!! " #$$% & ''' ( settembre 2011 - numero 358 NEWS DAI CIRCOLI: Berlino Melbourne Nichelino Pisa Roma ! ! CONTRIBUTI SCRITTI: Mariella CORTES, Gianni DEIAS, Gioele FIGUS, Giulia MADAU, Antonio MANNU, Cristina MARRAS, Antonio Maria MASIA, Michela MURGIA, Massimiliano PERLATO, Natalino PIRAS, Alexandra PORCU, Cristoforo PUDDU, Paolo PULINA, Valentina USALA. ! Bachisio Bandinu è antropologo, saggista, scrittore e giornalista. È autore di numerosi scritti. Alla fine dello scritto, l’elenco delle sue pubblicazioni. Nella sua lunga carriera si è soprattutto occupato di questioni legate all’identità “ponendosi nella prospettiva del dialogo tra antropologia e scienze sociali”. L’ho incontrato e conosciuto durante il Brinc@ Festival. Mi è stato presentato da Alberto Masala che ringrazio, ma ringrazio soprattutto lui per avermi gentilmente concesso questa intervista. Lo studioso sardo si trovava a Bologna per partecipare a un incontro, all’interno del festival, dedicato agli scrittori dell’isola e la prima domanda che gli rivolgo è proprio su Brinc@. Bachisio è certo che sia stata “una iniziativa di grande interesse perché ha favorito un incontro di musica, di parola e di ascolto, di conoscenze interpersonali e comunitarie”. Sostiene che la vera scommessa del mondo dell’emigrazione è proprio quello di mobilitare i giovani per una relazione più proficua con la realtà isolana nei suoi aspetti più diversi e più dinamici, anche per sollecitate scambi, proposte, progetti e produzioni. “La Sardegna vista da fuori e vista da dentro: uno sguardo esterno, misurando un distanziamento può cogliere aspetti spesso non visibili da chi ci vive dentro”. Il suo ultimo libro dal titolo L’amore del figlio meraviglioso è un romanzo che narra le vicende e passioni di un’intera famiglia che abita nella zona che i sardi chiamano Monti di Mola, ma che i più conoscono col nome di Costa Smeralda, e che ha venduto le sue proprietà terriere ai costruttori del paradiso vacanziero. “Il patriarca pastore di capre, resistente ma con un destino di spaesamento e sensi di colpa. Una moglie costretta nella mediazione fra vecchio e nuovo. Il luccichio del nuovo che abbaglia due dei tre figli e in particolare la donna, Caterina, tutta tesa all’abolizione incondizionata di un cupo passato. E il terzo figlio, che ha studiato in Continente e alle favole è disposto a crede ben poco. Amore, sesso, modi di vita, senso delle cose e degli uomini… niente sfugge a un cambiamento istantaneo e senza precedenti nella storia dell’Isola, dove due mondi s’incontrano, senza comunicare o integrandosi in suadenti quanto folcloristiche finzioni”. Chiedo, quindi, allo scrittore come mai ha deciso di realizzare un romanzo, lui che si è sempre dedicato ai saggi. “La scrittura di un romanzo è stata sollecitata dal desiderio di passare dalla saggistica alla narrazione: un diverso registro linguistico. Avevo già scritto un saggio sulla Costa Smeralda usando strumenti semiologici e antropologici, nel romanzo invece pongo al centro la storia di una famiglia che ha vissuto il passaggio dallo stazzo tradizionale gallurese alla villa smeraldino, grazie alla vendita milionaria dei terreni costieri”. “Avendo insegnato nella scuole medie di Arzachena, nel periodo del boom smeraldino avevo raccolto molte esperienze di vita di personaggi e di famiglie, che sono entrati nel corpo del romanzo”. Essendo io una giovane sarda e avendo letto il suo libro dedicato a me e ai miei coetanei mi sono chiesta, e ho domandato anche a lui, se il messaggio esplicitato nel testo del 1996 valesse ancora oggi. Lui ha risposto che “rispetto al libretto Lettera a un giovane sardo, oggi insisterei maggiormente sul rapporto localeglobale così come viene vissuto dai giovani, rimarcherei la comunicazione attraverso le nuove tecnologie e approfondirei la necessità di una presenza psicologica, culturale e politica dei giovani per trasformare una realtà locale che non condividono”. E visto che siamo in tema di Sardegna chiedo un suo parere riguardo la notorietà dell’isola. “La Sardegna è famosa per le sue bellezze naturali e culturali che però devono diventare risorse capaci di investimento e di produzione”. E aggiunge che la scarsa coscienza di queste risorse impedisce ai Sardi di avere una immagine positiva di sé e dunque di essere capaci di invenzione. Secondo Bandinu al territorio sardo non manca nulla. Ma manca qualcosa ai suoi abitanti ovvero la capacità creativa “che pure esiste in sommo grado ma rimane nascosta, inespressa, proprio perché persiste il fatalismo, l’ipercritica che non si traduce nel fare”. La sua intervista chiude con una frase che condivido appieno “dal fare nascono le cose: le cose si dicono facendole e si fanno dicendole”. Le sue pubblicazioni: Costa Smeralda. Come nasce una favola turistica, Rizzoli, Milano, 1980. Un sardismo da inventare, in Le ragioni dell' utopia. Omaggio a Michelangelo Pira, pp. 121-139, Milano, 1984. Narciso in Vacanza, Am&D, Cagliari, 1994. Il cavallo. Memorie, sogno, storia, 1995. Lettera a un giovane Sardo, La Torre, Cagliari, 1996. Gennargentu, la città invisibile, in L' Unione Sarda del 18.1.1997. Olbia città multietnica, (con G. Murineddu e E. Tognotti), AM&D, Cagliari, 1997. Visiones. I sogni dei pastori, AM&D, Cagliari, 1998. Ballos, Frorias, Cagliari, 2000. Mario De Biasi. Viaggio dentro l' isola, (con Alfonso Gatto e Giuseppe Dessì), Ilisso, 2002. Il re è un feticcio, Ilisso, Nuoro, 2003. Identità, cultura, scuola, (con Placido Cherchi e Michele Pinna), Domus de Janas, 2003. La maschera, la donna, lo specchio, Spirali, 2004. Raffaello Sanzio e Sandro Trotti, Spirali, 2006. Pastoralismo in Sardegna, Zonza Editori, 2006. Il quinto moro. Soru e il sorismo, (con Salvatore Cubeddu), Domus de Janas, 2007. Lingua sarda e liturgia, (con Antonio Pinna e Raimondo Turtas), Domus de Janas, 2008. Giulia Madau PENSANDO AL PADRE, LA RELAZIONE DI ANTONIO MASIA AD UN CONVEGNO A LUCCA LA CULTURA DELL’OLIO NELLA TRADIZIONE MEDITERRANEA Provengo dall’olio d’oliva, che forse dopo tanti anni avevo come rimosso e dimenticato. Ho vissuto infatti la mia infanzia e prima giovinezza nell’olio, a contatto diretto con questa preziosa materia, determinante nella storia e nella vita dell’uomo. Mio padre produceva attraverso contratti di mezzadria olio d’oliva e ha sempre, durante la sua non lunga vita, acquistato e venduto olio d’oliva. Ricordi ed emozioni intense, immagini che ritornano di un paese immerso nella produzione e cultura dell’olio d’oliva, un paese il mio, Ittiri, che si adagia su una collina “d’antichi oliveti coronata” (va bè questo è un mio verso) e che da lassù guarda ammirato Alghero ed il suo splendido mare poco lontani. Di una casa ove entravano ed uscivano ettolitri ed ettolitri d’olio, di lamoni e otri dappertutto, di un padre che così cantava alcuni versi, fra i tanti, che lui riusciva magicamente ad improvvisare, come cultura e tradizione per tanti in Sardegna: trese suni sos regalos de Deus a dolu misciados e allegria s’aba, su ‘inu, s’olzu ‘e s’olia pro chi sa vida colet in recreu gai mi naraiat Babbu meu cando su sole cantait in poesia. Tre sono i preziosi regali del Signore all’uomo, mescolati a dolore ed allegria: l’acqua, il vino e l’olio d’oliva, perché la vita passi serena. Così mi diceva mio Padre quando cantava il sole (l’olio) in poesia. Lui aveva l’olio, per amico, fratello e figlio, per fonte di vita e sostegno alla famiglia. Lo gustava, lo beveva per capirne le differenze di qualità. E così nelle sue esternazioni poetiche (la poesia in Sardegna è canto) mescolava lavoro e versi, emozioni e impegno. Ho voluto riportare versi e ricordi personali per sottolineare su uno dei beni preziosi dell’umanità che intreccia la sua vita con quella della cultura in genere. Su un alimento che al di là di essere tale ha assunto nel corso dei millenni significati mitologici, storici, morali, spirituali , letterali e poetici di assoluto prestigio e di larghissima diffusione. Non più e non solo cibo o materia indispensabile per tutta una serie di prodotti eno-gastronomici, non più e non solo sorgente di lavoro e di economie, ma alimento anche dell’anima, fonte di ispirazione, di versi e di storie vere e di leggende . Quindi suggeritore di cultura, di tradizione e di costume. Ispiratore di atti religiosi e simbolici. E’ bello a questo punto leggere nei versi del Paradiso del sommo poeta quale fosse la forza alimentare, a sopportare caldo e gelo, che i cibi magri conditi di olio d’oliva davano all’umile frate Pietro Damiano di Ravenna, che nel canto XXI ci parla della predestinazione ed inveisce contro i cardinali degenerati al cospetto di altre anime che approvano i suoi sermoni: E poi continuando disse: “Quivi A servigio di Dio mi fei si fermo, che pur con cibi di liquor d’ulivi lievemente passava e caldi e geli, contento ne’ pensier contemplativi” O ancora questi altri bellissimi versi di Dante quando nel 30° canto del Purgatorio incontra finalmente Beatrice che appare: così dentro una nuvola di fiori che da le mani angeliche saliva e ricadeva in giù dentro e di fori, sovra candido vel cinta d’oliva, donna m’apparve, sotto verde manto vestita di color di fiamma viva. Si tratta naturalmente di Beatrice, con una corona d’ulivo sul capo, adorna dei colori delle virtù teologali. Quindi l’ulivo ancora richiamato protagonista su temi di elevato spessore religioso quali fede, speranza e carità. E’ necessario ricordare la presenza importante dell’albero dell’ulivo e del suo prezioso liquore nell’ambito della leggenda e del mito. Dai tempi più remoti l’uomo ha sempre avuto un rapporto di amicizia, di affetto, d’amore con l’ulivo trattandolo con il rispetto che si conviene alle cose sacre. Un rapporto talmente antico e profondo che viene come dire suggellato e reso evidente da quella leggenda che narra del primo uomo sulla terra che aprendo gli occhi all’incanto del Creato trova ristoro allo sgomento, quasi paura, al riparo dell’ombra di un vecchio albero a lui vicino. Era un ulivo millenario che paterno gli offriva bracce possenti e sicure. Un amico per sempre per un patto che ancora dura. La Bibbia cita per centinaia di volte l’olio e l’olivo. Nella Genesi, la colomba liberata da Noè, ritorna nell’Arca con un ramo d’olivo, segno della fine del Diluvio e simbolo del ristabilimento della pace fra Dio e gli uomini: “Avendo poi aspettato altri sette giorni, di nuovo mandò fuori dall’Arca la colomba, la quale tornò a lui verso sera, portando nel becco un ramo di ulivo con verdi foglie. Un’altra leggenda narra di Adamo, ormai macchiato da peccato originale, che manda il figlio Seth a chiedere all’Angelo il castigo della morte e l’olio di misericordia. Il cherubino consegna a Seth tre semi che egli dovrà mettere fra le labbra del padre dopo la sua morte. Dalle spoglie di Adamo, sepolto sulle pendici del monte Tabor, germogliano un cedro, un cipresso e un ulivo, quest’ultimo come simbolo di purezza e redenzione. I popoli del Mediterraneo – afferma lo storico greco Tucidide, nel V secolo AC - cominciarono ad uscire dalla barbarie quando impararono a coltivare l’olio e la vite”. Il mito continua con mille racconti che si intrecciano con la storia dell’uomo. Nel museo di Bagdad, si ritrova il più antico documento di scrittura nella stele di Hammurabi, re di Babilonia, ove fra le altre cose, si codificano le norme per il commercio dell’olio d’oliva. E nel mito della stessa fondazione di Atene ricorre il ruolo simbolico dell’olio attraverso questa nota ulteriore leggenda: per decisione di Zeus il possesso della cità di Atene e della regione dell’Attica, doveva essere aggiudicato al Dio che forniva il dono più utile. Alla fine della gara rimangono Poseidone, che fa sbucare dalla foresta un meraviglioso destriero ed Atena che fa nascere dalle viscere della terra un nuovo albero: l’ulivo. Zeus giudica vincitrice la dea sua figlia, sostenendo che il cavallo è per la guerra, mentre l’olivo è per la pace. Occorre ammettere a parte mito e leggenda che la vista di una vecchio albero d’olivo, contorto e scavato dal tempo, ci dà una forte emozione ed un coinvolgimento incredibili. Come vedere una creatura misteriosa e magica, un monumento vivente che impone rispetto. Vivente, al contrario di monumenti che testimoniano civiltà scomparse, l’ulivo testimonia vita e profumo ed attesa di frutto prezioso. Ho visto in Sardegna vicino a Tempio i famosi ulivi millenari. Se andate in Sardegna verificate. E le stesso emozioni si provano a vedere accanto ai templi di Agrigento o nei pressi del Partendone vecchi ulivi che sfidano il tempo e vigilano affettuosi e fedeli su quei resti di antiche civiltà. Ancora alcune considerazioni sono doverose sull’origine della pianta dell’ulivo per testimoniarne lo stretto legame con l’uomo, il suggello a quel patto di amicizia millenario di cui in premessa. Origini remote, immerse nel mito e nella leggenda non ci impediscono di trovare alcuni riferimenti storici oggettivi. Sono appunto gli storici che fanno risalire l’origine dell’ulivo sulle aride colline asiatiche che si trovano fra il Pamir ed il Turkmenistan, ove pare fosse certamente coltivato 5000 anni fa. Ed è altrettanto certo che la propagazione di questa pianta si è sviluppata verso occidente, nelle zone settentrionali della Persia e della Mesopotamia, fino alla Siria. Gli Ittiti e gli Assiri facevano uso corrente di olive, di olio: beni che nel 200°AC, saranno di largo consumo in tutto il Medio Oriente. Furono i grandi colonizzatori o civilizzatori del bacino del Mediterraneo, I Fenici i maestri del mare e del commercio che, spostandosi dalle sponde orientali, iniziarono oltre mille anni AC ad aprire fiorenti scambi commerciali fra le sponde del mare Nostrum. E la pianta dell’ulivo fu proprio introdotta nel Mediterraneo dai Fenici. E da allora il radicamento nella coltura e nella cultura mediterranea di questa favolosa pianta fu totale tale da far identificare l’area mediterranea come “luogo di nascita” della pianta d’ulivo. Per i Greci e per i Romani l’ulivo e l’olio furono degni di grandissima considerazione e rispetto religioso. Il “sacro olivo” fu il solo a sopravvivere all’incendio persiano di Atene . I romani usarono il nettare dell’olivo non solo per l’alimentazione ma anche per la cosmesi, la medicina, e per l’illuminazione. Grande produzione e grande consumo all’epoca. Così pure nel medioevo quando bollente veniva scaricato sui nemici intenti a risalire le mura difensive di paesi e città. E così la coltivazione e la cura per questo pianta proseguì nei secoli diffondendosi ulteriormente e consolidandosi al punto che oggi è difficile pensare ad una zona mediterranea ove non sia presente l’ulivo, che la botanica definisce Olea Europea che ben si adatta a diversi tipi di terreno, purchè si tratti di zone temperate ed asciutte, resistente in misura elevata alla siccità. Non entro nel merito delle tante varietà dell’ulivo e dei suo frutti: il leccino, la carboncella, il pendolion, la rosciola, la coratina, la olgiarola barese e messinese etc.. Le olive ascolane, la santagostino, la nocellara, l’oliva di Cerignola. E tanto ci sarebbe da dire sul pregiato legno che ci da l’albero, e sulla raccolta delle olive,sul frantoio e sui vari tipi di olio, extravergine, vergine, di sansa etc… Voglio ritornare ai versi di mio Padre a proposito dei tre regali di Dio: l’olio, l’acqua ed il vino si integrano e si intrecciano nella vita della nostra umanità in maniera indissolubile, mischiando dolore e gioia. L’acqua trasparente ci dà vita, è vita, diventa madre e fede, mari e fiumi, sorgenti e torrenti, ma l’acqua a volte si oscura e s’infuria di una forza tremenda e devastatrice. Il vino rosso rubino o giallo paglierino ci regala energia e allegria solo se usato con moderazione altrimenti sono dolori. L’olio invece è prevalentemente benessere e felicità. Ci ricorda il dolore solo quando ci accompagna, come liquido santo (‘solzu santu) verso l’eterno riposo inondandoci di un dolore e di una sofferenza che poi verranno ripagati nella fede, per la perdita dei nostri cari. Tre regali preziosi e fra di loro il più prezioso per me, ritorna ad essere, quello di un tempo, quello dei miei ricordi. L’ ulivo e l’olio d’ulivo. Antonio Maria Masia LE “STRADE DEL TEMPO” A SETTEMBRE AL CIRCOLO “GENNARGENTU” DI NICHELINO UN PERCORSO INEDITO SULLE VISIONI DI SARDEGNA E’ con il bis a Peschiera Borromeo (foto), nella giornata del 19 giugno e il percorso sul nuragico in Sardegna che si chiude la prima fase dell’anno per il progetto “Le strade del tempo”. Grazie al costante impegno dei soci e della presidentessa Elena Bacchidda, anche il secondo percorso, a distanza di un mese da quello precedente legato alla Preistoria, ha riscosso un grande successo e l’ottima e curiosa attenzione dei presenti che hanno riempito al sala di via Don Sturzo. Il 2011 si è aperto con i due grandi appuntamenti presso i circoli del Belgio, Charleroi e Hornu per proseguire con i bis a Peschiera Borromeo. La stagione delle Strade del Tempo riprenderà a settembre con un percorso inedito legato alle visioni di Sardegna presso il circolo Gennargentu di Nichelino per proseguire con altri appuntamenti nella Penisola e oltre confine. Vi aspettiamo numerosissimi! Mariella Cortès UNA SPERANZA PER I BAMBINI DI CORUMBA’ ED UNA OCCASIONE PER I BAMBINI DI PISA PROGETTO CON IL “DELEDDA” PER L’ORTO SCOLASTICO IN BRASILE Realizzare e imparare a coltivare l' orto nelle scuole, per rifornire di cibo fresco la mensa scolastica e sfamare in maniera sana i bambini: questo l' obiettivo del progetto "Un orto in condotta. Realizzazione di orti e educazione agro ecologica nelle scuole di Corumbà (Brasile)", che ha come prospettiva di più lungo termine l' autosufficienza alimentare delle scuole della città di Corumbà, una delle città dello stato brasiliano del Mato Grosso do Sul. Nonostante la ricchezza di materie prime, la città di Corumbà, a circa 500 km a sud-ovest della città di Campo Grande, capitale del Mato Grosso do Sul, è una città poverissima; vi è una forte disoccupazione, i salari sono molto bassi e la povertà spinge molto spesso i bambini a non frequentare la scuola, per dedicarsi a piccole attività che contribuiscano al sostentamento della propria famiglia. In questa situazione molti giovani cadono preda della criminalità o di altre attività illecite, spesso legate al traffico degli stupefacenti. Il progetto, promosso dal Comune di Pisa e realizzato in collaborazione con Slow Food Pisa, Associazione Culturale "Grazia Deledda", Cooperativa Terra Uomini Ambiente, Azienda Agricola Pacini Maurizio, LA CITTA'DEI BAMBINI di Padre Ernesto Saksida, Istituzione Centro Nord Sud della Provincia di Pisa, Progetto Agata Smeralda Onlus ed un ampio partenariato locale, ha preso avvio il 1 febbraio 2011 ed ha visto avviare le attività con la visita istituzionale e di formazione svoltasi dal 1 al 7 aprile 2011 a Corumbà. Il progetto nasce dalla strutturata esperienza in loco dal Comune di Pisa, che dal 2004, offre sostegno ai programmi di istruzione e di sanità per i bambini della Cidade Dom Bosco, fondata a Corumbà da Padre Ernesto Saksida nel 1961. A Corumbà il progetto vuole dare vita a due orti sperimentali negli istituti Estaçao Esperimental Do Campo e Collegio della Cidade Dom Bosco e potenziarne un terzo già esistente presso l' Escola Municipal Rural Monte Azul localizzata nella zona rurale vicina a Corumbà. Nella realizzazione di queste attività sono coinvolti circa cento bambini tra i 9 e i 15 anni, studenti delle scuole beneficiarie del progetto, oltre ai loro insegnanti, educatori ed operatori scolastici locali. Per la realizzazione tecnica delle attività saranno messi a disposizione di giovani ed adulti della comunità di Corumbà gli strumenti e i materiali necessari all' impianto delle coltivazioni, sarà inoltre organizzato un corso sulle tecniche di coltivazione biologica, per garantire una produzione di qualità nei tre orti. Si auspica una notevole ricaduta sul territorio pisano delle attività di progetto, a questo proposito sarà attivato un percorso negli istituti scolastici pisani per realizzare uno scambio di pratiche con gli studenti delle tre scuole brasiliane beneficiarie del progetto. A Pisa sono già 35 gli orti "attivi" nelle scuole elementari e medie, coltivati ormai da 4 anni da migliaia di piccoli agricoltori. In occasione della missione del mese di Aprile in Brasile, la delegazione, cui si sono affiancati nuovi partner (Corpo Guardie di Città e 50 Canale) interessati ad affiancare il partenariato di progetto in futuro, ha portato a Corumbà il saluto ed il sostegno del Comune e della Provincia di Pisa tramite i suoi rappresentanti ed ha visto l' avvio dell' attività di formazione rivolta agli operatori locali delle scuole di Corumbà per lo scambio di buone pratiche di lavoro ed esperienza. La formazione ha l' obiettivo di educare e formare gli insegnanti degli istituti scolastici coinvolti nel progetto e di far si che questa formazione possa ricadere in tempi brevi sugli studenti della comunità di Corumbà, così da sensibilizzarli alle tecniche agro ecologiche e da fornire loro competenze per accedere all' autoproduzione alimentare. L' incontro con i bambini degli istituti scolastici MSMT - Cidade Dom Bosco, Estaçao Esperimental Do Campo e Escola Municipal Rural Monte Azul è avvenuto attraverso lezioni di biodanza, durante i quali la formatrice ha trasmesso ai giovani studenti, di età compresa tra i 9 e i 15 anni, i valori del contatto con la natura, il piacere di lavorare la terra e di raccogliere i frutti del proprio lavoro. Nel corso degli incontri è stato fatto dono ai bambini di alcuni coloratissimi paccchetti di biscotti preparati dagli alunni degli istituti di Pisa che partecipano al progetto per uno scambio con i bambini brasiliani e trasportati fino a Corumbà dai membri della delegazione. L' inaspettato regalo è stato decorato con moltissimi disegni e confezionato unendo la ricetta dei biscotti. Questo ha contribuito a stimolare la curiosità e la voglia di partecipare da parte degli studenti brasiliani. Nei giorni successivi alla formazione gli istituti scolastici di Corumbà, Collegio Dom Bosco, Estaçao Esperimental Do Campo e Escola Municipal Rural Monte Azul hanno avviato a pieno regime le attività di campo che sono state documentate dai membri del partenariato presenti in loco. Il passo successivo sarà stabilire un contatto fattivo tra gli istituti scolastici pisani e brasiliani coinvolti nel progetto, realizzando incontri via internet tra i piccoli studenti tramite cui questi possano vedersi per la prima volta e conoscersi. Gianni Deias INCONTRO A CAGLIARI CON DIVERSE GENERAZIONI DI EMIGRATI CHE VIVONO IN AUSTRALIA IN UN LIBRO LA STORIA DEI SARDI A MELBOURNE La presentazione della ricerca sui sardi nello stato australiano Victoria, condotta dal circolo sardo di Melbourne con il sostegno “Italian-Australian Institute”, che è diventato un libro, è stata l’occasione per riflettere sul fenomeno migratorio che ha investito la Sardegna a metà del secolo scorso e che non accenna ad arrestarsi. Nella Facoltà di Lingua e Letterature straniere dell’università di Cagliari si sono trovati studiosi, esperti e alcuni giovani sardi di terza generazione arrivati dall’Australia per partecipare al Meeting dei giovani a Chia. Sonia Pistis, presidente del Cedise, l’associazione che favorisce gli scambi tra i sardi nel mondo e la Sardegna, ha soffermato l’attenzione sulla cosiddetta “nuova emigrazione” citando alcune esperienze in positivo e negativo fatte da giovani laureate sarde: una architetto dopo un periodo positivo trascorso in Spagna, costretta a rientrare dopo la crisi economica, è approdata in Australia dove ha avuto un impatto negativo; un’ altra dopo aver fatto esperienza negli Usa e in Australia nel settore alberghiero è rientrata e lavora in un prestigioso albergo della Costa Smeralda. Gianni De Candia, presidente della Cooperativa “Messaggero Sardo” ha rilevato che la formula “nuova emigrazione” è un luogo comune per rimuovere una realtà diversa: il flusso migratorio dalla Sardegna non si è mai fermato. Seppure con dimensioni diverse rispetto a quelle degli anni 5060-70, i sardi, e non solo i cosiddetti “cervelli”, hanno continuato ad andar via. La formula “nuova emigrazione” piace alla classe politica che si alleggerisce la coscienza per non aver attuato in tutti questi anni una politica che avesse attenzione al fenomeno migratorio. Il prof. Mauro Pala ha fatto gli onori di casa e si è soffermato sulle esperienze che i giovani laureati sardi possono acquisire attraverso le borse di studio e gli scambi promossi dall’ Università. Anna Maria Aloi, responsabile delle relazioni esterne dell’Università ha ricordato che i giovani italiani sono cittadini europei, alla pari con gli altri. Per essere protagonisti – ha aggiunto – bisogna dare loro strumenti per essere competitivi. Pietro Schirru, rappresentante dei circoli sardi in Australia nella Consulta dell’emigrazione, ha spiegato che l’esperienza negativa della giovane architetto poteva essere evitata informandosi prima di partire. In Australia ci sono regole chiare e precise e vengono fatte rispettare. Se uno arriva con un visto turistico per tre mesi, scaduto il termine deve andare via. L’Australia ha un piano per accogliere 300 mila persone ogni anno. C’è un elenco dettagliato delle professionalità che richiedono, non solo tecnici e laureati ma anche parrucchiere e infermieri. I circoli sardi sono a disposizione per dare informazioni e offrire supporto. Paolo Lostia, presidente del circolo di Melbourne, prima di soffermarsi sulla ricerca e sulla stesura del libro, ha reso omaggio alla memoria del padre Bruno emigrato in Australia nel 1960 e morto nel 2005. “Sono nato a Padova – ha detto - ma sono vissuto a Cagliari e mi sento sardo”. Il progetto di fare una ricerca sulla comunità nel Victoria – ha spiegato – è nata nel circolo. Abbiamo cominciato con una borsa di studio, abbiamo interessato le autorità australiane che ci hanno incoraggiato, poi abbiamo proposto il progetto all’ “Italian- Australian Institute” e Rino Grollo, uno dei più ricchi imprenditori di origine italiana ci ha dato il suo sostegno. Lostia ha poi ricordato le tappe della ricerca che ha preso lo spunto da quella fatta dalla Regione negli anni ’90. Sono state intervistate 60 persone. Il progetto è stato curato da Saverio Minatolo, sposato con Cristina Marras, giornalista originaria di Cagliari. Il materiale raccolto è stato poi consegnato allo scrittore Pino Bosi che lo ha trasformato in una sorta di racconto. Il libro, scritto in inglese, ha una introduzione di Aldo Aledda, ex direttore del Fondo sociale e studioso dei fenomeni migratori. In appendice le interviste sono pubblicate in italiano. C’è anche una storia del circolo. “La storia dell’emigrazione sarda – ha detto Lostia – è una bella storia. I sardi in Australia sono ben inseriti, integrati ma orgogliosi di essere sardi”. Aldo Aledda ha ricordato che la prima volta che la Regione sarda mise piede in Australia fu nel 1984 alla Conferenza delle Regioni Italiane. Ha poi parlato di quella che resta l’unica indagine conoscitiva fatta sull’emigrazione sarda. Aledda, che si occupò di Stati Uniti e Australia, ha ricordato le difficoltà per superare il muro della diffidenza prima di ottenere la fiducia e le confidenze dei nostri emigrati. (foto Chiara Curcio e Pietro Schirru) RINNOVATO IL DIRETTIVO DEL CIRCOLO SARDO DI MELBOURNE LO GUIDERA’ PAUL LOSTIA Tradizione, storia, gastronomia e visite culturali, questi sono solo alcuni degli eventi in calendario che la Sardinian Cultural Association (SCA) ha presentato nel corso dell’annuale Assemblea Generale del Comitato Direttivo. Molti i soci, gli ospiti e i simpatizzanti dell’associazione presenti all’evento, a dimostrazione della bontà del lavoro svolto fino adesso per rendere l’associazione un punto di riferimento costante per le diverse comunità del Victoria e non solo per quella sarda. Da segnalare la presenza del direttore dell’Italian Historical Society e del nuovo Italian Museum Cultural Centre di Melbourne Paolo Baracchi e dello scrittore Pino Bosi, impegnato quest’ultimo nel portare a termine entro quest’anno il progetto di un libro dedicato alla presenza e all’emigrazione dei sardi nel Victoria. In calendario dunque, tanta tradizione, storia, gastronomia, eventi comunitari, feste religiose, visite culturali e non ultima la scienza e l’innovazione, come puntualmente sottolineato dal Consultore dei Sardi in Australia Pietro Schirru nella sua relazione presentata all’assemblea. “Fiore all’occhiello delle attività recenti” ha scritto Pietro Schirru, “è stato il progetto Ambiente e Energia con la partecipazione di una delegazione scientifica della Sardegna alla conferenza espositiva internazionale All Energy 2010 svoltasi a Melbourne lo scorso anno. Sono stato diretto testimone del grande lavoro organizzativo svolto dalla SCA, riconosciuto dalla stessa Regione. A conferma del successo ottenuto, la Regione Sardegna ha approvato per quest’anno una seconda fase di contatti tra i ricercatori del Victoria e quelli della Sardegna al fine di approdare a un importante protocollo d’intesa per futuri e positivi sviluppi nel settore delle nuove fonti energetiche”. Il ponte quindi, è stato eretto e si spera porterà lontano. Per la SCA del Victoria restano importanti le proprie radici culturali, ma con tutta evidenza anche gli investimenti per il futuro. Ulteriore prova ne sono i giovani della Next Generation che anche quest’anno, rappresentati da Jennifer Curcio, hanno presentato all’assemblea idee e attività da promuovere attraverso Twitter e Facebook, come per esempio la partecipazione al prossimo Lavazza Italian Film Festival di Melbourne. E come spesso si dice nello sport, squadra vincente non si cambia, e infatti al termine dell’assemblea i componenti del Comitato Direttivo sono stati confermati a dimostrazione del fatto che, oltre all’impegno, serve ancora continuità. A guidarli sarà sempre Paolo Lostia (foto), Presidente per i prossimi due anni, coadiuvato dal Vice Presidente Giuseppe Nolis, dalla Segretaria Olga Useli, dal Tesoriere Aurora Chighine e dall’Ufficiale Pubblico Angelo Ledda, quest’ultimi confermati entrambi per i prossimi due anni. E per finire una menzione speciale. Anzi due. Durante l’assemblea sono stati infatti giustamente celebrati due soci della SCA che a vario titolo hanno saputo distinguersi nel corso della loro esperienza di vita australiana. Si tratta di Francesco “Frank” Piu, nominato Life Member dell’associazione e di Antonio Trivisonno che, in occasione dell’ultimo Australia Day, ha conseguito l’onorificenza “Order of Australia – OAM” per il servizio reso alla sua comunità e ai valori del multiculturalismo australiano. Una bella soddisfazione davvero che Antonio Trivisonno ha condiviso con la sua famiglia e con i suoi corregionali del Victoria. Cultura, innovazione, comunità, queste le parole chiavi di un’associazione che non vuole fermarsi e anzi punta sempre a nuovi traguardi. Anno dopo anno, assemblea dopo assemblea. Maria Cristina Marras CHE SIA L’ESECUTIVO F.A.S.I. A SCEGLIERE COLORO CHE PROSEGUIRANNO IL LAVORO CONGRESSO ALLE PORTE: CHE CI SIA PIU’ RIFLESSIONE DA PARTE DI TUTTI Le vacanze estive sono quasi in archivio. Si prospetta per chi vive di associazionismo, un autunno fatto di impegni e di appuntamenti importanti. E’ così perlomeno, per il mondo migratorio sardo che si predispone a vivere il Congresso della Federazione delle Associazioni Sarde in Italia. Questo, in un contesto sociale altamente instabile con una crisi drammaticamente profonda. Anche l’associazionismo che vive sul volontariato puro è in difficoltà. E per indugiare sulle tematiche dell’emigrazione sarda, ai circoli degli emigrati, per conservarsi serve necessariamente un ricambio generazionale. E’ emerso a più riprese in questo 2011 disseminato di incontri anche istituzionali in Sardegna in cui questo bramare è affiorato. E il passo del ricambio generazionale diviene giocoforza un obiettivo e un dovere anche della F.A.S.I. guidata almeno sino all’appuntamento di fine ottobre ad Abano Terme da Tonino Mulas. Le adunanze antecedenti l’estate hanno messo in luce negli incontri di circoscrizione uno stato d’animo un po’ in subbuglio fra i partecipanti in tema Congresso. Sentimenti e personalismi interiori irrefrenabili per taluni che cominciano a disegnare e ad avanzare candidature. Designazioni di personaggi che si ripropongono ad ogni occorrenza, per proporsi prima di proporre. Abbozzano anche i primi disegni geopolitici a riguardo. Credo, in virtù anche delle difficoltà sopra citate, che sia sopraggiunto il momento di fare un passo indietro con un pizzico di autocritica riflessiva. Dare spazio a chi ha potenzialità e credibilità legittime per dare una volta in Esecutivo, un proprio e soprattutto proficuo contributo. Ci vogliono individui volenterosi, propositivi e non figli del catastrofismo latente, autolesionistico e assistenzialistico di cui sono pieni i nostri circoli. Differentemente, conviene mettersi in disparte e protrarre la propria opera distinta nel circolo di appartenenza, perché essere nell’Esecutivo F.A.S.I. è principalmente questo: giostrare nelle sue multifunzionalità il dialogo a più voci fra Federazione, Circoli e Istituzioni. Ho l’impressione anche vivendo a latere del mondo F.A.S.I. da diversi lustri (non tanti però), che l’arrivare a rivestire quel ruolo raffiguri per taluni (e non per tutti) un punto di arrivo. Niente di più sbagliato: essere nell’Esecutivo deve essere obbligatoriamente un punto di partenza. E su questo che l’autocritica riflessiva di ognuno dovrebbe far presa. Pensiero personale: che sia la F.A.S.I. a scegliere e setacciare le qualità e le capacità di coloro che oggi rappresentano il panorama dei dirigenti nei circoli lungo la Penisola. E di conseguenza che li indichi per il nuovo Esecutivo. Buon lavoro a coloro che prenderanno in mano le redini della F.A.S.I. nella consapevolezza delle difficoltà che l’associazionismo vive, soprattutto nelle relazioni con le istituzioni sarde. E lunga vita all’emigrazione sarda organizzata! Massimiliano Perlato FU GRANDE AMICO E SOSTENITORE DEGLI EMIGRATI SARDI AD UN ANNO DALLA MORTE DI FRANCESCO COSSIGA Un anno fa, il 17 agosto 2010, moriva Francesco Cossiga, presidente emerito della Repubblica italiana, nato a Sassari il 26 luglio 1928. Presso gli emigrati sardi Francesco Cossiga ha sempre goduto della considerazione di “padre nobile” della sardità: ha sempre surrogato la lacunosa memoria dei manuali di storia nazionale riferendo le vicende cruciali della storia e della cultura della Sardegna; ha sempre appoggiato senza tentennamenti le rivendicazioni del mondo dell' emigrazione sarda riguardo al diritto ad avere una permanente e concreta “continuità territoriale” con il resto del continente, cioè la concessione, nei trasporti da e per la Sardegna, di tariffe agevolate in grado di compensare almeno parzialmente gli svantaggi dell’insularità. L' emigrazione sarda nel mondo un anno fa ha perso sicuramente una figura rappresentativa che a livello regionale, nazionale e internazionale ha costituito la celebrità di riferimento capace di “comunicare” in maniera efficace e di “avvalorare” con connotazioni di simpatia, presso il grande pubblico, la causa della salvaguardia dell’identità sarda anche fuori dall’isola. Ma Cossiga non è stato soltanto “ambasciatore” autorevole, in Italia e nel mondo, della Sardegna (da lui definita “nobile e prediletta Terra di origine") ma anche conoscitore non superficiale delle peculiarità storiche, culturali e linguistiche dell’isola. Aveva avuto un bisnonno poeta, Bainzu Cossiga (Chiaramonti, SS, 1809-1855), autore in particolare di un insieme di poesie religiose in limba che furono pubblicate con il titolo Su Poeta Christianu («o siat Sa Doctrinetta in sonettos logudoresos cum algunas cantoneddas sacras»). In un testo del 2005 Cossiga scrisse: “Personalmente ho sempre riconosciuto, senza esclusioni, tutti gli appartenenti alla mia ascendenza e in particolare mi sono sempre dimostrato fiero di questo antenato poeta, al quale probabilmente devo la fase creativa che caratterizza la mia attuale fase di comunicatore che è di distanza critica e di osservazione partecipata della politica. […] Il patrimonio di intelligenza e di sapere della oralità primaria è sempre stato alla base della cultura sarda. Questa cultura ha saputo resistere, proprio grazie ai suoi poeti in lingua sarda, alla massiccia compressione esercitata dai governi e perciò dalla scuola e dalla politica degli investimenti industriali”. Cossiga è stato un esempio della verità dei versi del non sardo Vincenzo Cardarelli: “Ed è così che il sardo / mai tradirà la sua terra fedele”. Dell’onore e dell’onere di questa responsabilità sono coscienti, anche grazie a Cossiga, gli emigrati sardi nell’Italia continentale e nel mondo. Paolo Pulina IN GERMANIA, FARI PUNTATI SUL SALTO DI QUIRRA SUL GIORNALE “TAZ” DI BERLINO UN’ISOLA AVVELENATA IN EUROPA Inchiesta di Ambros Weibel e Marie- Claude Bianco La storia che ha come protagonisti le indagini del procuratore Domenico Fiordalisi, la resistenza di Mariella Cao e il bisogno di verità di Stefano Artizzo, padre di una bambina malformata, non si svolge in un angolo sperduto del mondo. La Sardegna non è solo un posto di vacanze per molti tedeschi, non è da decenni solo luogo di stazionamento dell’esercito federale tedesco, è una terra che, dovendo sopportare la sproporzionata presenza militare dell’Italia e della Nato, mette in evidenza i veri costi delle guerre che la Germania conduce in paesi remoti. Conoscerli è importante sia per coloro che - come l’autore - ritengono necessario l’impegno militare in Libia, sia per coloro che sono si rallegrano di essere riusciti, con decenni di proteste, ad allontanare dalla soglia della loro casa l’inquinamento militare: ebbene, non è scomparso. E’ difficile calcolare le conseguenze di una ricerca su questo tema: ne soffrirebbe il turismo? Verrà mai fuori tutta la verità su ciò che nel poligono di Quirra è stato sparato, bruciato e sotterrato – non solo dai militari ma anche da ditte private? Verranno mai risarcite le vittime? E in questo caso, come? Finanziariamente? Spiritualmente? Il messaggero delle cattive notizie è colpevole del fatto che gli allevatori facciano sopprimere le vacche, le pecore e le capre, perché non sanno più cosa farsene e perché i politici in Sardegna e a Roma non riescono a prendere decisioni adeguate? Una cosa è chiara: l’esercito tedesco e la fabbrica di armi EADS devono confrontarsi con Quirra – e senza temere il conflitto. Devono informare i soldati stazionati a Quirra e le loro famiglie sul procedere delle indagini della Procura di Stato a Lanusei. Devono collaborare da subito con la giustizia. E i sardi? Hanno bisogno di una rivoluzione: e smetterla di farsi mantenere dai militari, basta Bombardegna! Il chiarimento dello scandalo di Quirra è solo il primo passo di un lungo cammino. Il procuratore Domenico Fiordalisi dispone per prima cosa che vengano allontanati diecimila capi di bestiame, tra pecore, capre e bovini. Non devono più pascolare nel Salto di Quirra, il poligono militare nella Sardegna sud orientale. Gli allevatori si indignano. Ma se Fiordalisi si lasciasse intimidire, sarebbe certo la persona sbagliata per questa azione. Quando Fiordalisi si sposta in luoghi pubblici è scortato da tre uomini armati di pistole di grosso calibro. La Procura di Stato della città di Lanusei, la più piccola capitale di provincia in Italia, ha sede in un edificio beige in stile funzionale. In un pomeriggio di sole vediamo Fiordalisi che entra nel suo ufficio chinando la testa. Le porte sono basse e lui è quasi un gigante. Il procuratore ha appena ordinato il sequestro del più grande poligono militare in Europa: il Salto di Quirra. Sta indagando l’excomandante del poligono per omicidio. Il poligono è grande quanto la città tedesca di Darmstadt, 116 km quadrati. Per ora le operazioni militari possono proseguire. Ma il territorio non può più essere utilizzato come pascolo. Adesso protestano gli agricoltori. Ma già molti caseifici si rifiutavano di produrre formaggio dal latte di pecore che partoriscono agnelli con gli occhi dietro le orecchie. Forse i contadini sono il più piccolo dei problemi di Fiordalisi. Un’iniziativa di cittadini denuncia da decenni le alte percentuali di morti per cancro nelle zone circostanti il poligono. All’origine del sequestro ordinato da Fiordalisi c’è il sospetto su un fabbricante di armi tedesco e sull’esercito delle repubblica federale. Si tratta delle testate all’uranio. Per le quali Domenico Fiordalisi ha preso contatto con le autorità tedesche. Per molti Fiordalisi è l’ultima speranza dopo anni di silenzi. Altri scrivono sui muri minacce di morte contro di lui. 50 000 euro all’ora pagano, secondo le informazioni del procuratore, al ministero della difesa italiano le ditte che fanno esplodere sostanze non meglio identificate nel cielo sardo per poi farle ricadere sul terreno e lasciarle penetrare nelle falde acquifere. Rilassato come un orso, Fiordalisi siede nel suo luminoso ufficio dai mobili di disegno funzionale. Sulla scrivania regna l’ordine. Solo sotto il tavolo i suoi piedi denunciano nervosismo a certe domande. Il luogo che sembra innervosirlo si trova sui monti della Sardegna. Il paesaggio sarebbe uno sfondo perfetto per un film di Karl May. Il timo e la lavanda crescono tra quercie ritorte. Alte rocce di granito, gole di pietra, case diroccate. Su una collina si eleva la gigantesca cupola di un radar. E’ qui che si nasconde parte della più grande base militare della Nato, che si estende ancora per molte miglia sul mare. “Gioiello della corona” lo chiamano alcuni generali italiani. Nella zona riservata si trova un punto di lancio missili. L’esercito tedesco ha usato il Salto di Quirra negli anni ’80. Altri membri europei della Nato, come la Turchia e Israele, vi sperimentano nuove armi. Stasera a Lanusei il procuratore è vestito di azzurro. La sua camicia è un po’ più sbottonata di quanto ci aspetterebbe da un pubblico ufficiale – nonostante i 595 metri di altezze di Lanusei, ancora di sera ci sono 35 gradi. Domenico Fiordalisi sa che ha pochissimo spazio di manovra. In Italia gli avvocati vengono facilmente proclamati eroi, o accusati di comunismo. Fanno carriera alla televisione e in politica – come Antonio Di Pietro, ex-procuratore capo in quella serie di indagini sulla corruzione che hanno cambiato il panorama politico italiano negli anni ’90. Oggi Di Pietro è presidente del partito antiberlusconiano “Italia dei valori”. Secondo un recente sondaggio più della metà degli italiani ha fiducia in lui. Ora esiste una pagina su Facebook che si chiama “Sostegno a Domenico Fiordalisi”. Chi sale così in alto può cadere altrettanto in basso. Da tre anni Fiordalisi vive nel paesino montano di Lanusei, 6000 abitanti. Non è certo il culmine della carriera a cui questo rampollo di una famiglia di rinomati giuristi aspira. Negli anni ’90 Fiordalisi ha indagato in Calabria contro la Mafia e la ‘Ndrangheta. Anche in Sardegna, da quando vi ha preso servizio nell’estate del 2008, ha messo allo scoperto strutture della criminalità organizzata. In seguito a ciò, qualcuno ha tagliato le gomme alla macchina della moglie. Davanti alla sua casa è stata trovata una busta da lettera piena di pallottole. Il procuratore riceve una denuncia da parte dei veterinari La stampa locale scrive che Fiordalisi ha fatto un errore: riesumare le cartelle polverose dagli scaffali e far proseguire l’iter delle pratiche. Domenico Fiordalisi è al servizio della giustizia dal 1986. Da allora è stato oggetto di diversi procedimenti disciplinari, in conclusione dei quali è stato sempre completamente scagionato. Forse ciò l’ha reso prudente, o almeno così sembrerebbe quando dice: “Nel gennaio di quest’anno sono venuti da me a sporgere denuncia alcuni veterinari delle USL di Lanusei e di Cagliari. Questi veterinari avevano fatto una ricerca sulle malformazioni tra gli animali che pascolavano nella zona militare del Salto di Quirra. La sede centrale del poligono è nel comune di Perdasdefogu, che appartiene alla provincia dell’Ogliastra e dunque rientra nella competenza della procura di Lanusei. Per questo motivo esiste per noi l’obbligo di condurre un’indagine ufficiale. Le malformazioni erano notevoli e facevano pensare a una possibile contaminazione radioattiva - per esempio da munizioni all’uranio, che sono state impiegate nelle guerre della Nato, anche se non dai militari italiani, dicono. Siccome in questo poligono vengono a provare armi anche eserciti stranieri e ditte private, non potevamo escludere il sospetto”. Tra le forze armate straniere c’era l’esercito tedesco. Fiordalisi continua: “L’uranio è stato trovato poi nelle ossa di un agnello appartenente a un gregge che pascolava nella zona militare. Lì si trovava anche la discarica centrale per le armi di tutta l’aviazione italiana. Inoltre dalle ricerche risultò che il centro esoplosioni fu usato in modo intensivo dal 1984 fino al 1989, e poi più limitatamente fino al 2008, ed era inquinato da nanoparticelle metalliche, che, secondo le nostre informazioni, sono cancerogene”. Il procuratore riferisce con tono pacato e oggettivo, come se l’avesse già raccontato molte volte. “Questo è l’oggetto delle nostre indagini, nient’altro”, dice. Fiordalisi ha ordinato la riesumazione di più di 20 corpi di pastori, cosa che ha provocato molte reazioni. Allevatori hanno sfilato davanti al suo ufficio, accompagnati da delegati dei contadini, sindaci e ex-militari, che esigevano un rinvio dello sgombero. Sono persone per bene, che fanno uso dei loro diritti, non balordi, dice Fiordalisi, uomo d’ordine. In Germania lo si definirebbe di destra. Ma l’Italia è diversa, per non parlare della Sardegna. Qui si realizzano strani connubi, come per esempio quello tra un tipo come Fiordalisi e una tipa come Mariella Cao. Mariella Cao lotta da più di 20 anni contro il poligono. Ha 60 anni, un aspetto fragile. Con dita sottili sposta una ciocca di capelli dal viso e si accende una sigaretta. La sua voce è rauca, parla velocemente. Mariella Cao non arriva a bere il té che le sta davanti, in un caffé nel centro di Cagliari. Nel 1956 l’esercito ha sequestrato il territorio del poligono, ma doveva dare un indennizzo ai proprietari. I comuni ricevettero un risarcimento un denaro. Con ciò la zona non divenne di colpo ricca, ma Mariella Cao conosce gente che prima non aveva da mangiare e dopo l’installazione del poligono poteva anche mandare a scuola i figli. I legami tra militari e popolazione sono forti, anche grazie a numerosi matrimoni. A volte i militari chiedono aiuto ai contadini. Una volta hanno fatto nascondere un missile con un carro a buoi. Nel villaggio Perdasdefogu c’è un murale che illustra il fatto. L’insegnante la chiama schiavizzazione militare Dalla metà degli anni ’90 Mariella Cao insegnava nella scuola elementare di Villaputzu. Correvano voci persistenti su certe morti strane. Nel 1999 morì di cancro un giovane soldato. Era tornato da un intervento Nato in Bosnia. “Per la prima volta si sentì parlare di munizioni all’uranio, che le truppe Nato utilizzarono anche nella ex-Jugoslavia” ricorda Cao. Un soldato di leva morì di leucemia. I suoi genitori chiesero audienza al sindaco. Nessuno voleva stare a sentire la loro storia. Il comando militare tergiversò, parlò di tragici casi singoli, rimandò agli interventi Nato. Eppure il giovane militare di leva non era mai stato stazionato fuori dell’isola. Le armi utilizzate dalla Nato vengono sperimentate da decenni nell’isola, sostiene Cao, che ha fondato l’iniziativa “Gettiamo le basi”. Cao ha trovato collaboratori come il medico Antonietta Gatti, che da anni porta avanti ricerche sulle conseguenze dell’inquinamento militare. Gatti si era specializzata sull’inquinamento dovuto alle nanoparticelle, che si diffuminano nell’atmosfera in conseguenza delle esplosioni. Insieme intensificarono le pressioni sui politici. Fu instituita una commissione parlamentare. Per alcuni è la continuazione di una storia millenaria: i cartaginesi, i romani, i genovesi, i pisani, i caltalani, è la storia della colonizzazione della Sardegna. Poi l’isola è diventata l’immondezzaio della Nato e dell’Italia. Mariella Cao parla di schiavizzazione militare. Ora Fiordalisi indaga e Mariella Cao non sa se lo può considerare un successo. Infatti per ora ha ordinato esattamente ciò che i militari hanno sempre desiderato. I pastori e gli animali devono sparire. Se si continua a sparare senza testimoni e il territorio resta occupato, che cosa ha ottenuto? Stefano Artizzu, la cui figlia è nata senza le dita di una mano, vede il radar del Salto di Quirra dalla finestra della sua casa di Escalaplano, villaggio di 2500 abitanti. Artizzu, cinquantenne alto e snello, ha uno studio di fotografo. Camicia scura e bracciale d’oro, dimostra più della sua età, forse per i denti rovinati. Artizzu non è di per sé contrario alle basi militari in Sardegna e non è un pacifista. E’ solo arrabbiato per tutte le bugie. Sua figlia, 18 anni, è nata senza le dita della mano destra. Inizialmente sia lui che sua moglie non diedero troppo peso alla cosa. Destino. Daniela è una ragazza felice come le altre. Poi cominciò a sentire dai pastori storie di agnelli nati deformi. Solo dopo anni sentì parlare di bambini malformati. Si riunì con i loro genitori, scambiarono idee e informazioni. Nel solo 1988 vennero alla luce 14 bambini con malformazioni gravi. Artizzu parla di “mostri”. Così almeno venne descritto un bambino che un’infermiera vide in braccio alla madre nell’ospedale. Gli abitanti del paese cominciarono a cercar le cause. Non c’era nessuno disposto ad aiutarli. Non la Usl, non il comune, non la Chiesa. Poiché le malformazioni nei neonati erano sempre più frequenti, si rivolsero alla stampa. Il sindaco di Escalaplano insultò gli attivisti, accusandoli di gettare fango sul proprio paese. Secondo Artizzu è la paura di fronte ai politici ciò che protegge il poligono. Ci sono cento persone a Escalaplano che vivono dalla base militare. Il lavoro vince sulla salute. “Mia sorella è morta a nove anni di un linfoma Hodgkin” dice Artizzu guardando lontano. Cancro. Poi è arrivato Domenico Fiordalisi, il nuovo procuratore. Artizzu ha fatto una deposizione. Ha consegnato del materiale alle autorità: articoli di giornale e un agnello con malformazioni. “L’ho tenuto un anno in formalina”. Artizzu ride, orgoglioso come un ragazzo. Tutte le sue speranze ora sono riposte nelle indagini di Fiordalisi. “Abbiamo i nostri metodi” sorride il procuratore, sicuro di sé. La magistratura ha preso contatto con la Germania per saperne di più sui missili Kormoran della ditta Messerschmitt-Boelkow-Blom, MBB, che sono stati lanciati da tornados dell’aviazione tedesca. Fiordalisi è ancora un po’ offeso perché Giancarlo Carrusci ha parlato prima con la stampa che con lui, procuratore della Repubblica. La stampa ha subito promosso Carrusci a super testimone. “Ma certamente” dice Fiordalisi, “ritengo il testimone molto affidabile”. L’ex capitano Giancarlo Carrusci siede a una scrivania, nella cantina della sua casa alla periferia di Cagliari: “Cemento armato”, ride, “non c’è campo per il telefonino”. E neanche per eventuali cimici da intercettazioni. Carrusci, di 60 anni, è consulente per il risparmio energetico. Dal 1976 al 1992 era responsabile delle operazioni militari a Quirra. “Tutti i lanci di missili dovevano essere pianificati minuziosamente, per essere sicuri di non danneggiare la popolazione”. Carrusci afferma che anche la MBB ha sperimentato armi in questo poligono. Oggi la MBB appartiene alla EADS, compagnia europea per la difesa aerea e spaziale, il secondo produttore d’armi mondiale. La MBB ha sviluppato per l’esercito tedesco i Kormoran, missili aerei anti navi. All’inizio degli anni ’80 sono cominciati i test per la versione “Kormoran 2”. “Erano stati programmati tre lanci” ricorda Carrusci. Alla riunione preparatoria erano presenti ingegneri della MBB e quattro piloti di tornado dell’aviazione tedesca. Si voleva analizzare la forza di penetrazione dei missili in una nave blindata. A questo scopo un tornado tedesco lanciò il missile sull’obiettivo e il secondo caccia volò immediatamente dietro al primo per documentare il lancio. La nave colpita è sparita “I missili avevano testate con munizioni all’uranio” dice Carrusci. L’ha capito dal fumo sprigionato durante l’esplosione. Normalmente il fumo è grigio, e diventa tanto più chiaro quanto più alte sono le temperature. “In questi due lanci il fumo era molto bianco, ci dovevano essere tra 2000 e 3000 gradi”. Temperature che nessun missile normale può sviluppare. Il primo tentativo nell’autunno 1988 fallì e il missile cadde in acqua. Da allora il posto dove cadde, a 40 km da Porto Corallo, si chiama “secca dei tedeschi”. Il secondo tentativo, nell’ottobre del 1989 è andato meglio. Il missile colpì l’obiettivo. La nave fu messa al sicuro, i missili tenuti fermi nella posizione di impatto. Poi si portò la nave nel porto di Cagliari, nella zona riservata ai militari. Da questo momento se ne perdono le tracce. La nave è sparita assieme ai missili conficcati sopra. Un evento che dà filo da torcere al procuratore. Ma è difficile trovare prove valide vent’anni dopo. Perciò Fiordalisi ha chiesto aiuto alla giustizia tedesca. E’ una mattina di fine giugno. Nella sala storica della Provincia in piazza Palazzo di Cagliari, l’associazione ambientalista Lega Ambiente ha indetto una riunione sul “caso Quirra”. Sono presenti quasi 60 spettatori. Quadri sulla storia della Sardegna decorano la sala. Il sindaco, alcuni scienziati e alcuni deputati dovrebbero chiarire la situazione ai cittadini. E’ vero che la terra e l’acqua sono radioattive? Deve essere chiuso il poligono? I politici eludono la questione principale. Fino a che punto è incapacità, fino a che punto è ipocrisia? Ci crede veramente il sindaco di Villaputzu che il poligono può essere bonificato in sei mesi? Forse qui nessuno sa che in Germania e negli USA le zone inquinate in questo modo restano recintate di filo spinato per decenni prima che si cominci a pensare a una possibile riutilizzazione? Tra il pubblico siede Mariella Cao e ogni tanto fa sentire il suo dissenso. “Cao, cosa vuoi ancora?” risponde qualcuno dal podio. In questa sala storica si percepisce chiaramente qual è la difficoltà delle indagini di Fiordalisi. In Germania potrebbe diventare anche peggio. Un portavoce del ministero della difesa tedesco afferma che non ci si pronuncia riguardo alle “indagini di autorità straniere”. Il gruppo EADS conferma che la MBB ha costruito i missili Kormoran per l’esercito tedesco, ma il portavoce dice: “Posso escludere definitivamente che la MBB o la EADS abbiano mai usato munizioni all’uranio”. Poi rimanda all’aviazione tedesca, la Luftwaffe. No, ribadisce il portavoce del ministero, non ci sarà nessun commento. No, una visita alla base aerea di Decimomannu è esclusa. Poi resta in linea e aspetta. Gli raccontiamo un po’ di quello che sta succedendo nell’isola. Il portavoce tace, ma non chiude il telefono. E’ sicuro che i militari tedeschi non sappiano niente dei morti e dei bambini malformati della zona di Quirra? In fin dei conti ci sono soldati tedeschi stazionati lì con le loro famiglie. Alla fine il portavoce mette fine alla conversazione, sarà il ministero della difesa a occuparsi della questione. Nell’ufficio di Fiordalisi si sono fatte le otto e mezzo. La luce della sera dievnta sempre più fievole. La cosa migliore è che la questione dei Kormoran venga affrontata in Germania in modo equanime. E’ sempre la strategia più efficace. Traduzione di Bruna Emanuela Manai riferisce Alexandra Porcu DALL’OSSERVATORIO DEL CIRCOLO SARDO DI BERLINO QUIRRA: NICHT NUR EIN SARDISCHES PROBLEM“ Digitando su Google “Salto di Quirra” notiamo subito come solo nella prima pagina risultano una serie di titoli poco rassicuranti: “La sindrome di Quirra”, “Il Poligono della morte di Salto di Quirra”, “Misteri del Salto di Quirra” e ancora “Sindrome di Quirra i morti parlano”, “Quirra, c’è uranio impoverito” e via discorrendo. Se poi ci addentriamo nella lettura dei vari articoli scopriamo come le vicende legate ai 12 mila ettari di terreno della Sardegna sudorientale, dedicati dal 1965 a Poligono Interforze Sperimentale, siano quanto mai spinose e controverse, e di come sia necessario adottare una certa cautela nell’affrontare una questione sulla quale i punti oscuri sembrano essere ancora numerosi. Dell’argomento negli anni si è occupata gran parte della stampa italiana: L’Espresso, Il Fatto Quotidiano, La Stampa, Il Corriere della Sera, La Nuova Sardegna, L’Unione Sarda ma anche Rai News 24 e programmi di intrattenimento come Le Iene, oltre ovviamente a una costellazione di pubblicazioni minori, blog e siti web dedicati interamente al caso. Soprattutto in tempi recenti, a seguito dell’indagine avviata dal Procuratore Capo di Lanusei Domenico Fiordalisi, il tema è tornato a destare preoccupazione e sconcerto, in Sardegna e non solo. Tuttavia secondo alcuni la vicenda non riesce ancora a ottenere l’attenzione che merita, sia da parte della politica, sia da parte della stampa e dei media in generale. È di questo avviso Pitzente Bianco, sardo, residente a Berlino ormai da lunghi anni, presidente di ICS, Imbassiada Culturale de sa Sardinnia a Berlinu (Ambasciata Culturale della Sardegna a Berlino), il quale ha deciso di presentare il problema alla Germania nella sua capitale, rivolgendosi al quotidiano tedesco Taz, pubblicazione indipendente, apertamente orientata a sinistra, che ha particolarmente a cuore questo genere di temi. Nato quasi un anno fa, il progetto è stato curato scrupolosamente da due giornalisti del Taz, Marie-Claude Bianco, moglie di Pitzente e membro di ICS, e Ambros Waibel giornalista affermato, interessato da sempre a questioni italiane. La fase conclusiva del lavoro è stata una spedizione in Sardegna, che si è conclusa il 29 di giugno e che ha permesso di produrre un’inchiesta, pubblicata il 24 Luglio, alla quale il quotidiano dedica la Prima Pagina titolando in apertura Die Müllkippe der Nato ovvero La discarica della Nato. A un mese di distanza dalla conclusione del viaggio, Il Caffè degli Artisti, il Taz e ICS, con la collaborazione del Circolo Sardo di Berlino e. V., hanno deciso di fare un incontro dibattito pubblico, per presentare l’inchiesta, e per misurare quali sarebbero state le reazioni del pubblico. L’incontro, moderato da Pitzente Bianco e tradotto simultaneamente in italiano o in tedesco, per assicurarsi che tutti avessero la possibilità di capire, ha goduto della presenza dei due giornalisti, del capo redattore del Taz per la sezione esteri Gaby Sohl, della presidentessa del Circolo Sardo di Berlino e. V. Alexandra Porcu e della rappresentante del comitato Gettiamo le Basi Bruna Manai. Era presente inoltre un reporter incaricato di documentare l’intera serata attraverso dei video destinati alla TV. Durante la presentazione iniziale, Pitzente Bianco ha introdotto il problema al pubblico attraverso l’illustrazione di alcuni documenti ufficiali e di alcune testimonianze audiovisive, tra le tante raccolte dai giornalisti durante il viaggio in Sardegna. Le immagini, forti, inquietanti, talvolta incredibili, come quella che lui ribattezza “animali bellici”, poiché ritrae delle mucche che pascolano attorno a un carro armato abbandonato, sono spesso raccapriccianti agli occhi del pubblico, tanto da spingere lo stesso Pitzente a chiedere il permesso per mostrare le foto, ormai note agli addetti ai lavori, di un agnello nato con gravi malformazioni genetiche che lo rendono privo di volto e quindi quasi irriconoscibile. Ma il problema presentato pare ancora più serio. Sarebbe infatti già sufficiente a scatenare l’indignazione dei sardi che una così grossa area della Sardegna venga sacrificata per costruire un poligono, è grave che si verifichino numerosi casi di malformazioni genetiche tra gli animali, ma è inammissibile che un numero fuori norma di casi di cancro si siano verificati tra i pastori e gli abitanti delle zone circostanti. A seguire c’è stato il saluto della Presidentessa del Circolo Sardo di Berlino e. V. Alexandra Porcu, che in un breve intervento, integralmente in sardo, ha ricordato come il circolo abbia tra i suoi obiettivi primari quello di informare i sardi a Berlino e di rappresentare il volto della Sardegna nella città. Ritiene perciò importante discutere di questi temi, interfacciandosi anche con diversi soggetti, “tottus umpare in sa diversidade”, ricordando alla Sardegna che immigrati e figli di immigrati ci sono, e che partecipano quotidianamente a formare quella che è l’identità e la cultura sarda, anche attraverso queste attività. Particolarmente rilevanti sono stati inoltre gli interventi dei due giornalisti che hanno curato l’inchiesta. Marie-Claude Bianco, sollecitata da una domanda del pubblico, spiega come durante il viaggio abbia potuto riscontrare nella popolazione un duplice sentimento di chiusura-apertura, una bivalenza data dal desiderio di esprimersi, dalla gioia nel vedere che persone da così lontano si interessino a loro, ma allo stesso tempo da una voglia di nascondere, manifestata attraverso una certa riservatezza, che contribuisce a calare un velo di inquietudine sull’intera vicenda. Ambros Waibel ricorda invece come sia duro per un giornale portare avanti certe notizie, poiché la notiziabilità di un fatto è affidata a criteri che prescindono spesso dalle normali logiche. A coincidere con la messa in stampa dell’inchiesta, due fatti, distanti tra loro, ma diversamente importanti, hanno fatto irruzione nel mondo dei media, rischiando di oscurare del tutto la notizia. Il riferimento è ovviamente alla sconvolgente vicenda di Oslo del 22 luglio, che ha suscitato tanto clamore nell’opinione pubblica di tutto il mondo, e la morte della cantante pop Amy Winehouse il 23 luglio. Ma queste non è la prima volta che fatti drammatici e improvvisi mettono a rischio la buona riuscita dell’inchiesta. Infatti mesi prima era stato il dramma di Fukuschima a convincere la redazione a rimandare l’uscita della notizia di qualche tempo. Tuttavia questo non è stato sufficiente a scoraggiare il capo redattrice Gaby Sohl, la quale ha accolto sin da subito con entusiasmo il progetto, credendo fermamente nella sua importanza, non solo per i sardi e la Sardegna ma per il mondo intero, poiché il problema delle armi non è solo un problema che riguarda la Sardegna. A dimostrare ciò, è importante segnalare che il Taz ha deciso di dedicare al caso Quirra un blog, sul quale saranno periodicamente riportati aggiornamenti e risvolti della vicenda. Inoltre ICS sta pianificando già da ora una conferenza sul tema per il prossimo autunno. Per chi conosce il tedesco e ha piacere di leggere l’articolo può farlo seguendo questo link http://www.taz.de/1/archiv/archiv/?dig=2011%2F07%2F23%2Fa0027 . Gioele Figus (foto) URANIO: IL TRIBUNALE DI CAGLIARI CONDANNA LO STATO IL CASO VALERY MELIS Il Ministero della Difesa dovrà risarcire 584 mila euro ai familiari di Valery Melis, il militare originario di Quartu Sant' Elena (Cagliari) morto nel 2004 dopo una lunga malattia che lo aveva colpito al rientro da una missione in Kosovo. A stabilire il risarcimento, dopo che l' inchiesta penale era stata archiviata, è stato il Tribunale civile di Cagliari che ha ritenuto responsabile l' Esercito perché conosceva i rischi cui i soldati andavano incontro nelle missioni nei Balcani degli anni Novanta. "Deve ritenersi - si legge nella sentenza scritta dal giudice Vincenzo Amato - che il linfoma di Hodgkin sia stato contratto dal giovane Valery Melis proprio a causa dell' esposizione ad agenti chimici e fisici potenzialmente nocivi durante il servizio militare nei Balcani, atteso che proprio i detriti reperiti nel suo organismo hanno ben più che attendibilmente causato alterazioni gravi alle cellule del sistema immunitario come rilevato con frequenza di gran lunga superiore della media per i militari rientrati dai Balcani". Soddisfatto per la sentenza l' avvocato che tutela i familiari di Valery Melis e che ha parlato di una "sentenza storica". Per il risarcimento il giudice ha stabilito che lo Stato dovrà pagare 233.776 euro a testa ai genitori del militare e 55.444 ad ognuno dei due fratelli, più 23 mila euro di spese processuali. Dura la critica del Tribunale civile verso l' Esercito: "Nonostante fosse stato preavvertito da altro comando alleato - scrive il giudice Vincenzo Amato - non aveva fornito alcuna informazione del pericolo e dall' altro non aveva adottato alcuna misura protettiva per la salute, così esponendo Valery Melis alla contaminazione". Il militare morì a 27 anni il 4 febbraio 2004 dopo aver a lungo combattuto contro il linfoma che lo aveva colpito: nel 1997 e nel 1999 aveva partecipato alle missioni in Albania e Kosovo, nel contingente internazionale schierato Balcani. La sentenza di Cagliari è la quarta in questo senso, quindi sulla vicenda si sta affermando una incoraggiante giurisprudenza, anche se solo nel campo civile. Adesso c' é da augurarsi che il Ministero della Difesa non si opponga anche in questo caso e che riconosca ai familiari di Valery Melis quel che gli è dovuto. Valery Melis, è uno dei tanti militari, almeno 200, che hanno perso la vita per possibile contaminazione da uranio impoverito e sono tantissimi i ragazzi che continuano a soffrire nel silenzio. Si parla di almeno 1500 malati sparsi in tutta Italia, in particolare al Sud. SCIENZIATO IN MEDICINA VETERINARIA ED EMINENTE PARASSITOLOGO EFISIO ARRU DI SILIGO I progressi scientifici nella parassitologia clinica veterinaria in Sardegna -incluse le problematiche di rapporti tra ospiti e parassiti- si devono in modo particolare al determinante ruolo svolto da Efisio Arru (Siligo, 1927 – Sassari, 2000), Professore Ordinario, tra il 1978 e il 1997, di Malattie Parassitarie presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università turritana. Gli studi e ricerche specifiche nel campo dell’echinococcosi hanno caratterizzato l’attività di Arru e il fondamentale studio su “Echinococcosi-Idatidosi”, che gli valse una riconosciuta ed indiscussa autorità internazionale in materia, lo propose come artefice del “Piano di Eradicazione dell’Echinococcosi-Idatidosi in Sardegna”. Il progetto, come ricorda il prof. Giovanni Garippa, “non raggiunse gli obbiettivi sperati. Ma ciò servì da stimolo per analizzare le cause e proporre misure alternative di controllo della parassitosi con il coinvolgimento culturale e economico, soprattutto degli allevatori, senza il quale qualsiasi piano sarebbe stato destinato all’insuccesso”; il lavoro universitario del silighese -con corsi che trattavano di Zoocolture, Tecnica delle Autopsie e Diagnostica Cadaverica, Approvvigionamenti Annonari, Patologia Generale Veterinaria, Ispezione e Controllo degli Alimenti, etc.- era comunque sempre finalizzato a creare un rapporto diretto con il territorio, per l’auspicata attuazione di un riscatto e rinascita della Sardegna attraverso lo sviluppo delle tradizionali attività con la fruttuosa e nuova coscienza operativa e culturale degli allevatori isolani. Proprio nell’ambiente agro-pastorale, e tra i tecnici del settore, si ricorda l’intensa attività di formazione extrauniversitaria, sviluppata dall’Arru con estrema disponibilità e semplicità anche in limbazu del Logudoro, per rendere diffusamente disponibili le nuove conquiste scientifiche in grado di migliorare produttività e condizioni lavorative. Agli inizi degli anni ’80, segno della grande stima e notorietà di cui gode Efisio Arru tra la comunità scientifica internazionale, scrive la prefazione per la 2° edizione, curata dal Dr. Horst Huber, dell’opera VETERINARMEDIZINISCHE PARASITOLOGIE (Parassitologia Clinica Veterinaria) degli illustri Professori Joseph Boch (Università di Monaco di Baviera) e Rudolf Supperer (Università di Vienna), a cui riconosceva una esposizione “dell’intera materia in maniera sintetica, ma estremamente chiara” per favorire e dare “un quadro esauriente e completo” della parassitologia. Efisio Arru non è ricordato solo come un eminente scienziato in medicina veterinaria, ma ha contribuito alla fondazione dell’Istituto delle Civiltà del Mare, di cui fu Coordinatore Scientifico, e si impegnò con determinazione per avviare la salvaguardia ambientale dell’Area marina di Tavolara-Punta Coda Cavallo e San Teodoro. L’Amministrazione Comunale di Siligo e l’Università di Sassari, nell’aprile del 2005, hanno intitolato l’Osservatorio Astronomico alla memoria del Prof. Arru, mentre la famiglia -sempre in sintonia con l’Università degli Studi di Sassari (Facoltà di Medicina Veterinaria)- ha finanziato recentemente un premio di studio per la migliore tesi di laurea sul tema “Parassitologia e Malattie Parassitarie”. Cristoforo Puddu “L’EFFIMERO MERAVIGLIOSO” A SINNAI DAL 28 AGOSTO AL 3 SETTEMBRE IL COLORE ROSA “Quando si scrive delle donne bisogna intingere la penna nell' arcobaleno e asciugare la pagina con la polvere delle ali delle farfalle.” Queste sono le parole di Denis Diderot, nel dire la sua in merito all’universo donna. La donna dalle mille sfaccettature...come quelle di un arcobaleno. La donna al centro dell’universo: senza dimenticare, che ciò purtroppo avviene anche nel male. Donne umiliate, maltrattate e vittime di violenza. Da sempre e ovunque, nel passato e nel presente. Per questo, la donna non si dovrebbe riconoscere come tale, soltanto l’8 marzo: dignitoso e doveroso, certo, per ricordare 129 donne arse vive. Arse dall’arroganza, dal dispotismo e dalla mancanza di rispetto. Ma la donna è donna tutto l’anno ed ognuna riveste il suo ruolo. Tutto ciò si attesta in Sardegna, in un comune di 17.000 abitanti circa, nella provincia di Cagliari che si impegna culturalmente, per e con le donne: siamo a Sinnai, a Sìnnia. Con la volontà di trionfare la donna, da ormai sei anni la compagnia teatrale “L’Effimero Meraviglioso”, in collaborazione con il comune di Sinnai, organizza il Festival al femminile “Il colore rosa”. Dedicato alle donne, di cui sono protagoniste. Esse si mescolano a letteratura, teatro, arte e culinaria, tutto in nome della loro creatività. Quest’anno, la VI edizione si svolgerà dal 28 agosto al 3 settembre. Gli incontri letterari avranno luogo nella Biblioteca comunale, gli spettacoli nel Museo Civico e i dopo spettacoli nella suggestiva cornice di "Sa meri ' e domu". “L’Effimero Meraviglioso” nasce a Sinnai nel 1991, per opera della regista Maria Assunta Calvisi, trasferitasi nel 1986 dall’Abruzzo in Sardegna. Dai primi anni ’90 inizieranno i primi spettacoli e nel ’95 la messinscena di "Grazia a Maria" di Nino Nonnis, segna l’inizio di una collaborazione con le attività dell’Effimero Meraviglioso. Dal 2004 la compagnia gestisce il teatro civico, come partner privato insieme al comune di Sinnai. La donna dunque è il tassello necessario, per far quadrare le situazioni: riflettete uomini, confermereste il contrario? Un invito a tutti, per questo importante evento culturale! Per non dimenticare che essere donna, è sentirsi donna. Valorizziamo questo aspetto a nome di quelle donne, oltraggiate e sminuite nella loro natura. Valentina Usala IL PADRE PADRONE MASSIMO CELLINO IL CACCIATORE Una minima tregua agostana. Parliamo del cacciatore di allenatori, Massimo Cellino. Come sardo, come uno della moltitudine da calcio parlato, ahimè senza premium tv, che il tifo lo condivide tra "Bittese", Juventus, nazionale azzurra e, non solo dovere di patria: Casteddu. Una volta, tanto tempo fa, in un bel' articolo di un giornale del lunedì, qualcuno scrisse che con un presidente come Cellino il "Cagliari" non sarebbe mai andato avanti. Aveva ragione. Non fai a tempo a credere nei moduli di gioco, nel ruolo, nella capacità di salvezza e subito ecco che arriva lui: questo giocatore lo vendiamo, questo allenatore che pure ha saputo ottenere risultati lo cacciamo. Dicono che tutto sia tranne che umoralità: c' è la logica del calcolo, dell' investimento, del far lievitare il valore del pezzo pregiato acquistato al prezzo di brocco nelle svendite, insomma nell' investire. Tutto questo passando sopra la passione e il tifo della moltitudine sinceramente legata ai colori rossoblu, al "Cagliari" come nomen, al mito di Gigi Riva. Ci sarebbe da essere grati a Cellino: non è come tanti presidenti che pur di dare circenses ai propri affamati clientes spendono e spandono oltre il dovuto. Ma a guardarlo bene questo Cellino Massimo produttore di pasta, peraltro di buona qualità, si vede che anche lui pensa prima di tutto al proprio personale tornaconto. Il gioco di squadra non serve al mito del "Cagliari" ma alla logica dell' industria dove se sei funzionale alla catena di montaggio vali, se sei brocco vieni scartato. Che è poi quanto il caro vecchio Marx osservava nel farsi e disfarsi della rivoluzione industriale. Viene in mente un grande film di un grande regista, Non si uccidono così anche i cavalli ? di Sidney Pollack. Il film, tratto dall' omonimo romanzo (1935) di Horace Mc Coy è del 1969, un anno prima dello scudetto del Cagliaridinnoi, ma è ambientato nell' America della grande depressione, dopo il crollo di Wall Street, quella tanto simile al nostro oggi, quella di Furore di John Steinbeck e John Ford. C' è chi sfrutta a proprio tornaconto le maratone di ballo fatte diventare un estenuante e crudele spettacolo. "Coppie di disperati senza lavoro ballano per giorni interi attratti, ancor prima che dal premio in denaro a chi resisterà di più, dalla semplice possibilità di avere almeno il vitto assicurato per qualche tempo". Tale sembra la sorte dei giocatori e di una infinita teoria di allenatori del "Cagliari" celliniano. Certo non per vile moneta o solu pro sa entre come era nel contratto dei bambini-pastori che andavano sotto padrone a neppure dieci anni compiuti. Resta il fatto che con il cacciatore il Cagliaridinnoi è da quasi mezzo secolo, a zero tituli. E nois cascanne, sbadigli d' inedia e di tedio. O, per dirla come Remunnu ‘e Locu e riprendendo il film di Pollack: su caddu mortu it e mortu abbarrat. Natalino Piras MANNAIA DI TREMONTI SULLE PROVINCE E SUGLI ASSESSORATI I TAGLI IN SARDEGNA Non ci sono solo Comuni e Province sotto la scure del governo, il colpo più duro lo prende la Regione: il Consiglio passerà da 80 onorevoli a 30, la giunta sarà dimezzata, da 12 a 6 assessori. Con un risparmio per l' erario pubblico di oltre 12 milioni di euro. «Un taglio è opportuno, ma questo è eccessivo, a conferma che in Italia non esistono le mezze misure», commenta la presidente del Consiglio regionale, Claudia Lombardo, Pdl. «Pensavamo di portare il numero a 60, possiamo arrivare a 50, ma 30 consiglieri sono davvero troppo pochi», dice il capogruppo del Pd, Mario Bruno. Vediamo innanzitutto la norma. L' articolo 14 del decreto del governo Berlusconi prevede che il numero dei consiglieri regionali sia proporzionale al numero degli abitanti. Per le regioni con meno di due milioni di residenti, come la Sardegna, gli onorevoli devono essere 30. Il numero minimo è per le regioni con meno da un milione (20 consiglieri), il massimo per quelle oltre otto milioni (80 consiglieri). Per la Sardegna il taglio sarebbe di 49 consiglieri e non di 50. Perché il decreto prevede che nei 30 non sia compreso il presidente della giunta, che, a differenza di oggi, è considerato fuori quota. Il numero degli assessori deve essere pari a un quinto dei consiglieri: nell' isola quindi saranno 6. Le norme entreranno in vigore nella prossima legislatura (in Sardegna prevista per il 2014). Ogni Regione, comprese quelle a statuto speciale, dovranno adeguare il proprio Statuto entro sei mesi. Dal primo gennaio 2012 il Consiglio regionale dovrà dotarsi di un Collegio di revisore dei conti. Il dimezzamento dei consiglieri e degli assessori è stato previsto anche per i Consigli provinciali. Sempre che la Regione non decida di tagliarle tutte, ne resterebbero cinque: Cagliari e Sassari perché hanno più di 300 mila abitanti, Nuoro, Oristano e Olbia-Tempio perché la superfice di ciascuna supera i 3 mila chilometri quadrati. Saranno abolite Ogliastra, Medio Campidano e Carbonia-Iglesias. Le novità hanno riacceso dibattiti e polemiche. Sia sul merito, sia per il vero e proprio attacco alla politica che viene portato da più parti. Un attacco spesso motivato, ma rischioso, portato avanti approfittando del malumore generale. E'vero che certa politica è indifendibile e che le istituzioni non sempre sono all' altezza della situazione, ma è anche vero che facendo di ogni erba un fascio si colpisce la vita democratica. E'quanto sostiene anche la presidente Lombardo. «Ridurre il Consiglio regionale a 30 membri - spiega - significa eliminare le rappresentanze politiche meno forti e i territori più piccoli. E'una riduzione della democrazia». Se poi si aggiunge che si tenta di abolire anche le Province «mi chiedo quali spazi si vogliono lasciare alla politica». Notando che «è un' incongruenza non aver previsto il taglio del numero dei parlamentari», Claudia Lombardo fa notare che la massima assemblea rappresentativa «avrebbe meno consiglieri di Comuni come Cagliari, che almeno è capoluogo regionale, e di Carbonia». Insomma «si passa da un eccesso all' altro». Come per la figura del governatore: «Una volta - dice - il presidente era ostaggio del Consiglio, oggi è il Consiglio a essere ostaggio del governatore». A proposito, cosa pensa del dimezzamento della giunta? «Per me si può scendere da 12 a 8 assessori, sarebbe il numero giusto». E'quello indicato lunedì dall' assessore alle Riforme, Mario Floris. «Serve un taglio drastico ma questo è eccessivo», afferma Bruno. Che aggiunge: «L' errore della politica regionale, che di queste cose parla da molti lustri, è di arrivare dopo il governo. Nella passata legislatura abbiamo disboscato gli enti, ora dovevamo pensare alla Regione per essere credibili nei confronti di Province e Comuni». Cosa pensa del taglio delle Province? «La mia posizione personale - risponde il capogruppo del Pd - è che si possono abolire incentivando e rendendo obbligatorie le Unioni dei Comuni. Le Province resterebbero come assemblee di coordinamento formate dai sindaci». ALLA SCOPERTA DEL “PIANETA” AMBRA PINTORE MURIGA, PERCHE’ NESSUNO SI SENTA D’AVANZO Ambra Pintore nasce a Roma da padre sardo e madre di origine siciliana nata e vissuta in Etiopia. Giornalista pubblicista, è laureata in lettere moderne. A 14 anni, dopo aver studiato danza classica, entra a far parte della compagnia di teatro sperimentale Actores Alidos. Studia canto, dizione e recitazione seguendo numerosi stage di espressività fisica e vocale con: Ives Lebretton (mimo), Alvaro Restrepo (danzatore), Antonio Prost (attore), Lindsay Kemp (attore), Anna Maria Cianciulli (attrice). Recita in diversi spettacoli teatrali come protagonista, nel film Il figlio di Bakunin con la regia di Gianfranco Cabiddu e nella fiction L’Ultima Frontiera, diretta dal regista Franco Bernini trasmessa da Rai Uno in prima serata nel settembre 2006. Conduttrice e autrice di diversi format televisivi, dal 1999 conduce la più nota trasmissione televisiva sarda Sardegna Canta, programma di cultura e musica tradizionale, in onda su Videolina tutti i martedì in diretta alle ore 21.00. Nel 2010 cura e conduce la prima edizione di Videolina Mattina contenitore di attualità, informazione, medicina, cultura, cucina, in diretta su Videolina dal lunedì al venerdì dalle 8.20 alle 10.30. Conduce manifestazioni di musica, danza, moda, cultura e tutti i grandi eventi in Sardegna (Sant’Efisio, Redentore, Capodanno con Zucchero). Nel 2009 cura la pubblicazione della prima opera enciclopedica dedicata al vestiario tradizionale sardo: Costumi e gioielli della Sardegna. Pubblicata dal quotidiano L’Unione Sarda, l’opera è divisa in sedici volumi che raccolgono lo straordinario patrimonio custodito nell’isola fotografato e descritto nei minimi particolari. Ogni volume vanta un testimonial d’eccezione tra i quali la giornalista Barbara Serra, il calciatore Gianfranco Zola, il presidente Francesco Cossiga, la stessa Ambra Pintore. Artista a tutto tondo Ambra coltiva la sua passione per la musica sin da piccola. Canta con il gruppo vocale femminile a cappella Actores Alidos nel concerto Canti delle donne sarde che nel 2006 vince il primo premio in occasione del Festival Folkherbst a Plauener in Germania. Ama la musica world e approfondisce negli anni in particolare lo studio delle sonorità sarde incidendo nel 2011 il suo primo disco dal titolo Muriga, perché nessuno si senta d’avanzo. Mùriga significa mescola, e sta a indicare il valore positivo di tutto ciò che è impuro, meticcio, piacevolmente privo di un' identità troppo fiera di sé. Un percorso nuovo per Ambra che dopo anni di televisione e teatro ha trovato nella musica la sintesi delle sue esperienze professionali e umane. Con questo spirito di mescolanza e contaminazione è salita sul palco dell' Ariston, a Sanremo 2010, cantando in logudorese alcuni versi della canzone di Nino D' Angelo Jammo jà, un inno al Meridione e alle sue cose migliori. Attualmente Ambra è impegnata nel progetto di musica sacra Canti sacri dal mondo e nel concertospettacolo Muriga Tour . ‘Amo le lingue’ – ha dichiarato – ‘i suoni mi hanno sempre affascinato, la musicalità del parlare va oltre il significato delle parole. Sarà che mio padre è sardo, io sono nata a Roma, mia madre in Africa da genitori siciliani. Insomma mi hanno cullato abitudini, modi, sguardi, storie spesso in contrasto tra loro. Ecco perché in questo concerto vorrei dare voce alle etnie dimenticate o semplicemente sconosciute e ho scelto di cantare in francese, somalo, inglese, arabo, pugliese, napoletano. Naturalmente il punto di partenza è la lingua sarda rappresentata da brani interpretati in logudorese, campidanese, catalano e gallurese’. Un disco di musica world per l’esordio musicale di Ambra Pintore, nota conduttrice televisiva sarda e artista a tutto tondo. Muriga significa mescola, e sta a indicare il valore positivo di tutto ciò che è impuro, meticcio, piacevolmente privo di un' identità troppo fiera di sé. In questo disco si mescolano le lingue e le genti senza pregiudizi o giudizi: perché nessuno si senta d’avanzo. Undici i brani contenuti nell’album il cui filo conduttore è la mescolanza. Muriga è un disco cantato in sardo, nelle due varianti logudorese e campidanese. Un altro modo per fare musica sarda nel quale terre, etnie, amori e linguaggi sono mescolati come in un vapore incendiato: poesie di donne, canti di coltello, serenate melodiose, boghes a ballu vogliose e sfrenate con suoni di tablas e chitarre, di fisarmonica e trunfa, di basso elettrico e batteria, di pianoforti e tamburi, di chitarre spagnole e bouzouky greco, dove anche il computer parla in sardo. Il disco nasce dall’incontro di Ambra Pintore con Pino Martini Obinu, bassista degli Stormy Six, fondatore di diverse band, profondo conoscitore e sensibile interprete della cultura musicale sarda. Autori dei testi sono i poeti Michele Pio Ledda, Anna Cristina Serra e lo stesso Pino Martini Obinu. Arrangiatori e programmatori dei brani i musicisti milanesi Giorgio Rizzi (autore delle musiche con Pino Martini Obinu) e Roberto Scala, che hanno arricchito questo lavoro discografico grazie al loro poliedrico background musicale e all’utilizzo dei campionamenti elettronici. Il disco è stato mixato al Fragile Studio di Lodi da Nicolò Fragile, noto musicista e arrangiatore milanese che collabora con Mina, Eros Ramazzotti, Irene Grandi, Gianluca Grignani, Vasco Rossi. La confezione digipack dell’album contiene un libretto particolarmente curato nel quale sono raccolti i testi dei brani in sardo e la rispettiva traduzione in italiano. Le foto scattate dalla fotografa Fiorella Sanna impreziosiscono questo lavoro vantando una location d’eccezione. Il giardino di pietre sonore dello scultore Pinuccio Sciola ha infatti ospitato per un giorno il set nel quale Ambra Pintore ha voluto raccontare con le immagini il suo disco. Le pietre di Sciola, che suonano al tocco della mano che le ha scolpite, hanno in comune con questo disco energia, solidità, sentimento, cura e tanto lavoro: espressione della stessa coraggiosa forza artistica. I BRANI:Apre l’album Sambene e binu (Sangue e vino) un brano che rappresenta una sintesi di questo lavoro: un testo scritto in sardo e italiano; una storia universale dove sangue e vino si mescolano sconvolgendo le vite di una comunità che osserva i suoi figli perdersi per amori violenti; un sound moderno nel quale l’elettronica sposa una sofferta melodia che sembra arrivare da echi di pianti antichi. Ma ci sono anche amori che sconvolgono come fuoco in estate, si consumano in una danza flamenca e fanno crollare tutti i pregiudizi e le paure scaturite dalla diversità (Ispagna). Atmosfere sognanti cullano con un grande senso di leggerezza i versi di In altumare (In mare aperto), una dolce ballad che insieme ad Anda si ‘olis andai (Vai, se lo desideri) lasciano spazio ad un’interpretazione vocale essenziale accompagnata da soli strumenti acustici. L’Africa è protagonista in Wangari Maathai: la prima donna africana ad aver ricevuto il Premio Nobel per la Pace nel 2004 “grazie al suo contributo alle cause dello sviluppo sostenibile, della democrazia e della pace”. Ritmi percussivi incalzanti di jembé, shakerere, tamburi, e voci femminili pungenti sostengono chi crede che il verde sia il colore con il quale scrivere la propria storia. Questo canto di grande donna si libra protetto dai buoni auspici di una luminosa luna africana mentre un’altra immagine femminile viene ritratta nella sua terra di Sardegna in Oi mamaj (Oh madre). Un lamento funebre precede un’invocazione alla madre che è anche una riflessione: questo tempo non mi assomiglia e sfugge, non si torna indietro, le domande sono ombre di ogni giorno. Omaggio al canto a chitarra, simbolo della tradizione musicale sarda, la melodia citata nel brano In cust’ora (In quest’ora), conosciuta grazie all’interpretazione di Gavino de Lunas e Peppinu Cabiddu, rappresentanti di grande valore della musica isolana. Chiude il disco un pezzo provocatorio per tutti coloro che non vogliono prendersi troppo sul serio. Per chi non ha paura di godere e di stare bene e non si vuole nascondere: Pappu buffu e…..mind’affuttu (Mangio bevo e….. me ne frego). Il testo divertente, ma profondo invita alla spontaneità e alla gioia in una società che sperimenta sempre più la commistione e la diffidenza. La musica ondeggia in un originale mix di tecno e launeddas. LO STRANO CASO DEL DOTTOR ALESSANDRO DE ROMA QUANDO TUTTO TACE Quando tutto tace di Alessandro De Roma è un ben strano romanzo. Un ex cantante divenuto agente di spettacolo e poi mediocre imbonitore televisivo si trova oggetto dell' interesse di una donna storpia che sembra voler sapere tutto di lui, soprattutto il suo più doloroso segreto. La relazione tra Nello Bruni e Teresa de Carolis è l' elemento seducente della vicenda e sarebbe sufficiente da solo a farne un buon romanzo; ma sin dalla prima pagina De Roma decide di spiazzare il lettore mettendolo davanti a una storia dove i due personaggi e il loro autore agiscono su piani paralleli e comunicanti, varcando i confini con una naturalezza che è allo stesso tempo surreale e giocosa. La meta narrazione è una tecnica letteraria così frequentata che gli autori che ancora hanno il coraggio di servirsene rischiano di essere accusati di uno dei peggiori peccati che uno scrittore possa commettere: la tentata performance, scrivere così per dimostrare di essere capaci di farlo. È un gioco pericoloso, uno di quelli che facilmente possono scadere nella stucchevolezza in mano a uno scrittore meno dotato e scaltro di De Roma. La regola è sempre identica: non sono i personaggi a spostare la loro condizione, ma è l’autore a farsi personaggio con loro, infilandosi nella trama che sta scrivendo. In questo gioco di specchi De Roma padroneggia il ruolo creativo generando un alter ego che inserisce nella vicenda in forma di elemento cogente; ma non è che un altro personaggio, una mise en abyme che sovrappone inganno a inganno, perché tanto più quella maschera sembrerà somigliare allo scrittore, quanto meno intenderà davvero essergli fedele. Alla tecnica del meta romanzo De Roma è affezionato, l' ha già messa in atto nel suo romanzo d' esordio, e per quanto possa sembrare divertente in prima lettura, in realtà è un percorso inquietante. Destabilizza anzitutto lo scrittore che lo compie, perché lo costringe a chiedersi quanto occorra compromettersi con la propria narrazione per poterne preservare l’autenticità. Lo scrittore sa che non si può raccontare una storia fino in fondo senza accettare di divenirne parte, ma per divenirne parte occorre rinunciare a pretendere di raccontarla veramente. Sin dalla prima pagina chi scrive deve scegliere da che parte stare, accettando la contaminazione con la verità dei suoi personaggi in cambio della perdita di un po’ di autorevolezza narrativa. Scrivere in questo modo è camminare su un filo teso sull’abisso, ma se persino Truman Capote ha finito per guardare in basso troppo a lungo, De Roma non può certo illudersi di esorcizzare il baratro accontentandosi di metterne in scena la pantomima. Neppure il lettore può farlo. Il grado di contaminazione (e dunque di autenticità) a cui deve essere disposto a scendere lo scrittore fonda la sua legittimità sul patto tacito che il lettore faccia altrettanto, perché non è possibile mettersi davvero a nudo davanti a qualcuno che pretenda di fissarti conservando i suoi abiti addosso. Il lettore in Quando tutto tace non ha infatti una vita facile: è costretto di continuo a cambiare soggettiva, ad accettare l’ingaggio con ogni sobbalzo della storia, a farsi esplicitamente supporre dai personaggi che legge e ad agire di conseguenza, sentendosi sempre in bilico tra la tentazione di volersi gustare il gioco narrativo senza preconcetti e il forte sospetto che l’autore abbia perso l' orientamento, facendogli rischiare la fine del delfino spiaggiato. L’affermazione disperata di Nello Bruni, dolente protagonista di una storia fatta di sconfitte da poco, risuona a fine romanzo come un’eco consapevole del pericolo: “Il lettore ci ha abbandonati.” Non significa che ha smesso di leggere, ma che quella lettura ha cessato di rappresentare un contagio, una sovversione, il luogo di transito tra sé e la storia letta. Significa che chi legge si è distaccato, è tornato in sè e ha chiuso la sbarra del confine. De Roma di questo rischio non si cura, anzi riporta continuamente il lettore alla sua condizione di spione sulla soglia. Il miracolo di non mandarlo via del tutto è affidato alla sola forza emotiva dei due personaggi principali del romanzo, Nello Bruni e Teresa de Carolis, un uomo sconfitto dalla mediocrità di sé e un angelo storpio dalla curiosità taumaturgica, che finiranno amici, amanti, sbadato e badante, principio e termine di questa strana storia. Alessandro De Roma non è un esordiente. Ha già dato ampia prova di sé con romanzi come Vita e morte di Ludovico Lauter, La fine dei giorni e Il primo passo nel bosco, tutti usciti per i tipi del Maestrale. Sa scrivere e lo sa. Se proprio bisogna trovare un difetto al giocattolo perfetto di Quando tutto tace è che di quando in quando si intuisce il meccanismo con cui è costruito; non assorda, però se ne ode lo scatto. Sono lampi brevi in cui il sipario sembra farsi più labile sfiorando la trasparenza, ma è una sensazione abbastanza sfuggente da lasciarti il dubbio di essere tu ad aver capito male. Michela Murgia L’ALTRA COPERTINA EVELINA FARINACCI, SASSARESE CHE VIVE NEGLI EMIRATI ARABI A DUBAI E’ MEGLIO E VI SPIEGO PERCHE’ «Quando torno in Sardegna, o in Italia, spesso mi domandano: ma tu, come donna, come ti trovi in un paese mussulmano? Come ti trattano? Com' è la tua vita negli Emirati? In questo paese, in questa società, io mi sento pienamente rispettata. Soprattutto dagli arabi mussulmani. Qui le donne in genere, parlo delle emiratine, sono più istruite degli uomini, lavorano, fanno politica, sono giornaliste, dirigenti, creative. Sono ovunque. Con il loro velo, i loro abiti tradizionali, le mani decorate con l' henné, ma sono ovunque e fanno di tutto. E, come dappertutto, fanno bene le cose». Evelina Farinacci, a dispetto del cognome paterno, che nel suo caso ha origini in Umbria e suscita memorie del Ventennio, è tutta sarda e sassarese. A Sassari infatti è nata e cresciuta, allevata dal nonno Antonio Muglia, da nonna Giovanna Corona, da zia Grazietta, sorella di Antonio. Antonio e Grazietta tra loro parlavano sassarese «con me rigorosamente italiano. A nonna, nata ad Ales, il campidanese in casa era proibito. Avrei voluto impararlo bene il sassarese. Mi piaceva e mi è piaciuto sempre più, crescendo e parlandolo, spesso e malamente, con gli amici. A volte lo utilizzo con Ivan, mio marito. Che è bulgaro e lo sente quando viene in Sardegna e, anche se non lo capisce appieno, credo sia entrato nello spirito turritano. Il sassarese gli piace, lo trova frizzante, divertente». Evelina ha 34 anni. Da quasi dieci vive a Dubai. Da cinque lavora per la Camera di Commercio Italiana negli Emirati Arabi, si occupa di comunicazione ed organizzazione di eventi. Evelina, laurea a Sassari, nel 2001, in lingua e letteratura araba ma, prima della fine degli studi, trascorre un anno a Damasco grazie ad una borsa di studio. «Un' esperienza bellissima perché la città è meravigliosa e i siriani sono un popolo fantastico, genuino, cordiale ed ospitale. A Damasco ho conosciuto Ivan, anche lui laureato in lingua araba. Nel 2002 siamo andati a vivere insieme a Dubai e nel 2004 ci siamo sposati». La Dubai che accoglie Evelina ed Ivan anni fa è una città diversa da quella attuale. «Quando siamo arrivata qui c' erano già molti espatriati, ma meno numerosi. C' era da fare di tutto, da creare e costruire». L' emirato, racconta Evelina, al contrario di quello di Abu Dhabi, ha poco petrolio e si stima che finirà in meno di vent' anni. Dubai vive di investimenti stranieri, di esportazione e riesportazione, un meccanismo che frutta denaro e che fa comodo a molti. Poi c' è il turismo, favorito dall' incredibile sviluppo architettonico, dalla grande attenzione mediatica che Dubai è riuscita a conquistare, dal ruolo della Emirates, la linea aerea: un servizio di qualità, un' ampia rete di collegamenti coniugata a brevi e convenienti soste, in attesa del successivo volo. «Questo è un paese giovane, qui si respira ottimismo, le cose si fanno in tempi impensabili per altre realtà; anche gli errori naturalmente. Per gran parte dell' anno si vive piuttosto bene, si sta molto all' aperto, anche se ci si sposta essenzialmente in auto, non é una città per pedoni. E'molto cosmopolita. Io frequento portoghesi, indiani, spagnoli, sudafricani, messicani, rumeni, siriani, e potrei continuare. Allo stesso tempo il governo locale tutela con determinazione gli emiratini, che sono i residenti di origine beduina e tribale. Qui non è possibile ottenere la cittadinanza per nascita e neppure attraverso il matrimonio. Bisogna essere nati da una famiglia appartenente alle tribù che abitano queste terre da diverse centinaia di anni». La cittadinanza emiratina, almeno a Dubai, garantisce molti vantaggi: ad ogni famiglia viene assegnato un pezzo di terra dove costruire la propria casa. Luce, acqua, sanità ed istruzione sono gratuite. Ci sono incentivi per poter studiare all' estero e non si pagano tasse sul reddito. «Ma quelle non le paghiamo neppure noi» aggiunge Evelina. «Ti manca la Sardegna?» chiedo ad Evelina. «Non sono nostalgica- risponde- raramente mi mancano i luoghi, di più le persone. Preferisco godere di quanto offre il paese in cui vivo: forse mi manca un poco il nostro mare, qui nuoto quasi sempre in piscina. E un pochino anche la fainè, quella di Sassu, in via Usai». Non c' è che dire, è sassarese Evelina. «Quando ritorno poi trovo una situazione che non mi piace. In Italia in generale, e la Sardegna non è certo immune. Ed ogni volta è peggio. E'una sensazione netta e sgradevole. La situazione economica non è buona, tutt' altro, il che non aiuta; ma l' impressione, dico la verità, è che stiano un po'tutti sbroccando: più nervosismo e aggressività, più cafonaggine, meno pazienza ed apertura verso il prossimo. L' immaginario, i modelli proposti sui media sono superficiali e volgari. E'un discorso trito e ritrito ma reale. Tutto questo non era così pervasivo e triviale anche solo dieci anni fa. L' aria era quella, ma la tv ad esempio è peggiorata. Sempre meno informazione e più distrazione becera. Un uso orribile, eccessivo, dell' immagine e del corpo delle donne». E'indignata Evelina e aggiunge: «Preferisco una donna mussulmana, emiratina o di un qualsiasi altro paese arabo, che col suo velo, i suoi vestiti modesti e poco appariscenti, fa tutto e lo fa bene, studiando o lavorando, alla immagine e idea, purtroppo concreta, di una donna poco vestita, che non fa che mostrare il suo corpo, e il gioco è fatto. In Italia questo modello esiste. A me non piace. E se piace questo mi preoccupa. E anche molto». Antonio Mannu TOTTUS IN PARI è in internet con www.tottusinpari.blog.tiscali.it e in FACEBOOK