Comune di Cinto Caomaggiore
La Piazza San Biagio di Cinto
Comune di Cinto Caomaggiore
dell’Archivio della Memoria Cintese
Cartoline e documenti
di Marcello De Vecchi
Alcune note storiche
La Piazza San Biagio di Cinto
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“Patera” del XII secolo inserita nelle mura esterne di Villa Bornancini.
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Spesso si può cogliere l’essenza della vita di un centro abitato al primo sguardo, prestando
la giusta attenzione al luogo che rappresenta il suo punto di riferimento: la piazza centrale.
La dimensione dello spazio, lo scenario più o meno armonico degli addobbi e delle case intorno, la stessa sua collocazione rispetto alla strada, ma anche il modo con cui la gente l’attraversa
o si ferma a conversare, possono rivelare il grado di socialità della gente oltre che fornire utili
cognizioni sulle professioni e sulle reali condizioni economiche dei suoi abitanti.
La piazza principale è essenzialmente uno spazio aperto, circondato da edifici che svolgono una importante funzione pubblica, quali la Chiesa e il Municipio, e costituisce il luogo di
ritrovo fra le persone di una collettività urbana. Originariamente il nostro paese non aveva un
centro abitativo vero e proprio ma si configurava come un insieme di nuclei di case sparse nella
campagna. Sembra che l’antico paese di Cinto sia sorto dall’aggregazione di alcuni nuclei di
case edificati in prossimità della strada principale. La chiesa allora non si trovava in mezzo alle
case ma un po’ appartata verso la parte ovest dell’abitato, in un luogo opportunamente elevato
e strategico, grazie alla vicinanza del mulino di Cinto, ma con poche case attorno.
L’attuale configurazione centrale della piazza ha una storia più recente ed è frutto dell’incremento abitativo avvenuto nel corso degli ultimi due secoli. Tale sviluppo fu favorito inizialmente dal passaggio della Regia Strada Callalta, dal trasferimento del cimitero che si trovava
sul sagrato della chiesa e infine dalla costruzione del Palazzo Comunale.
Presentazione
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Luigi Bagnariol
Il Sindaco
Questo libretto ripercorre brevemente la storia e l’evoluzione della piazza centrale, dedicata
oggi a San Biagio, mettendo in rilievo alcuni di questi avvenimenti, spesso spunto per le scelte
compiute dall’amministrazione nei recenti lavori di rifacimento della Piazza. Si è infatti inteso
restituire questo spazio alla sua funzione originaria: luogo di incontro e scambio dei cittadini.
Non parcheggio (si è infatti scelto di realizzare un parcheggio di circa 100 posti auto nelle sue
vicinanze ma collaterale), non isola ecologica (gli originari cassonetti raccoglitori di rifiuti sono
stati eliminati), non luogo di transito ad alta velocità (è stato piastrellato con il porfido il tratto
stradale che attraversa la piazza sia per obbligare le auto a rallentare che per dare uniformità e
omogeneità all’intervento), ma il luogo dell’identità di una comunità, capace di racchiudere e
rappresentare tutta la sua storia. Il piantare un albero di quercia, tipico albero di questo territorio, base dell’economia dei secoli scorsi, fonte di vita e ristoro delle famiglie contadine, vuol
essere il legame tra passato e futuro. Siamo soddisfatti di aver investito 2.450.000,00 euro per
restituire a tutti i concittadini un adeguato spazio di incontro e identificazione.
1. La Pieve San Biagio di Cinto
La storia della piazza del paese
è legata indissolubilmente alla Chiesa di San Biagio, edificata in tempi
remoti nei primi secoli del secondo
millennio, forse sostituendo qualche
edicola od oratorio preesistente: primo punto di riferimento per gli umili
devoti delle masserie poste lungo i
corsi d’acqua denominati Chialmajor
e Lison, e per i boscaioli residenti nei
capanni in prossimità dei boschi. Inizialmente doveva trovarsi all’interno
di uno spazio protetto, probabilmente
cintato per difendere un importante insediamento agricolo, dal quale
potrebbe essere derivato il nome di
Cinto (da Cinctum), almeno secondo
La piazza San Biagio
di Cinto
La chiesa e il mulino di Cinto, da una mappa del 1590.
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alcune ipotesi fatte da alcuni storici di toponomastica. L’unica certezza è il ritrovamento di quattro cuspidi triangolari in pietra, visibili attualmente nell’Abbazia di Sesto e di un’antica “patera” in marmo
greco con rilievo raffigurante un’aquila che becca sul capo una lepre, databile fra il XII e XIII secolo
e oggi inserito nelle mura esterne della villa Bornancini. Si tratta di reperti appartenenti ad un edificio
religioso precedente oppure risalenti all’abitazione del forestarius ovvero del ministro patriarcale. D’altra parte è da rilevare la vicinanza con il mulino di Cinto che, come la chiesa, poteva vantare antiche e
remote origini.
Una chiesa antica come quella di Cinto racchiude fra le sue mura innumerevoli storie, spesso
drammatiche ma a volte anche felici. Tutta la vita collettiva del paese è stata per secoli cadenzata dalle
festività religiose mentre la vita individuale era regolata dai santissimi sacramenti. Non sempre verso
i sacramenti ci fu unanime consenso da parte degli abitanti di Cinto, nel corso del Cinquecento una buona parte della popolazione mise in dubbio la validità del battesimo all’infante, dando vita ad un esodo
in Moravia per poter mettere in pratica gli ideali dell’eresia anabattista. Le cose però non andarono
come avevano sperato e alcuni di loro, ritornati in paese, dovettero subire il processo da parte dell’inquisizione.
Domenica 27 Giugno del 1563 toccò a Biasio de Michiel, riportato a Cinto da Venezia sotto la scorta di alcuni ministri gendarmi, abiurare durante la messa celebrata dal vicepievano Pre Giulio: dopo lo
evangelio e alla presenza del padre inquisitore Francesco Pinzino, Biasio, con una candela accesa in
mano, dovette rinnegare ogni heresia che vada contra la Santa Romana Giesia. Lo stesso accade domenica 18 luglio di quell’anno, con Isepo Gobbito, dopo che il giorno prima era stato posto alla berlina per
tre ore su la piaza del mercato di Portogruaro, con appeso al collo la scritta: per eretico e disubediente.
Oltre all’abiura Isepo dovette anche stare per due ore ingenochiato à genochi nudi avanti alla porta
maggiore et più frequentata della chiesa, con la candela accesa e una caveza al collo.
La chiesa con il cimitero attorno, da una mappa di Cinto del 1682.
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Se questo uso della chiesa era una pratica legittima e ufficiale, si poteva a quell’epoca assistere
all’utilizzo della porta della chiesa per pratiche poco igieniche e superstiziose. Una striga di Cinto chiamata Lutia, molto richiesta per levar fatture, soprattutto quelle legate alla sfera sessuale, consigliava
infatti agli uomini di urinar alla matina, di buon hora sopra il catenaccio della porta d’ingresso.
Il terreno intorno alla chiesa, fino alla metà dell’Ottocento, fu usato per seppellire i defunti com’era
consuetudine per le pievi di un tempo. Nell’attuale Piazza San Biagio dunque s’inumò per secoli le salme di tanti bambinelli volati in cielo in tenera età, di ragazzi stroncati dalle febbri maligne e dal vaiolo,
di giovani donne morte durante il parto, d’anziani consumati dagli stenti delle carestie: insomma era il
luogo dove le spoglie dei poveri villici trovavano un’adeguata accoglienza per l’estremo riposo.
Le famiglie nobili o benestanti si facevano seppellire invece in chiesa dentro appositi sarcofaghi
famigliari oppure in loculi scavati ai piedi degli altari. A Cinto abbiamo testimonianze della presenza
nella Chiesa di San Biagio della tomba dei magnifici Pedrinelli, cittadini veneziani, famiglia di mercanti
e venditori di sale che avevano stabilito la propria residenza a Cinto nel corso del Cinquecento. La loro
abitazione era poco lontana dalla chiesa, nella zona ora chiamata Castello. Nel 1606 furono protagonisti
di una lite con la Comunità di Cinto per aver tirato nel loro cortivo in prossimità della chiesa uno pezeto
di stradella del comune e fatto uno pezzo di muro di fora via. Si trattava di circa quindici perteghe ottenute in cambio di uno pezzo di loro cortivo aposto avanti la chiesa et lassato goder ad esso Commun e
che era utile ancho alla chiesa, di tali dimensioni che si potevano fare non una ma sie o sete strade de
più di quanto avevano tolto, come si deduce da una lettera presentata dai Pedrinelli durante il processo.
Forse con questo documento si prelude alla formazione di uno spiazzo davanti alla chiesa, utile per
le manifestazioni religiose ma anche per quelle civili, poiché nel passato fra le due manifestazioni non si
faceva molta distinzione, non a caso era il parroco a tenere l’anagrafe del paese, con il registro dei battesimi, e le commemorazioni civili non prescindevano da una messa solenne. I beni del Comune erano
La piazza con il palazzo del comune sullo sfondo e un pozzo al centro (anno 1910 circa - proprietà Gianpiero Del Gallo).
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2. La Loggia e la dislocazione delle case
A quell’epoca il Comune non disponeva di un municipio ma solamente di una Loggia che si trovava
nell’attuale via Roma all’altezza dell’agraria, distante più di un tiro di balestra dalla chiesa. Dobbiamo
considerare che il paese era allora per lo più formato da gruppi di case sparse lungo la strada maestra,
che in maniera tortuosa si diramava dalla cesiola in capo alla villa dedicata alla Madonna della Concezione, fino al Palazzo della Persiana.
Questi insediamenti erano situati in prossimità delle curve, e inizialmente era frutto della prolificazione di alcune famiglie di piccoli proprietari, come nel caso della famiglia di Agnolo e Biasio Michiel
detti anche Zanotti, che nel Cinquecento aderirono all’anabattismo. Ma in alcuni casi si trattava solo di
rustici agglomerati sorti intorno alle case dominicali ovvero alle agenzie dei latifondisti.
Nella seconda metà del cinquecento e nei secoli successivi, il peso di queste agenzie divenne sempre più rilevante, emarginando o assorbendo i vecchi proprietari. Agenzie come quella dei Tiepolo (Palazzo della Persiana), dei Pedrinelli (in prossimità della chiesa), dei Marcello (nella zona Bando), dirette
ognuna da un fattore o gastaldo, facevano in paese il bello e cattivo tempo ammassando buona parte del
raccolto nelle loro barchesse. Le famiglie storiche del paese (quali i Minighini, i Machagnini, i Vendramini, i Simeoni, i Filippi, i Franzon, i Piccolo, ecc.) si trovarono così a dover subire ingerenze anche
all’interno della loggia comunale.
In una riunione della Vicinia svoltasi il 2 Gennaio del 1669, per esiger il denaro del Galioto (tassa
richiesta dalla Serenissima Signoria per pagare i rematori delle galie) il fattore dei Tiepolo, Antonio
Rossi Romano, si fece vedere nella Loggia con lo schioppo in mano per intimidire il relatore Melchiorre
comunque ben distinti da quelli della Chiesa ed è possibile che con questo documento si dia inizio ad un
contenzioso fra Comune e Chiesa sulla proprietà della piazza che è arrivato fino ai giorni nostri.
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La piazza della chiesa di Cinto: si notano alcuni soldati austriaci con carri e cavalli. La chiesa durante l’occupazione austriaca fu usata come ospedale militare (anno 1918 - proprietà AMC).
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3. La devozione popolare a Cinto
I contadini di allora vivevano con il minimo essenziale e ogni contributo richiesto dallo stato era per
loro molto oneroso. Bastava un periodo di siccità per mettere in pericolo la loro stessa sopravvivenza.
Non c’era allora altro modo di difendersi dalle intemperie se non implorando l’intercessione dei santi e
facendo qualche voto collettivo.
Situata poco lontano dalla chiesa si trovava allora la casa della Fraterna de San Biasio, una delle
più antiche confraternite laiche presenti nel paese di Cinto ma non l’unica, come dichiarava il pievano
di Cinto Vittorio Torelli al vescovo Paolo Vallaresso nell’anno 1694. A quel tempo queste congregazioni
avevano molti proseliti e si mostravano particolarmente attive in paese. Il pievano di Cinto per assecondarle doveva scendere in piazza ogni domenica e guidare una processione intorno al sagrato della
chiesa, invocando i santi patroni. La prima domenica del mese toccava alla Scuola del Santo Rosario,
la seconda domenica era dedicata alla Confraternita della Madonna del Carmine, la terza processione
del mese era riservata al Santissimo Sacramento, la quarta domenica invece la processione era promossa
dalla Fraterna de San Biasio.
Nella seconda festa di Pentecoste sul sagrato della chiesa si dava appuntamento l’intera popolazione del paese e poi in processione insieme al pievano, si metteva in cammino per raggiungere i santuari
più vicini (un anno a San Vito, un anno a Motta e il terzo anno a Cordovado) e così adempiere ad un
voto fatto dal Comune. Altro giorno importante era il 25 aprile, quando in corteo, con la croce in mano,
Grimaldi e poi all’uscita senza profferire parola lo assalì con un pugnale che teniva sotto la gabbana
e colpì sul viso con bruto sfrigio, tagliando le arterie templari e stava per replicare il colpo, che forse
haveriebbe atterrato il Grimaldi, se il Reverendo Ciro Varotari pievano di Cinto, col metter sotto a pericolo il proprio braccio, non havesse fato astenere il dilinquente.
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La piazza con il municipio sullo sfondo e l’osteria sulla destra. Si nota una moderna fontana al posto del pozzo e vari “notabili” del paese nei pressi dell’osteria (anno 1920 circa - proprietà AMC).
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5. Il nuovo campanile e la nascita della municipalità
All’inizio dell’anno 1796, l’antico campanile della chiesa, che secondo le mappe che ci sono giunte
doveva trovarsi nella parte retrostante della chiesa, crolla rovinosamente a terra. La vita quotidiana del
paese ne fu in qualche modo scombussolata, soprattutto per i contadini che regolavano la loro attività
attraverso il suono delle campane. Nel luglio dello stesso anno, si fece una riunione straordinaria della
4. Il pittore Gregorio Lazzarini procuratore della pieve di Cinto
Verso la fine del Seicento e nei primi anni del Settecento lungo il sagrato della chiesa di Cinto, in
certi periodi dell’anno, fu possibile veder passeggiare il grande pittore veneziano Gregorio Lazzarini,
spesso in compagnia del fratello prete Antonio e della sorella Elisabetta, anche lei apprezzata pittrice.
L’artista fu molto legato a Cinto, essendo il paese d’origine di sua madre Catarina Pedrinelli: diventato
celebre decise di investire nella campagna cintese buona parte dei suoi introiti, acquistando una casa domenicale e alcuni poderi. La presenza di quest’illustre personaggio spinse la popolazione, nel luglio del
1706, ad eleggere Gregorio quale procuratore della chiesa di San Biagio, carica che il pittore detenne per
più di venti anni. Un periodo importante per la Chiesa di Cinto: grazie al contributo di signore nobili e di
vedove benestanti furono rinnovati alcuni altari, dotandoli di nuove immagini sacre dipinte dallo stesso
Lazzarini. Il suo biografo da Canal segnala ben cinque opere eseguite da Gregorio fra il 1708 e il 1723
per la chiesa di Cinto, fra le quali la tela Cristo in croce e le Marie, opera tuttora presente in chiesa.
giungevano sul sagrato della chiesa gli abitanti di Settimo. I fedeli di Cinto allora uscivano dalla chiesa
e insieme a quelli di Settimo, proseguivano in processione fino alla chiesa di Pramaggiore, dedicata a
San Marco, con lo scopo di pregare quel glorioso santo d’interceder appresso all’Altissimo per la gloria
del doge e dello stato veneziano.
Il sagrato della chiesa con una serie di pilastri in mezzo. Si notano diverse cornici poste sulla chiesa e sulle case vicine
(anno 1920 circa - proprietà AMC).
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vicinia per ricostruire il campanile, ritenuto indispensabile per la comunità e decoroso per la pieve, dove
si stabilì di raccogliere ogni anno casa per casa il giorno di San Biasio, una tassa straordinaria di 200
ducati, fino all’estinzione della spesa. Grazie ad una supplica alla Serenissima Signoria, alla comunità
furono accordati a questo scopo 150 roveri del bosco della Persiana (era uno dei cinque boschi di quercia, esistenti in paese, dai quali la Repubblica di Venezia attingeva legno pregiato per l’Arsenale).
In seguito al grave sconvolgimento provocato dall’invasione delle armate napoleoniche e da quelle
austriache avvenuto l’anno successivo, si allungarono i tempi di costruzione del campanile. Sembra che
i lavori siano iniziati solo nei primi anni dell’Ottocento con una novità importante: si demolirono i ruderi
del vecchio campanile e si decise di costruirne uno nuovo, più solido e imponente, nella parte antistante
la chiesa, proprio di fronte al sagrato.
Il campanile diventò così il simbolo delle nuove velleità del paese, che trovarono inizialmente
espressione nella nascita del nuovo comune municipale, istituito durante il periodo napoleonico, dove
Cinto fu posto a capoluogo di un territorio che, oltre a Settimo, comprendeva Giai, Gruaro, Bagnara,
Teglio e Cintello.
Le feste di piazza erano per Napoleone molto importanti: in particolare i suoi sudditi dovevano
celebrare, con messe solenni e feste popolari di pubblica esultanza, il giorno della sua nascita e quello
dell’incoronazione ad imperatore. I Prefetti, sempre molto avidi riguardo al denaro, accordavano prestiti
ai comuni, purché si favorisse l’ossequio dei villici, distribuendo cibo e vino alla popolazione e promuovendo balli e giochi popolari. Il sagrato di Cinto in quei giorni pullulava di gente che, dopo aver seguito
in chiesa il solenne Te Deum cantato in gloria di Napoleone, si misurava con il gioco della cucagna e
altri giochi campestri.
Rendere più celeri le comunicazioni fu uno degli obiettivi che si era proposto il governo napoleonico: con le strade in buono stato si poteva far arrivare le disposizioni governative con maggiore tem-
Il palazzo del comune come appariva negli anni ’30. Si notano in primo piano gli alberi di Tiglio da poco piantati
(proprietà AMC).
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6. La costruzione della Regia Strada Callalta
L’idea che una buona strada maestra potesse essere utile all’economia del paese, non fu accantonata nemmeno dopo la caduta di Napoleone. La politica del nuovo governo austriaco era finalizzata ad
ottenere il maggior reddito possibile dall’occupazione piuttosto che assecondare le esigenze dei sudditi,
ma il comune di Cinto attese con pazienza l’occasione giusta. L’opportunità arrivò con la costruzione
della Regia Callalta, una strada che partendo da Treviso doveva arrivare inizialmente alle sponde del
Livenza, ma che poi si decise di allungare fino a San Vito.
La costruzione però doveva essere fatta con il minor spreco delle pubbliche finanze: il contenimento
delle spese di costruzione era ritenuto prioritario rispetto alla retta comunicazione della strada fra Treviso e San Vito. Si decise che la Strada Callalta doveva nascere come una catena non interrota di strade
comunali, le quali saranno valevoli e poste in diretta comunicazione benchè sopra una linea un poco
curva. Insomma il costo della strada doveva essere a carico dei comuni attraversati e dunque il tragitto si
configurava secondo la disponibilità o meno dei comuni di assumerne i costi. Da Motta in poi l’itinerario
prevedeva una deviazione per giungere fino a Portogruaro, dove già esisteva una strada in buone condizioni che portava a San Vito. Il tragitto più breve da Motta a Portogruaro passava per Annone, Belfiore,
Pradipozzo e Sumaga ma si modificò il percorso e si decise di passare per Annone, Pramaggiore e Cinto,
aumentando la lunghezza di circa quattro miglia. Cinto così, rendendosi disponibile alla spesa, ebbe
pestività ma anche permettere maggiore mobilità ai militari e favorire il commercio. Il comune di Cinto
trovandosi allora con la strada principale in pessime condizioni pur essendo la sola usata per il passaggio delle merci, ed effetti pubblici fra le due città di Portogruaro e Pordenone, supplicò inutilmente il
governo di farla assurgere al ruolo di commerciale e non già comunale, in maniera di avere un adeguato
sostegno nel dispendio necessario per il suo rifacimento.
Piazza San Biagio negli anni ’30 (proprietà Lucio Pellegrini).
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7. Siccità e tempeste: promemoria del Pievano di Cinto
Dopo la siccità, il paese subì la desolatione delle tempeste e il debito sostenuto dal comune per la
strada diventò più gravoso da rispettare: ne troviamo eco in un promemoria scritto nei registri parrocchiali di Cinto dal pievano Don Francesco Toffoli. Secondo il sacerdote, quando nel settembre 1831
arrivò a Cinto, si trovò in un paese devastato dalle tempeste, che colpirono tutti affatto li raccolti di
quell’anno, con i campi del suo Beneficio resi un deserto.
La difficile situazione favoriva un certo malcostume fra la gente con tanti disordini di moralità e
l’uso della bestemmia pressoché comune, che però coll’istruzione e colla pazienza il reverendo Toffoli
riuscì a correggere. Non si perse d’animo nemmeno di fronte alla Casa Canonica che trovò in somma
l’opportunità di far passare la Regia strada per il paese. Al Comune di Cinto, ricevuto l’incarico, non fu
facile appaltare il lavoro secondo il prezzo calcolato dalle perizie governative, una decina d’esperimenti
d’asta non ebbero effetto. La somma proposta inizialmente di £ 15.000 (9.000 elargite direttamente dal
comune, 6.000 anticipate dal governo come sussidio erariale da rifondere in cinque anni) dovette essere
aumentata a £ 20.623, per trovare un imprenditore disponibile a sobbarcarsi il lavoro.
Sembra che il comune di allora, eccedendo forse per troppo zelo le sue facoltà appaltò il lavoro
ad un certo Antonio Ferrari di Fossalta con trattativa privata e prima di ottenere l’autorizzazione governativa. Quantunque irregolare l’operato dell’Ufficio Comunale di Cinto, dato però l’urgenza per
l’effettuazione dell’opera, anche per l’impiego di quei villici miserabili, massimamente della Comune di
Cinto, ove ha infierito estremamente la siccità, venne concessa l’apertura dei cantieri. In un documento
del 9 novembre 1829 del Commissariato di Portogruaro si ha notizia che la costruzione della strada
progredisce rapidamente. Fu così risanata e allargata la strada maestra ma anche realizzato un nuovo
tratto di strada: l’attuale Via Treviso che metteva direttamente in collegamento Motta con Portogruaro.
Il municipio di Cinto e la Barchessa Bornancini (anno 1920 circa - proprietà AMC).
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8. Trasferimento del Cimitero e sistemazione del sagrato della chiesa
Il passaggio per Cinto della Regia Callalta favorì un primo sviluppo edilizio attorno alla piazza
centrale del paese. Nel 1834 è edificata per opera della famiglia Bronzin l’attuale villa Bornancini,
ristrutturando e incorporando un antico edificio. In quello stesso periodo fu edificato davanti all’agglomerato di case chiamato Castello, il primo fabbricato dell’ex-casa Battiston, ora sede della farmacia.
Verso la metà dell’Ottocento trova finalmente realizzazione un progetto che era stato prospettato
già durante la municipalità napoleonica: la rimozione dalle piazze dei defunti e la costruzione di un
nuovo cimitero, lontano dal caseggiato. Fu individuato un terreno idoneo lungo la strada che da Cinto
conduce a Settimo, allora chiamata via della rosta matta e oggi via IV Novembre. Si trovò luogo conveniente e adatto per servire alla Parrocchia di Cinto e alla succursale di San Gio Batta di Settimo,
nonostante l’opposizione dell’allora proprietario Valier, il quale tentò di opporsi adducendo il motivo
rovina, decise d’intervenire e, alienando il suo patrimonio ecclesiastico di ex veneti ducati mille, fece
eseguire i lavori necessari per ottenere una comoda e decente abitazione, ma anche opportunissima pei
bachi di seta, che tanto gli interessava. Fece ristrutturare anche il casone a paglia vicino, cambiando
i travi in legno e la paglia, rifacendo i terrazzi, scavando il basso piano delle troje che si avevano per
razza e riparando le mangiatoje e i soffitti della stalla. Riattò con molti coppi il coperto della caneva,
confinante con il casone, e costruì a sera un comodo sottoportico per ripararla dal bollente sole d’estate
che faceva temere i guasti del vino.
E chi mai si sarebbe privato della propria sostanza per migliorare quella d’una Comune? Si chiede
in questo promemoria il pievano e con grande senso civico risponde d’essere contento di averlo fatto
perché non gli reggeva il cuore di gravare con queste spese sulla povera Comune, già sconvolta da continue tempeste e secchi ma soprattutto oppressa da pesi enormi stradali.
Via Callalta con municipio e negozio Generi Alimentari (anno 1935 - proprietà AMC).
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9. La costruzione del Palazzo Municipale
Il trasferimento delle tombe favorì un certo dinamismo edilizio nei pressi della piazza. Innanzitutto
fu interessata la stessa chiesa che aveva necessità di essere risanata e ampliata per accogliere i nuovi
fedeli provenienti dalla provincia vicentina, che avevano sostituito le famiglie emigrate in America (dal
1871 al 1879 il comune di Cinto a fronte dell’emigrazione di 622 persone poté valersi di un’immigrazione di 687 individui), favorendo un notevole incremento demografico censito in 288 abitanti in dieci
anni (15,11% della popolazione). I lavori, seppure realizzati con poca tempestività, consentirono la
ristrutturazione dell’abside e l’edificazione di due nuove navate laterali.
Nuove costruzioni sorgono intorno alla chiesa fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Il
centro acquisisce lentamente la sua particolare conformazione urbanistica, ne erano esempio la villetta
Bornancini (ora demolita) e la relativa barchessa (attuali negozi Nonis), la locanda Lazzarini (poi Batti-
che il terreno indicato era situato a minore distanza di quella prescritta. L’ingegnere addetto non si
scompose e fece occupare anche un pezzo di terreno del mappale vicino, posseduto dallo stesso proprietario, avvisandolo che qualora si fosse opposto alla cessione ad un prezzo conveniente, si sarebbe
proceduto all’espropriazione.
Dopo il trasferimento delle tombe, il sagrato della chiesa ebbe una prima sommaria sistemazione.
In un documento del 29 luglio 1859, il prefetto autorizza la spesa di £ 21,40 per alcuni piccoli restauri,
quali sarebbero il riordino di un cadente tombino, l’espurgo dell’erba e successivo inghiaiamento, eseguitosi nel piazzale che conduce alla Chiesa Parocchiale di Cinto. La ghiaia, a quanto sembra, fu ottenuta grazie all’escavazione del Caomaggiore, effettuata per favorire lo smaltimento delle acque. Dopo
questa prima sistemazione non ci furono da allora molti ripensamenti: la piazza, infatti, rimase con il
fondo in ghiaia per più di 100 anni, furono fatte solo piccole modificazioni della cornice intorno.
Piazza San Biagio delimitata da piante di Tiglio (anno 1956 - proprietà AMC).
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ston e ora sede della farmacia), la casa della Cooperativa Sociale di consumo (si trovava dove oggi è il
Bar Centrale), la Latteria turnaria, ed in particolare l’erezione del palazzo comunale ad uso di Municipio
e Scuole, avvenuta nei primi anni del Novecento.
Il Comune mancava di un fabbricato adatto al proprio ufficio da più di mezzo secolo, fin dall’inizio
dell’amministrazione italiana si era cominciato a prospettare la costruzione di un nuovo edificio, perché
la vecchia e decadente loggia era inadatta per svolgere le nuove funzioni richieste dalla municipalità. Il
sindaco Giuseppe Sartori di Settimo, durante il suo mandato (1871-1878) aveva dovuto far trasferire la
sede del municipio a Settimo. Subentrato come sindaco nel 1878, il barone Carlo Cattanei di Ca Marcello del Bando, aveva riportato la sede comunale nuovamente a Cinto, ospitandola nei locali del piano
superiore della Cooperativa. Il barone rimase sindaco di Cinto per ben 34 anni e fu proprio durante la
sua lunga gestione che si costruì il palazzo comunale (vedi cartolina a pag. 9). In realtà sembra che la sua
carica fosse solo formale, la sua presenza in Comune si limitava alla domenica mattina e il suo compito
si riduceva alla firma dei registi. L’amministrazione comunale in quel periodo si avvalse soprattutto
dell’operosità di Nicolò Bornancini, assessore e assiduo collaboratore del Barone, il quale nel corso del
Novecento lo sostituisce in gran parte degli atti, succedendogli come sindaco nel 1913.
Il centro di Cinto acquisì in quegli anni una sua originale struttura urbanistica, non su disegno d’insigni architetti ma quale effetto di una proficua combinazione fra le esigenze commerciali della piccola
imprenditoria e il “mestiere” dei capomastri edili dell’epoca.
Gli artefici, infatti, non furono i nobili proprietari terrieri, quali il conte Passi di Brescia, subentrato
nel corso dell’Ottocento ai Tiepolo del palazzo della Persiana, o il barone Cattanei, dimorante a Ca Marcello del Bando: il centro storico fu edificato esclusivamente dall’imprenditoria locale, e in particolare
dalla famiglia Bronzin (imprenditori stradali), dagli Arreghini (negozianti e impresari edili), dai Lazzarini (locandieri), dai Bornancini (mugnai), ecc.
Piazza del Municipio con il negozio Marinato e le case popolari di Via Trieste. Si notano anche i Tigli del piazzale della chiesa
(anno 1957 - proprietà AMC).
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10. La piazza raccontata dalle cartoline
La serie delle cartoline pubblicate in questo libretto ci permette di osservare il centro del paese
fin dai primi anni del secolo scorso. Nella prima immagine (pag. 9), appare il municipio da poco
eretto con davanti una piazza senza confini di sorta o addobbi particolari, c’è solo un pozzo situato al
centro, con la gente seduta sopra o assiepata intorno, mentre la strada si distingue appena. Il palazzo
del comune, che appare in varie altre cartoline (pag. 13, 17, 21, 23), ripreso da diverse angolature, fu
incendiato nell’ottobre del 1944 e ricostruito dopo la guerra, alterando la sua originale struttura e inalzando l’edificio di un piano (immagine pag. 27). Ospitò per diverso tempo, oltre agli uffici del comune
e all’appartamento per il segretario comunale, le scuole elementari (fino al 1961), la Banca (trasferitasi
a metà degli anni ’80), l’Ufficio Postale (fino alla fine degli anni ’80), la sede dell’Ufficiale Sanitario
e dell’A.V.I.S. comunale.
Fu poi oggetto di alcune ristrutturazioni: la prima alla fine degli anni ’60 (sostituzione delle distinte scale esterne d’accesso alle due parti del palazzo con un’unica scalinata ed eliminazione del “frontone” con la scritta Municipio e Scuole), la seconda a metà degli anni ’90 (sostituzione degli originari
serramenti in legno con altri in alluminio, installazione di un ascensore e spostamento al piano terra
della biblioteca, istituita alla fine degli anni ’70 all’ultimo piano). Nel 2007-2008 infine sono stati fatti
interventi di messa in sicurezza della struttura, di sistemazione del tetto, dei locali situati all’ultimo
piano (dove sono state ricavate 2 sale, l’ufficio per il Sindaco,della Giunta, del Segretario e la sede
della Protezione Civile) e dell’area antistante esterna. È stata modificata la scalinata e piantata, quale
simbolo e a memoria della storia del paese, una grande quercia.
Anche la chiesa ha subito alcune modificazioni nel corso del XX secolo, la sua vecchia facciata
che si vede in alcune cartoline (pag. 11, 15, 19), crollata improvvisamente nell’anno 1937 fu ricostruita
due anni dopo con diverso stile e maggiore imponenza (pag. 25 e 29).
La chiesa di San Biagio e via Marconi (anno 1960 - proprietà AMC).
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Altri interventi di restauro sono stati eseguiti nella seconda metà del Novecento e l’ultimo all’inizio
di questo secolo.
La serie di cartoline mostra anche l’evoluzione della piazza. In origine uno spiazzo libero con un
solo pozzo in mezzo (immagine pag. 9 e 11), successivamente circoscritto da pilastrini davanti alla chiesa (immagini pag.15, 19 e 23) che, nel corso del Novecento, vengono sostituiti dapprima con alberi di
tiglio (immagine pag. 25) e poi con una serie di aiuole (pag. 31).
I commenti sulle cartoline non si esauriscono qui, infinite sono le annotazioni che si possono fare,
sia di carattere architettonico ma anche di costume osservando bene gli oggetti e le persone che vediamo muoversi sulla piazza. Ad esempio in una cartolina (pag. 11), dove appare la vecchia facciata della
chiesa illuminata da un sole invernale, vediamo alcuni carri e dei cavalli sul sagrato ma nessun uomo
del paese, solo un gruppo di soldati barbuti in piedi, mentre dietro alcuni convalescenti prendono il sole,
seduti sui gradini della chiesa. Si tratta di soldati austriaci ripresi nei primi mesi del 1918, durante l’occupazione, quando la chiesa fu usata come ospedale militare.
Lasciamo ad ognuno il piacere di osservare le immagini, scorci di un passato ormai lontano, vivo
nei ricordi dei nostri vecchi e capace ancor oggi di suscitare forti emozioni.
Speriamo che il ripercorrere, attraverso queste vecchie foto, le trasformazioni del centro del paese,
possa essere un piccolo aiuto a conoscerci e ad avere maggiore cognizione della nostra identità.
Palazzo comune con le aiuole sul piazzale antistante (anno 1970 circa - proprietà AMC).
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© Comune di Cinto Caomaggiore - Aprile 2009
Ideazione grafica di Marcello De Vecchi
In seconda di copertina La piazza di Cinto, elaborazione dal Catasto Napoleonico del 1810.
In terza di copertina La piazza di Cinto, elaborazione dal catasto Austriaco del 1841.
Le cartoline pubblicate sono di proprietà dell’Archivio della Memoria Cintese (AMC), tranne le immagini in prima
di copertina e a pag. 9 di proprietà di Gianpiero Del Gallo e quella a pag. 19 di Lucio Pellegrini, che ringraziamo per la
disponibilità.
Si ringraziano Ornella Boattin della Biblioteca comunale di Cinto per la collaborazione e Sergio Basso, autore della
foto a pag. 2 e delle immagini della piazza come è oggi.
Altre notizie inedite provengono da consultazioni di documenti dell’Archivio di Stato di Venezia e dell’Archivio
Parrocchiale di Cinto.
Ricordi di Cinto Caomaggiore, D. Favro, L. Pellegrini, G. Cannata; Cinto Caomaggiore. Annali; G. Del Gallo,
S. Bassetti, M. Marzinotto (2000); Cinto e la sua storia, AA. VV. (2000), Cronache di vita agreste, M. De Vecchi (2003);
Gli anabattisti di Cinto. Esodo e vicissitudini, M. De Vecchi (2004); Il centesimo di Napoleone, M. De Vecchi (2005);
La Fraterna del Miglior Viver, AA. VV. (2005); Cinto Contadina, Archivio della Memoria Cintese (2006); La comunità
di Settimo. Storia e Memoria, AA. VV. (2006).
Bibliografia essenziale
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La Piazza San Biagio di Cinto