Poste Italiane S.p.A. Sped. Abb. Post. DL353/2003 (conv. In L. 2702/2004 n. 46) art. 1 comm. 1 AUT. GIPA/C/PD/29/2011. In caso di mancato recapito rinviare a CMP Padova per la restituzione al mittente previo pagamento resi O r g a n o u f f i c i a l e d e l l’ UNI TAL S I • B i m e s t r a l e n ° 2 - m a r / a p r 2 0 1 5 Dossier Salute Dono per la salvezza Sommario Editoriale D ossier Salute 2-5 IL PAPA A TUTTO CAMPO A. Metalli 20-21 Riflessione SUPERARE CON LA FEDE MALATTIA E DOLORE don D. Priori 26 pupi avati racconta C. De Carli 22 IL PRETE ‘GAUCHO’ riforma del CODICE DELLA STRADA M. Giuliano 18 INTERVISTA AL CARD. BASSETTI 28-29 Bioetica confronto con i nuovi diritti A. M. Cosentino di Card. Angelo Bagnasco, Card. Dionigi Tettamanzi, On. Beatrice Lorenzin, Carmine Arice, Federico Baiocco, Augusto Chendi, Alessandro De Franciscis, Miela Fagiolo D’Attilia, Fabrizio Noli Marco Tampellini 23 19 OBIETTIVO SARAJEVO LA GROTTA TORNA AI PELLEGRINI G. Pepe Editore: U.N.I.T.A.L.S.I. (Unione Nazionale Italiana Trasporto Ammalati a Lourdes e Santuari Internazionali) ALLA RICERCA DELLA DIGNITà è L’ORA DEL 5X1000 6-17 Caporedattore: Massimiliano Fiore 30-31 25 Dono per la salvezza Direttore responsabile: Filippo Anastasi 27 32 Leggere card. comastri e aldo M. valli Redazione: Fraternità, organo ufficiale dell’Associazione è iscritta al Roc n. 2397 c/o Presidenza Nazionale UNITALSI in Via della Pigna 13/A 00186 Roma Tel. 06.6797236-int 222, fax 06.6781421, [email protected] c/c postale n° 10274009 intestato a UNITALSI via della Pigna 13/A - 00186 RM Hanno collaborato: Card. Angelo Bagnasco, Card. Dionigi Tettamanzi, Mons. Luigi Marrucci, On. Beatrice Lorenzin, Carmine Arice, Federico Baiocco, Augusto Chendi, Angela Maria Cosentino, Alessandro De Franciscis, Miela Fagiolo D’Attilia, Chiara De Carli, Maristella Giuliano, Caterina Martino, Fabrizio Noli, Danilo Priori, Gaetano Pepe, Marco Tampellini Con approvazione ecclesiastica, rivista bimestrale, reg. n. 21 trib. Roma in data 5 gennaio 1988 Foto: Sergio Pancaldi, Marco Mincarelli, Monica Fagioli, archivio Unitalsi, huffingtonpost.it, ufficio stampa Emergency. Stampa: Mediagraf Spa viale della Navigazione Interna 89 35027 Noventa Padovana (PD) Finito di stampare: aprile 2015 facebook pagina ufficiale Questo periodico è associato all’Uspi twitter profilo ufficiale 800 062 026 prOntO Unitalsi [email protected] www.unitalsi.it di Mons. Luigi Marrucci Assistente Ecclesiastico Nazionale e Salvatore Pagliuca Presidente Nazionale Stare con i malati è “tempo santo” Quanti vengono a Lourdes come volontari di Unitalsi dicono sempre di ricevere più di quanto danno. è così per tutti, da chi viene per la prima volta a chi viene da cinquant’anni. È un momento di liberazione dell’animo, in cui la vita assume la sua vera dimensione e in cui chi dà riceve amore, gratitudine, amicizia e molta fede. Mentre si apprende la notizia dell’indizione dell’Anno Santo della Misericordia da parte di Papa Francesco, un evento di grazia attraverso il quale potremo riscoprire la gioia di essere Chiesa per rendere feconda la misericordia di Dio in ogni periferia umana ed esistenziale, ripercorriamo il primo incontro con Lourdes nel mese di febbraio. Abbiamo vissuto la Giornata mondiale del malato a Lourdes con tantissimi italiani, in una percentuale maggiore rispetto a quella delle altre nazionalità presenti. Per noi la ricorrenza dell’apparizione della Vergine Maria a Bernadette a Lourdes rappresenta un momento di richiamo necessario al senso del servizio che ci prepariamo ad offrire tutto l’anno. Preghiamo, facciamo festa e programmiamo insieme i pellegrinaggi a venire. Ovviamente c’erano tanti malati, a cui era dedicata la giornata, proprio perché sono fra i più cari alla Vergine, che già nei giorni in cui apparve a Bernadette cominciò a guarire i pellegrini, chiedendo alla bambina di far sapere che bisognava recarsi a Lourdes in processione. Papa Francesco ha inviato questo messaggio in occasione della Giornata del malato: “Il tempo passato accanto al malato è un tem-po santo”; è una “menzogna” indurre a credere che alcune vite “non sarebbero degne di essere vissute” solo perché toccate dalla malattia, anzi “le persone immerse nel mistero della sofferenza e del dolore (…) possono diventare testimoni viventi della fede”. Questa è una verità che tocchiamo con mano in pellegrinaggio come nella vita a casa. Sembra un modo di dire, ma quanti vengono come volontari di Unitalsi dicono sempre di ricevere più di quanto danno: è così per tutti, da quelli che vengono per la prima volta a chi viene da cinquant’anni. È un momento di liberazione dell’animo, in cui la vita assume la sua vera dimensione e in cui chi dà riceve amore, gratitudine, amicizia e molta fede. L’incontro con la Madonna non si conclude nel solo pellegrinaggio, altrimenti sarebbe una parentesi di una settimana appena sufficiente forse a sentirsi “più buoni”. Quello che noi cerchiamo non è questo, ma una condivisione, un cammino di fede, un’amicizia fra persone tutte in qualche modo bisognose. Nel Dna dell’Unitalsi è inscritto un episodio importantissimo successivo alle apparizioni: quando Bernadette tornò a casa e la madre vedendola sconvolta le chiese le ragioni di tanto stupore, la bimba rispose: “Perché Lei mi guardava come una persona”. Così è l’amicizia che ci unisce. Tu non sei il medico, l’avvocato, l’operaio, il prete, il malato o il volontario, tu sei innanzitutto una persona come me. Conosciuti da sempre come “quelli dei treni bianchi”, abbiamo sviluppato il nostro impegno al servizio della malattia e della sofferenza perchè possa diventare scuola di speranza. Perché non è lo scansare la sofferenza, la fuga davanti al dolore, che guarisce l’uomo, ma la capacità di accettare la tribolazione e in essa di maturare, di trovare senso mediante l’unione con Cristo, che ha sofferto con amore. Oggi più che mai abitiamo una società che prova a negare la realtà della sofferenza, per lasciare spazio solo al bello e al perfetto. La nostra esperienza associativa - particolarmente legata al messaggio della Grotta di Lourdes - è alimentata, invece, dalla gioia vera di tanti amici che hanno saputo leggere la propria condizione di sofferenza quale segno di attenzione del Signore. È questo il vero “miracolo” quotidiano che alimenta questo nostro cammino di Chiesa, dove il dolore ed il limite umano si sublimano nella certezza della speranza. Vogliamo essere testimoni di carità discreta e, al tempo stesso, efficace, al servizio delle necessità del prossimo. Per questo l’Anno Santo della Misericordia rappresenta una occasione ulteriore per orientare l’azione quotidiana dell’Unitalsi nel solco di una esperienza di Chiesa viva, fertile, che recepisce e trasmette l’entusiasmo per Dio e per la vita. 1 Le parole sono pietre Francesco dixit… • Il pastore deve avere lo stesso odore delle sue pecore • La corruzione “spuzza” • Si possono fare belle omelie, ma se non si è vicini alle persone, se non si soffre con la gente, se non si dà speranza, quelle prediche non servono, sono vanità • La realtà si vede meglio dalla periferia che dal centro, compresa la realtà di una persona, la periferia esistenziale • Avere fede non significa non avere momenti difficili, ma avere la forza di affrontarli sapendo che non siamo soli • Attenzione alle comodità! Quando ci sentiamo comodi, ci dimentichiamo facilmente degli altri • L’umiltà salva l’uomo; la superbia gli fa perdere la strada • Se noi siamo troppo attaccati alla ricchezza, non siamo liberi. Siamo schiavi • Il cuore si indurisce quando non ama. Signore, dacci un cuore che sappia amare! • Non c’è peccato che Dio non possa perdonare. Basta che noi chiediamo perdono • Gesù non è un personaggio del passato: Egli continua sempre ad illuminare il cammino dell’uomo Straordinaria intervista al Santo Padre Il Papa a tutto campo di Alver Metalli Lei parla molto di periferia. Questa parola gliel’abbiamo sentita usare tante volte. A che cosa e a chi pensa quando parla di periferie? Quando parlo di periferia parlo di confini. Normalmente noi ci muoviamo in spazi che in un modo o nell’altro controlliamo. Questo è il centro. Nella misura in cui usciamo dal centro e ci allontaniamo da esso scopriamo più cose, e quando guardiamo al centro da queste nuove cose che abbiamo scoperto, da nuovi posti, da queste periferie, vediamo che la realtà è diversa. Una cosa è osservare la realtà dal centro e un’altra è guardarla dall’ultimo 2 fraternità 02-2015 posto dove tu sei arrivato. Un esempio: l’Europa vista da Madrid nel XVI secolo era una cosa, però quando Magellano arriva alla fine del continente americano, guarda all’Europa dal nuovo punto raggiunto e capisce un’altra cosa. La realtà si vede meglio dalla periferia che dal centro. Compresa la realtà di una persona, la periferia esistenziale, o la realtà del suo pensiero; tu puoi avere un pensiero molto strutturato ma quando ti confronti con qualcuno che non la pensa come te, in qualche modo devi cercare ragioni per sostenere questo tuo pensiero; incomincia il dibattito, e la periferia del pensiero dell’altro ti arricchisce. La droga avanza e non si arresta e attacca i nostri giovani. Chi ci deve difendere? E noi come possiamo difenderci? è vero, la droga avanza e non si ferma. Ci sono paesi che ormai sono schiavi della droga. Quello che mi preoccupa di più è il trionfalismo dei trafficanti. Questa gente canta vittoria, sente che ha vinto, che ha trionfato. E questa è una realtà. Ci sono paesi, o zone, in cui tutto è sottomesso alla droga. Riguardo all’Argentina posso dire questo: fino a 25 anni fa era ancora un paese di passaggio, oggi è un paese di consumo. E, non lo so con certezza, ma credo che si produca anche. Come nasce l’intervista All’estrema periferia di Buenos Aires c’è una favela, qui la chiamano villa, dove vive padre Pepe, vecchio amico di Papa Francesco. A dargli una mano per aiutare i settantamila disperati di questa bidonville c’è Alver Metalli, che anni fa ha lasciato la vita comoda di giornalista Rai a Roma per andare in Argentina, tra i “memores domini”. Per anni ha frequentato assiduamente l’arcivescovo Bergoglio, adesso gli scatta l’idea raccogliere le domande di chi vive nella villa e portarle al Papa per pubblicarle sul foglio stampato nella ‘villa’ Càrcova, appunto Càrcova News. E il sogno diventa realtà. Papa Francesco riceve a Santa Marta Padre Pepe e Alver Metalli e sorprendentemente risponde su tutto. Qual è la cosa più importante che dobbiamo dare ai nostri figli? L’appartenenza. L’appartenenza a un focolare. L’appartenenza si dà con l’amore, con l’affetto, con il tempo, prendendoli per mano, accompagnandoli, giocando con loro, dandogli quello di cui hanno bisogno in ogni momento per la loro crescita. Soprattutto dandogli spazi in cui possano esprimersi. Se non giochi con i tuoi figli li stai privando della dimensione della gratuità. Se non gli permetti di dire quello che sento- no in modo che possano anche discutere con te e sentirsi liberi, non li stai lasciando crescere. Ma la cosa ancora più importante è la fede. Mi addolora molto incontrare un bambino che non sa fare il segno della croce. Vuol dire che al piccolo non è stata data la cosa più importante che un padre e una madre possono dargli: la fede. Lei vede sempre una possibilità di cambiamento, sia in storie difficili, di persone che sono provate dalla vita, sia in situa- zioni sociali o internazionali che sono causa di grandi sofferenze per le popolazioni. Cosa le dà questo ottimismo, anche quando ci sarebbe da disperarsi? Tutte le persone possono cambiare. Anche le persone molto provate, tutti. Ne conosco alcune che si erano lasciate andare, che stavano buttando la loro vita e oggi si sono sposate, hanno una loro famiglia. Questo non è ottimismo. È certezza in due cose: primo nell’uomo, nella persona. La persona è immagine di Dio e Dio non disprezza la 3 propria immagine, in qualche modo la riscatta, trova sempre il modo di recuperarla quando è offuscata; e, secondo, è la forza dello stesso Spirito Santo che va cambiando la coscienza. Non è ottimismo, è fede nella persona, che è figlia di Dio, e Dio non abbandona i suoi figli. Mi piace ripetere che noi figli di Dio ne combiniamo di tutti i colori, sbagliamo ad ogni piè sospinto, pecchiamo, ma quando chiediamo perdono Lui sempre ci perdona. Non si stanca di perdonare; siamo noi che, quando crediamo di saperla lunga, ci stanchiamo di chiedere perdono. Come si può arrivare ad essere sicuri e costanti nella fede? Noi attraversiamo alti e bassi, in certi momenti siamo coscienti della presenza di Dio, che Dio è un compagno di cammino, in altri ce ne dimentichiamo. Si può aspirare ad una stabilità in una materia come quella della fede? Sì, è vero, ci sono alti e bassi. In alcuni momenti siamo coscienti della presenza di Dio, altre volte ce ne dimentichiamo. La Bibbia dice che la vita dell’uomo sulla terra è un combattimento, una lotta; vuol dire che tu devi essere in pace e lottare. Preparato per non venir meno, per non abbassare la guardia, e allo stesso tempo godendo delle cose belle che Dio ti dà nella vita. Bisogna stare in guardia, senza essere né disfattisti né pessimisti. Come essere costanti nella fede? Se non ti rifiuti di sentirla, la troverai molto vicina, dentro al tuo cuore. Poi, un giorno potrà capitare che tu non senta un bel niente. Eppure la fede c’è, è lì, no? Occorre abituarsi al fatto che la fede non è un sentimento. A volte il Signore ci dà la grazia di sentirla, ma la fede è qualcosa di più. La fede è il mio rapporto con Gesù Cristo, io credo che Lui mi ha salvato. Questa è la vera questione riguardo alla fede. Mettiti a cercare tu quei momenti della tua vita dove sei stato male, dove eri perso, dove non ne azzeccavi una, e osserva come Cristo ti ha salvato. Afferrati a questo, questa è la radice della tua fede. Quando ti dimentichi, quando non senti niente, afferrati a questo, perché è questa la base della tua fede. E sempre con il Vangelo in mano. Portati sempre in tasca un piccolo Vangelo. Tienilo in casa tua. Quella è la Parola di Dio. È da lì che la fede prende il suo nutrimento. Dopotutto la fede è un regalo, non è un atteggiamento psicologico. Se ti fanno un regalo ti tocca riceverlo, no? Allora, ricevi il regalo del Vangelo, e leggilo. Leggilo e ascolta la Parola di Dio. La sua vita è stata intensa, ricca. Anche noi vogliamo vivere una vita piena, intensa. Come si fa a non vivere inutilmente? E come fa uno a sapere che non vive inutilmente? Beh, io ho vissuto molto tempo inutilmente, eh? In quei momenti la vita non è stata tanto intensa e tanto ricca. Io sono un peccatore come qualunque Buon Giubileo L’annuncio ufficiale è stato dato il 12 di aprile, domenica in Albis, ma Papa Francesco aveva stupito tutti già il 13 di marzo, secondo anniversario della sua elezione, quando aveva anticipato al mondo intero la sua intenzione di indire l’Anno Santo della Misericordia. Sarà un Giubileo nelle corde di questo pontificato, dedicato ad un tema specifico che vuole significare l’attenzione di Francesco alle periferie del mondo, alle periferie dell’anima alle periferie dell’esistenza. Un anno dedicato ai più deboli, ai più bisognosi, ai più doloranti nel fisico e nell’anima. Mai nessun Papa aveva mai dedicato un Giubileo straordinario ad uno specifico sentimento di gra- altro. Solamente che il Signore mi fa fare cose che si vedono; ma quante volte c’è gente che fa il bene, tanto bene, e non si vede. L’intensità non è direttamente proporzionale a quello che vede la gente. L’intensità si vive dentro. E si vive alimentando la stessa fede. Come? Facendo opere feconde, opere d’amore per il bene della gente. Forse il peggiore dei peccati contro l’amore è quello di disconoscere una persona. C’è una persona che ti ama e tu la rinneghi, la tratti come se non la conoscessi. Lei ti sta amando e tu la respingi. Chi ci ama più di tutti è Dio. Rinnegare Dio è uno dei peggiori peccati che ci siano. San Pietro commise proprio questo peccato, rinnegò Gesù Cristo… e lo fecero Papa! Allora io cosa posso dire?! Niente! Per cui, avanti! Lei ha attorno a sè persone che non sono d’accordo con quello che fa e che dice? Si, certo. Come si comporta con loro? Ascoltare le persone, a me, non ha mai fatto male. Ogni volta che le ho ascoltate, mi è sempre andata bene. Le volte che non le ho ascoltate mi è andata male. Perché anche se non sei d’accordo con loro, sempre – sempre! – ti danno qualcosa o ti mettono in una situazione che ti spinge a ripensare le tue posizioni. E questo ti arricchisce. È il modo di comportarsi con quelli con cui non siamo d’accordo. Ora, se io non 4 fraternità 02-2015 zia, come la misericordia. Finora i precedenti parlano di Anno Santo straordinario indetto da Pio XI (1933) per i 1900 anni della Redenzione e di quello analogo indetto nel 1983 da Giovanni Paolo II, per l’anniversario dei millenovecentocinquanta anni della Redenzione. Un Anno Santo che per noi dell’ Unitalsi calza a pennello, come un abito su misura. Nella misericordia c’è la missione dei nostri volontari e nel dolore c’è la vita quotidiana. Poi la data d’inizio, quella dell’apertura della Porta Santa, è il nostro giorno, la festa dell’ Immacolata. A Lourdes e soprattutto a Roma ci sarà molto da fare per tutti noi. Buon Giubileo F.A. sono d’accordo con qualcuno, smetto di salutarlo, gli chiudo la porta in faccia, non lo lascio parlare, e non gli domando le ragioni del disaccordo, evidentemente mi impoverisco da solo. Dialogando, ascoltando, ci si arricchisce. La moda di oggi spinge i ragazzi verso rapporti virtuali. Come fare perché escano dal loro mondo di fantasia? Come aiutarli a vivere la realtà e i rapporti veri? Io distinguerei il mondo della fantasia dalle relazioni virtuali. A volte i rapporti virtuali non sono di fantasia, sono concreti, sono di cose reali e molto concrete. Ma evidentemente la cosa desiderabile è il rapporto non virtuale, cioè il rapporto fisico, affettivo, il rapporto nel tempo e nel contatto con le persone. Io credo che il pericolo che corriamo ai nostri giorni è dato dal fatto che disponiamo di una capacità molto grande di riunire informazioni, dal fatto insomma di poterci muovere in una serie di cose virtualmente, ed esse ci possono trasformare in “giovani-museo”. Un “giovane-museo” è molto ben informato, ma cosa se ne fa di tutto quello che sa? La fecondità, nella vita, non passa per l’accumulazione di informazioni o solamente per la strada della comunicazione virtuale, ma nel cambiare la concretezza dell’esistenza. Ultimamente vuol dire amare. Tu puoi amare una persona, ma se non le stringi la mano, o non le dai un abbraccio, non è amore; se ami qualcuno al punto di volerlo sposare, vale a dire, se vuoi consegnarti completamente, e non lo abbracci, non gli dai un bacio, non è vero amore. L’amore virtuale non esiste. Esiste la dichiarazione di amore virtuale, ma il vero amore prevede il contatto fisico, concreto. Andiamo all’essenziale della vita, e l’essenziale è questo. Dunque, non “giovani-museo” informati solo virtualmente delle cose, ma giovani che sentano e che con le mani – e qui sta il concreto – portino avanti le cose della loro vita… Mi piace parlare dei tre linguaggi: il linguaggio della testa, il linguaggio del cuore e il linguaggio delle mani. Ci deve essere armonia tra i tre. In modo tale che tu pensi quello che senti e quello che fai, senti quello che pensi e quello che fai, e fai quello che senti e quello che pensi. Questo è il concreto. Restare solamente nel piano virtuale è come vivere in una testa senza corpo. Per televisione sentiamo notizie che ci preoccupano e ci addolorano; che ci sono fanatici che la vogliono uccidere. Non ha paura? E noi che le vogliamo bene che cosa possiamo fare? Guarda, la vita è nelle mani di Dio. Io ho detto al Signore: Tu prenditi cura di me. Ma se la tua volontà è che io muoia o che mi facciano qualcosa, ti chiedo un solo favore: che non mi faccia male. Perché io sono molto fifone per il dolore fisico. 5 Il cardinale Angelo Bagnasco D ossier Salute Il pianeta salute La salute e i suoi problemi, la salute del corpo e i suoi misteri di guarigioni inspiegate sono argomenti ai quali tutti noi dell’ Unitalsi ci avviciniamo durante i nostri pellegrinaggi, ma anche quotidianamente. Mirabilmente il cardinale Tettamanzi ci spiega che la salute è un dono per il bene nostro e degli altri, che ci aiuta a capire come la salvezza in Cristo è il dono più atteso e infinitamente più prezioso. In questo dossier vogliamo analizzare ogni aspetto del pianeta salute, da quello teologico, a quello umano. Passeremo dal punto di vista degli operatori sanitari alle guarigioni miracolose. Ovunque alla ricerca di un segno che ci aiuti a vivere meglio la nostra vita e a far vivere meglio la vita ai sofferenti. F.A. 6 fraternità 02-2015 Grazie Unitalsi Il Mistero Pasquale Eminenza cosa dire ai volontari dell’Unitalsi? La salute è un dono la salvezza è guarigione Sono essenziali, sono essenziali e ne approfitto per dirgli grazie, a nome mio e a nome di tutti i vescovi italiani e soprattutto da parte degli ammalati. Il cardinale Dionigi Tettamanzi nasce a Renate, provincia di Monza e della Brianza, 85 anni fa. Grandissimo teologo, viene dapprima nominato Arcivescovo di Ancona-Osimo (1989), poi di Genova (1995) e infine di Milano (2002), dove rimane in carica fino al 2011. È stato segretario generale e vicepresidente della Cei. Cardinale dal 1998. Cosa dovrebbe fare per l’Unitalsi per la pastorale della salute e per aiutare di più la Chiesa? Innanzitutto rimanere fedele a se stessa, alla propria vocazione e portare i malati dalla Madonna. Questo è essenziale e questo nei limiti del possibile accompagnare i malati nella loro solitudine e nelle loro case e nei loro luoghi di degenza e una presenza sempre più intensa dei volontari giovani e meno giovani. Ma innanzitutto portarli dalla Madonna, ma perché l’Unitalsi nasce così, e quindi è bello continui così nonostante le difficoltà di oggi. No al pessimismo sterile, no alle lamentele, siamo pochi, siamo anziani, non è questo lo spirito cristiano, la mancanza di fiducia non è cristiano. Il Carisma dell’Unitalsi è la Madonna, sono gli ammalati, il carisma dell’Unitalsi è accompagnare i malati fuori di casa, questo non è indifferente non è privo di significato. Uscire di casa insieme con gli altri, è questo lo scopo, i malati fuori casa per incontrare la Santa Vergine. Angelo Bagnasco nasce a Pontevico (Brescia) nel 1943, da famiglia genovese sfollata per la guerra. Vescovo di Pesaro nel 1998, poi Ordinario militare nel 2003 e arcivescovo di Genova nel 2006. Nel 2007 sostituisce il card. Camillo Ruini alla Presidenza della Cei (Conferenza Episcopale Italiana) ed è creato cardinale da Benedetto XVI. di Dionigi card. Tettamanzi Nella gioia e nella fatica d’ogni giorno la nostra vita ci si presenta come un dono straordinario che ha la sua sorgente nella paternità di Dio: “In lui infatti vivia-mo, ci muoviamo ed esistiamo” (Atti 17,28). Ed è nella incrollabile fedeltà di Dio a questa sua paternità che ci viene donata la fede: una fede che sta o cade sul mistero centrale della risurrezione di Gesù, il Crocifisso risorto. E così veniamo sollecitati a cogliere il logos - il senso, la bellezza e la responsabilità - che la risurrezione del Signore riveste per la nostra vita di quaggiù: questa, in realtà, non si identifica con la totalità della vita umana, ma ne è soltanto “l’inizio”. Infatti il nostro corpo terreno, con il suo soffrire e il suo gioire, dovrà da un lato subi-re la morte biologica e dall’altro lato ricevere un’esistenza assai diversa (cfr 1Cor 15, 44). Scaturisce da qui la consapevolezza del cristiano di essere quaggiù un “pellegri-no” che conduce una vita, per vari aspetti, provvisoria: “Passa la scena di questo mondo” (1Cor 7,31). D’altra parte la stessa risurrezione del Signore Gesù, mentre ci conferma che tutto è relativo e tutto deriva e tende alla paternità di Dio, ci dice che questo nostro corpo e questa nostra vita non sono delle semplici “impalcature” da sopportare e da eliminare. Sono invece “espressioni della nostra persona” che verranno trasfigurate e portate a compimento. E questo a partire da Cristo risorto, che ci spinge ad “osare la speranza”, ossia ad “aprire al futuro” ogni nostro momento e aspetto di vita, anche senza un’apparente via d’uscita. Si tratta di un’audacia che nasce e cresce nell’esistenza di ogni giorno, “quando tutto va bene”, quando salvezza e salute sem-brano essere intimamente alleate tra loro rendendo così piacevole la vita sino a non pensare che un giorno essa verrà trasformata: passerà attraverso un suo declino ed entrerà nella gloria di Dio. È proprio la contemplazione della Pasqua di Cristo a farci evitare il pericolo di confondere tra loro salvezza e salute. L’azione salvifica del Signore Gesù durante la sua vita terrestre e il dono che egli ha fatto di se stesso fino alla morte di croce ci chiedono di tenere in armonica tensione due realtà e affermazioni che potrebbero sembrare in contraddizione l’un l’altra. La prima affermazione riguarda la salute fisica e psichica: questa è un bene prezioso che rivela qualcosa della salvezza di Dio che in Gesù si è preso cura dei malati e dei sofferenti. Non però di tutti quelli che egli ha incontrato: del resto le guarigioni narrate nel Vangelo sono solo dei “segni” che aprono la prospettiva su valori più grandi della salute stessa. Sì, la salvezza di Dio è molto di più che la salute: in realtà la salvezza è guarigione non di “una parte” dell’uomo, ma di “tutto” l’uomo e di “tutta” l’umanità. Al riguardo possiamo essere illuminati da un esempio riferitoci dall’evangelista Marco (1,29-31). Gesù si trova in casa di Pietro, dove la suocera dell’apostolo è in preda a una forte febbre. Ora il Signore la prende per mano e “la solleva”. Si noti: il verbo greco usato dall’evangelista rimanda ad un gesto di risurrezione: “la fa risorgere”. Quella di Gesù è dunque una missione liberante, tanto che la suocera si mette a servire il Signore e i suoi discepoli. La salute è un dono per il bene nostro e degli altri, un dono che ci aiuta a capire che la salvezza stessa è il dono più atteso e infini-tamente più prezioso. Questa è la logica del Regno: l’amore di Dio per l’uomo, espresso nell’attività terrena di Gesù (in particolare quella cosiddetta “terapeutica”), anticipa quella salvezza di tutta un’umanità che soffre nella malattia e nella morte, così come e ancor più soffre per la schiavitù del male morale, il male del peccato e dell’iniquità. E così, da una parte, troviamo il dono miracoloso che invita l’uomo ad aprirsi alla misericordia di Dio e, dall’altra parte, notiamo come questa apertura a Dio si accompagna ed esige il segno della nostra carità: una carità che dà sollievo concreto all’uomo nella sua infermità e fragilità. I due aspetti indicati vengono unificati nella Morte e Risurrezione di Gesù, in quel Mistero Pasquale in cui l’amore di Dio per l’uomo si manifesta e si fa efficace nella vittoria sul dolore e sulla morte sconfitti nella Pasqua del Signore. È dunque in Cristo crocifisso e risorto che la salvezza dell’uomo raggiunge la sua pienezza definitiva. Dopo la sua Risurrezione, attraverso il dono dello Spirito Santo, Gesù rimane vivo e operante nella sua Chiesa che lo invoca, lo annuncia e lo serve. Rimane presente in ogni uomo, presente in ogni cuore umano. Sta qui il punto centrale e qualificante della “pastorale della salute”: far sì che la vita e la morte di ogni persona si aprano e vengano assunte e redente da Cristo crocifisso e risorto. Merita qui il posto di una conclusione, che rasserena e insieme stimola la pastorale della Chiesa e di ciascun suo membro, il numero 32 del Sinodo del 2012 sulla Nuova Evangelizzazione: “La nuova evangelizzazione deve essere sempre cosciente del mistero pasquale di morte e risurrezione di Gesù Cristo. Da questo mistero infatti si diffonde una luce sulle sofferenze e malattie degli uomini, che dalla Croce di Cristo possono comprendere e accettare il mistero della sofferenza che offre loro la speranza nella vita che viene. Nel malato, in chi soffre, in quanti sono portatori di handicap e in chi si trova in uno speciale bisogno, la sofferenza di Cristo è presente e possiede una forza missionaria. Per i cristiani deve esserci posto per i sofferenti e per i malati. Loro hanno bisogno della nostra cura, ma noi riceviamo ancora di più dalla loro fede. Attraverso il malato, Cristo illumina la sua Chiesa in modo che chiunque entri in contatto con il malato può trovare riflessa la luce di Cristo. Ecco perché i malati sono così importanti nella nuova evangelizzazione” (n. 32). Dossier Salute 7 D Il Ministro della Salute Beatrice Lorenzin Volontariato risorsa insostituibile di Massimiliano Fiore Ministro, dal virus Ebola alla spending review come sta cambiando il sistema sanitario Nazionale. Come fate convivere sperimentazione e risparmio? Con il Patto per la Salute che abbiamo siglato il 10 luglio 2014 sono state introdotte importanti novità, tra cui la certezza del budget che permetterà di riprogrammare il sistema sanitario nel segno dell’appropriatezza, della lotta agli sprechi, dell’efficienza e della qualità. Ciò al fine di dare risposte sempre più qualitative ai bisogni sanitari dei cittadini e far fronte alle nuove sfide che si impongono alla nostra attenzione, quali l’invecchiamento della popolazione ed i nuovi farmaci. Uno strumento valido per la lotta agli sprechi è senza dubbio la digitalizzazione del sistema, utile per la tracciabilità dei processi. La lotta agli sprechi è dunque il cardine del nostro progetto. I risparmi che deriveranno dalle azioni di razionalizzazione saranno reinvestiti in sanità, nel personale e nell’ammodernamento tecnologico, per fare due esempi. La qualità del nostro sistema sanitario va non solo mantenuta ma anche implementata, è questo che i cittadini si aspettano. In merito alla risposta alle emergenze sanitarie di tipo biologico, malattia da virus Ebola compresa, pur richiedendo indubbiamente maggiori risorse nel momento in cui queste si manifestano, poggia, nel nostro Paese, su una rete consolidata di sanità pubblica, su centri diagnosticoterapeutici di eccellenza, nonché sugli Uffici di sanità del ministero della Salute, presenti nei porti e aeroporti, che, quotidianamente, applicano misure di prevenzione, controllo e profilassi nei confronti della popolazione generale e per specifici casi di malattie infettive e, ove previsto, dei loro contatti. Sempre più persone con disabilità anziane e giovani chiedono più servizi efficienti e un’assistenza alla persona aggravando la rete di volontariato ormai al collasso. Ministro, quali i rimedi e quale importanza del volontariato? Il volontariato è una risorsa insostituibile per il nostro Paese. Fare volontariato significa prendersi cura degli altri, regalare un sorriso a chi soffre, mettendo a disposizione delle persone meno fortunate il nostro tempo, le nostre competenze, la 8 fraternità 02-2015 La tragica fine di Annalena Tonelli Beatrice Lorenzin nasce a Roma nel 1971. Eletta alla Camera dei Deputati da due legislature, la prima con Forza Italia, la seconda con NCD. Ministro della Salute del governo Letta dal 28 aprile 2013 viene riconfermata nel governo Renzi il 22 febbraio 2014 nostra umanità. Le migliaia di volontari del nostro Paese che si pongono gratuitamente al servizio degli altri rappresentano un esercito virtuoso, una forza buona che auspico cresca sempre di più. E in sanità ciò è ancora più importante perché i volontari affiancano gli operatori sanitari, che da soli non possono fare tutto, rappresentando un ausilio prezioso per loro e per i malati. Io credo molto nella necessità dello sviluppo di una cultura dell’umanizzazione delle cure e ritengo che il volontariato sia in questo un grande ausilio e una grande risorsa. Ma i volontari sono importantissimi non solo all’interno delle strutture sanitarie, ma anche sul territorio per l’azione di sensibilizzazione e informazione ai cittadini su tanti temi importanti, azione che possono svolgere grazie alla diffusione capillare di molte associazioni di cui fanno parte. In questo ambito rappresentano per noi un prezioso ausilio per sensibilizzare la popolazione sull’importanza della prevenzione, stili di vita e screening, ad esempio. Ringrazio dunque veramente di cuore tutti voi che dedicate tempo ed energie per migliorare la qualità di vita delle persone affiancandoci ogni giorno nel veicolare un’informazione corretta e nel dare sostegno e assistenza a chi ne ha bisogno. All’Italia del volontariato, della cooperazione sociale, dell’associazionismo noprofit e delle imprese sociali il Governo si sta rivolgendo con una grande proposta di riforma - un disegno di legge delega - posta all’attenzione del Parlamento dopo un confronto con gli operatori. L’idea guida è che il mondo del terzo settore possa fornire un contributo determinante allo sviluppo per la sua capacità di esser motore di partecipazione dei cittadini e di costruire legami sociali, mettendo in rete risorse, competenze e soluzioni innovative. Tutta questa rivoluzione investirà direttamente il variegato mondo del volontariato per la salute, cui già il Ministero dedica attenzione attraverso la vetrina rappresentata dal sito tematico www.volontariatosalute.it ove è assicurato alle associazioni che lo richiedono un servizio di visibilità, oltre all’incontro con gli operatori e alla possibilità di comunicare le tante encomiabili iniziative realizzate sul territorio nazionale. Martire in missione contro la TBC di Miela Fagiolo D’Attilia Popoli e Missioni I malati la chiamavano “Hooyedeen” che in somalo vuol dire “la nostra madre”. Per l’Organizzazione Mondiale della Sanità invece era doctor Tonelli, referente per la Somalia per la lotta alla tubercolosi, piaga endemica del Corno d’Africa. Per tutti, la donna che diceva di sé “Io sono nobody” è rimasta una icona della missione, per la sua incrollabile fede nel Cristo e per i molti miracoli quotidiani di accoglienza dei nomadi somali a cui ha dedicato tutta l’esistenza. Nata a Forlì nel 1943, Annalena è stata uccisa il 5 ottobre del 2003 da un colpo di pistola alla testa, sparato a bruciapelo nel cortile del “Tb Center” di Borama da lei fatto costruire in Somaliland. Aveva appena finito l’ultimo giro di visita dei pazienti e la somministrazione dei farmaci previsti dal protocollo di cura da lei messo a punto, nei lunghi anni di servizio per la cura dei malati di tubercolosi, il Dots, poi applicato in tutto il mondo. Annalena, “donna, sola e cristiana” era una missionaria laica partita alla fine degli anni Sessanta dall’Italia per il Kenya, infiammata dalla passione che condivideva con gli amici del “Comitato per la lotta contro la fame nel mondo” di Forlì. Aveva una laurea in legge che avrebbe messo da parte per imparare sul campo a curare i nomadi del deserto, di cui ammirava quella “fede rocciosa” con cui si è misurata, vivendo un dialogo con l’islam, spesso non facile, ma senza dubbio esemplare. In Somalia si impegnò come medico e come religiosa ottenendo un prestigioso riconoscimento dall’ONU Lo scopo di Annalena era quello di una totale condivisione con le popolazioni islamiche somale: per questo si è fatta in tutto uguale a loro nella povertà e nelle sofferenze, convinta che solo chi si fa povero e condivide la sofferenza delle persone che le sono date, può essere tramite dell’amore di Cristo. In questa chiave si può capire come una donna dalla forte personalità mistica, eremitica e ascetica, abbia potuto costruire ospedali, salvare miglia di persone e vincere battaglie là dove in tanti erano stati sconfitti. A chi le chiedeva ragione della sua vita, rispondeva: “Ho scelto di essere per gli altri: i poveri, gli sfruttati, gli abbandonati, i non amati. Così sono stata e confido di continuare ad essere fino alla fine della mia vita. Volevo seguire solo Gesù Cristo. Null’altro mi interessava così fortemente: Lui e i poveri in Lui”. Dal primo ospedale a Wajir in Kenya a quello di Merka in Somalia e infine a quello di Borama nel Somaliland, doctor Tonelli ha vissuto la sua coraggiosa missione lottando contro l’oppressione delle donne, creando scuole per handicappati, preparando migliaia di pasti per i più bisognosi. Un impegno che le ha valso l’assegnazione del prestigioso Premio Nansen dell’Alto Commissariato per i Rifugiati dell’Onu ma anche il risentimento dei signori della guerra somali, coinvolti - non è stato mai chiarito come – nella sua morte. Ma Annalena è viva nella memoria della gente a cui ha dato se tutta sé stessa. “Chi ha avuto una vita più bella della mia?” rispondeva sorridendo a chi le chiedeva il senso del suo servizio. DossierDossier Salute 9 D Con fedeltà creativa accanto ai malati di Don Carmine Arice Direttore dell’Ufficio Nazionale per la pastorale della salute della CEI Si legge nello Statuto che “L’UNITALSI è un’associazione pubblica di fedeli che, in forza della loro fede e del loro particolare carisma di carità, si propongono di incrementare la vita spirituale degli aderenti e di promuovere un’azione di evangelizzazione e di apostolato verso e con le persone ammalate, disabili e in difficoltà, in riferimento al messaggio del Vangelo e al Magistero della Chiesa” (art. 1). È un programma di vita cristiana completo, affascinante, esigente e impegnativo che riassumerei così: amici di Cristo e a servizio dell’evangelizzazione della Chiesa, nel mondo della sofferenza. Mi pare di ritrovare tutti gli obiettivi della pastorale della salute, descritta da un documento della CEI come “la presenza e l’azione della Chiesa per recare la luce e la grazia del Signore a coloro che soffrono e a quanti se ne prendono cura”. Siamo in vocazione e possiamo quindi dire che l’UNITALSI può essere un’espressione significativa della pastorale della salute della Chiesa, vista anche la sua esigente natura giuridica di associazione pubblica di fedeli. Ma l’associazione non è una realtà astratta, essa è composta da persone concrete, ed esiste e si realizza in quanti oggi accolgono, in forza della loro fede, questo carisma di carità. Cari amici mi sono attardato nelle premesse, perché ritengo vitale una continua. attenta e sincera riflessione sul carisma originario della nostra esperienza evangelica, in un momento così complesso e difficile, come quello che oggi stiamo attraversando. La sfida che ci sta davanti è grande: una fedeltà creativa al carisma unitalsiano. Fedeltà perché l’UNITALSI ha visto riconosciuta dalla Chiesa una missione che non può essere tradita; creativa perché la situazione è sempre in mutamento e i contesti socio-culturali nei quali l’annuncio del Vangelo viene proposto, sono in continua evoluzione. Contesti, mutamenti e difficoltà connesse non sono un intralcio all’opera di evangelizzazione bensì il presente che ci provoca e chiede una risposta capace di ridire con linguaggi sempre nuovi l’amore di Dio agli uomini, nella testimonianza della carità. Essere nel mondo della salute il “ci sono di Dio”, presenza che accompagna malati e sofferenti nel loro cammino di vita esercitando il ministero della consolazione (cfr. Francesco, Lumen fidei, 57), è lo scopo dell’Associazione, quello che ci ha dato la Signora alla Grotta di Massabielle, senza il quale la sua esistenza non avrebbe più senso. Ed è una storia che stanno scrivendo tanti soci, lontani da giornali e televisioni, ma presenti accanto a chi soffre. Questo rimane l’unico l’obiettivo irrinunciabile dell’Associazione anche qualora la crisi economica e gestionale che stiamo attraversando fosse, come ci auguriamo tutti, brillantemente superata. Riflettiamo sovente sull’articolo 1 dello Statuto. Non può che farci del bene! 10 fraternità 02-2015 Il medico di fronte alla Grotta di Federico Baiocco Responsabile Nazionale Medici Unitalsi Difficilmente mi viene posto un quesito quando mi accingo a scrivere per Fraternità, ma in questo caso il quesito è duplice. Il medico e l’operatore sanitario cambiano la propria missione di fronte al popolo dei pellegrinaggi a davanti ad eventuali guarigioni inspiegate? Qualsiasi persona di buon senso può modificare la propria sensibilità e disponibilità al servizio di fronte alla sofferenza, e occasioni di pellegrinaggio sono condensati di povertà umana nella percezione che ci si offre al prossimo come si è. Lontani dalle proprie certezze e disponibili ad offrire i propri dubbi, paure e povertà. Il medico in questo caso, seppur nella propria competenza, non viene chiamato a dare una terapia, ma ad accogliere questa condizione di disagio profondo. Solo se dentro di se fa spazio per accogliere tutto ciò, diventa possibile percorrere una strada comune. Ma c’è una chiave di volta che può aiutare il medico: la grotta di Massabielle. È quel luogo che ha cambiato e che continua a cambiare tanti operatori sanitari e non solo. Lo spazio che Bernadette ha fatto dentro di se e che, mi sia permesso, anche Maria ha fatto in lei, sono l’esempio e lo sprone per poter accogliere la sofferenza dell’altro cosi come è: nuda, cruda, talvolta spaventosa, quasi incomprensibile. Lourdes è l’unico luogo dove sono avvenute guarigioni inspiegate (non spiegabili nel momento temporale in cui accadono) e questo pone ai medici quesiti profondi che spesso hanno risposta complessa e talvolta non ne hanno. E quando non riusciamo a dare risposta poniamo la definizione di guarigione inspiegata, nella quale la nostra scienza non riesce ad entrare più e lascia il campo ad interventi che fuori dalla nostra portata vengono definiti soprannaturali. Noi medici non parliamo di miracoli, problematica da sviluppare in altra sede, ma restiamo profondamente colpiti da quanto accade di fronte alla Grotta. Non è la guarigione inspiegata che mi spinge a tornare lì non appena mi è possibile, ma la certezza che in quel luogo c’è la possibilità di vivere una condizione di condivisione, nella quale ognuno può trovare la propria via. Varie volte ho presentato gli ambiti secondo i quali il medico e gli operatori sanitari possono avvicinarsi al servizio a Lourdes. PROFESSIONALE: vedere e riconoscere la sofferenza dell’altro. UMANA: stare accanto alla persona mediante l’ascolto. CRISTIANA: “servire” con gli altri per rivelare il volto di Gesù medico. Ma tutto questo ha senso se queste prospettive le collochiamo in quella più ampia della Grotta, dove Bernadette e Maria hanno fatto spazio al Gesù che può anche essere medico. Esperienza, quella di Bernadette e Maria, che seppur nella specificità temporale e personale, con un pò di presunzione può diventare esperienza ripetibile quando come medico, o come semplice volontario, di fronte alla grotta accompagno una persona sofferente. Coscienti che siamo insieme popolo dei pellegrinaggi, e che ognuno ha la possibilità di avere la propria guarigione inspiegata, più o meno tangibile, consapevoli che tutti hanno il diritto a guarire, secondo le proprie possibilità e secondo un progetto che non sempre è comprensibile. Dossier Salute 11 D I nostri miracolati Alessandro De Franciscis Il mistero che non so spiegare Elisa Aloi Nasce a Patti, nel 1931 e risiede a Messina. Vive per undici anni ingessata in tutto il corpo per una gravissima forma di tubercolosi ossea fistolosa, che inizia a 17 anni. Al secondo viaggio a Lourdes, nel 1958, ormai morente, dopo l’ennesimo intervento chirurgico, senza alcun beneficio, viene bagnata nell’acqua delle piscine. Avverte subito la sensazione di riprendere possesso delle sue membra, ma non le credono. Al ritorno a casa esce dal suo sarcofago di gesso e riprende a camminare. Nel 1965 l’Arcivescovo di Messina decreta la sua guarigione miracolosa. di Filippo Anastasi Professore che differenza trova tra fare il medico, il professore universitario ed essere adesso un ispettore di miracoli? Ma come saprà non mi occupo di miracoli, ma di guarigioni inspiegate o apparentemente inspiegate. Mi pare di trovare in questo lavoro un completamento del mio cammino, peraltro inatteso e provvidenziale, perché non ho fatto richiesta di andare a Lourdes, ma è stato il Vescovo che mi ha convocato facendomi questa proposta e mi è apparsa, come già detto altre volte, la svolta della mia vita. A Lourdes è molto netta la distinzione tra guarigione e miracolo. Ai medici spetta studiare le guarigioni, come stabilito dall’istituzione del Bureau nel 1883, e invece ai vescovi e quindi alla gerarchia della Chiesa di discernere davanti alla guarigione su cui medici si sono pronunciati definendola inspiegata e inspiegabile. I vescovi poi esprimono un’interpretazione cristiana del senso del miracolo. Nell’ambito medico noi facciamo la stessa cosa. In medicina esistono fenomeni di guarigioni inspiegate? Sì che esistono e lo studio che si fa è esattamente quello di cercare di inquadrare innanzitutto la pregressa malattia o un malattia nota, la guarigione certa e poi cercare se c’è una spiegazione conosciuta. Questo è il lavoro che si fa a Lourdes solo tra medici, unica indagine nell’unico luogo di pellegrinaggio di tutte le religioni che conosca. Insomma nel fare questo mi sento a mio agio. Quanti casi all’anno meritevoli di attenzione passano per il Bureau di Lourdes? Insieme con la mia segretaria stimiamo di effettuare un centinaio di incontri l’anno. Ascolto un centinaio di storie e le registro pubblicandole sul bollettino dell’associazione internazionale medica di Lourdes e ne registro tra 30 e 40 che considero serie, veritiere. Dopodiché inizia la caccia ovviamente alle notizie e alla documentazione. E lì devo dire che non ho nessuna collaborazione da parte delle persone. Rispetto al recente passato c’è un enorme cambiamento. Le persone oggi vengono dal dottore, dal medico della Grotta e vengono a raccontare una storia altamente verosimile, ma non hanno nessuna aspirazione a fare il lavoro di raccolta della documentazione di raccogliere le cartelle cliniche. Non hanno nessuna ambizione di essere riconosciuti come miracolati, quindi c’è 12 fraternità 02-2015 Vittorio Micheli Nasce nel 1940 a Borgo Valsugana, in provincia di Trento, dove risiede. A 22 anni, durante il servizio militare come alpino, gli trovano un cancro al collo del femore e all’anca. L’osso è stato mangiato da tumore. Viene portato a Lourdes, è morente, non mangia quasi più, lo bagnano nell’acqua delle piscine e subito avverte immediati forti miglioramenti. Viene ricoverato all’ospedale militare di Trento, si sente bene, ma i medici per mesi non gli credono. Eppure riprende a camminare e gli esami radiografici sono sorprendenti: l’osso eroso dal tumore risulta ricostruito. Tredici anni dopo l’Arcivescovo di Trento decreta la guarigione miracolosa. Delizia Cirolli Nasce nel 1964 a Paternò, in provincia di Catania, dove risiede tuttora e fa l’ infermiera. All’ età di 12 anni, bambinetta, viene colpita da un tumore osseo al ginocchio. I medici consigliano l’amputazione, ma il papà la rifiuta e la porta a Lourdes, da dove però torna aggravata. Due mesi dopo è moribonda. Gruppi di preghiera si formano intorno alla bambina, che il giorno dell’ Immacolata viene bagnata con l’acqua di Lourdes. Delizia improvvisamente si alza dal letto e si mette a camminare, desiderando uscire da casa. Il miracolo è riconosciuto dall’ Arcivescovo di Catania, nel 1989,tredici anni dopo l’inspiegabile guarigione. un cambiamento antropologico molto interessante tra le guarigioni di Lourdes. Nell’ultimo caso della Sig.ra Castelli, il medico, il professore si imbatte nel mistero del miracolo, che sensazione prova? Alla domanda se credo ai miracoli, la risposta è sì. Provo la stessa emozione del primo barelliere giunto per la prima volta a Lourdes, con la differenza che nella maturità della vita e della mia professione ho limpida e chiara la missione che mi è stata affidata dal Vescovo di Tarbes e Lourdes quella di cercare la verità. Quindi sono innanzitutto alla ricerca della verità, quando poi questo lavoro è terminato - il cristiano che sono e l’amico di Lourdes che sono - mi inginocchio commosso davanti al mistero che non ho saputo spiegare. Nella foto Presidente Bureau des Constatations Médicales di Lourdes Danila Castelli Nasce il 16 gennaio del 1946, a Bereguardo, in provincia di Pavia, dove vive tuttora. Dopo i 35 anni viene colpita da numerose forme tumorali. La più grave è un “feocromocitoma”, tumore nella zona rettale e vescicale. Numerosi gli interventi chirurgici, ma senza alcun beneficio. Ormai morente Danila va in pellegrinaggio a Lourdes e viene bagnata nell’acqua delle piscine del Santuario. Ne esce con una straordinaria sensazione di benessere. È guarita ed il Bureau constaterà questa situazione di inspiegabilità dopo indagini e riunioni durate tredici anni. Nel 2013 il Vescovo di Pavia, mons. Giovanni Giudici, dichiara il carattere “ prodigioso-miracoloso e il valore di segno” di questa guarigione. Dossier Salute 13 D Accompagnare malati e pellegrini Pastorale della Salute Il medico non è un “tecnico” L’assistenza non compete solo ai professionisti di Marco Tampellini Consigliere Nazionale La figura del medico, forse più di altre, è sempre stata l’emblema dell’apparente contrapposizione tra Scienza e Fede tanto che fin dai tempi del Medioevo il cerusico era addirittura scomunicato dalla Chiesa Cattolica. Nonostante i progressi, ancora oggi questo contrasto non è per nulla risolto ed è diventato un problema soprattutto di coscienza personale: il medico spesso è combattuto tra l’essere un buon tecnico che combatte le malattie, oppure un uomo che accoglie un altro uomo bisognoso di aiuto. Sicuramente tutti noi siamo portati a dire che la nostra indole è quella di accogliere il malato perché naturalmente siamo portati all’empatia, ma dobbiamo ammettere che in un mondo dove viene premiata l’efficienza della produzione e dove predomina la “globalizzazione dell’indifferenza” (Papa Francesco) sovente non siamo in grado di piangere quando un nostro “amico” ci precede nella Pasqua Celeste oppure d’evitare di riferire di un paziente come “il pancreas” piuttosto che “il femore”. D’altra parte già Gesù disse : “Che cosa è più facile: dire al paralitico “Ti sono perdonati i peccati”, oppure dire “Àlzati, prendi la tua barella e cammina”? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra, dico a te - disse al paralitico -: àlzati, prendi la tua barella e va’ a casa tua” (Mc 2, 9-11). Interpretando il brano secondo i nostri tempi Gesù ci parla proprio di questo conflitto stimolandoci a riflettere, a cambiare la nostra visione superficiale empatica in quanto illusoria: il tecnicismo è una banalità rispetto all’accogliere l’uomo sofferente che è davanti a noi e se anche proclamiamo che noi “perdoniamo i peccati” oggi siamo molto più orientati a dire al malato “alzati e cammina”. Gesù, però, allo stesso tempo ci rassicura che nonostante sia difficile conciliare questi due aspetti il Figlio dell’uomo ha il potere di farlo e ci sprona a capire il nostro cammino. Il medico unitalsiano è per sua natura un privilegiato perché è chiamato continuamente a riflettere su questo argomento e a cercar di trovare delle soluzioni: pur essendo medico (e quindi tecnico) accetta di accompagnare delle persone ammalate a Lourdes e a vivere con loro l’esperienza dell’incontro con Dio. 14 fraternità 02-2015 di p. Augusto Chendi Sottosegretario del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari Il medico unitalsiano deve quindi mettere a fianco dei defibrillatori l’accoglienza della persona che si affida a noi. Superficialmente siamo tutti pronti a dire che siamo bravissimi ad accompagnare anche nella sofferenza ogni pellegrino, ma spesso è solo un’illusione perché è più facile essere promossi ad un corso BLSD, essere dei tecnici, piuttosto che perdonare i peccati. E Lourdes ce lo ricorda ogni giorno, soprattutto quando offre a noi medici il mistero delle guarigioni miracolose: il nostro tecnicismo si annichilisce di fronte al non spiegabile e abbiamo paura. Ci accorgiamo d’essere come dei piccoli bambini che si spaventano quando sono di fronte a ciò che non conoscono, che non “possiedono” razionalmente. Ma come nei bambini, sicuri della protezione dei genitori, anche in noi, protetti dall’amore materno di Maria, insieme allo stupore del miracolo nasce la curiosità di capire perché Dio ci lascia dei messaggi tangibili, intuibili anche dal “tecnico”. Il medico unitalsiano deve quindi accogliere il Messaggio di Dio cercando d’essere un buon tecnico che fa “camminare” i paralitici e che accoglie l’uomo sofferente “perdonando” i suoi peccati. L’esperienza complessiva dell’assistenza alla persona ammalata, anziana o disabile sembra essere qualche cosa che appartiene ai cosiddetti “professionisti della salute”, assecondando in tale modo l’idea che la salute e il suo eventuale recupero, così come la sua custodia nelle diverse forme di fragilità, sia relegata pressoché esclusivamente tra le mura delle strutture di assistenza e di cura. Di fatto, molteplici sono le persone e le figure, che a pieno titolo compongono l’articolato spettro della pastorale sanitaria in senso ampio. Fra queste, in particolare, non può essere sottaciuto l’apporto diretto che i familiari offrono nell’assistere e nell’alleviare le sofferenze dei loro congiunti. Lo stesso deve essere affermato anche per tutti coloro che, nel segno squisito della gratuità, si pongono al fianco di gruppi di persone e di strutture sanitarie e di cura nella dimensione “feriale”, quotidiana della prossimità al sofferente e alle persone fragili e indifese. È, questo, il grande e ricco mondo dell’associazionismo, confessionale o meno, nel quale da oltre 110 anni offre in prima persona il proprio contributo l’UNITALSI. Come già affermato, i volontari unitalsiani a partire dall’originaria vocazione di accompagnamento delle persone ammalate e disabili ai Santuari mariani di Lourdes e di altri luoghi di culto, hanno sviluppato un’assistenza che si affianca all’accompagnamento, alla vicinanza ‘feriale’ dei fratelli sofferenti, andando a costituire un valido e prezioso - e a volte insostituibile - supporto alle famiglie, che accolgono nel proprio seno un familiare ammalato o disabile. Al riguardo, essendomi anche personalmente reso “compagno di viaggio” di questi volontari in occasione di iniziative dell’UNITALSI, come nel caso del Pellegrinaggio dei Bambini in Missione di Pace a Roma e in seguito a Barcellona, così come recentemente in occasione del I° Convegno per Operatori Sanitari UNITALSI nel dicembre scorso, ho potuto costatare quanto siano preziosi la collaborazione e l’aiuto alle famiglie nell’assolvere la fatica dell’assistenza, soprattutto nella continuità spesso logorante e senza soste della quotidianità. Questo aspetto, lungi dall’essere frutto di puro calcolo, costituisce una testimonianza che la Chiesa, come “comunità sanate” opera in favore del prossimo, spesso senza clamori o echi di cronaca, bensì secondo il binomio tipicamente cristiano dell’umiltà e del silenzio. Il bene, infatti, si compie ed è quanto mai efficace soprattutto quando è compiuto lontano dagli echi della cronaca e nelle contingenze quotidiane della vita. In questo contesto pienamente ecclesiale, la pastorale unitalsiana concorre, quindi, ad annunciare il “Vangelo della Vita” - seconda la profonda intuizione di San Giovanni Paolo II -, assecondando in particolare il desiderio di assoluto, di cui i pellegrinaggi a Lourdes e nel diversi Santuari mariani italiani e nei diversi Paesi del mondo sono una eco profonda ed eloquente. Porsi, pertanto, in ascolto dell’anelito di tanti fratelli e sorelle piagati nel corpo e nello spirito significa per i volontari dell’UNITALSI essere custodi e servitori della vita umana, ovvero della persona la cui dignità inviolabile e vocazione trascendente sono radicate nella profondità del suo stesso essere. Inoltre, la dimensione ecclesiale, assicurata anche dal punto di vista formale, dall’approvazione degli Statuti dell’UNITALSI dalla stessa Conferenza Episcopale Italiana come Associazione pubblica di fedeli, conferisce alle diverse iniziative unitalsiane il ‘sapore’ e la certezza di agire nel quadro più ampio della pastorale della salute, ossia della presenza e dell’azione della Chiesa volte a portare la Parola e la grazia del Signore a coloro che soffrono, ai loro familiari così come a tutti coloro che hanno fatto del servizio al prossimo sofferente una scelta di vita, ovvero una “vocazione”. A ragione, quindi, nel ministero di quanti individualmente o comunitariamente si adoperano per la cura pastorale degli infermi, rivive la misericordia di Dio, che in Cristo si è chinato sulla sofferenza umana e si compie in modo singolare e privilegiato il compito di evangelizzazione, di santificazione e di carità affidato dal Signore alla Chiesa. Dossier Salute 15 D Missionario laico in Kenya I pazienti non sono clienti Fabrizio Pulvirenti. il medico colpito dal virus di Ebola Per anni ha lavorato fianco a fianco con padre Zanotelli e padre Moschetti nelle baraccopoli di Nairobi, dove la mortalità è altissima. Torno in Africa, ora capisco la tragedia dei malati di Fabrizio Noli vaticanista GRR Rai Per anni il dottore Gianfranco Morino ha fatto il medico nelle baraccopoli più estreme di Nairobi, un missionario laico nei bassifondi dell’umanità… Fabrizio Pulvirenti, medico volontario di Emergency, guarito da ebola, la sua storia è nota al grande pubblico. Il virus di Ebola continua a colpire in Africa, dalle notizie che arrivano dalla Sierra Leone la situazione non è affatto pacifica… Qui ci sono i pazienti veri. Ogni volta che torno in Europa, - ma anche qui quando sono in contatto con medici privati – penso che il paziente si sia trasformato in cliente. I nostri malati rimangono ancora pazienti non serviti da nessuno e senza alcun diritto, neanche quello alla salute e all’educazione. I casi di Ebola hanno subito una flessione nel numero quotidiano di nuove infezioni. Io credo che ci sia un errore di fondo nell’interpretazione della malattia da Ebola, perché bisogna stare attenti in quanto sconfiggere un’epidemia non equivale a sconfiggere Ebola. Ebola è un virus silvestre, una volta che si esaurisce il suo focolaio epidemico il virus torna nelle foreste e magari tra sei mesi ricomparirà in un’altra area. Del resto la storia delle epidemie ce lo insegna. Noi abbiamo avuto epidemie una ogni due anni dal 1976 ad oggi. Nelle baraccopoli, dottor Morino, i suoi pazienti sono numeri anonimi o ne ricorda qualcuno per l’aiuto che gli ha saputo dare? Un vaccino è possibile, secondo lei? Il virus ha un’estrema variabilità sia inter-ospite, cioè cambiando il mantello antigenico passando da un ospite all’altro, sia intra-ospite, cioè all’interno dello stesso organismo infettato, cambiando le sue caratteristiche di superficie, proteiche, quindi cambiano i siti di 16 fraternità 02-2015 Lei è tornato di recente a fare il medico in Sicilia, ma ha dichiarato che vuol tornare presto in Africa occidentale. Che cosa può portare un medico colpito da questo virus a tornare tra chi combatte tra la vita e la morte? duta, perché per Ebola non è conosciuto se, e in che misura, e quando, l’immunità decade. È una delle cose che stiamo cercando di studiare all’Istituto Spallanzani. Vedremo nei prossimi mesi quello che verrà fuori dallo studio del mio plasma, poi daremo una risposta alla Comunità scientifica. Se c’è una prospettiva che cambia nei rapporti con i pazienti è quella dell’empatia, perché conoscendo i sintomi, per averli sperimentati in prima persona, si partecipa di più alla tragedia del malato. La cosa da sottolineare è che un virus come ebola è difficile da sradicare L’epidemia potrà esaurirsi nell’arco di due mesi, due settimane? attacco degli anticorpi. Si può dire che è un virus intelligente. Non c’è paura di una possibile ricaduta? Rimane la paura di una possibile rica- Non so dare un pronostico esatto, però Ebola sarà pronto a ricomparire in altre zone dell’Africa perché comunque c’è. Ricordo spesso i pazienti, perché sono abbastanza fisionomista, e sono dunque centinaia quelli che riconosco al di fuori della loro patologia. Devo dire che non viene mai meno la partecipazione, anche se sul momento si richiede, soprattutto per il lavoro di chirurgo, freddezza. Le patologie più diffuse nelle baraccopoli? Sicuramente c’è stata l’escalation dell’Aids, insieme a patologie costanti come tubercolosi e malaria. C’è la malaria d’ importazione, perché molti emigrano dall’ ovest dove è molto diffusa e poi gastroenteriti nei bambini e le broncopolmoniti dovute alle forti escursioni termiche. I giorni sono decisamente caldi, ma le notti in baracca sono molto fredde. Il cancro è piaga diffusa, perché l’ambiente è molto inquinato e tutte le diagnosi sono in stato avanzato, perché questa gente non ha modo di accedere ai mezzi diagnostici preventivi o a eventuali cure. F.A. Dossier Salute 17 Intervista al card. Gualtiero Bassetti Obiettivo Sarajevo La solidarietà è la medicina dell’Unitalsi Dalla periferia all’Europa La sua diocesi è un microcosmo dove convivono tutte le frontiere della missione. Ormai il mondo s’è fatto piccolo; non esistono più le isole incontaminate di una volta. Le diocesi italiane, e in primo luogo Perugia, sono interessate dai grandi flussi migratori: un’infinità di tradizioni etniche, religiose e culturali cercano di convivere, non sempre facilmente, in un territorio che fino a qualche decennio fa era monoetnico, identificato da un’unica cultura e, per lo più, da un’unica tradizione religiosa. Si dice che in questi ultimi anni si è arrivati a parlare, a Perugia, più di cento lingue diverse. L’approccio con chi viene da contesti e storie diversissime da quelle a noi familiari non è sempre facile. Il mondo ecclesiale cerca di farsi prossimo soprattutto a quanti arrivano per motivi umanitari, in cerca di lavoro e di una vita più degna. Ma le frontiere della missione non riguardano soltanto i nuovi venuti. C’è tutto un mondo di nostri connazionali che vive ai margini del contesto ecclesiale, in certi casi arrivando a malapena alle soglie della dignità del vivere umano. Non si tratta, a volte, di casi clamorosi, ma di bisogni inespressi, di situazioni vissute nel silenzio e che tocca a noi scoprire e saper interpretare, pur con grande rispetto. È anche a questo tessuto capillare che cerchiamo di avvicinarci con la carità e il coraggio della testimonianza cristiana. In questo senso, oltre alla Caritas diocesana, un lavoro molto importante svolgono i gruppi e i movimenti ecclesiali. Come si può fronteggiare il degrado metropolitano e l’immigrazione massiccia e spesso incontrollata anche nelle campagne? L’immigrazione nel nostro Paese si è fatta più pressante negli ultimi anni. Senza un’attenta politica di accoglienza e di integrazione, si rischiano situazioni pesanti di convivenza, con l’esasperazione di chi non riesce a comprendere il fenomeno e vede la propria realtà cittadina o di quartiere sconvolta dalla presenza di tante persone con attitudini e esigenze diverse. La non gestione di tali fenomeni ha generato spesso, in chi sperava di trovare da noi una vita migliore, situazioni di profondo degrado e di povertà, forse peggiori di quelle lasciate nei Paesi d’origine. Il discorso vale tanto per le periferie metropolitane, abbandonate a se stesse, quanto per le realtà rurali dove molti immigrati sono arrivati attratti dai lavori agricoli stagionali, nei quali hanno trovato possibilità di sopravvivenza, ma anche rischi di sfruttamento. I parroci in particolare devono comportarsi come missionari? Veramente i nostri sacerdoti si trovano a vivere e a cercar di controllare un fenomeno talvolta più grande di loro. Anche se il coraggio e la carità non mancano nei nostri preti, spesso si 18 fraternità 02-2015 Il cardinale Gualtiero Bassetti Nato a Popolano di Marradi, diocesi di Faenza-Modigliana, nel 1942 ordinato Vescovo nel 1994 e trasferito ad Arezzo-Cortona-Sansepolcro nel 1998. Promosso alla sede arcivescovile di Perugia - Città della Pieve nel 2009 è stato nominato vice Presidente della Conferenza Episcopale Italiana nel 2009 e creato Cardinale nel Concistoro indetto da Papa Francesco il 22 febbraio 2014. sentono come sopraffatti nei confronti di un flusso migratorio fatto non da masse indistinte, ma da tante singole persone, con volti, problemi, sofferenze e speranze, cui cercano – anche attraverso le Caritas e le associazioni cattoliche – di arrecare sollievo concreto. Sovente il parroco è il punto di riferimento per famiglie disperse in vari continenti, è l’elemento di unità per comunità etniche sparpagliate nel territorio. Intorno alle nostre parrocchie e negli oratori si aggregano tanti ragazzi e giovani provenienti da confessioni religiose le più diverse. La Chiesa non fa distinzioni: apre a tutti le sue porte, che sono le braccia di una madre “esperta in umanità”, come diceva il beato Paolo VI. In questo contesto, come si inserisce l’opera dei volontari Unitalsi? Non solo pellegrinaggi, ma quotidiana assistenza a malati, disabili e ospiti delle case famiglia. L’opera dell’Unitalsi è benemerita. Da più di cento anni è vicina a chi soffre, nel corpo e nello spirito. La medicina che l’associazione dispensa è molto semplice e a portata di tutti: la “compagnia”, il “farsi accanto”. Tante malattie oggi si possono curare grazie alle conquiste scientifiche. Ma la solitudine si può curare solo con l’amore della vicinanza e della solidarietà. “La solitudine è il veleno più grande per gli anziani” e per i malati, come ha detto papa Francesco. Grazie dunque all’opera dei volontari dell’Unitalsi; grazie per l’amore e per l’affetto che portate ai malati e ai disabili. Farsi accanto a quelli che la società scarta perché non più utili e produttivi o perché malati è un segno di risurrezione. La morte e la sofferenza si vincono anche – e direi soprattutto – con piccoli gesti di bontà. M.F. Nel 2009 Mons. Pero Sudar, vescovo ausiliare di Sarajevo, ha rivelato come in Bosnia sia in corso un processo di islamizzazione. Ne fanno le spese soprattutto i cattolici, che sono numericamente molto diminuiti. Dagli 850.000 prima della guerra del 1991-95, sono scesi oggi a 442.000. Sudar ha citato ad esempio la diocesi di Banja Luka, dove i cattolici sono scesi da 150.000 (prima della guerra) a 35.000. La maggior parte è partita “perché le loro case sono state bruciate, anche per la pressione, per la paura di perdere persino la vita”. Lo stesso fenomeno si è verificato a Sarajevo, dove oggi i cattolici sono solamente 17.000 su 600.000 abitanti. Papa Francesco troverà un Paese multietnico e multireligioso, che dopo la guerra non ha ancora raggiunto una stabilità politica. Il nostro problema – dice il vescovo Sudar- è proprio questo: non riusciamo a trovare un accordo al nostro interno e per questo abbiamo bisogno di un appoggio, di un aiuto dall’esterno. In questo senso, certamente, papa Francesco può essere un aiuto per la Bosnia Erzegovina. Il giorno dopo l’annuncio della visita è apparsa sul quotidiano locale Oslobodenje una comunicazione della comunità musulmana che saluta la visita del Papa e si augura che possa contribuire alla formazione di uno Stato stabile. Il reis-ul-ulema Husein Kavazovic, capo della comunità musulmana bosniaca, ha visitato il Cardinale Vinko Pulic, arcivescovo di Sarajevo, per proporgli un incontro comune tra il Papa e i capi religiosi della città. Questo incontro sarà probabilmente il cuore della visita di Francesco. Il desiderio dei capi religiosi non cattolici di incontrare tutti insieme Francesco, non separatamente nelle proprie comunità come avvenne durante la visita di Giovanni Paolo II, è certamente un’ottima premessa. Questo mostra una nuova intenzione di dialogo e collaborazione. Una caratteristica di questo pontificato è il prestare attenzione alle regioni periferiche, lontane dai centri decisionali. La Bosnia è piccola, ma il Papa vi vede una grande opportunità di coesistenza e dialogo. La sua visita vuole valorizzare questa possibilità. La Bosnia è sicuramente un Paese alle periferie dell’Europa, ma la Prima guerra mondiale è iniziata qui. Adesso deve tornare al centro dell’ Europa. È un territorio dove si incontrano diverse culture e religioni che possono contribuire alla crescita della comunità, di una società multietnica e pluralistica.. Con l’annuncio della sua prossima visita alla città martire, Papa Francesco conferma di guardare con attenzione ai luoghi segnati dalla convivenza tra culture, fedi e confessioni diverse. Sarajevo, quel giorno di Wojtyla Sarajevo, Bosnia, aprile 1997. È appena finita una delle guerre civili più sanguinose e barbare di ogni tempo, nel cuore della civilissima Europa. Giovanni Paolo II desidera fortemente andare a Sarajevo, ma le condizioni di sicurezza sono molto, molto precarie…. …Il Papa era dentro lo stadio a celebrare la Messa e lo stadio fino a due mesi prima era stato una enorme fossa comune di ventimila morti. Buttati lì tutti insieme, mussulmani, cristiani, cattolici, ortodossi, ebrei, atei. Poi quei poveri corpi erano stati spostati sulle colline intorno allo stadio. Il Papa vedeva dall’altare intorno a sé solo croci, steli, cippi islamici. Ad un certo punto della celebrazione prese a nevicare e il Papa piangeva. Poi gridò, urlò: “Mai più la guerra ! Che Sarajevo da città della morte diventi città della vita !” Come d’incanto non nevicava più ed uscì il sole. Qualcosa di straordinario, un prodigio della natura: nevicava ed usciva il sole, come se gli eventi atmosferici seguissero le parole del Papa. Se parlava di morte nevicava e il cielo piangeva. Se parlava di vita e di speranza sbucava il sole e il cielo sorrideva. (da “In viaggio con un Santo” di Filippo Anastasi, ed Messaggero di Padova, 2011) 19 Riflessione Superare con fede malattia e dolore don Danilo Priori vice Assistente Ecclesiastico Nazionale Lourdes è la casa in cui ci piace accogliere i nostri fratelli; la Madre celeste il modello a cui ispiriamo il nostro servizio quotidiano. La storia dell’Unitalsi si tesse con i fili preziosi della carità vissuta “verso e con” le persone malate, sofferenti e con disabilità. La nostra Associazione è infatti un’esperienza condivisa che inizia in prossimità della Grotta di Massabielle, nel dialogo fruttuoso e intimo con la Vergine Maria, ma che diventa sussulto di fede capace di trasfigurare il quotidiano. Uscire dalle proprie comodità e raggiungere le periferie dove incontrare il fratello in difficoltà per annunciare la gioia dell’incontro con Gesù è il senso del nostro peregrinare; abitare con delicatezza la relazione col prossimo e tendere la mano a chi ha bisogno di aiuto è il tratto che ci contraddistingue; educare alla vita buona del Vangelo e testimonia- re col sorriso la speranza che non delude è lo stile del nostro fare. Lourdes, insomma, è la casa in cui ci piace accogliere i nostri fratelli; la Madre celeste il modello a cui ispiriamo il nostro servizio quotidiano. E proprio nella quotidianità siamo chiamati da una parte a riconoscere la salute come dono prezioso, e dall’altra a collocare le nostre fragilità e i nostri limiti nel cammino di fede che il Signore intende farci compiere. Non è un caso se il Vangelo ci racconta della richiesta, avanzata dagli apostoli, di aumentare la loro fede (cf Lc 17,5). Tuttavia, una volta rincuorati e istruiti gli apostoli sulle meraviglie operate dalla fede, quand’anche delle dimensioni di un seme di senapa, Gesù riprende il cammino verso Gerusalemme, una sorta di pellegrinaggio lungo il quale incontra instancabilmente le periferie esistenziali dell’uomo provocando la sua risposta, poiché anche “se noi manchiamo di fede egli però rimane fedele, perchè non può rinnegare se stesso” (2Tm2,13). Tra queste il racconto evangelico si sofferma spesso sull’esperienza della malattia e del dolore, in quanto è questa la circostanza in cui - ieri come oggi - la fede rischia di essere messa a dura prova. Ad approcciare Gesù stavolta sono dieci lebbrosi, persone che, proprio a motivo della loro malattia, vengono tenute ai margini della vita sociale e religiosa del popolo e ritenute responsabili di mancanze verso Dio (cf Lc 17,11-19). Probabilmente, a motivo del loro stato, non hanno mai potuto incontrare il Maestro, e forse la sua fama di guaritore è giunta fino ai loro orecchi; ma stavolta incrociano il suo cammino e pur tenendosi a dovuta distanza, come volevano le prescrizioni in materia, alzano la voce affinché Gesù possa accorgersi di loro e riversare su di essi quella misericordia invocata. Non urlano infatti al Signore di essere immondi, ma invocano la sua pietà! A differenza di altre guarigioni, Gesù non li tocca e non li intrattiene in un dialogo prolungato, ma li invia verso i sacerdoti, ai quali era assegnata la facoltà di verificare la guarigione delle persone e la dichiarazione della loro purità, e dunque il loro reinserimento a pieno titolo nella comunità. Le parole di Gesù sembrano anticipare la guarigione che accade lungo la strada e i dieci lebbrosi accolgono la sua parola senza replicare. Ma il loro andare a breve si rivela - per buona parte di loro - esclusivamente finalizzato ad ottenere la guarigione: superata la sofferenza della malattia si comportano come coloro che reputano dovuta la salute, una sorta di ristabilimento di una condizione iniziale ingiustamente infranta dalla malattia stessa. Soltanto uno di loro, un samaritano, appare essere veramente toccato dall’in- 20 fraternità 02-2015 contro con Gesù: con uno spirito che sembra ricordare un episodio simile accaduto a Namaan il Siro (cf 2Re 5,15), quest’uomo guarito dalla lebbra - uno solo tra il gruppo dei dieci - torna indietro per dire grazie del dono ricevuto; e il dono non è semplicemente la guarigione corporale, della quale si sono accontentati gli altri nove, bensì una rilettura del proprio vissuto alla luce dell’incontro con Gesù. Questo racconto presenta somiglianze con l’esperienza vissuta da Giovan Battista Tomassi: come lui chissà quante persone, devastate dalla lebbra di una malattia che divora spirito e corpo, sono tornate guarite da Lourdes; ma sono probabilmente poche quelle che si sono ricordate di tornare sui propri passi e rendere grazie al Signore in gesti e opere! È Gesù infatti che colloca l’uomo guarito in una nuova relazione con Dio e lo conferma nel suo cammino di fede; ora non dovrà più abitare le periferie dell’e- sistenza con gli occhi bassi di chi viene escluso perché il Signore è andato ben oltre le sue aspettative, donandogli la prospettiva della salvezza. Ed è sempre Gesù che, con rammarico e un velo di amarezza, guarda gli uomini e le donne di ogni tempo tutte le volte in cui si limitano ad invocare il suo intervento per situazioni contingenti, dimenticando di proiettare le meraviglie operate da Dio nell’ambito del ben più ampio progetto di salvezza. Chissà con quali occhi il Signore guarda l’Unitalsi in questo tempo; e chissà con quali occhi l’Associazione rincorre affannosamente il raggiungimento dei minimi occupazionali sui treni e negli alberghi, dimenticando di tornare indietro per ringraziare quello stesso Signore del dono prezioso ricevuto mediante il servizio ai più poveri. Proprio nelle difficoltà più grandi basterebbe forse fare nostre le parole del salmista: A te, Signore mio Dio, sono rivolti i miei occhi; in te mi rifugio, proteggi la mia vita (Sal 140,8). Riflessione 21 I nuovi Santi Il prete “gaucho” che piace al Papa La Grotta torna ai pellegrini Manca poco, pochissimo, e il Cura Brochero – il “prete gaucho” amatissimo in Argentina – potrà compiere il grande passo ed essere annoverato tra i Santi del calendario, dopo la beatificazione avvenuta nel 2013. “Il verdetto della commissione di 7 medici della Pontificia Congregazione per la Causa dei Santi, che da Roma sta studiando il possibile miracolo, si dovrebbe conoscere presto”, conferma Mons. Santiago Olivera, arcivescovo della città argentina di Cruz del Eje e postulatore della causa di canonizzazione. Il miracolo sarebbe la rapida guarigione di una bambina aggredita dal patrigno e dalla madre. “Tuttavia oltre a questo caso - dice mons. Olivera - ce ne sono altri; molti riguardano coppie che non potevano avere figli oppure persone guarite da problemi cardiaci”. Il primo miracolo attribuito a Brochero, quello decisivo per la beatificazione, aveva invece avuto come protagonista un giovane la cui ripresa dopo un terribile incidente automobilistico non poté essere spiegata dagli esami medici . La devozione di Papa Francesco per Brochero non è un mistero per nessuno. Lo conferma il postulatore mons. Olivera. “È vero, perché tra l’altro era un prete che amava molto i gesuiti e gli esercizi spirituali”. E spiega ricordando un episodio con protagonista proprio l’attuale Papa: “Nel 2009 Bergoglio, allora arcivescovo di Buenos Aires, elogiò proprio Brochero citandolo quale esempio di “sacerdote che usciva, che andava verso l’incontro”. È la stessa idea di Chiesa del Papa, una Chiesa che stia in mezzo alla gente e che si può riassumere proprio nella definizione che il Papa dà di Brochero: “un pastore con odore di pecora”. A Roma Olivera si è incontrato anche con Papa Francesco. “Gli abbiamo detto che vorremmo fosse lui ad officiare l’eventuale cerimonia di canonizzazione in Argentina “. E il Papa ha manifestato la volontà di farlo, forse l’anno prossimo, quando dovrebbe recarsi in Argentina. Una volta l’arcivescovo Bergoglio si trovava in visita alla casa di Brochero, a Villa Cura Brochero, il paese in cui il prete esercitò il suo ministero e dove morì, nei pressi della città di Cordoba. C’erano anche delle telecamere che lo riprendevano per un servizio giornalistico e il futuro Papa ripeteva: “Imitiamo il padre Brochero, che usciva, usciva, usciva a cercare la gente, i lebbrosi, i malati, i poveri…”. E infatti, Brochero, povero e lebbroso ci morì, dopo aver percorso in lungo e in largo a dorso di mulo la Traslasierra, bella regione nei dintorni di Cordoba oggi nota per i suoi altipiani (le sierras, appunto), ma che all’epoca del prete gaucho era una terra 22 fraternità 02-2015 di Gaetano Pepe difficile, sotto molti aspetti simile al “far west” americano. Lì, dove mancava quasi tutto, l’attività di Brochero andò ben oltre la semplice evangelizzazione tanto che è oggi unanimemente riconosciuta come decisiva per lo sviluppo di quella parte del Paese. Il “pastore con odore a pecora” costruì personalmente – aveva buone conoscenze di ingegneria – e con l’aiuto dei fedeli scuole, strade, cappelle, uffici postali, oltre a fondare la Casa di Esercizi Spirituali ancora oggi in piena attività (e che attira anche molti non cattolici). “Finalmente si torna in Grotta!”. Queste sono le parole esclamate dai fedeli presenti a Lourdes il 2 Aprile 2015, Giovedì Santo. Alle ore 9 e 30, infatti, Mons. Nicolas Brouwet, vescovo di Tarbes e Lourdes, insieme con padre Horacio Brito, Rettore del Santuario di Nostra Signora di Lourdes, ha ufficialmente riaperto l’accesso alla Grotta di Massabielle. Dopo quattro mesi e mezzo, i pellegrini hanno potuto ritrovare la proverbiale serenità che questo luogo di fede elargisce. C’ era voglia di tornare, una necessità forte rinchiusa nel cuore da tempo. I molti presenti si sono precipitati alla Grotta. L’apertura , prevista inizialmente il primo di aprile, è stata rinviata di un giorno a causa di problemi dell’ultimo minuto, ma poi tutto è stato risolto prontamente . . “Siamo qui oggi – dice chiaramente emozionato il rettore Brito - per tornare là dove Maria richiama tutti noi ogni giorno, come faceva con Bernadette durante le apparizioni e là dove Maria ci ha chiesto di venire in processione. Facciamolo in raccoglimento”. Dunque, gli operai hanno rimosso le barriere e Mons. Brouwet, con padre Brito, hanno guidato i fedeli in processione, intonando l’Ave Maria di Lourdes. Arrivati in Grotta, il vescovo di Tarbes e Lourdes ha incitato i fedeli a “vivere questo luogo in silenzio, per riuscire a pregare e a meditare con la giusta concentrazione. Oggi è la giornata perfetta per iniziare a farlo, avviandoci verso la Domenica di Pasqua”. Dopo aver pregato insieme ai pellegrini, il vescovo si è avvicinato alla roccia, inaugurando il passaggio in Grotta, seguito dal rettore e dai presenti, che non attendevano altro. Ricordiamo le principali novità che gli unitalsiani in arrivo nel 2015 potranno notare nel “piazzale della Grotta”, dopo lo “spazio alberato” che lo precede: •la pavimentazione in pietra (modificata anche in Grotta) a forma semicircolare; •l’impianto d’illuminazione potenziato; •le panche in legno curve; •la barriera protettiva che delinea la forma tipica del teatro romano e accompagna il pellegrino verso il passaggio in Grotta, con la scoperta della Sorgente. Oltre il piazzale, sono evidenti i lavori, che proseguono a tamburo battente, per la costruzione del nuovo ponte mobile che faciliterà il passaggio tra le due sponde del fiume Gave. Nella foto Cura Brochero in una foto d’epoca. in alto la statua in suo onore 23 è l’ora del 5 x 1000 A tutti soci, ai volontari anziani e giovani, nelle periferie del nostro Paese… grazie e grazie... a quanti non fanno parte dell’Associazione e si sono avvicinati agli stand, portando via con loro una piantina d’ulivo, simbolo di pace, di fraternità e di appartenenza all’UNITALSI Abbiamo 110 anni di vita alle nostre spalle e 110 anni di vita da raccontare. di Caterina Martino Storie di malattia, disabilità, indigenza, povertà. Storie di esultanza, condivisione, accoglienza, accudimento. Ci trovi su tutto il territorio italiano dove c’è una persona anziana sola che ha bisogno di aiuto e di compagnia, dove c’è una persona malata che ha bisogno di sostegno o di essere accompagnata in ospedale, dove c’è il bisogno di sorridere, di gioire e di divertirsi, sempre accompagnati per mano da Cristo Gesù, nello spirito caritatevole che ci contraddistingue. Quella dell’UNITALSI è una “storia di servizio” che dal 1903, anno della sua fondazione, si è sempre alimentata del desiderio di essere uno “strumento” nelle mani di Dio, per portare la speranza dove c’è disperazione, donare un sorriso dove regna la tristezza. Noi siamo quelli dei treni bianchi che si nutrono del desiderio di vivere il Vangelo nella quotidianità e per questo, partendo dai pellegrinaggi, realizziamo una serie numerosa di progetti in grado di offrire risposte concrete ai bisogni di ammalati, disabili, persone in difficoltà. 24 fraternità 02-2015 Grazie alle vostre donazioni noi garantiamo, con i nostri volontari e i nostri mezzi, agli anziani ed ai disabili un insieme di servizi domiciliari leggeri, di volta in volta attivabili, e atti a rispondere ad una serie di bisogni specifici di carattere psicologico-sociale; di favorire l’inclusione sociale di persone disabili e anziane attraverso l’attivazione di una serie di servizi di tipo socio-assistenziale tra cui: •accompagnamento per semplici commissioni; •visite a domicilio per compagnia e relazione sociale; •acquisto di medicinali o alimenti; •accompagnamento per la riscossione della pensione, per terapie, per esami clinici; •disbrigo di pratiche presso Uffici ed Enti Pubblici; •passeggiate nel quartiere per mantenere viva la vita di relazione; •visite a musei, cinema, teatro e manifestazioni di diverso tipo per impegnare il tempo libero; •servizi di “tregua” per i parenti di persone anziane e disabili con difficoltà di autonomia; •supporto alle persone disabili e anziane per il raggiungimento della loro autonomia nella vita domestica tra cui aiuto per la preparazione dei pasti, igiene della casa e personale. •incontri di auto-mutuo aiuto. •accoglienza gratuita delle famiglie di bambini ricoverati presso gli ospedali pediatrici. 25 Un docufilm di Pupi Avati Aci Treni bianchi e non solo Codice della strada verso la semplificazione di Maristella Giuliano di Chiara De Carli MILANO. Pupi Avati racconta la storia degli ultimi cento anni delle Ferrovie Italiane. È così che il noto regista è stato incaricato di girare un mediometraggio di 45 minuti, in cui protagonisti sono gli ultimi 100 anni di storia ferroviaria del Paese: dall’ingresso dell’Italia nella Grande Guerra all’EXPO 2015. Iniziativa che prenderà il via nel prossimo mese di maggio, nella città di Milano e la cui inaugurazione coinciderà con il primo viaggio del Frecciarossa 1000, il non plus ultra della tecnologia europea nell’Alta Velocità ferroviaria. Il filo conduttore è il viaggio in treno, che rappresenta l’evoluzione e le trasformazioni della società italiana nell’ultimo secolo. Ecco, perché è nata l’idea di includere in questi quarantacinque minuti gli storici viaggi della speranza, con i treni bianchi dell’UNITALSI, Unione Nazionale Italiana Trasporti Ammalati Lourdes e Santuari Internazionali, associazione che da più di un secolo si preoccupa di ridare valore e autenticità agli emarginati dalla società. Di tutto questo abbiamo parlato con il maestro Pupi Avati. Nei suoi film sono presenti testimonianze di fede, ma immagini di treni che io ricordi poche.. Francamente ricordarmi esattamente di 40 film è un po’ difficile. Sicuramente in qualche scena sono presenti, ma non come protagonisti della storia. Solitamente, il treno è stato identificato come mezzo di spostamento tra una scena e l’altra, ma è la prima volta che do atto a delle sequenze essenziali per una storia che si svolge all’interno dei convogli. 26 fraternità 02-2015 L’immagine del treno, come mezzo di comunicazione e ideale del viaggio: come viene vissuto dal suo punto di vista? Viene vissuto insieme alla coincidenza dei 100 anni di storia ferroviaria e con l’apertura di EXPO 2015, nei primi di maggio. È un’occasione che viene data da questa iniziativa, aggiunta alla concomitanza del centenario dell’inizio della prima guerra mondiale, il 24 maggio 2015. In questi anni, il treno ha accompagnato lo sviluppo storico, economico e culturale di un Paese; è quindi un pretesto per raccontare un viaggio lungo un secolo vissuto tra i vagoni di un treno, che via via si è evoluto parallelamente al nostro Paese. Le scene saranno tappe di un’evoluzione che sarà possibile riscontrare proprio durante l’EXPO: l’ultima sequenza si conclude con la partenza del Frecciarossa 1000 che entra nei padiglioni dell’EXPO, come in una sorta di lieto fine. E nello specifico per i trasporti dei malati? In questi anni, le funzioni del treno sono state varie: dalle più deprecabili, come il trasporto degli ebrei ad Auschwitz, per citarne una tra le più nefaste, ad altre le più nobili e addirittura sacrali come quella che effettua l’Unitalsi. Chi non conosce l’Unitalsi! Negli ultimi incontri in Sala Nervi con il Sommo Pontefice mi sono reso conto di quanto sia vasta l’ampiezza dell’attività svolta. Ciò che colpisce è sia l’entusiasmo dei malati, sia di chi li assiste. Ricordo addirittura nella mia infanzia e nella mia giovi nezza che essere volontario dell’Unitalsi era quasi un segno di riconoscimento, molto apprezzato. Tra le attività del treno, è sicuramente rimasta quella più nobile e più spirituale, per questo meno legata alle contingenze esterne. Ogni anno, sono all’incirca novanta i convogli si recano a Lourdes, trasportando persone che scelgono di intraprendere questo viaggio, nella speranza che accada qualcosa e che cambi la loro vita. Ad accompagnarle persone che si prendono cura di loro: tutto ciò si somma alla riconoscenza che gli ammalati hanno nei confronti dei volontari. Per questo ho deciso di raccontare un breve flash in cui un ragazzo eredita questo insegnamento dal padre, che era stato barelliere per oltre trent’anni. Il tramandamento tra generazioni, consiste in una caratteristica del mio cinema, sostengo sempre l’insegnamento delle tradizioni attraverso le generazione, senza interruzione. Secondo lei il messaggio che l’Unitalsi desidera trasmettere è ancora attuale? Secondo me lo è sempre di più. Anche se ultimamente non sono più solamente le malattie fisiche, ovvero le varie forme cardiovascolari, tumori a rendere ostaggi della disperazione, ma soprattutto le malattie della mente. Le persone stanno progressivamente sempre più pazze, perché vivere nelle contingenze quotidiane è molto complicato. Ultimamente ci si deve confrontare con la solitudine, con contesti famigliari che non danno più garanzie e protezione. La riforma del codice della strada è ancora una volta sotto la lente del nostro legislatore, ma questa volta più che procedere in singole o parziali modifiche, si punta alla revisione dell’intero impianto codicistico. Il disegno di legge S 1638, attualmente allo studio del Senato, reca infatti “Delega al Governo per la riforma del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285”. L’atto è stato già approvato dalla Camera dei deputati e, per essere legge, deve superare l’esame del Senato. Attualmente l’ottava Commissione del Senato (lavori pubblici e comunicazioni) sta svolgendo l’esame in sede referente ed è stato disposto un ciclo di audizioni informative di organismi tecnici, associazioni ed esperti nel settore che aiuteranno la Commissione stessa ad individuare i temi più urgenti e significativi da proporre in sede di riforma. Il disegno di legge in sostanza prevede una delega al governo per l’adozione entro dodici mesi dall’entrata in vigore della legge, di decreti legislativi di modifica del codice della strada. Il nuovo codice dovrà essere riorganizzato e soprattutto semplificato, per renderlo più accessibile a tutti i cittadini. In 230 articoli, il legislatore del ’92, aveva pensato di disciplinare tutta la disciplina attinente alla circolazione stradale, nella sua accezione più ampia, e in questi 22 anni di vita del codice, si sono succeduti più di 100 interventi legislativi di modifica, spesso settoriali e parziali. Per giungere alla semplificazione sarà quindi necessario procedere anche alla delegificazione di alcune disposizioni, soprattutto quelle più tecniche, che troveranno la loro disciplina in regolamenti a parte. L’obiettivo è giungere all’articolazione di un testo più comprensibile e snello composto di pochi articoli e volto a disciplinare essenzialmente i comportamenti corretti che i cittadini devono adottare su strada, al fine di generare un aumento dei livelli di sicurezza stradale, e riuscire a dimezzare entro il 2020 il numero dei morti rispetto al 2010, in linea con quanto richiesto dall’Europa. Tra le varie proposte di modifica, particolare attenzione è dedicata all’utenza vulnerabile. Per utenza vulnerabile si intendono bambini, disabili, anziani, pedoni, ciclisti, conducenti di ciclomotori e motoveicoli. In tema di utenza vulnerabile sono significative soprattutto le proposte sviluppate per le aree urbane, quali: la pianificazione della viabilità per incentivare la mobilità ciclistica e pedonale; l’accesso delle biciclette, dei ciclomotori e dei motocicli alle corsie riservate ai mezzi pubblici; la facoltà per i comuni di riservare appositi spazi per il parcheggio delle donne in stato di gravidanza e di coloro che trasportano bambini di età non Il Papa a Napoli ha indossato il casco per la campagna sulla sicurezza sulle strade Gesto simbolico di Francesco per sostenere la campagna dell’Aci ‘A Maronna. Nell’incontro con i giovani l’altro ieri a Napoli Papa Francesco ha indossato un casco per il motorino. La scelta, ha spiegato il cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo della città ‘’ha rappresentato un atto simbolico della campagna per la sicurezza stradale che stiamo portando avanti con l’Aci all’insegna del motto ‘A Maronna t’accumpagna!’’. ‘’Abbiamo preso anche le misure della testa di Papa Francesco per fargli indossare un casco adatto’’ racconta parlando in Curia con i giornalisti al termine della messa officiata. superiore a due anni; il rafforzamento del trasporto pubblico e l’interconnessione tra questo e le altre modalità di trasporto; la specificazione delle modalità di sosta e di transito dei veicoli adibiti al servizio di invalidi, e la previsione dell’aggravamento delle sanzioni nel caso di utilizzo improprio (abuso) del contrassegno o di occupazione illegittima degli stalli dedicati alle persone disabili; l’introduzione della definizione normativa di car pooling, inteso come uso condiviso di veicoli privati, organizzato tramite l’intermediazione di soggetti pubblici o privati. Sempre in tema di disposizioni rivolte alle persone disabili, si prevede l’attribuzione al Ministero della salute del compito di adottare le linee guida per le commissioni mediche locali, in merito alle attività di accertamento dei requisiti psicofisici per il conseguimento e il rinnovo della patente di guida. Queste e tante altre sono le novità all’esame del Parlamento, che avremo modo di approfondire anche nei prossimi numeri. Comitato di redazione della Rivista giuridica on line della Circolazione e dei Trasporti ACI (www.rivistagiuridica.aci.it) 27 Bioetica Confronto con i nuovi diritti Angela Maria Cosentino docente di Bioetica In arrivo una monumentale, innovativa e rivoluzionaria enciclopedia Le questioni di carattere bioetico in quasi tutte le nazioni si traducono in leggi che orientano l’agire di miliardi di persone. Si richiede, perciò, per legislatori e non solo, una bussola di orientamento che, pur nel rispetto del pluralismo etico e religioso, si fondi su un comune denominatore permanente nell’uomo: l’etica naturale aperta alla trascendenza e al rispetto dei diritti fondamentali della persona. A tal fine, l’Enciclopedia di Bioetica e Scienza Giuridica, progettata in 12 volumi, edita dalla SEI (Edizioni Scientifiche Italiane) di Napoli, rappresenta un importante riferimento sotto il profilo scientifico, antropologico, etico e biogiuridico, per i contributi di autorevoli autori provenienti da 37 Università italiane e straniere, 5 Atenei pontifici, centri ospedalieri di studio e di ricerca. Nata in ambito cattolico, come sviluppo della bioetica, l’Enciclopedia è aperta al mondo per offrire soluzioni rispettose della legge naturale scritta nel cuore dell’uomo. L’opera, giunta ormai al volume VIII (M), è stata presentata, con una conferenza pubblica, nell’Auditorium del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su Matrimonio e Famiglia. L’evento, introdotto da Mons. Livio Melina, Preside dell’Istituto, ha registrato l’intervento del Cardinale Elio Sgreccia, Presidente emerito della Pontificia Ac- 28 fraternità 02-2015 cademia per la Vita, direttore dell’opera insieme al prof. Antonio Tarantino, docente di filosofia del diritto, Università del Salento di Lecce, fortemente impegnato nella raccolta di fondi europei che ne hanno consentito la pubblicazione. Elio Sgreccia ha tracciato da “artigiano” (come ama definirsi) che costruisce senza un modello davanti, il solco della bioetica personalista ontologicamente fondata (aperta alla trascendenza), cioè non relativista perché presuppone l’essere della persona. L’Enciclopedia rappresenta un importante strumento annesso alla bioetica, di cui rappresenta l’evoluzione, in un’epoca storica caratterizzata dai cosiddetti nuovi diritti1 nei quali anche il corpo umano diventa oggetto di legislazioni, a cominciare dalla prima legge sull’aborto in Russia, nel 1920, emanata per facilitare le donne ad entrare, come gli uomini, nel mondo della produzione, e poi diffusasi nei Paesi del Nord del mondo, in nome della libertà individuale. In realtà, la tripletta (come è stata definita da S. Giovanni Paolo II) che comprendeva contraccezione, sterilizzazione e aborto è stata imposta inizialmente ai Paesi in via di sviluppo, in cambio di aiuti economici, come birth control (controllo delle nascite), dal triplice patto tra Usa, Giappone ed Europa, con il coinvolgimento dell’Onu e di alcune sue Agenzie, e poi è stata estesa anche ai Paesi industrializzati. Con il diffondersi di una cosiddetta bioetica laica secolarista che non ammette l’esistenza della verità (e neppure della ragione), si afferma sempre più una visione utilitarista (secondo cui il bene coincide con l’utile) e contrattualista (secondo cui il bene è definito per accordo). In particolare, l’utilitarismo è stato avviato nel ‘700 dal filosofo inglese empirista David Hume (1711-1776), il quale riteneva che solo la scienza potesse pronunciarsi sulla verità dei fatti dai quali, però, non sarebbero derivati doveri. Il filosofo, accettando la separazione tra scienza ed etica, ha escluso il legame tra vero e bene. Eppure, questa cosiddetta legge di Hume non corrisponde alla realtà dell’essere umano e il Cardinale l’ha spiegata con un esempio: nel caso in cui in Toscana si legalizzi la bestemmia, perché utilizzata dalla maggioranza della popolazione (come uso locale), essa resterebbe, comunque, sconveniente per l’essere umano. Il vecchio utilitarismo si trasforma nel neoutilitarismo di Jeremy Bentham (1748-1832) il quale applicò il principio (oggi di grande attualità) di massimizzare il piacere, minimizzare il dolore e ampliare la sfera delle libertà personali per il maggior numero di persone. Successivamente, il filosofo australiano contemporaneo Peter Singer compie un passo ulteriore perché riduce la categoria di persona a quella di sensiente (ca- pace cioè di provare piacere o dolore), che diventa il registratore dell’etica. Per il filosofo che introduce il criterio della gradazione, l’uomo e l’animale hanno simile natura giuridica con una differenza di gradualità relativa allo sviluppo del cervello. Il suo volume Ripensare la vita, che raccoglie questa corrente di pensiero, contemplando solo l’etica pubblica degli adulti fit (adeguati) esclude insieme agli embrioni e ai soggetti in stato vegetativo, il riferimento al fondamento dell’essere. Infine, il filosofo americano contemporaneo Tristan H. Engelhardt, di impostazione liberale, sostiene che il bene pubblico non si può costruire ma lo si può definire mediante un accordo che delinea l’etica dei consenzienti. Così, (dopo il contratto sociale di J. J. Rousseau) compare il contratto etico di Henghelardt, che però, anch’esso ignora i criteri fondativi. La legge civile diventa etica pubblica, la legge privata diventa l’ambito in cui ognuno si comporta secondo l’ispirazione della volontà. Nella foto Mons. Elio Greccia L’Enciclopedia, in tale pluralismo di visioni, rappresenta un notevole sforzo per promuovere un confronto tra etica e diritto, tale da non imporre teorie riduzioniste verso Dio e la persona, che riducano tutto all’utile, ma che si aprano all’uomo e alla sua profonda domanda di senso e di significato (oltre il riduzionismo biologico). Quindi, in tale confronto, sarebbe irragionevole non considerare questa chiave di lettura lumeggiata da fede e ragione, luci provenienti da un’unica sorgente. L’Enciclopedia, che si ispira a tale sguardo antropologico, è destinata non solo ai politici e a coloro che nel mondo sociale si interfacciano con le istituzioni, ma anche a docenti, studenti e cultori della vita che saranno stimolati dall’innovativo inserimento laterale al testo, di richiami a ulteriori voci di ricerca e dall’agevole collocazione delle note bibliografiche sia a piè di pagina sia a fine argomento. 1 Cf. N. BOBBIO, L’era dei diritti, Einaudi, Torino 1989 e 1990. 29 La barberia del Papa, sotto il colonnato di San Pietro Alla ricerca della dignità Su volontà di Bergoglio, poveri e senzatetto che gravitano attorno al Vaticano possono usufruire, oltre che delle docce, anche del servizio di barba e capelli. Si tratta dell’ultima iniziativa promossa dall’Elemosineria apostolica, il braccio operativo della carità del Pontefice, guidata da Monsignor Konrad Krajewski. (distico) Dal 16 febbraio i clochard che vivono attorno al Vaticano possono usufruire non solo di docce e bagni ma anche di un servizio di taglio barba e capelli. L’ha voluto Papa Francesco che ha autorizzato ad adibire uno spazio ad hoc sotto il colonnato di piazza San Pietro. La “barberia del Papa” è una delle ultime iniziative per i poveri di Roma promossa dall’Elemosineria apostolica, il braccio operativo della carità del Pontefice guidata da Monsignor Konrad Krajewski, l’Arcivescovo polacco al quale Bergoglio aveva chiesto di non rimanere dietro la scrivania ma di divenire il suo prolungamento concreto a favore degli ultimi. Così Krajewski dopo aver organizzato la costruzione delle docce, che ha subito qualche ritardo sui tempi di ristrutturazione previsti, ha fatto riservare un’area dei nuovi locali ampliati sotto al Colonnato ad una sala da barbiere. “La prima cosa che noi vogliamo”, ha detto Mons. Krajewski, “è dare dignità alla persona. La persona che non ha la possibilità di lavarsi è una persona socialmente rifiutata e tutti noi sappiamo che un clochard non può presentarsi in un posto pubblico come un bar o un ristorante per chiedere di usufruire dei servizi perché questi gli vengono ne- 30 fraternità 02-2015 “Questa è casa vostra”. A sorpresa Papa Francesco ha raggiunto nella Cappella Sistina i 150 senzatetto, invitati dalla Elemosineria Pontificia a visitare i Musei Vaticani. I clochard erano arrivati da poco quando, si è affacciato il pontefice accompagnato solo da un collaboratore. Papa Francesco ha stretto le loro mani, uno per uno, e ha preso la parola dicendo: “Benvenuti. Questa è la casa di tutti, è casa vostra. Le porte sono sempre aperte per tutti”. gati”. “Ma certo - fa sapere sull’ultima iniziativa - fare la doccia e poter lavare la biancheria non basta. È necessario anche essere in ordine con i capelli e la barba, anche per prevenire malattie. Un altro servizio che un senzatetto difficilmente potrebbe avere in un negozio normale perché magari potrebbe sollevare il timore di diffondere ai clienti qualche malattia, come ad esempio la scabbia”. Tra un paio di settimane il servizio sarà pronto a partire assieme alle tre nuove docce. Molti hanno già donato l’attrezzatura necessaria per il servizio: forbici, spazzole, rasoi e le poltrone da barbiere. Tra i primi barbieri volontari due sono dell’Unitalsi, altri frequentano l’ultimo anno della scuola di barbieri di Roma. Taglio e barba saranno effettuati di lunedì, il giorno in cui i negozi sono chiusi e i barbieri sono quindi liberi dalla loro attività. Tra una sforbiciata e una passata di rasoio, i volontari hanno ascoltato le loro storie: “C’era un 19enne italiano cacciato di casa dal padre - racconta Daniele Mancuso, parrucchiere di Fiumicino - . E un signore che non passava dal barbiere da due anni. Ora sembra averne 20 di meno”. “Noi - aggiunge Arianna Corsi - abbiamo restituito loro solo un po’ di dignità”. Un solo appun- to: “Mi dispiace aver visto pochi barbieri di Roma”, conclude Daniele. Volontari dell’Unitalsi hanno consegnato ai clochard kit per la barba, intimo e asciugamani freschi di lavanderia. “Ci siamo fatti lo shampoo - racconta qua- si commossa Barbara, una delle poche donne presenti al debutto del servizio aperto il lunedì, il giovedì e il venerdì - e i barbieri sono stati bravissimi”. “È vero - si accoda Claudio - ho letto tutto sui giornali. Avevo i capelli fin sotto le spalle e mi sono detto “meno male che c’è Francesco”. Ad avvertire gli altri senzatetto durante la consegna dei pasti è stato l’elemosiniere pontificio, Konrad Krajewski. “Lo devo ringraziare - dice Gregorio - i miei figli sono in Grecia e mi piacerebbe rivederli. Così sono più presentabile. Questo Papa è come Wojtyla, non fa distinzioni tra ricchi e poveri”. Sorride anche Pavel: “Sono arrivato in cantiere 20 anni fa dalla Polonia, poi mi sono trovato senza lavoro. Ora c’è qualcuno che si prende cura di noi. Adesso mancano solo i bagni chimici di notte”. Nelle foto le docce realizzate sotto al colonnato a Piazza San Pietro, l’Elemosiniere del Santo Padre, Mons. Konrad Krajewski e i volontari “barbieri” dell’Unitalsi insieme ad un clochard. 31 Leggere “Predicate sempre il Vangelo, e se fosse necessario anche con le parole”. Francesco lo ha detto più volte. I lettori ci scrivono Allora, per comporre un “alfabeto di Papa Bergoglio” bisogna tener conto non solo delle parole che ha pronunciato, ma anche dei gesti, degli atteggiamenti, delle scelte. Dalla A di “affari” alla Z di “zucchetto”. Temi importanti, come “famiglia” e “gioia”, ma anche curiosi e sorprendenti. È il caso della lettera B, dove si trova la “borsa” che il Papa porta con sé in aereo, della T, con il “telefono” così amato da Francesco, e della U, dove figurano le “utilitarie” da lui usate per spostarsi. Caro Direttore, sarà possibile ottenere l’indulgenza plenaria nel corso del Giubileo anche in pellegrinaggio a Lourdes? Maria Assunta C. Caserta Gentile Maria Assunta, l’indulgenza plenaria viene concessa dal Papa nella formula stessa di indizione dell’Anno Santo. Nei precedenti Giubilei, ad esempio, quello del 2000, era allargata, oltre che al pellegrinaggio a San Pietro, nelle Basiliche giubilari di Roma, in Terra Santa, e nelle Chiese designate in ogni diocesi. L’altra volte il Santuario di Lourdes era tra i luoghi sacri designati per avere l’indulgenza. E anche questa volta il Papa ha deciso che la Porta Santa sia in ogni Santuario ed in ogni Chiesa, secondo la volontà del Vescovo titolare . Per ottenere l’indulgenza non basta però il solo pellegrinaggio, ma è necessario ottemperare ad alcune elementari regole del buon cristiano. Confessarsi e comunicarsi nel corso del pellegrinaggio, avere atteggiamento di effettivo distacco da ogni peccato, pregare secondo le intenzioni del Santo Padre, fare atti di carità e penitenza che esprimano la conversione del cuore, operata da sacramenti. Ne esce un riassunto, scritto con penna arguta e mai banale, degli aspetti più caratteristici di un pontificato che sta segnando in modo indelebile il messaggio e lo stile della Chiesa. Un raffinato testo che attraversa le quattordici stazioni della Via Crucis; per la preghiera personale e comunitaria nel tempo di Quaresima, tutto a colori, testi grandi e di facile lettura arricchito con fotografie artistiche dove anche il popolo è partecipe della celebrazione. Il cardinale Angelo Comastri attira il lettore verso la “Croce” che ci parla dell’amore supremo di Dio; contempliamolo con uno sguardo più profondo e scopriremo che la Croce non è il segno della vittoria della morte, del peccato, del male, ma è il segno luminoso dell’amore, anzi della vastità dell’amore di Dio. Gesù sulla croce ci affida difficoltà, sofferenze, malattie, umiliazioni, ma, unendoci ad essa e al suo dolore, possiamo partecipare non solo alla sua sofferenza, ma anche alla sua gloria. Per la Pasqua di Cristo, ma anche per ogni periodo dell’anno, questo libro è davvero prezioso! 32 fraternità 02-2015 Caro Direttore. mi piace la nuova grafica, leggera, essenziale, senza la paura del vuoto (gli spazi bianchi rendono la pagina più gradevole alla vita). Mi piacciono anche le frasi in caratteri più grandi virgolettate e il carattere lineare scelto per i titoli, nonché le frasi scritte in rosso. Bene anche per l’essenzialità degli articoli, mai pesanti o troppo lunghi. Una sola cosa non ho gradito: sulla carta stampata le pagine 4 e 19, dove gli articoli sono sovrascritti all’immagine, gli stessi risultano poco leggibili perché si confondono col sottofondo, cosa che peraltro non noto sulla copia in video. Grazie comunque, e tanti auguri per la nuova Pasqua. Cordialità Ilario Dal Brun, Unitalsi Vicenza Caro Ilario, grazie per gli appunti precisi al nuovo numero di Fraternità. Abbiamo cercato di fare del nostro meglio in economia e, con incoraggiamenti come il tuo, cercheremo di fare sempre meglio, Buona Pasqua e un abbraccio fraterno. Ecco il libretto che accompagnerà i pellegrinaggi Unitalsi in questo 2015, con una serie di riflessioni legate al Tema Pastorale del Santuario di Lourdes: “LA GIOIA DELLA MISSIONE”. Uno strumento utile per meditare sull’esperienza del pellegrinaggio, occasione speciale per riscoprire la “missione” affidata dalla Chiesa a ciascuno di noi. Una veste grafica moderna e funzionale rende questo libretto un perfetto “compagno di viaggio”, da portare sempre con sè, per scandire il tempo del pellegrinaggio declinando così il tema della “missione”: la gioia della missione nella comunione (giorno dell’arrivo); la gioia della missione nella fragilità (giorno della celebrazione penitenziale); la gioia della missione nella Chiesa (giorno della processione eucaristica); la gioia della missione nella quotidianità (giorno del flambeaux); la gioia della missione nel quotidiano (giorno della partenza).