L’Islam moderato non esiste
di Oriana Fallaci
Bé: un premio intitolato a una donna che saltò sopra le Cascate del Niagara, e
sopravvisse, è mille volte più prezioso e prestigioso ed etico di un Oscar o di un Nobel:
fino a ieri gloriose onorificenze rese a persone di valore ed oggi squallide parcelle
concesse a devoti antiamericani e antioccidentali quindi filoislamici. Insomma a coloro
che recitando la parte dei guru illuminati che definiscono Bush un assassino, Sharon un
criminale-di-guerra, Castro un filantropo, e gli Stati Uniti «la-potenza-più-feroce, piùbarbara, più-spaventosa-che-il-mondo-abbia-mai-conosciuto». Infatti se mi
assegnassero simili parcelle (graziaddio un’eventualità più remota del più remoto Buco
Nero dell’Universo), querelerei subito le giurie per calunnia e diffamazione. Al contrario,
accetto questo «Annie Taylor» con gratitudine e orgoglio. E pazienza se sopravvaluta
troppo le mie virtù.
Sì: specialmente come corrispondente di guerra, di salti ne ho fatti parecchi. In Vietnam,
ad esempio, sono saltata spesso nelle trincee per evitare mitragliate e mortai.
Altrettanto spesso sono saltata dagli elicotteri americani per raggiungere le zone di
combattimento. In Bangladesh, anche da un elicottero russo per infilarmi dentro la
battaglia di Dacca. Durante le mie interviste coi mascalzoni della Terra (i Khomeini,
gli Arafat, i Gheddafi eccetera) non meno spesso sono saltata in donchisciotteschi litigi
rischiando seriamente la mia incolumità. E una volta, nell’America Latina, mi sono
buttata giù da una finestra per sfuggire agli sbirri che volevano arrestarmi.
Però mai, mai, sono saltata sopra le Cascate del Niagara. Né mai lo farei. Troppo
rischioso, troppo pericoloso. Ancor più rischioso che palesare la propria indipendenza,
essere un dissidente cioè un fuorilegge, in una società che al nemico vende la Patria.
Con la patria, la sua cultura e la sua civiltà e la sua dignità. Quindi grazie David
Horowitz, Daniel Pipes, Robert Spencer. E credetemi quando dico che questo premio
appartiene a voi quanto a me. A tal punto che, quando ho letto che quest’anno avreste
premiato la Fallaci, mi sono chiesta: «Non dovrei esser io a premiare loro?». E per
contraccambiare il tributo volevo presentarmi con qualche medaglia o qualche trofeo da
consegnarvi. Mi presento a mani vuote perché non sapevo, non saprei, dove comrpare
certa roba. Con le medaglie e i trofei ho un’esigua, davvero esigua, familiarità. E vi dico
perché.
Anzitutto perché crediamo di vivere in vere democrazie, democrazie sincere e vivaci
nonché governate dalla libertà di pensiero e di opinione. Invece viviamo in democrazie
deboli e pigre, quindi dominate dal dispotismo e dalla paura. Paura di pensare e,
pensando, di raggiungere conclusioni che non corrispondono a quelle dei lacchè del
potere. Paura di parlare e, parlando, di dare un giudizio diverso dal giudizio
subdolamente imposto da loro. Paura di non essere sufficientemente allineati,
obbedienti, servili, e venire scomunicati attraverso l’esilio morale con cui le democrazie
deboli e pigre ricattano il cittadino. Paura di essere liberi, insomma. Di prendere rischi,
di avere coraggio.
«Il segreto della felicità è la libertà. E il segreto della libertà è il coraggio»,
diceva Pericle. Uno che di queste cose se ne intendeva. (Tolgo la massima dal
secondo libro della mia trilogia: La Forza della ragione. E da questo prendo anche il
chiarimento che oltre centocinquanta anni fa Alexis de Tocqueville fornì nel suo
intramontabile trattato sulla democrazia in America). Nei regimi assolutisti o dittatoriali,
scrive Tocqueville, il dispotismo colpisce il corpo. Lo colpisce mettendolo in catene o
torturandolo o sopprimendolo in vari modi. Decapitazioni, impiccagioni,
lapidazioni, fucilazioni, Inquisizioni eccetera. E così facendo risparmia l’anima che
intatta si leva dalla carne straziata e trasforma la vittima in eroe. Nelle democrazie
inanimate, invece, nei regimi inertamente democratici, il dispotismo risparmia il corpo e
colpisce l’anima. Perché è l’anima che vuole mettere in catene. Torturare, sopprimere.
Così alle sue vittime non dice mai ciò che dice nei regimi assolutisti o dittatoriali: «O la
pensi come me o muori». Dice: «Scegli. Sei libero di non pensare o di pensare come la
penso io. Se non la pensi come la penso io, non ti sopprimerò. Non toccherò il tuo
corpo. Non confischerò le tue proprietà. Non violenterò i tuoi diritti politici. Ti permetterò
addirittura di votare. Ma non sarai mai votato. Non sarai mai eletto. Non sarai mai
seguito e rispettato. Perché ricorrendo alle mie leggi sulla libertà di pensiero e di
opinione, io sosterrò che sei impuro. Che sei bugiardo, dissoluto, peccatore, miserabile,
malato di mente. E farò di te un fuorilegge, un criminale. Ti condannerò alla Morte
Civile, e la gente non ti ascolterà più. Peggio. Per non essere a sua volta puniti, quelli
che la pensano come te ti diserteranno». Questo succede, spiega, in quanto nelle
democrazie inanimate, nei regimi inertamente democratici, tutto si può dire fuorché la
Verità. Perché la Verità ispira paura. Perché, a leggere o udire la verità, i più si
arrendono alla paura. E per paura delineano intorno ad essa un cerchio che è proibito
oltrepassare. Alzano intorno ad essa un’invisibile ma insormontabile barriera dentro la
quale si può soltanto tacere o unirsi al coro. Se il dissidente oltrepassa quella linea, se
salta sopra le Cascate del Niagara di quella barriera, la punizione si abbatte su di lui o
su di lei con la velocità della luce. E a render possibile tale infamia sono proprio coloro
che segretamente la pensano come lui o come lei, ma che per convenienza o viltà o
stupidità non alzano la loro voce contro gli anatemi e le persecuzioni. Gli amici, spesso.
O i cosiddetti amici. I partner. O i cosiddetti partner. I colleghi. O i cosiddetti colleghi.
Per un poco, infatti, si nascondono dietro il cespuglio. Temporeggiano, tengono il piede
in due staffe. Ma poi diventano silenziosi e, terrorizzati dai rischi che tale ambiguità
comporta, se la svignano. Abbandonano il fuorilegge, il criminale, al di lui o al di lei
destino e con il loro silenzio danno la loro approvazione alla Morte Civile. (Qualcosa che
io ho esperimentato tutta la vita e specialmente negli ultimi anni. «Non ti posso
difendere più» mi disse, due o tre Natali fa, un famoso giornalista italiano che in mia
difesa aveva scritto due o tre editoriali. «Perché?» gli chiesi tutta mesta. «Perché la
gente non mi parla più. Non mi invita più a cena»).
***
L’altro motivo per cui ho un’esigua familiarità con le medaglie e i trofei sta nel fatto che
soprattutto dopo l’11 Settembre l’Europa è diventata una Cascata del Niagara di
Maccartismo sostanzialmente identico a quello che afflisse gli Stati Uniti mezzo secolo
fa. Sola differenza, il suo colore politico. Mezzo secolo fa era infatti la Sinistra ad
essere vittimizzata dal Maccartismo. Oggi è la Sinistra che vittimizza gli altri col
suo Maccartismo. Non meno, e a parer mio molto di più, che negli Stati Uniti. Cari miei,
nell’Europa d’oggi v’è una nuova Caccia alle Streghe. E sevizia chiunque vada contro
corrente. V’è una nuova Inquisizione. E gli eretici li brucia tappandogli o tentando di
tappargli la bocca.
Eh, sì: anche noi abbiamo i nostri Torquemada. I nostri Ward Churchill, i nostri Noam
Chomsky, i nostri Louis Farrakhan, i nostri Michael Mooreeccetera. Anche noi siamo
infettati dalla piaga contro la quale tutti gli antidoti sembrano inefficaci. La piaga di un
risorto nazi-fascismo. Il nazismo islamico e il fascismo autoctono. Portatori di germi, gli
educatori cioè i maestri e le maestre che diffondono l’infezione fin dalle scuole
elementari e dagli asili dove esporre un Presepe o un Babbo Natale è considerato un
«insulto-ai-bambini-Mussulmani».
I professori (o le professoresse) che tale infezione la raddoppiano nelle scuole medie e
la esasperano nelle università. Attraverso l’indottrinazione quotidiana, il quotidiano
lavaggio del cervello, si sa. (La storia delle Crociate, ad esempio, riscritta e falsificata
come nel 1984 di Orwell. L’ossequio verso il Corano visto come una religione di pace e
misericordia. La reverenza per l’Islam visto come un Faro di Luce paragonato al quale
la nostra civiltà è una favilla di sigaretta). E con l’indottrinazione, le manifestazioni
politiche. Ovvio. Le marce settarie, i comizi faziosi, gli eccessi fascistoidi. Sapete che
fecero, lo scorso ottobre, i giovinastri della Sinistra radicale a Torino? Assaltarono la
chiesa rinascimentale del Carmine e ne insozzarono la facciata scrivendoci con lo spray
l’insulto «Nazi-Ratzinger» nonché l’avvertimento: «Con le budella dei preti
impiccheremo Pisanu». Il nostro Ministro degli Interni. Poi su quella facciata urinarono.
(Amabilità che a Firenze, la mia città, non pochi islamici amano esercitare sui sagrati
delle basiliche e sui vetusti marmi del Battistero). Infine irruppero dentro la chiesa e,
spaventando a morte le vecchine che recitavano il Vespro, fecero scoppiare un petardo
vicino all’altare. Tutto ciò alla presenza di poliziotti che non potevano intervenire perché
nella città Politically Correct tali imprese sono considerate Libertà-di-espressione. (A
meno che tale libertà non venga esercitata contro le moschee: s’intende). E inutile
aggiungere che gli adulti non sono migliori di questi giovinastri. La scorsa settimana, a
Marano, popolosa cittadina collocata nella provincia di Napoli, il Sindaco (ex
seminarista, ex membro del Partito Comunista Italiano, poi del vivente Partito di
Rifondazione Comunista, ed ora membro del Partito dei Comunisti Italiani) annullò toutcourt l’ordinanza emessa dal commissario prefettizio per dedicare una strada ai martiri
di Nassiriya. Cioè ai diciannove militari italiani che due anni fa i kamikaze uccisero in
Iraq. Lo annullò affermando che i diciannove non erano martiri bensì mercenari, e alla
strada dette il nome di Arafat. «Via Arafat». Lo fece piazzando una targa che disse:
«Yasser Arafat, simbolo dell’Unità (sic) e della Resistenza Palestinese». Poi l’interno
del municipio lo tappezzò con gigantesche foto del medesimo, e l’esterno con bandiere
palestinesi.
***
La piaga si propaga anche attraverso i giornali, la Tv, la radio. Attraverso i media che
per convenienza o viltà o stupidità sono in gran maggioranza islamofili e antioccidentali
e antiamericani quanto i maestri, i professori, gli accademici. Che senza alcun rischio di
venir criticati o beffati passano sotto silenzio episodi come quelli di Torino o Marano. E
in compenso non dimenticano mai di attaccare Israele, leccare i piedi all’Islam. Si
propaga anche attraverso le canzoni e le chitarre e i concerti rock e i film, quella piaga.
Attraverso uno show-business dove, come i vostri ottusi e presuntuosi e ultra-miliardari
giullari di Hollywood, i nostri giullari sostengono il ruolo di buonisti sempre pronti a
piangere per gli assassini. Mai per le loro vittime. Si propaga anche attraverso un
sistema giudiziario che ha perduto ogni senso della Giustizia, ogni rispetto della
giurisdizione. Voglio dire attraverso i tribunali dove, come i vostri magistrati, i nostri
magistrati assolvono i terroristi con la stessa facilità con cui assolvono i pedofili. (O li
condannano a pene irrisorie). E finalmente si propaga attraverso l’intimidazione della
buona gente in buona fede. Voglio dire la gente che per ignoranza o paura subisce quel
dispotismo e non comprende che col suo silenzio o la sua sottomissione aiuta il risorto
nazi-fascismo a fiorire. Non a caso, quando denuncio queste cose, mi sento davvero
come una Cassandra che parla al vento. O come uno dei dimenticati antifascisti che
settanta e ottanta anni fa mettevano i ciechi e i sordi in guardia contro una coppia
chiamata Mussolini e Hitler. Ma i ciechi restavano ciechi, i sordi restavano sordi, ed
entrambi finirono col portar sulla fronte ciò che ne L’Apocalisse chiamo il Marchio della
Vergogna. Di conseguenza le mie vere medaglie sono gli insulti, le denigrazioni, gli
abusi che ricevo dall’odierno Maccartismo. Dall’odierna Caccia alle Streghe,
dall’odierna Inquisizione. I miei trofei, i processi che in Europa subisco per reato di
opinione. Un reato ormai travestito coi termini «vilipendio dell’Islam, razzismo o
razzismo religioso, xenofobia, istigazione all’odio eccetera».
Parentesi: può un Codice Penale processarmi per odio? Può l’odio essere proibito per
Legge? L’odio è un sentimento. È una emozione, una reazione, uno stato d’animo. Non
un crimine giuridico. Come l’amore, l’odio appartiene alla natura umana. Anzi, alla Vità.
È l’opposto dell’amore e quindi, come l’amore, non può essere proibito da un articolo
del Codice Penale. Può essere giudicato, sì. Può essere contestato, osteggiato,
condannato, sì. Ma soltanto in senso morale. Ad esempio, nel giudizio delle religioni
che come la religione cristiana predicano l’amore. Non nel giudizio d’un tribunale che mi
garantisce il diritto di amare chi voglio. Perché, se ho il diritto di amare chi voglio, ho
anche e devo avere anche il diritto di odiare chi voglio. Incominciando da coloro che
odiano me. Sì, io odio i Bin Laden. Odio gli Zarkawi. Odio i kamikaze e le bestie che ci
tagliano la testa e ci fanno saltare in aria e martirizzano le loro donne. Odio gli Ward
Churchill, i Noam Chomsky, i Louis Farrakhan, i Michael Moore, i complici,
i collaborazionisti, i traditori, che ci vendono al nemico. Li odio come
odiavo Mussolini e Hitler e Stalin and Company. Li odio come ho sempre odiato ogni
assalto alla Libertà, ogni martirio della Libertà. È un mio sacrosanto diritto. E se sbaglio,
ditemi perché coloro che odiano me più di quanto io odi loro non sono processati col
medesimo atto d’accusa. Voglio dire: ditemi perché questa faccenda dell’Istigazione
all’Odio non tocca mai i professionisti dell’odio, i mussulmani che sul concetto dell’odio
hanno costruito la loro ideologia. La loro filosofia. La loro teologia. Ditemi perché questa
faccenda non tocca mai i loro complici occidentali. Parentesi chiusa, e torniamo ai trofei
che chiamo processi.
***
Si svolgono in ogni paese nel quale un figlio di Allah o un traditore nostrano voglia
zittirmi e imbavagliarmi nel modo descritto da Tocqueville, quei processi. A Parigi, cioè
in Francia, ad esempio. La France Eternelle, la Patrie du Laïcisme, la Bonne Mère du
Liberté-Egalité-Fraternité, dove per vilipendio dell’Islam soltanto la mia amica Brigitte
Bardot ha sofferto più travagli di quanti ne abbia sofferti e ne soffra io. La France
Libérale, Progressiste, dove tre anni fa gli ebrei francesi della LICRA (associazione
ebrea di Sinistra che ama manifestare alzando fotografie di Ariel Sharon con la
svastica sulla fronte) si unì ai mussulmani francesi del MRAP (associazione islamica di
Sinistra che ama manifestare levando cartelli di Bush con la svastica sugli occhi). E
dove insieme chiesero al Codice Penale di chiudermi in galera, confiscare La Rage et
l’Orgueil o venderla con il seguente ammonimento sulla copertina: «Attenzione! Questo
librò può costituire un pericolo per la vostra salute mentale». (Insieme volevano anche
intascare un grosso risarcimento danni, naturalmente).
Oppure a Berna, in Svizzera. Die wunderschöne Schweitz, la meravigliosa Svizzera di
Guglielmo Tell, dove il Ministro della Giustizia osò chiedere al mio Ministro della
Giustizia di estradarmi in manette. O a Bergamo, Nord Italia, dove il prossimo processo
avverrà il prossimo giugno grazie a un giudice che sembra ansioso di condannarmi a
qualche anno di prigione: la pena che per vilipendio dell’Islam viene impartita nel mio
paese. (Un paese dove senza alcuna conseguenza legale qualsiasi mussulmano può
staccare il crocifisso dai muri di un’aula scolastica o di un ospedale, gettarlo nella
spazzatura, dire che il crocifisso «ritrae-un-cadaverino-nudo-inventato-per-spaventare-ibambini-mussulmani». E sapete chi ha promosso il processo di Bergamo? Uno dei mai
processati quindi mai condannati specialisti nel buttare via i crocifissi. L’autore di un
sudicio libretto che per molto tempo ha venduto nelle moschee, nei Centri Islamici, nelle
librerie sinistrorse d’Italia.
Quanto alle minacce contro la mia vita cioè all’irresistibile desiderio che i figli di Allah
hanno di tagliarmi la gola o farmi saltare in aria o almeno liquidarmi con un colpo di
pistola nella nuca, mi limiterò a dire che specialmente quando sono in Italia devo essere
protetta ventiquattro ore su ventiquattro dai Carabinieri. La nostra polizia militare. E, sia
pure a fin di bene, questa è una durissima limitazione alla mia libertà personale. Quanto
agli insulti, agli anatemi, agli abusi con cui i media europei mi onorano per conto della
trista alleanza Sinistra-Islam, ecco alcune delle qualifiche che da quattro anni mi
vengono elargite: «Abominevole. Blasfema. Deleteria. Troglodita. Razzista. Retrograda.
Ignobile. Degenere. Reazionaria. Abbietta». Come vedete, parole identiche o molto
simili a quelle usate da Alexis de Tocqueville quando spiega il dispotismo che mira alla
Morte Civile. Nel mio paese quel dispotismo si compiace anche di chiamarmi «Iena»,
nel distorcere il mio nome da Oriana in «Oriena» e nello sbeffeggiarmi attraverso
sardoniche identificazioni con Giovanna d’Arco. «Le bestialità della neo Giovanna
d’Arco». «Taci, Giovanna d’Arco». «Ora basta, Giovanna d’Arco».
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