L’Avanguardia russa
la Siberia e l’Oriente
Firenze Palazzo Strozzi
27 settembre 2013-19 gennaio 2014
a cura di
John E. Bowlt, Nicoletta Misler, Evgenia Petrova
Testi
Ludovica Sebregondi
VIENI A ESPLORARE IL MONDO
DELL’AVANGUARDIA RUSSA
Le esplorazioni sono state uno degli impulsi che hanno
innescato l’arte innovativa dell’Avanguardia russa.
All’inizio del Novecento il mondo andava pazzo per
le esplorazioni. Presi dallo spirito d’avventura e dal
desiderio ardente di scoprire i segreti di un passato
dimenticato, giovani esploratori di tutto il mondo
partivano diretti in ogni dove alla ricerca di tesori perduti.
In Russia gli artisti traevano ispirazione dalle collezioni
riportate ai musei del Paese da mercanti, avventurieri
ed esploratori che avevano viaggiato in tutto il mondo,
comprese le propaggini più remote della terra russa.
Questa mostra invita a esplorare la Russia e l’Oriente
attraverso i capolavori dell’Avanguardia russa e le opere
che li hanno ispirati.
Fatti guidare
Speciali didascalie per famiglie e bambini.
In tutta la mostra ci sono didascalie speciali che
invitano le famiglie a riflettere sui temi del viaggio,
dell’esplorazione e della emigrazione.
FUOCO E GHIACCIO
Il Porta-mappe dell’esploratore. Vedrai le famiglie
usare la speciale “valigia”, piena di attività pensate per
tutte le età. Chiedine una in prestito al Punto Info, al
primo piano.
Il kit disegno. Durante il percorso in mostra disegna sul
blocco la tua versione tutta speciale
delle opere esposte. Chiedi, al Punto Info al primo piano
un kit disegno da usare e restituire alla fine della visita.
Il segnalibro. Esplora la relazione tra l’arte e gli scritti
del tempo. Cerca lo speciale simbolo del
libro... poi vai in Sala Lettura e cerca il titolo relativo!
La Sala Lettura. La Sala Lettura permette ai visitatori di
prendersi una pausa e di approfondire
la loro esperienza. Vi si può trovare una speciale
selezione di libri collegati ai temi e agli artisti della
mostra.
La Sala Radio. Registra quello che pensi delle
esperienze di viaggio, esplorazione ed emigrazione in
una cabina di registrazione vera. Ogni settimana su
ControRadio verrà trasmessa una serie di interviste
selezionate.
“Chiedimi”. Il personale con il distintivo speciale
“Chiedimi” può aiutarti a saperne di più sulla mostra,
anche nella tua lingua: se hai bisogno di sapere
qualcosa chiedi a loro. Forse la mostra ti piacerà tanto
da volerci tornare!
Tutti i testi dei pannelli e delle didascalie si possono
trovare sul sito www.palazzostrozzi.org e sono
disponibili in italiano, inglese, russo e cinese.
Questa mostra intende presentare la varietà e
profondità dell’arte russa del periodo modernista,
sottolineando l’importanza delle radici culturali
euroasiatiche nella visione dell’arte russa, che
mescolava la razionalità della civiltà occidentale con
l’ardore dell’Oriente.
“Fuoco e ghiaccio” possono essere utilizzati come
metafora dell’avvicinamento ideologico e artistico
della Russia verso l’Oriente, manifestatasi soprattutto
tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento.
L’interesse non si rivolse soltanto alla Siberia e
all’Estremo Oriente, ma anche verso i deserti riarsi
del Turkestan e le regioni artiche. Il concetto “Fuoco
e ghiaccio” include anche il dualismo che guidò i
talenti creativi, tra l’altro, di Wassily Kandinsky e
Kazimir Malevič. Se, dunque, il ghiaccio denota
l’osservanza del canone, il fuoco può anche
assumere le caratteristiche dell’estasi pagana. Non
tutte le opere della mostra possono essere inserite
in questa cornice, ma il confronto può aiutare il
visitatore, guidandolo nel vasto territorio dell’arte
russa (dai deserti ghiacciati alle torride pianure delle
steppe) lungo le rotte siberiane, caucasiche, artiche
e asiatiche.
I curatori
John E. Bowlt, Nicoletta Misler, Evgenia Petrova
Polovcy (cumani)
Kamennaja baba
X-XIII secolo
pietra
San Pietroburgo, Museo Etnografico
Russo
Fra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento,
nella vastità dell’Impero russo l’individuo si
smarrisce. Oltre la porta di casa inizia lo spazio
non civilizzato. Ma nel crogiuolo dell’Eurasia, nei
popoli e nelle etnie più diverse (sciti, unni, mongoli,
esquimesi), i germi di culture molto antiche – cinesi,
indiane e tibetane – si mescolano anche ai riti
primitivi dell’iniziazione, dell’estasi e della perdita di
sé insegnati dagli sciamani dei popoli del Nord.
Il lupo, animale sacro allo sciamanesimo, la
iena la cui ombra blu riflette la luce della steppa,
simboleggiano la paura e il sogno degli abitanti
dell’Impero russo, che questa mostra intende
visualizzare.
Una kamennaja baba, il megalite primitivo presente
sul vasto territorio dell’Impero, è il guardiano di
questa inquietudine. Natal’ja Gončarova con Il
vuoto, Malevič con il Cerchio nero, Kandisky con
Macchia nera, ne hanno creato inconsapevolmente
l’espressione moderna.
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Il nome di queste statue deriva dalla
parola baba, usata dalle antiche
popolazioni turche, che significava
padre e antenato, anche se baba
venne in seguito identificato con il
termine russo che indica la donna.
Questi monoliti erano collocati
non lontani dalle tombe a tumulo
(kurgany) poste in punti elevati sulle
steppe. Oggetto di culto e di sacrifici
incruenti, venivano aspersi di una
bevanda alcolica derivata dal latte.
Martiros Sar’jan
(Nachičevan sul Don 1881Erevan 1972)
Iene
1909
tempera, grafite, gouache su cartone
San Pietroburgo, Museo Statale
Russo
L’influenza dell’arte di Henri Matisse
aveva portato Sar’jan a sostenere
che forme e colori di soggetti quali
aridi versanti delle montagne, vicoli
di villaggi, cieli tersi, scenari notturni
o deserti, rappresentassero «non
il primitivismo, ma una giustificata
convinzione creativa». Sar’jan non
smise mai di cercare il mistero degli
spazi vergini, una condizione che Iene
rende con particolare evidenza.
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Aleksej Stepanov
(Simferopol’ 1858-Mosca 1923)
Lupi nella notte
1912
olio su tela
San Pietroburgo, Museo per la
Ricerca Scientifica dell’Accademia
Russa di Belle Arti,
Museo Isaak Brodskij
Stepanov è ricordato per le
raffigurazioni realistiche della steppa
e della taiga russe: l’artista tendeva
a rendere questi spazi come adatti
agli animali selvaggi ma ostili
per gli uomini. Stepanov, turbato
dall’urbanizzazione, metteva in guardia
dall’intrusione dell’uomo nella favolosa
Russia primitiva che rappresentava
la chiave dei misteri dell’Universo: un
messaggio racchiuso nell’intersezione
tra le tracce del carro e i lupi che
guardano noi, gli intrusi, con occhio
nervoso.
Natal’ja GonCarova
(Nagaevo 1881-Parigi 1962)
Il vuoto
1913-1914
olio su tela
Mosca, Galleria Statale Tret’jakov
Dipinto nel momento di maggiore
creatività nella carriera di Gončarova,
fu esposto nel 1914 a Mosca con il
titolo Il vuoto e a Parigi come L’Espace
vide accanto a dipinti raggisti ed
“elettrici” come Costruzione raggista
e Ornamento elettrico. L’opera fu
forse ispirata dal fascino esercitato
dai processi interiori e invisibili della
trasformazione fisica della materia.
Il vuoto, d’altra parte, era collegato
al comune interesse per il “nulla” che
ossessionava l’Avanguardia russa.
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Kazimir MaleviC
(pressi di Kiev 1879-Leningrado 1935)
Cerchio nero
1915
olio su tela
San Pietroburgo, Museo Statale
Russo
Dopo il Quadrato nero, il Cerchio
nero era, secondo Malevič, il secondo
elemento del nuovo alfabeto (il terzo
sarà la croce), utilizzato spesso
dall’artista come emblema del sistema
astratto da lui definito “suprematismo”,
un neologismo che vuole indicare la
supremazia in arte della sensibilità
pura senza rappresentazione. Cerchio
nero può anche essere letto come
descrizione di un’eclisse totale, non
solo metaforica ma reale, motivo
ricorrente nel modernismo russo.
Wassily Kandinsky
(Mosca 1866-Neuilly-sur-Seine 1944)
Macchia nera
1912
olio su tela
San Pietroburgo, Museo Statale
Russo
Opera improntata su pensieri
teosofici, secondo i quali emozioni e
sentimenti possono essere identificati
con forme colorate astratte, Macchia
nera sintetizza le idee di Kandinsky
sull’astrazione e la dimensione
“spirituale” o divina dell’opera
d’arte. Macchia nera induce anche
associazioni con potenze occulte
e forze sataniche, nonché con il
concetto cosmologico di “buco nero”.
L’artista crede nella maestà dell’atto
creativo e nell’esperienza estetica per
lui insita nell’arte astratta.
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FONTI ESOTICHE
DALLA GRECIA AL SIAM
Il 26 ottobre 1890 Nicola, futuro zar di tutte le Russie,
si imbarcava da Trieste per un viaggio che doveva
rafforzare le relazioni con i popoli della frontiera
orientale dell’Impero. La prima tappa del viaggio
dello zarevič fu la Grecia, una terra vista non come
culla apollinea della civiltà classica, ma come
territorio pregno di colore locale e oscure suggestioni
arcaiche e primordiali. Approdato nel maggio 1891 a
Vladivostok, per due mesi rifece via terra il percorso
all’indietro verso Occidente, attraversando gli immensi
spazi della Siberia. Fu anche un viaggio iniziatico per
il ventiduenne Nicola, che rese popolare in Russia
la conoscenza di terre esotiche come India, Ceylon,
Giava, Siam, Giappone, Cina, stabilendo i contatti
del futuro zar con territori inesplorati e con i popoli
“minori” e “primitivi” della Siberia. La mostra ne segue
il tragitto, non in senso geografico, ma come percorso
metaforico nella circolarità Occidente-Oriente e
Oriente-Occidente.
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Nikolaj Karazin
(Novo-Borisoglebskaja 1842-Gatčina
1908)
Fra le rovine. Il tempio di Zeus
nella tempesta (Olimpia)
post 1891
inchiostro di china e biacca su cartone
San Pietroburgo, Museo Statale Russo
Nel corso del viaggio dello zarevič in
Grecia, la visita del Tempio di Zeus a
Olimpia si rivestì di presagi quando
un fulmine ne illuminò le rovine.
Secondo la cronaca di viaggio del
principe Esper Uchtomskij: «L’aria
diviene pesante, nubi spesse coprono
il cielo: bisogna affrettarci. Avanziamo
urtando talvolta con i piedi qualche
pietra dell’altare di Zeus davanti a
cui, nel fumo del sacrificio, i sacerdoti
predicevano il futuro. Olimpia era un
sacrario mistico».
Léon Bakst
(Lev Rozenberg; Grodno 1866-Parigi
1924)
Terror Antiquus
1908
olio su tela
San Pietroburgo, Museo Statale Russo
Bakst in quest’opera – concepita
nel 1905 e terminata nel 1908 –
rielaborò forse l’immagine di Karazin,
associandola all’aspetto insondabile
di una classicità ancora barbarica.
L’aspetto mistico colto da Uchtomskij
coincideva con le emozioni vissute da
Bakst e Valentin Serov durante il loro
viaggio in Grecia del 1907. La Kore
impassibile si associa a quella di una
arcaica Afrodite per il simbolo della
colomba azzurra che tiene in mano.
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Sergej Konenkov
(Karakoviči 1874-Mosca 1971)
Eos
1913
marmo dipinto
Mosca, Galleria Statale Tret’jakov
Eos “dalle dita di rosa”, dea
dell’aurora nella mitologia greca,
è l’alba che cede il passo al sole.
Konenkov, abituato a estrarre
immagini dalle radici del legno,
utilizza in questo caso il marmo della
scultura classica, scegliendo però di
evidenziarne la struttura materica.
Léon Bakst
(Lev Rozenberg; Grodno 1866-Parigi
1924)
Danza sacra siamese
1901
olio su tela
Mosca, Galleria Statale Tret’jakov
Bakst rievoca la Danza delle lanterne
eseguita dalla troupe del balletto
della corte reale del Siam durante la
sua prima tournée europea, che ne
vide l’esibizione a San Pietroburgo
il 28 e il 29 ottobre del 1900. Si
tratta dell’unica tela su soggetto
“orientale” dipinta da Bakst, che non
l’utilizzò mai, nelle pur innumerevoli
scenografie da lui dedicate
all’argomento.
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Nikolaj Karazin
(Novo-Borisoglebskaia 1842-Gatčina
1908)
Templi, guglie e cani da guardia
post 1891
inchiostro di china e biacca su cartone
San Pietroburgo, Museo Statale
Russo
Karazin, autore dell’apparato
figurativo (circa settecento immagini),
della cronaca di Uchtomskij,
interpretò lo spirito “esotico” del
viaggio, sebbene non vi avesse preso
parte. Le sue immagini del Siam e
dell’India – basate sulle fotografie
(come quelle donate dal principe
Rama V Chulalongkorn allo zarevič in
occasione del loro incontro in Siam)
– sono altamente evocative, non solo
per la tecnica, ma per la capacità di
rendere tangibile l’atmosfera, con
monumenti che escono delle nebbie
del calore tropicale.
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SCAMBI DI DONI
Buriati, Siberia Orientale,
Cina del nord, scuola
mongola
Tara Bianca
XIX secolo
argento
San Pietroburgo, Museo Etnografico
Russo
A ogni tappa del suo viaggio lo zarevič scambiava
regali con le autorità locali. In seguito fu organizzata al
Museo dell’Ermitage una mostra, apertasi nel 1893, dei
regali ricevuti, fra i quali la preziosissima Tara d’argento
qui esposta. I doni più pregiati sono oggi conservati
all’Ermitage, mentre oggetti di interesse etnografico
furono poi trasmessi al Museo Antropologico ed
Etnografico di San Pietroburgo. Altre importanti opere
d’arte orientale vennero regalate all’Ermitage dal principe
Esper Uchtomskij, che aveva accompagnato nel viaggio
il giovane erede al trono. Uchtomskij, appassionato
collezionista di opere d’arte buddhista, condivideva con
artisti e studiosi l’interesse per la teosofia, di moda nei
circoli di San Pietroburgo.
La Tara Bianca – o Sita Tara in
sanscrito (la Salvatrice) – è una delle
immagini più popolari del Pantheon
buddhista dei buriati, che le attribuivano
il ruolo di protettrice dai pericoli.
L’iconografia è quella di una giovane
seduta nella posizione del loto, su un
basamento a forma di loto. Dai tempi
di Caterina II, nel Settecento, le mogli
degli imperatori russi erano considerate
dai popoli mongoli incarnazione della
Tara Bianca, la cui effigie veniva perciò
offerta in dono all’imperatore.
Alexandre Benois
(Aleksandr Benua; San Pietroburgo
1870-Parigi 1960)
Asia
1916
carta su tela, tempera, grafite,
gouache
San Pietroburgo, Museo Statale Russo
Asia era uno dei pannelli che Benois,
insieme ad altri artisti, realizzò
per l’interno del ristorante della
stazione Kazan di Mosca fra il 1913
e il ’17. I pannelli alludevano più
alla colonizzazione imperiale della
Transcaucasia e dell’Estremo Oriente
che al carattere esotico e misterioso,
mentre il disegno e la collocazione
d’impronta barocca si rifacevano a
riferimenti orientalisti più che orientali.
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Wassily Kandinsky
(Mosca 1866-Neuilly-sur-Seine 1944)
Uccelli esotici
1915
acquerello su carta
Mosca, Galleria Statale Tret’jakov
Benché per Kandinsky l’“Oriente” non
costituisse un interesse primario, nella
sua opera sono presenti numerosi
riferimenti esotici. Il titolo del dipinto
non è suo, essendo stato utilizzato
dalla Galleria Tret’jakov negli anni
venti, ma è facile istituire paralleli con
acquerelli analoghi quali Uccelli e
L’uccello di fuoco (entrambi del 1916).
Inoltre il volo, metaforico se non reale,
era tema fondamentale della pittura di
Kandinsky e del suo personalissimo
percorso spirituale.
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L’INCANTESIMO DELL’ORIENTE
Nel 1913 fu inaugurato a San Pietroburgo il primo tempio
buddhista (o datsan, tempio-monastero) dell’ordine
tibetano dei “berretti gialli”, presente in Tibet, Mongolia e
Siberia e sul territorio dell’Impero. Il buddhismo tibetano
aveva iniziato a penetrare in Russia sin dal Cinquecento,
e nel 1741 ne era stato autorizzato il culto. Il tempio,
terminato nel 1915 in un eclettico stile Art Nouveau e
tibetano con decorazioni di Nikolaj Rerich, rispondeva
alle esigenze delle popolazioni dell’Asia centrale presenti
a Pietroburgo, che avevano accolto il buddhismo
come religione ufficiale e, insieme, all’attrazione
che il buddhismo esercitava nei circoli nobili di San
Pietroburgo, anche attraverso il “medico tibetano” Petr
Badmaev, vicino alla zar Alessandro III e poi a Nicola
II. La tolleranza della famiglia imperiale nei confronti
dei suoi buddhisti, soprattutto calmucchi e buriati è
dimostrata dalle fotografie di Nicola II e dello zarevič
Aleksej sull’altare del tempio, non ancora finito, sotto le
bandiere russa e buriata.
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Nicola Benois
Boris Anisfel’d
Nicola Benois, in seguito famoso
scenografo del Teatro alla Scala, iniziò
la carriera come seguace di artisti
mistici quali il pittore e compositore
lituano Mikalojus Čiurlionis. Benché
la data dell’opera sia incerta (nel
1915 Benois aveva solo quattordici
anni), il tema enigmatico e legato
all’occulto coincide con i suoi precoci
interessi e, in generale, rimanda alla
voga pietroburghese del buddhismo,
e ai trucchi circensi, della levitazione
e il ventriloquio, di cui Benois era
appassionato.
Indice della moda orientaleggiante
di sesso e violenza, la messa in
scena di Islamej, realizzata da Michel
Fokine a San Pietroburgo nel 1912
riprendendo il tema dalle Mille e una
notte, era coerente con le scelte
estetiche di Anisfel’d e Fokine. Le
danze della scena d’amore erano
particolarmente audaci, e i colori
sgargianti di Anisfel’d, che ricordano
quelli di Léon Bakst, accrescevano
la vivacità della trama, per quanto il
balletto durasse solo sette minuti.
(Nikolaj Benua; San Pietroburgo
1901-Milano 1988)
Davanti al Buddha. Iniziazione al
sacerdozio. Miracolo del sommo
sacerdote indiano.
Levitazione 22 aprile 1915
1915 (?)
tempera, grafite, gouache su cartone
San Pietroburgo, Museo Statale Russo
Nikolaj Kalmakov
(Nervi 1873-Chelles 1955)
Donna con serpenti
1909
olio su tela
San Pietroburgo, Museo Statale Russo
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Esponente del decadentismo di
San Pietroburgo, Kalmakov era
affascinato da tutto ciò che era erotico
e necrofilo, temi che enfatizzava nei
suoi dipinti, nei bozzetti di scena e nelle
illustrazioni, firmando inoltre le sue
opere con un monogramma a forma
di fallo stilizzato. Donna con serpenti
conferma il culto di Kalmakov per la
femme fatale orientale, prestandosi
sia come illustrazione delle Mille e una
notte, sia ispirazione per il costume
dell’artista levantina Ida Rubinstein.
(Belsy, Bessarabia 1879-Waterford
1973)
Schizzo per la scenografia del
balletto “Islamej” di Milij Balakirev
1911
acquerello, gouache, tempera, tinta di
bronzo, lacca su carta incollata su tela
San Pietroburgo, Museo Statale
Russo
Anonimo incisore, India,
Calcutta
Krishna e Gopi
1880-1890
litografia colorata su carta
Mosca, Galleria Statale Tret’jakov
La litografia proviene dalla raccolta
di Michail Larionov che, come altri
rappresentanti dell’Avanguardia
russa, era un collezionista di lubki,
cioè di stampe popolari. Nel 1913
Larionov organizzò una prima mostra
sul tema, che comprendeva anche
opere della vasta raccolta di Nicolaj
Vinogradov, seguita da una seconda
che includeva lubki russi, europei e
orientali.
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Aleksej KravCenko
(Pokrovskaja 1869-Mosca 1940)
Sera. India
1913-1914
tempera su cartone
Mosca, Galleria Statale Tret’jakov
Esperienza significativa nella vita
di Kravčenko fu la frequentazione,
insieme a Vatagin, dei centri
religiosi dell’India meridionale,
nel corso di una lunga crociera
finanziata dall’Accademia di Belle
Arti di Pietroburgo nel 1913-1914.
Quest’opera è molto simile a Tempio
sotto la luna, realizzato nello stesso
anno dall’amico Vatagin. Entrambi si
interessavano alla cultura indù, alla
teosofia e alla pratica yoga.
Vasilij Vatagin
(Mosca 1883-1969)
Boa
1911
pietra di Tarusa colorata e dipinta
Torello
anni venti del XX secolo
legno dipinto
Mosca, Galleria Statale Tret’jakov
Vatagin visse il viaggio in India
assieme a Kravčenko come
un’autentica iniziazione. La sua
attenzione fu attratta dal culto di Shiva
– di cui era nota l’antica funzione
di “padrone degli animali” – e delle
bestie sacre a lui collegate. L’artista
si sofferma su toro ed elefante, che
aveva sicuramente disegnato dal
vero. Il toro Nandin è l’animale su cui
Shiva viaggia, e che lo accompagna
con la musica nella sua danza
cosmica.
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Andrej Belyj
(Mosca 1880-1934)
Schema storiosofico. Cikis-Dziri,
Georgia
1927
acquerello, inchiostro, matita su carta
Mosca, Museo Statale A.S. Puškin,
Museo Andrej Belyj
Nel 1927 Belyj soggiornò a CikisDziri, in Georgia, sul Mar Nero. In
quell’ambiente “tropicale” lo scrittore
riconosceva la terra del Vello d’oro,
la regione dove nasceva il Mito. Il
disegno, con riferimenti all’Atlantide
e Lemuria, è collegato al suo trattato
in fieri dedicato alla formazione della
civiltà a partire dai suoi inizi remoti,
secondo l’interpretazione che vedeva
la fioritura della cultura russa come
apice del processo: una concezione
basata sulla visione antroposofica di
Rudolph Steiner.
Maestro Arufbek, Iran
Kalamkar. La caccia dello Scià
Is’mail
XIX secolo
decorazione a stampa e manuale su
tessuto di cotone
Mosca, Museo Statale di Arte Orientale
Questo grande telo decorato presenta
al centro una scena di caccia a cavallo
a leoni, cinghiali e altri animali selvatici.
La composizione è divisa in quattro
livelli che si intersecano, con il titolo
inserito vicino alla figura dello Scià,
cioè il cavaliere di dimensioni maggiori
che, armato di una sciabola, sta
tagliando la testa di un leone.
Le fasce decorative laterali includono
immagini stilizzate tradizionali, tra l’altro
di garofani.
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Il’ja Maškov
(Michajlovskoe 1881-Abramcevo
1944)
Ritratto di signora in poltrona
1913
olio su tela
Ekaterinburg, Museo di Belle Arti
Come Gončarova, Larionov e
Lentulov, Maškov fu membro del
gruppo “Fante di quadri” e prese
parte a tutte le esposizioni allestite
a Mosca tra il 1910 e il ’17. Maškov
fu affascinato dai colori vivaci e dalle
immagini ingenue dell’arte orientale
(inclinazione consolidata dalle lezioni
di Henri Matisse) rifacendosi in questo
caso a un kalamkar persiano.
Il’ja Maškov
(Michajlovskoe 1881-Abramcevo
1944)
Natura morta
1912-1913
olio su tela
Saratov, Museo Statale d’arte
Radiščev
Sergej Sudejkin
(San Pietroburgo 1882-Nyack, New
York 1946)
Tappeto orientale: decorazione
per danze orientali
1915
gouache
San Pietroburgo, Museo Statale
Russo
Sudejkin è ricordato soprattutto per
le sue gustose rievocazioni della
Russia dell’Ottocento, spesso inserite
nelle messe in scena di spettacoli sia
in Russia che in America. L’artista
applicò i suoi motivi esotici alle arti
minori come le illustrazioni di libri
o i modelli per ricami. I mori seduti
di questo disegno, destinato a un
tappeto, ricordano l’interesse che
Sudejkin coltivava per l’Oriente,
realizzando, tra l’altro, scene e
costumi per Salomé e per Le
Rossignol.
Maškov trasferì elementi dell’arte
tradizionale orientale su ritratti e
nature morte: mutuando in questo
dipinto le proporzioni e i caratteri di
un kalamkar, il piatto e la coppa di
frutta sono dotati di una forza fisica
ed emotiva pari a quelli dello sfondo
decorativo.
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23
L’ORIENTE ESTREMO
GIAPPONE, L’AMATO NEMICO
Per gli artisti post-impressionisti del gruppo Mondo
dell’arte (Mir iskusstva) quali Alexandre Benois e Ivan
Bilibin, come per i loro colleghi europei, le stampe
giapponesi rappresentarono una spinta al cambiamento
della concezione spaziale, della scelta cromatica, del
punto di vista, aprendo la strada allo Stile Moderno
prima, e come conseguenza, alla rivoluzione formale
dell’Avanguardia, poi. L’intensificarsi dell’interesse per
la cultura e il mondo nipponico, proprio nel momento in
cui si addensavano le nubi del tragico conflitto russogiapponese del 1904-1905, potrebbe spiegarsi con il
fascino che esercita sempre la cultura del nemico: un
rapporto di amore-odio fra due paesi belligeranti.
Vasilij VerešCagin
(Čerepovec 1842-Port Arthur 1904)
Gita in barca
1903
olio su tela
San Pietroburgo, Museo Statale
Russo
Vasilij Vereščagin nel 1903 e nel 1904
compì due viaggi in Giappone, paese
che divenne l’ultima tappa della vita
di questo artista realista affascinato
sia dall’esotismo orientale che dalle
avventure di guerra. Vereščagin morì
il 31 marzo 1904 sulla corazzata
Petropavlovsk, incappata nelle
mine del nemico nipponico, mentre
dipingeva il suo ultimo schizzo della
battaglia navale in corso.
KOkyo Harada
I nostri cacciatorpedinieri Hayatori
e Asagiri hanno affondato una nave
da guerra russa a Porth Arthur
nonostante il vento e una tempesta
di neve
KakO Morita
Marinai russi che combattono sulle
imbarcazioni dopo che due navi da
battaglia sono state affondate dalla
flotta giapponese a Port Incheon
Kiyochika Kobayashi
La battaglia di Motien Pass
24
25
KakO Morita
L’affondamento di una nave da
guerra russa nella grande battaglia
navale di Port Arthur
KyOsan
La feroce battaglia di Port Arthur
fra la flotta giapponese e il suo
nemico russo
1904-1905
xilografie colorate
San Pietroburgo, Biblioteca Nazionale
Russa
Le xilografie dedicate alla battaglia
di Port Arthur si componevano di tre
parti, secondo una forma molto diffusa
di nishiki-e, l’antica tecnica di stampa
policroma giapponese. La dimensione
orizzontale creata dalle tre sezioni
forniva l’ampiezza per riuscire a
raffigurare non solo le battaglie con
le navi coinvolte, ma anche le forze
naturali in tumulto. I larghi e bianchi
fiocchi di neve disegnati a mano sullo
sfondo di un cielo inghiottito dal nero
delle tenebre, sono un omaggio alla
tradizione del paesaggio poetico
giapponese, in cui spesso compaiono
la luna o la neve. La tragedia della
nave che affonda è accentuata
non solo dall’evocazione delle
drammatiche condizioni atmosferiche,
ma anche dall’immagine del potente
raggio di luce che, per gli uomini
del tempo, aveva una sua peculiare
valenza mistica. Nessuno aveva mai
visto un proiettore navale prima di
allora: fu infatti impiegato per la prima
volta a scopo bellico proprio durante
la guerra russo-giapponese.
26
Anonimo incisore russo
Alla guerra russo-giapponese
1904
cromolitografia
San Pietroburgo, Biblioteca Nazionale
Russa
La tecnica cromolitografica, che
consentiva ampie tirature, veniva
spesso usata per i lubki: quelli
legati alla guerra russo-giapponese
sono improntati a un forte carattere
propagandistico. La Russia è
raffigurata come figura allegorica
femminile che reca in mano un
ramo di alloro a simboleggiarne la
natura pacifica, mentre il Giappone
è rappresentato quale mostro alato
avvolto dalle fiamme, che guarda con
espressione diabolica le navi in mare.
27
Anonimo incisore russo
David Burljuk
Negli anni della guerra furono
pubblicate in Russia oltre trecento
stampe, un terzo delle quali era
dedicato alla terribile guerra che
vide affrontarsi Russia e Giappone
tra 1904 e 1905. Il linguaggio
formale è semplice, il messaggio
immediato, drammatico e facilmente
comprensibile.
Poeta, pittore, giornalista e impresario
teatrale del cubofuturismo, David
Burljuk fu un instancabile fautore del
nuovo in ambito artistico. Per fuggire
dai bolscevichi attraversò a piedi la
Siberia con la famiglia, giungendo in
Giappone il 1° ottobre 1920.
I due anni che vi trascorse lasciarono
un’impronta nella sua produzione
artistica, e Burljuk pubblicò testi
elogiativi, in prosa e versi, dedicati
a lingua, paesaggio e cerimonie
giapponesi.
Le navi Varjag e Korejc combattono
a Čemul’po
La guerra russo-giapponese.
La nave Retvizan respinge un
attacco giapponese
1904
cromolitografia
San Pietroburgo, Biblioteca Nazionale
Russa
28
(Semirotovščina 1882-Hampton Bays,
Long Island 1967)
Nei campi di riso
1921
olio su tela
San Pietroburgo, Museo Statale
Russo
29
L’ORIENTE ESTREMO
CHINOISERIE
La Russia condivise con i paesi europei la passione
per la chinoiserie già nel Settecento, durante il regno di
Caterina II, ma questo eclettismo, nelle sue espressioni
decorative e architettoniche, nasceva come adattamento
al gusto aristocratico occidentale. Un’eredità che Sergej
Djagilev fece rivivere, per il pubblico parigino, come
nuovo genere di intrattenimento visivo attraverso gli
esotici spettacoli dei Ballets Russes per i quali Alexandre
Benois creò i costumi cinesizzanti dell’opera di Igor’
Stravinsky Le Rossignol (1914). Come ricordava Benois:
«All’inizio pensai di conservare gli stili chinoiserie che
erano cosi popolari nel XVIII secolo. Ma come il lavoro
si sviluppava mi irritavo della loro ovvia assurdità e il mio
entusiasmo per quello che era autenticamente cinese
iniziò a riverberare nella mia concezione. Per i costumi, le
stampe popolari cinesi costituirono un materiale di valore
inestimabile».
Alexandre Benois
(Aleksandr Benua; San Pietroburgo
1870-Parigi 1960)
Schizzo di costume per la Marcia
cinese nell’opera di Igor Stravinsky
“Le Rossignol”
1914
acquerello, inchiostro di china, matita
su carta
San Pietroburgo, Museo Statale Russo
Quando Igor Stravinsky cominciò a
lavorare – insieme a Stepan Mitusov
per la stesura del libretto – alla fiaba
musicale Le Rossignol, ambientata
nell’antica Cina, Benois si appassionò
talmente al progetto da persuadere
Sergej Djaghilev a fargli disegnare
scene e costumi per la messa in scena
dei Ballets Russes. La prima ebbe
luogo il 26 maggio 1914 all’Opéra di
Parigi.
Nikolaj Kalmakov
(Nervi 1873-Chelles 1955)
Buddha e cinesina
1913
acquerello, gouache, tinta d’argento,
inchiostro di china, grafite su carta
San Pietroburgo, Museo Statale Russo
Dilettandosi con l’occulto, Kalmakov
trovò spesso ispirazione nel suo
personale concetto di Oriente, in
cui combinava motivi cinesi, indiani,
siamesi, egiziani, abissini e assiri.
Questa fanciulla cinese ricorda più
l’India, il Siam o Giava che la Cina: una
licenza artistica che caratterizzava gran
parte dell’arte simbolista russa. Per
Kalmakov, e anche per Anisfel’d, Bakst
e Sudejkin, la correttezza etnografica
passava infatti spesso in secondo
piano rispetto all’effetto estetico
cercato.
30
31
Alexandre Benois
Georgij Jakulov
I Ballets Russes di Djaghilev misero
in scena nel 1914 Le Rossignol di
Igor Stravinsky. Per le scene e i
costumi di Benois, in particolare quelli
della Marcia cinese del secondo
atto, i critici parlarono di “chinoiserie
fantastica”.
Jakulov, pittore e decoratore teatrale
armeno, sosteneva che il senso ottico
fosse diverso da un popolo all’altro,
e che, se l’Occidente era favorevole
alla prospettiva lineare, l’Oriente
preferiva la prospettiva rovesciata.
In quest’opera, con il suo spazio
verticale in cui le figure sembrano
muoversi verso l’alto piuttosto che in
profondità, l’artista sperimenta questa
visione orientale.
(Aleksandr Benua; San Pietroburgo
1870-Parigi 1960)
Schizzo di costume per la Marcia
cinese nell’opera di Igor Stravinsky
“Le Rossignol”
1914
acquerello, inchiostro di china, matita,
biacca su carta
San Pietroburgo, Museo Statale
Russo
(Tiflis 1884-Erevan 1928)
Corsa di cavalli
1906
carta su cartone, acquerello,
gouache, inchiostro
Mosca, Galleria Statale Tret’jakov
Anonimo, Cina, provincia
di Sichuan
Men-shen (Spirito difensore
delle porte)
fine del XIX-inizi del XX secolo
xilografia colorata, inchiostro di china
e biacca su carta colorata
Mosca, Galleria Statale Tret’jakov
Men-shen era la divinità cinese
(doppia) che stava di guardia alle
porte dell’Impero durante una grave
malattia dell’imperatore Tai Zang,
che regnò dal 620 al 649. Dopo
che l’imperatore guarì, la divinità
fu effigiata sulle doppie porte delle
abitazioni private, per proteggerne
gli abitanti dagli spiriti maligni. La
xilografia mostra solo la parte sinistra.
32
33
L’ORIENTE ESTREMO
CINA: L’IMPERO DEI SEGNI
La Russia condivise con i paesi europei la passione
per la chinoiserie già nel Settecento, durante il regno di
Caterina II, ma questo eclettismo, nelle sue espressioni
decorative e architettoniche, nasceva come adattamento
al gusto aristocratico occidentale. Un’eredità che Sergej
Djagilev fece rivivere, per il pubblico parigino, come
nuovo genere di intrattenimento visivo attraverso gli
esotici spettacoli dei Ballets Russes per i quali Alexandre
Benois creò i costumi cinesizzanti dell’opera di Igor’
Stravinsky Le Rossignol (1914). Come ricordava Benois:
«All’inizio pensai di conservare gli stili chinoiserie che
erano cosi popolari nel XVIII secolo. Ma come il lavoro
si sviluppava mi irritavo della loro ovvia assurdità e il mio
entusiasmo per quello che era autenticamente cinese
iniziò a riverberare nella mia concezione. Per i costumi, le
stampe popolari cinesi costituirono un materiale di valore
inestimabile».
34
Anonimo, Cina
Animali del ciclo dei dodici anni
Tianjin, Tipografia Huishun
inizi del XX secolo
xilografia colorata e dipinta a mano
Mosca, Museo Statale di Arte
Orientale
Dall’antichità sino al 1912 in Cina si
usava un calendario solare-lunare,
nel quale gli anni erano indicati con
l’accoppiamento di due simboli presi
in successione da due gruppi di
segni. Col tempo i simboli primari
vennero associati a un animale, e su
questa base si facevano pronostici
in occasione di eventi quali nascite e
matrimoni. Gli oroscopi assumevano
la forma di stampe popolari: l’artista
in questo caso si è concentrato sulla
vivacità dell’immagine.
Zhu Yunming
Rotolo di calligrafia. Frammento di
un poema dedicato all’autunno
XVI secolo
inchiostro di china su carta, seta
Mosca, Museo Statale di Arte
Orientale
L’artista, discendente da una ricca
famiglia, nonostante le infermità
(era miope e aveva una mano con
sei dita) dimostrò sin dall’infanzia
grande abilità. Inizialmente si volse
allo stile qaoshu (scrittura veloce),
per poi ricopiare i calligrafi più antichi
(stile kaishu). La lettura del testo di
questo rotolo, realizzato nello stile
qaoshu, risulta molto difficile a causa
dell’intepretazione estremamente
personalizzata che ne fa l’autore.
35
Natal’ja GonCarova
Petr MituriC
Natal’ja Gončarova cercò ispirazione
in molte culture nazionali, facendo
riferimento, per esempio, all’«arte
elevata» della Cina e alla «fonte
di tutte le arti, l’Oriente». L’artista
sosteneva che il vero crogiuolo del
cubismo e del futurismo fossero
la Siberia e l’Asia, non la Francia
e l’Italia. Gončarova considerava
Chinoiserie – sebbene il soggetto resti
enigmatico – talmente importante da
includerla nelle sue retrospettive di
Mosca e San Pietroburgo del 1913
e ’14.
Amico intimo di Velimir Chlebnikov
e marito della sorella di lui, Vera,
Miturič assecondò anche gli interessi
orientali del poeta, promuovendone
le idee e illustrandone la produzione.
Per Miturič, come per gli artisti
cinesi, il punto o la linea sulla
pagina bianca sono segni geroglifici
che «costruiscono», sosteneva,
«composizioni architettoniche spaziali
in contrasti bianchi e neri».
(Nagaevo 1881-Parigi 1962)
Chinoiserie
1912-1913
olio su tela
Mosca, Galleria Statale Tret’jakov
Lev Bruni
Vladimir Burljuk
Seguace di Vladimir Tatlin,
Bruni apparteneva alla seconda
generazione di quell’Avanguardia
pietroburghese che, grazie in
particolare a Matjušin e Vladimir
Markov, apprezzava molto l’arte
cinese.
Vladimir Burljuk dipinse Primavera in
un momento di interesse crescente
per le forme d’arte indigene di
Ucraina, Russia, Siberia e Cina.
La sua affiliazione al gruppo Der
Blaue Reiter di Monaco di Baviera,
con il suo richiamo alle eredità
“primitive” dell’Europa antica, delle
Americhe, della Polinesia, dell’Africa
e dell’Estremo Oriente, contribuì
a rafforzare questa tendenza. Tra
le eclettiche fonti di Primavera si
riconoscono la calligrafia cinese o la
scrittura araba.
(Malaja Višera 1894-Mosca 1948)
Negativi. Composizione con croce
1921
inchiostro di china su carta
San Pietroburgo, Museo Statale
Russo
36
(San Pietroburgo 1887-Mosca 1956)
Motivo grafico
Motivo grafico
Motivo grafico
1918-1920
inchiostro di china su carta
Mosca, Collezione Vera MituričChlebnikova
(Char’kov 1886-Salonicco 1917)
Primavera
1910
olio su tela
San Pietroburgo, Museo Statale
Russo
37
LE STAMPE ORIENTALI
E L’AVANGUARDIA
David Burljuk, Natal’ja Gončarova, Michail Larionov
collezionavano stampe popolari di ogni genere e
paese, ma una parte cospicua delle loro raccolte
era dedicata a quelle orientali. Al loro collega
Nikolaj Vinogradov si deve l’organizzazione della
“Prima mostra di lubki” a Mosca nel febbraio del
1913. Il mese seguente Larionov organizzò a sua
volta una “Mostra di modelli per icone e lubki” che
Gončarova descrisse nel catalogo come opere che
«non copiavano la natura o la valorizzavano, ma la
ricreavano».
Gli artisti dell’Avanguardia consideravano i motivi
delle stampe introdotti nei loro quadri non solo come
elemento di spaesamento narrativo, ma anche come
strumento per modellare lo spazio pittorico.
Le stampe cinesi presenti in Natura morta di
Gončarova, o in Ritratto di famiglia con stampa
cinese di Končalovskij, sono volutamente
sproporzionate e ribaltano lo sfondo sul primo piano,
creando una percezione inquietante di alternanza
fra vero e falso, in una fittizia imitazione dello spazio
figurativo cinese e giapponese.
38
Natal’ja GonCarova
(Nagaevo 1881-Parigi 1962)
Natura morta con stampa cinese
1908-1909
olio su tela
Mosca, Galleria Statale Tret’jakov
La stampa cinese raffigura l’immagine
di una xiang nü, fata della mitologia
cinese. Nel catalogo della mostra di
lubki di Larionov, del 1913, l’opera è
indicata come Donna con bambino.
«Le nostre aspirazioni sono rivolte
all‘Oriente e noi dirigiamo la nostra
attenzione verso l‘arte nazionale.
Noi protestiamo contro la servile
subordinazione all‘Occidente che ci
ha riportato indietro, volgarizzandole,
le nostre proprie forme artistiche e
quelle dell‘Oriente e che ha abbassato
tutto allo stesso livello» (1913).
Petr KonCalovskij
(Slavjanka 1876-Mosca 1956)
Ritratto di famiglia con stampa
cinese
1911
olio su tela
San Pietroburgo, Museo Statale
Russo
Esposto al “Fante di quadri” di San
Pietroburgo nel 1913, il dipinto replica
accorgimenti formali presenti in altre
opere di Končalovskij del periodo.
L’artista commentava: «Alla maniera
spagnola ci sono due colori dominanti:
il bianco e il nero. Per quanto forti
il rosso e il verde, giocano un ruolo
secondario. La stampa cinese sullo
sfondo serve come accompagnamento
a questi due toni di base. Guardando
con attenzione, si avvertono gli inizi del
costruttivismo».
39
Anonimo, Cina
Ragazzo con drago e carpa
inizi del XX secolo
Yangliuqing, tipografia Wanqinghe
xilografia colorata, aggiunte di colore
manuale
Mosca, Museo Statale di Arte
Orientale
Stampa popolare augurale con la
tradizionale iconografia di un ragazzo
con un pesce: in cinese le parole
“pesce” e “prosperità” si pronunciano
allo stesso modo, anche se scritte
diversamente. L’immagine è dunque
una sorta di rebus con l’augurio di
figli maschi e prosperità famigliare.
In Cina la carpa era associata al
dragone in un’antica espressione
che indicava chi fosse in grado di
superare gli esami per diventare
funzionario di Stato, come “carpa che
salta oltre la porta del dragone”.
Utagawa Kunisada
(Honjo 1786-1865)
Due donne giapponesi sotto
un albero fiorito
XIX secolo
xilografia colorata
San Pietroburgo, Museo Statale
Russo
Le xilografie di Hokusai e di Kunisada
godevano di straordinaria popolarità
fra gli artisti russi, specialmente fra
i membri del gruppo del “Mondo
dell’arte” come Léon Bakst e
Alexandre Benois. Grazie a questa
passione, San Pietroburgo conobbe
un significativo revival delle arti
grafiche, soprattutto nell’ambito
dell’illustrazione.
40
Anonimo, Cina
L’esorcista Chžan in groppa
a una tigre
fine del XIX-inizi del XX secolo
xilografia colorata impressa su carta
marrone chiaro
Mosca, Galleria Statale Tret’jakov
Quest’opera riprende la storia di Zhou
Chu e le tre Pestilenze. Zhou Chu
era un celebre militare della dinastia
Jin irascibile e impetuoso. Per
conquistare la fiducia dei compaesani
Zhou Chu uccise un drago e una
tigre, i due flagelli che minacciavano
il villaggio. Tuttavia si rese conto che,
per la comunità, era proprio lui il terzo
flagello, e così modificò il proprio
comportamento, assurgendo al ruolo
di generale. I timbri rossi sono forse i
nomi dei proprietari della stampa.
Anonimo, Cina
Eroe di un racconto cinese
xilografia colorata
San Pietroburgo, Museo Statale
Russo
L’espressione ardita di questo
guerriero accompagnato dalla sua
divinità protettrice, il fatto che sia
rivolto a destra, la barba, gli occhi
cerchiati di nero e le sopracciglia
spesse indicano che si tratta di Zhong
Kui, un potente esorcista e cacciatore
di fantasmi. Come nel caso di Menshen, l’immagine di Zhong Kui veniva
collocata sulle porte per scacciare gli
spiriti maligni.
41
Anonimo, Cina, Mjan’czu,
provincia di Sichuan
Natal’ja GonCarova
La scena di questo lubok cinese, che
faceva parte della collezione di Michel
Larionov, è tratta da una celebre
narrazione della tradizione orale, la
Leggenda del serpente bianco. In
essa il giovane studioso Xu Xian e lo
spirito di un serpente che ha assunto
sembianze femminili si innamorano.
Nella xilografia Xu Xian offre un
ombrello (stranamente di foggia
occidentale) all’amata Bai Suzhen,
colta dalla pioggia.
Gončarova dipinse presumibilmente
questa sua personale interpretazione
di una stampa cinese dopo
aver studiato l’ampia raccolta di
stampe russe e straniere di Nikolaj
Vinogradov, poi in parte esposta alla
“Prima mostra di lubki” a Mosca nel
1913
Coppia sotto l’ombrellino
fine del XIX-inizi del XX secolo
xilografia colorata su carta colorata
tinteggiata
Mosca, Galleria Statale Tret’jakov
Utagawa Kunisada
(Honjo 1786-1865)
Attore giapponese con la spada
xilografia colorata
San Pietroburgo, Museo Statale
Russo
L’Avanguardia moscovita seguì quella
di San Pietroburgo nella passione per
le xilografie giapponesi e le stampe
cinesi, anche se i suoi componenti
avevano maggior interesse per le
tecniche utilizzate che per le possibili
fonti tematiche.
42
(Nagaevo 1881-Parigi 1962)
Lubok cinese
inizio anni dieci del XX secolo
gouache, inchiostro di china, penna
su carta
Mosca, Galleria Statale Tret’jakov
Lev Bruni
(Malaja Višera 1894-Mosca 1948)
Tigre
1920
carboncino e acquerello su carta
San Pietroburgo, Museo Statale
Russo
Negli anni dieci Bruni produsse rilievi
e pitture a olio, concentrandosi anche
su opere grafiche figurative e astratte
che, con la loro grazia e leggerezza,
ricordano sovente la calligrafia cinese.
43
ORIENTE O OCCIDENTE?
LE STEPPE DELL’EURASIA
Nel corso della sua espansione verso Est la Russia
ha sempre avuto difficoltà a trattare Asia e Oriente
come un “totalmente altro”. Su questo cammino
molti erano gli Orienti incontrati: dapprima quello
musulmano (turco e poi caucasico), quindi quello
mongolo-buddhista, e ancora quello cristianocaucasico. La presenza al suo interno di minoranze
asiatiche, soprattutto turche e islamiche, la contiguità
con diverse realtà, dalla Turchia, alla Persia alla
Cina, hanno progressivamente portato alla luce
espressioni di un’autorappresentazione almeno
in parte “orientale”, culminata nella creazione del
concetto geografico-politico di Eurasia, che vedeva
la Russia come spazio continentale autonomo, dai
Carpazi al Pacifico: un’immensa pianura con al
centro la steppa, i cui popoli nomadi, eredi di Gengis
Khan, avevano apportato un significativo contributo
etnico e culturale alla Russia.
44
Pavel Filonov
(Mosca 1883-Leningrado 1941)
Oriente e Occidente
Occidente e Oriente
1912-1913
olio, tempera, gouache su carta
San Pietroburgo, Museo Statale
Russo
Intorno al 1912-1913 il dibattito su
Oriente e Occidente nell’Avanguardia
russa era divenuto particolarmente
attuale, culminando nel manifesto del
1914 Noi e l’Occidente di Jakulov,
Benedikt Livšic e Arthur Lourié.
Questa coppia di quadri gemelli di
Filonov, dal titolo rovesciato, allude
in maniera criptica all’alternativa, con
un’apparente inversione iconografica,
senza che l’artista ne abbia mai
fornito una spiegazione.
Aristarch Lentulov
(Voronež 1882-Mosca 1943)
Vecchio castello in Crimea, Alupka
1916
olio su tela
Saratov, Museo Statale d’arte
Radiščev
La Crimea, con le sue pittoresche
montagne e la ricca cultura tartara
dei suoi abitanti, era vista dai russi
come una propaggine dell’Oriente.
Lentulov – che amava utilizzare sia
i colori che il collage, spesso fogli
di carta stagnola d’oro e d’argento,
imitando la sontuosità di un tappeto –
è qui affascinato dal vivido contrasto
fra l’architettura del villaggio e la
grandiosità del paesaggio montano.
45
Aleksandr Volkov
(Skobelev 1886-Taškent 1957)
Dalla serie “Primitivo orientale”:
Conversazione sotto un ramo di
melograno
Conversazione in una tenda
Riunione
1918-1919
tempere su cartone
Mosca, Museo Statale di Arte
Orientale
Sebbene Volkov studiasse usi e
costumi dell’Uzbekistan e avesse
vissuto a Taškent, la sua iconografia
era estremamente semplificata,
oscillando fra la carovana nel deserto
e la sala da tè, una separazione
fra esterno e interno che, secondo
l’artista, rappresentava i due estremi
della vita uzbeka. Questi studi, che
formano un trittico, furono pensati
come decorazione murale nello
spirito dei pannelli simbolisti di Michail
Vrubel, che fu il principale maestro di
Volkov.
Ruvim Mazel’
(Vitebsk 1880-Mosca 1967)
Vecchia Ashkhabad
1930
olio su tela
Mosca, Museo Statale di Arte
Orientale
Ebreo di nascita, bielorusso per
residenza e turkmeno per simpatie,
Mazel’ elaborò uno stile sintetico
nelle sue evocazioni del deserto,
della steppa e delle tribù nomadi.
Se da un lato seguiva un approccio
etnografico, studiando i costumi e il
folklore dell’Asia centrale, Mazel’ era
però anche affascinato dalla luce del
deserto che si rifrange, e dall’aria
permeata da polvere di sabbia,
effetti che cercò di rendere nei suoi
paesaggi.
Pavel Kuznecov
(Saratov 1878-Mosca 1968)
Sortilegio
1912
tempera
San Pietroburgo, Museo Statale
Russo
Dopo un intenso impegno nell’ambito
del movimento simbolista, Kuznecov
– come Gauguin in Francia – avvertì
l’irrefrenabile impulso a fuggire dalla
civiltà urbana, cercando rifugio nelle
vastità dell’Oriente. A questo scopo
trascorse molto tempo viaggiando
nell’Asia centrale, soprattutto in
Kirghizia e in Uzbekistan, per ritrarre
la steppa, le sue popolazioni, i loro
usi, le tende, i rituali e la vita sociale.
46
47
Ruvim Mazel’
(Vitebsk 1880-Mosca 1967)
Nella jurta
1929
olio su tela
Mosca, Museo Statale Orientale
Mazel’ visse a lungo in Asia Centrale,
riuscendo a rappresentare il senso di
spaesamento di coloro che venivano
dal freddo clima russo. Gli spazi
delle steppe e dei deserti, il calore
insopportabile, la luce accecante
del sole, respingevano e attraevano
insieme i cittadini di Mosca e San
Pietroburgo. Le figure di Mazel’ si
muovono come in un sogno dentro
tempeste di sabbia, o sono in attesa
dinanzi alla porta di una jurta aperta
sull’infinito.
Isidor Frich-Char
(Kutajsi 1893-Mosca 1978
Poeta del deserto
1921-1923
legno, rame, terracotta, gesso e
ceramica colorata
Mosca, Galleria Statale Tret’jakov
Boris Korolev
(Mosca 1885-1963)
Salomé
1922
legno
San Pietroburgo, Museo Statale
Russo
Definito “cuboespressionista”, e
famoso per il primo monumento
rivoluzionario dell’anarchico Michail
Bakunin eseguito nel 1922, Korolev
arricchì con la sua esperienza
artistica la scultura post-rivoluzionaria.
La concezione della sua Salomé, che
rappresenta la genesi della danza,
si rifà al vasto repertorio russo di
interpretazioni poetiche, drammatiche
e ballettistiche della fiaba orientale,
non ultima la produzione di Ida
Rubinstein della Tragédie de Salomé
del 1912.
Sebbene l’identità del soggetto resti
sconosciuta, Poeta del deserto è una
evocazione lirica del deserto come
fonte di ispirazione. Memore dello
Stribog di Sergej Konenkov per ricca
mescolanza di materiali, distorsioni
volute e associazioni panteistiche,
Poeta del deserto si rifà anche ai
ricordi che Frich-Char conservava
degli spazi aperti degli anni trascorsi
nella nativa Georgia, a Samara (porta
delle steppe meridionali) e nel deserto
del Turkestan a est del mar Caspio.
48
49
Nikolaj Rerich
(San Pietroburgo 1874-Valle di Kullu
1947)
L’accampamento dei polovcy
1909
pastello, tempera, grafite, gouache su
cartone
San Pietroburgo, Museo Statale
Russo
In una delle prime scenografie
realizzate da Rerich per i Ballets
Russes di Djaghilev – le Danses
Polovtsiennes du Prince Igor,
messe in scena il 19 maggio 1909,
al Théâtre du Châtelet a Parigi, con
coreografia di Michel Fokine – l’artista
rappresenta un accampamento di
jurte: i lunghi bastoni ricordano sia i
vessilli dell’armata tartara che le aste
ornate di drappi che segnavano i
luoghi sacrificali nelle steppe dell’Asia
centrale, presenti in disegni e
fotografie dei viaggiatori dell’epoca.
Pavel Kuznecov
(Saratov 1878-Mosca 1968)
Pioggia nella steppa
1912
tempera, grafite, gouache su cartone
San Pietroburgo, Museo Statale
Russo
Anche nella resa della vita quotidiana
nella steppa kirghisa Kuznecov
conserva un forte senso del ritmo
pittorico, un movimento quasi musicale
che connota in modo inconfondibile la
sua opera. Questo forte senso plastico
è evidente nei suoi dipinti di studio,
in cui, come afferma Michail Alpatov:
«fiori, frutta, alberi, erbe, distanze,
case, persone e animali sono fusi in un
accordo notturno. Si possono sentire
gli squilli, i rintocchi dei colori quasi si
effondessero oltre i confini delle tele».
Aleksandr Nikolaev
(Voronež 1897-Taškent 1957)
Il fidanzato
1920
tempera su carta applicata su legno
Mosca, Museo Statale Orientale
Come Mazel’, Nikolaev scoprì la
vastità e il silenzio del deserto dopo
aver vissuto e lavorato nelle città
e aver prestato servizio militare
durante la Grande guerra. Con il
suo arrivo in Turkestan nel 1920,
e con la conseguente conversione
all’Islam (quando assunse il nome
di Usto Mumin o “Maestro fedele”),
Nikolaev dedicò le sue energie allo
studio delle arti, dell’artigianato e del
folklore dell’Asia centrale, specialmente
dell’Uzbekistan: tutti elementi che
divennero le componenti di base dei
suoi dipinti.
50
51
KAMENNYE BABY:
I GUARDIANI DELLO SPAZIO
Gli artisti dell’Avanguardia, come molti intellettuali
russi dell’inizio del Novecento, erano affascinati
dall’antica immagine delle cosiddette kamennye baby
(letteralmente: femmine di pietra), pesantemente
radicate nel suolo dell’Impero russo, presenza
pietrificata di culti arcaici e immortali. Si trattava
di sentinelle delle tombe a tumulo erroneamente
interpretate come femminili e considerate
incarnazione di una (presunta) fertilità. Di diverse
dimensioni, forme e collocazioni, le kamennye baby
si trovavano anche nelle collezioni private come nel
giardino della colonia artistica di Abramcevo e nella
tenuta di Černjanka in Ucraina, frequentata da molti
artisti dell’Avanguardia.
Nel suo saggio Cubismo, del 1912, rifiutando
l’Occidente, Gončarova affermava che le kamennye
baby erano una delle fonti primitive (assieme ai
giocattoli di legno venduti nelle fiere e ai lubki)
alle quali i “nuovi barbari” della sua generazione
avrebbero dovuto attingere, nella scoperta di nuove
forme plastiche alternative al cubismo.
52
Polovcy (cumani)
Kamennaja baba
X-XIII secolo
pietra
San Pietroburgo, Museo Etnografico
Russo
Le kamennye baby erano
distribuite dall’Asia sud occidentale
fino all’Europa sud orientale,
testimonianze della cultura
dei polovcy dei secoli IX-XIII.
Costituiscono il legame fra la
scultura delle steppe con quelle degli
antichi territori turchi. Scrive Velimir
Chlebnikov nel poema Kamennaja
baba, del 1919: «Pietra idolosa, alzati
e gioca / Col gioco dei giochi del
tuono... / Pietra, mettiti in marcia /
intorno alle stelle ricama una danza».
53
Natal’ja GonCarova
Natal’ja GonCarova
Con un’audace sintesi Natal’ja
Gončarova riesce a unire i temi che
la coinvolgono nel primo decennio
del secolo: le origini della religione
cristiana e le radici arcaiche della
cultura russa. L’artista è interessata
in particolare alle kamennye baby,
che in questo dipinto inserisce in un
contesto apocalittico.
La kamennaja baba sul fondo
apparteneva probabilmente alla
collezione dell’artista. Il motivo della
fertilità femminile, tradizionalmente
associata a queste figure primitive,
ricorre in varie opere di Natal’ja
Gončarova di questi anni, da Dio della
fecondità (1908-1909), a Kamennaja
baba. Ananassi entrambi alla
Galleria Tret’jakov, sino a Rotoli con
kamennaja baba (1910), al Museo
d’arte di Smolensk.
(Nagaevo 1881-Parigi 1962)
Statue di sale
1910 circa
olio su tela
Mosca, Galleria Statale Tret’jakov
54
(Nagaevo 1881-Parigi 1962)
Natura morta con scultura
1908
olio su tela
Mosca, Galleria Statale Tret’jakov
55
EFFIGI DI SAGGEZZA
GLI INTERPRETI DEL COSMO
Secondo tradizioni animistiche gli spiriti delle steppe
russe, delle foreste, delle montagne comunicano
con intermediari spirituali come sciamani, streghe
e stregoni che li riconoscono nelle nuvole e nelle
acque, negli alberi e nelle pietre. Questi spiriti
s’incarnano in fenomeni naturali, una presenza che
costituisce il comune denominatore del Lago degli
spiriti delle montagne di Čoros-Gurkin, e de Le Sacre
du Printemps di Igor Stravinsky del 1913. Accanto
all’albero e alla pietra sacra, il rito si sviluppa
con la regia dei “saggi anziani”, intermediari che
posseggono l’autentica sapienza. Rerich osservò
nel 1931: «Ci sono entità nel cosmo che conoscono
più di quanto noi conosciamo, ma pochi possono
comprendere il mirabile significato del pensiero
vivente nello spazio. Per questi individui il pensiero
dello spazio diventa la Voce del silenzio». “Profeta
nel deserto” a Pietroburgo, anche Filonov evoca
nella sua opera la Voce del silenzio della natura e del
cosmo.
56
Innokentij Suvorov
(Irkutsk 1898-Leningrado 1947)
Saggezza
1928
legno colorato, gesso, pittura
San Pietroburgo, Museo Statale
Russo
La scultura mostra il sincretismo
della cultura russa non solo fra
filosofie orientali e culti arcaici dello
sciamanesimo, ma anche fra “il
vecchio e il nuovo” di prima e dopo la
Rivoluzione. L’immagine del saggio
rimanda alle figure di un capotribù
indiano, e il tronco grezzo della base
ricorda il trono del Buddha ma, al
posto della sporgenza al sommo
del cranio dell’Illuminato, si trova un
lavoratore con una ruota dentata,
simbolo della Saggezza sovietica.
Grigorij Coros-Gurkin
(Ulala 1870-Siberia, campo di
prigionia 1937)
Lago degli spiriti delle montagne
1909
olio su tela
San Pietroburgo, Museo Statale
Russo
Le montagne altaiche, misteriose e
lontane, vennero celebrate dall’artista,
poeta ed etnografo Grigorij ČorosGurkin, che fu attratto dal gioco dalle
rifrazioni della luce e dell’acqua su
questo lago, ma che vi avvertiva la
presenza di spiriti indomiti. Il dipinto
è tra i pochi rimasti della produzione
dell’artista, fucilato con l’accusa di
spionaggio a favore del Giappone nel
1937 e riabilitato nel 1956.
57
Mitrofan Beringov
(Pojmi 1889-Mosca 1937)
Sonata nordica
1927
olio su tela
Mosca, Galleria Statale Tret’jakov
Per descrivere le regioni artiche
Beringov usa luce sfolgorante,
strutture orizzontali, spazi panoramici
ed effetti fotografici. Grazie alla
posizione centrale della sorgente
luminosa, a gradazioni di luce e a
una straordinaria trasparenza, Sonata
nordica evoca l’isolamento e la
vastità delle regioni polari illuminate
dall’aurora boreale. Come i luministi
americani del XIX secolo, l’artista
riconosce segni divini nell’eterna
bellezza dei cieli del Nord.
Pavel Filonov
(Mosca 1883-Leningrado 1941)
Formula del periodo 1904-luglio
1922. Smottamento universale nella
fioritura del mondo attraverso la
Rivoluzione russa (già Cosmo)
1920-1922
olio su tela
San Pietroburgo, Museo Statale
Russo
58
Filonov si sente parte di un
Universo cosmico, che rappresenta,
contrariamente a Rerich, in dipinti
astratti. Per Filonov le opere
individuali, collegate in una catena
infinita, sono formule per «reazioni
e irradiazioni, decomposizione,
connessioni dinamiche» che
sollecitano un’interazione organica e
inorganica. Questa unità rappresenta
per lui il Cosmo, e lo spinge a vedere
la morte come anticipazione della
vita, e la decomposizione come il
passaggio a una nuova “fioritura”.
Pavel Filonov
(Mosca 1883-Leningrado 1941)
Quadro bianco
1919 (?)
olio su tela
San Pietroburgo, Museo Statale
Russo
Il bianco del titolo, uno dei rarissimi
dati dall’autore alle proprie opere,
sembra alludere, come in Malevič, al
Vuoto, all’Assenza cosmica, nel quale
tuttavia pulsano le cellule primordiali
della vita.
Nikolaj Rerich
(San Pietroburgo 1874-Valle
di Kullu 1947)
Malaugurio
1901
olio su tela
San Pietroburgo, Museo Statale
Russo
Il dipinto di Rerich esprime l’umore
apocalittico della Russia fin de siècle,
e la riscoperta di miti e leggende.
La disillusione nei confronti della
civiltà moderna e la convinzione che
i primitivi, in simbiosi con la natura
e il cosmo, avessero posseduto la
“cognizione”, più che la “conoscenza”,
spinse gli artisti russi a rievocare
il passato primigenio. Questo
paesaggio, con gli uccelli da preda in
agguato, sembra presagire la corsa
del genere umano verso la catastrofe.
59
Nikolaj Rerich
Konstantin Korovin
Rerich, etnografo con conoscenze
storiche e archeologiche, crea
composizioni simboliche in cui ombre
sinistre, idoli di pietra e di legno
rinviano a un mondo antico. Il grande
sacrificio ed Esorcismo terrestre,
che l’artista adattò alla produzione
parigina de Le Sacre du Printemps
del 1913, alludono a rituali sciamanici
e pagani. Gli anziani vestiti di pelli
rappresentano la credenza primitiva
dell’animale come antenato dell’uomo
che offre un sacrificio al Dio Sole.
Korovin nel 1898 compì un viaggio
nella regione artica per raccogliere
materiali destinati al progetto
architettonico e alla decorazione della
Sezione dell’artigianato nelle terre
di confine per il Padiglione russo
all’“Exposition Universelle” di Parigi
del 1900. Korovin creò un fregio di
trentun pannelli che celebrava la
ricchezza non solo del Nord russo
e della Siberia, ma anche dell’Asia
centrale. I due pannelli qui presentati
costituiscono un frammento di quella
grandiosa istallazione.
Nikolaj Rerich
Konstantin Korovin
(San Pietroburgo 1874-Valle
di Kullu 1947)
Il grande sacrificio
1910
tempera su cartone
Saratov, Museo Statale d’arte
Radiščev
(San Pietroburgo 1874-Valle
di Kullu 1947)
Esorcismo terrestre
1907
tempera, grafite, gouache su cartone
San Pietroburgo, Museo Statale
Russo
Rerich ha realizzato per le Sacre
du Printemps sei scenografie che
illustrano la fede vitalistica e pagana,
l’interconnessione di vita e morte, e la
concezione che l’esistenza è ciclica
e infinita, nutrita costantemente dalla
Madre Terra. Solo uomini particolari
però, sono in grado di comunicare
con la Natura.
60
(Mosca 1861-Parigi 1939)
Resti della sosta dei samoiedi
1899
tempera su tela
San Pietroburgo, Museo Statale
Russo
(Mosca 1861-Parigi 1939
La carovana dei samoiedi
1898
olio su tela
San Pietroburgo, Museo Statale
Russo
All’“Exposition Universelle” parigina
i pannelli erano presentati in un
contesto di vita quotidiana: l’artista
allestì infatti il padiglione non solo
con pelli di animali appese alle pareti,
come nelle abitazioni dei popoli del
Nord, ma anche con pesci vivi, per
completare l’impressione dello spazio
espositivo con l’odore dell’Oceano
e delle sue rive. Il suo sforzo venne
ricompensato dal governo francese
con due medaglie d’oro e con la
Legion d’Onore.
61
Chanty (samoiedi)
Corna di cervo (elementi di un rituale
sciamanico) da un mol’biše
(luogo del rituale)
San Pietroburgo, Museo Etnografico
Russo
Dopo una caccia fortunata e in
ringraziamento per la buona salute
del branco degli animali domestici,
i chanty del Nord appendevano
delle corna agli alberi prossimi ai
luoghi sacri del rituale, come forma
di sacrificio agli dei del mondo
superiore.
Nikolaj Rerich
(San Pietroburgo 1874-Valle
di Kullu 1947)
Idoli
1901
gouache su cartone
San Pietroburgo, Museo Statale
Russo
In questo dipinto il recinto sacro del
kurgan, che racchiude gli idoli, è
costituito da bastoni su cui sono infitti
crani di animali. Fra le popolazioni
siberiane all’uccisione dell’orso
seguiva una festa, alla fine della
quale la testa dell’animale veniva
infilata, in segno propiziatorio, su pali
appuntiti di giovane pino. Rituali di
lontana origine indoeuropea legati
alla caccia all’orso, sopravvissero
nel mondo slavo sino al XIX secolo,
estendendosi fino alla Bielorussia.
Nivchi
Teschio di orso su un cucchiaio
rituale per la celebrazione della
festa
fine del XIX secolo
ossa d’orso bruno, legno, perline
San Pietroburgo, Museo Etnografico
Russo
I nivchi ritenevano l’orso un proprio
antenato. Durante la “festa dell’orso”,
una tra le celebrazioni sciamaniche
più solenni, aveva luogo l’uccisione
rituale dell’animale, il cui cranio
veniva posto su un cucchiaio che ne
ripeteva l’immagine, decorato con
trucioli ritenuti magici (inau).
62
63
GESTI E RITUALI
IMMAGINI TAUMATURGICHE
L’assimilazione di culture orientali molto antiche
nel cuore dell’Impero russo contemplava anche la
loro rielaborazione di rituali e gesti più antichi. La
danza estatica col tamburo prima della caccia era un
elemento essenziale nel rituale di ostjaki e samoedi,
che al termine raccoglievano i teschi degli animali
uccisi come oggetto di venerazione. Etnografi ed
esploratori pubblicarono materiali visivi su rituali
e oggetti utilizzati, che stimolarono la curiosità
degli artisti di inizio Novecento per il primitivo e
l’Oriente. Nel rituale estatico essi videro, con una
consapevolezza pre-New Age, una variante delle
pratiche orientali per il raggiungimento di stati alterati
di coscienza.
Nei disegni sciamanici lo spazio è ripartito in
sezioni che corrispondono ai tre mondi del cosmo
sciamanico. Anche nel ciclo delle stagioni di Larionov
è presente un tripartizione dello spazio, benché usata
ironicamente. Affinità formali si possono riscontrare
anche nella semplificazione e nelle posture ieratiche
delle figure e nella scrittura quasi geroglifica.
64
Grigorij Coros-Gurkin
(Ulala 1870-Siberia, campo di
prigionia 1937)
Lo sciamano Bajčijak
1907
olio su tela
San Pietroburgo, Museo Etnografico
Russo
Čoros-Gurkin, dopo aver frequentato
l’Accademia di San Pietroburgo, era
ritornato alla ricerca delle proprie
radici etniche e culturali attraverso
la frequentazione dello sciamano
Bajčijak – ritenuto in grado di
rivolgersi agli spiriti del mondo
superiore – e l’amicizia dell’etnografo
Andrej Anochin. Il dipinto, rimasto
lungamente sepolto nei fondi del
Museo Etnografico, è presentato per la
prima volta dopo il restauro eseguito in
occasione di questa mostra.
Chakasy, regione dello Enisej
Tamburo sciamanico
fine del XIX-inizi del XX secolo
legno, pelle di renna, rame, tessuto,
tinture
San Pietroburgo, Museo Etnografico
Russo
Sul tamburo è rappresentato il
modello dell’Universo con una striscia
di triangoli che raffigurano i monti
che separano il mondo superiore
da quello medio con i suoi abitanti.
In alto appaiono i simboli solari e
l’albero dal quale è stato preso il
legno per il tamburo, mentre in basso
compare l’animale la cui pelle è stata
utilizzata per la membrana. Il tamburo
era concepito dallo sciamano come
veicolo per muoversi fra i diversi
mondi dell’Universo durante il rituale
del kamlanie.
65
Wassily Kandinsky
Wassily Kandinsky
Kandinsky scelse talvolta l’ovale
per delimitare il perimetro delle
sue immagini interiori, utilizzando
una forma simbolica che è anche
quella del tamburo sciamanico che
rappresenta l’intero Cosmo. Come
afferma Kandinsky, «l’universo è
una sorta di laboratorio temporaneo
per la ricerca delle leggi dello spirito
umano». Questo dipinto attesta che
il contatto con le culture orientali
e sciamaniche fu fondamentale
per la costruzione delle concezioni
cosmogoniche dell’Avanguardia.
La forma ovale circoscrive uno
spazio, ma al suo interno proseguono
le invenzioni astratte, sebbene
compaiano anche riferimenti alla
realtà. Scrive Kandinsky: «La
creazione è libera e tale deve restare;
essa non deve cioè sottostare
ad alcuna pressione, con l’unica
eccezione della pressione esercitata
dalla “voce interiore”. Perciò io non
mi spavento quando fra le mie forme
se ne introduce furtivamente una che
ricorda una “forma naturale”. La lascio
stare tranquilla e non la cancello».
Wassily Kandinsky
Kazimir MaleviC
(Mosca 1866-Neuilly-sur-Seine 1944)
Composizione n. 217
“Ovale grigio”
1917
olio su tela
Ekaterinburg, Museo di Belle Arti
(Mosca 1866-Neuilly-sur-Seine 1944)
Ovale bianco
1919
olio su tela
Mosca, Galleria Statale Tret’jakov
Il tema dell’ovale in diversi colori è
caratteristico della produzione di
Kandinsky di questi anni (Ovale rosso,
del 1920 oggi al Museo Guggenheim
di New York e un secondo Ovale
bianco, del 1921 in una collezione
privata di Ginevra). Il quadro era
conosciuto anche con il titolo di Bordo
nero. Il dipinto, realizzato nel gennaio
del 1919, fu venduto dall’artista
stesso al Museo di cultura pittorica,
dal quale dopo la chiusura, passò alla
Galleria Tret’jakov.
66
(Mosca 1866-Neuilly-sur-Seine 1944)
Due ovali
1919
olio su tela
San Pietroburgo, Museo Statale
Russo
(pressi di Kiev 1879-Leningrado 1935)
Supremus n. 58
1915-1916
olio su tela
San Pietroburgo, Museo Statale
Russo
Esempio fondamentale del sistema
astratto di Malevič, Supremus n.
58 funziona con una sintassi di
meccanismi convenzionali: su uno
sfondo bianco glaciale (per Malevič
il bianco rappresentava l’infinito),
la composizione di rettangoli
intersecanti ed energie in movimento
sovrapposta alla “goccia” lilla produce
l’impressione della combustione e
della velocità, forse perfino di una
meteora che si disintegra all’ingresso
nell’atmosfera terrestre.
67
Michail Larionov
Nanai, Siberia orientale
Nei quattro dipinti di Larionov che
descrivono le stagioni, il personaggio
centrale è una Venere primitiva che
si adatta ai diversi momenti. L’artista
aggiunge alla sua Venere classica
riferimenti formali alla fanciulla di
pietra, alla satira del lubok e ai disegni
dei bambini. Immediate anche le
associazioni con i disegni usati dagli
sciamani con funzioni terapeutiche.
Il disegno rappresenta il mito della
creazione del mondo al tempo “dei
tre soli”. Nella striscia alta il mondo
superiore con due draghi, tre alberi
solari e gli abitanti del cielo; al centro
nel mondo intermedio figure della
stirpe degli antenati e due tigri, e
nella parte inferiore due serpenti e
gli spiriti adiutori dello sciamano. Gli
sciamani nanai usavano nella loro
pratica terapeutica l’interpretazione
dei miti della creazione del mondo e
dell’uomo.
Michail Larionov
Michail Larionov
Larionov trasferisce i geroglifici del
tamburo dello sciamano negli idoli
infantili di Stagioni dell’anno e di
Autunno giallo e felice. Le didascalie,
quasi da fumetto, identificano il
sentimento: l’inverno è «freddo
nevoso ventoso avvolto nella
bufera nella morsa del ghiaccio»; la
primavera è «chiara bella con colori
squillanti nuvole bianche».
Dettaglio ingrandito della Venere di
Estate dal ciclo Le stagioni, Autunno
giallo e felice è un’ulteriore riflessione
dell’interesse di Larionov per l’arcaico
e il pagano, comprese le figure sui
tamburi degli sciamani e forse i
dipinti rupestri. Allo stesso tempo
Larionov torna a una percezione del
mondo deliberatamente infantile,
distorce il volto e i capelli e scrive in
russo volutamente scorretto, quasi
a duplicare la visione del mondo dei
“primitivi”.
(Tiraspol’ 1881-Fontenay-aux-Roses
1964)
Dal ciclo “Le stagioni”:
Primavera (Nuovo primitivo)
1912
olio su tela
Mosca, Galleria Statale Tret’jakov
(Tiraspol’ 1881-Fontenay-aux-Roses
1964)
Dal ciclo “Le stagioni”:
Inverno (Nuovo primitivo)
1912
olio su tela
Mosca, Galleria Statale Tret’jakov
68
Disegno sciamanico
tessuto, tinture
San Pietroburgo, Museo Etnografico
Russo
(Tiraspol’ 1881-Fontenay-aux-Roses
1964)
Autunno giallo e felice
1912
olio su tela
San Pietroburgo, Museo Statale
Russo
69
David Jakerson
Koriaki, KamCatka
Maschere segue un lungo ciclo di
esperimenti nelle forme astratte,
influenzato dal suprematismo di
Malevič, e rappresenta una nuova
fase della biografia di Jakerson.
Interessato al primitivo e all’Oriente,
l’artista conserva la consistenza
ruvida del legno, riducendo il
ceppo alla funzione di effigie e
impregnandolo di ulteriori sfumature
pagane. In questo Jakerson sembra
seguire, da un lato, i precedenti degli
idoli siberiani, e dall’altro di Sergej
Konenkov.
Questo tipo di maschere era
indossato dai koriaki nelle feste
autunnali di ringraziamento per il
successo nella caccia agli animali
marini. I portatori delle maschere
giravano intorno a tutte le abitazioni e
dopo la festa le abbandonavano sul
lato occidentale del villaggio.
(Vitebsk 1896-Mosca 1947)
Maschere
1930 circa
legno
Mosca, Galleria Statale Tret’jakov
Alisa Poret
(San Pietroburgo 1902-Mosca 1984)
Schizzo per la sovracoperta del
“Kalevala”
1933 circa
acquerello su carta
San Pietroburgo, Museo Statale
Russo
Nel 1933 Pavel Filonov curò le
illustrazioni, realizzate da un gruppo
di allievi dalla sua Scuola (fondata
nel 1925), per una nuova edizione
dell’epos finnico del Kalevala per la
prestigiosa casa editrice Accademia.
Il contenuto “sciamanico” era noto
ad Alisa Poret, che creò l’immagine
della sovracoperta, dal momento che
aveva illustrato nel 1930 un librettino
“antireligioso” per l’infanzia, con una
serie di idoli adiutori sciamanici.
70
Maschera rituale
inizio del XX secolo
legno
San Pietroburgo, Museo Etnografico
Russo
Kazimir MaleviC
(pressi di Kiev 1879-Leningrado 1935)
Testa
1928-1929
olio su tela
San Pietroburgo, Museo Statale
Russo
Scrive Malevič nel 1916: «L’arte del
selvaggio e i suoi principi. Il selvaggio
fu il primo a stabilire il principio del
naturalismo; disegnando un punto
e cinque piccoli bastoncini, tentò di
trasmettere la sua propria immagine».
71
LE PRESENZE
DELLA FORESTA
IDOLI LIGNEI
IDOLI LUNATICI
L’artista e critico Vladimir Markov (1877-1914)
membro dell’Unione della gioventù di San
Pietroburgo e collega di Filonov, Malevič, Matjušin
e Ol’ga Rozanova, fu il primo storico dell’arte in
Europa a occuparsi di arte negra e oceanica. I
manufatti delle popolazioni sciamaniche del Nord
della Russia da lui fotografati nei musei etnografici
di Pietroburgo furono una delle fonti primarie per gli
artisti contemporanei.
Il contesto di questi idoli, ignorato da Markov, era
rispettato invece dagli etnografi che, nel corso
delle loro spedizioni avevano raccolto gli oggetti,
fotografandoli nei luoghi e nelle situazioni del
reperimento, in molti casi la foresta. Anche artisti
quali Matjušin o l’anonimo cinese autore del
Vecchietto danzante, incontrano nella foresta spiriti
e folletti, come Stribog (Dio dei venti) di Konenkov
e Lešak (Il Boscoso) del poeta Velimir Chlebnikov,
raffigurato da sua sorella Vera, oppure ne divinano le
forme nella corteccia degli alberi, visti come creature
viventi, o nelle sagome inusuali di tronchi e radici.
Nelle fotografie degli etnografi dell’inizio del XX
secolo, come Dmitrij Klemenc (1848-1914) o
Vladimir Jochel’son (1855-1937) a differenza delle
fotografie di Markov interessato soltanto agli aspetti
formali degli oggetti, si nota che gli idoli o gli oggetti
raccolti per essere esposti in un museo, erano stati
riuniti originariamente dallo sciamano in gruppi o
formazioni rituali in punti strategici della taiga. Questa
disposizione produceva associazioni psicologiche e
spirituali che gli artisti più sensibili seppero ascoltare
e comunicare. I piccoli idoli, ciascuno dei quali
aveva una funzione ben precisa, spesso terapeutica,
inclusa la cura del mal di testa o della follia, venivano
così a dialogare anche con l’inquietudine esistenziale
degli artisti. Autori e poeti dell’Avanguardia ne
ascoltavano l’incomprensibile linguaggio, cercando di
assimilarlo in una nuova espressione artistica.
72
73
Vera Chlebnikova
(Maloderbetovskij 1891-Mosca 1941)
Venere e lo sciamano
illustrazione del poemetto omonimo
di Velimir Chlebnikov
1920 circa
matita su carta
Mosca, Collezione Vera MituričChlebnikova
Velimir Chlebnikov – poliedrica figura
di poeta, matematico, appassionato
di filosofia, fisica, esoterismo e non
solo, morto nel 1922 – nel poemetto
Venere e lo sciamano presenta
un simbolico confronto: Venere è
emblema dell’emisfero occidentale,
lo sciamano di quello orientale.
L’illustrazione, realizzata dalla sorella
Vera, rimanda alla vita delle steppe
con l’interno di una jurta, dove il
vecchio mogol fuma serenamente la
pipa rifiutando gli inviti pressanti della
fanciulla.
Michail Matjušin
(Nižnij-Novgorod 1861-Leningrado
1934)
Venere
1920
legno
San Pietroburgo, Museo Statale
Russo
Questa scultura-radice rimanda al
poemetto di Chlebnikov Venere e
lo sciamano. Una prima scultura
(perduta) dal titolo Uomo primitivo
venne esposta a Parigi nel 1913.
Matjušin commentava: «Io mi sforzai
di rappresentare tutta la cruda
primitività, la pesante irreversibilità del
primo essere umano, e per questo la
chiamai Venere».
74
UlCy (manguny), Siberia
orientale
Spirito padrone delle montagne
e del bosco
fine del XIX-inizi del XX secolo
legno
San Pietroburgo, Museo Etnografico
Russo
La scultura rappresenta lo spirito
Kalgama in forma antropomorfa senza
braccia: gli sciamani lo usavano
durante il kamlanie, l’ingresso in
un’altra dimensione, spesso a
scopo terapeutico. I Kalgama erano
considerati antenati e protettori
della famiglia. Questa immagine
era associata ai popoli dei boschi
che si confrontavano ostilmente o
amichevolmente a seconda delle
diverse famiglie. Talvolta Kalgama
“rapiva” i bambini alle donne e li
“nutriva” con succo d’acero.
Michail Matjušin
(Nižnij-Novgorod 1861-Leningrado
1934)
Uomo che corre
1915-1916
radice di legno
San Pietroburgo, Museo Statale
Russo
La scuola di Michail Matjušin, oggi
definita “Arte organica”, aveva a
fondamento la ricerca di una nuova
percezione della natura attraverso un
“terzo occhio” di reminiscenza orientale
e un nuovo “ascolto” delle sue voci.
Cogliere forme inusuali, inaspettate,
nelle pietre, nelle radici, nei rami
morti degli alberi, era parte di questa
ricerca, come testimoniano le fotografie
realizzate nella natura dall’artista
insieme a sua moglie, la poetessa
Elena Guro.
75
Michail Matjušin
(Nižnij-Novgorod 1861-Leningrado
1934)
Donna che danza
1915-1916
radice di legno
San Pietroburgo, Museo Statale
Russo
Sculture da radici furono esposte
da Matjušin al Salon d’Automne a
Parigi del 1913 e all’ultima mostra
dell’Unione della gioventù del 1914.
Scrive Matjušin: «Io penso che la
forza del movimento delle radici e dei
ramoscelli secchi degli alberi si trova
nel fatto che la superficie del volume,
che esprime il movimento, coincide
perfettamente con la struttura
stessa del materiale, interamente
organizzata in questo movimento».
Koriaki, KamCatka
Spirito protettore della famiglia
inizio del XX secolo
legno, pelle, perline
San Pietroburgo, Museo Etnografico
Russo
L’immagine è una figura antropomorfa
intagliata nel ramo di un albero.
Figure di questo tipo erano ricavate
da rami di forma insolita che si
riteneva portassero fortuna nei
momenti difficili. Durante il rituale i
cacciatori di cervi li “nutrivano” con
il midollo spinale e il sangue dei
cervi sacrificati, mentre i koriaki che
vivevano sulla costa con il sangue e il
grasso degli animali marini.
76
Nivchi, Siberia orientale,
isola di Sachalin
Spirito padrone della jurta
legno
San Pietroburgo, Museo Etnografico
Russo
Figura umana intagliata da un
albero e “vestita” con un pezzo
di tela. I nivchi ritenevano che il
“volto” del padrone dell’abitazione
rappresentasse l’antenato reale
della loro stirpe. Lo spirito aiutava lo
sciamano durante il kamlanie e per
riconoscenza veniva nutrito con la
kaša, una pappa di cereali, spesso di
grano saraceno.
Kazimir MaleviC
(pressi di Kiev 1879-Leningrado 1935)
Donna che prega
1910-1911
matita su carta
San Pietroburgo, Museo Statale
Russo
Malevič da un lato si affidava al
mondo rurale per trarne ispirazione,
dall’altro usava il tema come semplice
pretesto per esplorare i valori
del colore e della forma. L’artista
identificava il contadino come spirito
libero, vicino agli abitanti – reali o
immaginari – delle foreste, steppe
e pianure. Forse questo legame
spirituale spiega la somiglianza del
ritratto femminile con l’idolo ligneo
sciamanico intagliato nel tronco di un
albero.
77
Dmitrij Caplin
(Malyj Malik 1890-Mosca 1967)
Pesce
1934
pietra
Mosca, Galleria Statale Tret’jakov
Caplin era affascinato dalla
consistenza naturale e dalla
pesantezza della pietra, e impiegò
questi elementi per enfatizzare la
semplicità e l’immediatezza dei suoi
ritratti di bestie, uccelli e pesci. Con
la loro intenzionale ruvidezza e con
il loro schematismo, molte delle sue
sculture, tra cui il Pesce, richiamano
il mondo degli idoli e degli amuleti
sciamanici.
Evenki, Siberia orientale
Spirito adiutore dello sciamano.
Pesce
fine del XIX-inizio del XX secolo
legno di larice
San Pietroburgo, Museo Etnografico
Russo
Durante il kamlanie l’idolo, ricavato
da un ramo, era posto alla sinistra
(l’Occidente), di fronte all’ingresso
della tenda dello sciamano che
simboleggiava il mondo intermedio
degli uomini. Il luccio e la bottatrice
erano simboli degli spiriti protettori per
l’ingresso del mondo inferiore
78
Pavel Filonov
(Mosca 1883-Leningrado 1941)
Senza titolo
1923
olio su tela
San Pietroburgo, Museo Statale
Russo
Scrive Filonov: «Osservando il
tronco di un albero [è possibile]
comprendere come le terminazioni
delle radici assorbono e trasportano
la linfa del terreno, come questa linfa
si diffonde nelle cellule legnose verso
l’alto, come queste si distribuiscono
reagendo alla luce e al calore, e si
trasformano nella struttura cellulare
del tronco e dei rami, nelle foglie
verdi, nei fiori bianchi e rossi, e nella
rozza corteccia del legno» (19281929).
Chanty
Spirito protettore della caccia
e della pesca
legno di betulla
San Pietroburgo, Museo Etnografico
Russo
Le immagini incise nella corteccia
della betulla, considerato albero
puro e sacro dai popoli della Siberia,
venivano poste sul luogo dell’evento
rituale. Erano “nutrite” con del pesce
e, dopo una caccia fortunata, la bocca
veniva sporcata col sangue degli
animali uccisi. Gli spiriti che avevano
portato fortuna erano lasciati sul posto
per il culto della tribù.
79
Vera Chlebnikova
(Maloderbetovskij 1891-Mosca 1941)
Uomo-tiglio
illustrazione della novella Snežimočka
(Piccolo fiocco di neve) di Velimir
Chlebnikov
1920 circa
matita, inchiostro di china, acquarello
nero, biacca su carta
Mosca, Collezione Vera MituričChlebnikova
L’illustrazione della sorella di
Chlebnikov, nonché moglie dell’artista
Miturič, grande amico del poeta,
rivela quella sensibilità animistica per
la vita delle piante che si ritrova nei
volti sciamanici incisi nella corteccia
degli alberi. La stessa attenzione
per l’onnipresente vitalità di alberi,
pietre e animali contraddistingue
la ricerca della scuola “organica”
dell’Avanguardia di San Pietroburgo,
alla quale Chlebnikov era vicino.
Michail Matjušin
(Nižnij-Novgorod 1861-Leningrado
1934)
Scultura da una radice
inizio degli anni venti del XX secolo
legno
Mosca, Galleria Statale Tret’jakov
Il rispetto per la forma originaria della
radice – simile a quello dell’artista
cinese che ha realizzato il Vecchietto
danzante – rispetta la forma interiore
della natura e del Cosmo al quale
l’uomo non può attingere con
strumenti razionali.
80
Anonimo, Cina
Vecchietto danzante
XIX secolo
radice di legno intagliata e lucidata
Mosca, Museo Statale di Arte
Orientale
L’autore utilizza la forma naturale
di una radice conservandone la
superficie irregolare. Il rispetto cinese
per la vecchiaia è alla base di questo
popolare soggetto iconografico. Il
vecchio felice rappresenta l’idea
taoista della ricerca di lunga
vita attraverso un processo di
perfezionamento interiore. Il vecchio
è rappresentato felice come un
fanciullo, e per associazione viene
collegato al leggendario Laozi
fondatore del Taoismo, il cui nome
significa il “vecchio-bambino”.
Pavel Filonov
(Mosca 1883-Leningrado 1941)
Buoi (Scena della vita dei selvaggi)
1918
olio su tela
San Pietroburgo, Museo Statale
Russo
Dal 1903 al 1908, anni cruciali per
la sua formazione, Filonov frequentò
lo studio di Lev Dmtriev-Kavkavskij,
un artista-etnografo che lavorava
come illustratore per “L’Illustrazione
universale”, rivista di divulgazione dei
costumi delle popolazioni dell’Impero
russo. Alcuni oggetti sciamanici
possono facilmente essere identificati
soprattutto nella produzione giovanile
di Filonov: ad esempio in questo
dipinto si riconosce lo spirito adiutore
della Tigre.
81
OroCi
Pavel Filonov
Intagliato in forma di tigre, l’idolo
presenta il corpo dipinto a strisce
marroni e nere. Durante il kamlanie
lo sciamano passava un bastone
attraverso i fori del torso e lo fissava
fra due alberi. La figura aiutava lo
sciamano a ottenere fortuna nella
caccia: se la battuta si rivelava
propizia la bocca della tigre veniva
strofinata con kaša e sangue di
maiale.
Filonov introduce elementi sciamanici
nelle sue opere ma, contrariamente a
Rerich, in un contesto urbano che ne
stravolge il significato. Cionostante,
l’antropomorfizzazione degli animali
in Filonov ci rimanda ai riti della
caccia all’orso e ad altre bestie delle
popolazioni siberiane, nei cui sacrifici
rituali l’animale era un interlocutore da
rispettare.
Spirito adiutore dello sciamano.
Tigre
legno, tinture
San Pietroburgo, Museo Etnografico
Russo
(Mosca 1883-Leningrado 1941)
Bestie (Animali)
1925-1926
olio su cartone
San Pietroburgo, Museo Statale
Russo
Udeghei
Spirito guardiano della taiga
inizio del XX secolo
legno dipinto, perline, metallo, pelle
d’orso
San Pietroburgo, Museo Etnografico
Russo
Figura antropomorfa seduta su
una tigre con gli occhi di perline
e un frammento di vestito di
pelle. Rappresenta lo spirito a cui
rivolgersi in occasione della caccia,
da ringraziare per il successo
sporcandone la bocca con il sangue
dell’animale ucciso per “nutrirlo”.
Se l’idolo rifiutava l’“aiuto”, veniva
abbandonato nella taiga.
82
83
SPIRITI SILVANI
Marija Ender, allieva di Matjušin, osservava che
l’artista voleva arrivare ad abbracciare la struttura
interna di un oggetto e attraverso «l’altezza di
un albero comprendere la forma dell’appoggio
delle radici e dei rami o attraverso il movimento di
rotazione terrestre e delle nuvole sull’orizzonte,
definire la forma del confine del bosco su un campo».
Il filosofo Pavel Florenskij sembra riecheggiare
questo concetto nel 1923: «La foresta è una forma
quadridimensionale che si esprime nella durata,
mentre l’esperienza della vita di un uomo e persino di
generazioni, è troppo effimera rispetto all’estensione
temporale di una foresta. Rimane la contemplazione
mistica della foresta, ma nell’aspetto simbolico di
una creatura particolare, che esternamente non
assomiglia alla foresta, ma che diviene la foresta
stessa al modo in cui un profumo può essere
la sensazione di un intero fiore, vale a dire non
resta che vedere la foresta nella sua istantaneità,
nell’immagine, per esempio, di un elfo».
84
Nanai, regione di Chabarovsk
Figura taumaturgica. Orso
inizi del XX secolo
legno dipinto
San Pietroburgo, Museo Etnografico
Russo
La tradizione russa ritiene da sempre
l’orso pari all’uomo, o almeno simile
a lui. Analoghe figure terapeutiche,
chiamate duente, erano realizzate
dagli sciamani nanai per guarire
svariate malattie e i reumatismi delle
mani.
Evenki, Siberia orientale,
accampamento sul fiume
Ol’dokon’
Spirito adiutore dello sciamano.
Civetta (elemento di rituale
sciamanico)
fine XIX-inizio del XX sec.
legno
San Pietroburgo, Museo Etnografico
Russo
L’immagine dello spirito veniva posta
su un alto palo, o in cima a un albero,
di fronte alla tenda dello sciamano
(čum) o dinanzi al luogo del rituale
(mol’biše). Gli evenki ritenevano che
lo spirito sciamanico della civetta
Oksoki fosse in grado di vedere nel
buio del mondo degli spiriti e quindi di
contrastare gli spiriti malevoli.
85
Vasilij Vatagin
(Mosca 1883-1969)
Aquila
1913
legno
San Pietroburgo, Museo Statale
Russo
Vatagin, scultore e disegnatore
“animalista” fu profondamente
attratto dai culti arcaici e dalla loro
iconografia. Il suo interesse per le
antiche religioni dell’Egitto e dell’India
e per lo sciamanesimo si sviluppò in
contiguità con i suoi interessi teosofici.
Il contatto con lo sciamanesimo della
regione oltre il lago Bajkal si sarebbe
verificato solo in epoca sovietica, ma
già in precedenza la natura appariva
ai suoi occhi come organismo vivo,
dotato di spirito e anima.
Vera Chlebnikova
(Maloderbetovskij 1891-Mosca 1941)
Vento. Nostalgia del bosco
1920 circa
matita, inchiostro di china, acquarello
nero, biacca su carta
Mosca, Collezione Vera MituričChlebnikova
Dal 1916 al 1924, dopo un lungo
interludio fiorentino, Chlebnikova
tornò ad Astrachan, dove aveva
passato l’infanzia con la famiglia,
immergendosi nuovamente
nell’Oriente esotico del mondo
calmucco. L’illustrazione rappresenta
forse la nostalgia per la foresta russa,
metamorfizzata attraverso i colori
di una tempesta di sabbia. Scrive
l’artista che quando «Muore il mondo
quotidiano e nell’anima carica di vita
nasce un nuovo mondo, si vuole
creare, amare, pregare in questi verdi
fuochi».
86
Vera Chlebnikova
(Maloderbetovskij 1891-Mosca 1941)
Vila e Lešak. Nostalgia del bosco
1920 circa
acquerello su carta
Mosca, Collezione Vera MituričChlebnikova
Fra il 1919 e il ’21 il fratello Velimir
scrisse il poemetto Nostalgia
del bosco, nel quale uno dei tre
protagonisti era il Vento. Un altro
protagonista del poemetto era lešak
(Il Boscoso) modificazione del termine
lešij (elfo), che l’artista rappresenta
come un goffo omuncolo-animale,
testimone della sotterranea vita
parallela della natura.
Vera Chlebnikova
(Maloderbetovskij 1891-Mosca 1941)
Foresta e funghi
1920 circa
matita e pastello su carta
Mosca, Collezione Vera MituričChlebnikova
Sulle soglie della foresta, o sulle
rive dei laghi, si avverte una sorta
di vertigine e di smarrimento, che si
materializza nella cavità senza fine
di questa vecchia quercia circondata
da funghetti e si smaterializza in altre
cavità misteriose come la Macchia
nera di Kandinsky e Il vuoto di
Gončarova.
87
Sergej Konenkov
(Karakoviči 1874-Mosca 1971)
Stribog (Dio dei venti)
1910
legno con incrostazioni
Mosca, Galleria Statale Tret’jakov
L’artista sosteneva che nell’abbattere
e poi intagliare i suoi tronchi si
limitava a liberare dal legno gli dèi, i
vecchi e gli animali mostruosi, fratelli
degli gnomi e degli spiriti maligni
che abitano l’immensa foresta russa
dove secondo Konenkov «la notte si
radunano i diavoli. Non ridete! Venite
a vedere con i vostri occhi!». Forse
per questo le sue effigi di legno, i
loro volti e i gesti forti e consapevoli,
esprimono «la pace dei campi e delle
radure nelle foreste».
88
Aleksandr Borisov
(Glubokij Ručej 1886-1934)
Eclisse nella Novaja Zemlja
nel 1896
1904
olio su tela
San Pietroburgo, Museo Statale
Russo
Con questo maestoso esempio
di luminismo Borisov registrava
l’eclisse totale del 28 luglio 1896 e
lo arricchiva di tonalità apocalittiche
che alludevano al secolo morente che
cedeva il passo al nuovo. In Russia
il fenomeno dell’eclisse era messo in
relazione con un imminente giorno
del giudizio o con una punizione
divina. Assistendo all’eclisse Borisov
immaginò la dannazione che
attendeva l’umanità se la luce fosse
stata sconfitta dalle tenebre e, di
conseguenza, il fuoco dal ghiaccio.
89
Testi
Ludovica Sebregondi
Coordinamento editoriale
Ludovica Sebregondi
Manuela Bersotti
Progetto grafico
RovaiWeber Design
La pubblicazione riunisce i testi esplicativi della mostra
L’Avanguardia russa, la Siberia e l’Oriente
Kandinsky, Malevič, Filonov, Gončarova
Firenze, Palazzo Strozzi
27 settembre 2013-19 gennaio 2014
a cura di
John E. Bowlt, Nicoletta Misler, Evgenia Petrova
Promossa e organizzata da
Fondazione Palazzo Strozzi
Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Soprintendenza PSAE e per
il Polo Museale della città di Firenze
Museo Statale Russo di San Pietroburgo
Galleria Statale Tret’jakov di Mosca
con
Comune di Firenze
Provincia di Firenze
Camera di Commercio di Firenze
Associazione Partners Palazzo Strozzi
e
Regione Toscana
Main Sponsor
Banca CR Firenze
Sponsor
Irkutsk Oil Company
Sotto l’Alto Patronato del Presidente
della Repubblica Italiana
Con il patrocinio di
Ministero degli Affari Esteri
Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Ambasciata della Federazione Russa
nella Repubblica Italiana
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Fondazione Palazzo Strozzi
Piazza Strozzi, 50123 Firenze
www.palazzostrozzi.org
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