, antipasti, contorni e dolci, della tradizione partenopea. Per diventare cuochi basterà indossare un toque bianco sulla testa e accendere il cellulare. L’app segue passo dopo passo l’aspirante chef che prima sceglierà il Lo chef virtuale sull’iPod piatto dall’acquolina in bocca facile e poi leggerà il grado di difficoltà, il tempo e la modalità di preparazione della leccornia. Non mancherà un’immagine in alta risoluzione della ricetta conclusa e il consiglio sul vino da abbinare. Indispensabile per chi tiene all’incolumità del proprio iPhone, anche la possibilità di inviare la ricetta sulla casella di posta così da stamparla su carta e metterla in pratica come le nonne con il loro ricettario. Un ricettario dalle fattezze “sociali”, visto che gli ingredienti di ogni piatto potranno essere condivisi sulla propria bacheca Facebook. E per chi ha gusti un po’ difficili, c’è la funzione di modifica delle informazioni: con un click sarà possibile sostituire il parmigiano con il pecorino, l’aglio con la cipolla e viceversa. «Ricette Napoli è nata perché sono una buona forchetta e amo la cucina napoletana – ammette il suo creatore Luigi Marino –. È stata una delle mie prime applicazioni, uscita ancor prima della famosissima iMussolini. A dicembre è stata pubblicata una nuova versione completamente rivista in grafica e contenuti». Luigi Marino, noto per le sue applicazioni dedicate a personaggi controversi della storia, ha creato numerose app ispirandosi alla “napoletanità”: «Anche “Tifo Napoli” e “iDettiNapoli” hanno avuto un discreto successo. Sono passate più inosservate rispetto ad iMussolini per ovvi motivi. Amo molto la mia città anche se è spesso bistrattata. Un’idea che voglio da tempo sviluppare riguarda il problema della raccolta differenziata ma, nonostante diverse email inviate alla sezione di competenza del Comune, non ho mai avuto risposta». loro corpi straziati per superstizione SPORT pagina 12 inchiostro n. XIII – 2011 Anche i tifosi sono diventati grandi I supporter azzurri non sono più quelli dello scudetto. Parola ai nomi illustri di Ernesto Mugione anni che non vinci ci fai il callo. La gente a Napoli vuole che ra differente, senza enfasi. La gente non si illude. Tutti sono la squadra lasci tutto quello che ha in campo. Se dai l’anima consapevoli della forza del Napoli, solo che nessuno si dà false speranze». Sono passati più di vent’anni dall’ultimo scudetto del paradossalmente puoi anche perdere». «Da quando c’è De Laurentiis c’è stata una crescita co«I tifosi azzurri - sottolinea Salvatore Carmando, storico Napoli. Quasi un’eternità per i tifosi azzurri. Anche perché l’ultimo ventennio non è che sia stato ricco di soddisfazio- stante – aggiunge l’editorialista Italo Cucci –. La gente que- fisioterapista del Calcio Napoli - sono sempre stati maturi. ni. Ci sono state retrocessioni, un fallimento, gli anni bui sto lo ha capito. Il Napoli viene da anni di sconfitte, truffe Non so perché ci vogliono sempre far passare per le vittidella serie C. Roba da mandare al tappeto pure Rocky, uno e fallimenti. Adesso, invece, c’è uno stato di grazia che si me della situazione. La gente non si sentiva e non si sente abituato a prendere cazzotti. Napoli – e la sua gente –, però, rispecchia nel comportamento della tifoseria. La mentalità schiava dei poteri forti. L’entusiasmo c’è sempre stato e ci hanno saputo rialzarsi e adesso si gustano la rivincita. La che ha acquisito la gente e la naturale espressione di quello sarà sempre perché i napoletani sono fatti così: vivono per il Napoli. È una passione viscerale che non si può descrivere squadra partenopea è tornata ai vertici del calcio italiano. E che la squadra fa in campo». Anche il noto giornalista sportivo Salvatore Biazzo pro- o spiegare. Per questo spero che quest’anno vinca lo scurispetto all’era Maradona qualcosa è cambiato. È cambiato qualcosa soprattutto nella testa della gente. muove il tifo azzurro: «Il primo scudetto era il sogno di una detto perché lo merita la gente e la squadra che, a mio pareNiente più vittimismo. Niente più contestazioni o lamente- vita. Lo si aspettava da tre generazioni. Il Napoli, nonostante re, esprime il miglior calcio d’Italia». È presto per dire se e le. Adesso la torcida azzurra è più matura. La dimostrazione fosse il più grande club del Mezzogiorno, non aveva ancora quando la banda Mazzarri riuscirà a conquistare il tricolore è stata la reazione all’eliminazione dall’Europa League con- vinto il tricolore. Era quasi un obbligo. Oggi il contesto sto- ma a quanto pare i tifosi sono entrati nell’ottica giusta. Il rico è completamente diverso. vero obiettivo, del resto, è ascoltare quella musichetta che al tro il Villarreal e la batosta a San Siro Non dico che c’è meno entu- San Paolo non hanno mai suonato. Sarebbe lo scudetto che contro il Milan. A un primo iniziale siasmo ma lo si vive in manie- tutti avrebbero voluti vincere a inizio campionato. e comprensibile scoramento, la città “I sostenitori sono più maturi” non ne ha fatto un dramma. «La gen- Giuseppe Bruscolotti te è più matura – spiega lo storico capitano del Napoli Giuseppe Bruscolotti –. I tifosi sono più coscienti della realtà e del potenziale della squadra. “Conta solo la maglia sudata” C’è meno pressione e questo aiuta Salvatore Bagni molto la squadra. Gli anni della C sono serviti a togliere le ossessioni. Il Napoli, comunque, è una grande squadra e la gente fa bene a sognare. “Anche i tifosi in stato di grazia” Solo che adesso lo fa nella maniera Italo Cucci giusta». Differente il pensiero di Salvatore Bagni, altro protagonista del primo tricolore partenopeo: «Andare in C a me non piace e penso non sia pia- “L’entusiasmo è diverso” ciuto nemmeno alla gente. Per me Salvatore Biazzo i tifosi del Napoli sono sempre stati maturi. Non abbiamo mai subito pressioni perché quella squadra, “Non siamo schiavi di nessuno” seppur fortissima, non era la più accreditata a vincere il campionaSalvatore Carmando to. Un po’ come adesso. Dopo 60 Lo stadio San Paolo visto dalla curva A (foto di Livio Pane) De Laurentiis e il tabellone “fantasma” UNIVERSITÀ DEGLI STUDÎ SUOR ORSOLA BENINCASA FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA di Marco Borrillo SPROZZILLO + FSOPRANI www.imagosas.it Napoli ad andare a seguire la trasferta in Spagna a carico della Società. «InopporDa una parte la forza di un gruppo, tuno»: così Sandro Fucito, consigliere codall’altra quella dei tifosi. Sarebbe la ricetta munale per Rifondazione, ha commentato perfetta se non fosse per quel piccolo par- l’invito della Società. «Io e il mio capogrupticolare che, come spesso capita, rischia po Raffaele Carotenuto siamo stati gli unici a non sottoscrivere la convendi rovinare anche il miglior zione nel 2005», spiega Fucito. piatto. Nel mezzo c’è il San Pa«Ogni anno il Comune paga olo. Non è un semplice palcomilioni di euro e dalle casse scenico della Napoli calcistica della società escono appena 30 o l’arena del suo pubblico. È o 40mila euro all’anno». Anqualcosa di più, che da anni che lui ha declinato l’invito alla crea problemi al Comune, che trasferta, senza tradire l’amore ne mantiene la proprietà, e alla per la squadra. La partita l’ha Società. Motivo della discordia una convenzione del 2005 che Aurelio De Laurentiis vista da casa. Insomma, non elenca i diritti e i doveri di entrambe le par- solo gioie in casa Napoli. Se il San Paolo ti. Su quel documento c’è anche e soprat- dovesse aprire le sue porte all’Europa nella tutto la firma del patron Aurelio De Lau- prossima stagione sarebbero molti i punti rentiis e l’impegno della Società Sportiva da perfezionare. I servizi igieni all’interno Calcio Napoli a installare due maxischermi dello stadio sono pochi e maltenuti. Qualnello stadio. I tabelloni elettronici che i so- che tifoso ha addirittura notato che duranstenitori azzurri aspettano da anni ancora te le gare di Europa League al San Paolo non si vedono. L’illusione ottica l’hanno venivano installati bagni chimici per stare data in occasione della gara di Europa Le- in linea con le disposizioni della Uefa. Per ague contro il Villarreal. Dalla curva B del quanto riguarda il restyling dello stadio per San Paolo è spuntato un grande tabellone ora è stato realizzato solo il rifacimento del segnatempo con tanto di loghi ufficiali, mi- prato. E così, all’inizio di questa stagione, nuti, secondi e risultato parziale (0-0 ndr). su Facebook sono nati gruppi di tifosi che Una provocazione che riflette attraverso la protestano contro le promesse non ancora grande ironia dei tifosi partenopei le om- mantenute. “Petizione per il tabellone allo bre della gestione De Laurentiis. Anche la stadio San Paolo”, “vogliamo il tabellogara di ritorno, che ha visto la definitiva eli- ne al San Paolo” e addirittura un gruppo minazione del Napoli dal torneo, ha susci- “anti De Laurentiis”. Quest’ultimo è decitato qualche polemica. Alcuni consiglieri samente troppo, visto il singolare numero comunali del Pdci e Rifondazione Comu- di iscritti: solo quattro. Il più popolare di nista hanno scelto di declinare l’invito del questi conta 517 iscritti. LA RAGIONEVOLEZZA ciclo di DEL DIRITTO lezioni magistrali 20102011 anno VII martedì 22 marzo ore 16.00 martedì 29 marzo ore 16.00 martedì 12 aprile ore 16.00 martedì 19 aprile ore 16.00 martedì 3 maggio ore 16.00 MASSIMO LA TORRE Dello spirito mite della legge. Ragione e ragionevolezza. ENZO CHELI Stato costituzionale e ragionevolezza FABIO MERUSI Ragionevolezza e discrezionalità amministrativa martedì 10 maggio ore 16.00 martedì 17 maggio ore 16.00 martedì 24 maggio ore 16.00 SERGIO CHIARLONI La ragionevolezza delle garanzie processuali GIUSEPPE TESAURO La ragionevolezza nella giurisprudenza della Corte di giustizia GIUSEPPE BENEDETTO PORTALE Adeguatezza della congruità del capitale e principio di ragionevolezza SALVATORE PATTI La ragionevolezza nel diritto civile DOMENICO PULITANÒ Ragionevolezza e diritto penale editoriale scientifica www.unisob.na.it