magazine NUMERO VENTUNO esprino Il Il diario diariio online on nline del del Lions Lions Club Club Palermo Palermo dei deii Vespri Vespri Lions Club International Palermo dei Vespri - Distretto 108 Y/b - Circoscrizione I - Zona 1 SOMMARIO Vesprino Magazine Editoriale Editoriale di Settembre Care Amiche, Cari Amici si ricomincia. La ripresa è dura ed il ricordo delle vacanze ancora troppo forte. L’estate sembra non voler finire e le notizie dell’incipiente crisi economica non danno tregua. Nell’incertezza ci interroghiamo sul futuro, senza riuscire ad intravederlo. Siccome non c’è molto da scegliere, non resta che mantenere vivo l’ imGabriella Maggio pegno dei tempi tranquilli verso noi stessi e gli altri . La lettura non risolve i problemi, ma scaccia la noia e può farci venire qualche idea interessante. Perciò buona lettura. Gabriella Maggio Cuochi per un giorno Attilio Carioti Errore di traduzione Giuseppina Cuccio Salotto di Gabriella Carmelo Fucarino Giustino Fortunato Beniamino Placido Il lungo cammino delle parole Sergio Palade’ La sicilia e le speranze di riscatto Carmelo Fucarino Marcia della pace Perugia-Assisi Giuseppina Cuccio Nel centocinquantesimo anniversario dell’Unita’d’Italia Gabriella Maggio Nati non foste Carmelo Fucarino Premio poesia Loredana Torretta Gabriella Maggio Intervista a Loredana La Puma Gabriella Maggio Nel centocinquantesimo anniversario dell’Unita’d’Italia Massacro alle Pribilof Walter Bonatti Quid ergo est tempus ? Visita > Leggi Ricordi peronisti Commenta > Collabora > Scrivi VesprinoMagazine incontriamoci in rete Gabriella Maggio Attilio Carioti Marinella Natale Caronia Valentina Mirabella Daniela Crispo Raffaello Piraino Giuseppina Cuccio Gianfranco Romagnoli Carmelo Fucarino Daniela Scimeca Gianfranco Romagnoli Come eravamo-sulla tavola del principe Renata De Simone Sventurata la terra che ha bisogno d’eroi Giuseppina Cuccio Viaggiatori stranieri in Sicilia Hanno Partecipato a questo numero: Tommaso Aiello Carmelo Fucarino Uno scenario verso la charezza lionspalermodeivespri.wordpress.com Comitato di redazione: Gabriella Maggio (Direttore) Mimmo Caruso • Renata De Simone Carmelo Fucarino • Francesco Paolo Scalia Fabio Russo Daniela Crispo Birmania, riflessi d’anima Gabriella Maggio Con l’occhio dei bambini Gabriella Maggio E avanti alui tremava tutta Roma Carmelo Fucarino Eugenio Montale Gabriella Maggio Glossario della biancheria intima Raffaello Piraino Il presidente Napolitano apre l’anno scolastico Gabriella Maggio Le ricette letterarie di Marinella 2 Pino Morcesi Marinella Palazzo Florio-Fitalia Gigliola Siracusa Palazzo Florio-Fitalia Gigliola Siracusa Lions Club CUOCHI PER UN GIORNO Prima gara maschile di cucina del Lions Club Palermo dei Vespri di Attilio Carioti E i dolci, la crostata di pesche di Oreste Milazzo ed i cannoli e la cassata di Pietro Manzella. E tante altre cose come i fagioli alla Bud Spencer e varie insalate di riso. I soci del Lions Club Palermo dei Vespri sono dei veri cuochi? Questa è stata la sfida lanciata dal Presidente Gianni Ammirata, che ha organizzato sul green di Rosalba e Gerardo la prima manifestazione culinaria maschile del Club. Le pietanze sono state sottoposte ad una giuria presieduta da Elio Costanza, composta rigorosamente da donne: R. Maria Motisi, Cettina La Ferlita, Terry Cangemi, Rosalba Bellavia, Gabriella Maggio. La giuria ha apprezzato tutti i cuochi e pur rilevando che i piatti non si discostavano da un orizzonte casalingo soprattutto nella presentazione, ha sottolineato la bontà degli ingredienti usati. Il pubblico ha seguito con attenzione i lavori della giuria, impaziente di gustare le pietanze. La giuria ha valutato le pietanze in base alla presentazione, al gusto, all’originalità degli ingredienti con un voto da 0 a 5. I piatti cucinati erano tutti buoni dal couscous di pesce di Giuseppe Gelardi alla pasta fritta di chi scrive, all’insalata esotica di riso e verdure di Luigi Tripisciano. Non mancavano i secondi come le polpettine in agrodolce di Gioacchino Messina , gli involtini di spada patriottici, perché tricolori, di Salvatore Zambito. A conclusione della serata la premiazione. Per i dolci Pietro Manzella. Il premio viene consegnato dal Secondo Vice Governatore eletto, Gianfranco Amenta. Per la presentazione Salvatore Zambito. Per l’originalità degli ingredienti Luigi Tripisciano. A Pietro D’Arca il premio simpatia. 3 Astronomia/Letteratura ERRORE DI TRADUZIONE di Giuseppina Cuccio N el 1896 Percival Lowell, attraverso la divulgazione scientifica di Camille Flammarion, ha notizia delle osservazioni su Marte di Giovanni Schiapparelli, che ha visto sulla superficie del pianeta delle strisce ed ampie macchie interpretate come distese d’acqua. Schiapparelli chiama le strisce “canali”. Entusiasmato da queste notizie Lowell fa costruire un osservatorio in Arizona per approfondire la conoscenza del pianeta rosso, partendo proprio dai testi di Schiapparelli. Ma ecco che qualcosa s’inceppa a sua insaputa. Infatti traduce “canali” con “canals”, cioè canali esclusivamente artificiali, in inglese. Quindi su Marte, secondo Lowell ci sono operosi ed intelligenti” marziani” che convogliano l’acqua dei ghiacciai polari disciolti vero le zone equatoriali. Disegna mappe del pianeta solcato da lunghi canali dritti che convergono in zone occupate, secondo lui, da città. Il 27 agosto 1911 il New York Times pubblica la notizia che su Marte c’è vita. Le fotografie scattate dalla sonda Mariner 4 nel 1965 dissiperanno ogni illusione . Giustino Fortunato benestante e pessimista G di Beniamino Placido* lunga, onorevolissima carriera parlamentare paziente e operosa, come il lavoro di un contadino. Da parlamentare aveva diritto al “permanente”, a viaggiare gratuitamente sui treni. Si raccontava in paese che lui quel permanente usava infilarlo nella tesa del cappello, bene in vista. Una volta salito in treno tirava fuori dalla tasca il biglietto, che si era comprato con i suoi soldi, e lo mostrava agli astanti. “Non sono uno che approfitta della sua posizione”. Noi abbiamo avuto modo in questi anni di vedere tante persone assai più benestanti di Giustino Fortunato che non si accontentano mai di niente. iustino Fortunato (uno dei più eminenti meridionalisti) era un aristocratico signore di famiglia borbonica, ricca di terre che amava intensamente, le visitava ed esplorava a piedi. “Per venticinque anni, nella estate, io percorsi tutta l’Italia meridionale, tutta pedestremente, dal Gran Sasso all’Aspromonte”. La conosceva e non si faceva nessuna illusione. Malgrado il mare, il sole, non era affatto un’isola felice, come raccontavano i viaggiatori romantici. Il Mezzogiorno, ripeteva, è “uno sfasciume geologico pendulo tra due mari”. Pessimista e dunque rinunciatario ? No, tutt’altro. Pessimista e quindi nient’affatto rinunciatario. Le cose che si potevano fare bisognava farle. E diede una buona mano a farle nella sua *Beniamino Placido,1929-2010, giornalista, scrttore . Da Nautiilus - Laterza - 2010 4 Letteratura IL LUNGO CAMMINO DELLE PAROLE di Sergio Paladé Piercing D al verbo latino pertundere (bucare, forare) in particolare dalla forma del participio perfetto pertusum (bucato, forato) al provenzale pertusar, dal quale l’italiano pertugiare, al francese percer, all’inglese to pierce da cui piercing. In lingua siciliana pirciari. Pirciaricchi sono i primi orecchini d’oro delle bambine. Si usavano per bucare il lobo delle orecchie alle neonate. Marcia della pace Perugia-Assisi Ventiquattro chilometri percorsi in sei ore di Giuseppina Cuccio e all'acqua; promuovere un lavoro diCinquantesimo anniversario della gnitoso per tutti; investire sui giovani, Marcia per la pace da Perugia ad Assull'educazione e la cultura; disarsisi. Il 24 settembre 1961 Aldo Capimare la finanza e costruire un'econotini, filosofo della non violenza, mia di giustizia; ripudiare la guerra, organizza la prima marcia sotto la tagliare le spese militari; difendere i bandiera della pace, così intitolata: beni comuni e il pianeta; promuovere “Per la pace e la fratellanza tra i poil diritto a un'informazione libera e poli”. pluralista; fare dell'Onu la casa coNel libro Opposizione e liberazione mune dell'umanità; investire sulla soil filosofo così descrive l'esperienza cietà civile e sullo sviluppo della della marcia : "Aver mostrato che il democrazia partecipativa; costruire pacifismo che la nonviolenza, non Aldo Capitini società aperte e inclusive». Quesono inerte e passiva accettazione dei st’anno è stato riproposto il tema del 1961 per lanciare mali esistenti, ma sono attivi e in lotta, con un proprio un nuovo appello per la pace e la fratellanza dei pometodo che non lascia un momento di sosta nelle sopoli, richiamando il primo articolo della Dichiarazione lidarietà che suscita e nelle noncollaborazioni, nelle Universale dei Diritti Umani che proclama: “Tutti gli proteste, nelle denunce aperte, è un grande risultato esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e didella Marcia". I sempre numerosi partecipanti alla ritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e demarcia ogni anno richiamano l’attenzione del mondo su alcuni principi ineludibili, ma purtroppo disattesi, vono agire gli uni verso gli altri in spirito di che consistono nel : «garantire a tutti il diritto al cibo fratellanza”. 5 Letteratura Salotto di Gabriella dedicato a Rosa Balistreri di Carmelo Fucarino L ’ultimo appuntamento pre-estivo del salotto letterario di Gabriella Maggio, organizzato dalla dinamica Maria Di Francesco, presidente dell’Associazione Volo, il 30 giugno 2011 ha trovato la sua location in un luogo della memoria, quella biblioteca comunale che ci ha visto alla scoperta dei suoi tesori negli anni gioiosi. Quella sala di lettura in penombra, quel silenzio che odorava di carta antica, diversa dall’ariosità della sala dell’altro sito gesuitico, la Biblioteca, allora Nazionale, del Collegio gesuitico. Al centro di questo arioso colonnato Gabriella Maggio ha introdotto il genere particolare della poesia popolare e la specificità della canzone folk in lingua siciliana, certamente, come ha fatto osservare, sacrificata dall’invadenza e dalla preponderante fama universale della canzone napoletana, che tra l’altro non è sentita come folklore, ma è vera e propria creazione di cantautori come quella in lingua italiana. Nell’abituale dialogo con l’autore del volume Rusidda… a licatisi, Nicolò La Perna, Gabriella ha analizzato la struttura dell’opera, articolata in diverse sezioni, temi e aspetti della ricerca dell’autore. Questi, a partire dalla biografia che ha completato con nuovi apporti rispetto a quella tradizionale, scarna e ormai introvabile, ha fornito altra documentazione con testimonianze di amici e conoscenti della cantautrice. Il libro è completato dalle esperienze teatrali e musicali, l’ascesa nazionale con Ci ragiono e canto di Dario Fo, il cimento con la Ballata del sale, fino alla Lupa, alla Lunga notte di Medea e alle Eumenidi, è arricchito dai testi e dalle partiture di tutte le canzoni. L’intervento video di Ignazio Buttitta, le testimonianze di amici, la voce vibrante e accorata della giovane Laura Campisi hanno reso piacevole la serata che Gabriella ha tenuto sempre ad alto livello culturale. Se mi è permesso, un ricordo strettamente personale. Fu una serata indimenticabile, propiziata dall’amore per le esperienze letterarie, non solo quelle nazionali, ma anche quelle tipicamente siciliane, del Centro di Cultura Siciliana “G. Pitré”, la creatura di Domenico Bruno, presidente dal 1973, che amò e guidò con infaticabile amore insieme a un gruppo attivo di fondatori nel 1970, fra i quali mi onoro. Si volle creare una serata dedicata, in un piccolo teatro, che ricordo nella evanescenza della favola e del sogno, forse il Teatro Teatès del compianto Michele Perriera. E si cominciò con l’arte della parola e del gesto epico, la voce e i movimenti scenici di Mimmo Cuticchio, i suoi splendenti paladini, il tradimento del perfido Gano e poi l’amuri di Angelica e i primi timidi sacrileghi trasbordi nei miti popolari. Poi si offrì nella sua semplicità, nel volto frastagliato di popolana la Rosa, in mezzo a noi, a toccare il suo vestito zingaresco, a percepire i sospiri, i rantoli, le effusioni del suo amore infinito che straripava (allora non era imperante il letterario “esondare” di originali cronisti TV) e ci sommergeva tutti, pochi intimi a godere delle sue creazioni. Fra tutti ricordo quel celebre lamento, così ricordato da Ignazio Buttitta (20 ottobre 1984): “Io ho incontrato Rosa Balistreri a Firenze, circa 22 anni fa, in casa di un pittore mio amico. Quella sera Rosa cantò il lamento della morte di Turiddu Carnivali che è un mio poemetto. Quella sera non la dimenticherò mai. La voce di Rosa, il suo canto strozzato, drammatico, angosciato, pareva che venissero dalla terra arsa della Sicilia. Ho avuto l’impressione di averla conosciuta sempre, di averla vista nascere e sentita per tutta la vita: bambina, scalza, povera, donna, madre, perché Rosa Balistreri è un personaggio favoloso, direi un dramma, 6 un romanzo, un film senza volto”. Tutti citano il rapporto con Sciascia, ma la vera simbiosi psichica e sentimentale fu con Ignazio, un dialogo che era in sintonia con la loro anima popolana, lei spigolatrice di Licata, lui commerciante di Bagheria, alla scoperta della profonda e vergine anima popolare. Era l’impegno civile e politico che aveva dettato tanti canti, in registri diversi, dal dolore quotidiano della miseria al tema della condanna mafiosa. Solo per citare qualche canto: Acidduzzu, La virrinedda, Mirrina, La pampina di l’alivu, Cu ti lu dissi, Venniri Santu, alla celebre Mi votu e mi rivotu (cavallo di battaglia di Mara Eli, stroncata in un incidente stradale), fino al forte j’ accuse di Mafia e parrini, oppure il terribile Carzari. La giovane Francesca si è cimentata nell’ironia smagliante di Me mughhieri unn’avi pila, che si intriga con la novità della lavatrice. Poco hanno aggiunto gli altri interventi. Con diverso amore amai tra gli anni Sessanta e Settanta la voce calda e passionale di Gabriella Ferri (la morte tragica nel 2004 per una caduta dal balcone, l’improvviso ictus per Rosa), non certo quella di Dove sta Zazà, ma quella che si incanagliva con la sua Roma popolare (vi ricordate La società dei magnaccioni del 1971?). Così Le mantellate ricordava Matri chi aviti li figghi a la badia, così tanto saettare di coltelli. Così altre rievocazioni malavitose si ripetevano nelle celebri Canzoni della mala di Ornella Vanoni, già nel 1957 con le solite Mantellate e Canto di carcerati calabresi, La Zolfara. Era tutto un fervere di esperienze popolari che davano vita ad un’Italia sotterranea che era ancora viva e sentita. Quella vita eccezionale che aveva antiche radici, dal Porta del Lament del Marchionn, delle Desgrazi de Giovanin Bongee e della Ninetta del Verzee fino alla plebe gaglioffa del Belli, ma anche alla vita eccezionale degli Scapigliati. Oggi? Si corre il rischio, come giustamente ammoniva Gabriella, di fare archeologia del Folklore, di musealizzare questo immenso patrimonio di esperienze di vita. La ragione? Tutta la materia è passata in mano agli addetti ai lavori, a quella scienza che purtroppo, nell’intento di salvare quella vita, la sta imbalsamando come un imenottero, parlo, con molto rincrescimento e sine ira et studio, del laboratorio palermitano di Cocchiara, gli studiosi di tradizioni popolari o antropologia culturale. L’amore tout court di Pitrè per la tradizione popolare trasformato in scienza. Ma è soprattutto l’assenza di geni dell’affabulazione emotiva, di cantatrici come Rusidda che davano a quei canti di vita il respiro dell’anima, dalle semplici ninnananne, ai canti del lavoro (la trebbiatura o la pesca), alle proteste sociali, tutte le ricerche sul campo, che formano già un’immensa biblioteca di sapere, sono destinate a restare relitti di un passato forse irrimediabilmente perduto. 7 Arte La Sicilia e le speranze di riscatto di Carmelo Fucarino Q ualche mese addietro in fase di approvazione di bilancio il prof. Gianni Puglisi ebbe a lamentare, nelle alte stanze ministeriali della cultura, la completa ignoranza della gloriosa Società Siciliana per la Storia Patria, che nella sua secolare attività culturale, dalla fondazione nel 1873, ha visto come soci e attivi collaboratori anche ministri e primi ministri nazionali. La risposta a questo ironico apprezzamento romano è stata la presenza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano alla lectio magistralis, tenuta dal prof. Lucio Villari, ordinario di storia contemporanea a Roma Tre, nell’ambito del programma di Celebrazione del 150° Anniversario dell’Unità d’Italia che ha visto altri significativi convegni organizzati dalla Società. Fatto storico per essa in età repubblicana, ma anche eccelso riconoscimento per la cultura siciliana tutta. Nello splendido salone Di Maggio, dominato dal 8 Arte La Sicilia e le speranze di riscatto responsabilità dei governanti locali, per l’assenza di una politica industriale e per le tragedie della mafia che egli ha martellato con un elenco di nomi di cadaveri eccellenti. Ma dal pessimismo della ragione e della realtà presente le speranze mirate a tanti tesori di beni materiali e immateriali, di menti e genialità, che potrebbero fare intravedere la luce. La lectio di Lucio Villari è stata da lui stesso riassunta in una formula, «Il Risorgimento in Sicilia è stato il Risorgimento della Sicilia». Su questo assunto egli ha analizzato gli impulsi che sono venuti da tutte le classi siciliane a cominciare dalla straordinaria illusione della rivoluzione concessa dal re nel 1820, ai suoi fermenti lievitati nella vera e unica rivoluzione democratica europea del ’48, all’apporto dei duecentomila siciliani che trovarono accoglienza nel Regno di Savoia, nella strategia di freno di Cavour. Tanti gli spunti di riflessione e di approfondimento, anche per i nostri storici locali. L’apice della tensione e dell’attesa sia da parte dell’immenso pubblico che occupava anche la sala Amari e l’altra nel chiostro benedettino, sia da parte dei politici presenti è stato certamente il tema del messaggio conclusivo del Presidente Napolitano. Non è mancata l’insistenza sulla fase drammatica della nostra economia e sull’esigenza di un intervento finanziario forte, ma l’accento è stato volto soprattutto all’appello al riscatto dell’isola, alla intravista (da lui) inversione di rotta, in nuovi progetti di mutamento e di riforme. Da siciliani possiamo accogliere il suo messaggio con la prospettiva dell’augurio, anche se da quel radioso maggio 1946 poco di buono ha largito il tanto esaltato Statuto. Sappiamo cosa ne pensa uno dei padri, Alessi, ci chiediamo a cosa servirono le lotte dei fondatori, da Restivo a La Loggia, per strappare al governo nazionale quelle garanzie che non erano riusciti ad ottenere nei secoli gli aristocratici in nome di un ipotizzato ed unico Siciliae Regnum. grande dipinto di Gino Morici sull’ingresso di Federico II a Palermo, stracolmo di tutte le autorità civili (sindaco, presidente Provincia e persino Lombardo) e militari e di un drappello della cultura palermitana la prolusione del Presidente della Società Gianni Puglisi è stata un’analisi puntuale della situazione socio-politica dell’isola, a cominciare dal suo Statuto tradito ai disastri del suo fallimento politico per incuria del governo nazionale, ma anche per ir- 9 Società NEL CENTOCINQUANTESIMO ANNIVERSARIO DELL’UNITA’ D’ITALIA di Gabriella Maggio I Un’alunna di fronte alla Storia l tema è stato sempre un compito impegnativo per gli alunni della scuola italiana di ogni indirizzo, perché è una sintesi delle loro conoscenze, degli interessi e delle capacità logico-espressive. Anche oggi che é indicato con nomi diversi, analisi testuale, articolo di giornale, saggio breve mantiene una posizione centrale nel percorso formativo. Casualmente ed in maniera del tutto inaspettata ho ritrovato alcuni temi di una certa Anna Maria che ha frequentato una scuola superiore, molto probabilmente di indirizzo classico, nel ventennio. Il ritrovamento è stato del tutto casuale. A Palermo, quando si va a piedi, si cammina spesso con gli occhi fissi a terra per evitare la sporcizia e le buche, anche nelle vie dei quartieri residenziali. Un pomeriggio di pioggia improvvisa, mentre camminavo molto concentrata su dove mettevo i piedi, ho intravisto vicino ad un cassonetto dei rifiuti dei fogli protocollo ancora non inzuppati dalla pioggia, segnati da una scrittura nitida e regolare, a volte attraversati da segni di matita rossa e blu. Incuriosita li ho raccolti, tra gli sguardi attoniti dei passanti, e subito ho avuto la sensazione di avere trovato qualcosa di interessante. Non mi sbagliavo, erano i temi svolti da una certa Anna Maria tra il 1934 ed 1936. I “temi di composizione” riguardano l’attualità politica, il commento a testi letterari, la riflessione sulla ricchezza e la povertà, sui sentimenti familiari, sui doveri. Lo svolgimento non si discosta dagli stereotipi del tempo, ma Anna Maria è sinceramente convinta di quanto afferma, non lascia trapelare dubbi o incertezze. Quanto è frutto spontaneo e quanto è indottrinamento, molto probabile, se non d’obbligo nelle aule in quegli anni, è difficile da stabilire. Più interessanti degli altri mi sono sembrati quelli di argomento politico. In “ Le Paludi Pontine ( soggiorno di desolazione e di morte) Littoria e Sabaudia ( rinnovamento e lavoro di vita)” svolto il 2 maggio 1934XII, Anna Maria scrive :” Per molto tempo le Paludi Pontine furono causa di morte; oggi il Duce ha bonificato quel terreno, e nuove città sono sorte dove prima la malaria infestava le terre dell’Urbe “ . In ” Si rinnova l’Impero di Roma e la Pace Romana dice ancora una volta al mondo la sua parola di Pace e di civiltà “, tema assegnato a caldo il 14 maggio 1936, la giovane Anna Maria si dichiara sinceramente entusiasta della conquista dell’Etiopia :” …gli Italiani accorrono giubilanti ad ascoltare la voce del Condottiero. Il Duce dà l’annuncio che ciascuno ha atteso con trepida gioia: la guerra è finita, l’Etiopia è italiana, la nostra Vittoria è immensa ….Roma ha ancora vinto, come sempre e sui suoi colli fatali è riapparso il nuovo Impero dell’Italia Fascista”. In “Commenta la scultorea frase del Duce: ” E’ riapparso l’Impero sui colli fatali di Roma”, così scrive Anna Maria :” Il Duce con il Regime Fascista ci ha preparato un’era di prosperità e di forza ed ancora oggi ci ha dato un Impero; abbiamo avuto la fortuna di acclamare il Re tre volte Vittorioso, siamo orgogliosamente fiere della nostra Patria, prima fra le grandi potenze del mondo”. Antica e velleitaria ambizione italiana ( n.d.r.). Per buona pace dei “Laudatores temporis acti” nei compiti di Anna Maria non mancano gli errori d’ortografia, le improprietà lessicali, gli errori di sintassi, una certa superficialità di pensiero, scrupolosamente segnati dall’insegnante. 10 Società Nati non foste 2 di Carmelo Fucarino 9 agosto 2011, un secolo e un anno, dire 101 anni di vita. Era l’anno 1910, quando mons. Carmelo Amato vedeva la luce, uno dei tanti figli di una famiglia numerosa dell’epoca. Anna Kuliscioff tuonava contro il gruppo socialista che aveva votato la fiducia a Luzzati, entrando «nel gran calderone dei ciarlatani del mondo politico borghese», e si formavano i primi nuclei di Azione Cattolica. Eppure le lunghe esperienze di vita non hanno affievolito quello spirito guerriero, quella freschezza di ricordi e di intelligenza, la straordinaria capacità di cogliere i mutamenti della società contemporanea e riviverla nella sua traiettoria esistenziale. Ha accolto con amore ed entusiasmo l’invito ad essere presente alla presentazione della mia raccolta di poesie, Percorsi di labirinto, nella sala consiliare di Prizzi, avvenuta il 26 agosto con la magistrale introduzione e sintesi tematica e stilistica di Tommaso Romano. Quello che però era il clou della serata era per me il recital, la parola che attraverso la voce diventa vita. Di questo devo dare un grazie di cuore a tutti coloro che si sono cimentati in questo arduo compito, trasformare in attimi di vita un bebiomenon risolto in lampi lirici e segni assemblati di alfabeto. Da parte mia devo dire che la magia della serata ha segnato il mio cuore nel ricordo dei miei anni scolastici, rivissuti dalla voce tremolante del mio professore di religione. A ben pensarci in quel mio ingresso alla scuola media egli non era un ragazzino, se già aveva compiuto i suoi trentotto anni, quel fatidico e gravido di eventi 1948. Non sentii il risveglio di quel 1° gennaio con la Costituzione repubblicana, né seppi dell’assassinio di Gandhi. Eppure oggi riflet- tendo, «I tuoi anni / pesano sulle mie spalle, / ma mi conforta la speranza / che altri trenta possono spettarmi / e forse più», mi sembra come se fosse ieri la mia presenza in quella classe, il mio posto al primo banco della fila vicina all’entrata e quella voce robusta e che non ammetteva repliche o distrazioni. Ora me lo trovo a rievocare la mia esistenza, bontà sua, la mia sete di conoscere e sapere, il mio spirito attento alla profondità della lettura. È la freschezza della sua mente che si distende serena e consapevole, senza bisogno di appunti e di pezzi d carta, il richiamo civile al poeta Zanella, ve lo ricordate, era in tutti i libri scolastici di quegli anni, la sapienza popolare che plasmava gli spiriti: «sapere, sapere, conoscere sempre, / avanzan avanzan, spirito straniero, conosci la stanza che il padre ti diede», rievoca sicuro i versi che ora non riesco a ben ricordare. E poi lo spirito del divino poeta nei celebri versi di «vertude e conoscenza», che scandisce a cominciare dal solenne attacco «Uomini siate…» e infine S. Tommaso che esalta la conoscenza come benedizione divina. L’altro giorno mi recitava con fervore e grande slancio e miracolosa sicurezza un sonetto di Petrarca sull’incedere del tempo e la maledizione dei giorni perduti. E poi l’accorato appello alla conoscenza, «I giovani non amano il sapere. Impegniamoci a risvegliare questa sete di sapere. Conoscere il passato è importante. Come diceva Cicerone, chi non conosce il passato non può progredire mai». Perciò alto e imperioso proclama il suo messaggio, l’appello a conoscere, ma soprattutto a sapere conoscere. E emotivamente forte, quel suo «grazie» a me per l’occasione che gli ho dato vale più di qualsiasi elogio e premio letterario. 11 Società/Letteratura NEW YORK 11 settembre 2001 La redazione di Vesprino ricorda le vittime PREMIO DI POESIA LOREDANA TORRETTA PALMINTERI “CITTA’ DI BAUCINA” di Gabriella Maggio Carmelo Fucarino è il primo classificato al premio di poesia “Loredana Torretta Palminteri” Città di Baucina, anno 2011, per la raccolta di poesie “ Percorsi di Labirinto”- ed. Thule. A Carmelo le congratulazioni del Club. Veduta di Baucina 12 Letteratura Intervista a Loredana La Puma di Gabriella Maggio larmente all’occhio il fatto che riuscissi a esprimermi molto meglio per iscritto piuttosto che a voce, un giorno lui mi ammonì con queste parole: “ricorda che la vita non si scrive; la vita si vive”. Cerco sempre di ricordarmene quando la scrittura rischia di diventare una scusa per scappare dalla realtà; un pericolo che, per quanto mi riguarda, è sempre dietro l’angolo. Quando hai cominciato a scrivere ? Ho iniziato da piccola, a circa sette anni. Amavo inventare storie e quasi subito ho sentito l’impulso di metterle nero su bianco. Cosa ti ha spinto ? Immagino il bisogno di incanalare in qualche modo una fantasia molto vivace, però è difficile dirlo, proprio perché ho iniziato quando ero troppo giovane per poter “razionalizzare” la cosa. Posso dire con più precisione cosa mi ha spinto a ricominciare, visto che fra gli ultimi anni di liceo e i primi di università non avevo scritto quasi più nulla: semplicemente, un giorno, ho sentito nascere dentro di me una storia e dei personaggi, quasi a prescindere dalla mia volontà, e ho avvertito fortissimo il desiderio di dar loro una voce. Una cosa che non hai capito della gente Non riesco a comprendere la brama di potere che anima certe persone. Per quanto mi sforzi, mi viene sempre difficile capire quale follia spinga un essere umano a sacrificare tutto il possibile (magari anche vite altrui) per arrivare “in cima”, per realizzare visioni e sogni di grandezza che poi – la storia insegna – si rivelano quasi sempre vacui e privi di senso. Qual è il tuo tema preferito? Una cosa che volevi e non hai fatto Più che un tema preferito, direi che ho una predilezione per un certo tipo di atmosfere. Sono sempre stata attratta dal mistero, dall’inspiegabile, da tutto ciò che va oltre ciò che possiamo vedere e toccare. Al di là di questo, a fare da colonne portanti alle mie storie ci sono alcune questioni che mi stanno molto a cuore, come il valore della libertà individuale e collettiva, la necessità di assumersi la responsabilità delle proprie azioni e l’importanza dei legami affettivi. Se mi fermo a pensarci mi rendo conto che le cose che avrei voluto fare e non ho fatto sono moltissime. Uno dei miei rimpianti maggiori, attualmente, è quello di non aver scelto in maniera più oculata il mio percorso di studi. Di che cosa hai paura? Di non riuscire a realizzarmi come persona e di non lasciare nulla dietro di me, ma soprattutto di non vivere la mia vita fino in fondo, sfruttando tutte le sue immense possibilità. Molto spesso l’unica cosa che facciamo non è vivere ma sopravvivere, e c’è una bella differenza. Hai una frase, una parola che ti aiuta? Tengo sempre a mente una frase che mi disse un mio professore delle superiori. Visto che saltava partico- 13 NEL CENTOCINQUANTESIMO ANNIVERSARIO DELL’UNITA’ D’ITALIA di Pino Morcesi È Il risorgimento senza retorica un tradizionale costume italiano rivestire di retorica edificante gli eventi della storia nazionale che si ritengono particolarmente significativi, senza capire che la verità nuda dei fatti ha una forza più grande di qualsiasi orpello retorico, almeno per un motivo, quello di aiutarci a vedere l’origine dei problemi che ci assillano ancora oggi. Oggi la retorica suona falsa. In occasione del centocinquantesimo dell’Unità si avverte qua e là qualche segno di cambiamento nel racconto dei fatti per cui vengono proposti e discussi aspetti del processo unitario sino ad oggi lasciati in ombra o oggetto d’indagine esclusiva da parte di coloro, soprattutto meridionali, che considerano l’Unità come “invasione piemontese”. Uno dei tanti esempi è costituito dalle Brigantesse, le compagne, le mogli, le figlie, le madri dei Briganti, che insieme ai loro uomini danno vita ad una rivolta contadina nelle regioni meridionali, cominciata nel 1861 e protrattasi per circa quattro anni. Il Brigantaggio è stato l’esito disperato e anarchico di una mancata rivoluzione agraria e dell’arretratezza della popolazione, represso duramente nel sangue dalle numerose truppe inviate del governo centrale, circa 120.000 uomini. L’errore che è stato allora commesso, e che ha segnato l’inizio della “questione meridionale”, è stato quello di non volere affrontare la questione agraria, che a Garibaldi era sembrata prioritaria, per non mettere in discussione il consenso dei proprietari terrieri all’Unità. Allora come oggi, gli interessi di gruppi elettorali prevalgono su scelte che possono assicurare il benessere comune. Le donne dei Briganti hanno condiviso la lotta spietata e la morte con i loro uomini, hanno mostrato coraggio e ferocia come Maria Capitanio che dopo la morte del suo compagno, il capobanda Luongo, prende il comando del gruppo, guidandolo in audaci imprese di guerriglia ed infliggendo gravi perdite all’esercito sabaudo, finché viene catturata nel 1868. In prigione si toglie la vita ingoiando pezzi di vetro. E Michelina De Cesare che viene trucidata con la banda del compagno, Francesco Guerra. Il suo cadavere viene spogliato ed esposto nella piazza del paese. Non c’è pietà umana per queste donne, considerate di malaffare, “drude” vengono chiamate nei verbali della polizia e nelle cronache dei giornali. Il loro comportamento di donne sembra del tutto inaccettabile secondo il senso comune dell’epoca. L’elenco delle donne potrebbe continuare ancora, ma credo che queste due vicende siano rappresentative anche di tutte le altre. Le Brigantesse hanno vissuto un triste episodio della nostra storia. Oggi la condizione del Sud è ancora più triste se consideriamo che la “questione meridionale” non è ancora risolta, essa richiede una forte attenzione, come in questi giorni ha sottolineato il Presidente della Repubblica in visita a Palermo. I primi ad affrontare l’annosa questione devono, però, essere gli abitanti delle regioni meridionali senza aspettare che l’iniziativa sia di altri. Se vogliamo dare un senso alla celebrazione dell’Unità questo è l’unico possibile cioè quello di cominciare a risolvere i problemi aperti nel 1861 e non mai affrontati per risolverli, ma solo per parlarne. La solita retorica! 14 Natura MASSACRO ALLE PRIBILOF di Walter Bonatti* “I l mio viaggio nel Grande Nord è praticamente concluso, ma siccome mi resta qualche giorno libero prima del ritorno in Italia, decido di dedicarlo a una visita nell’isola degli orsi marini, che hanno trovato da secoli la loro dimora ideale nel gruppo delle Pribilof. Fin dall’antichità le leggende del Nord parlavano di una bestia misteriosa, l’orso marino, che viveva segregato dal mondo in alcune isole sconosciute del nord Pacifico. Alla fine del ‘700 un navigatore russo al servizio degli Zar, Gerassim Pribilof, scoprì quelle isole, che oggi portano il suo nome, e vi trovò sterminati branchi di questi animali. Successivamente vennero i grandi massacri suscitati dall’avidità per le pelli pregiate…Intervennero allora le autorità americane per proteggere la specie. La nebulosità sulle Pribilof è costante ed offre un rifugio ideale all’orso marino, che vi si rifugia in estate. Nelle altre stagioni gli orsi vivono nelle acque alaskane, dove si cibano di acciughe, aringhe, salmoni e calamari. …L’orso somiglia un po’ alla foca, ha pinne molto larghe che usa come zampe sulla terraferma. Il maschio arriva a pesare anche quattrocento chili, mentre la femmina supera raramente i cinquanta. L’uomo lo caccia per la pelliccia morbida e lanosa, così impermeabile all’acqua che rimane asciutta anche dopo che l’animale è rimasto immerso per ore nel mare. Il colore grigio della pelliccia si trasforma in giallo bruno durante l’estate, nella stagione degli amori sulle isole, allorché ogni maschio diventa il capo di una specie di tribù di femmine che si aggira sui quaranta capi. La «mattanza» periodica ha le sue regole tradizionali e spietate. Prima che spunti l’alba del giorno stabilito, decine di uomini entrano in azione sulla costa dell’isola spingendo i branchi verso l’interno. Qui li attendono altri uomini armati di lunghe mazze. Scelgono gli orsi maschi, lasciando da parte quelli che giudicano più adatti alla riproduzione: poi con un solo terribile colpo sul cranio fulminano le loro vittime. C’è una regola quantitativa e qualitativa da rispettare perché il Dipartimento degli interni degli Stati Uniti è rigorosissimo: lo sfruttamento della pelliccia non deve portare alla distruzione della specie. L’ultima immagine del mio viaggio nel Grande Nord è questa distesa di grossi animali immoti, abbattuti con un solo colpo di mazza al capo”. *Walter Bonatti è morto il 13 settembre 2011. Non è stato soltanto uno scalatore eccezionale, ma un esploratore ed un giornalista. Nel 1966 il settimanale Epoca ha pubblicato per la serie “ Le grandi avventure di Walter Bonatti” il Massacro alle Pribilof ( n.d.r.). 15 Religione Quid ergo est tempus? di Carmelo Fucarino N ell’omelia della sua Messa dei 101 anni mons. Carmelo Amato esordì con questa celebre e problematica domanda che Agostino poneva nel libro XI (cap. 14, 17) delle sue inquietanti Confessiones. E come il santo dei dubbi, delle incertezze e delle angosce esistenziali, il santo che Petrarca volle interpretare nel suo Secretum, egli ne ripeteva con la sua voce assillata la risposta che apriva abissi di mistero: «Se nessuno me lo domanda, lo so. Se volessi spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so» (Si nemo ex me quaerat, scio: si quaerenti explicare velim, nescio). È incommensurabile l’emozione e il turbamento che mi colse nel risentire questa arcana verità da un uomo che ha vissuto profondamente ed intensamente il tempo, nelle letture dei classici, soprattutto latini e con profondità Virgilio e Cicerone, che non può fare a meno di citare attraverso una riflessione sulla vecchiaia dal Cato Maior. De senectude, il grande vecchio antico. Eppure l’analisi 16 Religione Quid ergo est tempus? colse, quando si tolse gli occhiali, si passò la mano sugli occhi e il bisbiglio concitato della sua riflessione «cosa succede alla retina?». Certamente il faro del fotografo aveva turbato la sua percezione della luce. Cercò ancora di proseguire con la ripresa agostiniana sulle tre fasi del tempo: «Questo poi è ora chiaro ed evidente, né ci sono tempi futuri né passati, né propriamente si dice, ‘tre sono i tempi, passato, presente e futuro’, ma forse propriamente si dovrebbe dire, ‘tre sono i tempi, il presente del passato, il presente del presente, il presente del futuro’. Infatti questi tre tempi sono in qualche modo nell'animo, né li vedo altrove: il presente del passato è la memoria, il presente del presente la visione diretta, il presente del futuro l'attesa (expectatio)» (20, 26). Per concludere: «Per cui mi sembrò che nient’altro fosse il tempo che una estensione (distensio); ma di cosa non so, eppure sarebbe strano se non lo fosse dell'animo stesso» (26,33). Poi dopo tentativi di ricordarci le epigrafi delle meridiane e le riflessioni sul tempo e la morte, la rinunzia e la lettura della sua omelia da parte del giovane arciprete, voce e sentimento estranei. Non c’erano il suo impeto e la sua passione, anche se si librava in immagini di meridiane solari e di tremendi moniti a lodare la vita nel misurare il tempo. Quel gaudio immenso di vivere che è esploso nei doni di due bambine, un mazzo di fiori vivi e un palloncino a forma di fiore, e nel canto ritmato di lode a Dio che ha inondato la sua chiesa della parrocchia di S. Giovanni, nel giorno della celebrazione della festa del Martirio di S. Giovanni, la voce clamante nel deserto. E l’inno gioioso alla vita che è esploso assieme ai mortaretti, nella candela parlante sulla torta a forma di vangelo e nel gaudio dello spegnimento delle candeline. Si può essere felici per un compleanno, ma il gaudio di padre Amato è stato una benedizione divina, l’inno più assoluto alla gioia di vivere, sapendo della grazia divina e della caducità della vita. Grazie per averci dato la speranza e il gaudio immenso per la sua gioia di esserci e di lodare Dio. si approfondiva con la successiva precisazione: «Tuttavia con sicurezza affermo di sapere che, se niente passasse, non vi sarebbe un tempo passato e se niente si approssimasse non vi sarebbe un tempo futuro, se niente vi fosse, non vi sarebbe il tempo presente. Dunque quei due tempi, passato e futuro, come sono e quando, il passato non è più e il futuro non è ancora? Il presente poi, se fosse sempre presente e non passasse al passato, non sarebbe tempo, ma eternità». Un’estrema paura mi 17 Storia RICORDI “PERONISTI” di Gianfranco Romagnoli* N ello scrivere queste note, non intendo certo farmi laudator temporis acti nei confronti di un regime straniero, del quale la natura dittatoriale e la compromissione con il nazifascismo dovrebbero indurre, quanto meno, alla cautela; voglio soltanto dare una testimonianza, che potrebbe risultare di un qualche interesse, su come ho vissuto da bambino, direttamente pur se in Italia, un’epoca storica. Per chiarire a quale titolo mi ritenga abilitato o portato ad una tale impresa, devo premettere che mia madre, figlia di un colonnello dell’esercito argentino, sposò mio padre che visse sette anni in quel Paese, del quale prese la cittadinanza, svolgendo l’attività di giornalista: rientrò poi in Italia dove si stabilì definitivamente a Roma, lavorando per la Pubblica Amministrazione in qualità di interprete. Come figlio di argentina nativa e di argentino naturalizzato, io stesso ho avuto la doppia cittadinanza italiana ed argentina sino all’età di diciotto anni, entro la quale avrei dovuto optare per una di esse, ciò che feci per facta concludentia rispondendo alla chiamata di leva militare italiana. Sorvolo sui miei primi ricordi, che coincidono con gli ultimi anni del secondo conflitto mondiale, con i bombardamenti di Roma e con l’ingresso nella capitale degli Alleati, che vidi sfilare per la via Appia, per venire ai rapporti della mia famiglia con l’Argentina. Nel periodo immediatamente postbellico mio padre passò a lavorare presso il Consolato Argentino di Roma all’Esquilino, dove fu messo a capo dell’ufficio passaporti: conservo ancora, compilato da lui, il mio passaporto di cittadino argentino. Il lavoro era impegnativo: con le difficoltà economiche indotte dalla guerra e con il clima teso che si era creato, era ripreso imponente il flusso migratorio verso l’Argentina, sicché numerosissimi furono i passaporti rilasciati in quell’ultimo scorcio degli anni ‘40. Lo stato sudamericano, che già contava una massiccia presenza di immigrati italiani, era un paese prospero a fronte di un’Italia ancora povera e “ammaccata”, alla quale generosamente inviava aiuti in grano. Giungevano anche pacchi di aiuti alle famiglie: yerba mate, burro salato, dulce de leche e altri prodotti tipici argentini. Ai ricevimenti patriottici dati dall’Ambasciata a Roma per la festa nazionale del 25 maggio (dopo la Messa mattutina nella Chiesa Nazionale Argentina di Piazza Buenos Aires) o per altre oc- 18 Storia RICORDI “PERONISTI” casioni e ricorrenze, venivano invitate le intere famiglie degli argentini residenti. Erano gli anni del peronismo: grande fu l’eccitazione quando Evita Perón, nel corso del suo viaggio in Europa quale ambasciatrice del regime, giunse a Roma, ricevuta dalle massime autorità italiane e dal Papa. La sua visita fece epoca: bella, sfarzosamente elegante, era un mito della nazione argentina, chiamata dai descamisados Madona de los humildes per la sua instancabile attività a favore dei poveri; amatissima, ma odiata con pari intensità dagli oppositori democratici e dai militari. Nel ricevimento che si tenne all’Ambasciata venne distribuito agli invitati un distintivo che riproduceva la testa di Evita in metallo dorato tra le due bandiere italiana e argentina ed il libro della stessa Evita La razón de mi vida insieme ad un altro intitolato, non so se ricordo esattamente, La doctrina del Justicialismo (cimeli storici che purtoppo non possiedo più); si canticchiava, non come inno ma in tono salottiero, questa canzoncina: Yo te darè/te darè una cosa/una cosa muy hermosa/una cosa che empieza con pe: Perón! Il clima nella piccola comunità del Consolato era familiare e simpatico: alla mia cresima e prima comunione (allora si facevano insieme) intervenne il viceconsole argentino. Poi, il tempo trascorse, vennero gli anni cinquanta con l’inizio della ripresa economica, mio padre passò a svolgere un’attività imprenditoriale e i legami con l’Argentina si allentarono. Ma di quell’epoca -non di quel regime- favolosa per me bambino, mi è rimasto dentro un ricordo, che, insieme all’ammirazione per i tre piloti argentini, Fangio, Gonzales e Marimón, che dominavano la Formula 1, e ai film messicani dell’epoca come La perla, è all’ origine della mia passione per gli studi sul mondo ispanico e latinoamericano. * Vicepresidente e Delegato per la Sicilia del Centro Internazionale di Studi sul Mito 19 Come eravamo Sulla tavola del principe di Renata De Simone L a data completa nel documento manca, la carta ingiallita porta scritto a mano il giorno e il mese,15 marzo, il proprietario del foglietto conservato gelosamente tra le carte d’archivio, è il principe di Villafranca. A tener conto degli altri documenti conservati nel grosso faldone si tratta di un manoscritto, su modello prestampato, che risale alla prima metà dell’Ottocento. E’ pure incerta la città da cui proviene, poiché si sa i nobili siciliani amavano viaggiare per motivi d’affari o semplicemente per impegni personali più o meno mondani o, specie se appartenenti al gentil sesso, per rinnovare periodicamente il proprio guardaroba o l’arredo domestico. Così conosciamo gli indirizzi di fornitori e commercianti di Napoli, Parigi, Londra attraverso i cataloghi e gli avvisi pubblicitari che spesso si trovano tra le carte di un archivio di famiglia, quando i proprietari si chiamano Moncada, Belmonte, Lanza o Spatafora. Un Avviso di passaggio della ditta Ventura di Milano, fornitrice di Casa Reale, indirizzata nel 1905 alla Principessa di Villafranca, presso il Grand Hotel Des Palmes di Palermo, la invita ad visionare la splendida collezione degli ultimissimi modelli in toilettes, costumi da passaggio, confezioni, sorties da teatro; una Cartolina postale dello stesso anno informa con l’invio del campionario di stoffe della collezione autunnoinverno della ditta Wollen Tuch di Milano su richiesta di Amalia Alliata. L’indirizzo è il Palazzo Villafranca di piazza Bologni, a Palermo. La ditta Successori Marchesini gioiellieri di Roma invia alla principessa Alliata, abituale cliente, i disegni dei gioielli in vendita con l’indicazione delle pietre usate e i relativi prezzi. In questo dettagliato ottocentesco elenco indirizzato al principe, si tratta però di un genere diverso di forniture: si tratta infatti di pietanze, presentate con incredibile scelta e accompagnate dai relativi prezzi,da un ristoratore, di cui si conosce solo il nome, Giuseppe Vigna, ricette fatte apposta per stuzzicare gli appetiti di un ricco cliente. Qualche esempio: cappone lesso, tortina di fegatini, costolette al sugo, castrato con fagioli, piccione con carote, fricassea di vitello di latte, animelle all’acetosa, lingua alla tartara, lingua dolce e forte, pollo con riso, bove alla moda, bistecca all’inglese, orecchi farsiti. Come pesce c’è il nasello all’inglese, il baccalà, l’anguilla con salsa, il palamito arrosto, la frittura di mare. Restano un mistero piatti come la lingua in salsa brusca o l’aringha buona. Tra gli umidi troviamo pure la pasta frolla, la crema al rum e la pasticceria alla crema. Sono indicati come erbe i fagioli, i cavolfiori e gli spinaci, come arrosti l’agnello, il pollo e il rosbiff. Sono fritti i granelli, il cervello, il cavolfiore ma anche i bignè di mela. Per frutta il ristoratore offre uva, mele, nocciole e include il formaggio, il pane fresco è servito nella specialità italiana o francese, il vino può essere ordinario o, con un maggior costo, aleatico, frontignano, di Nizza, di Gordo, di Sciapagne. Fuori lista la pasta nella sola qualità di maccheroni grossi magri, a compensare per semplicità gli eccessi dell’elaborata produzione gastronomica in vendita. Il prezzo più alto? Come sempre il vino. 20 Società “Sventurata la terra che ha bisogno di eroi” di Giuseppina Cuccio Queste parole pronuncia Galilei dopo l’abiura in “Vita di Galileo” , scena tredicesima, di Bertolt Brecht. Forse sono già state usate per commentare i vari anniversari degli omicidi mafiosi di magistrati, poliziotti, religiosi. Ma non importa perché la frase mi sembra sempre efficace ed attuale. Ieri infatti era l’anniversario dell’omicidio di Don Puglisi, 15 settembre 1993. Travolti continuamente dalle incredibili cronache di ogni giorno rischiamo di perdere speranza e fiducia in un mondo migliore. Ma se l’anniversario o gli anniversari, perché sono ormai tanti, hanno un senso questo consiste esclusivamente nel pungolo del ricordo che ci spinge a perseverare nell’onestà di fare ogni giorno il nostro lavoro, distinguendo il giusto dall’ingiusto, il lecito dall’illecito, ciò che conta veramente dal superfluo che subito annoia. Non importa se siamo una minoranza, l’importante è che ci siamo e che abbiamo la tenacia di resistere. Con l’occhio dei bambini di Gabriella Maggio Tanta, tanta voglia di natura nell’ingenua visionaria fantasia della piccola Aurora. Sembra una richiesta perentoria, che mette all’angolo noi adulti. Non abbiamo scuse da accampare. Riconosciamo la nostra negligenza 21 Recensioni Uno scenario inquieto verso la chiarezza V di Fabio Russo i Cari Amici di Vesprino,continuando la discussione sul romanzo di Rosa Maria Ponte” Nel cuore della notte” , Barbara, che «aveva ripreso a battere sulla tastiera la traduzione […] e l’avrebbe conclusa: “Non è la Morte sorella del Sonno?... In quel momento si sentì all’interno della statua uno strano crac, come se qualcosa si fosse rotto. Il cuore di piombo si era spaccato in due”. Lei allora rivisse quella serata, quando il suo cuore di carne di era spaccato in due nel momento in cui, uscita dalla macchina dopo quella notizia e la volontà di lui di interrompere tutto tra loro, avrebbe voluto che la richiamasse […]. Ma lui, con gli occhi fissi avanti e la fronte corrugata, aveva messo in moto ed era scomparso per sempre» (p. 138). Allora Barbara si dirige alla stanza dei genitori, si corica nel loro letto, «nel mezzo, come faceva da Un subconscio vigile, costruttivo, di cui sono spia le ricorpiccola», così che «essi tornarono sulla terra da quella lonrenti forme retrospettive di «vide», «rivide» (Pirandello a sua tana stella ai margini dell’ultima di tutte le galassie dell’univolta annota «Lì, con gli occhi chiusi, volle rifarsi lucidaverso che è il meraviglioso mondo dei Morti […]. Ora la mente i minimi particolari della giornata […]. Egli abitava mamma le carezzava i capelli e con dita leggere le asciugava lassù, […]? Rivide [ella] la corte piena di colombi; […]! Le le lacrime […], mentre papà le stringeva una mano» (ivi). si riaffacciò alla mente lo spettacolo dell’ampia chiostra dei Memoria e sogno, turbato o gradevole. «E in quel sonno monti», L’esclusa, II, cap. IX). Così, Barbara «Andò alla profondo, non c’era Giulio, non c’era menzogna, non c’era porta, il cuore le batteva forte. L’aprì e vide chi mai si sadolore […]» (ivi). rebbe aspettato. […] un’improvvisa ondata di felicità aveva Fuori era notte, e Barbara aveva completato la traduzione, invaso l’intero suo corpo. E lei sentiva che il cuore non pofinalmente (Cap. XXX). Cambio di scena (stesso Cap.), la teva contenerla, né la mente contemplarla. – Quanto ti ho scena di coscienza, di Barbara ovvero della situazione visatteso! disse […]. – Nessuno viene a quest’ora della notte suta dall’interno di lei, dalla sua coscienza. Questa ora fissa per restare, disse l’ospite – sono venuto per portarti via con la Zia intenta a portare al termine il racconto del Principe me. Sei pronta?» (pp. 140-41). Ma subito segue a modo di senza più oro né rubini, e il commento della nipote non più chiusa edificante, sui valori di bontà e rettitudine nel futuro, piccola che all’improvviso dice fra sé e sé, «ma ora avevo cail finale del Principe e della Rondinella, come un motto ripito, il mistero mi era stato svelato» (p. 140), il suo e della portato ancora una volta (le altre citazioni già) nella lingua vita, però senza una spiegazione diremmo “didascalica”. E originaria di Wilde. nuovo cambio di scena (sempre Cap. XXX), lungo il fluire Questo, secondo le parole pure tradotte, in nota (dell’Audella coscienza: «nel profondo silenzio della grande casa, ritrice). Un tono e una citazione dal sapore di sentenza e di suonò il campanello della porta d’ingresso. Barbara sobannunzio ammonitore (sull’onda delle parole dell’ospite), labalzò, si era addormentata e stava sognando […]. sciato alla capacità intuitiva di chi legge, ma appartenente Mormorò: - Chi può essere a quest’ora, come mai il citofono proprio al piano compositivo di un’opera puntata sul segreto non ha suonato?» (un’incongruenza preannunciata da quella di luoghi e di emozioni. simile al motivo della pendola di notte che «non aveva suonato», Cap. XIII, o ancora il sogno incubo riguardo il nonno con l’elettricista al Teatro Massimo, Cap. VIII). Visita > Leggi Nell’immaginaria visione, il pensiero cosciente di lei «vede» (Tecchi direbbe «con gli occhi Commenta > Collabora > Scrivi dell’anima», e a distanza la protagonista Rapisarda «Vedeva, come se li avesse sotto gli occhi, il primo dei poderi […]. Vedeva il secondo», La terra abbandonata, finale) più che mai dentro incontriamoci in rete a sé e davanti a sé, libero dalle griglie precise di una coscienza lionspalermodeivespri.wordpress.com rigida, di scarso esprit de finesse. VesprinoMagazine 22 Cultura BIRMANIA Riflessi d’anima di Gabriella Maggio Un numeroso pubblico ha affollato la mostra ed il prato circostante, arredato con fiori e vimini in maniera elegante e raffinata secondo il gusto orientale minimalista delle fotografie. L’evento ha coinvolto,oltre al Comune di Palermo ed alla Regione Sicilia, l’Unesco, i Club service Lions Palermo dei Vespri, Rotary Palermo Est, Inner Wheel Centro ed anche l’Associazione VOLO e Fanale Arte Architettura. Il 24 settembre nello spazio espositivo della Real Fonderia è stata inaugurata la mostra fotografica Birmania riflessi d’anima di Rossella Pezzino De Geronimo. Acqua, donne, bambini i temi delle belle fotografie che fissano nell’attimo dello scatto fotografico l’anima profonda di un Paese e dei suoi Abitanti. Da sinistra Gabriella Maggio, Rossella Pezzino, Maria di Francesco 23 Sicilia Viaggiatori stranieri in Sicilia di Daniela Crispo I CARLO CASTONE DELLA TORRE DI REZZONICO - parte ottava in mezzo a sì terribile e dilettosa scena di lave e di boscaglie, di monti, di grotte… La vista del cratere , largo tre miglia, tutto coverto di neve e sgorgante dalle fauci un’onda di bianco fumo, non compensa, a mio giudizio, la noja , il male e il pericolo della lunga via. La lava del 1792 aspreggiò di frequentissime fenditure tutto il Piano del lago….La neve indurata rendevalo alquanto più facile, avendo riempite le cavità, su cui m’arrischiai di girne con la mula, seguendo passo passo un’esperta guida, che precedeami traendo per la briglia il suo mulo e tentando egli prima il fallace suolo; nello scendere però non mi fidai della lubrica neve, e me ne venni a piedi.” l “Io non so qual aura poetica spiri dall’Etna per animare gli scrittori a colorire talvolta con molta pompa di stile obietti per se stessi volgarissimi. Brydone qui trova le tre zone dell’orbe terracqueo: la torrida, la temperata la glaciale. De Non vi vede ora i deserti d’Arabia, ora l’inferno, or l’eliso de’ Greci, e perfino il foco principio nel lucido chiarore delle fiamme fra larghe onde di fumo. A me certo non manca immaginativa e magnifico romor di parole per descrivere l’orrore e la maestà ottemperata a perpetua primavera e le nevi e la fiamme che mutua fede si serbano; ma, inteso ad ispiare i segreti della natura, disdegnai di dipingere poeticamente, per filosofare 24 Letteratura Eugenio Montale di Gabriella Maggio I l 12 settembre ricorre il trentesimo anniversario della morte del poeta Eugenio Montale, Pre-mio Nobel per la Letteratura nel 1975 con la motivazione :” Per la sua poetica distinta che, con grande sensibilità artistica, ha interpretato i valori umani sotto il simbolo di una visione della vita priva di illusioni”. Nella sua vasta opera, composta nell’arco di tempo che va dagli anni ’20 del no-vecento agli anni ’80, interseca i principali eventi del secolo, dandone una lettura disincantata e pessimistica, che si riflette anche sugli eventi privati. Tra le donne dell’ ”Opera in versi” occupa una posizione importante Irma Brandeis, studiosa americana di Dante conosciuta a Firenze e cantata come Clizia, visiting angel , only begetter ( il solo ispiratore). A lei sono dedicati i Mottetti, venti poesie di straordinaria concentrazione lirica all’interno delle Occasioni, ”romanzetto autobiografi-co”, come dice Montale, in cui affronta il tema della presenza-assenza della donna amata e lontana. Ma Montale non idealizza a lungo Clizia, non è il suo stile, il tentativo dell’angelicazione non rie-sce. La corrosione critica dei miti e l’autoironia nella poetica montaliana si annunciano già nella “Farfalla di Dinard”. L’opera raccoglie le prose scritte tra il 1946 ed il 1950, già apparse sul “Cor-riere delle sera” , sul “Corriere dell’informazione” e su altri periodici. “Clizia a Foggia” ripropone in maniera inusitata la donna angelo dei Mottetti. Clizia si trova alla stazione di Foggia, ma perde il treno. In attesa del successivo, che sarebbe partito dopo tre ore, non trovando adeguatamente puliti e freschi la sala d’aspetto della stazione né i bar vicini si rifugia in Municipio dove si svolge un di-battito sulla metempsicosi. Nell’ombra accogliente della sala Clizia si addormenta e sogna di essere trasformata in ragno. Uno degli esperti la sveglia con cortesia e le chiede che cosa ha sognato. Cli-zia risponde sinceramente che ha sognato di essere diventata un ragno. La risposta suscita l’ilarità del pubblico, che intanto ha riempito la sala, e il disappunto dei conferenzieri, che cercavano una prova delle loro teorie. Con forza viene accompagnata alla porta con l’ordine perentorio di non partecipare più a conferenze di livello tanto elevato rispetto alla sua cultura ed ai suoi interessi. Non le resta che tornare alla stazione ed attendere il treno. 25 Teatro E avanti a lui tremava tutta Roma! Atto II, scena V di Carmelo Fucarino Foto per gentile concessione Ufficio stampa Teatro Massimo C osì l’ultima frase celebre di Tosca. L’opera è una delle più visitate nei moderni repertori teatrali tanto che romanze, ritmi e addirittura frasi vivono nell’immaginario collettivo. Chi non si è commosso all’udire le tre celebri romanze, una per atto, che stemperano in funzione lirica la concitazione della vicenda, Recondita armonia, Vissi d’arte e Lucean le stelle? Eppure Tosca, melodramma in tre atti, non ebbe un avvio dei più felici, alla prima di inizio secolo il 14 gennaio 1900 al Teatro Costanzi di Roma, perché deluse gli aficionados e una parte della stampa, in quanto non in linea con la recente La Boheme. Per di più l’arrivo in ritardo di alcuni spettatori, alla presenza del presidente del Consiglio Pelloux e della regina Margherita, seminò un certo nervosismo in sala e nel direttore d’orchestra che dovette interrompere e ricominciare dall’inizio. Anche l’autorizzazione di Victorien Sardou fu concessa a Giulio Ricordi per il musicista Alberto Franchetti, allora sulla cresta del- l’onda per l’exploit del suo Cristoforo Colombo. Presente all’approvazione dell’abbozzo di Illica a Parigi, Verdi confidò in seguito al suo biografo che, se non fosse stato per l’età, avrebbero voluto musicarla lui e se ne comprende il perché. Dopo che Franchetti ebbe rinunziato, si avviò il progetto con la poco convinta adesione di Giacosa che riteneva il soggetto poco poetico e attribuiva il successo del dramma ad una straordinaria Sarah Bernhardt che il 24 novembre 1887.lo aveva portato al trionfo al Théatre de la Porte-Saint-Martin di Parigi e all'inizio del 1889 al Teatro dei Filodrammatici di Milano. Tosca fu l’ultima recita della Callas il 1965, al Covent Garden. Troppo nota la vicenda, perché se ne debba parlare. Si può solo riflettere sul tema della rivoluzione romana e sull’interesse dei Francesi per un episodio di esaltazione napoleonica. Al di là dell’allusione storica e della condanna del sistema reazionario che comminava condanne sommarie, il cinico Scarpia ha una profondità psicologica che ci coinvolge e sconvolge, quel 26 Teatro E avanti a lui tremava tutta Roma! baratro di demoniaco che è in tutti noi, nell’uomo in quanto tale. L’atmosfera, la chiesa di Sant'Andrea della Valle, l’Angelus, il Te deum, tutto richiama il divino. Eppure Scarpia è consapevole della sua abiezione e la rimarca già alla fine del primo atto (scena 9). Dopo l’inganno del ventaglio, apertamente avvicinato al fazzoletto di Desdemona («Per ridurre un geloso allo sbaraglio / Jago ebbe un fazzoletto... ed io un ventaglio!»), la riflessione di Scarpia mette a nudo la fragilità del cuore umano e la presenza del male: «Va, Tosca! Nel tuo cuor s'annida Scarpia!... / È Scarpia che scioglie a volo / il falco della tua gelosia».E mentre la folla innalza l’inno «Te Deum laudamus: Te Dominum confitemur!», Scapria, «riavendosi come da un sogno» (così nel libretto), ammette, «Tosca, mi fai dimenticare Iddio! », e «s'inginocchia e prega con entusiasmo religioso». Qui l’ambiguità che si sviluppa tra i due piani, la religiosità insistente nei cori e gli abissi del cuore umano, che manifesta in aperta confessione di cinico sopruso: «Bramo. - La cosa bramata / perseguo, me ne sazio e via la getto... / volto a nuova esca. Dio creò diverse / beltà e vini diversi... Io vo' gustar / quanto più posso dell'opra divina!». Gli elementi accessori dello spettacolo sono tutti già collaudati in precedenti edizioni. Allestimento del Regio di Parma, la scena di William Orlandi quasi interamente occupata da una scalinata, rotta dall’ampia tela, a lato incombente l’Angelo, come i suoi vivaci costumi, resi suggestivi dalle luci in chiaroscuri di Venturi, sono quelli dell’edizione 1997 del Politeama. Collaudata pure la regia ripresa da Franconi Lee su quella ideata da Alberto Fassini. La soprano Norma Fantini (nomen omen) è maturata da quella sua prima presenza palermitana del 1998, Aida con José Cura in occasione della riapertura del Massimo, pur con qualche virtuosistica impetuosità di acuti, che ha coinvolto il tenore spagnolo Jorge De Leòn, “emergente”, perciò con tanta esperienza ancora da maturare. Nel complesso tutti hanno contribuito a questo successo; imponente e accattivante nel cinismo Giorgio Surian, più che per la vocalità per la sua sicura recitazione. Come sempre emotiva e suggestiva l’entrata del coro delle voci bianche, meno sentiti i corali alquanto lontani e fiacchi. La direzione del Massimo ha tenuto a ribadire l’eccezionalità del giovane direttore, che ha già diretto l’opera nella nuova produzione della Scala dal 15 febbraio al 25 marzo 2011: «Di assoluto interesse è la presenza sul podio del trentenne direttore d’orchestra israeliano Omer Meir Wellber, straordinario musicista, stella del panorama internazionale, già conteso e richiesto dai più importanti teatri di tutto il mondo». Un giornale azzarda di più: «La bacchetta magica di Wellber regala una “Tosca” da applausi» e lo definisce “astro nascente della bacchetta” e “astro emergente”. Vanto e titolo d’onore anche essere stato collaboratore di Daniel Baremboim a Berlino e Milano. Non c’è dubbio che la sua concertazione ha saputo trarre dalla partitura pucciniana nuove tonalità, cadenze più elegiache e fraseggi più vari, l’incanto insistente dei leit-motiv lirici, in una sua personale interpretazione del testo. D’altronde non può essere diversamente per ogni opera artistica che ha subito una trascrizione convenzionale. Così per la musica, come segni di suoni strumentali e vocali, così per la poesia, come di parola e voce. Difficile conoscere la resa che avrebbe voluto Puccini, impossibile oggi sapere dell’orchestrazione voluta da Mozart, Vivaldi o dal sordo Beethoven. Perciò le edizioni e le trascrizioni, addirittura le orchestrazioni. Soprattutto oggi, quando si è imposto il divismo dei direttori d’orchestra, della “bacchetta” a scapito dell’autore e degli esecutori, dal tempo delle vibranti esecuzioni di Toscanini a quelle trasognate di von Karajan, quasi fossero sacerdoti unici della musica. Qualcuno ricorderà l’ultima travagliata e contestatissima edizione “moderna” di Gilbert Delfo nel 2007, con il suo “simbolismo minimalista”, il suicidio con pistola senza salto nel vuoto, il moderno appartamento di Scarpia, il palcoscenico spoglio in finale. A proposito allora scene e costumi furono pure di William Orlandi, direttore l’israeliano Pinchas Steinberg. Sono convinto che l’esecuzione musicale, ancor più la realizzazione di un’opera, nelle sue complesse meccaniche e presenze, è una resa corale alla quale tutti hanno dato il loro meglio, anche la sarta o l’elettricista (non a caso sono inseriti nei titoli di coda). Dovuto l’omaggio a Salvatore Licitra. 27 Moda Glossario della biancheria intima Camicia da notte (V parte) di Raffaello Piraino N el Cinquecento le camicie da notte per le donne hanno assunto una certa importanza se nel corredo di Maria di Savoia se ne trovano dodici in confronto alle ventiquattro da giorno. Nel Seicento, l’uso della camicia e del berrettino da notte per gli uomini è testimoniato dall’aneddoto raccontato da Gregorio Leti a proposito del figlio di Bartolomeo Arese; il giovanetto volendo uscire di sera, nonostante la proibizione del padre, mise sotto le coperte una fascina incamiciata e sormontata dalla berretta notturna. Nella chiesa del Sacro cuore del Suffragio a Roma è custodita la camicia da notte Di suor Isabelle Fornari, badessa delle Clarisse di Todi, alla quale, il 1° novembre del 1731 apparve il maligno sotto le mentite spoglie del defunto padre Panzini, abbate olivetano di Mantova”. Questi le lasciò sulla manica della candida camicia da notte, ben quattro impronte infuocate e sanguinanti. Visita > Leggi Commenta > Collabora > Scrivi VesprinoMagazine incontriamoci in rete lionspalermodeivespri.wordpress.com 28 Letteratura Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano apre l’anno scolastico 2011-2012 di Gabriella Maggio I l 23 settembre, nel Cortile d’onore del Palazzo del Quirinale si è svolta la cerimonia di apertura dell’anno scolastico alla presenza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Durante la cerimonia Antonella Saverino, docente dell’Istituto comprensivo G. Falcone e socia del Lions Club Palermo dei Vespri, ha ricevuto i complimenti del Ministro M.Stella Gelmini per il calendario realizzato dagli alunni. Ad Antonella i complimenti del Club Lions Palemo dei Vespri. Dal centro il Ministro, A. Saverino, un alunno ed il Preside dell’I.C. G.Falcone mostrano il calendario sponsorizzato dal Lions Club Palermo dei Vespri 29 Cucina Le ricette letterarie di Marinella di Marinella La madeleine - Da Luigi XV a Marcel Proust Ingredienti: gr.130 di farina, gr.110 di burro, gr.110 di zucchero, 2 uova, gr.8 di lievito, la scorza di un limone Preparazione: Sciogliere il burro a bagnomaria. Sbattere le uova con lo zucchero finché si ottiene un composto spumoso e chiaro. Aggiungere la farina ed il lievito ed impastare mescolandovi anche la buccia grattugiata del limone. Unire il burro e mettere in frigorifero per un’ora. Con un cucchiaio riempire gli stampini a forma di conchiglia e passarli in forno a 220°. Dopo 5 minuti abbassare la temperatura a 180° e cuocere per 10 minuti. “Mia madre, vedendomi infreddolito, mi propose di prendere, contrariamente alla mia abitudine, un po’ di tè. Rifiutai dapprima, e poi non so perché, mutai d’avviso. Ella mandò a prendere uno di quei biscotti pienotti e corti chiamati Petites Madeleines, che paiono aver avuto come stampo la valva scanalata d’una conchiglia di S.Giacomo. Ed ecco, macchinalmente, oppresso dalla giornata grigia e dalla previsione d’un triste domani, portai alle labbra un cucchiaino di tè, in cui avevo inzuppato un pezzetto di madeleine. Ma nel momento stesso che quel sorso misto a briciole di biscotto toccò il mio palato….un piacere delizioso m’aveva invaso….ed a un tratto il ricordo m’è apparso…Quel sapore era quello del pezzetto di madeleine che la domenica mattina a Combray… la zia Lèonie mi offriva… prendono contorno, si colorano…figure umane..riconoscibili…..” Queste parole di Marcel Proust poste al’inizio del primo romanzo della Récherche du temp perdu, Dalla parte di Swann, hanno reso celebre questo tipo di biscotto chiamato madeleine dal nome della pasticcera di Luigi XV. 30 Foto di Gigliola Siracusa Foto di Gigliola Siracusa