L’Avanguardia russa la Siberia e l’Oriente Firenze Palazzo Strozzi 27 settembre 2013-19 gennaio 2014 a cura di John E. Bowlt, Nicoletta Misler, Evgenia Petrova Testi Ludovica Sebregondi VIENI A ESPLORARE IL MONDO DELL’AVANGUARDIA RUSSA Le esplorazioni sono state uno degli impulsi che hanno innescato l’arte innovativa dell’Avanguardia russa. All’inizio del Novecento il mondo andava pazzo per le esplorazioni. Presi dallo spirito d’avventura e dal desiderio ardente di scoprire i segreti di un passato dimenticato, giovani esploratori di tutto il mondo partivano diretti in ogni dove alla ricerca di tesori perduti. In Russia gli artisti traevano ispirazione dalle collezioni riportate ai musei del Paese da mercanti, avventurieri ed esploratori che avevano viaggiato in tutto il mondo, comprese le propaggini più remote della terra russa. Questa mostra invita a esplorare la Russia e l’Oriente attraverso i capolavori dell’Avanguardia russa e le opere che li hanno ispirati. Fatti guidare Speciali didascalie per famiglie e bambini. In tutta la mostra ci sono didascalie speciali che invitano le famiglie a riflettere sui temi del viaggio, dell’esplorazione e della emigrazione. FUOCO E GHIACCIO Il Porta-mappe dell’esploratore. Vedrai le famiglie usare la speciale “valigia”, piena di attività pensate per tutte le età. Chiedine una in prestito al Punto Info, al primo piano. Il kit disegno. Durante il percorso in mostra disegna sul blocco la tua versione tutta speciale delle opere esposte. Chiedi, al Punto Info al primo piano un kit disegno da usare e restituire alla fine della visita. Il segnalibro. Esplora la relazione tra l’arte e gli scritti del tempo. Cerca lo speciale simbolo del libro... poi vai in Sala Lettura e cerca il titolo relativo! La Sala Lettura. La Sala Lettura permette ai visitatori di prendersi una pausa e di approfondire la loro esperienza. Vi si può trovare una speciale selezione di libri collegati ai temi e agli artisti della mostra. La Sala Radio. Registra quello che pensi delle esperienze di viaggio, esplorazione ed emigrazione in una cabina di registrazione vera. Ogni settimana su ControRadio verrà trasmessa una serie di interviste selezionate. “Chiedimi”. Il personale con il distintivo speciale “Chiedimi” può aiutarti a saperne di più sulla mostra, anche nella tua lingua: se hai bisogno di sapere qualcosa chiedi a loro. Forse la mostra ti piacerà tanto da volerci tornare! Tutti i testi dei pannelli e delle didascalie si possono trovare sul sito www.palazzostrozzi.org e sono disponibili in italiano, inglese, russo e cinese. Questa mostra intende presentare la varietà e profondità dell’arte russa del periodo modernista, sottolineando l’importanza delle radici culturali euroasiatiche nella visione dell’arte russa, che mescolava la razionalità della civiltà occidentale con l’ardore dell’Oriente. “Fuoco e ghiaccio” possono essere utilizzati come metafora dell’avvicinamento ideologico e artistico della Russia verso l’Oriente, manifestatasi soprattutto tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento. L’interesse non si rivolse soltanto alla Siberia e all’Estremo Oriente, ma anche verso i deserti riarsi del Turkestan e le regioni artiche. Il concetto “Fuoco e ghiaccio” include anche il dualismo che guidò i talenti creativi, tra l’altro, di Wassily Kandinsky e Kazimir Malevič. Se, dunque, il ghiaccio denota l’osservanza del canone, il fuoco può anche assumere le caratteristiche dell’estasi pagana. Non tutte le opere della mostra possono essere inserite in questa cornice, ma il confronto può aiutare il visitatore, guidandolo nel vasto territorio dell’arte russa (dai deserti ghiacciati alle torride pianure delle steppe) lungo le rotte siberiane, caucasiche, artiche e asiatiche. I curatori John E. Bowlt, Nicoletta Misler, Evgenia Petrova Polovcy (cumani) Kamennaja baba X-XIII secolo pietra San Pietroburgo, Museo Etnografico Russo Fra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, nella vastità dell’Impero russo l’individuo si smarrisce. Oltre la porta di casa inizia lo spazio non civilizzato. Ma nel crogiuolo dell’Eurasia, nei popoli e nelle etnie più diverse (sciti, unni, mongoli, esquimesi), i germi di culture molto antiche – cinesi, indiane e tibetane – si mescolano anche ai riti primitivi dell’iniziazione, dell’estasi e della perdita di sé insegnati dagli sciamani dei popoli del Nord. Il lupo, animale sacro allo sciamanesimo, la iena la cui ombra blu riflette la luce della steppa, simboleggiano la paura e il sogno degli abitanti dell’Impero russo, che questa mostra intende visualizzare. Una kamennaja baba, il megalite primitivo presente sul vasto territorio dell’Impero, è il guardiano di questa inquietudine. Natal’ja Gončarova con Il vuoto, Malevič con il Cerchio nero, Kandisky con Macchia nera, ne hanno creato inconsapevolmente l’espressione moderna. 6 Il nome di queste statue deriva dalla parola baba, usata dalle antiche popolazioni turche, che significava padre e antenato, anche se baba venne in seguito identificato con il termine russo che indica la donna. Questi monoliti erano collocati non lontani dalle tombe a tumulo (kurgany) poste in punti elevati sulle steppe. Oggetto di culto e di sacrifici incruenti, venivano aspersi di una bevanda alcolica derivata dal latte. Martiros Sar’jan (Nachičevan sul Don 1881Erevan 1972) Iene 1909 tempera, grafite, gouache su cartone San Pietroburgo, Museo Statale Russo L’influenza dell’arte di Henri Matisse aveva portato Sar’jan a sostenere che forme e colori di soggetti quali aridi versanti delle montagne, vicoli di villaggi, cieli tersi, scenari notturni o deserti, rappresentassero «non il primitivismo, ma una giustificata convinzione creativa». Sar’jan non smise mai di cercare il mistero degli spazi vergini, una condizione che Iene rende con particolare evidenza. 7 Aleksej Stepanov (Simferopol’ 1858-Mosca 1923) Lupi nella notte 1912 olio su tela San Pietroburgo, Museo per la Ricerca Scientifica dell’Accademia Russa di Belle Arti, Museo Isaak Brodskij Stepanov è ricordato per le raffigurazioni realistiche della steppa e della taiga russe: l’artista tendeva a rendere questi spazi come adatti agli animali selvaggi ma ostili per gli uomini. Stepanov, turbato dall’urbanizzazione, metteva in guardia dall’intrusione dell’uomo nella favolosa Russia primitiva che rappresentava la chiave dei misteri dell’Universo: un messaggio racchiuso nell’intersezione tra le tracce del carro e i lupi che guardano noi, gli intrusi, con occhio nervoso. Natal’ja GonCarova (Nagaevo 1881-Parigi 1962) Il vuoto 1913-1914 olio su tela Mosca, Galleria Statale Tret’jakov Dipinto nel momento di maggiore creatività nella carriera di Gončarova, fu esposto nel 1914 a Mosca con il titolo Il vuoto e a Parigi come L’Espace vide accanto a dipinti raggisti ed “elettrici” come Costruzione raggista e Ornamento elettrico. L’opera fu forse ispirata dal fascino esercitato dai processi interiori e invisibili della trasformazione fisica della materia. Il vuoto, d’altra parte, era collegato al comune interesse per il “nulla” che ossessionava l’Avanguardia russa. 8 Kazimir MaleviC (pressi di Kiev 1879-Leningrado 1935) Cerchio nero 1915 olio su tela San Pietroburgo, Museo Statale Russo Dopo il Quadrato nero, il Cerchio nero era, secondo Malevič, il secondo elemento del nuovo alfabeto (il terzo sarà la croce), utilizzato spesso dall’artista come emblema del sistema astratto da lui definito “suprematismo”, un neologismo che vuole indicare la supremazia in arte della sensibilità pura senza rappresentazione. Cerchio nero può anche essere letto come descrizione di un’eclisse totale, non solo metaforica ma reale, motivo ricorrente nel modernismo russo. Wassily Kandinsky (Mosca 1866-Neuilly-sur-Seine 1944) Macchia nera 1912 olio su tela San Pietroburgo, Museo Statale Russo Opera improntata su pensieri teosofici, secondo i quali emozioni e sentimenti possono essere identificati con forme colorate astratte, Macchia nera sintetizza le idee di Kandinsky sull’astrazione e la dimensione “spirituale” o divina dell’opera d’arte. Macchia nera induce anche associazioni con potenze occulte e forze sataniche, nonché con il concetto cosmologico di “buco nero”. L’artista crede nella maestà dell’atto creativo e nell’esperienza estetica per lui insita nell’arte astratta. 9 FONTI ESOTICHE DALLA GRECIA AL SIAM Il 26 ottobre 1890 Nicola, futuro zar di tutte le Russie, si imbarcava da Trieste per un viaggio che doveva rafforzare le relazioni con i popoli della frontiera orientale dell’Impero. La prima tappa del viaggio dello zarevič fu la Grecia, una terra vista non come culla apollinea della civiltà classica, ma come territorio pregno di colore locale e oscure suggestioni arcaiche e primordiali. Approdato nel maggio 1891 a Vladivostok, per due mesi rifece via terra il percorso all’indietro verso Occidente, attraversando gli immensi spazi della Siberia. Fu anche un viaggio iniziatico per il ventiduenne Nicola, che rese popolare in Russia la conoscenza di terre esotiche come India, Ceylon, Giava, Siam, Giappone, Cina, stabilendo i contatti del futuro zar con territori inesplorati e con i popoli “minori” e “primitivi” della Siberia. La mostra ne segue il tragitto, non in senso geografico, ma come percorso metaforico nella circolarità Occidente-Oriente e Oriente-Occidente. 10 Nikolaj Karazin (Novo-Borisoglebskaja 1842-Gatčina 1908) Fra le rovine. Il tempio di Zeus nella tempesta (Olimpia) post 1891 inchiostro di china e biacca su cartone San Pietroburgo, Museo Statale Russo Nel corso del viaggio dello zarevič in Grecia, la visita del Tempio di Zeus a Olimpia si rivestì di presagi quando un fulmine ne illuminò le rovine. Secondo la cronaca di viaggio del principe Esper Uchtomskij: «L’aria diviene pesante, nubi spesse coprono il cielo: bisogna affrettarci. Avanziamo urtando talvolta con i piedi qualche pietra dell’altare di Zeus davanti a cui, nel fumo del sacrificio, i sacerdoti predicevano il futuro. Olimpia era un sacrario mistico». Léon Bakst (Lev Rozenberg; Grodno 1866-Parigi 1924) Terror Antiquus 1908 olio su tela San Pietroburgo, Museo Statale Russo Bakst in quest’opera – concepita nel 1905 e terminata nel 1908 – rielaborò forse l’immagine di Karazin, associandola all’aspetto insondabile di una classicità ancora barbarica. L’aspetto mistico colto da Uchtomskij coincideva con le emozioni vissute da Bakst e Valentin Serov durante il loro viaggio in Grecia del 1907. La Kore impassibile si associa a quella di una arcaica Afrodite per il simbolo della colomba azzurra che tiene in mano. 11 Sergej Konenkov (Karakoviči 1874-Mosca 1971) Eos 1913 marmo dipinto Mosca, Galleria Statale Tret’jakov Eos “dalle dita di rosa”, dea dell’aurora nella mitologia greca, è l’alba che cede il passo al sole. Konenkov, abituato a estrarre immagini dalle radici del legno, utilizza in questo caso il marmo della scultura classica, scegliendo però di evidenziarne la struttura materica. Léon Bakst (Lev Rozenberg; Grodno 1866-Parigi 1924) Danza sacra siamese 1901 olio su tela Mosca, Galleria Statale Tret’jakov Bakst rievoca la Danza delle lanterne eseguita dalla troupe del balletto della corte reale del Siam durante la sua prima tournée europea, che ne vide l’esibizione a San Pietroburgo il 28 e il 29 ottobre del 1900. Si tratta dell’unica tela su soggetto “orientale” dipinta da Bakst, che non l’utilizzò mai, nelle pur innumerevoli scenografie da lui dedicate all’argomento. 12 Nikolaj Karazin (Novo-Borisoglebskaia 1842-Gatčina 1908) Templi, guglie e cani da guardia post 1891 inchiostro di china e biacca su cartone San Pietroburgo, Museo Statale Russo Karazin, autore dell’apparato figurativo (circa settecento immagini), della cronaca di Uchtomskij, interpretò lo spirito “esotico” del viaggio, sebbene non vi avesse preso parte. Le sue immagini del Siam e dell’India – basate sulle fotografie (come quelle donate dal principe Rama V Chulalongkorn allo zarevič in occasione del loro incontro in Siam) – sono altamente evocative, non solo per la tecnica, ma per la capacità di rendere tangibile l’atmosfera, con monumenti che escono delle nebbie del calore tropicale. 13 SCAMBI DI DONI Buriati, Siberia Orientale, Cina del nord, scuola mongola Tara Bianca XIX secolo argento San Pietroburgo, Museo Etnografico Russo A ogni tappa del suo viaggio lo zarevič scambiava regali con le autorità locali. In seguito fu organizzata al Museo dell’Ermitage una mostra, apertasi nel 1893, dei regali ricevuti, fra i quali la preziosissima Tara d’argento qui esposta. I doni più pregiati sono oggi conservati all’Ermitage, mentre oggetti di interesse etnografico furono poi trasmessi al Museo Antropologico ed Etnografico di San Pietroburgo. Altre importanti opere d’arte orientale vennero regalate all’Ermitage dal principe Esper Uchtomskij, che aveva accompagnato nel viaggio il giovane erede al trono. Uchtomskij, appassionato collezionista di opere d’arte buddhista, condivideva con artisti e studiosi l’interesse per la teosofia, di moda nei circoli di San Pietroburgo. La Tara Bianca – o Sita Tara in sanscrito (la Salvatrice) – è una delle immagini più popolari del Pantheon buddhista dei buriati, che le attribuivano il ruolo di protettrice dai pericoli. L’iconografia è quella di una giovane seduta nella posizione del loto, su un basamento a forma di loto. Dai tempi di Caterina II, nel Settecento, le mogli degli imperatori russi erano considerate dai popoli mongoli incarnazione della Tara Bianca, la cui effigie veniva perciò offerta in dono all’imperatore. Alexandre Benois (Aleksandr Benua; San Pietroburgo 1870-Parigi 1960) Asia 1916 carta su tela, tempera, grafite, gouache San Pietroburgo, Museo Statale Russo Asia era uno dei pannelli che Benois, insieme ad altri artisti, realizzò per l’interno del ristorante della stazione Kazan di Mosca fra il 1913 e il ’17. I pannelli alludevano più alla colonizzazione imperiale della Transcaucasia e dell’Estremo Oriente che al carattere esotico e misterioso, mentre il disegno e la collocazione d’impronta barocca si rifacevano a riferimenti orientalisti più che orientali. 14 15 Wassily Kandinsky (Mosca 1866-Neuilly-sur-Seine 1944) Uccelli esotici 1915 acquerello su carta Mosca, Galleria Statale Tret’jakov Benché per Kandinsky l’“Oriente” non costituisse un interesse primario, nella sua opera sono presenti numerosi riferimenti esotici. Il titolo del dipinto non è suo, essendo stato utilizzato dalla Galleria Tret’jakov negli anni venti, ma è facile istituire paralleli con acquerelli analoghi quali Uccelli e L’uccello di fuoco (entrambi del 1916). Inoltre il volo, metaforico se non reale, era tema fondamentale della pittura di Kandinsky e del suo personalissimo percorso spirituale. 16 L’INCANTESIMO DELL’ORIENTE Nel 1913 fu inaugurato a San Pietroburgo il primo tempio buddhista (o datsan, tempio-monastero) dell’ordine tibetano dei “berretti gialli”, presente in Tibet, Mongolia e Siberia e sul territorio dell’Impero. Il buddhismo tibetano aveva iniziato a penetrare in Russia sin dal Cinquecento, e nel 1741 ne era stato autorizzato il culto. Il tempio, terminato nel 1915 in un eclettico stile Art Nouveau e tibetano con decorazioni di Nikolaj Rerich, rispondeva alle esigenze delle popolazioni dell’Asia centrale presenti a Pietroburgo, che avevano accolto il buddhismo come religione ufficiale e, insieme, all’attrazione che il buddhismo esercitava nei circoli nobili di San Pietroburgo, anche attraverso il “medico tibetano” Petr Badmaev, vicino alla zar Alessandro III e poi a Nicola II. La tolleranza della famiglia imperiale nei confronti dei suoi buddhisti, soprattutto calmucchi e buriati è dimostrata dalle fotografie di Nicola II e dello zarevič Aleksej sull’altare del tempio, non ancora finito, sotto le bandiere russa e buriata. 17 Nicola Benois Boris Anisfel’d Nicola Benois, in seguito famoso scenografo del Teatro alla Scala, iniziò la carriera come seguace di artisti mistici quali il pittore e compositore lituano Mikalojus Čiurlionis. Benché la data dell’opera sia incerta (nel 1915 Benois aveva solo quattordici anni), il tema enigmatico e legato all’occulto coincide con i suoi precoci interessi e, in generale, rimanda alla voga pietroburghese del buddhismo, e ai trucchi circensi, della levitazione e il ventriloquio, di cui Benois era appassionato. Indice della moda orientaleggiante di sesso e violenza, la messa in scena di Islamej, realizzata da Michel Fokine a San Pietroburgo nel 1912 riprendendo il tema dalle Mille e una notte, era coerente con le scelte estetiche di Anisfel’d e Fokine. Le danze della scena d’amore erano particolarmente audaci, e i colori sgargianti di Anisfel’d, che ricordano quelli di Léon Bakst, accrescevano la vivacità della trama, per quanto il balletto durasse solo sette minuti. (Nikolaj Benua; San Pietroburgo 1901-Milano 1988) Davanti al Buddha. Iniziazione al sacerdozio. Miracolo del sommo sacerdote indiano. Levitazione 22 aprile 1915 1915 (?) tempera, grafite, gouache su cartone San Pietroburgo, Museo Statale Russo Nikolaj Kalmakov (Nervi 1873-Chelles 1955) Donna con serpenti 1909 olio su tela San Pietroburgo, Museo Statale Russo 18 Esponente del decadentismo di San Pietroburgo, Kalmakov era affascinato da tutto ciò che era erotico e necrofilo, temi che enfatizzava nei suoi dipinti, nei bozzetti di scena e nelle illustrazioni, firmando inoltre le sue opere con un monogramma a forma di fallo stilizzato. Donna con serpenti conferma il culto di Kalmakov per la femme fatale orientale, prestandosi sia come illustrazione delle Mille e una notte, sia ispirazione per il costume dell’artista levantina Ida Rubinstein. (Belsy, Bessarabia 1879-Waterford 1973) Schizzo per la scenografia del balletto “Islamej” di Milij Balakirev 1911 acquerello, gouache, tempera, tinta di bronzo, lacca su carta incollata su tela San Pietroburgo, Museo Statale Russo Anonimo incisore, India, Calcutta Krishna e Gopi 1880-1890 litografia colorata su carta Mosca, Galleria Statale Tret’jakov La litografia proviene dalla raccolta di Michail Larionov che, come altri rappresentanti dell’Avanguardia russa, era un collezionista di lubki, cioè di stampe popolari. Nel 1913 Larionov organizzò una prima mostra sul tema, che comprendeva anche opere della vasta raccolta di Nicolaj Vinogradov, seguita da una seconda che includeva lubki russi, europei e orientali. 19 Aleksej KravCenko (Pokrovskaja 1869-Mosca 1940) Sera. India 1913-1914 tempera su cartone Mosca, Galleria Statale Tret’jakov Esperienza significativa nella vita di Kravčenko fu la frequentazione, insieme a Vatagin, dei centri religiosi dell’India meridionale, nel corso di una lunga crociera finanziata dall’Accademia di Belle Arti di Pietroburgo nel 1913-1914. Quest’opera è molto simile a Tempio sotto la luna, realizzato nello stesso anno dall’amico Vatagin. Entrambi si interessavano alla cultura indù, alla teosofia e alla pratica yoga. Vasilij Vatagin (Mosca 1883-1969) Boa 1911 pietra di Tarusa colorata e dipinta Torello anni venti del XX secolo legno dipinto Mosca, Galleria Statale Tret’jakov Vatagin visse il viaggio in India assieme a Kravčenko come un’autentica iniziazione. La sua attenzione fu attratta dal culto di Shiva – di cui era nota l’antica funzione di “padrone degli animali” – e delle bestie sacre a lui collegate. L’artista si sofferma su toro ed elefante, che aveva sicuramente disegnato dal vero. Il toro Nandin è l’animale su cui Shiva viaggia, e che lo accompagna con la musica nella sua danza cosmica. 20 Andrej Belyj (Mosca 1880-1934) Schema storiosofico. Cikis-Dziri, Georgia 1927 acquerello, inchiostro, matita su carta Mosca, Museo Statale A.S. Puškin, Museo Andrej Belyj Nel 1927 Belyj soggiornò a CikisDziri, in Georgia, sul Mar Nero. In quell’ambiente “tropicale” lo scrittore riconosceva la terra del Vello d’oro, la regione dove nasceva il Mito. Il disegno, con riferimenti all’Atlantide e Lemuria, è collegato al suo trattato in fieri dedicato alla formazione della civiltà a partire dai suoi inizi remoti, secondo l’interpretazione che vedeva la fioritura della cultura russa come apice del processo: una concezione basata sulla visione antroposofica di Rudolph Steiner. Maestro Arufbek, Iran Kalamkar. La caccia dello Scià Is’mail XIX secolo decorazione a stampa e manuale su tessuto di cotone Mosca, Museo Statale di Arte Orientale Questo grande telo decorato presenta al centro una scena di caccia a cavallo a leoni, cinghiali e altri animali selvatici. La composizione è divisa in quattro livelli che si intersecano, con il titolo inserito vicino alla figura dello Scià, cioè il cavaliere di dimensioni maggiori che, armato di una sciabola, sta tagliando la testa di un leone. Le fasce decorative laterali includono immagini stilizzate tradizionali, tra l’altro di garofani. 21 Il’ja Maškov (Michajlovskoe 1881-Abramcevo 1944) Ritratto di signora in poltrona 1913 olio su tela Ekaterinburg, Museo di Belle Arti Come Gončarova, Larionov e Lentulov, Maškov fu membro del gruppo “Fante di quadri” e prese parte a tutte le esposizioni allestite a Mosca tra il 1910 e il ’17. Maškov fu affascinato dai colori vivaci e dalle immagini ingenue dell’arte orientale (inclinazione consolidata dalle lezioni di Henri Matisse) rifacendosi in questo caso a un kalamkar persiano. Il’ja Maškov (Michajlovskoe 1881-Abramcevo 1944) Natura morta 1912-1913 olio su tela Saratov, Museo Statale d’arte Radiščev Sergej Sudejkin (San Pietroburgo 1882-Nyack, New York 1946) Tappeto orientale: decorazione per danze orientali 1915 gouache San Pietroburgo, Museo Statale Russo Sudejkin è ricordato soprattutto per le sue gustose rievocazioni della Russia dell’Ottocento, spesso inserite nelle messe in scena di spettacoli sia in Russia che in America. L’artista applicò i suoi motivi esotici alle arti minori come le illustrazioni di libri o i modelli per ricami. I mori seduti di questo disegno, destinato a un tappeto, ricordano l’interesse che Sudejkin coltivava per l’Oriente, realizzando, tra l’altro, scene e costumi per Salomé e per Le Rossignol. Maškov trasferì elementi dell’arte tradizionale orientale su ritratti e nature morte: mutuando in questo dipinto le proporzioni e i caratteri di un kalamkar, il piatto e la coppa di frutta sono dotati di una forza fisica ed emotiva pari a quelli dello sfondo decorativo. 22 23 L’ORIENTE ESTREMO GIAPPONE, L’AMATO NEMICO Per gli artisti post-impressionisti del gruppo Mondo dell’arte (Mir iskusstva) quali Alexandre Benois e Ivan Bilibin, come per i loro colleghi europei, le stampe giapponesi rappresentarono una spinta al cambiamento della concezione spaziale, della scelta cromatica, del punto di vista, aprendo la strada allo Stile Moderno prima, e come conseguenza, alla rivoluzione formale dell’Avanguardia, poi. L’intensificarsi dell’interesse per la cultura e il mondo nipponico, proprio nel momento in cui si addensavano le nubi del tragico conflitto russogiapponese del 1904-1905, potrebbe spiegarsi con il fascino che esercita sempre la cultura del nemico: un rapporto di amore-odio fra due paesi belligeranti. Vasilij VerešCagin (Čerepovec 1842-Port Arthur 1904) Gita in barca 1903 olio su tela San Pietroburgo, Museo Statale Russo Vasilij Vereščagin nel 1903 e nel 1904 compì due viaggi in Giappone, paese che divenne l’ultima tappa della vita di questo artista realista affascinato sia dall’esotismo orientale che dalle avventure di guerra. Vereščagin morì il 31 marzo 1904 sulla corazzata Petropavlovsk, incappata nelle mine del nemico nipponico, mentre dipingeva il suo ultimo schizzo della battaglia navale in corso. KOkyo Harada I nostri cacciatorpedinieri Hayatori e Asagiri hanno affondato una nave da guerra russa a Porth Arthur nonostante il vento e una tempesta di neve KakO Morita Marinai russi che combattono sulle imbarcazioni dopo che due navi da battaglia sono state affondate dalla flotta giapponese a Port Incheon Kiyochika Kobayashi La battaglia di Motien Pass 24 25 KakO Morita L’affondamento di una nave da guerra russa nella grande battaglia navale di Port Arthur KyOsan La feroce battaglia di Port Arthur fra la flotta giapponese e il suo nemico russo 1904-1905 xilografie colorate San Pietroburgo, Biblioteca Nazionale Russa Le xilografie dedicate alla battaglia di Port Arthur si componevano di tre parti, secondo una forma molto diffusa di nishiki-e, l’antica tecnica di stampa policroma giapponese. La dimensione orizzontale creata dalle tre sezioni forniva l’ampiezza per riuscire a raffigurare non solo le battaglie con le navi coinvolte, ma anche le forze naturali in tumulto. I larghi e bianchi fiocchi di neve disegnati a mano sullo sfondo di un cielo inghiottito dal nero delle tenebre, sono un omaggio alla tradizione del paesaggio poetico giapponese, in cui spesso compaiono la luna o la neve. La tragedia della nave che affonda è accentuata non solo dall’evocazione delle drammatiche condizioni atmosferiche, ma anche dall’immagine del potente raggio di luce che, per gli uomini del tempo, aveva una sua peculiare valenza mistica. Nessuno aveva mai visto un proiettore navale prima di allora: fu infatti impiegato per la prima volta a scopo bellico proprio durante la guerra russo-giapponese. 26 Anonimo incisore russo Alla guerra russo-giapponese 1904 cromolitografia San Pietroburgo, Biblioteca Nazionale Russa La tecnica cromolitografica, che consentiva ampie tirature, veniva spesso usata per i lubki: quelli legati alla guerra russo-giapponese sono improntati a un forte carattere propagandistico. La Russia è raffigurata come figura allegorica femminile che reca in mano un ramo di alloro a simboleggiarne la natura pacifica, mentre il Giappone è rappresentato quale mostro alato avvolto dalle fiamme, che guarda con espressione diabolica le navi in mare. 27 Anonimo incisore russo David Burljuk Negli anni della guerra furono pubblicate in Russia oltre trecento stampe, un terzo delle quali era dedicato alla terribile guerra che vide affrontarsi Russia e Giappone tra 1904 e 1905. Il linguaggio formale è semplice, il messaggio immediato, drammatico e facilmente comprensibile. Poeta, pittore, giornalista e impresario teatrale del cubofuturismo, David Burljuk fu un instancabile fautore del nuovo in ambito artistico. Per fuggire dai bolscevichi attraversò a piedi la Siberia con la famiglia, giungendo in Giappone il 1° ottobre 1920. I due anni che vi trascorse lasciarono un’impronta nella sua produzione artistica, e Burljuk pubblicò testi elogiativi, in prosa e versi, dedicati a lingua, paesaggio e cerimonie giapponesi. Le navi Varjag e Korejc combattono a Čemul’po La guerra russo-giapponese. La nave Retvizan respinge un attacco giapponese 1904 cromolitografia San Pietroburgo, Biblioteca Nazionale Russa 28 (Semirotovščina 1882-Hampton Bays, Long Island 1967) Nei campi di riso 1921 olio su tela San Pietroburgo, Museo Statale Russo 29 L’ORIENTE ESTREMO CHINOISERIE La Russia condivise con i paesi europei la passione per la chinoiserie già nel Settecento, durante il regno di Caterina II, ma questo eclettismo, nelle sue espressioni decorative e architettoniche, nasceva come adattamento al gusto aristocratico occidentale. Un’eredità che Sergej Djagilev fece rivivere, per il pubblico parigino, come nuovo genere di intrattenimento visivo attraverso gli esotici spettacoli dei Ballets Russes per i quali Alexandre Benois creò i costumi cinesizzanti dell’opera di Igor’ Stravinsky Le Rossignol (1914). Come ricordava Benois: «All’inizio pensai di conservare gli stili chinoiserie che erano cosi popolari nel XVIII secolo. Ma come il lavoro si sviluppava mi irritavo della loro ovvia assurdità e il mio entusiasmo per quello che era autenticamente cinese iniziò a riverberare nella mia concezione. Per i costumi, le stampe popolari cinesi costituirono un materiale di valore inestimabile». Alexandre Benois (Aleksandr Benua; San Pietroburgo 1870-Parigi 1960) Schizzo di costume per la Marcia cinese nell’opera di Igor Stravinsky “Le Rossignol” 1914 acquerello, inchiostro di china, matita su carta San Pietroburgo, Museo Statale Russo Quando Igor Stravinsky cominciò a lavorare – insieme a Stepan Mitusov per la stesura del libretto – alla fiaba musicale Le Rossignol, ambientata nell’antica Cina, Benois si appassionò talmente al progetto da persuadere Sergej Djaghilev a fargli disegnare scene e costumi per la messa in scena dei Ballets Russes. La prima ebbe luogo il 26 maggio 1914 all’Opéra di Parigi. Nikolaj Kalmakov (Nervi 1873-Chelles 1955) Buddha e cinesina 1913 acquerello, gouache, tinta d’argento, inchiostro di china, grafite su carta San Pietroburgo, Museo Statale Russo Dilettandosi con l’occulto, Kalmakov trovò spesso ispirazione nel suo personale concetto di Oriente, in cui combinava motivi cinesi, indiani, siamesi, egiziani, abissini e assiri. Questa fanciulla cinese ricorda più l’India, il Siam o Giava che la Cina: una licenza artistica che caratterizzava gran parte dell’arte simbolista russa. Per Kalmakov, e anche per Anisfel’d, Bakst e Sudejkin, la correttezza etnografica passava infatti spesso in secondo piano rispetto all’effetto estetico cercato. 30 31 Alexandre Benois Georgij Jakulov I Ballets Russes di Djaghilev misero in scena nel 1914 Le Rossignol di Igor Stravinsky. Per le scene e i costumi di Benois, in particolare quelli della Marcia cinese del secondo atto, i critici parlarono di “chinoiserie fantastica”. Jakulov, pittore e decoratore teatrale armeno, sosteneva che il senso ottico fosse diverso da un popolo all’altro, e che, se l’Occidente era favorevole alla prospettiva lineare, l’Oriente preferiva la prospettiva rovesciata. In quest’opera, con il suo spazio verticale in cui le figure sembrano muoversi verso l’alto piuttosto che in profondità, l’artista sperimenta questa visione orientale. (Aleksandr Benua; San Pietroburgo 1870-Parigi 1960) Schizzo di costume per la Marcia cinese nell’opera di Igor Stravinsky “Le Rossignol” 1914 acquerello, inchiostro di china, matita, biacca su carta San Pietroburgo, Museo Statale Russo (Tiflis 1884-Erevan 1928) Corsa di cavalli 1906 carta su cartone, acquerello, gouache, inchiostro Mosca, Galleria Statale Tret’jakov Anonimo, Cina, provincia di Sichuan Men-shen (Spirito difensore delle porte) fine del XIX-inizi del XX secolo xilografia colorata, inchiostro di china e biacca su carta colorata Mosca, Galleria Statale Tret’jakov Men-shen era la divinità cinese (doppia) che stava di guardia alle porte dell’Impero durante una grave malattia dell’imperatore Tai Zang, che regnò dal 620 al 649. Dopo che l’imperatore guarì, la divinità fu effigiata sulle doppie porte delle abitazioni private, per proteggerne gli abitanti dagli spiriti maligni. La xilografia mostra solo la parte sinistra. 32 33 L’ORIENTE ESTREMO CINA: L’IMPERO DEI SEGNI La Russia condivise con i paesi europei la passione per la chinoiserie già nel Settecento, durante il regno di Caterina II, ma questo eclettismo, nelle sue espressioni decorative e architettoniche, nasceva come adattamento al gusto aristocratico occidentale. Un’eredità che Sergej Djagilev fece rivivere, per il pubblico parigino, come nuovo genere di intrattenimento visivo attraverso gli esotici spettacoli dei Ballets Russes per i quali Alexandre Benois creò i costumi cinesizzanti dell’opera di Igor’ Stravinsky Le Rossignol (1914). Come ricordava Benois: «All’inizio pensai di conservare gli stili chinoiserie che erano cosi popolari nel XVIII secolo. Ma come il lavoro si sviluppava mi irritavo della loro ovvia assurdità e il mio entusiasmo per quello che era autenticamente cinese iniziò a riverberare nella mia concezione. Per i costumi, le stampe popolari cinesi costituirono un materiale di valore inestimabile». 34 Anonimo, Cina Animali del ciclo dei dodici anni Tianjin, Tipografia Huishun inizi del XX secolo xilografia colorata e dipinta a mano Mosca, Museo Statale di Arte Orientale Dall’antichità sino al 1912 in Cina si usava un calendario solare-lunare, nel quale gli anni erano indicati con l’accoppiamento di due simboli presi in successione da due gruppi di segni. Col tempo i simboli primari vennero associati a un animale, e su questa base si facevano pronostici in occasione di eventi quali nascite e matrimoni. Gli oroscopi assumevano la forma di stampe popolari: l’artista in questo caso si è concentrato sulla vivacità dell’immagine. Zhu Yunming Rotolo di calligrafia. Frammento di un poema dedicato all’autunno XVI secolo inchiostro di china su carta, seta Mosca, Museo Statale di Arte Orientale L’artista, discendente da una ricca famiglia, nonostante le infermità (era miope e aveva una mano con sei dita) dimostrò sin dall’infanzia grande abilità. Inizialmente si volse allo stile qaoshu (scrittura veloce), per poi ricopiare i calligrafi più antichi (stile kaishu). La lettura del testo di questo rotolo, realizzato nello stile qaoshu, risulta molto difficile a causa dell’intepretazione estremamente personalizzata che ne fa l’autore. 35 Natal’ja GonCarova Petr MituriC Natal’ja Gončarova cercò ispirazione in molte culture nazionali, facendo riferimento, per esempio, all’«arte elevata» della Cina e alla «fonte di tutte le arti, l’Oriente». L’artista sosteneva che il vero crogiuolo del cubismo e del futurismo fossero la Siberia e l’Asia, non la Francia e l’Italia. Gončarova considerava Chinoiserie – sebbene il soggetto resti enigmatico – talmente importante da includerla nelle sue retrospettive di Mosca e San Pietroburgo del 1913 e ’14. Amico intimo di Velimir Chlebnikov e marito della sorella di lui, Vera, Miturič assecondò anche gli interessi orientali del poeta, promuovendone le idee e illustrandone la produzione. Per Miturič, come per gli artisti cinesi, il punto o la linea sulla pagina bianca sono segni geroglifici che «costruiscono», sosteneva, «composizioni architettoniche spaziali in contrasti bianchi e neri». (Nagaevo 1881-Parigi 1962) Chinoiserie 1912-1913 olio su tela Mosca, Galleria Statale Tret’jakov Lev Bruni Vladimir Burljuk Seguace di Vladimir Tatlin, Bruni apparteneva alla seconda generazione di quell’Avanguardia pietroburghese che, grazie in particolare a Matjušin e Vladimir Markov, apprezzava molto l’arte cinese. Vladimir Burljuk dipinse Primavera in un momento di interesse crescente per le forme d’arte indigene di Ucraina, Russia, Siberia e Cina. La sua affiliazione al gruppo Der Blaue Reiter di Monaco di Baviera, con il suo richiamo alle eredità “primitive” dell’Europa antica, delle Americhe, della Polinesia, dell’Africa e dell’Estremo Oriente, contribuì a rafforzare questa tendenza. Tra le eclettiche fonti di Primavera si riconoscono la calligrafia cinese o la scrittura araba. (Malaja Višera 1894-Mosca 1948) Negativi. Composizione con croce 1921 inchiostro di china su carta San Pietroburgo, Museo Statale Russo 36 (San Pietroburgo 1887-Mosca 1956) Motivo grafico Motivo grafico Motivo grafico 1918-1920 inchiostro di china su carta Mosca, Collezione Vera MituričChlebnikova (Char’kov 1886-Salonicco 1917) Primavera 1910 olio su tela San Pietroburgo, Museo Statale Russo 37 LE STAMPE ORIENTALI E L’AVANGUARDIA David Burljuk, Natal’ja Gončarova, Michail Larionov collezionavano stampe popolari di ogni genere e paese, ma una parte cospicua delle loro raccolte era dedicata a quelle orientali. Al loro collega Nikolaj Vinogradov si deve l’organizzazione della “Prima mostra di lubki” a Mosca nel febbraio del 1913. Il mese seguente Larionov organizzò a sua volta una “Mostra di modelli per icone e lubki” che Gončarova descrisse nel catalogo come opere che «non copiavano la natura o la valorizzavano, ma la ricreavano». Gli artisti dell’Avanguardia consideravano i motivi delle stampe introdotti nei loro quadri non solo come elemento di spaesamento narrativo, ma anche come strumento per modellare lo spazio pittorico. Le stampe cinesi presenti in Natura morta di Gončarova, o in Ritratto di famiglia con stampa cinese di Končalovskij, sono volutamente sproporzionate e ribaltano lo sfondo sul primo piano, creando una percezione inquietante di alternanza fra vero e falso, in una fittizia imitazione dello spazio figurativo cinese e giapponese. 38 Natal’ja GonCarova (Nagaevo 1881-Parigi 1962) Natura morta con stampa cinese 1908-1909 olio su tela Mosca, Galleria Statale Tret’jakov La stampa cinese raffigura l’immagine di una xiang nü, fata della mitologia cinese. Nel catalogo della mostra di lubki di Larionov, del 1913, l’opera è indicata come Donna con bambino. «Le nostre aspirazioni sono rivolte all‘Oriente e noi dirigiamo la nostra attenzione verso l‘arte nazionale. Noi protestiamo contro la servile subordinazione all‘Occidente che ci ha riportato indietro, volgarizzandole, le nostre proprie forme artistiche e quelle dell‘Oriente e che ha abbassato tutto allo stesso livello» (1913). Petr KonCalovskij (Slavjanka 1876-Mosca 1956) Ritratto di famiglia con stampa cinese 1911 olio su tela San Pietroburgo, Museo Statale Russo Esposto al “Fante di quadri” di San Pietroburgo nel 1913, il dipinto replica accorgimenti formali presenti in altre opere di Končalovskij del periodo. L’artista commentava: «Alla maniera spagnola ci sono due colori dominanti: il bianco e il nero. Per quanto forti il rosso e il verde, giocano un ruolo secondario. La stampa cinese sullo sfondo serve come accompagnamento a questi due toni di base. Guardando con attenzione, si avvertono gli inizi del costruttivismo». 39 Anonimo, Cina Ragazzo con drago e carpa inizi del XX secolo Yangliuqing, tipografia Wanqinghe xilografia colorata, aggiunte di colore manuale Mosca, Museo Statale di Arte Orientale Stampa popolare augurale con la tradizionale iconografia di un ragazzo con un pesce: in cinese le parole “pesce” e “prosperità” si pronunciano allo stesso modo, anche se scritte diversamente. L’immagine è dunque una sorta di rebus con l’augurio di figli maschi e prosperità famigliare. In Cina la carpa era associata al dragone in un’antica espressione che indicava chi fosse in grado di superare gli esami per diventare funzionario di Stato, come “carpa che salta oltre la porta del dragone”. Utagawa Kunisada (Honjo 1786-1865) Due donne giapponesi sotto un albero fiorito XIX secolo xilografia colorata San Pietroburgo, Museo Statale Russo Le xilografie di Hokusai e di Kunisada godevano di straordinaria popolarità fra gli artisti russi, specialmente fra i membri del gruppo del “Mondo dell’arte” come Léon Bakst e Alexandre Benois. Grazie a questa passione, San Pietroburgo conobbe un significativo revival delle arti grafiche, soprattutto nell’ambito dell’illustrazione. 40 Anonimo, Cina L’esorcista Chžan in groppa a una tigre fine del XIX-inizi del XX secolo xilografia colorata impressa su carta marrone chiaro Mosca, Galleria Statale Tret’jakov Quest’opera riprende la storia di Zhou Chu e le tre Pestilenze. Zhou Chu era un celebre militare della dinastia Jin irascibile e impetuoso. Per conquistare la fiducia dei compaesani Zhou Chu uccise un drago e una tigre, i due flagelli che minacciavano il villaggio. Tuttavia si rese conto che, per la comunità, era proprio lui il terzo flagello, e così modificò il proprio comportamento, assurgendo al ruolo di generale. I timbri rossi sono forse i nomi dei proprietari della stampa. Anonimo, Cina Eroe di un racconto cinese xilografia colorata San Pietroburgo, Museo Statale Russo L’espressione ardita di questo guerriero accompagnato dalla sua divinità protettrice, il fatto che sia rivolto a destra, la barba, gli occhi cerchiati di nero e le sopracciglia spesse indicano che si tratta di Zhong Kui, un potente esorcista e cacciatore di fantasmi. Come nel caso di Menshen, l’immagine di Zhong Kui veniva collocata sulle porte per scacciare gli spiriti maligni. 41 Anonimo, Cina, Mjan’czu, provincia di Sichuan Natal’ja GonCarova La scena di questo lubok cinese, che faceva parte della collezione di Michel Larionov, è tratta da una celebre narrazione della tradizione orale, la Leggenda del serpente bianco. In essa il giovane studioso Xu Xian e lo spirito di un serpente che ha assunto sembianze femminili si innamorano. Nella xilografia Xu Xian offre un ombrello (stranamente di foggia occidentale) all’amata Bai Suzhen, colta dalla pioggia. Gončarova dipinse presumibilmente questa sua personale interpretazione di una stampa cinese dopo aver studiato l’ampia raccolta di stampe russe e straniere di Nikolaj Vinogradov, poi in parte esposta alla “Prima mostra di lubki” a Mosca nel 1913 Coppia sotto l’ombrellino fine del XIX-inizi del XX secolo xilografia colorata su carta colorata tinteggiata Mosca, Galleria Statale Tret’jakov Utagawa Kunisada (Honjo 1786-1865) Attore giapponese con la spada xilografia colorata San Pietroburgo, Museo Statale Russo L’Avanguardia moscovita seguì quella di San Pietroburgo nella passione per le xilografie giapponesi e le stampe cinesi, anche se i suoi componenti avevano maggior interesse per le tecniche utilizzate che per le possibili fonti tematiche. 42 (Nagaevo 1881-Parigi 1962) Lubok cinese inizio anni dieci del XX secolo gouache, inchiostro di china, penna su carta Mosca, Galleria Statale Tret’jakov Lev Bruni (Malaja Višera 1894-Mosca 1948) Tigre 1920 carboncino e acquerello su carta San Pietroburgo, Museo Statale Russo Negli anni dieci Bruni produsse rilievi e pitture a olio, concentrandosi anche su opere grafiche figurative e astratte che, con la loro grazia e leggerezza, ricordano sovente la calligrafia cinese. 43 ORIENTE O OCCIDENTE? LE STEPPE DELL’EURASIA Nel corso della sua espansione verso Est la Russia ha sempre avuto difficoltà a trattare Asia e Oriente come un “totalmente altro”. Su questo cammino molti erano gli Orienti incontrati: dapprima quello musulmano (turco e poi caucasico), quindi quello mongolo-buddhista, e ancora quello cristianocaucasico. La presenza al suo interno di minoranze asiatiche, soprattutto turche e islamiche, la contiguità con diverse realtà, dalla Turchia, alla Persia alla Cina, hanno progressivamente portato alla luce espressioni di un’autorappresentazione almeno in parte “orientale”, culminata nella creazione del concetto geografico-politico di Eurasia, che vedeva la Russia come spazio continentale autonomo, dai Carpazi al Pacifico: un’immensa pianura con al centro la steppa, i cui popoli nomadi, eredi di Gengis Khan, avevano apportato un significativo contributo etnico e culturale alla Russia. 44 Pavel Filonov (Mosca 1883-Leningrado 1941) Oriente e Occidente Occidente e Oriente 1912-1913 olio, tempera, gouache su carta San Pietroburgo, Museo Statale Russo Intorno al 1912-1913 il dibattito su Oriente e Occidente nell’Avanguardia russa era divenuto particolarmente attuale, culminando nel manifesto del 1914 Noi e l’Occidente di Jakulov, Benedikt Livšic e Arthur Lourié. Questa coppia di quadri gemelli di Filonov, dal titolo rovesciato, allude in maniera criptica all’alternativa, con un’apparente inversione iconografica, senza che l’artista ne abbia mai fornito una spiegazione. Aristarch Lentulov (Voronež 1882-Mosca 1943) Vecchio castello in Crimea, Alupka 1916 olio su tela Saratov, Museo Statale d’arte Radiščev La Crimea, con le sue pittoresche montagne e la ricca cultura tartara dei suoi abitanti, era vista dai russi come una propaggine dell’Oriente. Lentulov – che amava utilizzare sia i colori che il collage, spesso fogli di carta stagnola d’oro e d’argento, imitando la sontuosità di un tappeto – è qui affascinato dal vivido contrasto fra l’architettura del villaggio e la grandiosità del paesaggio montano. 45 Aleksandr Volkov (Skobelev 1886-Taškent 1957) Dalla serie “Primitivo orientale”: Conversazione sotto un ramo di melograno Conversazione in una tenda Riunione 1918-1919 tempere su cartone Mosca, Museo Statale di Arte Orientale Sebbene Volkov studiasse usi e costumi dell’Uzbekistan e avesse vissuto a Taškent, la sua iconografia era estremamente semplificata, oscillando fra la carovana nel deserto e la sala da tè, una separazione fra esterno e interno che, secondo l’artista, rappresentava i due estremi della vita uzbeka. Questi studi, che formano un trittico, furono pensati come decorazione murale nello spirito dei pannelli simbolisti di Michail Vrubel, che fu il principale maestro di Volkov. Ruvim Mazel’ (Vitebsk 1880-Mosca 1967) Vecchia Ashkhabad 1930 olio su tela Mosca, Museo Statale di Arte Orientale Ebreo di nascita, bielorusso per residenza e turkmeno per simpatie, Mazel’ elaborò uno stile sintetico nelle sue evocazioni del deserto, della steppa e delle tribù nomadi. Se da un lato seguiva un approccio etnografico, studiando i costumi e il folklore dell’Asia centrale, Mazel’ era però anche affascinato dalla luce del deserto che si rifrange, e dall’aria permeata da polvere di sabbia, effetti che cercò di rendere nei suoi paesaggi. Pavel Kuznecov (Saratov 1878-Mosca 1968) Sortilegio 1912 tempera San Pietroburgo, Museo Statale Russo Dopo un intenso impegno nell’ambito del movimento simbolista, Kuznecov – come Gauguin in Francia – avvertì l’irrefrenabile impulso a fuggire dalla civiltà urbana, cercando rifugio nelle vastità dell’Oriente. A questo scopo trascorse molto tempo viaggiando nell’Asia centrale, soprattutto in Kirghizia e in Uzbekistan, per ritrarre la steppa, le sue popolazioni, i loro usi, le tende, i rituali e la vita sociale. 46 47 Ruvim Mazel’ (Vitebsk 1880-Mosca 1967) Nella jurta 1929 olio su tela Mosca, Museo Statale Orientale Mazel’ visse a lungo in Asia Centrale, riuscendo a rappresentare il senso di spaesamento di coloro che venivano dal freddo clima russo. Gli spazi delle steppe e dei deserti, il calore insopportabile, la luce accecante del sole, respingevano e attraevano insieme i cittadini di Mosca e San Pietroburgo. Le figure di Mazel’ si muovono come in un sogno dentro tempeste di sabbia, o sono in attesa dinanzi alla porta di una jurta aperta sull’infinito. Isidor Frich-Char (Kutajsi 1893-Mosca 1978 Poeta del deserto 1921-1923 legno, rame, terracotta, gesso e ceramica colorata Mosca, Galleria Statale Tret’jakov Boris Korolev (Mosca 1885-1963) Salomé 1922 legno San Pietroburgo, Museo Statale Russo Definito “cuboespressionista”, e famoso per il primo monumento rivoluzionario dell’anarchico Michail Bakunin eseguito nel 1922, Korolev arricchì con la sua esperienza artistica la scultura post-rivoluzionaria. La concezione della sua Salomé, che rappresenta la genesi della danza, si rifà al vasto repertorio russo di interpretazioni poetiche, drammatiche e ballettistiche della fiaba orientale, non ultima la produzione di Ida Rubinstein della Tragédie de Salomé del 1912. Sebbene l’identità del soggetto resti sconosciuta, Poeta del deserto è una evocazione lirica del deserto come fonte di ispirazione. Memore dello Stribog di Sergej Konenkov per ricca mescolanza di materiali, distorsioni volute e associazioni panteistiche, Poeta del deserto si rifà anche ai ricordi che Frich-Char conservava degli spazi aperti degli anni trascorsi nella nativa Georgia, a Samara (porta delle steppe meridionali) e nel deserto del Turkestan a est del mar Caspio. 48 49 Nikolaj Rerich (San Pietroburgo 1874-Valle di Kullu 1947) L’accampamento dei polovcy 1909 pastello, tempera, grafite, gouache su cartone San Pietroburgo, Museo Statale Russo In una delle prime scenografie realizzate da Rerich per i Ballets Russes di Djaghilev – le Danses Polovtsiennes du Prince Igor, messe in scena il 19 maggio 1909, al Théâtre du Châtelet a Parigi, con coreografia di Michel Fokine – l’artista rappresenta un accampamento di jurte: i lunghi bastoni ricordano sia i vessilli dell’armata tartara che le aste ornate di drappi che segnavano i luoghi sacrificali nelle steppe dell’Asia centrale, presenti in disegni e fotografie dei viaggiatori dell’epoca. Pavel Kuznecov (Saratov 1878-Mosca 1968) Pioggia nella steppa 1912 tempera, grafite, gouache su cartone San Pietroburgo, Museo Statale Russo Anche nella resa della vita quotidiana nella steppa kirghisa Kuznecov conserva un forte senso del ritmo pittorico, un movimento quasi musicale che connota in modo inconfondibile la sua opera. Questo forte senso plastico è evidente nei suoi dipinti di studio, in cui, come afferma Michail Alpatov: «fiori, frutta, alberi, erbe, distanze, case, persone e animali sono fusi in un accordo notturno. Si possono sentire gli squilli, i rintocchi dei colori quasi si effondessero oltre i confini delle tele». Aleksandr Nikolaev (Voronež 1897-Taškent 1957) Il fidanzato 1920 tempera su carta applicata su legno Mosca, Museo Statale Orientale Come Mazel’, Nikolaev scoprì la vastità e il silenzio del deserto dopo aver vissuto e lavorato nelle città e aver prestato servizio militare durante la Grande guerra. Con il suo arrivo in Turkestan nel 1920, e con la conseguente conversione all’Islam (quando assunse il nome di Usto Mumin o “Maestro fedele”), Nikolaev dedicò le sue energie allo studio delle arti, dell’artigianato e del folklore dell’Asia centrale, specialmente dell’Uzbekistan: tutti elementi che divennero le componenti di base dei suoi dipinti. 50 51 KAMENNYE BABY: I GUARDIANI DELLO SPAZIO Gli artisti dell’Avanguardia, come molti intellettuali russi dell’inizio del Novecento, erano affascinati dall’antica immagine delle cosiddette kamennye baby (letteralmente: femmine di pietra), pesantemente radicate nel suolo dell’Impero russo, presenza pietrificata di culti arcaici e immortali. Si trattava di sentinelle delle tombe a tumulo erroneamente interpretate come femminili e considerate incarnazione di una (presunta) fertilità. Di diverse dimensioni, forme e collocazioni, le kamennye baby si trovavano anche nelle collezioni private come nel giardino della colonia artistica di Abramcevo e nella tenuta di Černjanka in Ucraina, frequentata da molti artisti dell’Avanguardia. Nel suo saggio Cubismo, del 1912, rifiutando l’Occidente, Gončarova affermava che le kamennye baby erano una delle fonti primitive (assieme ai giocattoli di legno venduti nelle fiere e ai lubki) alle quali i “nuovi barbari” della sua generazione avrebbero dovuto attingere, nella scoperta di nuove forme plastiche alternative al cubismo. 52 Polovcy (cumani) Kamennaja baba X-XIII secolo pietra San Pietroburgo, Museo Etnografico Russo Le kamennye baby erano distribuite dall’Asia sud occidentale fino all’Europa sud orientale, testimonianze della cultura dei polovcy dei secoli IX-XIII. Costituiscono il legame fra la scultura delle steppe con quelle degli antichi territori turchi. Scrive Velimir Chlebnikov nel poema Kamennaja baba, del 1919: «Pietra idolosa, alzati e gioca / Col gioco dei giochi del tuono... / Pietra, mettiti in marcia / intorno alle stelle ricama una danza». 53 Natal’ja GonCarova Natal’ja GonCarova Con un’audace sintesi Natal’ja Gončarova riesce a unire i temi che la coinvolgono nel primo decennio del secolo: le origini della religione cristiana e le radici arcaiche della cultura russa. L’artista è interessata in particolare alle kamennye baby, che in questo dipinto inserisce in un contesto apocalittico. La kamennaja baba sul fondo apparteneva probabilmente alla collezione dell’artista. Il motivo della fertilità femminile, tradizionalmente associata a queste figure primitive, ricorre in varie opere di Natal’ja Gončarova di questi anni, da Dio della fecondità (1908-1909), a Kamennaja baba. Ananassi entrambi alla Galleria Tret’jakov, sino a Rotoli con kamennaja baba (1910), al Museo d’arte di Smolensk. (Nagaevo 1881-Parigi 1962) Statue di sale 1910 circa olio su tela Mosca, Galleria Statale Tret’jakov 54 (Nagaevo 1881-Parigi 1962) Natura morta con scultura 1908 olio su tela Mosca, Galleria Statale Tret’jakov 55 EFFIGI DI SAGGEZZA GLI INTERPRETI DEL COSMO Secondo tradizioni animistiche gli spiriti delle steppe russe, delle foreste, delle montagne comunicano con intermediari spirituali come sciamani, streghe e stregoni che li riconoscono nelle nuvole e nelle acque, negli alberi e nelle pietre. Questi spiriti s’incarnano in fenomeni naturali, una presenza che costituisce il comune denominatore del Lago degli spiriti delle montagne di Čoros-Gurkin, e de Le Sacre du Printemps di Igor Stravinsky del 1913. Accanto all’albero e alla pietra sacra, il rito si sviluppa con la regia dei “saggi anziani”, intermediari che posseggono l’autentica sapienza. Rerich osservò nel 1931: «Ci sono entità nel cosmo che conoscono più di quanto noi conosciamo, ma pochi possono comprendere il mirabile significato del pensiero vivente nello spazio. Per questi individui il pensiero dello spazio diventa la Voce del silenzio». “Profeta nel deserto” a Pietroburgo, anche Filonov evoca nella sua opera la Voce del silenzio della natura e del cosmo. 56 Innokentij Suvorov (Irkutsk 1898-Leningrado 1947) Saggezza 1928 legno colorato, gesso, pittura San Pietroburgo, Museo Statale Russo La scultura mostra il sincretismo della cultura russa non solo fra filosofie orientali e culti arcaici dello sciamanesimo, ma anche fra “il vecchio e il nuovo” di prima e dopo la Rivoluzione. L’immagine del saggio rimanda alle figure di un capotribù indiano, e il tronco grezzo della base ricorda il trono del Buddha ma, al posto della sporgenza al sommo del cranio dell’Illuminato, si trova un lavoratore con una ruota dentata, simbolo della Saggezza sovietica. Grigorij Coros-Gurkin (Ulala 1870-Siberia, campo di prigionia 1937) Lago degli spiriti delle montagne 1909 olio su tela San Pietroburgo, Museo Statale Russo Le montagne altaiche, misteriose e lontane, vennero celebrate dall’artista, poeta ed etnografo Grigorij ČorosGurkin, che fu attratto dal gioco dalle rifrazioni della luce e dell’acqua su questo lago, ma che vi avvertiva la presenza di spiriti indomiti. Il dipinto è tra i pochi rimasti della produzione dell’artista, fucilato con l’accusa di spionaggio a favore del Giappone nel 1937 e riabilitato nel 1956. 57 Mitrofan Beringov (Pojmi 1889-Mosca 1937) Sonata nordica 1927 olio su tela Mosca, Galleria Statale Tret’jakov Per descrivere le regioni artiche Beringov usa luce sfolgorante, strutture orizzontali, spazi panoramici ed effetti fotografici. Grazie alla posizione centrale della sorgente luminosa, a gradazioni di luce e a una straordinaria trasparenza, Sonata nordica evoca l’isolamento e la vastità delle regioni polari illuminate dall’aurora boreale. Come i luministi americani del XIX secolo, l’artista riconosce segni divini nell’eterna bellezza dei cieli del Nord. Pavel Filonov (Mosca 1883-Leningrado 1941) Formula del periodo 1904-luglio 1922. Smottamento universale nella fioritura del mondo attraverso la Rivoluzione russa (già Cosmo) 1920-1922 olio su tela San Pietroburgo, Museo Statale Russo 58 Filonov si sente parte di un Universo cosmico, che rappresenta, contrariamente a Rerich, in dipinti astratti. Per Filonov le opere individuali, collegate in una catena infinita, sono formule per «reazioni e irradiazioni, decomposizione, connessioni dinamiche» che sollecitano un’interazione organica e inorganica. Questa unità rappresenta per lui il Cosmo, e lo spinge a vedere la morte come anticipazione della vita, e la decomposizione come il passaggio a una nuova “fioritura”. Pavel Filonov (Mosca 1883-Leningrado 1941) Quadro bianco 1919 (?) olio su tela San Pietroburgo, Museo Statale Russo Il bianco del titolo, uno dei rarissimi dati dall’autore alle proprie opere, sembra alludere, come in Malevič, al Vuoto, all’Assenza cosmica, nel quale tuttavia pulsano le cellule primordiali della vita. Nikolaj Rerich (San Pietroburgo 1874-Valle di Kullu 1947) Malaugurio 1901 olio su tela San Pietroburgo, Museo Statale Russo Il dipinto di Rerich esprime l’umore apocalittico della Russia fin de siècle, e la riscoperta di miti e leggende. La disillusione nei confronti della civiltà moderna e la convinzione che i primitivi, in simbiosi con la natura e il cosmo, avessero posseduto la “cognizione”, più che la “conoscenza”, spinse gli artisti russi a rievocare il passato primigenio. Questo paesaggio, con gli uccelli da preda in agguato, sembra presagire la corsa del genere umano verso la catastrofe. 59 Nikolaj Rerich Konstantin Korovin Rerich, etnografo con conoscenze storiche e archeologiche, crea composizioni simboliche in cui ombre sinistre, idoli di pietra e di legno rinviano a un mondo antico. Il grande sacrificio ed Esorcismo terrestre, che l’artista adattò alla produzione parigina de Le Sacre du Printemps del 1913, alludono a rituali sciamanici e pagani. Gli anziani vestiti di pelli rappresentano la credenza primitiva dell’animale come antenato dell’uomo che offre un sacrificio al Dio Sole. Korovin nel 1898 compì un viaggio nella regione artica per raccogliere materiali destinati al progetto architettonico e alla decorazione della Sezione dell’artigianato nelle terre di confine per il Padiglione russo all’“Exposition Universelle” di Parigi del 1900. Korovin creò un fregio di trentun pannelli che celebrava la ricchezza non solo del Nord russo e della Siberia, ma anche dell’Asia centrale. I due pannelli qui presentati costituiscono un frammento di quella grandiosa istallazione. Nikolaj Rerich Konstantin Korovin (San Pietroburgo 1874-Valle di Kullu 1947) Il grande sacrificio 1910 tempera su cartone Saratov, Museo Statale d’arte Radiščev (San Pietroburgo 1874-Valle di Kullu 1947) Esorcismo terrestre 1907 tempera, grafite, gouache su cartone San Pietroburgo, Museo Statale Russo Rerich ha realizzato per le Sacre du Printemps sei scenografie che illustrano la fede vitalistica e pagana, l’interconnessione di vita e morte, e la concezione che l’esistenza è ciclica e infinita, nutrita costantemente dalla Madre Terra. Solo uomini particolari però, sono in grado di comunicare con la Natura. 60 (Mosca 1861-Parigi 1939) Resti della sosta dei samoiedi 1899 tempera su tela San Pietroburgo, Museo Statale Russo (Mosca 1861-Parigi 1939 La carovana dei samoiedi 1898 olio su tela San Pietroburgo, Museo Statale Russo All’“Exposition Universelle” parigina i pannelli erano presentati in un contesto di vita quotidiana: l’artista allestì infatti il padiglione non solo con pelli di animali appese alle pareti, come nelle abitazioni dei popoli del Nord, ma anche con pesci vivi, per completare l’impressione dello spazio espositivo con l’odore dell’Oceano e delle sue rive. Il suo sforzo venne ricompensato dal governo francese con due medaglie d’oro e con la Legion d’Onore. 61 Chanty (samoiedi) Corna di cervo (elementi di un rituale sciamanico) da un mol’biše (luogo del rituale) San Pietroburgo, Museo Etnografico Russo Dopo una caccia fortunata e in ringraziamento per la buona salute del branco degli animali domestici, i chanty del Nord appendevano delle corna agli alberi prossimi ai luoghi sacri del rituale, come forma di sacrificio agli dei del mondo superiore. Nikolaj Rerich (San Pietroburgo 1874-Valle di Kullu 1947) Idoli 1901 gouache su cartone San Pietroburgo, Museo Statale Russo In questo dipinto il recinto sacro del kurgan, che racchiude gli idoli, è costituito da bastoni su cui sono infitti crani di animali. Fra le popolazioni siberiane all’uccisione dell’orso seguiva una festa, alla fine della quale la testa dell’animale veniva infilata, in segno propiziatorio, su pali appuntiti di giovane pino. Rituali di lontana origine indoeuropea legati alla caccia all’orso, sopravvissero nel mondo slavo sino al XIX secolo, estendendosi fino alla Bielorussia. Nivchi Teschio di orso su un cucchiaio rituale per la celebrazione della festa fine del XIX secolo ossa d’orso bruno, legno, perline San Pietroburgo, Museo Etnografico Russo I nivchi ritenevano l’orso un proprio antenato. Durante la “festa dell’orso”, una tra le celebrazioni sciamaniche più solenni, aveva luogo l’uccisione rituale dell’animale, il cui cranio veniva posto su un cucchiaio che ne ripeteva l’immagine, decorato con trucioli ritenuti magici (inau). 62 63 GESTI E RITUALI IMMAGINI TAUMATURGICHE L’assimilazione di culture orientali molto antiche nel cuore dell’Impero russo contemplava anche la loro rielaborazione di rituali e gesti più antichi. La danza estatica col tamburo prima della caccia era un elemento essenziale nel rituale di ostjaki e samoedi, che al termine raccoglievano i teschi degli animali uccisi come oggetto di venerazione. Etnografi ed esploratori pubblicarono materiali visivi su rituali e oggetti utilizzati, che stimolarono la curiosità degli artisti di inizio Novecento per il primitivo e l’Oriente. Nel rituale estatico essi videro, con una consapevolezza pre-New Age, una variante delle pratiche orientali per il raggiungimento di stati alterati di coscienza. Nei disegni sciamanici lo spazio è ripartito in sezioni che corrispondono ai tre mondi del cosmo sciamanico. Anche nel ciclo delle stagioni di Larionov è presente un tripartizione dello spazio, benché usata ironicamente. Affinità formali si possono riscontrare anche nella semplificazione e nelle posture ieratiche delle figure e nella scrittura quasi geroglifica. 64 Grigorij Coros-Gurkin (Ulala 1870-Siberia, campo di prigionia 1937) Lo sciamano Bajčijak 1907 olio su tela San Pietroburgo, Museo Etnografico Russo Čoros-Gurkin, dopo aver frequentato l’Accademia di San Pietroburgo, era ritornato alla ricerca delle proprie radici etniche e culturali attraverso la frequentazione dello sciamano Bajčijak – ritenuto in grado di rivolgersi agli spiriti del mondo superiore – e l’amicizia dell’etnografo Andrej Anochin. Il dipinto, rimasto lungamente sepolto nei fondi del Museo Etnografico, è presentato per la prima volta dopo il restauro eseguito in occasione di questa mostra. Chakasy, regione dello Enisej Tamburo sciamanico fine del XIX-inizi del XX secolo legno, pelle di renna, rame, tessuto, tinture San Pietroburgo, Museo Etnografico Russo Sul tamburo è rappresentato il modello dell’Universo con una striscia di triangoli che raffigurano i monti che separano il mondo superiore da quello medio con i suoi abitanti. In alto appaiono i simboli solari e l’albero dal quale è stato preso il legno per il tamburo, mentre in basso compare l’animale la cui pelle è stata utilizzata per la membrana. Il tamburo era concepito dallo sciamano come veicolo per muoversi fra i diversi mondi dell’Universo durante il rituale del kamlanie. 65 Wassily Kandinsky Wassily Kandinsky Kandinsky scelse talvolta l’ovale per delimitare il perimetro delle sue immagini interiori, utilizzando una forma simbolica che è anche quella del tamburo sciamanico che rappresenta l’intero Cosmo. Come afferma Kandinsky, «l’universo è una sorta di laboratorio temporaneo per la ricerca delle leggi dello spirito umano». Questo dipinto attesta che il contatto con le culture orientali e sciamaniche fu fondamentale per la costruzione delle concezioni cosmogoniche dell’Avanguardia. La forma ovale circoscrive uno spazio, ma al suo interno proseguono le invenzioni astratte, sebbene compaiano anche riferimenti alla realtà. Scrive Kandinsky: «La creazione è libera e tale deve restare; essa non deve cioè sottostare ad alcuna pressione, con l’unica eccezione della pressione esercitata dalla “voce interiore”. Perciò io non mi spavento quando fra le mie forme se ne introduce furtivamente una che ricorda una “forma naturale”. La lascio stare tranquilla e non la cancello». Wassily Kandinsky Kazimir MaleviC (Mosca 1866-Neuilly-sur-Seine 1944) Composizione n. 217 “Ovale grigio” 1917 olio su tela Ekaterinburg, Museo di Belle Arti (Mosca 1866-Neuilly-sur-Seine 1944) Ovale bianco 1919 olio su tela Mosca, Galleria Statale Tret’jakov Il tema dell’ovale in diversi colori è caratteristico della produzione di Kandinsky di questi anni (Ovale rosso, del 1920 oggi al Museo Guggenheim di New York e un secondo Ovale bianco, del 1921 in una collezione privata di Ginevra). Il quadro era conosciuto anche con il titolo di Bordo nero. Il dipinto, realizzato nel gennaio del 1919, fu venduto dall’artista stesso al Museo di cultura pittorica, dal quale dopo la chiusura, passò alla Galleria Tret’jakov. 66 (Mosca 1866-Neuilly-sur-Seine 1944) Due ovali 1919 olio su tela San Pietroburgo, Museo Statale Russo (pressi di Kiev 1879-Leningrado 1935) Supremus n. 58 1915-1916 olio su tela San Pietroburgo, Museo Statale Russo Esempio fondamentale del sistema astratto di Malevič, Supremus n. 58 funziona con una sintassi di meccanismi convenzionali: su uno sfondo bianco glaciale (per Malevič il bianco rappresentava l’infinito), la composizione di rettangoli intersecanti ed energie in movimento sovrapposta alla “goccia” lilla produce l’impressione della combustione e della velocità, forse perfino di una meteora che si disintegra all’ingresso nell’atmosfera terrestre. 67 Michail Larionov Nanai, Siberia orientale Nei quattro dipinti di Larionov che descrivono le stagioni, il personaggio centrale è una Venere primitiva che si adatta ai diversi momenti. L’artista aggiunge alla sua Venere classica riferimenti formali alla fanciulla di pietra, alla satira del lubok e ai disegni dei bambini. Immediate anche le associazioni con i disegni usati dagli sciamani con funzioni terapeutiche. Il disegno rappresenta il mito della creazione del mondo al tempo “dei tre soli”. Nella striscia alta il mondo superiore con due draghi, tre alberi solari e gli abitanti del cielo; al centro nel mondo intermedio figure della stirpe degli antenati e due tigri, e nella parte inferiore due serpenti e gli spiriti adiutori dello sciamano. Gli sciamani nanai usavano nella loro pratica terapeutica l’interpretazione dei miti della creazione del mondo e dell’uomo. Michail Larionov Michail Larionov Larionov trasferisce i geroglifici del tamburo dello sciamano negli idoli infantili di Stagioni dell’anno e di Autunno giallo e felice. Le didascalie, quasi da fumetto, identificano il sentimento: l’inverno è «freddo nevoso ventoso avvolto nella bufera nella morsa del ghiaccio»; la primavera è «chiara bella con colori squillanti nuvole bianche». Dettaglio ingrandito della Venere di Estate dal ciclo Le stagioni, Autunno giallo e felice è un’ulteriore riflessione dell’interesse di Larionov per l’arcaico e il pagano, comprese le figure sui tamburi degli sciamani e forse i dipinti rupestri. Allo stesso tempo Larionov torna a una percezione del mondo deliberatamente infantile, distorce il volto e i capelli e scrive in russo volutamente scorretto, quasi a duplicare la visione del mondo dei “primitivi”. (Tiraspol’ 1881-Fontenay-aux-Roses 1964) Dal ciclo “Le stagioni”: Primavera (Nuovo primitivo) 1912 olio su tela Mosca, Galleria Statale Tret’jakov (Tiraspol’ 1881-Fontenay-aux-Roses 1964) Dal ciclo “Le stagioni”: Inverno (Nuovo primitivo) 1912 olio su tela Mosca, Galleria Statale Tret’jakov 68 Disegno sciamanico tessuto, tinture San Pietroburgo, Museo Etnografico Russo (Tiraspol’ 1881-Fontenay-aux-Roses 1964) Autunno giallo e felice 1912 olio su tela San Pietroburgo, Museo Statale Russo 69 David Jakerson Koriaki, KamCatka Maschere segue un lungo ciclo di esperimenti nelle forme astratte, influenzato dal suprematismo di Malevič, e rappresenta una nuova fase della biografia di Jakerson. Interessato al primitivo e all’Oriente, l’artista conserva la consistenza ruvida del legno, riducendo il ceppo alla funzione di effigie e impregnandolo di ulteriori sfumature pagane. In questo Jakerson sembra seguire, da un lato, i precedenti degli idoli siberiani, e dall’altro di Sergej Konenkov. Questo tipo di maschere era indossato dai koriaki nelle feste autunnali di ringraziamento per il successo nella caccia agli animali marini. I portatori delle maschere giravano intorno a tutte le abitazioni e dopo la festa le abbandonavano sul lato occidentale del villaggio. (Vitebsk 1896-Mosca 1947) Maschere 1930 circa legno Mosca, Galleria Statale Tret’jakov Alisa Poret (San Pietroburgo 1902-Mosca 1984) Schizzo per la sovracoperta del “Kalevala” 1933 circa acquerello su carta San Pietroburgo, Museo Statale Russo Nel 1933 Pavel Filonov curò le illustrazioni, realizzate da un gruppo di allievi dalla sua Scuola (fondata nel 1925), per una nuova edizione dell’epos finnico del Kalevala per la prestigiosa casa editrice Accademia. Il contenuto “sciamanico” era noto ad Alisa Poret, che creò l’immagine della sovracoperta, dal momento che aveva illustrato nel 1930 un librettino “antireligioso” per l’infanzia, con una serie di idoli adiutori sciamanici. 70 Maschera rituale inizio del XX secolo legno San Pietroburgo, Museo Etnografico Russo Kazimir MaleviC (pressi di Kiev 1879-Leningrado 1935) Testa 1928-1929 olio su tela San Pietroburgo, Museo Statale Russo Scrive Malevič nel 1916: «L’arte del selvaggio e i suoi principi. Il selvaggio fu il primo a stabilire il principio del naturalismo; disegnando un punto e cinque piccoli bastoncini, tentò di trasmettere la sua propria immagine». 71 LE PRESENZE DELLA FORESTA IDOLI LIGNEI IDOLI LUNATICI L’artista e critico Vladimir Markov (1877-1914) membro dell’Unione della gioventù di San Pietroburgo e collega di Filonov, Malevič, Matjušin e Ol’ga Rozanova, fu il primo storico dell’arte in Europa a occuparsi di arte negra e oceanica. I manufatti delle popolazioni sciamaniche del Nord della Russia da lui fotografati nei musei etnografici di Pietroburgo furono una delle fonti primarie per gli artisti contemporanei. Il contesto di questi idoli, ignorato da Markov, era rispettato invece dagli etnografi che, nel corso delle loro spedizioni avevano raccolto gli oggetti, fotografandoli nei luoghi e nelle situazioni del reperimento, in molti casi la foresta. Anche artisti quali Matjušin o l’anonimo cinese autore del Vecchietto danzante, incontrano nella foresta spiriti e folletti, come Stribog (Dio dei venti) di Konenkov e Lešak (Il Boscoso) del poeta Velimir Chlebnikov, raffigurato da sua sorella Vera, oppure ne divinano le forme nella corteccia degli alberi, visti come creature viventi, o nelle sagome inusuali di tronchi e radici. Nelle fotografie degli etnografi dell’inizio del XX secolo, come Dmitrij Klemenc (1848-1914) o Vladimir Jochel’son (1855-1937) a differenza delle fotografie di Markov interessato soltanto agli aspetti formali degli oggetti, si nota che gli idoli o gli oggetti raccolti per essere esposti in un museo, erano stati riuniti originariamente dallo sciamano in gruppi o formazioni rituali in punti strategici della taiga. Questa disposizione produceva associazioni psicologiche e spirituali che gli artisti più sensibili seppero ascoltare e comunicare. I piccoli idoli, ciascuno dei quali aveva una funzione ben precisa, spesso terapeutica, inclusa la cura del mal di testa o della follia, venivano così a dialogare anche con l’inquietudine esistenziale degli artisti. Autori e poeti dell’Avanguardia ne ascoltavano l’incomprensibile linguaggio, cercando di assimilarlo in una nuova espressione artistica. 72 73 Vera Chlebnikova (Maloderbetovskij 1891-Mosca 1941) Venere e lo sciamano illustrazione del poemetto omonimo di Velimir Chlebnikov 1920 circa matita su carta Mosca, Collezione Vera MituričChlebnikova Velimir Chlebnikov – poliedrica figura di poeta, matematico, appassionato di filosofia, fisica, esoterismo e non solo, morto nel 1922 – nel poemetto Venere e lo sciamano presenta un simbolico confronto: Venere è emblema dell’emisfero occidentale, lo sciamano di quello orientale. L’illustrazione, realizzata dalla sorella Vera, rimanda alla vita delle steppe con l’interno di una jurta, dove il vecchio mogol fuma serenamente la pipa rifiutando gli inviti pressanti della fanciulla. Michail Matjušin (Nižnij-Novgorod 1861-Leningrado 1934) Venere 1920 legno San Pietroburgo, Museo Statale Russo Questa scultura-radice rimanda al poemetto di Chlebnikov Venere e lo sciamano. Una prima scultura (perduta) dal titolo Uomo primitivo venne esposta a Parigi nel 1913. Matjušin commentava: «Io mi sforzai di rappresentare tutta la cruda primitività, la pesante irreversibilità del primo essere umano, e per questo la chiamai Venere». 74 UlCy (manguny), Siberia orientale Spirito padrone delle montagne e del bosco fine del XIX-inizi del XX secolo legno San Pietroburgo, Museo Etnografico Russo La scultura rappresenta lo spirito Kalgama in forma antropomorfa senza braccia: gli sciamani lo usavano durante il kamlanie, l’ingresso in un’altra dimensione, spesso a scopo terapeutico. I Kalgama erano considerati antenati e protettori della famiglia. Questa immagine era associata ai popoli dei boschi che si confrontavano ostilmente o amichevolmente a seconda delle diverse famiglie. Talvolta Kalgama “rapiva” i bambini alle donne e li “nutriva” con succo d’acero. Michail Matjušin (Nižnij-Novgorod 1861-Leningrado 1934) Uomo che corre 1915-1916 radice di legno San Pietroburgo, Museo Statale Russo La scuola di Michail Matjušin, oggi definita “Arte organica”, aveva a fondamento la ricerca di una nuova percezione della natura attraverso un “terzo occhio” di reminiscenza orientale e un nuovo “ascolto” delle sue voci. Cogliere forme inusuali, inaspettate, nelle pietre, nelle radici, nei rami morti degli alberi, era parte di questa ricerca, come testimoniano le fotografie realizzate nella natura dall’artista insieme a sua moglie, la poetessa Elena Guro. 75 Michail Matjušin (Nižnij-Novgorod 1861-Leningrado 1934) Donna che danza 1915-1916 radice di legno San Pietroburgo, Museo Statale Russo Sculture da radici furono esposte da Matjušin al Salon d’Automne a Parigi del 1913 e all’ultima mostra dell’Unione della gioventù del 1914. Scrive Matjušin: «Io penso che la forza del movimento delle radici e dei ramoscelli secchi degli alberi si trova nel fatto che la superficie del volume, che esprime il movimento, coincide perfettamente con la struttura stessa del materiale, interamente organizzata in questo movimento». Koriaki, KamCatka Spirito protettore della famiglia inizio del XX secolo legno, pelle, perline San Pietroburgo, Museo Etnografico Russo L’immagine è una figura antropomorfa intagliata nel ramo di un albero. Figure di questo tipo erano ricavate da rami di forma insolita che si riteneva portassero fortuna nei momenti difficili. Durante il rituale i cacciatori di cervi li “nutrivano” con il midollo spinale e il sangue dei cervi sacrificati, mentre i koriaki che vivevano sulla costa con il sangue e il grasso degli animali marini. 76 Nivchi, Siberia orientale, isola di Sachalin Spirito padrone della jurta legno San Pietroburgo, Museo Etnografico Russo Figura umana intagliata da un albero e “vestita” con un pezzo di tela. I nivchi ritenevano che il “volto” del padrone dell’abitazione rappresentasse l’antenato reale della loro stirpe. Lo spirito aiutava lo sciamano durante il kamlanie e per riconoscenza veniva nutrito con la kaša, una pappa di cereali, spesso di grano saraceno. Kazimir MaleviC (pressi di Kiev 1879-Leningrado 1935) Donna che prega 1910-1911 matita su carta San Pietroburgo, Museo Statale Russo Malevič da un lato si affidava al mondo rurale per trarne ispirazione, dall’altro usava il tema come semplice pretesto per esplorare i valori del colore e della forma. L’artista identificava il contadino come spirito libero, vicino agli abitanti – reali o immaginari – delle foreste, steppe e pianure. Forse questo legame spirituale spiega la somiglianza del ritratto femminile con l’idolo ligneo sciamanico intagliato nel tronco di un albero. 77 Dmitrij Caplin (Malyj Malik 1890-Mosca 1967) Pesce 1934 pietra Mosca, Galleria Statale Tret’jakov Caplin era affascinato dalla consistenza naturale e dalla pesantezza della pietra, e impiegò questi elementi per enfatizzare la semplicità e l’immediatezza dei suoi ritratti di bestie, uccelli e pesci. Con la loro intenzionale ruvidezza e con il loro schematismo, molte delle sue sculture, tra cui il Pesce, richiamano il mondo degli idoli e degli amuleti sciamanici. Evenki, Siberia orientale Spirito adiutore dello sciamano. Pesce fine del XIX-inizio del XX secolo legno di larice San Pietroburgo, Museo Etnografico Russo Durante il kamlanie l’idolo, ricavato da un ramo, era posto alla sinistra (l’Occidente), di fronte all’ingresso della tenda dello sciamano che simboleggiava il mondo intermedio degli uomini. Il luccio e la bottatrice erano simboli degli spiriti protettori per l’ingresso del mondo inferiore 78 Pavel Filonov (Mosca 1883-Leningrado 1941) Senza titolo 1923 olio su tela San Pietroburgo, Museo Statale Russo Scrive Filonov: «Osservando il tronco di un albero [è possibile] comprendere come le terminazioni delle radici assorbono e trasportano la linfa del terreno, come questa linfa si diffonde nelle cellule legnose verso l’alto, come queste si distribuiscono reagendo alla luce e al calore, e si trasformano nella struttura cellulare del tronco e dei rami, nelle foglie verdi, nei fiori bianchi e rossi, e nella rozza corteccia del legno» (19281929). Chanty Spirito protettore della caccia e della pesca legno di betulla San Pietroburgo, Museo Etnografico Russo Le immagini incise nella corteccia della betulla, considerato albero puro e sacro dai popoli della Siberia, venivano poste sul luogo dell’evento rituale. Erano “nutrite” con del pesce e, dopo una caccia fortunata, la bocca veniva sporcata col sangue degli animali uccisi. Gli spiriti che avevano portato fortuna erano lasciati sul posto per il culto della tribù. 79 Vera Chlebnikova (Maloderbetovskij 1891-Mosca 1941) Uomo-tiglio illustrazione della novella Snežimočka (Piccolo fiocco di neve) di Velimir Chlebnikov 1920 circa matita, inchiostro di china, acquarello nero, biacca su carta Mosca, Collezione Vera MituričChlebnikova L’illustrazione della sorella di Chlebnikov, nonché moglie dell’artista Miturič, grande amico del poeta, rivela quella sensibilità animistica per la vita delle piante che si ritrova nei volti sciamanici incisi nella corteccia degli alberi. La stessa attenzione per l’onnipresente vitalità di alberi, pietre e animali contraddistingue la ricerca della scuola “organica” dell’Avanguardia di San Pietroburgo, alla quale Chlebnikov era vicino. Michail Matjušin (Nižnij-Novgorod 1861-Leningrado 1934) Scultura da una radice inizio degli anni venti del XX secolo legno Mosca, Galleria Statale Tret’jakov Il rispetto per la forma originaria della radice – simile a quello dell’artista cinese che ha realizzato il Vecchietto danzante – rispetta la forma interiore della natura e del Cosmo al quale l’uomo non può attingere con strumenti razionali. 80 Anonimo, Cina Vecchietto danzante XIX secolo radice di legno intagliata e lucidata Mosca, Museo Statale di Arte Orientale L’autore utilizza la forma naturale di una radice conservandone la superficie irregolare. Il rispetto cinese per la vecchiaia è alla base di questo popolare soggetto iconografico. Il vecchio felice rappresenta l’idea taoista della ricerca di lunga vita attraverso un processo di perfezionamento interiore. Il vecchio è rappresentato felice come un fanciullo, e per associazione viene collegato al leggendario Laozi fondatore del Taoismo, il cui nome significa il “vecchio-bambino”. Pavel Filonov (Mosca 1883-Leningrado 1941) Buoi (Scena della vita dei selvaggi) 1918 olio su tela San Pietroburgo, Museo Statale Russo Dal 1903 al 1908, anni cruciali per la sua formazione, Filonov frequentò lo studio di Lev Dmtriev-Kavkavskij, un artista-etnografo che lavorava come illustratore per “L’Illustrazione universale”, rivista di divulgazione dei costumi delle popolazioni dell’Impero russo. Alcuni oggetti sciamanici possono facilmente essere identificati soprattutto nella produzione giovanile di Filonov: ad esempio in questo dipinto si riconosce lo spirito adiutore della Tigre. 81 OroCi Pavel Filonov Intagliato in forma di tigre, l’idolo presenta il corpo dipinto a strisce marroni e nere. Durante il kamlanie lo sciamano passava un bastone attraverso i fori del torso e lo fissava fra due alberi. La figura aiutava lo sciamano a ottenere fortuna nella caccia: se la battuta si rivelava propizia la bocca della tigre veniva strofinata con kaša e sangue di maiale. Filonov introduce elementi sciamanici nelle sue opere ma, contrariamente a Rerich, in un contesto urbano che ne stravolge il significato. Cionostante, l’antropomorfizzazione degli animali in Filonov ci rimanda ai riti della caccia all’orso e ad altre bestie delle popolazioni siberiane, nei cui sacrifici rituali l’animale era un interlocutore da rispettare. Spirito adiutore dello sciamano. Tigre legno, tinture San Pietroburgo, Museo Etnografico Russo (Mosca 1883-Leningrado 1941) Bestie (Animali) 1925-1926 olio su cartone San Pietroburgo, Museo Statale Russo Udeghei Spirito guardiano della taiga inizio del XX secolo legno dipinto, perline, metallo, pelle d’orso San Pietroburgo, Museo Etnografico Russo Figura antropomorfa seduta su una tigre con gli occhi di perline e un frammento di vestito di pelle. Rappresenta lo spirito a cui rivolgersi in occasione della caccia, da ringraziare per il successo sporcandone la bocca con il sangue dell’animale ucciso per “nutrirlo”. Se l’idolo rifiutava l’“aiuto”, veniva abbandonato nella taiga. 82 83 SPIRITI SILVANI Marija Ender, allieva di Matjušin, osservava che l’artista voleva arrivare ad abbracciare la struttura interna di un oggetto e attraverso «l’altezza di un albero comprendere la forma dell’appoggio delle radici e dei rami o attraverso il movimento di rotazione terrestre e delle nuvole sull’orizzonte, definire la forma del confine del bosco su un campo». Il filosofo Pavel Florenskij sembra riecheggiare questo concetto nel 1923: «La foresta è una forma quadridimensionale che si esprime nella durata, mentre l’esperienza della vita di un uomo e persino di generazioni, è troppo effimera rispetto all’estensione temporale di una foresta. Rimane la contemplazione mistica della foresta, ma nell’aspetto simbolico di una creatura particolare, che esternamente non assomiglia alla foresta, ma che diviene la foresta stessa al modo in cui un profumo può essere la sensazione di un intero fiore, vale a dire non resta che vedere la foresta nella sua istantaneità, nell’immagine, per esempio, di un elfo». 84 Nanai, regione di Chabarovsk Figura taumaturgica. Orso inizi del XX secolo legno dipinto San Pietroburgo, Museo Etnografico Russo La tradizione russa ritiene da sempre l’orso pari all’uomo, o almeno simile a lui. Analoghe figure terapeutiche, chiamate duente, erano realizzate dagli sciamani nanai per guarire svariate malattie e i reumatismi delle mani. Evenki, Siberia orientale, accampamento sul fiume Ol’dokon’ Spirito adiutore dello sciamano. Civetta (elemento di rituale sciamanico) fine XIX-inizio del XX sec. legno San Pietroburgo, Museo Etnografico Russo L’immagine dello spirito veniva posta su un alto palo, o in cima a un albero, di fronte alla tenda dello sciamano (čum) o dinanzi al luogo del rituale (mol’biše). Gli evenki ritenevano che lo spirito sciamanico della civetta Oksoki fosse in grado di vedere nel buio del mondo degli spiriti e quindi di contrastare gli spiriti malevoli. 85 Vasilij Vatagin (Mosca 1883-1969) Aquila 1913 legno San Pietroburgo, Museo Statale Russo Vatagin, scultore e disegnatore “animalista” fu profondamente attratto dai culti arcaici e dalla loro iconografia. Il suo interesse per le antiche religioni dell’Egitto e dell’India e per lo sciamanesimo si sviluppò in contiguità con i suoi interessi teosofici. Il contatto con lo sciamanesimo della regione oltre il lago Bajkal si sarebbe verificato solo in epoca sovietica, ma già in precedenza la natura appariva ai suoi occhi come organismo vivo, dotato di spirito e anima. Vera Chlebnikova (Maloderbetovskij 1891-Mosca 1941) Vento. Nostalgia del bosco 1920 circa matita, inchiostro di china, acquarello nero, biacca su carta Mosca, Collezione Vera MituričChlebnikova Dal 1916 al 1924, dopo un lungo interludio fiorentino, Chlebnikova tornò ad Astrachan, dove aveva passato l’infanzia con la famiglia, immergendosi nuovamente nell’Oriente esotico del mondo calmucco. L’illustrazione rappresenta forse la nostalgia per la foresta russa, metamorfizzata attraverso i colori di una tempesta di sabbia. Scrive l’artista che quando «Muore il mondo quotidiano e nell’anima carica di vita nasce un nuovo mondo, si vuole creare, amare, pregare in questi verdi fuochi». 86 Vera Chlebnikova (Maloderbetovskij 1891-Mosca 1941) Vila e Lešak. Nostalgia del bosco 1920 circa acquerello su carta Mosca, Collezione Vera MituričChlebnikova Fra il 1919 e il ’21 il fratello Velimir scrisse il poemetto Nostalgia del bosco, nel quale uno dei tre protagonisti era il Vento. Un altro protagonista del poemetto era lešak (Il Boscoso) modificazione del termine lešij (elfo), che l’artista rappresenta come un goffo omuncolo-animale, testimone della sotterranea vita parallela della natura. Vera Chlebnikova (Maloderbetovskij 1891-Mosca 1941) Foresta e funghi 1920 circa matita e pastello su carta Mosca, Collezione Vera MituričChlebnikova Sulle soglie della foresta, o sulle rive dei laghi, si avverte una sorta di vertigine e di smarrimento, che si materializza nella cavità senza fine di questa vecchia quercia circondata da funghetti e si smaterializza in altre cavità misteriose come la Macchia nera di Kandinsky e Il vuoto di Gončarova. 87 Sergej Konenkov (Karakoviči 1874-Mosca 1971) Stribog (Dio dei venti) 1910 legno con incrostazioni Mosca, Galleria Statale Tret’jakov L’artista sosteneva che nell’abbattere e poi intagliare i suoi tronchi si limitava a liberare dal legno gli dèi, i vecchi e gli animali mostruosi, fratelli degli gnomi e degli spiriti maligni che abitano l’immensa foresta russa dove secondo Konenkov «la notte si radunano i diavoli. Non ridete! Venite a vedere con i vostri occhi!». Forse per questo le sue effigi di legno, i loro volti e i gesti forti e consapevoli, esprimono «la pace dei campi e delle radure nelle foreste». 88 Aleksandr Borisov (Glubokij Ručej 1886-1934) Eclisse nella Novaja Zemlja nel 1896 1904 olio su tela San Pietroburgo, Museo Statale Russo Con questo maestoso esempio di luminismo Borisov registrava l’eclisse totale del 28 luglio 1896 e lo arricchiva di tonalità apocalittiche che alludevano al secolo morente che cedeva il passo al nuovo. In Russia il fenomeno dell’eclisse era messo in relazione con un imminente giorno del giudizio o con una punizione divina. Assistendo all’eclisse Borisov immaginò la dannazione che attendeva l’umanità se la luce fosse stata sconfitta dalle tenebre e, di conseguenza, il fuoco dal ghiaccio. 89 Testi Ludovica Sebregondi Coordinamento editoriale Ludovica Sebregondi Manuela Bersotti Progetto grafico RovaiWeber Design La pubblicazione riunisce i testi esplicativi della mostra L’Avanguardia russa, la Siberia e l’Oriente Kandinsky, Malevič, Filonov, Gončarova Firenze, Palazzo Strozzi 27 settembre 2013-19 gennaio 2014 a cura di John E. Bowlt, Nicoletta Misler, Evgenia Petrova Promossa e organizzata da Fondazione Palazzo Strozzi Ministero per i Beni e le Attività Culturali Soprintendenza PSAE e per il Polo Museale della città di Firenze Museo Statale Russo di San Pietroburgo Galleria Statale Tret’jakov di Mosca con Comune di Firenze Provincia di Firenze Camera di Commercio di Firenze Associazione Partners Palazzo Strozzi e Regione Toscana Main Sponsor Banca CR Firenze Sponsor Irkutsk Oil Company Sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana Con il patrocinio di Ministero degli Affari Esteri Ministero per i Beni e le Attività Culturali Ambasciata della Federazione Russa nella Repubblica Italiana 90 91 Fondazione Palazzo Strozzi Piazza Strozzi, 50123 Firenze www.palazzostrozzi.org