Nome file 950702SC1.pdf data 02/07/1995 Contesto SC Relatori GB Contri Liv. revisione Trascrizione STUDIUM CARTELLO 1994-1995 GIORNATA CONCLUSIVA 2 Luglio 1995 “DA VENT’ANNI” TESTO INTEGRALE GIACOMO B. CONTRI DA VENT’ANNI La prima domenica di luglio, ormai da 6 anni, è dedicata all’incontro di un gruppo della Scuola per alcune parole ultimative, consuntive, dell’anno appena trascorso e per iniziare a concepire i passi che potranno essere intrapresi nel successivo anno di lavoro. Questo è il primo anno in cui siamo più numerosi. Il compito è quello di provare a disegnare un nucleo, anche secondo la vecchia dottrina dell’atomo, di quello che sarà l’anno venturo, lasciando implicito che questo disegno è stato preparato dai passi dell’anno appena conclusosi. Io li considero passi inattesi anche se ritengo che sia stato anche più originale l’anno precedente ancora (1993/94), quando leggevamo e commentavamo l’Edipo Re o il Re Lear o il primo capitolo del secondo volume del Don Chisciotte, che ci è servito per la giornata di incontro con i medici; era importantissimo poi — e ognuno individualmente coglie in modo diverso la misura dell’importanza delle cose che stiamo dicendo — il compiere l’atto del qualificare malati Re Lear piuttosto che Cordelia, o Edipo e qualificare sano Don Chisciotte, l’introduzione di quell’atto letterario che è stato il Gregorius di Hartman. Abbiamo sempre detto che il proprio della nostra scuola — fra un istante lo riprenderò a ripartire dalla parola Studium — e l’unità dei nostri concetti, il trattarsi di un unico concetto allorché noi parliamo di diritto, di morale, di psicologia e di filosofia e di psicopatologia. In una lezione alla Facoltà di Psichiatria a Milano, qualche settimana fa, facevo osservare che uno dei nodi per caratterizzare la nostra operazione è l’unità di cattedra di filosofia e psichiatria — lì si parlava della dottrina dell’anima — ed è ciò che ci consente di dire che oggi come oggi non esiste nessuna cattedra di filosofia e nessuna cattedra di psichiatria e nessuna cattedra di psicologia, perché la loro distinzione separa quello che è un concetto unico: l’unità del concetto di psiche, e quant’altro, che perseguiamo. Esisterà la cattedra di psicologia, esisterà la cattedra di filosofia, esisterà università il giorno in cui si tratterà di una sola cattedra. E’ a questo punto che vi comunico il titolo finora approntato per il prossimo anno: inizia con la parola università. Ricordo che la parola studium da noi scelta — e che si chiama Cartello perché si riuniscono in un cartello unico ditte distinte in un unico studium — siamo andati a pescarla negli inizi del nostro millennio: il primo abbozzo di università europea fu quella bolognese che si chiamava Studium e riuniva l’insegnamento della filosofia, della medicina e del diritto. Il titolo del prossimo anno sarà: università-imputabilità-salute-corpo In qualche modo queste parole corrispondono, si sovrappongono a quel nucleo che era già stato disegnato con i tre anelli che hanno nel loro punto di incontro una zona intermedia che è il corpo: in alto c’era il pensiero o Soggetto, a sinistra la città e a destra la lingua. 1 A una domanda di Cavalleri postami l’altra sera io rispondevo che questa è una serie ferma: sono i quattro capitoli di quella ricapitolazione che ci proponiamo. L’università, quella universitas che semplicemente iniziamo a balbettare — e per il mondo non si balbetta neanche, e faccio apologia di balbuzie e sono felice di essere stato in epoche precedenti della mia vita un balbuziente; e dato che un sintomo è una difesa, guarire almeno un po’ vuol dire riprendere libertà di difesa, mentre la patologia significa soltanto il fatto che le difese sono diventate coatte e non più realistiche: mentre il primo giorno che ciascuno di noi ha incominciato a difendersi elaborando un sintomo, fino a quel momento si trattava di libera difesa; successivamente, ossia la difesa patologica, è quella che passa all’eccesso di difesa, alla dismisura nella difesa, alla mancanza di misura come difesa: diventa quella difesa che nata per adeguatamente difendersi dall’insulto patogeno o dall’insulto puro e semplice, successivamente diventerà nemica della guarigione. La teoria pratica che perseguiamo è quella che fra i suoi saperi ha questo sapere. Diciamo sempre che una volta instaurata non la malattia, ma la patologia, innanzitutto la nevrosi, il desiderio di guarire cessa di esistere. Dunque, affinché si dia desiderio di guarigione, questo desiderio dovrà essere una nuova costituzione, proprio come si dice “la Costituzione Italiana”. Ed è per questo che insistiamo sempre che noi non parliamo di formazione, perché non esiste formazione ma esiste solo riforma. Non esiste più pensiero se non a partire da una foss’anche locale, parziale, guarigione. Impensabile e anzi contro-pensato da Cartesio a proposito del pensiero. Si può pensare solo a partire dal guarire: ecco perché è compito di ognuno l’individuare i punti di un qualsivoglia proprio guarire. A proposito dell’ergo cartesiano, si potrebbe dire: guarisco, dunque penso. Il perverso è il vero e perfetto idiot savant, perché il pensiero da esso coltivato, e la pseudo-università da esso coltivata, è quel pensiero che parte dalla denuncia del pensiero e di un preciso pensiero La giornata di oggi ha anch’essa un titolo: Da 20 anni. Che cosa è accaduto da 20 anni? Da 20 anni, più o meno esatti, e non siamo solo noi ad avere notato questo terminus ad quo, a partire dal quale quest’anno, anzi da quanto siamo nati come Scuola, riprendiamo a notare che c’è un termine temporale da cui si parte o riparte, non nostro, ma della storia umana, del nostro pianeta, e che data da 20 anni ed è una datazione testimoniata ufficialmente, intenzionalmente da quella forma unica nella storia di affermazione mondiale di un partito della cultura perversa che è il Movimento Gay, i quali dicono di aver cominciato circa nel 1975. Noi non siamo nel post-comunismo, nel post-muro di Berlino, nel post-1968, post-Concilio, ma neanche nel post-Basaglia: tutto questo è già retrò. Noi siamo in un dopo di cui c’è l’inizio all’incirca 20 anni fa e che è iniziato e non possiamo affatto dire quando finirà e neanche se finirà: è l’epoca in cui si è affermato quello che Kierkegaard chiama il vangelo della sofferenza. Per noi dire “il ventennio passato” — questo è il mio suggerimento — è servirsi dell’espressione il Ventennio, proprio come quando ero ragazzo dire il Ventennio significava il ventennio fascista. Ci sono voluti 20 anni perché a livello mondiale i movimenti politici, culturali, nel cinema, nella letteratura, nella storia della filosofia, si è affermato il vangelo della sofferenza, il punto di vista perverso. Per caratterizzarne solo un lato il punto di vista perverso è definibile come quello che rende istituzionale il togliere dall’uomo l’imputabilità. Voi sapete che la nostra concezione è quella della imputabilità, fino alla frase slogan anche gli schizofrenici vanno all’inferno. Il tanto lodato Kierkegaard — e specialmente lodato da tanti cattolici quando io ero ragazzo — è lui il manifesto del Vangelo della sofferenza. Il breviario di Kierkegaard può essere oggi il “libretto nero” del movimento della perversione — oggi si chiamano Gay — allo stesso modo che in passato avevamo il libretto rosso del Presidente Mao. Non solo come libretto pubblico, ma benissimo anche come livre de chevet, il libro che tengo sul comodino e di cui leggo due pagine prima di addormentarmi; per questo è preferibile, se si ha un livre de chevet, L’essenza del cristianesimo di Feuerbach, l’eccellente ateismo di Feuerbach 1. Mi fermo un momento su Kierkegaard. Mi sono accorto ieri che un lavoro che sto facendo su Kierkegaard poteva servire questa mattina e sono stato incoraggiato a parlarne un momento da una conversazione con Raffaella Colombo che confermava che era una scelta abbastanza buona. Non è un caso che per Kierkegaard il primo eroe è Don Giovanni, questo catastrofico essere, liber-tardolibertinismo, a pochi anni di distanza ha detto e scritto ben più e oltre Salgari e ancora un po’ lo fanno santo. 1 G.B.Contri, “Perché Feuerbach aveva ragione”, pubblicato sul mensile “30 Giorni”, … 2 Vi leggo solo una frase importantissima riguardo alla donna, autentico manifesto della perversione: «L’essere della donna — e poi qui sente subito il bisogno di aprire un inciso — la parola esistenza direbbe troppo perché essa non ha vita propria — il vecchio adagio di Lacan la donna non esiste, formula della perversione, non è solo desunta dalla frase di Kierkegaard, ma è la frase di Kierkegaard: la donna non esiste. Dire che la donna non esiste e riprendendo la nostra formula fondamentale, il rapporto S-A, la donna non esiste, essendo che la donna e l’uomo sono generati per quella distinzione di posti, dire la donna non esiste è dire che non esiste la distinzione soggetto-altro. Segnate S-A, le due frecce γ e δ, sulla prima γ scriviamo pensiero e su δ scriviamo volontà. L’annullamento della distinzione di posti è da Kierkegaard applicato con un solo gesto a due applicazioni: uno alla donna e poi a Cristo. Avevo annotato una frase di M. Delia Contri “la perversione è la secolarizzazione del corpo morto e sofferente di Cristo”, che ho annotato vicino a un altro mio appunto: “la perversione è il discorso dell’amore senza i sessi”; se voi avete presente i vari enunciati del Movimento Gay lo vedrete: è scritto in tutti i risvolti, in tutti i manifesti gay. Lo stesso annullamento della differenza di posti, il che significa della differenza di competenza della distribuzione delle competenze fra Soggetto e Altro in quanto comportante la ripartizione nell’uno del pensiero e nell’altro della volontà, questo annullamento è operato da Kierkegaard su Cristo stesso. Nel Breviario Kierkegaard si dà un compito e dice: «Il compito della vita è quello di riformulare il concetto di Cristo». Ritengo specialmente importante questo punto perché per l’affermazione nel mondo come cultura — ricordate che Freud è stato l’unico critico della cultura che sia mai esistito — della perversione come cultura, dunque non si tratta più dei feticismi personali di qualcuno, occorre ed occorreva la secolarizzazione ovvero la perversione del cristianesimo. La perversione del cristianesimo è da me asserita con il passaggio obbligato all’affermazione della perversione come cultura. Kierkegaard è il luteranesimo dal volto umano. Come Lutero — con riferimento al problema della certezza della salvezza — Kierkegaard vuole un rapporto da singolo a singolo, da Altro a Altro, da caballero a caballero, ambedue con il cappello in testa, da pari a pari, da pensiero a pensiero, da volontà a volontà, non come nella nostra legge da pensiero a volontà. E’ questo il solo significato del sola fide e di Lutero e di Kierkegaard: siamo due Io, siamo Io e tu, pensiero a pensiero, volontà a volontà, siamo due io senza ragione. Ecco perché Kierkegaard continua a parlare dello “scandalo”, dell’irrazionalità, della fede come salto, della fede come opzione, della fede come scelta, che ritroveremo in tutto il lessico perverso Gay il quale dice “il proprio sesso uno se lo sceglie” o se se lo ritrova in quanto già dato perché si trova ad essere impostato omosessualmente si tratta di scegliere per il dato. Siamo due io senza ragione, cioè senza da parte dell’uno l’elaborazione razionale della ragionevolezza dell’assenso alla volontà dell’altro. Dicendolo in un altro modo: non c’è pace fra te e me, c’è solo mettersi d’accordo. Io mi metto d’accordo con te nel sola fide. Ci sono voluti alcuni secoli di decantazione del A tu per tu — e fin da ragazzo quando lessi la storia di Bube, non fui affatto contento, non mi piacque — sono bastati alcuni secoli di decantazione dell’ a tu per tu, da Altro a Altro, per arrivare alla perversione che è implicita a questo a tu per tu, come l’ultimo risultato dell’iniziale rigetto dell’avere una regola, una ratio propria di soggezione all’Altro. In questo caso, all’Altro, Cristo nel caso di Kierkegaard, come in ogni caso un certo, particolare, singolare Altro, foss’anche il più alto di tutti gli Altri, o l’unico Altro degno della considerazione. Se c’è qualcosa di cui ho cominciato a sospettare presto sono i toni della modestia nel discorso. E’ ciò che aveva già fatto Lutero a proposito della certezza: Lutero priva, sottrae all’Altro, ancora Cristo, il potere di avere un potere certificativo proprio. Lutero dice: la questione della certezza la posso risolvere soltanto io, tu sei privo di potere certificativo intorno a ciò che stai asserendo di te. Per avocare a sé tutto il potere certificativo. Avessi anche tu detto di essere ciò che sembri essere, tu manchi di potere certificativo quando alla certezza dell’avermelo effettivamente detto. Questo per tanti anni è stato l’esistenzialismo. Ma ormai siamo oltre questo: da 20 anni in qua. Ecco perché salta, salto, il problema del ponte: la mia scelta sostituisce il tuo potere certificativo. Potrei passare l’intera vita e dare l’intera vita per te allo stesso modo che ritirarmi in qualsiasi momento: mi tengo sempre i ponti aperti alle spalle. Come minimo è il discorso generale dell’isteria: in ogni momento ti posso abbandonare, perché il principio della scelta è autonomo e in ogni momento la scelta può essere revocata. Non è che tu mi hai amato e allora se tu l’hai fatto devi avere una tua ratio, altrimenti sei uno stupido e il tuo amore non vale niente. La bestemmia di questa specie di sola fide è di dire all’altro, in questo caso Cristo, «Sei uno stupido» o sei un impotente su tutto l’arco di ciò che è facoltà, compreso e innanzitutto 3 intellettuale. Allora io ti scelgo per e solo per una tua trascendenza, che ormai significa soltanto la abrogazione da te di qualsiasi ratio, di qualsiasi ragione: non hai alcuna ragione. E allora abrogata dall’altro della sua ineffabile trascendenza ogni ratio, ogni ragione, si capisce che questo rapporto può essere soltanto di timore e tremore, non di amore. E lo dice esplicitamente. Si tratta dello stesso uomo che rigetta la donna, perché per avere la donna, rapporto con la donna, perché per avere rapporto sessuale — e noi diciamo sempre che non è anzitutto l’alcova — occorre una ratio, una ragione della mia soggezione ad essa. Allora l’altro è reso impotente e la fede non è altro che il mio riconoscimento dell’impotenza dell’altro, della sua resa. Ecco perché sempre il Cristo sofferente. Non solo sempre, ma solo il Cristo sofferente. Il riconoscimento della mia colpa, del mio peccato, — il concetto del senso di colpa è tutto lì — non è altro che ciò che io dò in cambio per la tua impotenza, per l’impotenza da me costituita in te, per la tua resa. Tu ci metti l’impotenza, io ci metto la colpa. Ecco il Vangelo della sofferenza, della miseria, della colpa senza imputato. Faccio solo notare due cose. Si tratta qui del vero punto in cui noi siamo plaudenti di Freud e razionalmente aderenti e vicini a Freud e discepoli di Freud. E a proposito di vent’anni, il titolo del seminario di Lavoro Psicoanalitico che faremo sarà: «Perché Freud ha ragione oggi». Si tratta dell’invenzione freudiana di quell’articolo giuridico — siamo noi a esplicitarlo come tale — che è designato dal nome castrazione. Freud si ferma in quello che chiama il rifiuto della femminilità, da uomo a uomo; è il rifiuto della distinzione, ripartizione tra pensiero del soggetto — ratio — e la volontà in quanto è il contributo dell’altro, contributo all’affare (abbiamo sempre sottolineato che parliamo il linguaggio degli affari). Nell’espressione corrente il rifiuto della femminilità è illustrabile come il rifiuto del dire “ti ringrazio”, perché dire “ti ringrazio” comporta il disporre come soggetto della ratio di riconoscere il beneficio — se tale è — in quanto beneficio proveniente dall’altro. Noi parliamo sempre della legge come di una legge economica, di beneficio, principio di piacere, etc. In Kierkegaard si tratta esattamente di questo: del rifiuto della castrazione, applicata niente meno che al rapporto con Cristo e simultaneamente al rapporto con la donna, al rapporto in quanto rapporto con la donna. Il vero nocciolo è il nesso fra sapere e castrazione, questa castrazione che noi chiamiamo la norma di accesso al rapporto, come norma di costituzione — costituzionalmente parlando — del rapporto, rapporto in quanto di beneficio. Fra i contenuti e gli elementi del beneficio noi oggi collochiamo in modo singolare il sapere. Mi ero chiesto se avessero ragione o torto quelli che si sono fermati a criticare la parola femminilità prescelta da Freud: l’uomo, poniamo Kierkegaard, che rifiuta la femminilità nel suo rapporto con un altro uomo. La non omosessualità consistente precisamente nella posizione di questa femminilità. Ricordo tanti anni fa le discussioni: ma allora Freud ci propone una specie di sublime omosessualità? E’ esattamente la via della non omosessualità, ossia del rapporto sessuale. Ecco perché mi sembra bene rispondere ora a un sospeso di quest’anno, emerso in discussioni varie. Ricordo che avevo avanzato l’affermazione che il prototipo dell’amore è l’amore del padre per la figlia. Lo mantengo a condizione della ripetizione di tre concetti: siamo stati noi a dare un chiarimento definitivo a questa parola castrazione, rimasta oscura nel corso dei decenni, anzi sempre più oscurata; noi abbiamo detto che il primo errore dell’umanità, chiamato errore filosofico dell’umanità e errore psicologico della filosofia è la sessualità, ossia il costituirsi di un errore della ragione: non esiste l’astrazione la sessualità, esistono i sessi; l’astrazione la sessualità abolisce a lungo andare, in senso logico e pratico, i sessi. La perversione è l’ultima delle conseguenze dell’errore la sessualità. La parola castrazione significa semplicemente la castrazione di questo errore, la correzione di quell’errore divenuto patologicamente costituzionale dell’umanità che si chiama la sessualità, o l’idea della sfera sessuale. Il finale di questa storia è la perversione. La sessualità, non i sessi, è ciò che impedisce all’universo umano di essere come universo, ossia, ciò che impedisce all’universo di essere, in ogni suo punto, possibile fonte di beneficio per un soggetto, foss’anche uno solo, isolato. La sessualità è l’obiezione all’universo, cioè alla possibilità che tutto il reale sia fonte di beneficio per uno. Mi fermo sulla parola figlia. Osservavo che sarebbe interessante se per figlio/figlia esistesse, come in tedesco, un termine in più rispetto al rapporto uomo-donna: in tedesco si dice Mann per “uomo-maschio” e 4 Frau per “donna”, ma l’uomo in senso di uomo o donna è mensch. In italiano noi non abbiamo questa risorsa lessicale e in ogni caso neanche in tedesco c’è la risorsa lessicale di un terzo termine per dire e figlio e figlia. Nella figlia non è altro che quel mensch, che designa sia uomo che donna — ed è un errore la sessualità, ma non è un errore l’umanità: l’umanità è un’astrazione debita, dovuta; la sessualità è un’astrazione indebita, errata e ingannevole; è un ente che è stato moltiplicato praeter necessitatem; ecco perché la castrazione va benissimo se è raffigurata come il bravo, antico rasoio di Occam, che diceva di tagliare via ciò che è stato superfetato, aggiunto erroneamente fra gli enti. La sessualità è l’ente errato — la figlia è il figlio, proprio come mensch, che puramente e semplicemente dalla natura è stata dotata di un’occasione in più fra i suoi oggetti, — in questo caso proprio la costituzione corporale, sessuale, — un’occasione in più per non fare un’obiezione all’altro. Naturalmente è dotata di un’occasione in più per fargliene. La donna può applicare al pari dell’uomo alla propria costituzione, cioè ai suoi propri oggetti, il principio di obiezione: non collocherò i miei oggetti nel campo della tua volontà, oppure collocherò i miei oggetti, il corpo, nel campo della tua volontà, secondo la mia ratio, ma essendo la tua volontà; collocherò o non collocherò gli oggetti, in particolare del mio corpo, nel campo della tua volontà; queste sono possibilità opposte pari in uomo e in donna. La donna semplicemente ha un’occasione corporale in più — la costituzione fisica — per un’obiezione all’Altro oppure per la non obiezione all’Altro. La vistosità di ciò nella patologia isterica non ha bisogno di essere eccessivamente documentata e l’isteria non è solo femminile. Allora che il prototipo dell’amore riguardi la figlia è lo stesso che dire che riguarda il figlio; semplicemente è sottolineata la figlia, perché questa è connotata da un’occasione in più, per quello che abbiamo chiamato talento negativo. Ecco la grande intelligenza di Freud nell’insistere che il complesso di castrazione è uguale nei due sessi, che non c’è nessun complesso di Elettra da una parte, e nessuna protesta virile dall’altra. Ma ora lasciamo, perché è già un ritornare retrò. Ora l’ultima definizione per chiudere la dimostrazione di validità e verità della frase il prototipo dell’amore è l’amore del Padre per la Figlia: perché non esistono padri. Il Padre o è il concetto della legge stessa come noi la definiamo, come legge del beneficio, come legge di relazione economica con il reale, in quanto legge di beneficio, o è il Padre Eterno, sia che si ci creda o no. Ma se esiste il Padre, è Dio Padre, quello di Gesù Cristo. Faremo a meno del Padre e ci accontenteremo, nella misura in cui ci riusciamo, del nostro disegno della legge. Non esistono padri se non per quel tanto che i singoli esseri umani riescono a raccogliere un po’, a portare sulle proprie spalle un po’ di funzione paterna. Dunque non è il padre carnale quello cui si applica la frase il prototipo dell’amore è l’amore del Padre per la Figlia. Potremmo dunque dire che il prototipo dell’amore è l’amore per la Figlia, in quando è semplicemente il figlio in forma ancora più spinta. Un punto importante su cui ci eravamo fermati tempo fa: il Gregorius di Hartman von Aue, e l’importanza che abbiamo dato al fatto che nel XIII secolo ci sia stato un autore come Hartman a riimpostare una questione come quella dell’incesto, mai più ripresa dopo la grande epoca pre-cristiana, greca, e a risolverlo positivamente e poi Thomas Mann che tanti anni dopo ha voluto opporsi all’idea di Hartman. Solo una cosa è da dire sull’incesto, solo una frase è da dire sull’incesto: che l’incesto non esiste. Questo andrebbe portato addirittura a livello del codice; ormai la parola incesto deve essere da noi giudicata esclusivamente come un errore nevrotico appartenente al nostro intelletto e alla nostra cultura; bisogna essere nevrotico per usare con convinzione la parola incesto. Avrete notato sui giornali che negli ultimi anni c’è un permanente attacco, specialmente da questa specie di cultura, all’incesto. C’è la grande guerra all’incesto, lo si vede. La grande guerra comporta che l’incesto esiste. Un pensiero inizialmente nevrotico è stato fatto passare alla cultura perversa. L’incesto non esiste: allorché esiste ciò che si descrive come incesto, in specie sul minore o sulla minore, dico che si tratta di trarne la conclusione che si tratta di un caso, come tutti gli altri, di violenza carnale, corruzione di minore, pedofilia, etc. E’ importantissima la conclusione sulla non esistenza dell’incesto. Il finale è anche un invito alla discussione: ciò che è veramente proposto in questo giro, è il nesso fra la castrazione, come definita, e l’universo. Connotato l’universo anche come fonte di sapere, fra i benefici possibili, il sapere di altri, generato, elaborato, prodotto, fatto da altri, la castrazione è qui proposta come condizione per l’universitas. Diventa interessante nella sequenza delle quattro parole anzidette — università-imputabilità-salute-corpo — che la parola sapere e una serie di parole — enciclopedia — vengono ad allinearsi sotto le quattro ricapitolanti, vengono a collocarsi sotto queste quattro parole come inizi di colonne: le quattro parole ricapitolano l’enciclopedia, tutte le parole dell’universo. 5 La parola sapere viene a collocarsi, insieme alla parola competenza, alla parola soggetto, nella colonna della imputabilità, della competenza individuale, non sotto la parola università. Sotto la parola università noi collochiamo quello che chiamiamo l’enciclopedia. Il suggerimento è che quella che abbiamo chiamato con Freud — noi accettiamo il lemma freudiano — castrazione, diversamente da altri (e sapete che abbiamo svolto tanti lemmi freudiani e come tali non li usiamo quasi più: pulsione, inconscio; i concetti sono pienamente rilevati, ma non è questo il nostro lessico). Su castrazione, la parola rimane perché è semplicemente esatto: si tratta di castrare qualcosa avente contenuto sessuale, ma ciò riguarda un contenuto sessuale di pensiero, un contenuto ideologico di pensiero che è un errore, la sessualità. La sessualità è il nemico dei sessi, della distinzione dei sessi e del rapporto sessuale, non in quanto l’alcova, ma quel rapporto che consente all’universo di essere universo, ossia che in nessuna sua parte possa non essere fonte di beneficio per uno. E’ una notevole definizione di universo. Il giorno che qualcuno si dedicasse a costruire un articolo o una lezione intitolata “universo”, si troverebbe di sicuro a confrontarsi con altre definizioni di universo. Introdotta questa diventa interessante il dibattito interno intorno a ciò che è pensato essere universo. DIBATTITO GIACOMO B. CONTRI Mi augurerei che tutto quello che verrà detto serva per fare il punto piuttosto che altro. La connessione balzi come connessione pratica. M. ANTONIETTA ALIVERTI La mia è solo un’osservazione pratica. E’ stato detto inizialmente che non esiste università e che la condizione dell’università è l’universitas di cui parliamo. La fine del discorso è stata che la castrazione è la condizione dell’universitas. Mi veniva in mente che ciò è talmente vero che ci fa riscoprire come beneficio, e non piccolo beneficio, il lavoro universitario normale o la frequenza all’università, così come può avvenire oggi. Non è un’opposizione a ciò che c’è, ma è la possibilità che l’università sia tale, perché o in unversità esistono dei soggetti competenti o l’università diventa un coacervo di informazioni privo di sintesi. Un’impostazione come la nostra rende possibile che l’universo sia beneficio, ma l’universo è la vita quotidiana con i suoi rapporti, ivi compreso l’università. M. DELIA CONTRI Voglio riferire ciò che è stato detto — non perché oggi si sia qui per parlare di casi — ma per dare l’idea come tutto questo che è stato detto non è qualcosa di avulso dalla pratica concreta, con persone malate in cerca di una salute. La prima volta che ho pensato concretamente, ho visto l’incidenza pratica di questa questione del Cristo come morto, come corpo morto, me l’ha messa sotto gli occhi un paziente, un caso di nevrosi ossessiva grave, molto sistematica, con sfondi paranoici a fondo religioso, concentrato proprio anzitutto sul quadro del S. Cuore di Gesù e che questa persona non sapeva mai come mettere e dove ma ha un effetto terrificante, un terrore che neppure il prete può risolvere. Questa persona va dal prete il quale gli dice che la sua paura non ha senso, ma il paziente non può credere alle parole del prete, è irrilevante quello che poi Cristo dice, o che dicono i suoi rappresentanti sulla terra. E’ stata la prima volta in cui io ho pensato: ma in quali condizioni un corpo può tenere in mano il proprio cuore? E’ un corpo morto, un cadavere. Fra l’altro l’esaltazione di questi sacri cuori è contemporanea dei quadri circa l’anatomia, cioè é il frutto del lavoro sul corpo morto e sezionato. Quindi è questo Altro, Cristo in questo caso, pensato come impotente, il cui dire è assolutamente irrilevante, incapace di porre il proprio oggetto, perché è un corpo morto nel campo della volontà dell’Altro, quindi non si può pensare un rapporto 6 con questa entità, ed è anche la prima volta in cui ho colto il nesso fra questa idea di Cristo con l’idea di non esistenza di rapporto sessuale che peraltro è l’altro caposaldo nella problematica di questa persona, che enuncia ormai chiaramente: «Io non posso che pensare il mio sesso — maschile in questo caso — come un oggetto che non posso che godere da me. Il sesso femminile — dice — non riesco a pensarlo. E’ proprio una cosa che io non riesco a concepire se non come un vuoto». Lì mi veniva in mente il discorso dove Freud ad un certo punto dice che se il bambino avesse ancora sano il proprio principio di piacere, ovvero fosse ancora capace di pensarsi come soggetto in relazione a un altro, potrebbe pensare, addirittura postulare, prima ancora di averlo visto, il sesso femminile. Se ha perso il principio di piacere, cioè se ha perso l’idea di rapporto Soggetto-Altro e quindi non il rapporto Altro-Altro, quindi a parola corrisponderà ascolto, a qualcosa che sporge corrisponderà qualcosa che riceve, che è il rapporto disimmetrico Soggetto-Altro, il sesso femminile davvero diventa inconcepibile; non esiste perché diventa inconcepibile. Ed è inconcepibile perché non è concepibile che come relazione. AMBROGIO BALLABIO Lo spunto di partenza l’avevo già prima di sentire la relazione di Giacomo B. Contri perché il punto che ha appena accennato ne avevamo parlato qualche giorno fa e mi aveva dato occasione di riflettere anche su alcuni colloqui iniziali per delle ipotetiche cure svoltisi in questo periodo, e cioè che il sapere, rispetto ai quattro capitoli che abbiamo come programma per l’anno prossimo, vada sotto il lemma di imputabilità anzicché di quello di università. Perché questo fin dal primo momento che Giacomo B. Contri me l’ha accennato mi ha fatto venire in mente una frase che può indicare certi problemi all’inizio di una cura, ma anche resistenza nella cura, che riassumerei nella proposizione che dal punto di vista analitico non c’è ignoranza innocente. Faccio una relazione fra il sapere, così come ci interessa, e l’ignoranza. Il sapere che ci interessa è un sapere di tipo pratico: parliamo prevalentemente del pensiero pratico in quanto legislativo. Nella relazione di oggi ci sono delle cose che collocano ancora meglio la questione, pensando proprio alle ragioni di Freud; per esempio quando Giacomo B. Contri riassumeva Kierkegaard dicendo che l’impotenza dell’Altro va di pari passo con una colpa senza imputazione, Freud è esplicito — e in un certo senso era consapevole di staccarsi da molti, da ciò che si pensava nella sua epoca in campo psicologico — nell’affermare che se c’è senso di colpa ci sarà una qualche ragione e che si tratta di portare l’interessato a riconoscere le ragioni del senso di colpa. Anche dove si parla di senso di colpa con tutte le distinzioni che Freud faceva fra senso di colpa e rimorso, il senso di colpa per lui aveva comunque delle ragioni: era interessante perché aveva delle ragioni.. Da questo lato l’ignoranza con cui ci scontriamo meriterebbe dove si presenta, se non come innocente, ma con una consapevolezza della propria imputazione di ignoranza, meriterebbe come promessa riguardo alla cura: potrai sapere la ragione, ossia dove sta l’imputazione di ciò che ti affligge. Tanto è vero che dal lato di questi colloqui, o situazioni cliniche che ho in mente, c’è un passaggio tra quanto abbiamo già affermato come bivio — principio di imputazione-principio di causalità — prima ancora dell’emergenza del principio di causalità come auto-giustificativo, c’è il passaggio in cui uno dice: queste cose so che dipendono da me ma non posso sapere perché. Secondo me questo in qualche modo è il segno di ciò che di perverso è sempre possibile nelle forme cliniche che prendiamo in cura, nelle forme che comunque mantengono un livello di nevrosi, che è il segno di possibilità del passaggio alla perversione, perché da il “non so perché” si può passare a un “non esiste il perché” che è appunto il dire che l’altro non ha alcuna ragione come io non ho nessuna ragione. Poi avevo un’altra considerazione: a proposito dell’incesto circa il fatto che possa essere solo una parola o un concetto del nevrotico. E’ per questo che le cure, proprio se partiamo dal presupposto che le cure iniziano dove c’è o è rimasta una qualche forma di nevrosi poiché la domanda è possibile solo a partire da quella patologia, è anche chiaro che nelle cure si ha a che fare con l’incesto come è pensato dal nevrotico. Certamente da Hartman von Aue a Thomas Mann non c’è stata più l’occasione di una rielaborazione di questo ma per il semplice fatto che è stato anche per certi versi dal punto di vista letterario l’epoca in cui la nevrosi era al centro dell’osservazione. Ho in mente il Tristano, che è meno noto in campo psicoanalitico, ma ad esempio l’ Amleto che gli psicoanalisti hanno interpretato fin dall’inizio con estrema facilità: la questione del nevrotico riguardo all’incesto è effettivamente la questione dell’Amleto, non è la questione 7 dell’Edipo. L’Edipo è effettivamente il connotato della perversione riguardo all’incesto, mentre il Tristano e l’Amleto sono i nevrotici che si inventano l’incesto. GIACOMO B. CONTRI Intervengo subito su questo, perché ho compreso che ci sono quelle due o tre parole in cui si vede se succede o non succede qualcosa in un soggetto. La parola incesto è una parola che ha da sparire dalla nostra vita, ha da scomparire dalla nostra lingua per essere usata soltanto con il valore referenziale — come dico “questo è un bicchiere” — del riferirsi a qualcosa di nevrotico, anzi ormai al perverso perché nei nostri ultimi 20 anni e in modo crescente, ormai è una parola acquisita al lessico della perversione. Allora “attento a come parli”; è come se noi mettessimo lì le espressioni correnti: «Bada a come parli» e va presa alla lettera: “bada — ossia “fà caso” — a come parli”. L’innocente parla, tutt’al più ha un momento in cui sta un po’ attento. E’ il male intenzionato che passa al mutismo: Jago, di cui parlammo due anni fa: «Da questo momento non dirò più una sola parola». Analoghe considerazioni sulla parola Edipo: basta Edipo. Non è il complesso edipico. Il complesso edipico ce l’ha il nevrotico. La legge di cui parliamo, che include tutto questo, ha tolto la quota di nevrosi che il complesso edipico contiene, perché Edipo è un nevrotico. Mi ero annotato che il caso della bambina già menzionato, peraltro appartenente all’esperienza, che al papà in presenza della mamma dice: «Quando la mamma muore ti sposo io» o addirittura l’espressione esplicita della frase della bambina che vuole un figlio da papà, errore dire “bambina incestuosa”, perché la bambina è normale e non incestuosa perché ciò che con quella frase indubbiamente di desiderio formula è il pensiero, non la volontà, ossia formula un pensiero capace della libertà di concepire, di concepire il pensiero e persino di concepire la concezione. Il nesso è interessante. Concepire il pensiero e concepire la concezione sono due cose non identiche ma prossime, coniugate. La bambina non è incestuosa: l’incesto incomincia a partire dal momento che questo pensiero per niente incestuoso è entrato in un funzionamento malato, anzi patologico. Occorre la patologia perché ci sia incesto. Nella misura in cui questa stessa bambina cinque anni dopo è nevrotica, non sarà più capace neanche di ricordare di avere detto al papà «Papà, ti sposo io». Proprio il passaggio clinico è probante: nel momento in cui la bambina, diventata ragazza, è incestuosa, è il momento in cui ha dovuto abolire il contenuto del pensiero di rapporto con il padre. Stiamo parlando di vent’anni, il che significa che il più giovane dei presenti ha tutto ciò di cui parliamo come appartenente alla propria personale storia ricordabile, proprio in termini di cronaca individuale. Ricordabile dopo i 5 anni. Appartiene ormai al lessico della perversione. Dunque perversione che è conquistadora e missionaria. Annotiamo questa militanza politica della perversione, perché è questa la novità, nelle sue stesse forme organizzative. Con tutto ciò noi non passeremmo affatto il tempo, anzi quasi nulla, a perderci dietro a un’ulteriore critica sulla perversione: io, ad esempio, non farei un libro sulla perversione, per dire queste cose. Basta parlarne appena al di là di questi cenni, — per altro espliciti e storicizzanti; se noi facessimo la crociata contro la perversione ci finiremmo dentro fino a sopra il collo, entreremmo a far parte della banda. E’ molto importante questo: noi non facciamo la crociata anti-perversa — basta andare appena al di là di questo sapere e ci siamo dentro e facciamo l’ala destra o sinistra del movimento gay. GIORGIO MORETTI Voglio fare qualche considerazione sul corpo morto, sullo spunto che ci è stato dato del Cristo che tiene il cuore in mano. E’ anche un’immagine surrealistica. Come viene fuori nella nostra storia, nella nostra civiltà il problema del corpo morto, in senso reale e poi anche in senso metaforico e anche in senso dinamico? C’è tutta una storia. Gli antichi conoscevano abbastanza l’anatomia. I greci e i romani conoscevano abbastanza l’anatomia. Nel medioevo non si conosce più l’anatomia. Gli uomini del medioevo, un’epoca che viene studiata scientificamente soltanto in questo secolo, erano estremamente, molto più colti, molto più sottili degli uomini dell’antichità classica, però avevano alcune stranissime lacune, per esempio la mancata conoscenza dell’anatomia e le ragioni sono abbastanza semplici: c’era una negazione della materia, della corporeità. 8 Qualcuno dice che la ripresa del corpo comincia con il Rinascimento: non è assolutamente vero perché comincia con la grande scuola filosofica inglese e in particolare con Guglielmo di Occam, il quale afferma che essendo la fede unicamente irrazionale — la sua polemica è con San Tommaso — essendo la fede una questione non scientifica, allora le nostre energie potranno dedicarsi alla conoscenza del mondo, alla magia naturalis. E da lì poi abbiamo tutta una serie di importanti evoluzioni che si sviluppano nel rinascimento. Ma in epoca rinascimentale succede anche il caos politico, in tutti i paesi europei. Quindi questo sviluppo, questa applicazione e questa libertà della conoscenza determina la non obbedienza. Qui mi collego al sapere: il sapere che non diventa legge, perché non vuole prendere posizione, costituisce per qualunque autorità un rischio di anarchia. Ed ecco allora che il sapere deve essere codificato. Deve essere codificato anatomicamente, attraverso una precisa conoscenza, quindi attraverso lo studio del corpo morto. Nella seconda metà del Seicento, l’epoca dei grandi anatomici, è proprio questa glorificazione del corpo morto, del corpo oggetto, che però deve essere morto e quindi anche spiegata la comparsa di certe manifestazioni artistiche, rappresentative e anche concettuali di questo corpo che è vivo e morto al tempo stesso, e presenta i propri organi. All’immagine del Cristo con il proprio cuore in mano possiamo fare corrispondere l’immagine che troviamo in tutti i grandi atlanti di anatomia del cadavere aperto che tiene in mano i proprio organi o che tiene aperti i lembi del proprio ventre per fare vedere che cosa c’è dentro. Quindi è questa glorificazione del corpo morto che non preoccupa più perché è morto, perché è stata ottenuta una fortissima entropia per cui le cose non si muovono più. Che cos’è che non si muove più? Non si muove più la vita scientifica, se non entro certi binari, non si muove più la politica; vengono elaborati codici sempre più perfezionati, vengono dati sempre più divieti, etc. C’è però una realtà che tende a sfuggire ai divieti ed è la realtà femminile. La realtà femminile, anche da un punto di vista biologico, sfuggiva a questi divieti. Chi ha pratica della storia femminile sa quali difficoltà interpretative riceveva il ciclo mestruale o lo stesso concepimento. E’ molto strano come si arrivi molto tardi nella storia della scienza a capire cos’è il concepimento dal punto di vista biologico. Nel Settecento ci sono ancora idee molto confuse circa il concepimento. L’elemento che crea difficoltà è il corpo femminile che sfugge, e allora bisogna fermarlo. Bisognerebbe fermarne la volontà, ma siccome biologicamente questo è impossibile, bisognerà allora fermarne il pensiero. E più ci si avvicina ai nostri giorni, più vediamo che esiste una forte tendenza a fermare il pensiero femminile. In epoca vittoriana, per esempio, a nessuna signora sarebbe stato permesso di leggere il giornale: fermiamo il pensiero, così fermiamo la volontà e rendiamo morto anche questo aspetto. E’ veramente il trionfo della perversione. La nostra civiltà diventa effettivamente la civiltà della perversione. Ma dobbiamo anche tenere conto che tutti i movimenti politici, non soltanto dittatoriali, ma semplicemente forti, sono a rigore di termini una espressione di perversione. Quindi classicamente in tutto il movimento psicoanalitico abbiamo questa identità fra movimento politico forte e movimento politico perverso. Ai nostri giorni è difficile dire come vanno a finire le cose. Dico solo un’ultima questione relativa al problema università: oggi abbiamo visto che l’aumento enorme delle conoscenze rende quella che chiamiamo “università”, unicamente una fonte di informazioni, ma non può essere di più, né mai potrà esserlo. Le informazioni aumenteranno e l’università diventerà una grande biblioteca, una grande enciclopedia, dove andare a rifornirsi di conoscenza, ma saranno poi altre realtà — in parte stanno comparendo — a fornire lo strumento per l’ordinamento di queste conoscenze, per l’attribuzione di senso a queste conoscenze. Però queste realtà rischiano molto, sono sempre sull’orlo del rischio di diventare perverse. Basta un niente perché diventino perverse. GIACOMO B. CONTRI Mi ritrovo in tutto ciò che è stato detto e in particolare la frase di fermare il pensiero io l’avvicino al pensiero del perverso che è un’ idiot savant, ma diversamente dall’idiot savant. L’atto compiuto è identico: l’idiot savant è “savant” perché sa fare quelle operazioni così meravigliose che poi alla fin fine sono operazioni banali, con l’esercizio delle 24 ore dedicate in tal senso, ma banali. E poi c’è l’idiot perché è partito dall’assenza di ogni altro pensiero, è partito dal fermare il pensiero. GIORGIO MORETTI L’idiot savant è — innocente — il paradigma del perverso. 9 GIACOMO B. CONTRI Il vero perverso è il paradigma dell’idiot savant senza innocenza; e anche questo è un punto in cui noi siamo del tutto freudiani, ma sempre sullo stesso punto: noi abbiamo riassunto tutto Freud sul concetto di castrazione, così come l’abbiamo riassunto tutto sul concetto di Padre, ma dato che la coppia di questi termini è coppia stretta. Il concetto di Freud a questo riguardo è quello di rinnegamento: rinnegamento della castrazione; c’è un atto di pensiero che consiste nell’abolire il pensiero della castrazione in quanto soluzione consistente nel togliere l’ostacolo della sessualità. In un’ultima occasione nei venerdì sera — anche qui sto facendo un collegamento — avevo fatto osservare che esiste un altro fermare, che in fondo è lo stesso, che è fermare l’eccitamento, per esempio quel genere di educazione che diceva che non bisogna interessarsi di troppe cose, che non bisogna lasciarsi raggiungere da gusti, interessi. E in fondo fra fermare il pensiero e fermare l’eccitamento se non c’è proprio identità, c’è sicuramente connessione stretta. PIETRO R. CAVALLERI Uno spunto che ho colto come particolarmente interessante per il movimento del mio pensiero: la iscrizione nel rapporto S-A dei due atti di pensiero e volontà, rispettivamente è il primo — pensiero — su e volontà su . In primo luogo faccio osservare che questa formulazione non è nuova, ma è in linea con il nostro pensiero: ricordo quando Giacomo aveva insegnato a scomporre e rintracciare i quattro articoli della pulsione freudiana e scrivendo la spinta dalla parte dell’Altro. Spinta e volontà credo possano essere sinonimi. Questa formulazione odierna è nuova perché è un’adeguazione o un altro punto di vista di una questione già presente negli anni scorsi. In secondo luogo mi veniva in mente che se sinonimo di pensiero, così come se ne è discusso nell’insegnamento più recente, è la parola domanda, io non sarei contrario di scrivere come sinonimo di volontà, la parola desiderio. In questo momento non sono in grado di svilupparlo ulteriormente, però mi pare interessante perché si chiarificano anche alcune frasi nelle quali ci siano imbattuti nella nostra storia di pensiero, come la frase che il desiderio è il desiderio dell’Altro, che credo intesa proprio in termini soggettivi, cioè per il Soggetto non vi è alcun ostacolo a lasciar muovere il proprio desiderio secondo il desiderio dell’Altro. Proprio qui c’è un aggancio con la perversione o con la critica alla perversione: nella normalità, in ciò che si oppone alla perversione, io non ritrovo anche nell’esperienza personale, alcun ostacolo a concepire il mio proprio desiderio come spinto da una volontà che mi è esterna, che permette al mio desiderio di formularsi in risposta alle mie domande. Mi viene in mente un’applicazione che si può fare proprio rispetto al matrimonio e che risale a una consuetudine in opera nella nostra cultura già nei secoli passati che mi veniva ricordata da una persona che ha rapporti con asiatici, in particolare con indiani, e raccontava di queste persone anche molto ricche, industriali o professionisti, che hanno studiato in America e magari vivono addirittura negli USA ma che tornano in India per sposare la donna che la famiglia ha deciso che loro debbano sposare. Nella grande maggioranza dei casi si tratta poi di matrimoni che tengono. Allora, la persona che mi riferiva questa cosa ne parlava in maniera un po’ stupita o scandalizzata. Io da parte mia trovavo che se i due soggetti sono sufficientemente normali, non sono affatto stupito che la scelta dell’Altro della propria relazione, anche coniugale, possa funzionare trattandosi anche di una persona fino a quel momento sconosciuta e mi veniva in mente come d’altra parte radicalizzare la posizione opposta, cioè mi troverò bene soltanto con una persona è realmente una posizione perversa che si rifà al mito della medaglia spezzata di cui i due soggetti detengono ciascuno la propria metà e che soltanto nell’incontro di queste due metà c’è la felicità del rapporto. Credo che anche questo sia una minaccia alla quale siamo esposti dal tipo di cultura in cui ci troviamo e viviamo: pensare che il rapporto felice, il rapporto soddisfacente è soltanto con quell’altro che predeterminatamente esercita la propria volontà. Trovare la volontà nel ritorno dall’Altro, permette in fin dei conti, fino a prova contraria, — e la prova dovrà esserci, dovrà essere data — di trovarsi bene con chiunque. 10 GIACOMO B. CONTRI Voglio fermarmi in particolare su un punto, a proposito dell’amore, perché se si ritorna su Kierkegaard l’amore non esiste… Iscriviamo Kierkegaard al programma della miseria. Il programma della miseria è l’opposto del programma della ricchezza. Quando è impronunciabile la frase “ti amo”, anche se la si pronuncia lo stesso? Quando si è solo in due. Cos’è l’almeno terzo perché ci sia amore fra due? E’ inutile che stiamo a ripassare se non ritorneremo a prima di vent’anni fa e non lo facciamo più, non giochiamo più… Il terzo, perché si possa dire che c’è amore, è la ricchezza. Il minimo perché vi sia l’amore è la dote, è il capitale, è il blasone, è il casato, è il fatto che il mio e il tuo matrimonio è interessante per altri. Allora la parola desiderio è una questione di quattrini, una questione di interessi, di rendita, di rendimento, di accrescimento e allora ci sono anche altri che sono coinvolti nell’affare. Non esiste il parlare se non ci sono anche altri coinvolti nell’affare. Quindi il concetto di ricchezza è strettamente correlato a quello di amore. Come minimo, se già non c’è la dote, un capitale o essere predestinati come i figli di Agnelli a fare qualcosa, almeno un progetto. Se fra i due esiste il progetto di ricchezza — non dico di rapina: infatti Bonny e Clyde finiscono morti. E’ interessante la storia di Bonny e Clyde ripresa così — il minimo dell’amore non è “poveri ma belli”, ma se poveri allora progetto di arricchimento. Non esiste l’amore fra poveri, ma belli, senza il progetto di non essere più poveri. Stavo pensando che qualcuno oggi mi faceva l’obiezione che il pranzo oggi costa settantamila lire. Non c’è una sola delle nostre idee che non arrivi a trovare come test le settantamila lire. Il nostro livello di pragmatismo, di materialismo è massimo. L’amore è un progetto di ricchezza. Per questo me la sono presa giustamente con Kierkegaard come il maestro di due secoli fa di quel grande programma perverso di oggi. Il programma di Kierkegaard è di fare di Dio un miserabile. E’ per questo che plaudo e aderisco all’ateismo di Feuerbach o di Marx. Il progetto di Kierkegaard è l’impotenza di Dio e poi tutte quelle cose sulla morte di Dio. Se qualcuno mi proponesse di fare un incontro sulla morte di Dio, gli dico “la porta è quella”. In questo caso allora l’amore diventa un progetto e la domanda allora acquista tutto il suo significato di mercato; semplicemente non c’è solo quel mercato che ha voluto assorbire tutto. Per questo quella schifosa barzelletta del pescatore che ha la sposa che gli va bene perché per lo meno ha i vermi, è la versione vomitevole, ma con quell’aspetto di witz, di battuta che in effetti non è disgustosa: un tizio ritorna dopo tanto tempo al suo paese e si incontra con il vecchio amico Giovanni e si salutano e il ritornante interroga l’amico Giovanni, pescatore, il quale gli dice che si è sposato, e lui allora gli dice: «Ah, chissà che bella ragazza…». E Giovanni: «No, è bruttissima». «Ma allora sarà ricca…» e Giovanni: «Ma no. Ho dovuto pagare tutto io, persino l’abito da nozze». «Ma allora è parente di un uomo importante…» e Giovanni: «Ma neanche…». «E allora, perché l’hai sposata?» e Giovanni: «Perché ha i vermi». E’ bruttina, ma è la versione populista che mette lì anche se in questa forma che deve esserci qualcosa in cui il soggetto rende, economicamente, economia documentabile a terzi, oggettivabile presso terzi. Il tocco sul punto di questa economicità, nel senso di rendimento, ha tutta la varietà della normalità. Infatti noi connotiamo la normalità con la varietà, in opposto alla tipicità. Ma deve esserci il rendere. GIORGIO MORETTI Un altro aneddoto, più adeguato al nostro pranzo, è il seguente: quando Giacomo Casanova va in Inghilterra, — seconda metà del Settecento — dice a un suo interlocutore inglese: «Ho visto con grande piacere che contrariamente a quello che avviene in Italia, qui i matrimoni avvengono per amore e non per interesse». Questo inglese, però meno romantico di Casanova, risponde: «E sfido io! Secondo la consuetudine inglese alle figlie non viene data alcuna dote quindi è chiaro che l’unica dote possibile è l’innamoramento». Quindi anche l’amore è un elemento economico. GIACOMO B. CONTRI L’amore è un matrimonio di interesse; connotate come vi pare il contenuto dell’interesse. L’amore o è un legame di interesse o non è l’amore, infatti nel Don Giovanni, Kierkegaard afferma «Pur che porti la gonnella». E proprio il distruttore dell’amore, ufficiale, perché poi il guasto era già cominciato prima, il 11 distruttore è Kant allorché dice che non devono esserci rapporti di interesse perché ci siamo rapporti morali. Indipendentemente da Kant, uno che dice ai propri figli: “i nostri rapporti non devono essere di interesse ma di amore” questo è un assassino. [Al pomeriggio] La prova dell’esistenza di qualcosa o qualcuno è la spudoratezza. Solo la spudoratezza dà prova dell’esistenza. Dio è uno spudorato e Kierkegaard cerca di dimostrare che Dio è un essere pudibondo. RAFFAELLA COLOMBO Sono alcune osservazioni. La prima riguarda il nesso fra università e castrazione. E’ tanto tempo che sento una questione che mi viene rivolta: ma perché voi parlate tanto di sessi. Adesso, nel tema dell’anno prossimo, con questo nesso fra università-imutabilità-saute-corpo con università-castrazione ritorna con più precisione il nesso fra universitas e uomo-donna, nel senso che il rapporto Soggetto-Altro non può più essere pensato né realizzato senza il passaggio Uomo-Donna. Ma questa è già una risposta. Non esiste sapere, e quindi non esiste università, senza rapporto. Ma non c’è ricostruzione del rapporto Soggetto-Altro mediante Uomo-Donna. La scelta della parola università, mi ricorda un’affermazione di Giacomo B. Contri che si ritrova anche in parecchi scritti: il colto è il Soggetto; non si tratta di cultura ma di un soggetto colto. La connessione università-castrazione pone un nesso fra colto-cultura. Non sono sinonimi, non si tratta della stessa classe o concetto, colto non è l’attributo di cultura. La perversione, ossia la militanza conquistatrice di teorie che si pongono come pensiero, fanno cultura. Questa è una cultura. La mia richiesta è una precisazione riguardo a cultura, la cultura di due città e ciò che mi sembra essere un passaggio, un progresso: il colto di cui parliamo è il soggetto dell’università. La terza osservazione riguarda l’incesto. Giacomo B. Contri notava che non esiste l’incesto, perché l’incesto è un timore nevrotico; il tema incesto è la moda di quest’ultimo anno, non prima, sui giornali, su pubblicazioni di diritto e prende di mira dei reati di violenza, intitolando il reato “incesto” prende di mira in realtà il rapporto Padre-Figlio. L’asserire che non c’è incesto non è per noi il porsi dalla parte o il fare propaganda di perversione, cosa che è un timore da avere, che va dalla parte dell’università. Incesto, o meglio il rapporto Padre-Figlio è da trattare enciclopedicamente. Allora si possono trattare diversi lemmi, diversi concetti, o come Enciclopedia o come propaganda patologica. Comunque era riguardo colto-cultura che volevo dire qualcosa. C’era stato un accenno in una conversazione fra me e Giacomo B. Contri riguardo a questo: c’è da notare che il problema della cultura è quello di un campo di battaglia; il nostro e di tutti campo di battaglia è la cultura. La cultura è anche fatta dalla perversione. C’è una cultura perversa, un tentativo di cultura perversa. GIACOMO B. CONTRI Che vi sia la cultura perversa, più che riuscita ormai, basta leggere il giornale. E questa cultura si serve di tutto, ivi compreso delle parole lanciate da Freud con le sue non decisioni, per esempio mantenere ancora la parola incesto come neutra. Se ci fossero qui degli obiettori, rappresentanti dell’altra parte, avrebbero già reagito all’idea che non esiste incesto. Ci sarebbe una polemica dura in atto. Dire che non esiste incesto è argomento di una delle più dure polemiche nella cultura che si potrebbe fare oggi. Il rinunciare all’idea di incesto reale e l’accedere all’idea che l’incesto è un’idea prima nevrotica e poi acquisita dalla missionarietà perversa è quello che si dice avere ceduto le armi della propria patologia, che è ciò a cui la cultura rinuncia. La parola cultura non è da rigettare; è da assumere come il nome di un campo di battaglia. Da parte nostra, a mio parere, da non combattere, perché saremmo come quel lanzichenecco che finita la guerra dei Trent’anni, si è comprato un cannone e si mette in proprio. Se in questa sala, invece che 60 o 70 fossimo in seimila, sarebbe ridicolo. 12 Qui si tratta di sapere e non di fare passare all’atto polemico ciò che diciamo. Ma semplicemente perché ci si piomba dentro a capofitto. RAFFAELLA COLOMBO Sarebbe questo il finire a nostra volta nella propaganda di perversione. GIACOMO B. CONTRI Così come se oggi avessimo passato il tempo a leggere quel libro gay di cui mi parlava Glauco Genga. Abbiamo di meglio da fare. Si tratta di sapere, non ingenuità. Ecco, per esempio, la preferenza nei quattro temi a segnare la parola salute e non la parola malattia. E’ ovvio che nel dibattito la parola malattia è lì, ma non mettiamo in evidenza la parola malattia, mettiamo in evidenza la parola salute che significa l’asserzione che esiste per noi, come esistono le cose della realtà sensibile. Semmai, non si tratta di lasciare la cultura a qualcuno; si tratta di … la cultura un campo di battaglia che dura fino al giorno della battaglia di Armageddon. Quindi, la parola cultura è la parola di una battaglia in atto. Che poi il modo migliore di combatterla sia di non andare a petto nudo davanti alle cose del nemico, semplicemente perché si passa nel suo campo, solo per questa ragione. E’ un fatto di sapere. Resta un’altra cosa in cui c’entra Kierkegaard e Giordano Bruno. Io ce l’ho con Giordano Bruno a partire dal giorno in cui ho letto il libro Lo spaccio della bestia trionfante in cui distingue la stragrande maggioranza della gente, che sono tutti bestioni, ignoranti, inetti, incapaci e poi ci sono alcuni, che afferrano, capiscono. In Kierkegaard la stessa cosa è espressa in quella forma mielosamente religiosa: c’è la fede del semplice e la fede dei colti — la parola colto è di Kierkegaard — e la fede del semplice sembra essere immediata mentre invece per il colto è molto più difficile. E io sono contrario. Io sono mediamente e ragionevolmente colto e vi dico che ne so quanto basta per dire picche o per restarci, ma vi assicuro che è assolutamente facile tanto a dire picche quanto allo starci. Non è vero che la fede diventi più complicata, un atto più complicato o la negazione di essa per i fatto che sono colto. E’ un falso in atto pubblico. Un passo indietro, sulla domanda perché tanta insistenza sui sessi. Faccio solo una puntigliosa precisazione: la tanta insistenza sui sessi mi pare ovvio che non ha nulla a che fare con la pornografia, neanche a dirlo, ma equivale all’asserzione che i sessi significa l’incipit dell’attività del pensare: la sessualità è l’inibizione dell’attività del pensare. Il pensiero inizia dai sessi, che significa che nessun Soggetto con il proprio sesso ha una propria volontà su un proprio destino sessuale, ma significa che avendo un proprio criterio di convenienza ivi compreso riferito alla propria costituzione sessuale, ha un proprio criterio di convenienza quanto al destino del proprio sesso affidando il destino del proprio sesso a un altro. E’ la nostra definizione di verginità e la nostra definizione di castrazione, fino a dire che la verginità, e non solo la castrazione, è addirittura la condizione perché due facciano bene l’amore insieme. Questo è vero fino alla clinica: l’impotenza sessuale è un difetto quanto alla verginità e alla castrazione. Quando non abbiamo un aggancio clinico come quello che ho appena detto è meglio che un’asserzione di carattere teorico la aggiorniamo. Se io non potessi dire ciò che ho detto, che il sintomo dell’impotenza — anche femminile, non solo maschile — si correla a ciò che diciamo a ciò che diciamo della verginità stessa, non solo della castrazione, sarebbe meglio che io stessi zitto: aspetto il giorno che saprò dire che ciò si correla persino al sintomo clinico dell’impotenza o della frigidità. E’ questa la nostra presa di partito. In nesso dei massimi sistemi, non con il minino sistema che sarei io, povero piccino, povero micro rispetto al macro, io individuo, persona, non sono il micro, non sono l’infante davanti al cosmo. Questa è un’idea offensiva, offensiva rispetto a quello che realmente sono: nessuno è micro rispetto al macro. Questo lo diceva il pensiero occultista rinascimentale, occultista come pochi, in compagnia di Giordano Bruno. Una volta ho scritto un articolo sul Sabato dicendo «mi spiace che Giordano Bruno lo abbiano bruciato, perché avrei voluto prenderlo a botte io personalmente», con la moderazione tipica del limitarsi a fare a botte e non dell’accendergli il rogo sotto. L’errore della Chiesa Cattolica è stato di avergli fatto il rogo sotto anzicché farci a botte. La successiva modernità ha tratto invece la conclusione che non bisognava nemmeno farci a botte ed è stato laicamente beatificato e soltanto perché è stato bruciato dalla Chiesa Cattolica. 13 Il peggiore reazionario del pensiero Seicentesco, il peggiore reazionario della storia moderna è Giordano Bruno ed è stato un errore bruciarlo perché è stata cancellata l’idea che sia stato uno dei più sporchi reazionari, come oggi fascisti e nazisti nella storia dell’età contemporanea, al punto che non si può neanche più dirlo perché viene accusato di essere papalino bruciatore. Fino a denunciare il fanatismo di Giordano Bruno. E’ stata tappata la bocca alla competenza del singolo che dice che con uno così io non ci vado neanche a cena. E’ questa la critica a Giordano Bruno, il massimo della competenza colta: dice “con uno così non ci vado neanche a cena”. Ancora su colto-cultura vi propongo uno schema, perché c’entra con l’idea di Enciclopedia, di cui so benissimo che pressoché tutti i presenti la sentono come idea astratta. Lo so bene che per tutti voi è un’idea ancora astratta; se c’è un’idea astratta è bene prenderne atto, non è il caso di dire che vi sbagliate. Se suona astratta vuol dire che c’è qualche cosa che la fa sentire astratta. C’è il solito S e il solito A, che non sono affatto soliti perché è rarissimo che ci sia una S con una A. Il principio di Kierkegaard è il divorzio istituzionale e anticipato, ancora prima del matrimonio. Se la donna non esiste il divorzio è ancora prima di combinarsi, divorzio di principio alla Ur, che vuole dire prima di tutti i tempi. Oltre ad avere connesso alle due parole così tante parole che metà Enciclopedia è fatta, domanda, iniziativa, libero mercato, etc., questa mattina abbiamo aggiunto che γ è il pensiero e δ è la volontà; aggiungiamo altre due determinazioni per potere dire qual è la condizione dell’università. E’ ancora un appunto: γ è il sapere e questo è del singolo soggetto. Mica stupido Kierkegaard: la parola singolo l’ha inventata lui; noi la cavalchiamo da anni, io la uso da anni, ma è stato nel fare a botte con Kierkegaard: infatti in Kierkegaard il corpo è sparito, non esiste corpo, la soddisfazione, la meta. Quindi γ è il sapere, atto, non deposito. L’insistenza di Lacan sul sapere è fortissima ma è concepita come deposito, come memoria che mi ritrovo ad avere senza sapere perché. Qui il sapere è un altro: questo è il sapere sempre imputabile, e in questo caso premialmente. Quella che dico adesso è almeno una storia di due secoli, è un dibattito che dura almeno da due secoli. Se in γ mettiamo sapere in δ mettiamo scienza. Il metterla così è un qualcosa in più del povero appunto segnato sul margine del giornale, per il fatto che significa il sapere e la competenza individuale ad autorità nella valutazione sul sapere scientifico. Per il fatto che l’università attuale, le istanze della scienza etc. hanno prodotto ciò che si chiama scienza, la più indubitata delle ideologie del nostro tempo e che tutt’al più io posso prendere nota di ciò che qualcuno ha prodotto come scienza ma non posso farci niente. Il dire così invece è dire che c’è un primo tempo in cui da una qualche parte arriva ciò che è stato chiamato scienza e che dopo c’è un soggetto che sarà lui a occuparsi di validazione di tutto ciò che è stato il dibattito sulla verificazione. Mentre tutte le discussioni da più di trent’anni in qua sulla verificazione o falsificazione delle ipotesi e teorie scientifiche è che tutto ciò avviene all’interno del gruppo degli scienziati e che il soggetto non ha nulla a che vederci. Mentre qui la auctoritas è il soggetto, addirittura investito di una qualche potestas, riguardo all’essere scienza di ciò che è stato prodotto come scienza. E’ un bel passaggio. E’ ciò che io ho chiamato la o una condizione di un’università. Il che vuole dire che occorre un bell’accesso alla castrazione e alla verginità, come semplicemente la medesima cosa presa in un’altra maniera, per accettare di dire che mi piace la fisica. Chiunque abbia seguito le elaborazioni gnostiche degli ultimi vent’anni, ma sono tutti dei misterici, degli antiscientifici; lo gnosticismo è assolutamente anti-scientifico, ivi compreso il pensare come sentii dire in un pubblico convegno qualche anno fa che aveva già detto tutto Eraclito: annullamento totale di venti secoli. Da qualche parte c’è offerta di scienza, è alcuni secoli che c’è questa offerta, ma nessuno ne parla come di un’offerta. Dire che la valutazione, validazione, verificazione finale, cioè la fine del movimento è nell’atto di questo soggetto è quello che noi chiamiamo enciclopedia: è il fatto che l’anno venturo ci saranno alcuni di noi che faranno uno una lezione sulla parola “atto”, e così via… M. DELIA CONTRI Stando a questo schema che tu hai fatto, in fondo in fondo, a ben vedere in che senso si riproduce qui la questione di rapporto S-A in quanto rapporto fra sessi e in quanto rapporto come hai definito prima, tale per cui il mio oggetto è prodotto, oppure è posto in ogni caso nel campo dell’altro, soggetto al suo giudizio e 14 alla sua volontà? Qui la questione non è neppure tanto fra il prodotto della scienza e il prodotto del soggetto, perché per quello che ho capito per esempio di Popper dove dice che chi propone un certo prodotto scientifico sarà scientifico a condizione che lui stesso ne indichi il criterio di falsificazione, che cosa in pratica pretende una cosa di questo genere, che poi si vede che è una difficoltà presente sempre, anche nelle stesse analisi, concrete, empiriche? Che siano contemporanei i due momenti in cui produco qualcosa e in cui io giudico, ossia che sia lo stesso soggetto. Per esempio, Popper non fa tanto una questione di comunità scientifica, fa una questione sul soggetto scienziato, ovvero che produce certi nessi, che in quanto nel momento stesso che li produce ne dia un un giudizio. Indicarne la falsificabilità sostanzialmente vuol dire darne un giudizio. Sostanzialmente è la difficoltà di pensare che altro è un lavoro che produce un certo prodotto, per esempio la posizione di certi nessi, dopo di che qualcun altro — eventualmente il soggetto stesso, ma in un secondo tempo — ne darà un giudizio. Cioè sostanzialmente quello che viene vanificato è il giudizio. GIACOMO B. CONTRI No. Quello che viene vanificato è il sapere. Viene vanificato il giudizio, d’accordo, ma noi apparteniamo a una storia — vedi Kant — in cui il sapere è il capitolo A e il giudizio è il capitolo B ed è già tanto se comunicano alla lontana. Ma la loro separazione è netta: il giudizio non ha niente a che vedere con la conoscenza, eccetto quel comunicare alla lontana. Lontanissimi parenti, ammesso che siano parenti. Il giudizio estetico che cosa c’entra con la scienza? Il giudizio teleologico stesso è contestato che c’entri con la scienza. Invece il rovesciamento che facciamo è che il giudizio del soggetto riguardo alla scienza, riguarda il sapere, perché ha come interrogativo il seguente interrogativo: se, in quale punto, in quale misura, ciò che è stato offerto come scienza io lo posso trattare come sapere? Ossia fino a che punto la scienza ha prodotto sapere? Che la scienza abbia un contenuto di sapere, non è la scienza a pronunciarlo. Ed è per questo che me l’ero presa con l’idea che è trasmessa da tutta la epistemologia che il sapere sia ormai tutto trasferito al sub-microscopico o al super-macroscopico, ossia a ciò a cui hanno accesso quattro gatti. Ma un’istanza democratica quella che sto avanzando: dobbiamo avere tutti accesso a… devono esserci delle votazioni o plebisciti sulla scienza. Se è giusta l’idea di uno, anche se tutti gli altri sono contrari, questo uno fa bene a infischiarsene. Ha ragione Galileo: tutti sono contro, vado avanti sulla mia strada. Il rapporto da uno a tutti di solito è delirante, comunque mettiamo almeno due. Forse potremmo arrivare all’almeno tre o comunque non oltre all’almeno quattro. Non c’è bisogno di più di quattro. Ma è la parola sapere — Lacan ha distinto fra science e savoir, fra scienza e sapere, con la distinzione fra reale e realtà, tutte queste cose che siamo stati obbligati — … Popper afferma che il vero sapere o il sostantivo sapere e la parola scienza, così come si è costruita da alcuni secoli, coincidono. E’ esattamente ciò che noi contrastiamo assolutamente, senza concessioni. Questo “senza concessioni” è assolutamente verginale rispetto alla scienza, ossia da riconoscere, là dove c’è da riconoscerlo. E’ l’unico concetto di critica che mi sembra possibile, degno e persino pieno. L’idea veicolata dalla scienza che il sapere è sopra o sotto-microscopico e quindi ci giocano in pochi è un’idea infame. E’ un’infamia perché sposta ogni soggetto — scienziato compreso — in un qualcosa di molto peggio di quello che una volta si chiamava alienazione: si chiama psicosi. M. DELIA CONTRI Potresti allora chiarire perché io metto l’accento sul fatto del giudizio: il soggetto giudica a partire dal suo sapere. GIACOMO B. CONTRI Si tratta di giudizio, ma i giudizi sono tanti, compreso il giudizio “oggi è una bella giornata”. In questo caso il contenuto o il punto di applicazione, questo e non questo, del giudizio, del sapere che 15 avochiamo a S, è il giudizio su che cosa è sapere e cosa non lo è e non è più ceduto alla scienza il giudizio su cosa è sapere e cosa non lo è. Diventa scorretta, teoreticamente scorretto, il vincolare il sapere all’iter o al modo di sapere della scienza. M. DELIA CONTRI Di fatto perché dico che è importante far prevalere il giudizio? Perché l’obiezione è: “E tu non mettere il becco e non giudicare perché non ne sai niente”. GIACOMO B. CONTRI E’ esattamente questo punto: il primato è al giudizio. Riguardo all’ultimo appunto disegnato: è un giudizio la competenza del quale si applica su cosa è sapere e cosa non lo è. Che la scienza sia tutta sulle particelle elementari non ci da la minima informazione sul fatto che questo sia sapere. AMBROGIO BALLABIO Volevo accennare, con altre parole, anche rifacendomi a quello che hai detto questa mattina, perché mi sembra che si possa chiarire bene. Da questo punto di vista, il sapere di cui parliamo è strettamente correlativo a quello che quest’anno abbiamo cercato di definire come errore. Questa mattina dicevo che si tratta di un sapere pratico come nel corso di quest’anno dicevo che l’errore che ci interessa deve essere un errore di tipo giuridico, perché se è un errore conoscitivo, ciascuno di noi il giorno dopo lo sa correggere. Allora, da questo punto di vista anche la famosa questione della falsificazione come la poneva Popper, se noi adesso dicessimo: se si afferma che la castrazione come soluzione dei problemi che nascono dall’errore non esiste, se la castrazione non fosse una soluzione, i nostri errori sono falsificati, completeremmo solo il giudizio che stiamo dando, su quello che stiamo producendo. Allora, da questo punto di vista è una questione che ciascun nevrotico in cura che sta tentando di guarire o ritiene di essere guarito può verificare: può verificare che si tratta di sapere. Mentre se si tratta di sapere se le particelle sub-atomiche sono materia o energia, ciascuno di noi può sbagliarsi, ma questo non lo fa diventare nevrotico. Allora, in un certo senso la questione della verificabilità e anche di porre le condizioni della falsificazione, se sono prese a questo livello, per esempio del dire che la castrazione è una soluzione riguardo ai sessi, è effettivamente sapere, in quanto ciascuno con la propria competenza soggettiva può farsi un giudizio. Mentre il problema di Popper e della epistemologia moderna è che effettivamente le condizioni di falsificabilità devono essere messe a livello di quelle teorie scientifiche che sono o microscopiche o macroscopiche e che il soggetto come tale non è in grado di giudicare se non è un tecnico della materia. Allora da questo punto di vista, secondo me è legittimo porsi il problema se la scienza ha prodotto sapere, perché da questo punto di vista non è la scienza a poterlo dire. Però mi interessava mettere in risalto che il sapere cui facciamo riferimento ha lo stesso taglio pratico dell’errore che abbiamo discusso per tutto l’anno, alla ricerca di come individuare l’errore, che doveva essere un errore giuridico, innanzitutto, perché ci interessasse riguardo alla psicopatologia. GIACOMO B. CONTRI Prima che qualcuno intervenga, vorrei suggerire questo: io condivido l’espressione sapere pratico, con un avvertimento: la parola pratico deve essere un puro, banale, implicito della parola sapere. Non esiste il sapere pratico e poi il sapere. Sono decenni che è nata l’idea della filosofia pratica e poi c’è la scienza. Noi vincoliamo strettamente la parola sapere al possibile giudizio che un singolo è in grado di dare “questo è sapere”, scienziato compreso. Io mi immedesimo, e su certi piccoli tratti lo posso fare, a qualsiasi scienziato anche là dove ho quel po’ di sapere che propriamente si chiama sapere scientifico, su quegli stessi punti sono io, scienziato interrogato, se io scienziato giudico sapere il mestiere che io faccio, mi chiamassi io stesso Rubia. 16 MARCELLA Un’osservazione rispetto al problema della competenza dello scienziato, della competenza di chi è esterno alla scienza: cioè se sia possibile un giudizio. Mi sembra fondamentale richiamare una distinzione fra quello che è l’oggetto della scienza e quella che è l’intenzionalità della scienza. Per conto mio, in questi discorsi c’era continuamente un rovesciamento fra due ordini di problemi, per cui il problema della falsificabilità o verificabilità della scienza che è interno alla scienza e alle modalità di costituzione e di verità dell’oggetto costituito, viene confuso con il problema della valutazione — in senso forte, giudizio — di quella che è l’intenzionalità della scienza, che è al di là degli oggetti specifici della scienza. Confusione di due ordini di discorso, che per conto mio è molto grave, come a mio parere è una confusione fra il discorso antiriformista che mi sembra centrale nel discorso di Giacomo B. Contri che però taglia via con il problema della costituzione dell’individuo nella cultura occidentale, che, ci piaccia o no, fa parte del retaggio della Riforma. E’ un vincolo stretto e sono i due elementi su cui mi trovo molto a disagio ascoltando. Un elusione che taglia, che semplifica troppo il problema della modernità, con molti dubbi e molte perplessità e vuole come ricostruire un’immagine di essere insieme che però non passa attraverso la formazione dell’individuo che è retaggio della Riforma. Mi sembra un discorso anti-modernista e dentro però a una cultura profondamente cattolica, di cui io mi sento esterna e vorrei che questo tema dell’individuo e dell’essere con richiede un’esplicitazione. GIACOMO B. CONTRI Comincio dal secondo, perché il primo è più facile. Io ho soltanto fatto del puntiglio sulla parola sapere e ho detto “non gioco più” al fatto che nelle scienze si parla di linguaggio o linguaggi, distinto dalla lingua parlata e ho detto che qui c’è una colossale mistificazione; poi ho detto perché si parli di sapere, non gioco più all’equivoco fra la parola sapere, perché io so quanti centesimi ho in tasca oggi, e la parola sapere implicita alla parola scienza. Prima di passare all’individuo, che è il punto più interessante, osservo: questa faccenda del cattolico, ho fatto la mia dimostratissima e dimostrabilissima professione feurbachiana questa mattina, la posizione che non hai preso è riguardo a Freud, non riguardo a cattolico. Noi siamo freudiani; sull’essere cattolici appena usciti da qui molti di noi potrebbero andare a Messa. Tu non puoi contestarmi sul cattolico; mi devi contestare sul freudiano. Il terreno è questo, netto, inequivocabile. Il punto che noi facciamo è questo, pura ratio. Qui si tratta di quello. Sull’individuo in tutto il mondo se c’è una parola equivoca, soprattutto nel nostro secolo, è la parola individuo. Io mi limito a rifiutare, a osservare che l’invenzione dell’individuo non è un’invenzione riformista — questo è un pregiudizio che data da alcuni secoli — o moderna, perché ho degli amici cattolici, super cattolici, persino ciellini, che sono accaniti avversari dell’idea di individuo. Io dico che l’individualismo è l’invenzione personale di Gesù Cristo: è il primo individuo compiuto di tutta la storia dell’umanità. Allora l’individuo data da lì, data da venti secoli. Perciò su questo argomento, credente o non credente, cattolico o non cattolico, i conti con l’individuo li si può fare solo a partire dal primo individuo. I dibattiti sull’individualismo mi sembrano tutti una sorta di demarcazione del primo individuo. Da miscredente. MARCELLA La mia osservazione su un ambito cattolico della discussione esulava da quelli che erano i riferimenti o quelle che sono le condizioni personali. La mia osservazione era sulla valenza culturale e l’osservazione che tu hai fatto me lo conferma: cosa si intende se la costituzione dell’individuo o di una profondità della soggettività, ma quindi distinta da quella che è una soggettività pagana o classica, risale appunto al cristianesimo delle origini o al cristianesimo della Riforma. In questo senso io usavo il termine “cattolico”, e facevo l’osservazione di un atteggiamento anti-riformato. Infatti, mi sembra che il tuo appunto me l’abbia 17 confermato: secondo me il soggetto, l’individuo nasce con il cristianesimo, non con il soggetto della Riforma. E’ un’opzione cultura ben precisa. GIACOMO B. CONTRI Non è un’opzione culturale, tanto meno un’opzione fideistica. Per definizione tecnica. Individuo qui è preso — e naturalmente è ciò cui noi andiamo contro rispetto a tutto il lacanismo, il kleinismo, etc — soggetto è soggetto grammaticale e giuridico. Che poi sia stato Gesù Cristo a soddisfare al meglio quella definizione di individuo, può piacere o non piacere. Il soggetto è solo il soggetto grammaticale di una frase e soggetto giuridico ossia soggetto dell’imputabilità, che è la nostra definizione di individuo. Che poi Gesù Cristo soddisfi o non soddisfi questa definizione oggi non entra nel campo della discussione. Invocare il cattolicesimo in questa discussione è fuori luogo. MARCELLA Il problema dell’imputabilità e della legge concerne Gesù Cristo. Basta pensare agli scritti ideologici giovanili hegeliani e al problema della relazione tra legge autonoma e legge eteronoma raccolta dall’ebraismo fra cristianesimo e cultura pagana, questo tema è un nodo centrale. GIACOMO B. CONTRI Io che sono cattolico, sono il meno interessato in questa sede a discutere di Gesù Cristo, della fede. Sono interessato a dire che il soggetto, grammaticale e giuridico. Se poi Gesù Cristo è tale soggetto, qui non importa. Noi siamo un’assemblea di miscredenti ed è come pura assemblea di miscredenti che stiamo discutendo. Ed è un piano di discussione che noi abbiamo istituito fin dal primo giorno che ci siamo messi a lavorare insieme. Ne possiamo discutere, ma a titolo di miscredenti che discutono dei concetti, come faceva Marx, come faceva Hegel e come facevano tanti altri. Questo è il piano di dibattito da noi posto, al punto che se la prima falsificazione che può avere luogo di ciò che noi diciamo è se qualcuno ci dicesse che noi pretendiamo di porre questo piano di dibattito, ma sotto sotto noi stiamo facendo i cattolici. Noi riceveremmo una vera obiezione, dotta, se dopo aver asserito che il piano del dibattito che noi stabiliamo è quello — che una volta si chiamava il piano della ragione — qualcuno ci dicesse che in realtà non è vero. Fino adesso non l’hai detto: hai invocato un orizzonte culturale: è completamente diverso. Ho proposto l’orizzonte culturale di Feuerbach, al quale apparteniamo. Non a caso ho detto “Abbasso con Kierkegaard, che continua a parlare di Cristo, e viva Feuerbach che dice di essere ateo e sa ragionare”. Ho citato Feuerbach apposta per dire che il nostro terreno è quello: Feuerbach e Freud. Salvo dire che non è vero: quella sarebbe una vera obiezione. MARCELLA Mi sembrava di essere stata abbastanza netta nella mia esposizione, ma in realtà è proprio questo il tipo di obiezione. Proseguendo, quando dici che non vi interessa l’ebraismo, non vi interessa il cristianesimo, non vi interessa il cattolicesimo, e che parlate da miscredenti, su questo faccio un’altra osservazione: come in altri tempi qualcuno diceva «Non possiamo non dirci marxisti» o «Non possiamo non dirci cristiani» pur essendo critici del marxismo e del cristianesimo, affermare un terreno di miscredenza senza fare i conti con quello che ha recato in eredità, può essere rischioso o comunque lascia un non detto e la possibilità di un emergere di una tradizione in realtà molto forte. Questa si lega a un’altra obiezione: quando è stato detto “i morti seppelliscano i morti”, a cui non reagisco perché sono solo i vivi che seppelliscono i morti. 18 GIACOMO B. CONTRI A questa obiezione sono sensibile. MARCELLA Può sembrare banale, però secondo me significa contestualizzare storicamente che fuori dall’ebraismo, fuori dal cattolicesimo, fuori del cristianesimo, c’è una cultura occidentale e significa collocarsi in un universo astorico di un soggetto svincolato da quelle che sono delle determinazioni ben precise, che non sono solo delle eredità religiose, ma delle eredità in senso forte: i morti vengono seppelliti dai vivi, non dai morti. GIACOMO B. CONTRI Discussione con i neuropsichiatri infantili giovedì mattina: muore la nonna della bambina di un po’ meno di tre anni e i genitori fanno una serie di danni per nascondere alla bambina che è morta la nonna. Dopo un po’ di giorni la bambina con i genitori, passando vicino a un cimitero, dice al papà e alla mamma: «Lo so benissimo che la nonna è lì». I morti seppelliscono i loro morti. Il problema della morte non appartiene © Studium Cartello – 2007 Vietata la riproduzione anche parziale del presente testo con qualsiasi mezzo e per qualsiasi fine senza previa autorizzazione del proprietario del Copyright 19