CULTURANDO Vlada Aquavita “Cari amici, ieri - domenica 24 maggio 2009 - alle 6,15 di mattina se ne è andata la poetessa Vlada Acquavita, dopo una lunga battaglia contro il grande male”. Questo doloroso annuncio è stato “postato” da Gianfranco Franchi sulle pagine internet “Lankelot”, il sito di “letteratura e sogni” che aveva scoperto la nostra innovativa e originale poetessa. Questo riferimento per osservare che della vita e, purtroppo, della prematura scomparsa di Vlada Acquavita, non si sono occupate soltanto le pubblicazioni locali e quelle della nostra minoranza, ma anche testate che nei loro interessi vanno oltre alla nostra dimensione identitaria o istriana. Media che si occupano di letteratura e di letterati, prima che di territorio. Quest’attenzione interna alla “repubblica delle lettere” sarebbe certamente stata apprezzata da Vlada la quale, sia stilisticamente, sia tematicamente, è stata sempre a curare la dimensione letteraria, estetica o magari documentaria delle sue poesie, preferendola al ripiego sulla rivendicazione lenitiva e sulla nostalgia che caratterizzano invece tanta della nostra produzione minoritaria. DEL POPOLO La poetessa Vlada Acquavita La prima “storia dei rimasti” edita dal CRS di Ezio Giuricin I l 12 giugno scorso a Rovigno si è svolta la presentazione dei due volumi dell’opera “La Comunità nazionale Italiana. Storia e istituzioni degli Italiani dell’Istria, Fiume e Dalmazia (1944-2006)” di Luciano ed Ezio Giuricin. Chi – e lo hanno fatto in molti – ha sottolineato l’importanza “capitale” di questo titolo non ha esagerato di certo, poiché si tratta del primo lavoro che con approccio analitico sintetizza la storia degli Italiani dell’Istria, Fiume e Dalmazia da quando, vale a dire dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, sono diventati minoranza nei luoghi del loro insediamento storico. Un’opera che mancava, realizzata dal Centro di Ricerche Storiche di Rovigno, che in questo modo ha coronato in modo simbolico – ma estremamente funzionale rispetto alle ragioni della sua esistenza, il quarantennio della propria fondazione. Di seguito riproponiamo l’illuminante intervento pronunciato da Ezio Giuricin nel corso della presentazione. L’identità di un individuo trova spesso alimento nel ricordo della sua vita passata. Lo specchiarci in quanto è stato, il confronto - spesso faticoso e pregno di inquietudini - con i fatti trascorsi, e l’impegno a tracciare un bilancio su quanto si è lasciato alle spalle portano i gruppi come gli individui a riflettere sulla propria identità, ad interrogarsi sul proprio essere e il proprio futuro. I due volumi sulla storia della Comunità Nazionale Italiana nascono proprio dall’esigenza di confrontarci con il nostro passato per tentare di comprendere il tortuoso percorso che ha contribuito a forgiare l’esperienza collettiva e la “coscienza di sé” del Gruppo Nazionale Italiano. Costituiscono il tentativo di offrire un ulteriore strumento per cercare di capire ciò che siamo, per cogliere meglio i contenuti, i valori, le debolezze e i punti di forza della nostra difficile identità di minoranza. L’obiettivo che ci siamo posti con questi due volumi è di capire meglio le origini delle nostre scelte, i perché delle nostre speranze o delle nostre delusioni. i nostri «perché» Cos’è oggi la Comunità Nazionale in Istria, Fiume e Dalmazia? Perché siamo rimasti e quali sono gli elementi che continuano a farci sentire eredi di una secolare civiltà? Perché in questi sessant’anni la nostra componente ha dovuto subire tante avversità, dall’esodo - che ha imposto una lacerazione ed uno sradicamento epocali - alle successive, costanti spinte assimilatrici registrate da quasi tutti i censimenti? Per quale motivo decine di migliaia di connazionali si sono orgogliosamente battute, in oltre mezzo secolo, per affermare la continuità culturale e civile della componente italiana in questi territori? Quali le ragioni del nostro coraggio, e quali - d’altro canto - i motivi delle nostre debolezze, delle nostre paure? Cos’è che ha portato migliaia di connazionali a perdersi, a rinunciare alla propria identità? Per quale motivo in questi sessant’anni, pur essendo depositari di un secolare rapporto con il territorio, spesso ci siamo sentiti - o ci hanno fatto sentire - “stranieri a casa propria”? Perché avvertiamo il disagio di un’identità difficile, e spesso non ci ce vo /la .hr dit w.e ww Viaggio attorno all’essere della minoranza italiana “sentiamo bene” nel luogo in cui siamo nati (pur essendone orgogliosi e profondamente legati)? Perché in tutti questi anni la nostra dimensione è stata segnata dal peso del costante conflitto tra identità e alterità, tra “appartenenza” e “spaesamento”, fra coscienza e sradicamento? Sono queste le domande alle quali abbiamo cercato di rispondere scrivendo quest’opera sulla storia della Comunità Nazionale, convinti come siamo che dall’analisi del passato possano giungere degli utili riferimenti per la comprensione del nostro presente. L’obiettivo è certamente ambizioso e i risultati non sono né certi né garantiti. La storia - diceva Cicerone - è maestra di vita. Ma - lo sappiamo - la sua conoscenza non sempre ci impedisce di commettere gli stessi errori, né ci rende immuni da nuove sofferenze o delusioni. Il punto è che non possiamo sottrarci al confronto con ciò che siamo stati. La storia è lo specchio implacabile del tempo; ma è al contempo un libro aperto e in costante evoluzione che ci appassiona, ci consente di misurarci con la nostra esistenza, e che ci impone di porci costantemente degli interrogativi, di vigilare, con rigore, sui valori ed i principi in cui continuiamo a credere. L’auspicio è che quello che presentiamo stasera possa essere, appunto, un “libro aperto”, una “finestra” sul nostro passato; un viaggio attorno all’“essere” della minoranza che possa aiutarci a riflettere meglio sui problemi attuali e il destino della Comunità. cultura An no IV 009 • n. 4 0 • Sabato, 20 giugno 2 Per quanto nobile possa essere sentirsi e reputarsi “letterato della CNI”, di certo è più gratificante essere “letterato e basta”. Vlada Acquavita era riuscita a superare lo steccato che separa il “sentire minoritario” dal sentire “minoritario e altro”, e lo aveva fatto senza allontanarsi troppo nello spazio, con la cittadina di Grisignana che occupa uno spazio centrale nella sua lirica. Si era però allontanata nel tempo, avventurandosi in quel medioevo ignoto che non si svela perché te lo senti ogni giorno sulla propria pelle, ma chiede invece di essere scoperto. E la scoperta richiede studio, meticolosità, passione e dedizione, doti e virtù sulle quali Vlada aveva fondato il proprio operato, anche quello di bibliotecaria presso la scuola elementare e la Comunità degli Italiani di Buie. “Te ne sei andata in punta di piedi”, ha detto nel suo discorso di commiato la direttrice della scuola elementare italiana di Buie Giuseppina Rajko, “attenta, come sempre, a non creare situazioni incresciose. Il tuo notevole impegno professionale, la tua intelligenza, la tua sensibilità, la tua presenza, la tua parola hanno contribuito alla crescita della nostra Istituzione e all’arricchimento di noi colleghi e dei nostri alunni”. E Vlada non mancherà soltanto agli alunni e ai colleghi, ma anche agli amici della Comunità, mancherà al mondo letterario ed editoriale della CNI alla cui crescita aveva contribuito notevolmente, specie con la sua raccolta “Herbarium Mysticum”. “A Buie d’Istria”, ha scritto Luciano Dobrilovic per “Fucine”, vive la poetessa mistica Lada Acquavita, che ha viaggiato nel tempo facendo esperienza dei misteri eleusini e poi ha esplorato l’anima del cristianesimo medievale nelle sue espressioni esoteriche e alchemiche fino a rivivere la mistica e la simbologia dei giardini minuscoli ricavati fra i muri interni delle costruzioni nobiliari, ospitanti erbe e fiori rari. Viaggi nell’anima testimoniati dalla sua poesia: “La rosa selvaggia e altri canti eleusini” ed “Herbarium mysticum”. Vlada: una delle poetesse più significative di questi anni. In Italia, ancora sconosciuta ai più A Vlada Acquavita dedichiamo, con grande stima e affetto, le pagine centrali di questo inserto. 2 cultura Sabato, 20 giugno 2009 OMAGGI / Riedito «El passeto» di Anita Pittoni Artista, editore, scrittrice, triestina.. A ll’inizio degli anni Sessanta, la preziosa e particolare attività editoriale di Anita Pittoni incontra le prime difficoltà. Virgilio Giotti e Giani Stuparich, i suoi cari amici di un tempo e numi tutelari delle Edizioni dello Zibaldone, sono già scomparsi: nel 1957 e nel 1961 e Anita ora è sempre più sola. Ad ogni modo, nel 1962 escono le sue poesie in dialetto triestino Fermite con mi, scritte tra il 1936 e il 1959. La raccolta comprende una trentina di poesie. “un mondo poetico di piccole cose espresse con semplicità e di grandi cose sottaciute”, come scrisse Giani Stuparich nel novembre del 1955 su “Il Belli”, che troveranno il plauso di critici severi quali Angelo Barile, Mario Fubini, Alberto Spaini, Fabio Todeschini e altri. L’edizione, tirata originariamente in 400 copie non verrà più ristampata. Anita ritornerà sull’argomento alcuni anni dopo professando l’intenzione prima a Renato Guttuso e poi all’editore Vanni Scheiwiller di ristampare il libretto insieme a El Passeto e il racconto in dialetto l’Ocio de Dio con il titolo di Fermite con mi e altre storie nove, 1936 - 1972. Ancora una volta la buona intenzione, che si protrarrà negli anni successivi, rimarrà tale. L’anno 1963, di settembre, è anche l’anno in cui Anita, in una lettera al poeta ligure Angelo Barile, scrive di questo suo nuovo racconto, lo svolgersi di una vicenda famigliare vista dagli occhi di una bambina, “buttato giù di prima mano”. La prima tiratura dell’opera è di dieci esemplari manoscritti con il testo dattiloscritto a fronte che viene spedita ad alcuni amici dell’autrice. Un esemplare è indirizzato allo scrittore e giornalista novarese Enrico Emanuelli che da Milano il 23 ottobre del 1964 scrive ad Anita una lettera piena di ammirazione sull’opera ricevuta e per come è stata confezionata: “Gentilissima mula pianzota (si riferisce alla lirica inserita dalla Pittoni in Fermite con mi (1962) dal titolo Mi che recita: I me ciamava pianzota anca de picia,/ pianzevo sempre/ frignavo ore/ volevo i cocolezi/ e no magnavo./ Me se strenzeva el cuor,/ Infelice iero,/ pòvera mi,/ tormentada, comediante, assassina/ anca de picia, / e per gnente.// E per castigo/ pìcola/ son restada, ridicola e pianzota.), non le ho ancora detto grazie per quel che mi è arrivato. Una rarità bibliografica, un pezzo quasi unico, ad ogni modo “limitato” e fatto a mano, come non succede più di vedere per nessuna cosa di nessun genere. [...] Tutto questo in 24 paginette, piccole - piccole, a macchina, con testo a fronte e anche questo è un simbolo: industria culturale? Romanzetti a 100.000 copie? Case editrici oramai ministeriali? Bene, lei è il contrario di tutto questo. E pensi che la salvezza di molte cose verrà da qui: da chi resisterà a fare da solo, per pochi, con semplicità e verità.” Nel 1966, la Pittoni accoglie favorevolmente l’invito di Luigi Sobrero, docente di Meccanica presso l’Ateneo triestino, di leggere agli studenti della Facoltà di ingegneria la sua opera in dialetto triestino El Passeto. Anita è entusiasta di questa esperienza per lei inusuale, è commossa dagli applausi finali che gli studenti le dedicano. Per l’occasione Luigi Sobrero dona all’autrice 75 esemplari de El Passeto che riproduce la prima edizione del 1963. Anche questa edizione, come la precedente, è raccolta in un cofanetto El Passeto, un testo di memoria di una donna che, nel 1964, si definiva una superstite in una città che sentiva straniera. Un testo quasi dimenticato che si è voluto riportare alla sua attualità restituendone la visibilità. Ora ristampato da “Il Ramo d’Oro editore” di Trieste. color marroncino che ricorda le copertine dello Zbe, mentre all’interno sono custoditi i foglietti piegati a metà con una parte il testo dattiloscritto e dall’altra quello manoscritto. Quest’opera troverà ancora una stampa, completamente diversa, dal punto di vista grafico e in parte nel contenuto, nel 1977 per i tipi di Marino Bolaffio Editore. Quello che seguirà negli anni a venire è solo l’inizio di una lunga e travagliata agonia fatta di solitudine e rabbia per una vita e un ruolo che non le appartengono più e che lascerà in silenzio, tra le lenzuola di un letto d’ospedale, l’11 maggio 1982. Anita Pittoni nasce a Trieste il 6 maggio del 1901. Talento artistico eccezionale accompagnato a una manualità prodigiosa, il tutto guidato da un’intelligenza viva e da folgoranti intuizioni anche sul piano pratico organizzativo, si dedica con successo all’artigianato artistico con un proprio studio e laboratorio d’arte decorativa. Nel gennaio del 1930 presenta la sua prima mostra personale nella Galleria d’arte di Anton Giulio Bragaglia e per il suo Teatro degli Indipendenti, Anita disegna i costumi per L’Opera da tre soldi di Bertold Brecht. Con le sue creazioni e le audaci invenzioni tecniche - lavora come filati preziosi le fibre di canapa, di juta, di ginestra intrecciandole a fili di rame, d’argento e oro - si impone ben presto all’attenzione degli architetti; lavora per il Gruppo “Bbpr” (Banfi, Belgioioso, Peressutti e Rogers) e per i vari: Albini, Nordio, Palanti, Bega; collabora con Pulitzer Finali per gli arredi dei grandi transatlantici italiani ed è lo stesso architetto triestino a segnalarla a Giò Ponti, che nel 1928 ha fondato Domus, e che nel ‘30 l’invita per una prima personale alla Triennale a Monza. Nel ‘49, divenuta antieconomica la prosecuzione dell’attività artigianale, nel particolare clima della città giuliana martoriata dagli eventi postbellici, Anita Pittoni, spinta da passione morale s’inventa editore: lo scopo è quello di pubblicare autori poco conosciuti delle terre giulie ex austriache per “contrapporre al disordine l’ordine della cultura, alle menzogne la verità dei documenti”. Nascono così le edizioni de Lo Zibaldone. In più di vent’anni usciranno una trentina di titoli, forse pochi, ma sufficienti a farli entrare nel mito: in una delle librerie più esclusive di New York, agli inizi degli anni ’60, di libri italiani esposti in vetrina ci sono soltanto i titoli dello Zibaldone di Anita Pittoni.. Ha iniziato a scrivere segretamente fin dall’adolescenza, ma raccoglie i suoi scritti a partire dal 1930. Due suoi racconti appaiono per la prima volta su una rivista nel 1946. Da questa data inizia così un’intensa collaborazione letteraria con riviste prestigiose: «Il Ponte», «La Fiera Letteraria» e a giornali come «La Nazione», «Il Piccolo», «Il Mattino» di Napoli). Dal 1952 al 1956 tiene a Radio Trieste una rubrica settimanale di conversazioni “Cose di casa nostra”; nel 1950 pubblica nello Zibaldone Stagioni, un racconto lungo scritto a metà degli anni ‘40; nel 1962 è la volta della sua raccolta di versi in dialetto triestino Fermite con mi; i tre libriccini A casa mia, La città di Bobi (1966) e Caro Saba (1977): gli ultimi due dedicati a Roberto Bazlen e a Umberto Saba. Da ricordare una lettura di Trieste sviluppata come una corrispondenza con un immaginario “professore”, edita da Vallecchi col titolo L’anima di Trieste (1968), Nell’attività editoriale, messa in piedi con il coraggio dei poveri, Anita Pittoni getterà tutte le proprie risorse economiche: risparmi, compensi di collaborazioni ed anche, se indispensabile, quanto potrà ricavare dalla vendita dei manufatti che le rimangono. Ma Trieste non la sostiene, così perdendo l’occasione unica di dar corpo a un progetto editoriale di grande respiro; alla fine degli anni ‘70 la Pittoni chiude l’attività cedendo l’utilizzazione del marchio a Marino Bolaffio. Usciranno ancora due suoi libri: uno di racconti Passeggiata armata (1971), l’altro El passeto (1963,1966, 1977), una prosa poetica struggente, sorta di lessico familiare triestino dove, come fantasmi, si muovono sul filo della memoria le figure di suo padre, della madre e dei fratelli durante le passeggiate domenicali. NOVITÀ IN LIBRERIA / In spiaggia con titoli su contraddizioni varie I mali di Cuba, dei Balcani e della...menopausa Nelle librerie italiane è uscito il libro della blogger cubana Yoani Sanchez Cuba libre. Vivere e scrivere all’Avana (Rizzoli) nel quale racconta cosa significa vivere oggi nel regime comunista di Cuba, una vita segnata da tanti piccoli e grandi problemi quali la difficoltà di fare la spesa e la fame cronica, l’arte di ripararsi gli elettrodomestici guasti, la lotta per leggere le vere notizie tra le righe del giornale di partito, la paura del ricovero in ospedale dove manca anche il necessario per sterilizzare, la convivenza forzata con la propaganda che si insinua nei media, nelle piazze e nelle scuole, il panico quando arrivano le convocazioni della polizia, la preoccupazione per gli amici in carcere, la nostalgia per i tanti che sono fuggiti e la delusione per tutti quelli che hanno smesso di credere al futuro. Ma soprattutto sfata il falso mito dell’efficienza castrista e descrive, tra tenerezza e rabbia, la frustrazione per le potenzialità inespresse e i sogni perduti di chi, come lei, è nato nella Cuba degli anni Settanta e Ottanta e si ritrova rinchiuso in un’utopia che non gli appartiene. Una generazione che in Yoani ha trovato la propria portavoce. Molto richiesta l’opera Romanzo balcanico. Il cinema, il teatro, la poesia, la Storia (Aliberti) scritta da Abdulan Sidran, con tutte le sceneggiature cinematografiche e tutto il teatro del drammaturgo e sceneg- giatore bosniaco che ha lavorato con Kusturica. Un libro che parla pure della nascita e della fine di una grande nazione europea, ma anche la saga dei Sidran dentro la Storia di Sarajevo e della Jugoslavia. Le pagine di quest’opera si aprono con la tetralogia, dove trova ampio spazio la vicenda drammatica dell’arresto del padre per “cominformismo” e la condanna prima ai lavori forzati a Goli Otok, poi al confino (a Zvornik), del suo ritorno ed infine della sua morte. Il libro si chiude con un ampio dibattito a quattro sulla situazione attuale di Sarajevo e dello spazio ex-jugoslavo. Parlo con un uomo o con una macchina? Lo stupidario dei call center (Aliberti) di Ale & Franci è la prima raccolta delle più incredibili, fantasmagoriche e irresistibili situazioni realmente capitate ai lavoratori dei call center. Fra strafalcioni verbali degni di Totò ed equivoci surreali alla Ionesco, è nata un’antologia di comicità involontaria che ha davvero pochi rivali nel panorama odierno. Inutile dire che è tutto vero, tutto registrato, tutto vissuto e ascoltato. L’Italia al telefono è ancora una volta capace di dare il meglio o il peggio di sé, di esaltarsi di fronte alla possibilità di dialogare con uno sconosciuto al di là del filo. A dimostrazione che gli operatori dei call center sono ormai diventati una categoria sociale. Una specie di assorbente per di tutte le bas- sezze che un individuo può produrre parlando al telefono con un suo simile. Le librerie croate offrono l’opera di Christiane Northrup Tajni užici zrelosti (Planetopia) nel quale l’autrice, attraverso la sua storia personale e quella di altre donne, mostra come la menopausa produca dei cambiamenti nel cervello, che chiamano al risveglio corpo, mente ed emozioni; come si possa garantire la salute di seno, ossa e cuore; come il corpo si adatti naturalmente al cambiamento ormonale; come sia bene fare molta attenzione ai farmaci; come si debbano affrontare cambiamenti nel metabolismo, aumento di peso, problemi sessuali e questioni estetiche e del matrimonio nella mezza età. L’opera di Carlos Ruiz Zafón Anđelova igra (Fraktura) si conferma ancora una volta il risultato, affascinante, di una commistione di generi, in cui si tenta di conciliare la narrativa introspettiva e psicologica, tipica della tradizione letteraria della vecchia Europa, con le trame avvincenti del thriller contemporaneo. Il risultato è un romanzo epico, in cui gli eroi e le eroine si muovono in uno spazio interstiziale, senza tempo. A sorreggere il progetto dello scrittore spagnolo è sicuramente l’ambientazione: una Barcellona chiaroscura, una città fatta di vicoli bui e baracche sul porto, di affascinanti ville imperiali e giardini battuti dal vento. In questa Barcellona gotica, David Martín, figlio di un reduce della guerra delle Filippine, cresciuto nei bassifondi della città, pubblica il suo romanzo a puntate su un giornale locale. Come fosse un giovane Edgar Allan Poe, David racconta le torbide storie degli abitanti di una città maledetta, anime dannate e assetate di sangue. Nel suo audace debutto narrativo Gemma Malley con Deklaracija (Algoritam) ci costringe a riconsiderare alcuni miti dominanti nella nostra società, come quelli della bellezza e della giovinezza, e getta una luce inquietante su grandi temi ecologici e politici, quali la sovrappopolazione e la limitatezza delle risorse del nostro pianeta, creando un potente dramma futuristico. Ma la “Dichiarazione” è anche qualcosa in più: il manifesto che l’esistenza ha già in sé e per sé la propria giustificazione e che l’essere utile non ha un valore consumistico ma si colloca invece all’interno della logica dell’amore. Viviana Car cultura 3 Sabato, 20 giugno 2009 LIBRI / «L’Altra parte del cielo», l’ultima prova in prosa di Marco Apollonio Racconti gialli, neri e innovativi tra conservazione e sperimentazione di Elis Deghenghi Olujić Quest’anno è uscito il libro “L’altra parte del cielo” di Marco Apollonio, quarto titolo della collana “Lo scampo gigante” che l’EDIT dedica alla nuova letteratura italiana dell’Istria e del Quarnero. Con in copertina una foto del connazionale polese Guido Stocco (premio “Istria Nobilissima”, il volume comprende 4 racconti preceduti dalla brillante Prefazione di Elis Deghenghi Olujuić della quale di seguito pubblichiamo ampi stralci. La narrativa di Marco Apollonio, nato a Capodistria (Slovenia) nel 1964, rientra nell’ambito della letteratura istro-quarnerina contemporanea. L’autore capodistriano fa parte della generazione maturata nella seconda metà degli anni Ottanta dello scorso secolo, in anni che rappresentano uno stacco rispetto al passato e sono più esplicitamente disponibili ad orientare il passaggio della cultura e della letteratura istro-quarnerina verso una stagione completamente rinnovata. Come altri autori apparsi nel panorama istro-quarnerino negli ultimi anni, Apollonio affronta coraggiosamente la tendenza verso l’indagine personale e allargata del mondo, nonché l’eterna dialettica tra tradizione ed innovazione, tra conservazione e sperimentazione, perpetuamente alla ricerca di un’identità linguistica e scrittoria da iscrivere in un orizzonte letterario gravido di proposte originali. In una situazione di radicali mutamenti, di transizione piuttosto che di consumazione, la narrativa di Apollonio è testimonianza di come gli autori istro-quarnerini si adeguino all’esigenza di aggiornare gli epistemi culturali, per rispondere alla sempre più frequente domanda sul senso di produrre letteratura in una società che offre nuovi e più persuasivi strumenti di comunicazione rispetto al libro. un’esplorazione narrativa ed esistenziale Nelle prove narrative finora prodotte da Apollonio, formate da membrature brevi, le trasformazioni psicologiche e quelle culturali, le nuove percezioni sensoriali che segnano il nostro presente convivono con una scrittura che è insieme esplorazione narrativa ed esistenziale, una scrittura che cerca e trova ancora un suo senso ed un suo territorio coniugando la tradizione e l’influsso delle più recenti esperienze letterarie. Apollonio è alle prese con il problema primario di ogni scrittore, rappresentato dall’urgenza di trovare nella scrittura lo spazio della propria ragione, originale e preciso, il luogo del proprio linguaggio e dell’esperienza del mondo, nel fermo convincimento che ci siano cose che solo la letteratura può raccontare con i suoi “mezzi specifici”, come ci rammenta Italo Calvino nella prefazione delle sue Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio. emarginazione e inettitudine L’aumentato interesse verso il sociale in una realtà costituita sempre più da emigrati, extracomunitari, profughi, da emarginati, da antieroi segnati da un malessere profondo, porta anche Apollonio, finora poco attento a queste tematiche, a confrontarsi con argomenti di scottante attualità. Il protagonista del microracconto Notte, all’inizio è un extracomunitario, destinato già solo per questo a subire le conseguenze di un’esistenza vissuta ai margini di una società che non è disposta né preparata ad accogliere ed accettare la diversità fisica, linguistica e culturale. Karìm è un emarginato, vittima designata da una situazione sociale e umana senz’uscita. Un perdente, “un extra, fuori, non incluso, perso”. Ma “extra”, come suggerisce l’autore, significa anche “di qualità superiore”, o “qualcosa di meglio”. L’esse- re indubbiamente “di qualità superiore” non rappresenta però un vantaggio per il protagonista della storia. Il destino drammatico di Karìm, segnato da un tragico equivoco, si compie nel giro di una notte, ed è determinato dalla sua incapacità di farsi intendere da una donna troppo spaventata per capire il significato del gesto dell’uomo, che le porge il nastro rosso smarrito nella corsa. Quello di Karìm voleva essere un semplice atto di cortesia, non un pretesto per insidiare l’integrità fisica di quella sconosciuta incontrata per caso. Il loro incontro finisce nel modo peggiore. La dimensione breve in questo caso esalta la tensione narrativa, mentre l’esito della storia scuote la sensibilità del lettore, che a lettura ultimata resta perplesso, costretto a riflettere sul fatto che viviamo in una società dominata dall’assenza di fiducia nell’altro, specialmente se l’altro ha la pelle scura e si avvicina a noi apparentemente senza un motivo plausibile, nel bel mezzo di una notte buia, in una strada deserta. L’ultimo viaggio è un’ennesima storia di rapporti affettivi e familiari fallimentari causati dall’incapacità di comunicare, dall’indifferenza emotiva, da un’inettitudine sveviana alla vita. Il protagonista, Riccardo, un perdente “dal carattere eccentrico e insofferente nei confronti di convenzioni e regole sociali”, vive svogliatamente e squallidamente la dolce vita romana, vana- l’autore per le cose narrate, e l’ossessione di non riuscire a vederle differentemente. La lingua e lo stile, privi di orpelli, si accordano alla storia e alla natura del protagonista. Si tratta di una lingua sintetica che riproduce il parlato con le sue enfasi e le sue storture, con l’alternarsi di frasi graffianti, espressive ed espressionistiche. Un “tempo” inquietante Tempo è un racconto inquieto e inquietante. Si tratta della continuazione/ integrazione de L’ascensore dello scrittore e autore di radiodrammi Dimitrij Kralj, nato a Isola (Slovenia) nel 1948. Nell’opera Kralj immagina che in un ascensore, bloccato a causa di un guasto tecnico, rimangano chiuse due persone. L’unico collegamento con l’esterno è rappresentato da un telefono interno. Chiamando un numero, si viene messi in collegamento con la pagina del libro il cui numero è stato fatto al telefono. I personaggi, dunque, dialogano con se stessi simultaneamente in tempi diversi o, meglio, allo stesso tempo da una pagina all’altra del libro, indietro e in avanti, in un passato futuro lineare, sempre presente. In un primo momento lo fanno inconsciamente, per rendersi conto solo in un secondo tempo dell’assurdità della situazione. Per di più, una delle due persone rimaste chiuse nell’ascensore è l’autore di un dramma mai concluso, intitolato per l’appunto L’ascen- Dalla consultazione dell’elenco delle opere pubblicate sinora da Marco Apollonio, tra le quali ricordiamo anche il testo di saggistica “Breve antologia dello humor nero nella letteratura triestina del Novecento” (1993), si evince che nella produzione di questo autore capodistriano il racconto copre un arco temporale lungo, e si manifesta in una variazione ampia di modulazioni, a conferma che per lui la forma narrativa breve è uno strumento espressivo tutt’altro che giovanile od occasionale. Molti suoi racconti sono stati pubblicati sulle pagine della rivista di cultura e letteratura “La Battana” e nelle pagine delle Antologie delle opere premiate al Concorso d’arte e cultura “Istria Nobilissima”, cui ha partecipato in diverse occasioni, meritando sempre l’attenzione delle commissioni giudicatrici. Una raccolta organica di otto racconti intitolata “Corpi/Tjela”, pubblicata in edizione bilingue italo/croata, è stata pubblicata nel 1996 grazie alla collaborazione tra le case editrici Edit di Fiume e Durieux di Zagabria e il contributo della Regione Veneto in applicazione della Legge regionale del 1994 per gli “Interventi di recupero, conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale di origine veneta nell’Istria e nella Dalmazia”. In otto brevi racconti, con al centro soggetti alquanto complessi e dissociati che hanno seri problemi nel relazionarsi con il mondo circostante, l’autore ci pone di fronte ad altrettanti spaccati di vita. Gli otto protagonisti sono figure decentrate rispetto allo scenario della vita, come altrettante versioni dei personaggi kafkiani, individui ora sballottati qua e là dalle onde di un oceano ostile e implacabile, ora invece padroni e custodi della propria estraneità e diversità. Incompresi, insoddisfatti, incapaci di comunicare la loro marginalità ed il disagio e di risolverli, essi sono privi di qualsiasi conforto in una realtàche si rivela tetra, frustrante, nella quale la solitudine ontologica dell’uomo impedisce di misurarsi in termini sociali con altri uomini. mente impegnato a costruire il senso della propria esistenza vissuta in una dimensione costante di sfacelo, di falsità e inconsistenza morale e affettiva. La città eterna è un “rifugio a misura della sua natura indolente”. Il fastidio per i discorsi vacui e privi di senso e l’insofferenza verso il prossimo, alimentano nel protagonista il desiderio di allontanarsi dal consorzio umano e la volontà di recidere i legami con il mondo, che sono l’anticamera di un inevitabilmente isolamento. La telefonata di Erica, una delle sue tante amanti, gli annuncia in modo brutale e impietoso la morte del padre. Riccardo parte in treno per partecipare al funerale. È difficile per lui tornare in quell’odiata città di provincia, verso la quale nutre “una innata insofferenza”. Il rientro nella casa di famiglia e l’incontro con la sorella avvengono in una condizione di tensione esasperante e dolorosamente non liberatoria. Ancora un esempio, questa prova narrativa, del modo dello scrittore di esercitare un’indagine fredda e vigorosa di soggetti intristiti, tormentati e insidiosi, sottoposti con spietato realismo ad un crudele studio mentale. Come in filigrana, si avverte il disgusto del- sore. L’autore non ricorda il motivo per il quale non ha finito l’opera. Presume, però, dato che l’orologio si è fermato, che anche il tempo si sia arrestato. Il tempo si è fermato per davvero, in quanto l’opera è stata già scritta e quindi fissata, e loro due, come personaggi, vivono, si muovono e parlano soltanto grazie al fatto che c’è un lettore che sta leggendo la loro storia. Un lettore al quale i due personaggi a pagina 31 si appellano, affinché in quella successiva li faccia uscire da quella situazione assurda, scrivendo un finale su quel foglio lasciato appositamente vuoto. Tempo rappresenta dunque la conclusione che l’autore de L’ascensore richiede ad un ipotetico lettore. Apollonio risponde all’invito scrivendo un giallo nel quale l’assassino è lo stesso lettore. riflessioni sul male e l’angoscia di vivere Prendendo come spunto la condizione di terrore che sperimentano due persone rimaste rinchiuse senza via d’uscita in quell’orribile macchina che è l’ascensore, sospese nel vuoto e nell’indeterminatezza, isolate dal resto del mondo, in Tempo Apollonio ci accompagna in un suggestivo quanto allucinante viaggio “nel labirinto vorticoso del tempo e delle sue estreme e ambigue possibilità”, con incursioni nella scienza, nella filosofia, nella storia, nella religione. L’idea suggerita è che “non esistono cure al precipizio della mente, come non ci sono cure all’esuberante e assurdo arabesco della creazione. Alla fine della storia esiste solo il panico del tempo, la scalata dell’abnorme verso altra abnormità ingigantita dalle simbologie e da precisi riferimenti ad opere ed autori. L’abilità di Apollonio sta nella capacità d’incanalare la lettura verso le proprie riflessioni, che diventano digressioni sconvolgenti e al contempo epifaniche, dove egli respira il male e l’angoscia di vivere. un giallo capodistriano Rispetto a Tempo, giallo problematico e “intellettuale”, il romanzo breve L’altra parte del cielo, ambientato a Capodistria e dintorni, è un giallo canonico, con morti, persone scomparse, persone sospettate e interrogate, depistaggi, ritrovamento di materiali e prove compromettenti che spariscono al momento opportuno, con il colpevole che sembrava il meno colpevole di tutti. Nella storia non mancano il coinvolgimento dei servizi segreti, russi e svedesi, e un losco affare di traffico d’armi, alimentato dalla recente guerra nei Balcani, nel quale sono coinvolte le più alte cariche governative. La sordida vicenda inizia con il ritrovamento di una Renault abbandonata nel bel mezzo del Carso, in seguito alla segnalazione fatta da una telefonata anonima. All’interno dell’automobile viene trovata una scatola con un contenuto macabro, due occhi di colore verde, che sono “l’espressione di qualcosa che viene dall’ombra e termina sotto questo cielo grigio”. L’ispettore Peter de Paula inizia la sua investigazione che solo alla fine avrà un esito, che naturalmente è inaspettato. De Paula è un “uomo che cerca”, inserito in un contesto sfuggente, nelle velenose e pericolose miscele del territorio a ridosso del confine. È una sorta di antieroe che sentiamo più vicino ed efficace nel guidarci dentro la storia piuttosto che un eroe dotato di poteri e gratificazioni professionali e morali. Il racconto propone problemi, suggerisce dubbi, offre chiavi di lettura per il nostro conturbante presente, nel quale sarebbe a volte saggio concedersi soste e pause di riflessione. Il nostro è il tempo della complessità. Le cose avvengono fuori dalla nostra volontà, senza che si possa sapere chi le vuole e chi le mette in atto: ciascuno di noi sa di non poter influire sull’evolversi di queste vicende, e nello stesso tempo sa di non potersi sottrarre allo sforzo di capire. 4 cultura Sabato, 20 giugno 2009 Dedicato a Vlada Acquavita Le testimonianze Poetessa raffinata, intellettuale acuta... Giuseppina Rajko: direttrice della Scuola elementare italiana di Buie Vlada Acquavita se n’é andata in punta di piedi, attenta, come sempre, a non creare situazioni incresciose. Il suo notevole impegno professionale, la sua intelligenza, la sua sensibilità, la sua presenza, la sua parola hanno contribuito alla crescita della nostra Istituzione e all’arricchimento di noi colleghi e dei nostri alunni. Con Vlada se n’è andata un’altra intellettuale della Comunità Nazionale Italiana; con la sua attività di persona colta e di raffinata poetessa, con il suo impegno professionale in seno alla Scuola e alle istituzioni minoritarie ha tenuto alta la coscienza nazionale, ha portato avanti un’azione costante per il grande obiettivo dell’affermazione dei valori della cultura italiana e per la diffusione della nostra lingua. Di Vlada ricordiamo la calma, il rapporto cordiale con tutti, l’attaccamento eccezionale al lavoro, la costante voglia di crescere culturalmente e di conoscere; ricordiamo le giornate felici e anche quelle infelici del nostro comune cammino, con poche rose e molte spine. Vlada Acquavita è stata sempre attenta e diligente, puntuale e meticolosa nell’espletamento dei suoi non pochi compiti a scuola e nella Comunità degli Italiani di Buie: è stata infatti una delle colonne portanti della nostra scuola e della Comunità. I suoi i colleghi, gli alunni e gli ex alunni, gli amici, gli estimatori la ricordano come una persona che si distingueva per la sua umanità, per la sua finezza nel sentire, come un’amica e una collega sincera, una donna buona ed onesta, un’intellettuale acuta, una vera italiana, leale verso lo Stato in cui è vissuta ed ha operato. una ventina di anni. Naturalmente abbiamo rispettato i suoi consigli ed i suoi desideri. Forse, pensandoci, Vlada non ha avuto la visibilità degli altri letterati e poeti della nostra area. Ma anche questo è stato un suo desiderio, restia com’era ad apparire, a comparire, a doversi raccontare e spiegare. Ma poi si lasciava andare - ed il suo mondo di emozioni ti intrappolava, ti invadeva come per la presentazione dell’Herbaryum misticum nella sua Buie dove si commosse per l’attenzione dimostratale dal folto pubblico e per un bel mazzo di fiori di campo che un gruppo di ragazzini le mise tra le mani. Io mi commossi invece più tardi, leggendo la poesia del melograno. Lionella Pausin Acquavita, Presidente della CI di Buie Vlada se n’è andata con quella riservatezza che ha contraddistinto la sua esistenza. Me la ricordo giovane neo-laureata ad insegnarci la lingua francese nelle immense aule scolastiche della vecchia scuola che le stufe a legna non riuscivano a scaldare. E lei, infreddolita, e forse anche un po’ intimorita dal suo nuovo ruolo, tentava di catturare la nostra attenzione ed i nostri interessi raccontandoci della sua Francia. “’Sur le pont D’ Avignon on y danse on y danse…’’ cantavamo in classe – con Vlada intenta a correggere la nostra pronuncia e noi a sognare la Francia, i suoi castelli, i re e le regine, i ponti, Parigi, Marsiglia…. Vlada non era timida; era una persona che non voleva imporsi ma che si sapeva far rispettare. Era precisa, attenta e gentile. Ma era anche pedante nella realizzazione degli impegni. Solo pochi mesi fa, nonostante la malattia, era venuta in Comunità per decidere la selezione e la disposizione dei libri nella nuova biblioteca interna, biblioteca da lei guidata da Vittorio Vettori, poeta Posso soltanto osservare che, a differenza del Medioevo di Umberto Eco, tutto visto e rivisto, tutto platealmente visitato e rivisitato, il Medioevo di Vlada Acquavita è un Medioevo invisibile e cioè rinnovato e reinventato nel senso della ‘renovatio’, vale a dire nel senso di un eterno “rinascimento del cuore”. Gianna Dallemulle Ausenak: narratrice, poetessa, saggista Lettrice appassionata e poetessa raffinata, valente saggista di tematiche scolastiche, Vlada Acquaviat è stata una persona di grande apertura mentale suffragata da una vasta cultura umanistica. Il nucleo della poesia di Vlada Acquavita, come ebbe a dire lei stessa in un’intervista a “La Battana”, è il duplice paesaggio: quello dell’anima e quello esterno, cioè l’ambiente naturale che ci circonda. Portata alla riflessione e ad una contemplazione della natura e dello spazio che stabiliscono equilibrio e dialogo annullando ogni disimmetria, e privilegiando autori e letture che si interrogano ed esaltano l’interiorità e la spiritualità, la poetessa si è legata con un filo aureo al mondo del mito e della fiaba, al mondo dei simboli e del mistico, dell’indicibile, dell’ineffabile, cellula germinale, ma anche filtro interpretativo di situazioni che rispondono alle esigenze estetiche e in definitiva alle finalità comunicative della sua Psiche Liliana Venucci Stefan, responsabile del settore editoriale dell’EDIT Con Vlada abbiamo lavorato a “Herbarium mysticum” due anni fa. Trasudava gentilezza e ansia da subito, preoccupata di non lasciarsi sfuggire qualche refuso, ad argomentare il perché quella virgola dovesse stare proprio là... A ogni incontro ti accoglieva generosa, conteneva a stento la ricchezza interiore, ti inebriava di precise parole pronunciate senza interruzione, con quel suo modo di parlare tra il soffiato e l’inspirato, poi si interrompeva, timorosa e imbarazzata, convinta di aver stancato chi aveva di fronte e diceva “ma poi facè voi come volè, sapè...” V lada Acquavita amava i libri, amava viaggiare – non da turista, ma per scoprire i luoghi in cui alcuni libri erano nati – amava svelare i misteri del passato e quelli dell’anima. E amava scrivere. Vlada Acquavita amava le così nobili, ma le amava di un amore fortemente sentito senza essere gridato, come chi sa che uno dei tratti più preziosi della nobiltà è l’umiltà. Vlada oggi non c’è più, si è spenta il 24 maggio scorso, lasciandoci in eredità uno stile da imitare e tante pagine di poesia ancora da visitare, da assaporare, da riconsiderare, da rileggere con gusto e attenzione. Vi troveremo il medioevo, l’Istria(una Toscana selvaggia, come ebbe a commentare un suo amico), la sacralità, la natura e capiremo quanto siano attuali questi temi quando permettiamo loro di avvicinarsi alla nostra anima. Vlada Acquavita era nata a Capodistria e aveva lavorato a Buiecome bibliotecaria presso la locale scuola elementare italiana. La sua laurea in lingua e letteratura francese, conseguita a Zagabria, non è stata soltanto un titolo di studio bensì un viatico per coltivare e cogliere meglio un interesse che in lei era autentico: quello per il Medioevo, per la Francia, per la letteratura trobadorica. Ha frequentato la Scuola superiore di lingue moder- ne per interpreti e traduttori presso l’Ateneo di Trieste, aggiornando poi costantemente la sua formazione professionale. È stata Borsista Bogliasco (Genova) in Letteratura nel 2001, ed aveva apprezzato quel soggiorno ligure in modo particolare: “Gli splendidi ambienti del Centro Studi ed i suoi giardini mi hanno offerto gli spazi per far maturare lo stato d’animo ideale, quell’assoluta libertà in cui la cognizione del tempo sembra annullarsi, quell’armonia interiore così necessaria all’artista.” Vlada Acquavita amava il suo mestiere di bibliotecaria, il mondo della scuola, il contatto con gli alunni, scrivendo alcuni saggi premiati al Concorso “Scuola Nostra”. Vlada aveva capito che la scuola ha la necessità e il dovere di adeguarsi ai cambiamenti, sostituendo al ruolo tradizionale uno nuovo, di maggiore qualità e soprattutto corrispondente alla realtà dei ragazzi di oggi. In tale contesto, l’autrice ha considerato analiticamente la riorganizzazione della struttura della biblioteca scolastica, spiegando che “deve essere valorizzata Il lai della Rosa bianca Il Lai della Rosa bianca narra di una fanciulla istriana “più bella delle rose e dei gigli a primavera”, che i fratelli, per timore di perdere con la sua dote parte del patrimonio, segregano nella torre del Castiel Sancuan di Corneti e legano ad una catena gettandone la chiave in mare. Nonostante la prigionia, la fanciulla vive serena, cantando dolcemente. Un giorno il suo canto melodioso arriva all’orecchio del nobile signore del castello di La Napoule, nella lontana Provenza: tanto è soave quella melodia, che egli si addormenta sulla spiaggia e al risveglio trova accanto a sé una chiave d’oro. Quando un uccello meraviglioso si posa sulla sua mano, il cavaliere si accorge che esso porta al collo un anello e allo stesso tempo risente la dolce melodia e, inseguendola, arriva al porto dove lo attende una nave dalle vele rosse. Quasi sollevata dal vento, la nave arriva al castello della bellissima prigioniera, che viene liberata. Subito accesi d’amore, ormai promessi sposi, i due giovani partono alla volta del castello in Provenza. Quando sono lontani, la torre del Castel di Sancuan di Corneti crolla abbattuta da un fulmine: è così che la trovano i fratelli cattivi al ritorno dalla caccia. Allo scoccare del solstizio d’estate, a mezzanotte in punto, sulle terre che la fanciulla avrebbe dovuto portare in dote al marito, sbocciano delle rose a cinque petali. come luogo che suscita interessi, offre gratificazioni, soddisfa curiosità, permette autentiche scoperte, quindi non può non qualificarsi come spazio della libertà di pensare e di conoscere”. Vlada Acquavita amava sottolineare il significato della lettura: “leggere un libro”, scriveva, “è un mettersi in contatto con quello che sta oltre la parola, un viaggio in paesi e in tempi diversi, un dialogo con interlocutori di ogni epoca e di ogni luogo, ma tuttavia con la possibilità di riflettere o di sviluppare la riflessione in periodi successivi.” Nei suoi lavori di saggistica dedicati alla scuola l’autrice ha affrontato temi quali gli itinerari di lettura nella scuola e nel tempo libero, “il mistero della poesia e il bambino”, la fiaba come forma educativa ancora attuale, invocando sempre “il coraggio e l’ambizione di pensare in grande, affinché, individuati i giusti percorsi, diventi possibile ed opportuno sperimentare nuove metodologie ed ipotesi risolutive”. Vlada Acquavita è stata anche prosatrice: il suo trittico narrativo “Virtualità”, pubblicato nell’Antologia di “Istria Nobilissima”(2001) sta a mezza strada tra realtà e riflessione filosofica sul mito e il sacro. I tre racconti sono ambientati a Buie in epoche diverse: il primo racconto nel 1769, il secondo nel 1995 e il terzo nel XXI secolo. Nel terzo è protagonista l’autrice stessa, intenta a svelare qualcosa in più del suo essere, nel caso specifico del suo sentire religioso d’ispirazione cattolica. È l’alba del terzo millennio e Vlada vede ovunque le tracce di una nobile civiltà che si dissolve o è già in gran parte dissolta. L’impressione che ne riceve è molto forte: desidererebbe essere altrove. Ad un certo punto, però, si accorge che l’”altrove” è a pochi passi da lei, lì dove fra le macerie di una casa è spuntata la passiflora, il fiore della passione di Cristo, che santifica il luogo con la propria presenza. Oltre che valente saggistica e narratrice, Vlada Acquavita è stata soprattutto poetessa colta e raffinata che privilegiava lo studio, la riflessione, l’esperienza dell’inconsueto, la frequentazione del mondo dell’Antichità e del Medioevo, del mito, del sacro e del mistico. I numerosi e continui viaggi in Italia e partico- larmente in Francia (terra prediletta in cui maggiormente si accentra la pluralità delle fonti di ispirazione) e le occasioni di visitare prestigiosi musei e rinomate biblioteche, hanno lasciato segni nell’universo emozionale della poetessa. Nel 1997 ha pubblicato ad Arezzo la silloge La rosa selvaggia e altri canti eleusini, viaggio interiore basato sul mito e inteso come espressione di cose e verità ”altre”. Nel 2007 esce Herbarium mysticum. Clausole medievali, Si tratta di una silloge poetica particolarissima in cui si compie un viaggio a ritroso nel medioevo istriano. In questa raccolta Vlada Acquavita si è ispirata anche all’erbario medievale nel quale alla raffigurazione della pianta si mescolavano valenze simboliche, mistiche, magiche, terapeutiche, mentre l’aspetto naturalistico spesso veniva trascurato. Ogni pianta di questo erbario mistico (La rosa di Sant’Eliseo, Il giglio, La viola, Hedera Nigra, Primule e pervinche, Il melograno, ecc.) è legata ad una o più poesie connesse a un personaggio femminile di fantasia (Veronica di Ortoneglo, Grimalda, Rubina). Alle poesie fa seguito un testo in prosa (clausola) nel quale si contestualizza il personaggio in una vicenda inventata. Nel “commentario”, che costituisce la terza parte del libro, l’autrice spiega le circostanze reali che l’hanno indotta o ispirata a scrivere le singole poesie-clausole: un viaggio in una certa zona dell’Istria, in un villaggetto francese, la lettura di una certa lapide, le vetrate di una chiesa, la lettura di un certo documento o codice medievale antico. Da rilevare che la seconda parte dell’Herbarium mysticum, intitolata Scriptorium, è collocata nelle Terre Bianche e a Grisignana, La seconda parte dell’Herbarium mysticum, intitolata Scriptorium, è collocata nelle Terre Bianche e a Grisignana, mentre ne Il convolvolo la Acquavita riflette sulla figura di Monaldo di Giustinopoli , francescano capodistriano che ha condotto una vita contrassegnata da un profondo studio delle scienze sacre e da una vita ascetica Vlada Acquavita è presente nell’antologia di poesia Ragioni e canoni del corpo, in Oltre la soglia... per Giusy Miano, nell’antologia Versi diversi/Drugačni verzi. Poeti di due minoranze/Pesniki dveh manjšin, in numerose antologie di “Istria Nobilissima” e pubblicazioni de «La Battana», in riviste e giornali. Di particolare rilievo il suo saggio sulle poetesse autrici di poesia trobadorica. Sabato, 20 giugno 2009 5 Una poesia meditata, di stupore e metafora viva di Gianna Dallemulle Ausenak Il nucleo fondante della poesia di Vlada Acquavita poggia su un processo assorto e meditato di letture approfondite. Compagni di viaggio, una nutrita schiera di autori che privilegiano ed esaltano l’interiorità e la spiritualità: Dodds, Girard, Vernant, Hölderlin, Rilke, Jung, Nietzsche, Vettori, Mallarmé, Valéry, Gide, Borges, Luzi, Zanzotto, Saffo, Emily Dickinson, Simone Weil, Cristina Campo, ecc. Alla luce delle loro opere, è facile comprendere la propensione della poetessa buiese a spaziare, a ripulire le “porte della percezione” che portano alla conoscenza delle cose, come veramente sono, cioè infinite. La poesia di Vlada Acquavita viaggia su un duplice binario: lo stupore e la metafora viva, grazie ai quali è resa possibile la verticalizzazione del tempo e l’inosservanza delle regole prestabilite, ciò che comporta lo sconvolgimento del meccanismo mentale inconscio mediante il quale i contenuti di pensiero, gli atteggiamenti, i motivi e simili, estranei in quanto appartenenti ad altre persone, vengono accolti nel proprio io a “interpretare il mondo ibridando il linguaggio di codice nelle sue relazioni con la realtà”. È grazie alla mediazione del mito e della natura, che Vlada Acquavita stabilisce gradatamente un legame più intimo e più profondo con la propria interiorità, istituendo con essa un rapporto colloquiale che la conduce a (ri)conoscere la parte più segreta del proprio Sì. Risacralizzando il mito, passa così dall’impressione all’espressione, dal trasporto del cuore alla parola/tensione poetica, che la portano ad abitare una dimensione armonica nella quale scopre e coglie l’elevazione, la bellezza, la luce, che lei fa convergere nella scrittura. L’esordio di Vlada poetica è del 1997, con la pubblicazione della silloge La Rosa selvaggia e altri canti eleusini. La Rosa selvaggia e altri canti eleusini Il pensiero, che pone al massimo livello l’esperienza della psiche, vive già nella prima opera della poetessa buiese, La Rosa selvaggia e altri canti eleusini, e rivela una sensibilità preziosa, fuori del comune. Non c’è dunque da meravigliarsi se la silloge incontra da subito i consensi di un pubblico scelto, capace di riconoscere ed apprezzare una concezione poetica che rispecchi la proiezione metafisica dello spirito che si ricongiunge al divino, ma in primo luogo, se l’accortezza di un grande umanista italiano, poeta lui stesso, Vittorio Vettori, non lesina elogi nell’ispirata Introduzione e, ancor prima della pubblicazione, ne sceglie alcuni versi per il saluto di Capodanno (1996) all’Accademia Casentinese. La Rosa selvaggia è un sogno poetico, è l’immaginazione che accede a una realtà invisibile e irrazionale, è il magico spartiacque del logos interiore ed esteriore, là dove fonde la diade Vlada-Lada. La scaturigine del viaggio poggia sull’esperienza di una emozione alta, di una esaltazione della mente (interiore, non discorsiva), che incontra l’altamente significativo e muove dall’incontro con una “pienezza” provocata da uno stato conoscitivo, pertanto da una profonda osservazione delle cose e della vita. L’esperienza metafisica è data da ciò che la psiche percepisce e di cui s’impregna fino alla radice del cuore, nel raccoglimento profondo dell’io che annulla il mondo esterno per proiettarsi in uno spazio “diverso”, nel sogno, o meglio, nel trasognamento. La Rosa selvaggia è suddivisa in sette capitoletti (Misteri, Invisibili presenze, Limiti, Amori, Labirinti, Póiesis, Verso il nuovo Dio, Disincanto, compreso nella Postilla). Nelle liriche che chiudono i Misteri, Vlada, ormai Lada (l’etimo etrusco di Lada significa “donna”), nello stadio visionario supremo dei misteri eleusini si muove in uno spazio e in un tempo divini, dove musica e poesia vengono esaltati alla luce dell’estetica ellenica. Il capitolo termina con La quercia, una delle liriche più belle e ariose, quasi sospesa nel trasognamento, in cui il razionale e l’irrazionale si fondono nella radiosità delle cose e delle creature: Sono la fanciulla dai sandali screziati./ Porto il chitone frangiato / (lungo fino al ginocchio) - / come ornamento una rosa selvaggia. / Di canto la mia natura è colma. / Per celebrare il rito mattutino / ho scelto l’umile tempio di Zeus - / una quercia in cima alla collina. (...) Oltrepassata la linea misteriosa / i venti alisei ripuliscono i miei piedi / ma - capriccio divino - / screziature leggere / - quasi a palesare il segreto / permangono sui sandali di cuoio./ Gli Olimpi mi chiamano / la fanciulla dai sandali screziati. / Io esisto. Poesia e Natura sono le predilette di Lada, che ne diventa la vestale. Ritrovato il luogo dell’essere, sul cuore l’umile Rosa selvaggia - pensiero arcano che apre alla sapienza -, la poetessa vive “estasiata” ai piedi d’una quercia il contatto con la propria felicità e con la solitudine perfetta che le permette di comunicare con l’invisibile. In virtù del divino accolto e dell’identità ritrovata, Lada ora “esiste”, ciò che le concederà di muoversi liberamente nella dimensione del mito, del sacro e della propria interiorità Ed ecco, in conclusione di silloge, la liturgicità della Poesia: il suo inebriante furore è decantato e glorificato nell’intero capitolo Póiesis. Ma a chiudere la La rosa selvaggia è la Postilla, che improvvisamente ribalta la quasi esagitata esaltazione del potere curativo e sacro dei Canti Eleusini per riportare la poetessa alla realtà. La Postilla, infatti, rappresenta il Disincanto che mette in luce la caducità del pensiero arcaico e fa “deflagrare” la stessa Rosa selvaggia. Ecco la rappresentazione che ne dà la poetessa: Il tempo scorre lieve e passa. / L’ho scoperto stamattina. / Affacciandomi alla finestra ho visto la rosa (ieri ancora bella) già sfiorita. / oppure / Sono solo verdi quei rami / che mi parvero immortali. / Si fa albero la quercia divina. / oppure / È dunque terragno il sentiero di luce / lungo il quale (di sereno sgomento piena?) / amavo inseguire le orme di Pan. / Con lo sparire del sole / sui sandali di cuoio la polvere dorata / diventa fango. L’Herbarium mysticum A quasi dieci anni di distanza dalla pubblicazione de La Rosa selvaggia, esce l’Herbarium mysticum. Frequentatrice di biblioteche e musei in Francia, in Italia, in Vaticano e altrove, di mostre di erbari, bestiari, tappezzerie e arazzi medievali, visitatrice di borghi e castelli antichi, la Acquavita ha tradotto l’ispirazione che scaturiva da quelle fonti in creatività poetica. E non basta: se il celebre arazzo della Dame à la Licorne o il Bestiaire d’amour di Richart de Fournival o altre pagine d’erbario preziosamente miniate hanno inciso fortemente sulla fantasia della Nostra (e tutte queste cose meravigliose hanno osservato lei, nominandola Eletta), non meno influenti sono stati l’ambiente dell’Istria interna (terra di antichi castellieri, castelli in rovina, chiese e monasteri fatiscenti, terra di annose querce, olmi, castagni e carpini, robinie e biancospino con cui l’autrice ha sviluppato una straordinaria empatia) e “il contrasto aspro tra la selvaggia fecondità della natura e le mute rovine di un antico castello”. Così si è, in merito, espressa la poetessa: “Visitando questi luoghi, divenuti ormai puri ricettacoli d’ombra, si è risvegliato in me il desiderio di avventurarmi verso la “sorgente di lacrime”, verso quel luogo ineffabile dove la parola affoga nel silenzio, giacché, come scrive Valéry, “le nostre lacrime sono l’espressione della nostra impotenza a esprimere”(...) Lungo i percorsi slabbrati di questi paesaggi muti di echi, alternando meditazione e rêverie, ho cercato le tracce del sacro, di quel sacro logorato dalla quotidiana esistenzialità che è evidente per chi lo sa riconoscere e assente per gli altri. E proprio la parola - nel suo aprirsi alla verticalità della poesia - mi ha consentito di far affiorare dal buio uno spazio di luce in cui godere le epifanie di quelle elusive e sfuggenti tracce.” L’Herbarium mysticum aderisce all’interpretazione spirituale e filosofica del mondo e della vita dell’uomo medievale, perennemente impegnato nell’interpretazione dei simboli. Il lavoro si presenta in versi e prosa, poiché il componimento “misto”, il prosimetrum, ebbe grande successo in epoca medievale. Questa combinazione può anche rimandare all’alternatim, cioè all’alternanza di voce e organo nel canto dei salmi. Con raffinato estetismo poetico Vlada Acquavita aderisce al pensiero medievale, ne utilizza lo schema della visione, dell’interpretazione dei segni e dei simboli, elabora il concetto dell’amor cortese, usa il lirismo del linguaggio provenzale trobadorico. Sono temi che rappresentano certamente la cornice più adatta per quella sua disposizione psicologico-introspettiva e per quell’esigenza di bellezza, che tanto l’attraggono. Sono corrispondenze, anche possibili fughe, che talvolta possono sfuggire al criterio dell’argomentazione, ma chi ha la fortuna di viverle è un eletto che intraprende la strada dell’incontaminato e della purezza poetica. E sono, naturalmente, metafore, traslati, parabole, allegorie, moduli poetici mimetici, che servono a determinare certe situazioni vissute dalla poetessa in momenti di grazia. Grazia intesa anche come elemento non religioso, che viene non si sa da dove, una grande musica scesa ad impollinare e imbeverare l’animo cortese, che sviluppa il topos dell’amore per tutto ciò che di bello e di grato ci circonda. Avvertibile, appunto, solo dagli eletti. La maggior parte delle opere di Vlada Acquavita reca palese l’impronta del mito e del sacro quali forze eternamente presenti. Per questo motivo l’autrice ha sapientemente riproposto nelle sue liriche e nelle sue prose la riscrittura in chiave moderna dei valori mitici e sacri come impulso vitale che ridona all’uomo tutto ciò che l’aridità della vita odierna sembra avere essiccato in forza del dilagante nichilismo, al quale si rischia di consegnare il nostro destino senza neppure combattere. Così operando, facendo “anima”, la poetessa sollecita un viaggio di rinascita, una rimonta dal buio della sterilità verso lo splendore stellare di significati positivi. Viaggio non utopistico, ma saldamente ancorato nella realtà da fronteggiare con l’indispensabile energia spirituale onde promuovere la ripresa dei valori umani di base, simili a quelli suggeriti dal mito fin dai tempi più antichi. Canto soave e lirico che giunge d’oltremare sulle tracce del sacro nei paessaggi istriani... Medioevo, futuro. Da lì Vlada Acquavita nomina, interpola e interiorizza Valery, Dino Campana, Francesco d’Assisi, Cielo d’Alcamo, il Cantico dei Cantici, Arnaut Daniel, Bernardo di Chiaravalle, avanzando sulle tracce del sacro nei paesaggi istriani, per misteriose rovine e selvatica natura. Castelli, chiese e case del passato sono spettri, “immagini infrante”, nessun restauro e nessun rinnovo. Vlada cerca quel luogo ineffabile dove la parola “affoga nel silenzio”, in cerca delle tracce del sacro logorato dalla quotidianità. L’allegoria mi sembra chiara. Vlada è tornata nel medioevo e sa che almeno le piante – come certi libri – non si sradicano mai del tutto. Ecco l’erbario mistico d’una poetessa di lingua italiana – ahi lingua solo letteraria, patrimonio vero di noi pochi e di nessun altro – nuovo Deus e(s)t Amor, nuova discendenza petrarchesca e trobadorica, nuova testimonianza di vitalità di un popolo che qualcuno preferisce credere perduto. Non cercate in questi versi modernità o contemporaneità: troverete soltanto passato remoto e futuro anteriore, come in ogni visione mistica. C’è una rosa avvizzita nella vigna, dimentica delle radici; e c’è chi maledice il suo esilio. C’è un bestiario che s’addentra in casa come demone meridiano, disarmato con la nuda voce e la protezione della Madonna. C’è quell’antica luce preziosa e casta, e un passaggio improvviso per traduzione d’Abelardo e Eloisa, dell’amore riunito in Cristo e per Cristo. Ci sono canti soavi che giungono da oltremare, e da lontano veleggia un sogno d’amore: rosa bianca sprofonda nel sogno. Ci sono le prime attestazioni del volgare nel territorio di Umago, ci sono leggende apocrife e rivisitazioni. Commentario e note per chi vuole approfondire. Capire è un po’ più complesso, mi rammarica ammettere che soltanto chi ha sangue giuliano, istriano, fiumano potrà capire. In Italia – in questa stupenda cartina geografica disegnata, in centoquarant’anni, da mani europee, russe e americane, con poca fantasia e qualche errore di troppo – c’è qualche confusione che dubito possa essere risolta dai partiti, dai media o dalla letteratura. Per quanto mi riguarda questo è canto soave e lirico che giunge da oltremare. Gianfranco Franchi 6 cultura Sabato, 20 giugno 2009 Pubblichiamo a lato i nominativi dei premiati per le categorie del concorso che fanno riferimento al nostro inserto e precisamente “Letteratura” e “Arti visive” (compresi esuli e giovani). L’elenco completo dei vincitori è stato pubblicato nell’edizione del 9 giugno della Voce del Popolo. CATEGORIA LETTERATURA PREMIO OSVALDO RAMOUS Poesia in lingua italiana PRIMO PREMIO Autore: Laura Marchig, Fiume Titolo: Colours Motivazione: La raccolta si presenta come una sorta di canzoniere caratterizzato dal sapiente collegamento dei singoli componimenti. Il linguaggio appare maturo, originale, contrassegnato da uno spessore materiale delle immagini, giochi cromatici intelligenti, musicalità mai scontata e qualità ironiche. SECONDO PREMIO Autore: Giacomo Scotti, Fiume Titolo: Viaggiando, vagabondando Motivazione: Poesia della natura, sul mondo, sull’energia cosmica, ricca di valenze metaforiche e risonanze esistenziali con aperture alle tragedie della storia. MENZIONI ONOREVOLI 1.Autore: Claudio Geissa, Capodistria Titolo: Acqua su Marte 2. Autore: Šandor Slacki, Pola Titolo: Raccolta senza titolo Poesia in uno dei dialetti della CNI PRIMO PREMIO Autore: Libero Benussi, Rovigno Titolo: Per quanto ancùra Motivazione: L’espressività del linguaggio (il dialetto rovignese), l’evidenza semantica della parola, ispirata dallo splendore del mare, del cielo e di altri elementi naturali, riflettono le memorie, le nostalgie e l’armonia perduta di un piccolo mondo in estinzione intrecciato e confrontato alla realtà di oggi. SECONDO PREMIO Autore: Lidia Delton, Dignano Titolo: Faleische Motivazione: Ampia raccolta di versi in dialetto dignanese. Immagini del mondo di ieri si intrecciano a prospezioni della modernità, considerazioni etiche e incisivi scorci di paesaggio. MENZIONI ONOREVOLI 2. Poesia, anche in dialetto, su tematiche che interessano il mondo comune istriano, istroquarnerino e dalmata, nella sua più ampia accezione culturale, umana e storica PRIMO PREMIO - NON ASSEGNATO SECONDO PREMIO - NON ASSEGNATO MENZIONI ONOREVOLI Autore: Doriana Segnan, Trieste Titolo: Latomie invisibili CATEGORIA ARTI VISIVE PREMIO ROMOLO VENUCCI Pittura, scultura e grafica PRIMO PREMIO Autore: Bruno Paladin, Fiume Titolo: Segnisimboli babilonesi Motivazione: Per la costante professionalità nell’esecuzione e l’accurata raffinata scelta cromatica. SECONDO PREMIO Autore: Luka Stojnić Titolo: Scultura bidimensionale Motivazione: Per la corrente e fluida proposta pittorica. MENZIONI ONOREVOLI 1. Autore: Lucilla Micheli Marušić Titolo: Teorema 2. Autore: Tea Paškov Vukojević Titolo: Il gioco dei soli Design, arti applicate, illustrazione PRIMO PREMIO Autore: Daria Vlahov Horvat Titolo: Materiali per il “moretto fiumano” Motivazione: Per la sapiente professionalità espressa nella produzione dell’opera. SECONDO PREMIO Autore: Miriam Monica Titolo: Carnevale a Fiume Motivazione: Per la felice libertà espressiva dell’impianto illustrativo. MENZIONI ONOREVOLI 1. Autore: Edda Traven Titolo: Vaso 3 2. Autore: Irene Mestrovich Titolo: Armonie lunari Fotografia 1. Autore: Romina Floris, Valle Titolo: ’L limedo oltra i nui – Il sentiero oltre le nuvole 2. Autore: Ester Barlessi, Pola Titolo: Raccolta senza titolo Prosa in lingua italiana PRIMO PREMIO PRIMO PREMIO SECONDO PREMIO Autore: Nelida Milani Kruljac, Pola Titolo: Senza titolo Motivazione: Pagine narrative a tratti analitiche, a tratti con grandi qualità di suspense. In esse l’autore rappresenta con sottile introspezione psicologica l’humus scabroso dei rapporti tra “diversi” negli incontri-scontri tra ragazzi che maturano il passaggio dall’infanzia all’adolescenza e all’età matura a fronte dei traumi del secondo dopoguerra istriano. Autore: Ivor Hreljanović Titolo: Attrazione cromatica (tutta la serie) Motivazione: Per il sapiente uso del mezzo tecnico SECONDO PREMIO Autore: Silvio Forza, Pola Titolo: Storia di istriana isteria Motivazione: è il racconto giocato sul parallelismo tra le convenzioni di una vita matrimoniale stanca e la spregiudicatezza di un mondo orientato verso il consumismo e i valori materiali. MENZIONI ONOREVOLI 1. Autore: Roberta Dubac, Castelvenere Titolo: Gabbiani sulle gru 2. Autore: Mario Schiavato, Fiume Titolo: Ritorno a Midian CATEGORIA CITTADINI RESIDENTI NELLA REPUBBLICA ITALIANA, DI ORIGINE ISTRIANA, ISTRO-QUARNERINA E DALMATA Prosa narrativa su tematiche che interessano il mondo comune istriano, istro- quarnerino e dalmata, nella sua più ampia accezione culturale, umana e storica PRIMO PREMIO - NON ASSEGNATO SECONDO PREMIO Autore: Egon Hreljanović Titolo: Fiume, la nuova dimora (tutta la serie) Motivazione: Per la raffinata tecnica e per l’originalità dell’equilibrio compositivo MENZIONI ONOREVOLI 1. Autore: Luca Dessardo Titolo: Per un uso accorto del maket up (fotogramma) 2. Autore: Sergio Gobbo Titolo: Pilota (fotogramma) CATEGORIA PREMIO GIOVANI PREMIO ADELIA BIASIOL (GIOVANI DAI 15 FINO AI 18 ANNI) Poesia o prosa in lingua italiana PRIMO PREMIO Autore: Vita Valenti, Isola Titolo: Doppia seduta Motivazione: Il lavoro si pone come una fabula realisticamente connotata con disposizione a rivelare sfuggenti e molteplici immagini di noi stessi. Si presta alla trasposizione scenica. SECONDO PREMIO Autore: Mia Dellore, Isola Titolo: Sottovoce (Frammenti in prosa) Motivazione: Il lavoro è connotato da uno stile sincopato ed ellittico originale che nasce dal bisogno di raccontarsi superando il limite tra prosa e poesia. MENZIONI ONOREVOLI Autrice: Francesca Frlić, Pirano Titolo: Raccolta senza titolo Pittura, scultura, grafica e fotografia PRIMO PREMIO Autore: Nicolò Giraldi, Trieste Titolo: Lontano da casa Motivazione: Un racconto “epistolare” che prospetta i destini di persone diverse nella guerra 1914 – 1918. Una guerra dolorosa e complessa dove gente della stessa nazionalità combatteva in differenti eserciti. Un dramma vissuto su diversi fronti, nei campi di deportazione e in prigionia. Autore: Dorian Mataija Titolo: Il faro Motivazione: Per la semplice e spontanea esecuzione MENZIONI ONOREVOLI - NON ASSEGNATE MENZIONI ONOREVOLI - NON ASSEGNATE SECONDO PREMIO Autore: Cristal Roberta Titolo: La mia Rovigno (foto 3) Motivazione: Per la gradevole scelta compositiva cultura 7 Sabato, 20 giugno 2009 INIZIATIVE EDITORIALI / Una ricercata collana ispirata da Bouvard e Pècuchet La poetica dell’Arbor librorum di Francesco Cenetiempo A ll’Isola dei Frati (Fratarski Otok), a pochi minuti di barca dalla splendida Punta Verudella di Pola, incontro per la prima volta Monsieurs Jacques Bouvard e Jean Pécuchet Leuwen. I due cugini, mecenati e collezionisti di origine alsaziana, passano ogni anno le vacanze in Istria. Abitualmente vivono con le loro famiglie nel borgo di Fontaine-de-Vaucluse. Li avevo già intravisti alla Fiera del libro di Torino (coccolati dai maggiori editori italiani) di due anni fa e di sfuggita il 9 dicembre 2006 al Salon International de la Bibliophilie di Bruxelles. Da allora non li ho più rivisti, sebbene abbia saputo delle loro iniziative editoriali leggendo i giornali francesi. Rare le loro interviste, spesso svolte con domande già prestabilite, poche le apparizioni televisive e mondane; in breve, sembrano personaggi di certi romanzi d’ambiente ottocenteschi. Non poco mi sorprese il fatto che ai primi di giugno di quest’anno fosse recapitata al mio indirizzo una lettera contenente un piccolo manifesto, concernente alcune iniziative editoriali (lo riproduco) e il perentorio invito a presentarmi nella tarda mattinata (ore 10.15) del 9 giugno presso l’imbarco dell’Isola dei Frati. Pensai immediatamente ad uno scherzo di qualche buontempone o alla trappola di qualche malfido personaggio, ma decisi lo stesso a stare a questo gioco e a recarmi all’appuntamento. Solo verso le 10.30, davanti al chiosco dell’unico ristoro isolano, due signori, entrambi con un elegante abito chiaro, si presentano come Monsieurs Jacques Bouvard ed Jean Pécuchet Leuwen, e senza tanti convenevoli mi accompagnano dentro una casa malferma - “L’abbiamo comprata da quattro anni ed è ancora in eistrutturazione” –. Qui mi vengono incontro, come ad un novello Ulisse, il loro cane Kortis, le loro signore Madame Eugènie nata Grandet e Madame Emma nata de Chevreuse e i loro tre bambini Ferdinand, Désirée e Louis. Mi siedo all’ombra di un pino marittimo e con estremo candore apro il taccuino ed iniziamo la conversazione.. Partiamo dal manifesto. Leggo che volete creare una collana intitolandola Arbor librorum. Come sono nati l’idea e il simbolo? BOUVARD: Tutto è partito dalla suggestione di tre libri che abbiamo cercato con ansia. Si tratta dell’Arbor scientiae di Raimondo Lullo (1505), della Quinta essentia di Leonhart Thurneisser zum Thurn (1574) e dell’Alchymiae complementum et perfectio di Samuel Norton: in entrambi sono presenti xilografie con alberi filosofici. E nel momento che pensavamo ad un marchio per la nostra collana abbiamo ritenuto che fosse proprio l’albero con dei libri aperti a rappresentare nel modo più convincente la nostra concezione di editoria indipendente: svolgere una funzione culturale associata a quella civile e portare avanti lo scopo di non rassegnarsi al profitto del mercato che vuole immediatamente (e costruisce) bestseller spesso scritti in modo penoso. PÉCUCHET: Concordo con mio cugino in tutto anche se penso che spesso la fortuna di un testo non la facciano né l’autore, né il lettore, ma quella figura che riesce a captare, lusingare e pertanto a dirigere i gusti del lettore. Vi è sempre meno destino attorno ad un libro e sempre più fabbricazione. Poi interviene la casualità (forse un po’ manovrata) ed abbiamo le sorprese. Nel mondo dell’editoria e del collezionismo voi siete conosciuti come persone un po’ “antiquate”, siete entrambi sulla cinquantina, avete alle spalle studi filosofici e giuridici, e soprattutto avete molte influenze. E quindi, scusate la schiettezza, perché giocare così per lanciare una collana editoriale? PÉCUCHET:Mettiamola così. Sarebbe stato molto semplice convocare per una cena pantagruelica i nostri amici giornalisti (che ci frequentano per amicizia, ribadisco) e farli interessare a questo evento. Chiamare un buon ufficio stampa, o un autore di successo e farlo parlare in qualche trasmissione televisiva più o meno seria. Insomma basterebbe usare quegli strumenti che si sono tramutati oggi nella più raffinata involuzione di quanto scoprì Gutenberg. BOUVARD: L’idea del foglio volante come avviso pubblicitario riprende l’esempio di Heinrich Eggstein di Strasburgo e poi a seguire di Peter Schöffer, di Berthold Ruppel, di Sweynheym e Pannartz fino ai vostri futuristi: un ritorno alle origini, alla carta povera, al carattere tipografico da sperimentare, all’inchiostratura da definire nelle sue componenti chimiche. Sì, abbiamo voluto sentirci come dei semplici artigiani che possono essere considerati dei presuntuosi. Tuttavia c’interessa proporre materialmente dei libri che possiedano i caratteri della sobria eleganza (ha mai visto di persona la prima edizione dei Canti orfici di Dino Campana oppure della Une saison en enfer di Arthur Rimbaud? Sono esemplari di assoluta povertà materiale che hanno avuto però un impatto quasi mitico sulla letteratura). Veniamo ai contenuti. Nel manifesto voi dite che stamperete testi di autori che parleranno della propria biblioteca personale, dei libri della propria vita e della propria professione, di quali romanzi avrebbero voluto essere gli autori o i protagonisti e che potranno descrivere e far fotografare la loro libreria, gli scaffali, la scrivania, il semplice tavolo di lavoro. BOUVARD: Le cito tre libri che possiamo pubblicizzare perché sono intelligenti, sobri nel contenuto e raffinati nell’impaginazione. Sono in ordine, e li consiglio ai lettori, Une bibliothèque excentrique di Jean-Baptiste Baronian, D’une biblioteque l’autre di Enis Batur ed infine lo splendido catalogo Description raisonnée d’une jolie collection de livres. Le Promeneur vingt ans d’édition nella quale sono presentati dei racconti sulla biblioteca ideale scritti da Alberto Arbasino, Marc Augé, Yves Bonnefoy, Erri De Luca, Hans Magnus Enzensberger ed altri. PÉCUCHET: Per me fu deliziosa la lettura de La febbre dei libri. Memorie di un libraio bibliofilo di Alberto Vigevani e quel raccontino La mappa offuscata della mia Parigi. Quindi siamo, come vede, partiti da letture precedenti, da suggestioni e abbiamo pensato di creare questa collana aperta a chiunque abbia intessuto la propria esistenza con i libri. Ci piace poi l’idea che lo scrittore come il cuoco, il giornalista come il banchiere, l’operaio come lo psichiatra (sono casuali questi accostamenti) descrivano al lettore, e forse anche a sé stessi, quali personaggi d’invenzione o della realtà avrebbero voluto essere. Non le nascondo che a me sarebbe piaciuto essere il pittore Chardin mentre mio cugino avrebbe voluto essere l’incarnarzione nel connubio KafkaSvevo (sarebbe uscito un tipo lombrosiano assai divertente). Ah, mi dimenticavo di una cosa che non si può perdonare a chi frequenta questo piccolo mondo dell’editoria. Vede questo libro di Umberto Eco: si chiama La misteriosa fiamma della regina Loana. Il protagonista, un librario antiquario di Milano, si risveglia dal coma e mantiene intatta la memoria su letture, sul contenuto dei libri mentre non sa quale sia il suo nome, la sua biografia. Pensandosi Bodoni e Arthur Gordon Pym trascorrerà gran parte della sua degenza a ricostruire la sua memoria biografica attraverso le copertine dei libri che ha letto e che ancora possiede. Mi affascina molto questo strumento psicologico e difatti ritengo con mio cugino che nel momento in cui lo scrittore parlerà della sua biblioteca percorrerà il proprio intimissimo tempo passato e scoprirà e penserà inevitabilmente a certi episodi, a determinate figure, a precise ombre, a scolorite sensazioni. In breve parlando della sua biblioteca riscriverà la sua vita e aiuterà il lettore a percorrere la propria esistenza o il personale passato. l’arte di fare libri “Ma lei resterà fino a stasera?” mi domanda Ferdinand, uno dei figli. “Ovviamente”, risponde per me Jacques Bouvard. Mi chiedono della vita culturale a Trieste, si interessano della Libreria Antiquaria Umberto Saba, mi fanno vedere dei libri di Tomizza e di Virgilio Giotti, poi mi parlano delle traduzioni francesi dei loro scrittori italiani preferiti come Erri De Luca, Antonio Tabucchi, Claudio Magris, Boris Pahor, Paolo Rumiz, Valerio Magrelli. Sono calmi e posati nei giudizi sebbene traspaia dalle loro parole, dal colore e dal tono del loro linguaggio, la nobiltà della letteratura; ci piacciono moltissimo Marc Fumaroli ed Umberto Eco ma i nostri padri, i nostri classici sono sempre Flaubert e Stendhal. Nel manifesto create un po’ di attesa invitando lettori, scrittori ed editori a parlare della collana (che ancora non è presente se non nella vostra mente) e a sollecitarne l’uscita. Ma effettivamente come volete strutturare tali libri e per quale motivo dovrei pubblicizzarli? BOUVARD: Qualche tempo fa, penso cinque-sei mesi addietro, mi sono rimesso a rileggere dei libri che avevo già conosciuto e frequentato con un piacevole diletto per gli occhi. Osservando questi libri ho pensato, assieme a mio cugino, a quale modello fare riferimento. Ora non vogliamo essere presuntuosi e pensare che noi creeremo un nuovo formato, una nuova impaginazione: non siamo grafici come Albe Steiner, Robert Massin o Germano Facetti, legatori come Georges Leroux e nemmeno degli artisti come Sonia Delanauy, Laure Albin-Guillot o Matisse. Con questo però voglio rassicurare i nostri possibili lettori dicendo a loro che volendo possiamo affidarci ai migliori grafici ed artisti (e forse più in là nel tempo lo faremo). Lo stesso manifesto è stato creato da un grafico italiano di primo livello che vuole mantenere la sua riservatezza. PÉCUCHET: I nostri libri prenderanno a modello alcune edizioni. “Vede alcuni modelli…” [A questo punto mi mette sul tavolo ben sei libretti di quel formato e vi trovo la collana “nugae” de il melangolo, “Quaderni del tempo” delle Edizioni San Marco dei Giustiniani, i “Testi inediti e rari del novecento” di Via del vento, “La memoria” di Sellerio, lo “Zibaldone” di Anita Pittoni ed infine gli “Archivi della memoria” de Il Ramo d’Oro Editore. Ai miei occhi si crea una geografia editoriale che parte da Trieste e va a Genova passa a Pistoia e termina a Palermo, ndr]. Libretti così, agili e ben legati con carta di pregio raffinata e con un carattere tipografico leggibile che riposa agli occhi . BOUVARD: Sono d’accordo con mio cugino, l’editore serio - caro amico - è come un direttore d’orchestra che ha il dono dell’orecchio e che deve armonizzare i componenti che ne fanno parte. E si deve iniziare proprio dall’ebbrezza che la vista di un oggetto può suscitare. L’editore offre il via alla musica e poi tocca allo scrittore, al grafico, al tipografo, al lettore, ai critici creare le variabili interpretative. Li saluto e allontanandomi dalla loro dimora penso alla magia del luogo e alla sospensione del tempo. Sarà stato anche il paesaggio vissuto non come un turista della domenica ma come un viaggiatore senza orologio. Ma il risveglio alla realtà è immediato: l’improvviso suono del cellulare che avevo lasciato in macchina mi ricorda gli appuntamenti e le scadenze. Per l’appunto il decimo anno di “Residenze Estive” a Duino dal 25 al 29 giugno dove forse verranno anche i due editori-collezionisti con famiglia e il cane Kortis. Lo ammetto: non pensavo che esistessero persone nell’editoria (mi ricordo Vanni Scheiwiller) che riuscissero ancora a trasformare il loro lavoro in un atto poetico. A trasformare dei libri in un «Arbor librorum»! 8 cultura Sabato, 20 giugno 2009 CARNET CULTURA rubriche a cura di Viviana Car, Lara Drčič, Helena Labus I LIBRI PIÙ VENDUTI IN ITALIA A V I A V I T A R R A C C Danilo Türk Na poti preobrazbe GV založba A A A N A V I T T A R R A I Julie Garwood Poroka Mladinska knjiga T Harald Havas Treniranje inteligence Mettis Bukvarna S Stephenie Meyer Mlada luna Učila international I I C N C A I T R L S R B Roger Willemsen Tu Guanatanamo Ciceron I I A B C T Maryline Desbiolles Sipa Novela Medija Sanja Mihaljinac Ndrangheta – Tko stoji iza majmoćnije mafije svijeta? AGM Charles Bukowski Pošta Primus Distribucija I Mirjana Krizmanić Tkanje života Profil International L Minette Walters Kameleonova sjena Mozaik knjiga S N U Katharina Hagena Okus jabučnih koštica Novela Medija Rado Pezdir Slovenska tranzicija: od Kardelja do tajkunov Časnik Finance U B Roberto Saviano Gomora Mladinska knjiga P B Stephenie Meyer Somrak Učila international Franjo Štiblar Svetovna kriza in Slovenci: kako jo preživjeti Znanstvenoraziskovalni center-SAZU P Govor tišine VBZ Eric J. Hobsawn Zanimljiva vremena Disput I Erri de Luca Il giorno prima della felicità Feltrinelli Alfonso Signorini Chanel. Una vita da favola Mondadori C Gianluigi Nuzzi Vaticano Spa Chiarelettere IN SLOVENIA Eckhart Tolle I Roberto Saviano La bellezza dell’inferno. Scritti 2004 -2009 Mondadori Cormac McCarthy Cesta Profil International L Rita Levi Montalcini Cronologia di una scoperta Baldini Castoldi Dalai Dunja Ujević Zlatko Sudac Razgovori Joshua B Giorgio Faletti Io sono Dio Baldini Castoldi Dalai Stephenie Meyer Praskozorje Algoritam B Corrado Augias e Vito Mancuso Disputa su Dio e dintorni Mondadori U Alicia Giménes Bartlett Il silenzio dei chiostri Sellerio Editore Palermo P Stephenie Meyer Breaking dawn Fazi Allen Carr È facile smettere di fumare se sai come farlo (per le donne) EWI IN CROAZIA CALENDARIO: GLI APPUNTAMENTI CULTURALI IN ISTRIA, QUARNERO E DINTORNI CULTURA ITALIANA LA CNI Isola, Galleria Krajcar, resterà in visione fino a l 24 giugno la mostra fotografica RIFLESSI DELL’ANIMA del Laboratorio del fotoamatore della CI “Dante Alighieri”. Pola, Forum la SAC “LINO MARIANI” presenta il suo ricco repertorio il 3 luglio. Rovigno, Chiesa di San Tommaso, la personale di EGIDIO BUDICIN che si presenta con quadri ispirati al Verbo, rimane aperta al pubblico fino al 4 luglio. Isola, Palazzo Manzioli, la decima edizione della mostra ARS FOROIULANA rimarrà in visione fino al 7 luglio. Partecipano con le loro opere Mario Alimede, Paolo Berlasso, Bruna de Fabris, Ugo Gangheri, Maura Israel, Roberto Milan, Claudia Raza, Shoichi Takahashi. GLI ALTRI Zagabria, Galleria di Belle arti, in collaborazione con il IIC fino al 28 giugno rimarrà in visione la mostra fotografica di Neda Miranda Blažević-Krietzman VENEZIA IN LAS VEGAS. Lubiana, Museo etnografico sloveno, in collaborazione con il IIC e l’Ambasciata d’Italia l’esposizione fotografica SGUARDI – LA FOTOGRAFIA NEL FRIULI VENEZIA GIULIA DEL XX SECOLO rimane in visione fino al 15 settembre. Venezia, Galleria A + A, nell’ambito della Biennale la Slovenia viene rappresentata dal progetto di Miha Štrukelj INTERFERENZA IN CORSO da visitare fino al 22 novembre. ISTRIA E QUARNERO Pirano, Galleria civica, l’opus artistico comprendente quadri, disegni e vasi dell’artista ZORAN MUŠIČ viene presentato fino al 21 giungo. Fiume, Archivio di Stato, l’esposizione HORTUS SANCTI VITI – I MOTIVI FLOREALI E VEGETALI DEL FONDO D’ARTE SACRA DELLA CATTEDRALE DI SAN VITO DAL 17.ESIMO AL 20.ESOMO SECOLO rimane in visione fino al 21 giugno. Pisino, Castello la manifestazione LE GIORNATE DI GIULIO VERNE si svolgeranno il 25 e 26 giugno. Pola, CMM Luka, triplice esposizione alla Galleria Anex. Fino al 26 giugno si possono ammirare la serie di installazioni di Bojan Šumonja MY HOMELAND/ CROATIAN FLAG PROJECT, l’esposizione fotografica di Jadranka Letinić CON LA MANO E IL TEMPO e la mappa artistico-letteraria di di Renato Percan e Dragan Orlić STREGHE, CAPRONI E VERGINI. Grisignana, Galleria Fonticus, il progetto tematico FUOCO, opera di un gruppo di artisti, si può visitare fino al 29 giugno. Cittanova, Galleria Rigo, si intitola DISCORDIA la mostra di Tomislav Čeranić in visione fino al 30 giugno. Umago, Galleria Marin fino al 30 giugno LJUBO DE KARINA si presenta con le sue sculture. Parenzo, Museo civico, si intitola LE FONTI DELLA VITA: L’ACQUA DEL PARENZANO NEI SECOLI PASSATI, la mostra storica in visione fino al 30 giugno. Fiume, Piccolo salone, la giovane artista Lada Sega si presenta fino al 5 luglio con il suo progetto goGLOBAL. Pirano, Galleria Herman Petrič, la duplice esposizione di opere video e di tele INTRECCIO presenta fino all’ 8 luglio l’artista Vesna Čadež. Anno IV / n. 40 del 20 giugno 2009 “LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina IN PIÙ, supplementi a cura di Errol Superina / Progetto editoriale di Silvio Forza Art director: Daria Vlahov Horvat / edizione: CULTURA Redattore esecutivo: Silvio Forza Impaginazione: Željka Kovačić Collaboratori: Gianna Dallemulle Ausenak, Ezio Giuricin, Francesco Cenetiempo, Elis Deghenghi Olujić, Tiziana Dabović e Viviana Car La pubblicazione del presente supplemento viene supportata dall’Unione Italiana grazie alle risorse stanziate dal Governo italiano con la Legge 193/04, in esecuzione al Contratto N° 83 del 14 gennaio 2008, Convezione MAE-UI N° 2724 del 24 novembre 2004 Rovigno, Museo civico, la personale di ZDRAVKO MILIĆ ispirata sulle teorie di David Icke e Zecharia Sirchin rimane in visione fino al 9 luglio. Pola, Arena, Castello e Cinema Valli, la 56.esima edizione del FESTIVAL DELLA CINEMATOGRAFIA si svolgerà dal 18 al 25 luglio. Montona il MOTOVUN FILM FESTIVAL è in programma dal 27 al 31 luglio. Capodistria, Galleria Medusa, Orna Lutski, artista israelita, offre al pubblico fino al 30 luglio la sua visione delle BANDIERE NEL MAR MEDITERRANEO. Umago, Galleria Marino Cettina, l’artista LORENA MATIĆ si presenta con il suo ultimo ciclo di tele. Da visitare fino al 31 luglio. Visinada, Centro astronomico fino al 20 agosto gli interessati possono frequentare i laboratori della SCUOLA DI ASTROLOGIA E DELLA SCIENZA. Pisino, Museo etnografico dell’Istria, si intitola VALIGIE E DESTINI – L’ISTRIA FUORI DALL’ISTRIA la mostra storica che rimarrà a disposizione del pubblico fino al 30 settebre. Pola, Ninfei, la manifestazione LO SPLENDORE ANTICO DELL ARENA si protrarrà fino al 30 settembre.