CULTURANDO
Vlada Aquavita
“Cari amici, ieri - domenica 24 maggio 2009 - alle 6,15 di
mattina se ne è andata la poetessa Vlada Acquavita, dopo una
lunga battaglia contro il grande male”. Questo doloroso annuncio è stato “postato” da Gianfranco Franchi sulle pagine internet “Lankelot”, il sito di “letteratura e sogni” che aveva scoperto
la nostra innovativa e originale poetessa. Questo riferimento per
osservare che della vita e, purtroppo, della prematura scomparsa di Vlada Acquavita, non si sono occupate soltanto le pubblicazioni locali e quelle della nostra minoranza, ma anche testate che
nei loro interessi vanno oltre alla nostra dimensione identitaria o
istriana. Media che si occupano di letteratura e di letterati, prima
che di territorio.
Quest’attenzione interna alla “repubblica delle lettere” sarebbe certamente stata apprezzata da Vlada la quale, sia stilisticamente, sia tematicamente, è stata sempre a curare la dimensione letteraria, estetica o magari documentaria delle sue poesie,
preferendola al ripiego sulla rivendicazione lenitiva e sulla nostalgia che caratterizzano invece tanta della nostra produzione
minoritaria.
DEL POPOLO
La poetessa
Vlada Acquavita
La prima “storia dei rimasti” edita dal CRS
di Ezio Giuricin
I
l 12 giugno scorso a Rovigno
si è svolta la presentazione dei
due volumi dell’opera “La Comunità nazionale Italiana. Storia e
istituzioni degli Italiani dell’Istria,
Fiume e Dalmazia (1944-2006)”
di Luciano ed Ezio Giuricin. Chi
– e lo hanno fatto in molti – ha sottolineato l’importanza “capitale”
di questo titolo non ha esagerato
di certo, poiché si tratta del primo
lavoro che con approccio analitico sintetizza la storia degli Italiani dell’Istria, Fiume e Dalmazia da
quando, vale a dire dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, sono
diventati minoranza nei luoghi del
loro insediamento storico. Un’opera che mancava, realizzata dal Centro di Ricerche Storiche di Rovigno,
che in questo modo ha coronato in
modo simbolico – ma estremamente funzionale rispetto alle ragioni
della sua esistenza, il quarantennio
della propria fondazione. Di seguito riproponiamo l’illuminante intervento pronunciato da Ezio Giuricin
nel corso della presentazione.
L’identità di un individuo trova
spesso alimento nel ricordo della
sua vita passata. Lo specchiarci in
quanto è stato, il confronto - spesso faticoso e pregno di inquietudini
- con i fatti trascorsi, e l’impegno a
tracciare un bilancio su quanto si è
lasciato alle spalle portano i gruppi
come gli individui a riflettere sulla
propria identità, ad interrogarsi sul
proprio essere e il proprio futuro.
I due volumi sulla storia della Comunità Nazionale Italiana
nascono proprio dall’esigenza di
confrontarci con il nostro passato
per tentare di comprendere il tortuoso percorso che ha contribuito
a forgiare l’esperienza collettiva
e la “coscienza di sé” del Gruppo
Nazionale Italiano. Costituiscono il
tentativo di offrire un ulteriore strumento per cercare di capire ciò che
siamo, per cogliere meglio i contenuti, i valori, le debolezze e i punti
di forza della nostra difficile identità di minoranza. L’obiettivo che ci
siamo posti con questi due volumi è
di capire meglio le origini delle nostre scelte, i perché delle nostre speranze o delle nostre delusioni.
i nostri «perché»
Cos’è oggi la Comunità Nazionale in Istria, Fiume e Dalmazia?
Perché siamo rimasti e quali sono
gli elementi che continuano a farci
sentire eredi di una secolare civiltà? Perché in questi sessant’anni la
nostra componente ha dovuto subire tante avversità, dall’esodo - che
ha imposto una lacerazione ed uno
sradicamento epocali - alle successive, costanti spinte assimilatrici registrate da quasi tutti i censimenti?
Per quale motivo decine di migliaia di connazionali si sono orgogliosamente battute, in oltre mezzo
secolo, per affermare la continuità
culturale e civile della componente
italiana in questi territori?
Quali le ragioni del nostro coraggio, e quali - d’altro canto - i
motivi delle nostre debolezze, delle
nostre paure?
Cos’è che ha portato migliaia di
connazionali a perdersi, a rinunciare alla propria identità? Per quale
motivo in questi sessant’anni, pur
essendo depositari di un secolare
rapporto con il territorio, spesso ci
siamo sentiti - o ci hanno fatto sentire - “stranieri a casa propria”?
Perché avvertiamo il disagio di
un’identità difficile, e spesso non ci
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Viaggio attorno all’essere
della minoranza italiana
“sentiamo bene” nel luogo in cui siamo nati (pur essendone orgogliosi e profondamente legati)? Perché in tutti questi anni la nostra dimensione è stata
segnata dal peso del costante conflitto tra identità e alterità, tra “appartenenza” e “spaesamento”, fra
coscienza e sradicamento?
Sono queste le domande alle
quali abbiamo cercato di rispondere scrivendo quest’opera sulla storia della Comunità Nazionale, convinti come siamo che
dall’analisi del passato possano giungere degli utili riferimenti per la comprensione del nostro
presente. L’obiettivo è certamente
ambizioso e i risultati non sono né
certi né garantiti.
La storia - diceva Cicerone - è
maestra di vita. Ma - lo sappiamo
- la sua conoscenza non sempre ci
impedisce di commettere gli stessi
errori, né ci rende immuni da nuove
sofferenze o delusioni.
Il punto è che non possiamo sottrarci al confronto con ciò che siamo stati. La storia è lo specchio implacabile del tempo; ma è al contempo un libro aperto e in costante evoluzione che ci appassiona, ci
consente di misurarci con la nostra
esistenza, e che ci impone di porci
costantemente degli interrogativi,
di vigilare, con rigore, sui valori
ed i principi in cui continuiamo a
credere.
L’auspicio è che quello che presentiamo stasera possa essere, appunto, un “libro aperto”, una “finestra” sul nostro passato; un viaggio
attorno all’“essere” della minoranza che possa aiutarci a riflettere
meglio sui problemi attuali e il destino della Comunità.
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Per quanto nobile possa essere sentirsi e reputarsi “letterato
della CNI”, di certo è più gratificante essere “letterato e basta”.
Vlada Acquavita era riuscita a superare lo steccato che separa il
“sentire minoritario” dal sentire “minoritario e altro”, e lo aveva fatto senza allontanarsi troppo nello spazio, con la cittadina
di Grisignana che occupa uno spazio centrale nella sua lirica. Si
era però allontanata nel tempo, avventurandosi in quel medioevo
ignoto che non si svela perché te lo senti ogni giorno sulla propria pelle, ma chiede invece di essere scoperto. E la scoperta richiede studio, meticolosità, passione e dedizione, doti e virtù sulle
quali Vlada aveva fondato il proprio operato, anche quello di bibliotecaria presso la scuola elementare e la Comunità degli Italiani di Buie.
“Te ne sei andata in punta di piedi”, ha detto nel suo discorso
di commiato la direttrice della scuola elementare italiana di Buie
Giuseppina Rajko, “attenta, come sempre, a non creare situazioni
incresciose. Il tuo notevole impegno professionale, la tua intelligenza, la tua sensibilità, la tua presenza, la tua parola hanno contribuito alla crescita della nostra Istituzione e all’arricchimento
di noi colleghi e dei nostri alunni”. E Vlada non mancherà soltanto agli alunni e ai colleghi, ma anche agli amici della Comunità,
mancherà al mondo letterario ed editoriale della CNI alla cui crescita aveva contribuito notevolmente, specie con la sua raccolta
“Herbarium Mysticum”.
“A Buie d’Istria”, ha scritto Luciano Dobrilovic per “Fucine”, vive la poetessa mistica Lada Acquavita, che ha viaggiato
nel tempo facendo esperienza dei misteri eleusini e poi ha esplorato l’anima del cristianesimo medievale nelle sue espressioni
esoteriche e alchemiche fino a rivivere la mistica e la simbologia
dei giardini minuscoli ricavati fra i muri interni delle costruzioni
nobiliari, ospitanti erbe e fiori rari. Viaggi nell’anima testimoniati dalla sua poesia: “La rosa selvaggia e altri canti eleusini” ed
“Herbarium mysticum”. Vlada: una delle poetesse più significative di questi anni. In Italia, ancora sconosciuta ai più
A Vlada Acquavita dedichiamo, con grande stima e affetto, le
pagine centrali di questo inserto.
2 cultura
Sabato, 20 giugno 2009
OMAGGI / Riedito «El passeto» di Anita Pittoni
Artista, editore,
scrittrice, triestina..
A
ll’inizio degli anni Sessanta, la preziosa e particolare attività editoriale
di Anita Pittoni incontra le prime difficoltà. Virgilio Giotti e
Giani Stuparich, i suoi cari amici di un tempo e numi tutelari
delle Edizioni dello Zibaldone,
sono già scomparsi: nel 1957 e
nel 1961 e Anita ora è sempre
più sola.
Ad ogni modo, nel 1962
escono le sue poesie in dialetto
triestino Fermite con mi, scritte tra il 1936 e il 1959. La raccolta comprende una trentina di
poesie. “un mondo poetico di
piccole cose espresse con semplicità e di grandi cose sottaciute”, come scrisse Giani Stuparich nel novembre del 1955 su “Il
Belli”, che troveranno il plauso
di critici severi quali Angelo
Barile, Mario Fubini, Alberto
Spaini, Fabio Todeschini e altri.
L’edizione, tirata originariamente in 400 copie non verrà
più ristampata. Anita ritornerà sull’argomento alcuni anni
dopo professando l’intenzione
prima a Renato Guttuso e poi
all’editore Vanni Scheiwiller di
ristampare il libretto insieme a
El Passeto e il racconto in dialetto l’Ocio de Dio con il titolo
di Fermite con mi e altre storie
nove, 1936 - 1972. Ancora una
volta la buona intenzione, che
si protrarrà negli anni successivi, rimarrà tale. L’anno 1963,
di settembre, è anche l’anno in
cui Anita, in una lettera al poeta
ligure Angelo Barile, scrive di
questo suo nuovo racconto, lo
svolgersi di una vicenda famigliare vista dagli occhi di una
bambina, “buttato giù di prima mano”. La prima tiratura
dell’opera è di dieci esemplari
manoscritti con il testo dattiloscritto a fronte che viene spedita
ad alcuni amici dell’autrice. Un
esemplare è indirizzato allo scrittore e giornalista novarese Enrico
Emanuelli che da Milano il 23 ottobre del 1964 scrive ad Anita una
lettera piena di ammirazione sull’opera ricevuta e per come è stata
confezionata: “Gentilissima mula
pianzota (si riferisce alla lirica inserita dalla Pittoni in Fermite con
mi (1962) dal titolo Mi che recita: I me ciamava pianzota anca de
picia,/ pianzevo sempre/ frignavo
ore/ volevo i cocolezi/ e no magnavo./ Me se strenzeva el cuor,/
Infelice iero,/ pòvera mi,/ tormentada, comediante, assassina/ anca
de picia, / e per gnente.// E per castigo/ pìcola/ son restada, ridicola e pianzota.), non le ho ancora
detto grazie per quel che mi è arrivato. Una rarità bibliografica, un
pezzo quasi unico, ad ogni modo
“limitato” e fatto a mano, come
non succede più di vedere per
nessuna cosa di nessun genere.
[...] Tutto questo in 24 paginette,
piccole - piccole, a macchina, con
testo a fronte e anche questo è un
simbolo: industria culturale? Romanzetti a 100.000 copie? Case
editrici oramai ministeriali? Bene,
lei è il contrario di tutto questo. E
pensi che la salvezza di molte cose
verrà da qui: da chi resisterà a fare
da solo, per pochi, con semplicità
e verità.”
Nel 1966, la Pittoni accoglie
favorevolmente l’invito di Luigi
Sobrero, docente di Meccanica
presso l’Ateneo triestino, di leggere agli studenti della Facoltà
di ingegneria la sua opera in dialetto triestino El Passeto. Anita
è entusiasta di questa esperienza
per lei inusuale, è commossa dagli applausi finali che gli studenti
le dedicano. Per l’occasione Luigi
Sobrero dona all’autrice 75 esemplari de El Passeto che riproduce
la prima edizione del 1963. Anche
questa edizione, come la precedente, è raccolta in un cofanetto
El Passeto, un testo di memoria
di una donna che, nel 1964, si
definiva una superstite in una
città che sentiva straniera. Un
testo quasi dimenticato che si
è voluto riportare alla sua attualità restituendone la visibilità. Ora ristampato da “Il Ramo
d’Oro editore” di Trieste.
color marroncino che ricorda le
copertine dello Zbe, mentre all’interno sono custoditi i foglietti
piegati a metà con una parte il testo dattiloscritto e dall’altra quello
manoscritto. Quest’opera troverà
ancora una stampa, completamente diversa, dal punto di vista grafico e in parte nel contenuto, nel
1977 per i tipi di Marino Bolaffio
Editore.
Quello che seguirà negli anni a
venire è solo l’inizio di una lunga
e travagliata agonia fatta di solitudine e rabbia per una vita e un
ruolo che non le appartengono più
e che lascerà in silenzio, tra le lenzuola di un letto d’ospedale, l’11
maggio 1982.
Anita Pittoni nasce a Trieste
il 6 maggio del 1901. Talento artistico eccezionale accompagnato a una manualità prodigiosa,
il tutto guidato da un’intelligenza viva e da folgoranti intuizioni anche sul piano pratico organizzativo, si dedica con successo all’artigianato artistico con
un proprio studio e laboratorio
d’arte decorativa.
Nel gennaio del 1930 presenta la sua prima mostra personale nella Galleria d’arte di
Anton Giulio Bragaglia e per
il suo Teatro degli Indipendenti, Anita disegna i costumi per
L’Opera da tre soldi di Bertold
Brecht.
Con le sue creazioni e le audaci invenzioni tecniche - lavora
come filati preziosi le fibre di canapa, di juta, di ginestra intrecciandole a fili di rame, d’argento e oro - si impone ben presto
all’attenzione degli architetti;
lavora per il Gruppo “Bbpr”
(Banfi, Belgioioso, Peressutti
e Rogers) e per i vari: Albini,
Nordio, Palanti, Bega; collabora con Pulitzer Finali per gli
arredi dei grandi transatlantici
italiani ed è lo stesso architetto triestino a segnalarla a Giò
Ponti, che nel 1928 ha fondato
Domus, e che nel ‘30 l’invita
per una prima personale alla
Triennale a Monza.
Nel ‘49, divenuta antieconomica la prosecuzione dell’attività artigianale, nel particolare
clima della città giuliana martoriata dagli eventi postbellici,
Anita Pittoni, spinta da passione morale s’inventa editore:
lo scopo è quello di pubblicare
autori poco conosciuti delle terre giulie ex austriache per “contrapporre al disordine l’ordine
della cultura, alle menzogne la
verità dei documenti”. Nascono
così le edizioni de Lo Zibaldone.
In più di vent’anni usciranno
una trentina di titoli, forse pochi, ma sufficienti a farli entrare nel mito: in una delle librerie
più esclusive di New York, agli
inizi degli anni ’60, di libri italiani esposti in vetrina ci sono
soltanto i titoli dello Zibaldone
di Anita Pittoni..
Ha iniziato a scrivere segretamente fin dall’adolescenza,
ma raccoglie i suoi scritti a partire dal 1930. Due suoi racconti
appaiono per la prima volta su
una rivista nel 1946. Da questa
data inizia così un’intensa collaborazione letteraria con riviste prestigiose: «Il Ponte», «La
Fiera Letteraria» e a giornali come «La Nazione», «Il Piccolo», «Il Mattino» di Napoli).
Dal 1952 al 1956 tiene a Radio
Trieste una rubrica settimanale
di conversazioni “Cose di casa
nostra”; nel 1950 pubblica nello Zibaldone Stagioni, un racconto lungo scritto a metà degli
anni ‘40; nel 1962 è la volta della sua raccolta di versi in dialetto triestino Fermite con mi;
i tre libriccini A casa mia, La
città di Bobi (1966) e Caro Saba
(1977): gli ultimi due dedicati
a Roberto Bazlen e a Umberto
Saba. Da ricordare una lettura di Trieste sviluppata come
una corrispondenza con un immaginario “professore”, edita
da Vallecchi col titolo L’anima
di Trieste (1968), Nell’attività
editoriale, messa in piedi con il
coraggio dei poveri, Anita Pittoni getterà tutte le proprie risorse economiche: risparmi,
compensi di collaborazioni ed
anche, se indispensabile, quanto potrà ricavare dalla vendita
dei manufatti che le rimangono. Ma Trieste non la sostiene,
così perdendo l’occasione unica di dar corpo a un progetto editoriale di grande respiro;
alla fine degli anni ‘70 la Pittoni
chiude l’attività cedendo l’utilizzazione del marchio a Marino Bolaffio. Usciranno ancora
due suoi libri: uno di racconti Passeggiata armata (1971),
l’altro El passeto (1963,1966,
1977), una prosa poetica struggente, sorta di lessico familiare
triestino dove, come fantasmi, si
muovono sul filo della memoria
le figure di suo padre, della madre e dei fratelli durante le passeggiate domenicali.
NOVITÀ IN LIBRERIA / In spiaggia con titoli su contraddizioni varie
I mali di Cuba, dei Balcani e della...menopausa
Nelle librerie italiane è uscito il libro
della blogger cubana Yoani Sanchez Cuba
libre. Vivere e scrivere all’Avana (Rizzoli)
nel quale racconta cosa significa vivere oggi
nel regime comunista di Cuba, una vita segnata da tanti piccoli e grandi problemi quali la difficoltà di fare la spesa e la fame cronica, l’arte di ripararsi gli elettrodomestici
guasti, la lotta per leggere le vere notizie
tra le righe del giornale di partito, la paura
del ricovero in ospedale dove manca anche
il necessario per sterilizzare, la convivenza
forzata con la propaganda che si insinua nei
media, nelle piazze e nelle scuole, il panico
quando arrivano le convocazioni della polizia, la preoccupazione per gli amici in carcere, la nostalgia per i tanti che sono fuggiti e la delusione per tutti quelli che hanno
smesso di credere al futuro. Ma soprattutto
sfata il falso mito dell’efficienza castrista e
descrive, tra tenerezza e rabbia, la frustrazione per le potenzialità inespresse e i sogni
perduti di chi, come lei, è nato nella Cuba
degli anni Settanta e Ottanta e si ritrova rinchiuso in un’utopia che non gli appartiene.
Una generazione che in Yoani ha trovato la
propria portavoce.
Molto richiesta l’opera Romanzo balcanico. Il cinema, il teatro, la poesia, la Storia (Aliberti) scritta da Abdulan Sidran,
con tutte le sceneggiature cinematografiche
e tutto il teatro del drammaturgo e sceneg-
giatore bosniaco che ha lavorato con Kusturica. Un libro che parla pure della nascita e
della fine di una grande nazione europea,
ma anche la saga dei Sidran dentro la Storia
di Sarajevo e della Jugoslavia. Le pagine di
quest’opera si aprono con la tetralogia, dove
trova ampio spazio la vicenda drammatica
dell’arresto del padre per “cominformismo”
e la condanna prima ai lavori forzati a Goli
Otok, poi al confino (a Zvornik), del suo ritorno ed infine della sua morte. Il libro si
chiude con un ampio dibattito a quattro sulla situazione attuale di Sarajevo e dello spazio ex-jugoslavo.
Parlo con un uomo o con una macchina? Lo stupidario dei call center (Aliberti)
di Ale & Franci è la prima raccolta delle
più incredibili, fantasmagoriche e irresistibili situazioni realmente capitate ai lavoratori dei call center. Fra strafalcioni verbali
degni di Totò ed equivoci surreali alla Ionesco, è nata un’antologia di comicità involontaria che ha davvero pochi rivali nel
panorama odierno. Inutile dire che è tutto
vero, tutto registrato, tutto vissuto e ascoltato. L’Italia al telefono è ancora una volta
capace di dare il meglio o il peggio di sé, di
esaltarsi di fronte alla possibilità di dialogare con uno sconosciuto al di là del filo. A dimostrazione che gli operatori dei call center
sono ormai diventati una categoria sociale.
Una specie di assorbente per di tutte le bas-
sezze che un individuo può produrre parlando al telefono con un suo simile.
Le librerie croate offrono l’opera di
Christiane Northrup Tajni užici zrelosti
(Planetopia) nel quale l’autrice, attraverso
la sua storia personale e quella di altre donne, mostra come la menopausa produca dei
cambiamenti nel cervello, che chiamano al
risveglio corpo, mente ed emozioni; come si
possa garantire la salute di seno, ossa e cuore; come il corpo si adatti naturalmente al
cambiamento ormonale; come sia bene fare
molta attenzione ai farmaci; come si debbano affrontare cambiamenti nel metabolismo, aumento di peso, problemi sessuali e
questioni estetiche e del matrimonio nella
mezza età.
L’opera di Carlos Ruiz Zafón Anđelova
igra (Fraktura) si conferma ancora una volta il risultato, affascinante, di una commistione di generi, in cui si tenta di conciliare
la narrativa introspettiva e psicologica, tipica della tradizione letteraria della vecchia
Europa, con le trame avvincenti del thriller
contemporaneo. Il risultato è un romanzo
epico, in cui gli eroi e le eroine si muovono in uno spazio interstiziale, senza tempo.
A sorreggere il progetto dello scrittore spagnolo è sicuramente l’ambientazione: una
Barcellona chiaroscura, una città fatta di vicoli bui e baracche sul porto, di affascinanti
ville imperiali e giardini battuti dal vento. In
questa Barcellona gotica, David Martín, figlio di un reduce della guerra delle Filippine, cresciuto nei bassifondi della città, pubblica il suo romanzo a puntate su un giornale
locale. Come fosse un giovane Edgar Allan
Poe, David racconta le torbide storie degli
abitanti di una città maledetta, anime dannate e assetate di sangue.
Nel suo audace debutto narrativo Gemma Malley con Deklaracija (Algoritam) ci
costringe a riconsiderare alcuni miti dominanti nella nostra società, come quelli della bellezza e della giovinezza, e getta una
luce inquietante su grandi temi ecologici
e politici, quali la sovrappopolazione e la
limitatezza delle risorse del nostro pianeta, creando un potente dramma futuristico.
Ma la “Dichiarazione” è anche qualcosa in
più: il manifesto che l’esistenza ha già in
sé e per sé la propria giustificazione e che
l’essere utile non ha un valore consumistico ma si colloca invece all’interno della logica dell’amore.
Viviana Car
cultura 3
Sabato, 20 giugno 2009
LIBRI / «L’Altra parte del cielo», l’ultima prova in prosa di Marco Apollonio
Racconti gialli, neri e innovativi
tra conservazione e sperimentazione
di Elis Deghenghi Olujić
Quest’anno è uscito il libro “L’altra
parte del cielo” di Marco Apollonio, quarto titolo della collana “Lo scampo gigante” che l’EDIT dedica alla nuova letteratura italiana dell’Istria e del Quarnero.
Con in copertina una foto del connazionale polese Guido Stocco (premio
“Istria Nobilissima”, il volume comprende
4 racconti preceduti dalla brillante Prefazione di Elis Deghenghi Olujuić della quale di seguito pubblichiamo ampi stralci.
La narrativa di Marco Apollonio, nato
a Capodistria (Slovenia) nel 1964, rientra
nell’ambito della letteratura istro-quarnerina contemporanea. L’autore capodistriano
fa parte della generazione maturata nella seconda metà degli anni Ottanta dello scorso
secolo, in anni che rappresentano uno stacco rispetto al passato e sono più esplicitamente disponibili ad orientare il passaggio
della cultura e della letteratura istro-quarnerina verso una stagione completamente
rinnovata. Come altri autori apparsi nel panorama istro-quarnerino negli ultimi anni,
Apollonio affronta coraggiosamente la tendenza verso l’indagine personale e allargata del mondo, nonché l’eterna dialettica tra
tradizione ed innovazione, tra conservazione e sperimentazione, perpetuamente alla
ricerca di un’identità linguistica e scrittoria
da iscrivere in un orizzonte letterario gravido di proposte originali. In una situazione
di radicali mutamenti, di transizione piuttosto che di consumazione, la narrativa di
Apollonio è testimonianza di come gli autori istro-quarnerini si adeguino all’esigenza
di aggiornare gli epistemi culturali, per rispondere alla sempre più frequente domanda sul senso di produrre letteratura in una
società che offre nuovi e più persuasivi strumenti di comunicazione rispetto al libro.
un’esplorazione
narrativa ed esistenziale
Nelle prove narrative finora prodotte da
Apollonio, formate da membrature brevi, le
trasformazioni psicologiche e quelle culturali, le nuove percezioni sensoriali che segnano il nostro presente convivono con una
scrittura che è insieme esplorazione narrativa ed esistenziale, una scrittura che cerca
e trova ancora un suo senso ed un suo territorio coniugando la tradizione e l’influsso
delle più recenti esperienze letterarie. Apollonio è alle prese con il problema primario
di ogni scrittore, rappresentato dall’urgenza di trovare nella scrittura lo spazio della
propria ragione, originale e preciso, il luogo del proprio linguaggio e dell’esperienza
del mondo, nel fermo convincimento che ci
siano cose che solo la letteratura può raccontare con i suoi “mezzi specifici”, come
ci rammenta Italo Calvino nella prefazione
delle sue Lezioni americane. Sei proposte
per il prossimo millennio.
emarginazione
e inettitudine
L’aumentato interesse verso il sociale in
una realtà costituita sempre più da emigrati, extracomunitari, profughi, da emarginati,
da antieroi segnati da un malessere profondo, porta anche Apollonio, finora poco attento a queste tematiche, a confrontarsi con
argomenti di scottante attualità. Il protagonista del microracconto Notte, all’inizio è
un extracomunitario, destinato già solo per
questo a subire le conseguenze di un’esistenza vissuta ai margini di una società che
non è disposta né preparata ad accogliere
ed accettare la diversità fisica, linguistica
e culturale. Karìm è un emarginato, vittima
designata da una situazione sociale e umana
senz’uscita. Un perdente, “un extra, fuori,
non incluso, perso”. Ma “extra”, come suggerisce l’autore, significa anche “di qualità
superiore”, o “qualcosa di meglio”. L’esse-
re indubbiamente “di qualità superiore” non
rappresenta però un vantaggio per il protagonista della storia.
Il destino drammatico di Karìm, segnato
da un tragico equivoco, si compie nel giro
di una notte, ed è determinato dalla sua incapacità di farsi intendere da una donna
troppo spaventata per capire il significato
del gesto dell’uomo, che le porge il nastro
rosso smarrito nella corsa. Quello di Karìm
voleva essere un semplice atto di cortesia,
non un pretesto per insidiare l’integrità fisica di quella sconosciuta incontrata per caso.
Il loro incontro finisce nel modo peggiore.
La dimensione breve in questo caso esalta
la tensione narrativa, mentre l’esito della
storia scuote la sensibilità del lettore, che a
lettura ultimata resta perplesso, costretto a
riflettere sul fatto che viviamo in una società dominata dall’assenza di fiducia nell’altro, specialmente se l’altro ha la pelle scura
e si avvicina a noi apparentemente senza un
motivo plausibile, nel bel mezzo di una notte buia, in una strada deserta.
L’ultimo viaggio è un’ennesima storia
di rapporti affettivi e familiari fallimentari
causati dall’incapacità di comunicare, dall’indifferenza emotiva, da un’inettitudine
sveviana alla vita. Il protagonista, Riccardo, un perdente “dal carattere eccentrico
e insofferente nei confronti di convenzioni e regole sociali”, vive svogliatamente e
squallidamente la dolce vita romana, vana-
l’autore per le cose narrate, e l’ossessione di
non riuscire a vederle differentemente. La
lingua e lo stile, privi di orpelli, si accordano alla storia e alla natura del protagonista.
Si tratta di una lingua sintetica che riproduce il parlato con le sue enfasi e le sue storture, con l’alternarsi di frasi graffianti, espressive ed espressionistiche.
Un “tempo” inquietante
Tempo è un racconto inquieto e inquietante. Si tratta della continuazione/
integrazione de L’ascensore dello scrittore e autore di radiodrammi Dimitrij Kralj,
nato a Isola (Slovenia) nel 1948. Nell’opera
Kralj immagina che in un ascensore, bloccato a causa di un guasto tecnico, rimangano chiuse due persone. L’unico collegamento con l’esterno è rappresentato da un
telefono interno. Chiamando un numero, si
viene messi in collegamento con la pagina
del libro il cui numero è stato fatto al telefono. I personaggi, dunque, dialogano con
se stessi simultaneamente in tempi diversi
o, meglio, allo stesso tempo da una pagina
all’altra del libro, indietro e in avanti, in un
passato futuro lineare, sempre presente. In
un primo momento lo fanno inconsciamente, per rendersi conto solo in un secondo
tempo dell’assurdità della situazione. Per
di più, una delle due persone rimaste chiuse
nell’ascensore è l’autore di un dramma mai
concluso, intitolato per l’appunto L’ascen-
Dalla consultazione dell’elenco delle opere pubblicate sinora da Marco Apollonio, tra le quali ricordiamo anche il testo di saggistica “Breve antologia dello humor nero nella letteratura triestina del Novecento” (1993), si evince che nella produzione di questo autore capodistriano il racconto copre un arco temporale lungo,
e si manifesta in una variazione ampia di modulazioni, a conferma che per lui la
forma narrativa breve è uno strumento espressivo tutt’altro che giovanile od occasionale. Molti suoi racconti sono stati pubblicati sulle pagine della rivista di cultura e letteratura “La Battana” e nelle pagine delle Antologie delle opere premiate al
Concorso d’arte e cultura “Istria Nobilissima”, cui ha partecipato in diverse occasioni, meritando sempre l’attenzione delle commissioni giudicatrici. Una raccolta
organica di otto racconti intitolata “Corpi/Tjela”, pubblicata in edizione bilingue
italo/croata, è stata pubblicata nel 1996 grazie alla collaborazione tra le case editrici Edit di Fiume e Durieux di Zagabria e il contributo della Regione Veneto in
applicazione della Legge regionale del 1994 per gli “Interventi di recupero, conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale di origine veneta nell’Istria e
nella Dalmazia”. In otto brevi racconti, con al centro soggetti alquanto complessi e
dissociati che hanno seri problemi nel relazionarsi con il mondo circostante, l’autore ci pone di fronte ad altrettanti spaccati di vita. Gli otto protagonisti sono figure
decentrate rispetto allo scenario della vita, come altrettante versioni dei personaggi
kafkiani, individui ora sballottati qua e là dalle onde di un oceano ostile e implacabile, ora invece padroni e custodi della propria estraneità e diversità. Incompresi,
insoddisfatti, incapaci di comunicare la loro marginalità ed il disagio e di risolverli,
essi sono privi di qualsiasi conforto in una realtàche si rivela tetra, frustrante, nella
quale la solitudine ontologica dell’uomo impedisce di misurarsi in termini sociali
con altri uomini.
mente impegnato a costruire il senso della
propria esistenza vissuta in una dimensione
costante di sfacelo, di falsità e inconsistenza morale e affettiva. La città eterna è un
“rifugio a misura della sua natura indolente”. Il fastidio per i discorsi vacui e privi di
senso e l’insofferenza verso il prossimo, alimentano nel protagonista il desiderio di allontanarsi dal consorzio umano e la volontà
di recidere i legami con il mondo, che sono
l’anticamera di un inevitabilmente isolamento. La telefonata di Erica, una delle sue
tante amanti, gli annuncia in modo brutale e
impietoso la morte del padre. Riccardo parte in treno per partecipare al funerale. È difficile per lui tornare in quell’odiata città di
provincia, verso la quale nutre “una innata
insofferenza”. Il rientro nella casa di famiglia e l’incontro con la sorella avvengono
in una condizione di tensione esasperante e dolorosamente non liberatoria. Ancora un esempio, questa prova narrativa, del
modo dello scrittore di esercitare un’indagine fredda e vigorosa di soggetti intristiti,
tormentati e insidiosi, sottoposti con spietato realismo ad un crudele studio mentale.
Come in filigrana, si avverte il disgusto del-
sore. L’autore non ricorda il motivo per il
quale non ha finito l’opera. Presume, però,
dato che l’orologio si è fermato, che anche
il tempo si sia arrestato. Il tempo si è fermato per davvero, in quanto l’opera è stata
già scritta e quindi fissata, e loro due, come
personaggi, vivono, si muovono e parlano
soltanto grazie al fatto che c’è un lettore
che sta leggendo la loro storia. Un lettore al
quale i due personaggi a pagina 31 si appellano, affinché in quella successiva li faccia
uscire da quella situazione assurda, scrivendo un finale su quel foglio lasciato appositamente vuoto. Tempo rappresenta dunque
la conclusione che l’autore de L’ascensore
richiede ad un ipotetico lettore. Apollonio
risponde all’invito scrivendo un giallo nel
quale l’assassino è lo stesso lettore.
riflessioni sul male
e l’angoscia di vivere
Prendendo come spunto la condizione di
terrore che sperimentano due persone rimaste rinchiuse senza via d’uscita in quell’orribile macchina che è l’ascensore, sospese
nel vuoto e nell’indeterminatezza, isolate
dal resto del mondo, in Tempo Apollonio ci
accompagna in un suggestivo quanto allucinante viaggio “nel labirinto vorticoso del
tempo e delle sue estreme e ambigue possibilità”, con incursioni nella scienza, nella
filosofia, nella storia, nella religione. L’idea
suggerita è che “non esistono cure al precipizio della mente, come non ci sono cure all’esuberante e assurdo arabesco della creazione. Alla fine della storia esiste solo il
panico del tempo, la scalata dell’abnorme
verso altra abnormità ingigantita dalle simbologie e da precisi riferimenti ad opere ed
autori. L’abilità di Apollonio sta nella capacità d’incanalare la lettura verso le proprie
riflessioni, che diventano digressioni sconvolgenti e al contempo epifaniche, dove
egli respira il male e l’angoscia di vivere.
un giallo capodistriano
Rispetto a Tempo, giallo problematico
e “intellettuale”, il romanzo breve L’altra
parte del cielo, ambientato a Capodistria e
dintorni, è un giallo canonico, con morti,
persone scomparse, persone sospettate e interrogate, depistaggi, ritrovamento di materiali e prove compromettenti che spariscono
al momento opportuno, con il colpevole che
sembrava il meno colpevole di tutti. Nella
storia non mancano il coinvolgimento dei
servizi segreti, russi e svedesi, e un losco
affare di traffico d’armi, alimentato dalla
recente guerra nei Balcani, nel quale sono
coinvolte le più alte cariche governative. La
sordida vicenda inizia con il ritrovamento
di una Renault abbandonata nel bel mezzo
del Carso, in seguito alla segnalazione fatta
da una telefonata anonima. All’interno dell’automobile viene trovata una scatola con
un contenuto macabro, due occhi di colore
verde, che sono “l’espressione di qualcosa
che viene dall’ombra e termina sotto questo cielo grigio”. L’ispettore Peter de Paula inizia la sua investigazione che solo alla
fine avrà un esito, che naturalmente è inaspettato. De Paula è un “uomo che cerca”,
inserito in un contesto sfuggente, nelle velenose e pericolose miscele del territorio a
ridosso del confine. È una sorta di antieroe
che sentiamo più vicino ed efficace nel guidarci dentro la storia piuttosto che un eroe
dotato di poteri e gratificazioni professionali e morali. Il racconto propone problemi,
suggerisce dubbi, offre chiavi di lettura per
il nostro conturbante presente, nel quale sarebbe a volte saggio concedersi soste e pause di riflessione. Il nostro è il tempo della
complessità. Le cose avvengono fuori dalla nostra volontà, senza che si possa sapere
chi le vuole e chi le mette in atto: ciascuno
di noi sa di non poter influire sull’evolversi
di queste vicende, e nello stesso tempo sa di
non potersi sottrarre allo sforzo di capire.
4
cultura
Sabato, 20 giugno 2009
Dedicato a Vlada Acquavita
Le testimonianze
Poetessa raffinata,
intellettuale acuta...
Giuseppina Rajko: direttrice
della Scuola elementare italiana di Buie
Vlada Acquavita se n’é andata in punta di piedi, attenta, come
sempre, a non creare situazioni
incresciose. Il suo notevole impegno professionale, la sua intelligenza, la sua sensibilità, la
sua presenza, la sua parola hanno contribuito alla crescita della
nostra Istituzione e all’arricchimento di noi colleghi e dei nostri
alunni. Con Vlada se n’è andata
un’altra intellettuale della Comunità Nazionale Italiana; con la sua
attività di persona colta e di raffinata poetessa, con il suo impegno
professionale in seno alla Scuola
e alle istituzioni minoritarie ha
tenuto alta la coscienza nazionale, ha portato avanti un’azione
costante per il grande obiettivo
dell’affermazione dei valori della
cultura italiana e per la diffusione
della nostra lingua.
Di Vlada ricordiamo la calma,
il rapporto cordiale con tutti, l’attaccamento eccezionale al lavoro,
la costante voglia di crescere culturalmente e di conoscere; ricordiamo le giornate felici e anche
quelle infelici del nostro comune
cammino, con poche rose e molte spine. Vlada Acquavita è stata
sempre attenta e diligente, puntuale e meticolosa nell’espletamento dei suoi non pochi compiti a scuola e nella Comunità degli
Italiani di Buie: è stata infatti una
delle colonne portanti della nostra
scuola e della Comunità. I suoi i
colleghi, gli alunni e gli ex alunni, gli amici, gli estimatori la ricordano come una persona che
si distingueva per la sua umanità, per la sua finezza nel sentire,
come un’amica e una collega sincera, una donna buona ed onesta,
un’intellettuale acuta, una vera
italiana, leale verso lo Stato in cui
è vissuta ed ha operato.
una ventina di anni. Naturalmente
abbiamo rispettato i suoi consigli
ed i suoi desideri. Forse, pensandoci, Vlada non ha avuto la visibilità degli altri letterati e poeti
della nostra area. Ma anche questo è stato un suo desiderio, restia
com’era ad apparire, a comparire,
a doversi raccontare e spiegare.
Ma poi si lasciava andare - ed il
suo mondo di emozioni ti intrappolava, ti invadeva come per la
presentazione
dell’Herbaryum
misticum nella sua Buie dove si
commosse per l’attenzione dimostratale dal folto pubblico e per un
bel mazzo di fiori di campo che un
gruppo di ragazzini le mise tra le
mani. Io mi commossi invece più
tardi, leggendo la poesia del melograno.
Lionella Pausin Acquavita,
Presidente della CI di Buie
Vlada se n’è andata con quella riservatezza che ha contraddistinto la sua esistenza. Me la ricordo giovane neo-laureata ad
insegnarci la lingua francese nelle immense aule scolastiche della vecchia scuola che le stufe a
legna non riuscivano a scaldare.
E lei, infreddolita, e forse anche
un po’ intimorita dal suo nuovo
ruolo, tentava di catturare la nostra attenzione ed i nostri interessi raccontandoci della sua Francia. “’Sur le pont D’ Avignon on
y danse on y danse…’’ cantavamo in classe – con Vlada intenta
a correggere la nostra pronuncia e
noi a sognare la Francia, i suoi castelli, i re e le regine, i ponti, Parigi, Marsiglia….
Vlada non era timida; era una
persona che non voleva imporsi
ma che si sapeva far rispettare.
Era precisa, attenta e gentile. Ma
era anche pedante nella realizzazione degli impegni. Solo pochi
mesi fa, nonostante la malattia,
era venuta in Comunità per decidere la selezione e la disposizione
dei libri nella nuova biblioteca interna, biblioteca da lei guidata da
Vittorio Vettori, poeta
Posso soltanto osservare che,
a differenza del Medioevo di Umberto Eco, tutto visto e rivisto, tutto platealmente visitato e rivisitato, il Medioevo di Vlada Acquavita è un Medioevo invisibile e cioè
rinnovato e reinventato nel senso
della ‘renovatio’, vale a dire nel
senso di un eterno “rinascimento
del cuore”.
Gianna Dallemulle Ausenak:
narratrice, poetessa, saggista
Lettrice appassionata e poetessa raffinata, valente saggista di tematiche scolastiche, Vlada Acquaviat è stata una persona di grande
apertura mentale suffragata da una
vasta cultura umanistica.
Il nucleo della poesia di Vlada Acquavita, come ebbe a dire
lei stessa in un’intervista a “La
Battana”, è il duplice paesaggio:
quello dell’anima e quello esterno, cioè l’ambiente naturale che
ci circonda. Portata alla riflessione
e ad una contemplazione della natura e dello spazio che stabiliscono equilibrio e dialogo annullando
ogni disimmetria, e privilegiando
autori e letture che si interrogano
ed esaltano l’interiorità e la spiritualità, la poetessa si è legata con
un filo aureo al mondo del mito e
della fiaba, al mondo dei simboli
e del mistico, dell’indicibile, dell’ineffabile, cellula germinale, ma
anche filtro interpretativo di situazioni che rispondono alle esigenze
estetiche e in definitiva alle finalità
comunicative della sua Psiche
Liliana Venucci Stefan, responsabile del settore editoriale
dell’EDIT
Con Vlada abbiamo lavorato a
“Herbarium mysticum” due anni
fa. Trasudava gentilezza e ansia
da subito, preoccupata di non lasciarsi sfuggire qualche refuso, ad
argomentare il perché quella virgola dovesse stare proprio là...
A ogni incontro ti accoglieva generosa, conteneva a stento
la ricchezza interiore, ti inebriava di precise parole pronunciate
senza interruzione, con quel suo
modo di parlare tra il soffiato e
l’inspirato, poi si interrompeva,
timorosa e imbarazzata, convinta
di aver stancato chi aveva di fronte e diceva “ma poi facè voi come
volè, sapè...”
V
lada Acquavita amava i libri,
amava viaggiare – non da turista, ma per scoprire i luoghi
in cui alcuni libri erano nati – amava
svelare i misteri del passato e quelli
dell’anima. E amava scrivere.
Vlada Acquavita amava le così
nobili, ma le amava di un amore
fortemente sentito senza essere gridato, come chi sa che uno dei tratti
più preziosi della nobiltà è l’umiltà.
Vlada oggi non c’è più, si è spenta
il 24 maggio scorso, lasciandoci in
eredità uno stile da imitare e tante
pagine di poesia ancora da visitare,
da assaporare, da riconsiderare, da
rileggere con gusto e attenzione. Vi
troveremo il medioevo, l’Istria(una
Toscana selvaggia, come ebbe a
commentare un suo amico), la sacralità, la natura e capiremo quanto siano attuali questi temi quando
permettiamo loro di avvicinarsi alla
nostra anima.
Vlada Acquavita era nata a
Capodistria e aveva lavorato a
Buiecome bibliotecaria presso la locale scuola elementare italiana. La sua laurea in lingua e letteratura
francese, conseguita a
Zagabria, non è stata soltanto un titolo di studio bensì un viatico per
coltivare e cogliere meglio un interesse che in lei era
autentico: quello
per il Medioevo,
per la Francia, per la
letteratura trobadorica.
Ha frequentato la Scuola
superiore di lingue
moder-
ne per interpreti e traduttori presso l’Ateneo di Trieste, aggiornando
poi costantemente la sua formazione professionale. È stata Borsista
Bogliasco (Genova) in Letteratura
nel 2001, ed aveva apprezzato quel
soggiorno ligure in modo particolare: “Gli splendidi ambienti del Centro Studi ed i suoi giardini mi hanno offerto gli spazi per far maturare
lo stato d’animo ideale, quell’assoluta libertà in cui la cognizione del
tempo sembra annullarsi, quell’armonia interiore così necessaria all’artista.”
Vlada Acquavita amava il suo
mestiere di bibliotecaria, il mondo della scuola, il contatto con gli
alunni, scrivendo alcuni saggi premiati al Concorso “Scuola Nostra”.
Vlada aveva capito che la scuola ha
la necessità e il dovere di adeguarsi
ai cambiamenti, sostituendo al ruolo tradizionale uno nuovo, di maggiore qualità e soprattutto
corrispondente alla
realtà dei ragazzi di oggi. In
tale contesto,
l’autrice ha
considerato analiticamente
la riorganizzazione della
struttura della
biblioteca scolastica,
spiegando che “deve
essere valorizzata
Il lai della Rosa bianca
Il Lai della Rosa bianca narra di una fanciulla istriana “più bella delle rose e dei gigli a primavera”, che i fratelli, per timore di
perdere con la sua dote parte del patrimonio, segregano nella torre
del Castiel Sancuan di Corneti e legano ad una catena gettandone
la chiave in mare. Nonostante la prigionia, la fanciulla vive serena,
cantando dolcemente. Un giorno il suo canto melodioso arriva all’orecchio del nobile signore del castello di La Napoule, nella lontana Provenza: tanto è soave quella melodia, che egli si addormenta sulla spiaggia e al risveglio trova accanto a sé una chiave d’oro.
Quando un uccello meraviglioso si posa sulla sua mano, il cavaliere si accorge che esso porta al collo un anello e allo stesso tempo
risente la dolce melodia e, inseguendola, arriva al porto dove lo attende una nave dalle vele rosse. Quasi sollevata dal vento, la nave
arriva al castello della bellissima prigioniera, che viene liberata.
Subito accesi d’amore, ormai promessi sposi, i due giovani partono alla volta del castello in Provenza. Quando sono lontani, la torre del Castel di Sancuan di Corneti crolla abbattuta da un fulmine: è così che la trovano i fratelli cattivi al ritorno dalla caccia. Allo
scoccare del solstizio d’estate, a mezzanotte in punto, sulle terre
che la fanciulla avrebbe dovuto portare in dote al marito, sbocciano delle rose a cinque petali.
come luogo che suscita interessi, offre gratificazioni, soddisfa curiosità,
permette autentiche scoperte, quindi
non può non qualificarsi come spazio della libertà di pensare e di conoscere”. Vlada Acquavita amava
sottolineare il significato della lettura: “leggere un libro”, scriveva,
“è un mettersi in contatto con quello
che sta oltre la parola, un viaggio in
paesi e in tempi diversi, un dialogo
con interlocutori di ogni epoca e di
ogni luogo, ma tuttavia con la possibilità di riflettere o di sviluppare la
riflessione in periodi successivi.”
Nei suoi lavori di saggistica dedicati alla scuola l’autrice ha affrontato temi quali gli itinerari di lettura
nella scuola e nel tempo libero, “il
mistero della poesia e il bambino”,
la fiaba come forma educativa ancora attuale, invocando sempre “il
coraggio e l’ambizione di pensare
in grande, affinché, individuati i
giusti percorsi, diventi possibile
ed opportuno sperimentare nuove metodologie ed ipotesi risolutive”.
Vlada Acquavita è stata anche prosatrice: il suo trittico
narrativo “Virtualità”, pubblicato nell’Antologia di “Istria
Nobilissima”(2001) sta a mezza
strada tra realtà e riflessione filosofica sul mito e il sacro. I tre
racconti sono ambientati a Buie
in epoche diverse: il primo racconto nel 1769, il secondo nel
1995 e il terzo nel XXI secolo. Nel terzo è protagonista
l’autrice stessa, intenta a svelare qualcosa in più del suo essere, nel caso specifico del suo
sentire religioso d’ispirazione cattolica. È l’alba del terzo
millennio e Vlada vede ovunque
le tracce di una nobile civiltà che si
dissolve o è già in gran parte dissolta. L’impressione che ne riceve
è molto forte: desidererebbe essere altrove. Ad un certo punto,
però, si accorge che l’”altrove”
è a pochi passi da lei, lì dove
fra le macerie di una casa è
spuntata la passiflora, il fiore
della passione di Cristo, che
santifica il luogo con la propria presenza.
Oltre che valente saggistica e narratrice, Vlada
Acquavita è stata soprattutto poetessa colta e raffinata
che privilegiava lo studio,
la riflessione, l’esperienza
dell’inconsueto, la frequentazione del mondo dell’Antichità e del Medioevo, del
mito, del sacro e del mistico. I numerosi e continui
viaggi in Italia e partico-
larmente in Francia (terra prediletta in cui maggiormente si accentra
la pluralità delle fonti di ispirazione)
e le occasioni di visitare prestigiosi
musei e rinomate biblioteche, hanno
lasciato segni nell’universo emozionale della poetessa.
Nel 1997 ha pubblicato ad Arezzo la silloge La rosa selvaggia e altri canti eleusini, viaggio interiore basato sul mito e inteso come
espressione di cose e verità ”altre”.
Nel 2007 esce Herbarium mysticum. Clausole medievali, Si tratta
di una silloge poetica particolarissima in cui si compie un viaggio
a ritroso nel medioevo istriano. In
questa raccolta Vlada Acquavita si
è ispirata anche all’erbario medievale nel quale alla raffigurazione
della pianta si mescolavano valenze simboliche, mistiche, magiche,
terapeutiche, mentre l’aspetto naturalistico spesso veniva trascurato.
Ogni pianta di questo erbario mistico (La rosa di Sant’Eliseo, Il giglio,
La viola, Hedera Nigra, Primule e
pervinche, Il melograno, ecc.) è legata ad una o più poesie connesse a
un personaggio femminile di fantasia (Veronica di Ortoneglo, Grimalda, Rubina). Alle poesie fa seguito
un testo in prosa (clausola) nel quale si contestualizza il personaggio in
una vicenda inventata. Nel “commentario”, che costituisce la terza
parte del libro, l’autrice spiega le
circostanze reali che l’hanno indotta
o ispirata a scrivere le singole poesie-clausole: un viaggio in una certa zona dell’Istria, in un villaggetto
francese, la lettura di una certa lapide, le vetrate di una chiesa, la lettura di un certo documento o codice
medievale antico. Da rilevare che
la seconda parte dell’Herbarium
mysticum, intitolata Scriptorium,
è collocata nelle Terre Bianche e a
Grisignana, La seconda parte dell’Herbarium mysticum, intitolata
Scriptorium, è collocata nelle Terre
Bianche e a Grisignana, mentre ne Il
convolvolo la Acquavita riflette sulla figura di Monaldo di Giustinopoli , francescano capodistriano che ha
condotto una vita contrassegnata da
un profondo studio delle scienze sacre e da una vita ascetica
Vlada Acquavita è presente nell’antologia di poesia Ragioni e canoni del corpo, in Oltre la soglia...
per Giusy Miano, nell’antologia
Versi diversi/Drugačni verzi. Poeti di due minoranze/Pesniki dveh
manjšin, in numerose antologie di
“Istria Nobilissima” e pubblicazioni
de «La Battana», in riviste e giornali. Di particolare rilievo il suo saggio sulle poetesse autrici di poesia
trobadorica.
Sabato, 20 giugno 2009
5
Una poesia meditata, di stupore e metafora viva
di Gianna Dallemulle Ausenak
Il nucleo fondante della poesia di Vlada Acquavita poggia su un processo assorto e meditato
di letture approfondite. Compagni di viaggio, una
nutrita schiera di autori che privilegiano ed esaltano l’interiorità e la spiritualità: Dodds, Girard,
Vernant, Hölderlin, Rilke, Jung, Nietzsche, Vettori, Mallarmé, Valéry, Gide, Borges, Luzi, Zanzotto, Saffo, Emily Dickinson, Simone Weil, Cristina
Campo, ecc. Alla luce delle loro opere, è facile
comprendere la propensione della poetessa buiese a spaziare, a ripulire le “porte della percezione”
che portano alla conoscenza delle cose, come veramente sono, cioè infinite.
La poesia di Vlada Acquavita viaggia su un
duplice binario: lo stupore e la metafora viva, grazie ai quali è resa possibile la verticalizzazione del
tempo e l’inosservanza delle regole prestabilite,
ciò che comporta lo sconvolgimento del meccanismo mentale inconscio mediante il quale i contenuti di pensiero, gli atteggiamenti, i motivi e simili, estranei in quanto appartenenti ad altre persone, vengono accolti nel proprio io a “interpretare il mondo ibridando il linguaggio di codice nelle
sue relazioni con la realtà”. È grazie alla mediazione del mito e della natura, che Vlada Acquavita stabilisce gradatamente un legame più intimo e
più profondo con la propria interiorità, istituendo
con essa un rapporto colloquiale che la conduce a
(ri)conoscere la parte più segreta del proprio Sì.
Risacralizzando il mito, passa così dall’impressione all’espressione, dal trasporto del cuore alla
parola/tensione poetica, che la portano ad abitare una dimensione armonica nella quale scopre e
coglie l’elevazione, la bellezza, la luce, che lei fa
convergere nella scrittura.
L’esordio di Vlada poetica è del 1997, con la
pubblicazione della silloge La Rosa selvaggia e
altri canti eleusini.
La Rosa selvaggia
e altri canti eleusini
Il pensiero, che pone al massimo livello
l’esperienza della psiche, vive già nella prima
opera della poetessa buiese, La Rosa selvaggia
e altri canti eleusini, e rivela una sensibilità preziosa, fuori del comune. Non c’è dunque da meravigliarsi se la silloge incontra da subito i consensi di un pubblico scelto, capace di riconoscere ed apprezzare una concezione poetica che rispecchi la proiezione metafisica dello spirito che
si ricongiunge al divino, ma in primo luogo, se
l’accortezza di un grande umanista italiano, poeta lui stesso, Vittorio Vettori, non lesina elogi nell’ispirata Introduzione e, ancor prima della pubblicazione, ne sceglie alcuni versi per il saluto di
Capodanno (1996) all’Accademia Casentinese.
La Rosa selvaggia è un sogno poetico, è l’immaginazione che accede a una realtà invisibile e
irrazionale, è il magico spartiacque del logos interiore ed esteriore, là dove fonde la diade Vlada-Lada. La scaturigine del viaggio poggia sull’esperienza di una emozione alta, di una esaltazione della mente (interiore, non discorsiva),
che incontra l’altamente significativo e muove
dall’incontro con una “pienezza” provocata da
uno stato conoscitivo, pertanto da una profonda
osservazione delle cose e della vita. L’esperienza metafisica è data da ciò che la psiche percepisce e di cui s’impregna fino alla radice del cuore,
nel raccoglimento profondo dell’io che annulla il
mondo esterno per proiettarsi in uno spazio “diverso”, nel sogno, o meglio, nel trasognamento.
La Rosa selvaggia è suddivisa in sette capitoletti (Misteri, Invisibili presenze, Limiti, Amori,
Labirinti, Póiesis, Verso il nuovo Dio, Disincanto,
compreso nella Postilla). Nelle liriche che chiudono i Misteri, Vlada, ormai Lada (l’etimo etrusco
di Lada significa “donna”), nello stadio visionario supremo dei misteri eleusini si muove in uno
spazio e in un tempo divini, dove musica e poesia
vengono esaltati alla luce dell’estetica ellenica. Il
capitolo termina con La quercia, una delle liriche
più belle e ariose, quasi sospesa nel trasognamento, in cui il razionale e l’irrazionale si fondono nella radiosità delle cose e delle creature:
Sono la fanciulla dai sandali screziati./
Porto il chitone frangiato / (lungo fino al ginocchio) - / come ornamento una rosa selvaggia. /
Di canto la mia natura è colma. / Per celebrare il
rito mattutino / ho scelto l’umile tempio di Zeus - /
una quercia in cima alla collina.
(...)
Oltrepassata la linea misteriosa / i venti alisei
ripuliscono i miei piedi / ma - capriccio divino - /
screziature leggere / - quasi a palesare il segreto / permangono sui sandali di cuoio./
Gli Olimpi mi chiamano / la fanciulla dai sandali screziati. / Io esisto.
Poesia e Natura sono le predilette di Lada, che
ne diventa la vestale. Ritrovato il luogo dell’essere, sul cuore l’umile Rosa selvaggia - pensiero
arcano che apre alla sapienza -, la poetessa vive
“estasiata” ai piedi d’una quercia il contatto con
la propria felicità e con la solitudine perfetta che
le permette di comunicare con l’invisibile. In virtù del divino accolto e dell’identità ritrovata, Lada
ora “esiste”, ciò che le concederà di muoversi liberamente nella dimensione del mito, del sacro e
della propria interiorità
Ed ecco, in conclusione di silloge, la liturgicità della Poesia: il suo inebriante furore è decantato e glorificato nell’intero capitolo Póiesis. Ma
a chiudere la La rosa selvaggia è la Postilla, che
improvvisamente ribalta la quasi esagitata esaltazione del potere curativo e sacro dei Canti Eleusini per riportare la poetessa alla realtà. La Postilla,
infatti, rappresenta il Disincanto che mette in luce
la caducità del pensiero arcaico e fa “deflagrare”
la stessa Rosa selvaggia. Ecco la rappresentazione
che ne dà la poetessa:
Il tempo scorre lieve e passa. / L’ho scoperto
stamattina. / Affacciandomi alla finestra
ho visto la rosa (ieri ancora bella)
già sfiorita. / oppure / Sono solo verdi quei
rami / che mi parvero immortali. / Si fa albero
la quercia divina. / oppure / È dunque terragno il
sentiero di luce / lungo il quale (di sereno sgomento piena?) / amavo inseguire le orme di Pan. / Con
lo sparire del sole / sui sandali di cuoio la polvere
dorata / diventa fango.
L’Herbarium mysticum
A quasi dieci anni di distanza dalla pubblicazione de La Rosa selvaggia, esce l’Herbarium
mysticum. Frequentatrice di biblioteche e musei
in Francia, in Italia, in Vaticano e altrove, di mostre di erbari, bestiari, tappezzerie e arazzi medievali, visitatrice di borghi e castelli antichi, la
Acquavita ha tradotto l’ispirazione che scaturiva
da quelle fonti in creatività poetica. E non basta:
se il celebre arazzo della Dame à la Licorne o il
Bestiaire d’amour di Richart de Fournival o altre pagine d’erbario preziosamente miniate hanno inciso fortemente sulla fantasia della Nostra
(e tutte queste cose meravigliose hanno osservato lei, nominandola Eletta), non meno influenti
sono stati l’ambiente dell’Istria interna (terra di
antichi castellieri, castelli in rovina, chiese e monasteri fatiscenti, terra di annose querce, olmi,
castagni e carpini, robinie e biancospino con cui
l’autrice ha sviluppato una straordinaria empatia)
e “il contrasto aspro tra la selvaggia fecondità
della natura e le mute rovine di un antico castello”. Così si è, in merito, espressa la poetessa: “Visitando questi luoghi, divenuti ormai puri ricettacoli d’ombra, si è risvegliato in me il desiderio
di avventurarmi verso la “sorgente di lacrime”,
verso quel luogo ineffabile dove la parola affoga
nel silenzio, giacché, come scrive Valéry, “le nostre lacrime sono l’espressione della nostra impotenza a esprimere”(...) Lungo i percorsi slabbrati di questi paesaggi muti di echi, alternando
meditazione e rêverie, ho cercato le tracce del
sacro, di quel sacro logorato dalla quotidiana
esistenzialità che è evidente per chi lo sa riconoscere e assente per gli altri. E proprio la parola
- nel suo aprirsi alla verticalità della poesia - mi
ha consentito di far affiorare dal buio uno spazio
di luce in cui godere le epifanie di quelle elusive
e sfuggenti tracce.”
L’Herbarium mysticum aderisce all’interpretazione spirituale e filosofica del mondo e della
vita dell’uomo medievale, perennemente impegnato nell’interpretazione dei simboli. Il lavoro si
presenta in versi e prosa, poiché il componimento
“misto”, il prosimetrum, ebbe grande successo in
epoca medievale. Questa combinazione può anche rimandare all’alternatim, cioè all’alternanza
di voce e organo nel canto dei salmi.
Con raffinato estetismo poetico Vlada Acquavita aderisce al pensiero medievale, ne utilizza
lo schema della visione, dell’interpretazione dei
segni e dei simboli, elabora il concetto dell’amor
cortese, usa il lirismo del linguaggio provenzale
trobadorico. Sono temi che rappresentano certamente la cornice più adatta per quella sua disposizione psicologico-introspettiva e per quell’esigenza di bellezza, che tanto l’attraggono. Sono
corrispondenze, anche possibili fughe, che talvolta possono sfuggire al criterio dell’argomentazione, ma chi ha la fortuna di viverle è un eletto che intraprende la strada dell’incontaminato e
della purezza poetica. E sono, naturalmente, metafore, traslati, parabole, allegorie, moduli poetici mimetici, che servono a determinare certe
situazioni vissute dalla poetessa in momenti di
grazia. Grazia intesa anche come elemento non
religioso, che viene non si sa da dove, una grande
musica scesa ad impollinare e imbeverare l’animo cortese, che sviluppa il topos dell’amore per
tutto ciò che di bello e di grato ci circonda. Avvertibile, appunto, solo dagli eletti.
La maggior parte delle opere di Vlada Acquavita reca palese l’impronta del mito e del sacro
quali forze eternamente presenti. Per questo motivo l’autrice ha sapientemente riproposto nelle
sue liriche e nelle sue prose la riscrittura in chiave moderna dei valori mitici e sacri come impulso vitale che ridona all’uomo tutto ciò che l’aridità della vita odierna sembra avere essiccato in
forza del dilagante nichilismo, al quale si rischia
di consegnare il nostro destino senza neppure
combattere. Così operando, facendo “anima”, la
poetessa sollecita un viaggio di rinascita, una rimonta dal buio della sterilità verso lo splendore
stellare di significati positivi. Viaggio non utopistico, ma saldamente ancorato nella realtà da
fronteggiare con l’indispensabile energia spirituale onde promuovere la ripresa dei valori umani di base, simili a quelli suggeriti dal mito fin dai
tempi più antichi.
Canto soave e lirico che giunge d’oltremare
sulle tracce del sacro nei paessaggi istriani...
Medioevo, futuro. Da lì Vlada Acquavita nomina, interpola e interiorizza Valery, Dino
Campana, Francesco d’Assisi, Cielo d’Alcamo, il Cantico dei Cantici, Arnaut Daniel, Bernardo di Chiaravalle, avanzando sulle tracce del sacro nei paesaggi istriani, per misteriose rovine
e selvatica natura. Castelli, chiese e case del passato sono spettri, “immagini infrante”, nessun
restauro e nessun rinnovo. Vlada cerca quel luogo ineffabile dove la parola “affoga nel silenzio”, in cerca delle tracce del sacro logorato dalla quotidianità. L’allegoria mi sembra chiara.
Vlada è tornata nel medioevo e sa che almeno le piante – come certi libri – non si sradicano
mai del tutto. Ecco l’erbario mistico d’una poetessa di lingua italiana – ahi lingua solo letteraria, patrimonio vero di noi pochi e di nessun altro – nuovo Deus e(s)t Amor, nuova discendenza petrarchesca e trobadorica, nuova testimonianza di vitalità di un popolo che qualcuno
preferisce credere perduto. Non cercate in questi versi modernità o contemporaneità: troverete
soltanto passato remoto e futuro anteriore, come in ogni visione mistica.
C’è una rosa avvizzita nella vigna, dimentica delle radici; e c’è chi maledice il suo esilio.
C’è un bestiario che s’addentra in casa come demone meridiano, disarmato con la nuda voce
e la protezione della Madonna. C’è quell’antica luce preziosa e casta, e un passaggio improvviso per traduzione d’Abelardo e Eloisa, dell’amore riunito in Cristo e per Cristo. Ci sono
canti soavi che giungono da oltremare, e da lontano veleggia un sogno d’amore: rosa bianca
sprofonda nel sogno. Ci sono le prime attestazioni del volgare nel territorio di Umago, ci sono
leggende apocrife e rivisitazioni. Commentario e note per chi vuole approfondire. Capire è
un po’ più complesso, mi rammarica ammettere che soltanto chi ha sangue giuliano, istriano,
fiumano potrà capire. In Italia – in questa stupenda cartina geografica disegnata, in centoquarant’anni, da mani europee, russe e americane, con poca fantasia e qualche errore di troppo –
c’è qualche confusione che dubito possa essere risolta dai partiti, dai media o dalla letteratura.
Per quanto mi riguarda questo è canto soave e lirico che giunge da oltremare.
Gianfranco Franchi
6 cultura
Sabato, 20 giugno 2009
Pubblichiamo a lato
i nominativi dei premiati per le categorie
del concorso che fanno riferimento al nostro inserto e precisamente “Letteratura”
e “Arti visive” (compresi esuli e giovani).
L’elenco completo dei
vincitori è stato pubblicato nell’edizione
del 9 giugno della Voce
del Popolo.
CATEGORIA LETTERATURA
PREMIO OSVALDO RAMOUS
Poesia in lingua italiana
PRIMO PREMIO
Autore: Laura Marchig, Fiume
Titolo: Colours
Motivazione: La raccolta si presenta come
una sorta di canzoniere caratterizzato dal
sapiente collegamento dei singoli componimenti. Il linguaggio appare maturo, originale, contrassegnato da uno spessore materiale delle immagini, giochi cromatici intelligenti, musicalità mai scontata e qualità
ironiche.
SECONDO PREMIO
Autore: Giacomo Scotti, Fiume
Titolo: Viaggiando, vagabondando
Motivazione: Poesia della natura, sul mondo, sull’energia cosmica, ricca di valenze
metaforiche e risonanze esistenziali con
aperture alle tragedie della storia.
MENZIONI ONOREVOLI
1.Autore: Claudio Geissa, Capodistria
Titolo: Acqua su Marte
2. Autore: Šandor Slacki, Pola
Titolo: Raccolta senza titolo
Poesia in uno dei dialetti della CNI
PRIMO PREMIO
Autore: Libero Benussi, Rovigno
Titolo: Per quanto ancùra
Motivazione: L’espressività del linguaggio
(il dialetto rovignese), l’evidenza semantica della parola, ispirata dallo splendore del
mare, del cielo e di altri elementi naturali, riflettono le memorie, le nostalgie e l’armonia
perduta di un piccolo mondo in estinzione
intrecciato e confrontato alla realtà di oggi.
SECONDO PREMIO
Autore: Lidia Delton, Dignano
Titolo: Faleische
Motivazione: Ampia raccolta di versi in dialetto dignanese. Immagini del mondo di ieri
si intrecciano a prospezioni della modernità, considerazioni etiche e incisivi scorci di
paesaggio.
MENZIONI ONOREVOLI
2. Poesia, anche in dialetto, su tematiche che
interessano il mondo comune istriano, istroquarnerino e dalmata, nella sua più ampia
accezione culturale, umana e storica
PRIMO PREMIO - NON ASSEGNATO
SECONDO PREMIO - NON ASSEGNATO
MENZIONI ONOREVOLI
Autore: Doriana Segnan, Trieste
Titolo: Latomie invisibili
CATEGORIA ARTI VISIVE
PREMIO ROMOLO VENUCCI
Pittura, scultura e grafica
PRIMO PREMIO
Autore: Bruno Paladin, Fiume
Titolo: Segnisimboli babilonesi
Motivazione: Per la costante professionalità
nell’esecuzione e l’accurata raffinata scelta
cromatica.
SECONDO PREMIO
Autore: Luka Stojnić
Titolo: Scultura bidimensionale
Motivazione: Per la corrente e fluida proposta pittorica.
MENZIONI ONOREVOLI
1. Autore: Lucilla Micheli Marušić
Titolo: Teorema
2. Autore: Tea Paškov Vukojević
Titolo: Il gioco dei soli
Design, arti applicate, illustrazione
PRIMO PREMIO
Autore: Daria Vlahov Horvat
Titolo: Materiali per il “moretto fiumano”
Motivazione: Per la sapiente professionalità
espressa nella produzione dell’opera.
SECONDO PREMIO
Autore: Miriam Monica
Titolo: Carnevale a Fiume
Motivazione: Per la felice libertà espressiva
dell’impianto illustrativo.
MENZIONI ONOREVOLI
1. Autore: Edda Traven
Titolo: Vaso 3
2. Autore: Irene Mestrovich
Titolo: Armonie lunari
Fotografia
1. Autore: Romina Floris, Valle
Titolo: ’L limedo oltra i nui – Il sentiero
oltre le nuvole
2. Autore: Ester Barlessi, Pola
Titolo: Raccolta senza titolo
Prosa in lingua italiana
PRIMO PREMIO
PRIMO PREMIO
SECONDO PREMIO
Autore: Nelida Milani Kruljac, Pola
Titolo: Senza titolo
Motivazione: Pagine narrative a tratti analitiche, a tratti con grandi qualità di suspense.
In esse l’autore rappresenta con sottile introspezione psicologica l’humus scabroso dei
rapporti tra “diversi” negli incontri-scontri
tra ragazzi che maturano il passaggio dall’infanzia all’adolescenza e all’età matura
a fronte dei traumi del secondo dopoguerra istriano.
Autore: Ivor Hreljanović
Titolo: Attrazione cromatica (tutta la serie)
Motivazione: Per il sapiente uso del mezzo tecnico
SECONDO PREMIO
Autore: Silvio Forza, Pola
Titolo: Storia di istriana isteria
Motivazione: è il racconto giocato sul parallelismo tra le convenzioni di una vita matrimoniale stanca e la spregiudicatezza di un
mondo orientato verso il consumismo e i
valori materiali.
MENZIONI ONOREVOLI
1. Autore: Roberta Dubac, Castelvenere
Titolo: Gabbiani sulle gru
2. Autore: Mario Schiavato, Fiume
Titolo: Ritorno a Midian
CATEGORIA CITTADINI RESIDENTI
NELLA REPUBBLICA ITALIANA, DI
ORIGINE ISTRIANA, ISTRO-QUARNERINA E DALMATA
Prosa narrativa su tematiche che
interessano il mondo comune istriano,
istro- quarnerino e dalmata, nella sua
più ampia accezione culturale, umana e
storica
PRIMO PREMIO - NON ASSEGNATO
SECONDO PREMIO
Autore: Egon Hreljanović
Titolo: Fiume, la nuova dimora (tutta la
serie)
Motivazione: Per la raffinata tecnica e per
l’originalità dell’equilibrio compositivo
MENZIONI ONOREVOLI
1. Autore: Luca Dessardo
Titolo: Per un uso accorto del maket up
(fotogramma)
2. Autore: Sergio Gobbo
Titolo: Pilota (fotogramma)
CATEGORIA PREMIO GIOVANI
PREMIO ADELIA BIASIOL
(GIOVANI DAI 15 FINO AI 18 ANNI)
Poesia o prosa in lingua italiana
PRIMO PREMIO
Autore: Vita Valenti, Isola
Titolo: Doppia seduta
Motivazione: Il lavoro si pone come una fabula realisticamente connotata con disposizione a rivelare sfuggenti e molteplici immagini di noi stessi. Si presta alla trasposizione scenica.
SECONDO PREMIO
Autore: Mia Dellore, Isola
Titolo: Sottovoce (Frammenti in prosa)
Motivazione: Il lavoro è connotato da uno
stile sincopato ed ellittico originale che nasce dal bisogno di raccontarsi superando il
limite tra prosa e poesia.
MENZIONI ONOREVOLI
Autrice: Francesca Frlić, Pirano
Titolo: Raccolta senza titolo
Pittura, scultura, grafica e fotografia
PRIMO PREMIO
Autore: Nicolò Giraldi, Trieste
Titolo: Lontano da casa
Motivazione: Un racconto “epistolare” che
prospetta i destini di persone diverse nella
guerra 1914 – 1918. Una guerra dolorosa
e complessa dove gente della stessa nazionalità combatteva in differenti eserciti. Un
dramma vissuto su diversi fronti, nei campi
di deportazione e in prigionia.
Autore: Dorian Mataija
Titolo: Il faro
Motivazione: Per la semplice e spontanea
esecuzione
MENZIONI ONOREVOLI - NON ASSEGNATE
MENZIONI ONOREVOLI - NON ASSEGNATE
SECONDO PREMIO
Autore: Cristal Roberta
Titolo: La mia Rovigno (foto 3)
Motivazione: Per la gradevole scelta compositiva
cultura 7
Sabato, 20 giugno 2009
INIZIATIVE EDITORIALI / Una ricercata collana ispirata da Bouvard e Pècuchet
La poetica dell’Arbor librorum
di Francesco Cenetiempo
A
ll’Isola dei Frati (Fratarski Otok), a
pochi minuti di barca dalla splendida
Punta Verudella di Pola, incontro per
la prima volta Monsieurs Jacques Bouvard
e Jean Pécuchet Leuwen.
I due cugini, mecenati e collezionisti di
origine alsaziana, passano ogni anno le vacanze in Istria. Abitualmente vivono con le
loro famiglie nel borgo di Fontaine-de-Vaucluse. Li avevo già intravisti alla Fiera del libro di Torino (coccolati dai maggiori editori
italiani) di due anni fa e di sfuggita il 9 dicembre 2006 al Salon International de la Bibliophilie di Bruxelles. Da allora non li ho
più rivisti, sebbene abbia saputo delle loro
iniziative editoriali leggendo i giornali francesi. Rare le loro interviste, spesso svolte con
domande già prestabilite, poche le apparizioni televisive e mondane; in breve, sembrano
personaggi di certi romanzi d’ambiente ottocenteschi.
Non poco mi sorprese il fatto che ai primi di giugno di quest’anno fosse recapitata al
mio indirizzo una lettera contenente un piccolo manifesto, concernente alcune iniziative editoriali (lo riproduco) e il perentorio invito a presentarmi nella tarda mattinata (ore
10.15) del 9 giugno presso l’imbarco dell’Isola dei Frati. Pensai immediatamente ad
uno scherzo di qualche buontempone o alla
trappola di qualche malfido personaggio, ma
decisi lo stesso a stare a questo gioco e a recarmi all’appuntamento.
Solo verso le 10.30, davanti al chiosco
dell’unico ristoro isolano, due signori, entrambi con un elegante abito chiaro, si presentano come Monsieurs Jacques Bouvard
ed Jean Pécuchet Leuwen, e senza tanti convenevoli mi accompagnano dentro una casa
malferma - “L’abbiamo comprata da quattro
anni ed è ancora in eistrutturazione” –. Qui
mi vengono incontro, come ad un novello
Ulisse, il loro cane Kortis, le loro signore
Madame Eugènie nata Grandet e Madame
Emma nata de Chevreuse e i loro tre bambini
Ferdinand, Désirée e Louis.
Mi siedo all’ombra di un pino marittimo e
con estremo candore apro il taccuino ed iniziamo la conversazione..
Partiamo dal manifesto. Leggo che volete creare una collana intitolandola Arbor librorum. Come sono nati l’idea e il
simbolo?
BOUVARD: Tutto è partito dalla suggestione di tre libri che abbiamo cercato con
ansia. Si tratta dell’Arbor scientiae di Raimondo Lullo (1505), della Quinta essentia
di Leonhart Thurneisser zum Thurn (1574)
e dell’Alchymiae complementum et perfectio di Samuel Norton: in entrambi sono
presenti xilografie con alberi filosofici. E
nel momento che pensavamo ad un marchio
per la nostra collana abbiamo ritenuto che
fosse proprio l’albero con dei libri aperti a
rappresentare nel modo più convincente la
nostra concezione di editoria indipendente:
svolgere una funzione culturale associata
a quella civile e portare avanti lo scopo di
non rassegnarsi al profitto del mercato che
vuole immediatamente (e costruisce) bestseller spesso scritti in modo penoso.
PÉCUCHET: Concordo con mio cugino
in tutto anche se penso che spesso la fortuna
di un testo non la facciano né l’autore, né il
lettore, ma quella figura che riesce a captare,
lusingare e pertanto a dirigere i gusti del lettore. Vi è sempre meno destino attorno ad un
libro e sempre più fabbricazione. Poi interviene la casualità (forse un po’ manovrata)
ed abbiamo le sorprese.
Nel mondo dell’editoria e del collezionismo voi siete conosciuti come persone
un po’ “antiquate”, siete entrambi sulla
cinquantina, avete alle spalle studi filosofici e giuridici, e soprattutto avete molte
influenze. E quindi, scusate la schiettezza,
perché giocare così per lanciare una collana editoriale?
PÉCUCHET:Mettiamola così. Sarebbe
stato molto semplice convocare per una cena
pantagruelica i nostri amici giornalisti (che
ci frequentano per amicizia, ribadisco) e farli interessare a questo evento. Chiamare un
buon ufficio stampa, o un autore di successo
e farlo parlare in qualche trasmissione televisiva più o meno seria. Insomma basterebbe
usare quegli strumenti che si sono tramutati
oggi nella più raffinata involuzione di quanto
scoprì Gutenberg.
BOUVARD: L’idea del foglio volante
come avviso pubblicitario riprende l’esempio di Heinrich Eggstein di Strasburgo e poi
a seguire di Peter Schöffer, di Berthold Ruppel, di Sweynheym e Pannartz fino ai vostri
futuristi: un ritorno alle origini, alla carta
povera, al carattere tipografico da sperimentare, all’inchiostratura da definire nelle sue componenti chimiche. Sì, abbiamo
voluto sentirci come dei semplici artigiani
che possono essere considerati dei presuntuosi. Tuttavia c’interessa proporre materialmente dei libri che possiedano i caratteri della sobria eleganza (ha mai visto di
persona la prima edizione dei Canti orfici
di Dino Campana oppure della Une saison
en enfer di Arthur Rimbaud? Sono esemplari di assoluta povertà materiale che hanno
avuto però un impatto quasi mitico sulla letteratura).
Veniamo ai contenuti. Nel manifesto
voi dite che stamperete testi di autori che
parleranno della propria biblioteca personale, dei libri della propria vita e della propria professione, di quali romanzi avrebbero voluto essere gli autori o i
protagonisti e che potranno descrivere e
far fotografare la loro libreria, gli scaffali, la scrivania, il semplice tavolo di lavoro.
BOUVARD: Le cito tre libri che possiamo pubblicizzare perché sono intelligenti, sobri nel contenuto e raffinati nell’impaginazione. Sono in ordine, e li consiglio ai lettori, Une bibliothèque excentrique di Jean-Baptiste Baronian, D’une
biblioteque l’autre di Enis Batur ed infine lo splendido catalogo Description raisonnée d’une jolie collection de livres. Le
Promeneur vingt ans d’édition nella quale
sono presentati dei racconti sulla biblioteca ideale scritti da Alberto Arbasino, Marc
Augé, Yves Bonnefoy, Erri De Luca, Hans
Magnus Enzensberger ed altri.
PÉCUCHET: Per me fu deliziosa la lettura de La febbre dei libri. Memorie di un
libraio bibliofilo di Alberto Vigevani e quel
raccontino La mappa offuscata della mia
Parigi. Quindi siamo, come vede, partiti da
letture precedenti, da suggestioni e abbiamo pensato di creare questa collana aperta a chiunque abbia intessuto la propria esistenza con i libri. Ci piace poi l’idea che lo
scrittore come il cuoco, il giornalista come
il banchiere, l’operaio come lo psichiatra
(sono casuali questi accostamenti) descrivano al lettore, e forse anche a sé stessi,
quali personaggi d’invenzione o della realtà avrebbero voluto essere. Non le nascondo
che a me sarebbe piaciuto essere il pittore
Chardin mentre mio cugino avrebbe voluto
essere l’incarnarzione nel connubio KafkaSvevo (sarebbe uscito un tipo lombrosiano
assai divertente). Ah, mi dimenticavo di una
cosa che non si può perdonare a chi frequenta questo piccolo mondo dell’editoria. Vede
questo libro di Umberto Eco: si chiama La
misteriosa fiamma della regina Loana. Il
protagonista, un librario antiquario di Milano, si risveglia dal coma e mantiene intatta
la memoria su letture, sul contenuto dei libri
mentre non sa quale sia il suo nome, la sua
biografia. Pensandosi Bodoni e Arthur Gordon Pym trascorrerà gran parte della sua
degenza a ricostruire la sua memoria biografica attraverso le copertine dei libri che
ha letto e che ancora possiede. Mi affascina
molto questo strumento psicologico e difatti
ritengo con mio cugino che nel momento in
cui lo scrittore parlerà della sua biblioteca
percorrerà il proprio intimissimo tempo passato e scoprirà e penserà inevitabilmente a
certi episodi, a determinate figure, a precise
ombre, a scolorite sensazioni. In breve parlando della sua biblioteca riscriverà la sua
vita e aiuterà il lettore a percorrere la propria esistenza o il personale passato.
l’arte di fare libri
“Ma lei resterà fino a stasera?” mi domanda Ferdinand, uno dei figli. “Ovviamente”, risponde per me Jacques Bouvard.
Mi chiedono della vita culturale a Trieste,
si interessano della Libreria Antiquaria
Umberto Saba, mi fanno vedere dei libri di
Tomizza e di Virgilio Giotti, poi mi parlano
delle traduzioni francesi dei loro scrittori
italiani preferiti come Erri De Luca, Antonio Tabucchi, Claudio Magris, Boris Pahor,
Paolo Rumiz, Valerio Magrelli. Sono calmi e posati nei giudizi sebbene traspaia
dalle loro parole, dal colore e dal tono del
loro linguaggio, la nobiltà della letteratura; ci piacciono moltissimo Marc Fumaroli
ed Umberto Eco ma i nostri padri, i nostri
classici sono sempre Flaubert e Stendhal.
Nel manifesto create un po’ di attesa invitando lettori, scrittori ed editori a parlare della collana (che ancora non è presente
se non nella vostra mente) e a sollecitarne l’uscita. Ma effettivamente come volete
strutturare tali libri e per quale motivo dovrei pubblicizzarli?
BOUVARD: Qualche tempo fa, penso
cinque-sei mesi addietro, mi sono rimesso a
rileggere dei libri che avevo già conosciuto
e frequentato con un piacevole diletto per
gli occhi. Osservando questi libri ho pensato, assieme a mio cugino, a quale modello
fare riferimento. Ora non vogliamo essere
presuntuosi e pensare che noi creeremo un
nuovo formato, una nuova impaginazione:
non siamo grafici come Albe Steiner, Robert
Massin o Germano Facetti, legatori come
Georges Leroux e nemmeno degli artisti
come Sonia Delanauy, Laure Albin-Guillot
o Matisse. Con questo però voglio rassicurare i nostri possibili lettori dicendo a loro
che volendo possiamo affidarci ai migliori
grafici ed artisti (e forse più in là nel tempo lo faremo). Lo stesso manifesto è stato
creato da un grafico italiano di primo livello che vuole mantenere la sua riservatezza.
PÉCUCHET: I nostri libri prenderanno
a modello alcune edizioni. “Vede alcuni modelli…” [A questo punto mi mette sul tavolo
ben sei libretti di quel formato e vi trovo la
collana “nugae” de il melangolo, “Quaderni del tempo” delle Edizioni San Marco dei
Giustiniani, i “Testi inediti e rari del novecento” di Via del vento, “La memoria” di
Sellerio, lo “Zibaldone” di Anita Pittoni
ed infine gli “Archivi della memoria” de Il
Ramo d’Oro Editore. Ai miei occhi si crea
una geografia editoriale che parte da Trieste e va a Genova passa a Pistoia e termina
a Palermo, ndr]. Libretti così, agili e ben legati con carta di pregio raffinata e con un
carattere tipografico leggibile che riposa
agli occhi .
BOUVARD: Sono d’accordo con mio
cugino, l’editore serio - caro amico - è
come un direttore d’orchestra che ha il
dono dell’orecchio e che deve armonizzare
i componenti che ne fanno parte. E si deve
iniziare proprio dall’ebbrezza che la vista
di un oggetto può suscitare. L’editore offre
il via alla musica e poi tocca allo scrittore,
al grafico, al tipografo, al lettore, ai critici
creare le variabili interpretative.
Li saluto e allontanandomi dalla loro dimora penso alla magia del luogo e alla sospensione del tempo. Sarà stato anche il paesaggio vissuto non come un turista della domenica ma come un viaggiatore senza orologio. Ma il risveglio alla realtà è immediato:
l’improvviso suono del cellulare che avevo
lasciato in macchina mi ricorda gli appuntamenti e le scadenze. Per l’appunto il decimo anno di “Residenze Estive” a Duino dal
25 al 29 giugno dove forse verranno anche
i due editori-collezionisti con famiglia e il
cane Kortis. Lo ammetto: non pensavo che
esistessero persone nell’editoria (mi ricordo
Vanni Scheiwiller) che riuscissero ancora a
trasformare il loro lavoro in un atto poetico. A trasformare dei libri in un «Arbor librorum»!
8 cultura
Sabato, 20 giugno 2009
CARNET CULTURA rubriche a cura di Viviana Car, Lara Drčič, Helena Labus
I LIBRI PIÙ VENDUTI
IN ITALIA
A
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Danilo Türk
Na poti preobrazbe
GV založba
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Julie Garwood
Poroka
Mladinska knjiga
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Harald Havas
Treniranje
inteligence
Mettis Bukvarna
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Stephenie Meyer
Mlada luna
Učila international
I
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L
S
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B
Roger Willemsen
Tu Guanatanamo
Ciceron
I
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C
T
Maryline Desbiolles
Sipa
Novela Medija
Sanja Mihaljinac
Ndrangheta – Tko
stoji iza majmoćnije
mafije svijeta?
AGM
Charles Bukowski
Pošta
Primus Distribucija
I
Mirjana Krizmanić
Tkanje života
Profil International
L
Minette Walters
Kameleonova sjena
Mozaik knjiga
S
N
U
Katharina Hagena
Okus jabučnih
koštica
Novela Medija
Rado Pezdir
Slovenska tranzicija: od
Kardelja do tajkunov
Časnik Finance
U
B
Roberto Saviano
Gomora
Mladinska knjiga
P
B
Stephenie Meyer
Somrak
Učila international
Franjo Štiblar
Svetovna kriza in Slovenci: kako jo preživjeti
Znanstvenoraziskovalni
center-SAZU
P
Govor tišine
VBZ
Eric J. Hobsawn
Zanimljiva vremena
Disput
I
Erri de Luca
Il giorno prima della
felicità
Feltrinelli
Alfonso Signorini
Chanel. Una vita da
favola
Mondadori
C
Gianluigi Nuzzi
Vaticano Spa
Chiarelettere
IN SLOVENIA
Eckhart Tolle
I
Roberto Saviano
La bellezza dell’inferno. Scritti 2004 -2009
Mondadori
Cormac McCarthy
Cesta
Profil International
L
Rita Levi Montalcini
Cronologia
di una scoperta
Baldini Castoldi Dalai
Dunja Ujević
Zlatko Sudac Razgovori
Joshua
B
Giorgio Faletti
Io sono Dio
Baldini Castoldi Dalai
Stephenie Meyer
Praskozorje
Algoritam
B
Corrado Augias
e Vito Mancuso
Disputa su Dio e dintorni
Mondadori
U
Alicia Giménes Bartlett
Il silenzio dei chiostri
Sellerio Editore Palermo
P
Stephenie Meyer
Breaking dawn
Fazi
Allen Carr
È facile smettere di
fumare se sai come
farlo (per le donne)
EWI
IN CROAZIA
CALENDARIO: GLI APPUNTAMENTI CULTURALI IN ISTRIA, QUARNERO E DINTORNI
CULTURA ITALIANA
LA CNI
Isola, Galleria Krajcar, resterà in visione fino a l 24
giugno la mostra fotografica RIFLESSI DELL’ANIMA del Laboratorio del fotoamatore della CI “Dante
Alighieri”.
Pola, Forum la SAC “LINO MARIANI” presenta il suo
ricco repertorio il 3 luglio.
Rovigno, Chiesa di San Tommaso, la personale di
EGIDIO BUDICIN che si presenta con quadri ispirati al Verbo, rimane aperta al pubblico fino al 4 luglio.
Isola, Palazzo Manzioli, la decima edizione della mostra ARS FOROIULANA rimarrà in visione fino al
7 luglio. Partecipano con le loro opere Mario Alimede, Paolo Berlasso, Bruna de Fabris, Ugo Gangheri,
Maura Israel, Roberto Milan, Claudia Raza, Shoichi
Takahashi.
GLI ALTRI
Zagabria, Galleria di Belle arti, in collaborazione con
il IIC fino al 28 giugno rimarrà in visione la mostra
fotografica di Neda Miranda Blažević-Krietzman
VENEZIA IN LAS VEGAS.
Lubiana, Museo etnografico sloveno, in collaborazione con il IIC e l’Ambasciata d’Italia l’esposizione fotografica SGUARDI – LA FOTOGRAFIA NEL
FRIULI VENEZIA GIULIA DEL XX SECOLO rimane in visione fino al 15 settembre.
Venezia, Galleria A + A, nell’ambito della Biennale la
Slovenia viene rappresentata dal progetto di Miha
Štrukelj INTERFERENZA IN CORSO da visitare
fino al 22 novembre.
ISTRIA E QUARNERO
Pirano, Galleria civica, l’opus artistico comprendente
quadri, disegni e vasi dell’artista ZORAN MUŠIČ
viene presentato fino al 21 giungo.
Fiume, Archivio di Stato, l’esposizione HORTUS SANCTI VITI – I MOTIVI FLOREALI E VEGETALI
DEL FONDO D’ARTE SACRA DELLA CATTEDRALE DI SAN VITO DAL 17.ESIMO AL 20.ESOMO SECOLO rimane in visione fino al 21 giugno.
Pisino, Castello la manifestazione LE GIORNATE DI
GIULIO VERNE si svolgeranno il 25 e 26 giugno.
Pola, CMM Luka, triplice esposizione alla Galleria
Anex. Fino al 26 giugno si possono ammirare la serie
di installazioni di Bojan Šumonja MY HOMELAND/
CROATIAN FLAG PROJECT, l’esposizione fotografica di Jadranka Letinić CON LA MANO E IL TEMPO e la mappa artistico-letteraria di di Renato Percan
e Dragan Orlić STREGHE, CAPRONI E VERGINI.
Grisignana, Galleria Fonticus, il progetto tematico
FUOCO, opera di un gruppo di artisti, si può visitare
fino al 29 giugno.
Cittanova, Galleria Rigo, si intitola DISCORDIA la
mostra di Tomislav Čeranić in visione fino al 30 giugno.
Umago, Galleria Marin fino al 30 giugno LJUBO DE
KARINA si presenta con le sue sculture.
Parenzo, Museo civico, si intitola LE FONTI DELLA
VITA: L’ACQUA DEL PARENZANO NEI SECOLI PASSATI, la mostra storica in visione fino al 30
giugno.
Fiume, Piccolo salone, la giovane artista Lada Sega si
presenta fino al 5 luglio con il suo progetto goGLOBAL.
Pirano, Galleria Herman Petrič, la duplice esposizione
di opere video e di tele INTRECCIO presenta fino all’
8 luglio l’artista Vesna Čadež.
Anno IV / n. 40 del 20 giugno 2009
“LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina
IN PIÙ, supplementi a cura di Errol Superina / Progetto editoriale di Silvio Forza
Art director: Daria Vlahov Horvat / edizione: CULTURA
Redattore esecutivo: Silvio Forza
Impaginazione: Željka Kovačić
Collaboratori: Gianna Dallemulle Ausenak, Ezio Giuricin, Francesco Cenetiempo,
Elis Deghenghi Olujić, Tiziana Dabović e Viviana Car
La pubblicazione del presente supplemento viene supportata dall’Unione Italiana grazie alle risorse stanziate dal Governo italiano
con la Legge 193/04, in esecuzione al Contratto N° 83 del 14 gennaio 2008, Convezione MAE-UI N° 2724 del 24 novembre 2004
Rovigno, Museo civico, la personale di ZDRAVKO MILIĆ
ispirata sulle teorie di David
Icke e Zecharia Sirchin rimane in visione fino al 9 luglio.
Pola, Arena, Castello e Cinema
Valli, la 56.esima edizione del
FESTIVAL DELLA CINEMATOGRAFIA si svolgerà
dal 18 al 25 luglio.
Montona il MOTOVUN FILM FESTIVAL è in programma dal 27 al 31 luglio.
Capodistria, Galleria Medusa, Orna Lutski, artista
israelita, offre al pubblico fino al 30 luglio la sua visione delle BANDIERE NEL MAR MEDITERRANEO.
Umago, Galleria Marino Cettina, l’artista LORENA
MATIĆ si presenta con il suo ultimo ciclo di tele. Da
visitare fino al 31 luglio.
Visinada, Centro astronomico fino al 20 agosto gli interessati possono frequentare i laboratori della SCUOLA DI ASTROLOGIA E DELLA SCIENZA.
Pisino, Museo etnografico dell’Istria, si intitola VALIGIE E DESTINI – L’ISTRIA FUORI DALL’ISTRIA
la mostra storica che rimarrà a disposizione del pubblico fino al 30 settebre.
Pola, Ninfei, la manifestazione LO SPLENDORE ANTICO DELL ARENA si protrarrà fino al 30 settembre.
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20.6.2009 - EDIT Edizioni italiane