magazine
NUMERO VENTUNO
esprino
Il
Il diario
diariio online
on
nline del
del Lions
Lions Club
Club Palermo
Palermo dei
deii Vespri
Vespri
Lions Club International Palermo dei Vespri - Distretto 108 Y/b - Circoscrizione I - Zona 1
SOMMARIO
Vesprino Magazine
Editoriale
Editoriale di Settembre
Care Amiche, Cari Amici si ricomincia. La ripresa è dura ed il ricordo delle vacanze ancora troppo
forte. L’estate sembra non voler finire e le notizie dell’incipiente crisi
economica non danno tregua. Nell’incertezza ci interroghiamo sul futuro, senza riuscire ad intravederlo.
Siccome non c’è molto da scegliere,
non resta che mantenere vivo l’ imGabriella Maggio
pegno dei tempi tranquilli verso noi
stessi e gli altri . La lettura non risolve i problemi, ma scaccia la noia e può farci venire qualche idea interessante. Perciò buona lettura.
Gabriella Maggio
Cuochi per un giorno
Attilio Carioti
Errore di traduzione
Giuseppina Cuccio
Salotto di Gabriella
Carmelo Fucarino
Giustino Fortunato
Beniamino Placido
Il lungo cammino delle parole
Sergio Palade’
La sicilia e le speranze di riscatto
Carmelo Fucarino
Marcia della pace Perugia-Assisi
Giuseppina Cuccio
Nel centocinquantesimo anniversario dell’Unita’d’Italia Gabriella Maggio
Nati non foste
Carmelo Fucarino
Premio poesia Loredana Torretta
Gabriella Maggio
Intervista a Loredana La Puma
Gabriella Maggio
Nel centocinquantesimo anniversario dell’Unita’d’Italia
Massacro alle Pribilof
Walter Bonatti
Quid ergo est tempus ?
Visita > Leggi
Ricordi peronisti
Commenta > Collabora > Scrivi
VesprinoMagazine
incontriamoci in rete
Gabriella Maggio
Attilio Carioti
Marinella
Natale Caronia
Valentina Mirabella
Daniela Crispo
Raffaello Piraino
Giuseppina Cuccio
Gianfranco Romagnoli
Carmelo Fucarino
Daniela Scimeca
Gianfranco Romagnoli
Come eravamo-sulla tavola del principe
Renata De Simone
Sventurata la terra che ha bisogno d’eroi
Giuseppina Cuccio
Viaggiatori stranieri in Sicilia
Hanno Partecipato a questo numero:
Tommaso Aiello
Carmelo Fucarino
Uno scenario verso la charezza
lionspalermodeivespri.wordpress.com
Comitato di redazione:
Gabriella Maggio (Direttore)
Mimmo Caruso • Renata De Simone
Carmelo Fucarino • Francesco Paolo Scalia
Fabio Russo
Daniela Crispo
Birmania, riflessi d’anima
Gabriella Maggio
Con l’occhio dei bambini
Gabriella Maggio
E avanti alui tremava tutta Roma
Carmelo Fucarino
Eugenio Montale
Gabriella Maggio
Glossario della biancheria intima
Raffaello Piraino
Il presidente Napolitano apre l’anno scolastico
Gabriella Maggio
Le ricette letterarie di Marinella
2
Pino Morcesi
Marinella
Palazzo Florio-Fitalia
Gigliola Siracusa
Palazzo Florio-Fitalia
Gigliola Siracusa
Lions Club
CUOCHI PER UN GIORNO
Prima gara maschile di cucina del Lions Club Palermo dei Vespri
di Attilio Carioti
E i dolci, la crostata di pesche di Oreste Milazzo ed i
cannoli e la cassata di Pietro Manzella. E tante altre cose
come i fagioli alla Bud Spencer e varie insalate di riso.
I
soci del Lions Club Palermo dei Vespri sono dei
veri cuochi? Questa è stata la sfida lanciata dal
Presidente Gianni Ammirata, che ha organizzato
sul green di Rosalba e Gerardo la prima manifestazione culinaria maschile del Club. Le pietanze sono
state sottoposte ad una giuria presieduta da Elio Costanza, composta rigorosamente da donne: R. Maria
Motisi, Cettina La Ferlita, Terry Cangemi, Rosalba
Bellavia, Gabriella Maggio.
La giuria ha apprezzato tutti i cuochi e pur rilevando
che i piatti non si discostavano da un orizzonte casalingo soprattutto nella presentazione, ha sottolineato la
bontà degli ingredienti usati. Il pubblico ha seguito con
attenzione i lavori della giuria, impaziente di gustare
le pietanze.
La giuria ha valutato le pietanze in base alla presentazione, al gusto, all’originalità
degli ingredienti con un voto da
0 a 5. I piatti cucinati erano tutti
buoni dal couscous di pesce di
Giuseppe Gelardi alla pasta
fritta di chi scrive, all’insalata
esotica di riso e verdure di Luigi
Tripisciano. Non mancavano i
secondi come le polpettine in
agrodolce di Gioacchino Messina , gli involtini di spada patriottici, perché tricolori, di
Salvatore Zambito.
A conclusione della serata la
premiazione. Per i dolci Pietro
Manzella.
Il premio viene consegnato dal
Secondo Vice Governatore
eletto, Gianfranco Amenta.
Per la presentazione Salvatore
Zambito. Per l’originalità
degli ingredienti Luigi Tripisciano.
A Pietro D’Arca il premio
simpatia.
3
Astronomia/Letteratura
ERRORE
DI TRADUZIONE
di Giuseppina Cuccio
N
el 1896 Percival Lowell, attraverso la divulgazione
scientifica di Camille Flammarion, ha notizia delle
osservazioni su Marte di Giovanni Schiapparelli,
che ha visto sulla superficie del pianeta delle strisce ed ampie macchie interpretate come distese d’acqua.
Schiapparelli chiama le strisce “canali”. Entusiasmato da queste notizie Lowell fa costruire un osservatorio in Arizona per
approfondire la conoscenza del pianeta rosso, partendo proprio dai testi di Schiapparelli. Ma ecco che qualcosa s’inceppa
a sua insaputa. Infatti traduce “canali” con “canals”, cioè canali esclusivamente artificiali, in inglese. Quindi su Marte, secondo Lowell ci sono operosi ed intelligenti” marziani” che
convogliano l’acqua dei ghiacciai polari disciolti vero le zone
equatoriali. Disegna mappe del pianeta solcato da lunghi canali dritti che convergono in zone occupate, secondo lui, da
città. Il 27 agosto 1911 il New York Times pubblica la notizia
che su Marte c’è vita. Le fotografie scattate dalla sonda Mariner 4 nel 1965 dissiperanno ogni illusione .
Giustino Fortunato
benestante e pessimista
G
di Beniamino Placido*
lunga, onorevolissima carriera parlamentare paziente e operosa, come il lavoro di
un contadino. Da parlamentare aveva diritto al “permanente”, a viaggiare gratuitamente sui treni. Si raccontava in paese
che lui quel permanente usava infilarlo
nella tesa del cappello, bene in vista. Una
volta salito in treno tirava fuori dalla tasca
il biglietto, che si era comprato con i suoi
soldi, e lo mostrava agli astanti. “Non sono
uno che approfitta della sua posizione”.
Noi abbiamo avuto modo in questi anni di
vedere tante persone assai più benestanti
di Giustino Fortunato che non si accontentano mai di niente.
iustino Fortunato (uno dei più
eminenti meridionalisti) era un
aristocratico signore di famiglia
borbonica, ricca di terre che
amava intensamente, le visitava ed esplorava a piedi. “Per venticinque anni, nella
estate, io percorsi tutta l’Italia meridionale,
tutta pedestremente, dal Gran Sasso all’Aspromonte”. La conosceva e non si faceva nessuna illusione. Malgrado il mare, il
sole, non era affatto un’isola felice, come
raccontavano i viaggiatori romantici. Il
Mezzogiorno, ripeteva, è “uno sfasciume
geologico pendulo tra due mari”. Pessimista
e dunque rinunciatario ? No, tutt’altro. Pessimista e quindi nient’affatto rinunciatario.
Le cose che si potevano fare bisognava farle.
E diede una buona mano a farle nella sua
*Beniamino Placido,1929-2010, giornalista,
scrttore . Da Nautiilus - Laterza - 2010
4
Letteratura
IL LUNGO CAMMINO DELLE PAROLE
di Sergio Paladé
Piercing
D
al verbo latino
pertundere
(bucare, forare)
in particolare
dalla forma del participio
perfetto pertusum (bucato,
forato) al provenzale pertusar, dal quale l’italiano
pertugiare, al francese
percer, all’inglese to pierce
da cui piercing. In lingua
siciliana pirciari. Pirciaricchi sono i primi orecchini
d’oro delle bambine. Si
usavano per bucare il lobo
delle orecchie alle neonate.
Marcia della pace Perugia-Assisi
Ventiquattro chilometri percorsi in sei ore
di Giuseppina Cuccio
e all'acqua; promuovere un lavoro diCinquantesimo anniversario della
gnitoso per tutti; investire sui giovani,
Marcia per la pace da Perugia ad Assull'educazione e la cultura; disarsisi. Il 24 settembre 1961 Aldo Capimare la finanza e costruire un'econotini, filosofo della non violenza,
mia di giustizia; ripudiare la guerra,
organizza la prima marcia sotto la
tagliare le spese militari; difendere i
bandiera della pace, così intitolata:
beni comuni e il pianeta; promuovere
“Per la pace e la fratellanza tra i poil diritto a un'informazione libera e
poli”.
pluralista; fare dell'Onu la casa coNel libro Opposizione e liberazione
mune dell'umanità; investire sulla soil filosofo così descrive l'esperienza
cietà civile e sullo sviluppo della
della marcia : "Aver mostrato che il
democrazia partecipativa; costruire
pacifismo che la nonviolenza, non
Aldo Capitini
società aperte e inclusive». Quesono inerte e passiva accettazione dei
st’anno è stato riproposto il tema del 1961 per lanciare
mali esistenti, ma sono attivi e in lotta, con un proprio
un nuovo appello per la pace e la fratellanza dei pometodo che non lascia un momento di sosta nelle sopoli, richiamando il primo articolo della Dichiarazione
lidarietà che suscita e nelle noncollaborazioni, nelle
Universale dei Diritti Umani che proclama: “Tutti gli
proteste, nelle denunce aperte, è un grande risultato
esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e didella Marcia". I sempre numerosi partecipanti alla
ritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e demarcia ogni anno richiamano l’attenzione del mondo
su alcuni principi ineludibili, ma purtroppo disattesi,
vono agire gli uni verso gli altri in spirito di
che consistono nel : «garantire a tutti il diritto al cibo
fratellanza”.
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Letteratura
Salotto di Gabriella
dedicato a Rosa Balistreri
di Carmelo Fucarino
L
’ultimo appuntamento pre-estivo del salotto
letterario di Gabriella Maggio, organizzato
dalla dinamica Maria Di Francesco, presidente dell’Associazione Volo, il 30 giugno
2011 ha trovato la sua location in un luogo della memoria, quella biblioteca comunale che ci ha visto alla
scoperta dei suoi tesori negli anni gioiosi. Quella sala
di lettura in penombra, quel silenzio che odorava di
carta antica, diversa dall’ariosità della sala dell’altro
sito gesuitico, la Biblioteca, allora Nazionale, del Collegio gesuitico. Al centro di questo arioso colonnato
Gabriella Maggio ha introdotto il genere particolare
della poesia popolare e la specificità della canzone
folk in lingua siciliana, certamente, come ha fatto osservare, sacrificata dall’invadenza e dalla preponderante fama universale della canzone napoletana, che
tra l’altro non è sentita come folklore, ma è vera e
propria creazione di cantautori come quella in lingua italiana. Nell’abituale dialogo con l’autore del
volume Rusidda… a licatisi, Nicolò La Perna, Gabriella ha analizzato la struttura dell’opera, articolata in diverse sezioni, temi e aspetti della ricerca
dell’autore. Questi, a partire dalla biografia che ha
completato con nuovi apporti rispetto a quella tradizionale, scarna e ormai introvabile, ha fornito altra
documentazione con testimonianze di amici e conoscenti della cantautrice. Il libro è completato dalle
esperienze teatrali e musicali, l’ascesa nazionale con
Ci ragiono e canto di Dario Fo, il cimento con la Ballata del sale, fino alla Lupa, alla Lunga notte di
Medea e alle Eumenidi, è arricchito dai testi e dalle
partiture di tutte le canzoni. L’intervento video di
Ignazio Buttitta, le testimonianze di amici, la voce vibrante e accorata della giovane Laura Campisi
hanno reso piacevole la serata che Gabriella ha tenuto sempre ad alto livello culturale.
Se mi è permesso, un ricordo strettamente personale. Fu una serata indimenticabile, propiziata dall’amore per le esperienze letterarie, non solo quelle
nazionali, ma anche quelle tipicamente siciliane,
del Centro di Cultura Siciliana “G. Pitré”, la creatura di Domenico Bruno, presidente dal 1973, che
amò e guidò con infaticabile amore insieme a un
gruppo attivo di fondatori nel 1970, fra i quali mi
onoro. Si volle creare una serata dedicata, in un
piccolo teatro, che ricordo nella evanescenza della
favola e del sogno, forse il Teatro Teatès del compianto Michele Perriera. E si cominciò con l’arte
della parola e del gesto epico, la voce e i movimenti
scenici di Mimmo Cuticchio, i suoi splendenti paladini, il tradimento del perfido Gano e poi l’amuri
di Angelica e i primi timidi sacrileghi trasbordi nei
miti popolari. Poi si offrì nella sua semplicità, nel
volto frastagliato di popolana la Rosa, in mezzo a
noi, a toccare il suo vestito zingaresco, a percepire
i sospiri, i rantoli, le effusioni del suo amore infinito che straripava (allora non era imperante il letterario “esondare” di originali cronisti TV) e ci
sommergeva tutti, pochi intimi a godere delle sue
creazioni. Fra tutti ricordo quel celebre lamento,
così ricordato da Ignazio Buttitta (20 ottobre 1984):
“Io ho incontrato Rosa Balistreri a Firenze, circa
22 anni fa, in casa di un pittore mio amico. Quella
sera Rosa cantò il lamento della morte di Turiddu
Carnivali che è un mio poemetto. Quella sera non
la dimenticherò mai. La voce di Rosa, il suo canto
strozzato, drammatico, angosciato, pareva che venissero dalla terra arsa della Sicilia. Ho avuto l’impressione di averla conosciuta sempre, di averla
vista nascere e sentita per tutta la vita: bambina,
scalza, povera, donna, madre, perché Rosa Balistreri è un personaggio favoloso, direi un dramma,
6
un romanzo, un film senza volto”. Tutti citano il
rapporto con Sciascia, ma la vera simbiosi psichica
e sentimentale fu con Ignazio, un dialogo che era in
sintonia con la loro anima popolana, lei spigolatrice di Licata, lui commerciante di Bagheria, alla
scoperta della profonda e vergine anima popolare.
Era l’impegno civile e politico che aveva dettato
tanti canti, in registri diversi, dal dolore quotidiano
della miseria al tema della condanna mafiosa. Solo
per citare qualche canto: Acidduzzu, La virrinedda, Mirrina, La pampina di l’alivu, Cu ti lu
dissi, Venniri Santu, alla celebre Mi votu e mi rivotu (cavallo di battaglia di Mara Eli, stroncata in
un incidente stradale), fino al forte j’ accuse di
Mafia e parrini, oppure il terribile Carzari. La giovane Francesca si è cimentata nell’ironia smagliante di Me mughhieri unn’avi pila, che si intriga
con la novità della lavatrice. Poco hanno aggiunto
gli altri interventi.
Con diverso amore amai tra gli anni Sessanta e
Settanta la voce calda e passionale di Gabriella
Ferri (la morte tragica nel 2004 per una caduta dal
balcone, l’improvviso ictus per Rosa), non certo
quella di Dove sta Zazà, ma quella che si incanagliva con la sua Roma popolare (vi ricordate La società dei magnaccioni del 1971?). Così Le
mantellate ricordava Matri chi aviti li figghi a la
badia, così tanto saettare di coltelli. Così altre rievocazioni malavitose si ripetevano nelle celebri
Canzoni della mala di Ornella Vanoni, già nel
1957 con le solite Mantellate e Canto di carcerati
calabresi, La Zolfara. Era tutto un fervere di esperienze popolari che davano vita ad un’Italia sotterranea che era ancora viva e sentita. Quella vita
eccezionale che aveva antiche radici, dal Porta del
Lament del Marchionn, delle Desgrazi de Giovanin Bongee e della Ninetta del Verzee fino alla
plebe gaglioffa del Belli, ma anche alla vita eccezionale degli Scapigliati.
Oggi? Si corre il rischio, come giustamente ammoniva Gabriella, di fare archeologia del Folklore, di musealizzare questo immenso
patrimonio di esperienze di vita. La ragione?
Tutta la materia è passata in mano agli addetti ai
lavori, a quella scienza che purtroppo, nell’intento di salvare quella vita, la sta imbalsamando
come un imenottero, parlo, con molto rincrescimento e sine ira et studio, del laboratorio palermitano di Cocchiara, gli studiosi di tradizioni
popolari o antropologia culturale. L’amore tout
court di Pitrè per la tradizione popolare trasformato in scienza. Ma è soprattutto l’assenza di
geni dell’affabulazione emotiva, di cantatrici
come Rusidda che davano a quei canti di vita il
respiro dell’anima, dalle semplici ninnananne, ai
canti del lavoro (la trebbiatura o la pesca), alle
proteste sociali, tutte le ricerche sul campo, che
formano già un’immensa biblioteca di sapere,
sono destinate a restare relitti di un passato forse
irrimediabilmente perduto.
7
Arte
La Sicilia e le speranze di riscatto
di Carmelo Fucarino
Q
ualche mese addietro in fase di approvazione di bilancio il prof. Gianni
Puglisi ebbe a lamentare, nelle alte
stanze ministeriali della cultura, la
completa ignoranza della gloriosa Società Siciliana per la Storia Patria, che nella sua secolare
attività culturale, dalla fondazione nel 1873, ha
visto come soci e attivi collaboratori anche ministri e primi ministri nazionali. La risposta a
questo ironico apprezzamento romano è stata la
presenza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano alla lectio magistralis, tenuta dal
prof. Lucio Villari, ordinario di storia contemporanea a Roma Tre, nell’ambito del programma di Celebrazione del 150° Anniversario
dell’Unità d’Italia che ha visto altri significativi
convegni organizzati dalla Società. Fatto storico
per essa in età repubblicana, ma anche eccelso
riconoscimento per la cultura siciliana tutta.
Nello splendido salone Di Maggio, dominato dal
8
Arte
La Sicilia e le speranze di riscatto
responsabilità dei governanti locali, per l’assenza di una politica industriale e per le tragedie
della mafia che egli ha martellato con un elenco
di nomi di cadaveri eccellenti. Ma dal pessimismo della ragione e della realtà presente le speranze mirate a tanti tesori di beni materiali e
immateriali, di menti e genialità, che potrebbero
fare intravedere la luce.
La lectio di Lucio Villari è stata da lui stesso
riassunta in una formula, «Il Risorgimento in
Sicilia è stato il Risorgimento della Sicilia». Su
questo assunto egli ha analizzato gli impulsi che
sono venuti da tutte le classi siciliane a cominciare dalla straordinaria illusione della rivoluzione concessa dal re nel 1820, ai suoi fermenti
lievitati nella vera e unica rivoluzione democratica europea del ’48, all’apporto dei duecentomila siciliani che trovarono accoglienza nel
Regno di Savoia, nella strategia di freno di Cavour. Tanti gli spunti di riflessione e di approfondimento, anche per i nostri storici locali.
L’apice della tensione e dell’attesa sia da parte
dell’immenso pubblico che occupava anche la
sala Amari e l’altra nel chiostro benedettino, sia
da parte dei politici presenti è stato certamente
il tema del messaggio conclusivo del Presidente
Napolitano. Non è mancata l’insistenza sulla
fase drammatica della nostra economia e sull’esigenza di un intervento finanziario forte, ma
l’accento è stato volto soprattutto all’appello al
riscatto dell’isola, alla intravista (da lui) inversione di rotta, in nuovi progetti di mutamento e
di riforme. Da siciliani possiamo accogliere il
suo messaggio con la prospettiva dell’augurio,
anche se da quel radioso maggio 1946 poco di
buono ha largito il tanto esaltato Statuto. Sappiamo cosa ne pensa uno dei padri, Alessi, ci
chiediamo a cosa servirono le lotte dei fondatori, da Restivo a La Loggia, per strappare al
governo nazionale quelle garanzie che non
erano riusciti ad ottenere nei secoli gli aristocratici in nome di un ipotizzato ed unico Siciliae Regnum.
grande dipinto di Gino Morici sull’ingresso di
Federico II a Palermo, stracolmo di tutte le autorità civili (sindaco, presidente Provincia e persino Lombardo) e militari e di un drappello
della cultura palermitana la prolusione del Presidente della Società Gianni Puglisi è stata
un’analisi puntuale della situazione socio-politica dell’isola, a cominciare dal suo Statuto tradito ai disastri del suo fallimento politico per
incuria del governo nazionale, ma anche per ir-
9
Società
NEL CENTOCINQUANTESIMO ANNIVERSARIO
DELL’UNITA’ D’ITALIA
di Gabriella Maggio
I
Un’alunna di fronte alla Storia
l tema è stato sempre
un compito impegnativo per gli alunni
della scuola italiana di
ogni indirizzo, perché è una
sintesi delle loro conoscenze, degli interessi e
delle capacità logico-espressive. Anche oggi che é indicato con nomi diversi,
analisi testuale, articolo di
giornale, saggio breve mantiene una posizione centrale
nel percorso formativo. Casualmente ed in maniera
del tutto inaspettata ho ritrovato alcuni temi di una
certa Anna Maria che ha frequentato una scuola
superiore, molto probabilmente di indirizzo classico, nel ventennio. Il ritrovamento è stato del tutto
casuale. A Palermo, quando si va a piedi, si cammina spesso con gli occhi fissi a terra per evitare la
sporcizia e le buche, anche nelle vie dei quartieri residenziali. Un pomeriggio di pioggia improvvisa,
mentre camminavo molto concentrata su dove mettevo i piedi, ho intravisto vicino ad un cassonetto
dei rifiuti dei fogli protocollo ancora non inzuppati
dalla pioggia, segnati da una scrittura nitida e regolare, a volte attraversati da segni di matita rossa e
blu. Incuriosita li ho raccolti, tra gli sguardi attoniti
dei passanti, e subito ho avuto la sensazione di avere
trovato qualcosa di interessante. Non mi sbagliavo,
erano i temi svolti da una certa Anna Maria tra il
1934 ed 1936. I “temi di composizione” riguardano l’attualità politica, il commento a testi letterari, la riflessione sulla ricchezza e la povertà, sui
sentimenti familiari, sui doveri. Lo svolgimento non
si discosta dagli stereotipi del tempo, ma Anna
Maria è sinceramente convinta di quanto afferma,
non lascia trapelare dubbi o incertezze. Quanto è
frutto spontaneo e quanto è indottrinamento, molto
probabile, se non d’obbligo nelle aule in quegli
anni, è difficile da stabilire.
Più interessanti degli altri mi
sono sembrati quelli di argomento politico. In “ Le
Paludi Pontine ( soggiorno
di desolazione e di morte)
Littoria e Sabaudia ( rinnovamento e lavoro di vita)”
svolto il 2 maggio 1934XII, Anna Maria scrive :”
Per molto tempo le Paludi
Pontine furono causa di
morte; oggi il Duce ha bonificato quel terreno, e
nuove città sono sorte dove
prima la malaria infestava le terre dell’Urbe “ . In
” Si rinnova l’Impero di Roma e la Pace Romana
dice ancora una volta al mondo la sua parola di
Pace e di civiltà “, tema assegnato a caldo il 14 maggio 1936, la giovane Anna Maria si dichiara sinceramente entusiasta della conquista dell’Etiopia :”
…gli Italiani accorrono giubilanti ad ascoltare la
voce del Condottiero. Il Duce dà l’annuncio che
ciascuno ha atteso con trepida gioia: la guerra è finita, l’Etiopia è italiana, la nostra Vittoria è immensa ….Roma ha ancora vinto, come sempre e
sui suoi colli fatali è riapparso il nuovo Impero dell’Italia Fascista”. In “Commenta la scultorea frase
del Duce: ” E’ riapparso l’Impero sui colli fatali di
Roma”, così scrive Anna Maria :” Il Duce con il
Regime Fascista ci ha preparato un’era di prosperità e di forza ed ancora oggi ci ha dato un Impero;
abbiamo avuto la fortuna di acclamare il Re tre
volte Vittorioso, siamo orgogliosamente fiere della
nostra Patria, prima fra le grandi potenze del
mondo”. Antica e velleitaria ambizione italiana (
n.d.r.). Per buona pace dei “Laudatores temporis
acti” nei compiti di Anna Maria non mancano gli
errori d’ortografia, le improprietà lessicali, gli errori
di sintassi, una certa superficialità di pensiero, scrupolosamente segnati dall’insegnante.
10
Società
Nati non foste
2
di Carmelo Fucarino
9 agosto 2011, un secolo e un anno, dire 101
anni di vita. Era l’anno 1910, quando mons.
Carmelo Amato vedeva la luce, uno dei tanti
figli di una famiglia numerosa dell’epoca.
Anna Kuliscioff tuonava contro il gruppo socialista
che aveva votato la fiducia a Luzzati, entrando «nel
gran calderone dei ciarlatani del mondo politico
borghese», e si formavano i primi nuclei di Azione
Cattolica. Eppure le lunghe esperienze di vita non
hanno affievolito quello spirito guerriero, quella freschezza di ricordi e di intelligenza, la straordinaria
capacità di cogliere i mutamenti della società contemporanea e riviverla nella sua traiettoria esistenziale. Ha accolto con amore ed entusiasmo l’invito
ad essere presente alla presentazione della mia raccolta di poesie,
Percorsi di labirinto, nella sala
consiliare
di
Prizzi, avvenuta il
26 agosto con la
magistrale introduzione e sintesi
tematica e stilistica
di Tommaso Romano. Quello che
però era il clou
della serata era
per me il recital, la
parola che attraverso la voce diventa vita. Di questo devo dare un grazie di cuore a
tutti coloro che si sono cimentati in questo arduo
compito, trasformare in attimi di vita un bebiomenon risolto in lampi lirici e segni assemblati di alfabeto.
Da parte mia devo dire che la magia della serata ha
segnato il mio cuore nel ricordo dei miei anni scolastici, rivissuti dalla voce tremolante del mio professore di religione. A ben pensarci in quel mio ingresso
alla scuola media egli non era un ragazzino, se già
aveva compiuto i suoi trentotto anni, quel fatidico e
gravido di eventi 1948. Non sentii il risveglio di quel
1° gennaio con la Costituzione repubblicana, né
seppi dell’assassinio di Gandhi. Eppure oggi riflet-
tendo, «I tuoi anni / pesano sulle mie spalle, / ma
mi conforta la speranza / che altri trenta possono
spettarmi / e forse più», mi sembra come se fosse
ieri la mia presenza in quella classe, il mio posto al
primo banco della fila vicina all’entrata e quella voce
robusta e che non ammetteva repliche o distrazioni.
Ora me lo trovo a rievocare la mia esistenza, bontà
sua, la mia sete di conoscere e sapere, il mio spirito
attento alla profondità della lettura. È la freschezza
della sua mente che si distende serena e consapevole,
senza bisogno di appunti e di pezzi d carta, il richiamo civile al poeta Zanella, ve lo ricordate, era in
tutti i libri scolastici di quegli anni, la sapienza popolare che plasmava gli spiriti: «sapere, sapere, conoscere sempre, / avanzan avanzan, spirito
straniero, conosci
la stanza che il
padre ti diede»,
rievoca sicuro i
versi che ora non
riesco a ben ricordare. E poi lo spirito del divino
poeta nei celebri
versi di «vertude e
conoscenza», che
scandisce a cominciare dal solenne
attacco
«Uomini siate…»
e infine S. Tommaso che esalta la conoscenza come benedizione divina. L’altro giorno mi recitava con fervore e grande
slancio e miracolosa sicurezza un sonetto di Petrarca
sull’incedere del tempo e la maledizione dei giorni
perduti. E poi l’accorato appello alla conoscenza, «I
giovani non amano il sapere. Impegniamoci a risvegliare questa sete di sapere. Conoscere il passato è
importante. Come diceva Cicerone, chi non conosce
il passato non può progredire mai». Perciò alto e imperioso proclama il suo messaggio, l’appello a conoscere, ma soprattutto a sapere conoscere.
E emotivamente forte, quel suo «grazie» a me per
l’occasione che gli ho dato vale più di qualsiasi elogio e premio letterario.
11
Società/Letteratura
NEW YORK
11 settembre 2001
La redazione
di Vesprino
ricorda
le vittime
PREMIO DI POESIA
LOREDANA TORRETTA PALMINTERI
“CITTA’ DI BAUCINA”
di Gabriella Maggio
Carmelo Fucarino è il primo classificato al premio di poesia “Loredana Torretta Palminteri” Città di Baucina, anno 2011,
per la raccolta di poesie “ Percorsi di Labirinto”- ed. Thule. A Carmelo le congratulazioni del Club.
Veduta di Baucina
12
Letteratura
Intervista a Loredana La Puma
di Gabriella Maggio
larmente all’occhio il fatto che riuscissi a esprimermi molto meglio per
iscritto piuttosto che a voce, un
giorno lui mi ammonì con queste parole: “ricorda che la vita non si scrive;
la vita si vive”. Cerco sempre di ricordarmene quando la scrittura rischia di diventare una scusa per
scappare dalla realtà; un pericolo
che, per quanto mi riguarda, è sempre dietro l’angolo.
Quando hai cominciato a scrivere ?
Ho iniziato da piccola, a circa sette
anni. Amavo inventare storie e quasi
subito ho sentito l’impulso di metterle
nero su bianco.
Cosa ti ha spinto ?
Immagino il bisogno di incanalare in qualche modo
una fantasia molto vivace, però è difficile dirlo, proprio
perché ho iniziato quando ero troppo giovane per poter
“razionalizzare” la cosa. Posso dire con più precisione
cosa mi ha spinto a ricominciare, visto che fra gli ultimi anni di liceo e i primi di università non avevo
scritto quasi più nulla: semplicemente, un giorno, ho
sentito nascere dentro di me una storia e dei personaggi, quasi a prescindere dalla mia volontà, e ho avvertito fortissimo il desiderio di dar loro una voce.
Una cosa che non hai capito della gente
Non riesco a comprendere la brama di potere che
anima certe persone. Per quanto mi sforzi, mi viene
sempre difficile capire quale follia spinga un essere
umano a sacrificare tutto il possibile (magari anche
vite altrui) per arrivare “in cima”, per realizzare visioni e sogni di grandezza che poi – la storia insegna
– si rivelano quasi sempre vacui e privi di senso.
Qual è il tuo tema preferito?
Una cosa che volevi e non hai fatto
Più che un tema preferito, direi che ho una predilezione per un certo tipo di atmosfere. Sono sempre
stata attratta dal mistero, dall’inspiegabile, da tutto ciò
che va oltre ciò che possiamo vedere e toccare. Al di
là di questo, a fare da colonne portanti alle mie storie
ci sono alcune questioni che mi stanno molto a cuore,
come il valore della libertà individuale e collettiva, la
necessità di assumersi la responsabilità delle proprie
azioni e l’importanza dei legami affettivi.
Se mi fermo a pensarci mi rendo conto che le cose
che avrei voluto fare e non ho fatto sono moltissime.
Uno dei miei rimpianti maggiori, attualmente, è
quello di non aver scelto in maniera più oculata il mio
percorso di studi.
Di che cosa hai paura?
Di non riuscire a realizzarmi come persona e di non lasciare nulla dietro di me, ma soprattutto di non vivere la
mia vita fino in fondo, sfruttando tutte le sue immense
possibilità. Molto spesso l’unica cosa che facciamo non
è vivere ma sopravvivere, e c’è una bella differenza.
Hai una frase, una parola che ti aiuta?
Tengo sempre a mente una frase che mi disse un mio
professore delle superiori. Visto che saltava partico-
13
NEL CENTOCINQUANTESIMO ANNIVERSARIO
DELL’UNITA’ D’ITALIA
di Pino Morcesi
È
Il risorgimento senza retorica
un tradizionale costume italiano rivestire
di retorica edificante
gli eventi della storia
nazionale che si ritengono particolarmente significativi, senza
capire che la verità nuda dei fatti
ha una forza più grande di qualsiasi orpello retorico, almeno per
un motivo, quello di aiutarci a
vedere l’origine dei problemi che
ci assillano ancora oggi. Oggi la
retorica suona falsa. In occasione del centocinquantesimo dell’Unità si avverte qua e là qualche segno di
cambiamento nel racconto dei fatti per cui vengono
proposti e discussi aspetti del processo unitario sino
ad oggi lasciati in ombra o oggetto d’indagine esclusiva da parte di coloro, soprattutto meridionali, che
considerano l’Unità come “invasione piemontese”. Uno dei tanti esempi è costituito dalle
Brigantesse, le compagne, le mogli, le figlie, le madri dei Briganti, che insieme
ai loro uomini danno vita ad una rivolta contadina nelle regioni meridionali, cominciata nel 1861 e protrattasi
per circa quattro anni. Il Brigantaggio è stato l’esito disperato e anarchico
di una mancata rivoluzione agraria e
dell’arretratezza della popolazione, represso duramente nel sangue dalle numerose truppe inviate del governo
centrale, circa 120.000 uomini. L’errore
che è stato allora commesso, e che ha segnato
l’inizio della “questione meridionale”, è stato quello
di non volere affrontare la questione agraria, che a
Garibaldi era sembrata prioritaria, per non mettere in
discussione il consenso dei proprietari terrieri all’Unità. Allora come oggi, gli interessi di gruppi elettorali prevalgono su scelte che possono assicurare il
benessere comune. Le donne dei Briganti hanno condiviso la lotta spietata e la morte con i loro uomini,
hanno mostrato coraggio e ferocia come Maria Capitanio che
dopo la morte del suo compagno,
il capobanda Luongo, prende il
comando del gruppo, guidandolo in audaci imprese di guerriglia ed infliggendo gravi perdite
all’esercito sabaudo, finché viene
catturata nel 1868. In prigione si
toglie la vita ingoiando pezzi di
vetro.
E Michelina De Cesare che
viene trucidata con la banda del compagno, Francesco Guerra. Il suo cadavere viene spogliato ed
esposto nella piazza del paese.
Non c’è pietà umana per queste donne, considerate di malaffare, “drude” vengono chiamate nei
verbali della polizia e nelle cronache dei giornali.
Il loro comportamento di donne sembra del
tutto inaccettabile secondo il senso comune dell’epoca. L’elenco delle donne
potrebbe continuare ancora, ma
credo che queste due vicende siano
rappresentative anche di tutte le
altre. Le Brigantesse hanno vissuto
un triste episodio della nostra storia. Oggi la condizione del Sud è
ancora più triste se consideriamo
che la “questione meridionale” non
è ancora risolta, essa richiede una
forte attenzione, come in questi giorni
ha sottolineato il Presidente della Repubblica in visita a Palermo. I primi ad affrontare l’annosa questione devono, però, essere gli
abitanti delle regioni meridionali senza aspettare che l’iniziativa sia di altri. Se vogliamo dare
un senso alla celebrazione dell’Unità questo è
l’unico possibile cioè quello di cominciare a risolvere i problemi aperti nel 1861 e non mai affrontati per risolverli, ma solo per parlarne. La
solita retorica!
14
Natura
MASSACRO ALLE PRIBILOF
di Walter Bonatti*
“I
l mio viaggio nel Grande
Nord è praticamente concluso, ma siccome mi resta
qualche giorno libero prima del ritorno in Italia, decido di dedicarlo a
una visita nell’isola degli orsi marini,
che hanno trovato da secoli la loro dimora ideale nel gruppo delle Pribilof.
Fin dall’antichità le leggende del Nord
parlavano di una bestia misteriosa,
l’orso marino, che viveva segregato dal
mondo in alcune isole sconosciute del
nord Pacifico. Alla fine del ‘700 un navigatore russo al
servizio degli Zar, Gerassim Pribilof, scoprì quelle isole,
che oggi portano il suo nome, e vi trovò sterminati
branchi di questi animali. Successivamente vennero i
grandi massacri suscitati dall’avidità per le pelli pregiate…Intervennero allora le autorità americane per
proteggere la specie. La nebulosità sulle Pribilof è costante ed offre un rifugio ideale all’orso marino, che vi
si rifugia in estate. Nelle altre stagioni gli orsi vivono
nelle acque alaskane, dove si cibano di acciughe, aringhe, salmoni e calamari. …L’orso somiglia un po’ alla
foca, ha pinne molto larghe che usa come zampe sulla
terraferma. Il maschio arriva a pesare anche quattrocento chili, mentre la
femmina supera raramente
i
cinquanta.
L’uomo lo caccia per la
pelliccia morbida e lanosa,
così impermeabile all’acqua che rimane asciutta
anche dopo che l’animale
è rimasto immerso per ore
nel mare. Il colore grigio
della pelliccia si trasforma
in giallo bruno durante
l’estate, nella stagione degli
amori sulle isole, allorché
ogni maschio diventa il
capo di una specie di tribù
di femmine che si aggira
sui quaranta capi.
La «mattanza» periodica
ha le sue regole tradizionali e spietate.
Prima che spunti l’alba del giorno stabilito, decine di uomini entrano in
azione sulla costa dell’isola spingendo i
branchi verso l’interno. Qui li attendono
altri uomini armati di lunghe mazze.
Scelgono gli orsi maschi, lasciando da
parte quelli che giudicano più adatti alla
riproduzione: poi con un solo terribile
colpo sul cranio fulminano le loro vittime. C’è una regola quantitativa e qualitativa da rispettare perché il
Dipartimento degli interni degli Stati Uniti è rigorosissimo: lo sfruttamento della pelliccia non deve portare alla
distruzione della specie. L’ultima immagine del mio viaggio nel Grande Nord è questa distesa di grossi animali immoti, abbattuti con un solo colpo di mazza al capo”.
*Walter Bonatti è morto il 13 settembre 2011. Non
è stato soltanto uno scalatore eccezionale, ma un
esploratore ed un giornalista. Nel 1966 il settimanale Epoca ha pubblicato per la serie “ Le grandi
avventure di Walter Bonatti” il Massacro alle Pribilof ( n.d.r.).
15
Religione
Quid ergo est tempus?
di Carmelo Fucarino
N
ell’omelia della sua Messa dei 101 anni
mons. Carmelo Amato esordì con questa celebre e problematica domanda
che Agostino poneva nel libro XI (cap.
14, 17) delle sue inquietanti Confessiones. E come
il santo dei dubbi, delle incertezze e delle angosce
esistenziali, il santo che Petrarca volle interpretare
nel suo Secretum, egli ne ripeteva con la sua voce
assillata la risposta che apriva abissi di mistero: «Se
nessuno me lo domanda, lo so. Se volessi spiegarlo
a chi me lo chiede, non lo so» (Si nemo ex me
quaerat, scio: si quaerenti explicare velim, nescio).
È incommensurabile l’emozione e il turbamento
che mi colse nel risentire questa arcana verità da
un uomo che ha vissuto profondamente ed intensamente il tempo, nelle letture dei classici, soprattutto latini e con profondità Virgilio e Cicerone,
che non può fare a meno di citare attraverso una
riflessione sulla vecchiaia dal Cato Maior. De senectude, il grande vecchio antico. Eppure l’analisi
16
Religione
Quid ergo est tempus?
colse, quando si tolse gli occhiali, si passò la mano
sugli occhi e il bisbiglio concitato della sua riflessione «cosa succede alla retina?». Certamente il
faro del fotografo aveva turbato la sua percezione
della luce. Cercò ancora di proseguire con la ripresa agostiniana sulle tre fasi del tempo: «Questo
poi è ora chiaro ed evidente, né ci sono tempi futuri né passati, né propriamente si dice, ‘tre sono i
tempi, passato, presente e futuro’, ma forse propriamente si dovrebbe dire, ‘tre sono i tempi, il
presente del passato, il presente del presente, il
presente del futuro’. Infatti questi tre tempi sono in
qualche modo nell'animo, né li vedo altrove: il presente del passato è la memoria, il presente del presente la visione diretta, il presente del futuro
l'attesa (expectatio)» (20, 26). Per concludere: «Per
cui mi sembrò che nient’altro fosse il tempo che
una estensione (distensio); ma di cosa non so, eppure sarebbe strano se non lo fosse dell'animo
stesso» (26,33). Poi dopo tentativi di ricordarci le
epigrafi delle meridiane e le riflessioni sul tempo e
la morte, la rinunzia e la lettura della sua omelia
da parte del giovane arciprete, voce e sentimento
estranei. Non c’erano il suo impeto e la sua passione, anche se si librava in immagini di meridiane
solari e di tremendi moniti a lodare la vita nel misurare il tempo.
Quel gaudio immenso di vivere che è esploso nei
doni di due bambine, un mazzo di fiori vivi e un palloncino a forma di fiore, e nel canto ritmato di lode
a Dio che ha inondato la sua chiesa della parrocchia
di S. Giovanni, nel giorno della celebrazione della
festa del Martirio di S. Giovanni, la voce clamante
nel deserto. E l’inno gioioso alla vita che è esploso assieme ai mortaretti, nella candela parlante sulla torta
a forma di vangelo e nel gaudio dello spegnimento
delle candeline.
Si può essere felici per un compleanno, ma il gaudio
di padre Amato è stato una benedizione divina,
l’inno più assoluto alla gioia di vivere, sapendo della
grazia divina e della caducità della vita.
Grazie per averci dato la speranza e il gaudio immenso per la sua gioia di esserci e di lodare Dio.
si approfondiva con la successiva precisazione:
«Tuttavia con sicurezza affermo di sapere che, se
niente passasse, non vi sarebbe un tempo passato
e se niente si approssimasse non vi sarebbe un
tempo futuro, se niente vi fosse, non vi sarebbe il
tempo presente. Dunque quei due tempi, passato
e futuro, come sono e quando, il passato non è più
e il futuro non è ancora? Il presente poi, se fosse
sempre presente e non passasse al passato, non sarebbe tempo, ma eternità». Un’estrema paura mi
17
Storia
RICORDI “PERONISTI”
di Gianfranco Romagnoli*
N
ello scrivere queste
note, non intendo
certo farmi laudator temporis acti
nei confronti di un regime straniero, del quale la natura dittatoriale e la compromissione
con il nazifascismo dovrebbero indurre, quanto meno,
alla cautela; voglio soltanto
dare una testimonianza, che
potrebbe risultare di un qualche interesse, su come ho vissuto da bambino, direttamente
pur se in Italia, un’epoca storica. Per chiarire a quale titolo
mi ritenga abilitato o portato
ad una tale impresa, devo premettere che mia madre, figlia
di un colonnello dell’esercito
argentino, sposò mio padre che
visse sette anni in quel Paese,
del quale prese la cittadinanza,
svolgendo l’attività di giornalista: rientrò poi in Italia dove si
stabilì definitivamente a
Roma, lavorando per la Pubblica Amministrazione in qualità di interprete. Come figlio
di argentina nativa e di argentino naturalizzato, io stesso ho
avuto la doppia cittadinanza
italiana ed argentina sino all’età di diciotto anni, entro la
quale avrei dovuto optare per
una di esse, ciò che feci per
facta concludentia rispondendo alla chiamata di leva militare italiana. Sorvolo sui miei primi ricordi, che coincidono
con gli ultimi anni del secondo conflitto mondiale, con i
bombardamenti di Roma e con l’ingresso nella capitale
degli Alleati, che vidi sfilare per la via Appia, per venire ai
rapporti della mia famiglia con l’Argentina. Nel periodo
immediatamente postbellico mio padre passò a lavorare
presso il Consolato Argentino di Roma all’Esquilino, dove
fu messo a capo dell’ufficio passaporti: conservo ancora,
compilato da lui, il mio passaporto di cittadino argentino.
Il lavoro era impegnativo: con le difficoltà economiche indotte dalla guerra e con il clima teso che si era creato, era
ripreso imponente il flusso migratorio verso l’Argentina,
sicché numerosissimi furono i passaporti rilasciati in quell’ultimo scorcio degli anni ‘40.
Lo stato sudamericano, che già contava una massiccia presenza di immigrati italiani, era un paese prospero a fronte
di un’Italia ancora povera e “ammaccata”, alla quale generosamente inviava aiuti in grano. Giungevano anche
pacchi di aiuti alle famiglie: yerba mate, burro salato, dulce
de leche e altri prodotti tipici argentini. Ai ricevimenti patriottici dati dall’Ambasciata a Roma per la festa nazionale
del 25 maggio (dopo la Messa mattutina nella Chiesa Nazionale Argentina di Piazza Buenos Aires) o per altre oc-
18
Storia
RICORDI “PERONISTI”
casioni e ricorrenze, venivano invitate le intere famiglie
degli argentini residenti.
Erano gli anni del peronismo: grande fu l’eccitazione
quando Evita Perón, nel corso del suo viaggio in Europa
quale ambasciatrice del regime, giunse a Roma, ricevuta
dalle massime autorità italiane e dal Papa. La sua visita
fece epoca: bella, sfarzosamente elegante, era un mito
della nazione argentina, chiamata dai descamisados Madona de los humildes per la sua instancabile attività a favore dei poveri; amatissima, ma odiata con pari intensità
dagli oppositori democratici e dai militari. Nel ricevimento
che si tenne all’Ambasciata venne distribuito agli invitati
un distintivo che riproduceva la testa di Evita
in metallo dorato tra le
due bandiere italiana e
argentina ed il libro della
stessa Evita La razón de
mi vida insieme ad un
altro intitolato, non so se
ricordo esattamente, La
doctrina del Justicialismo
(cimeli storici che purtoppo non possiedo più);
si canticchiava, non
come inno ma in tono
salottiero, questa canzoncina: Yo te darè/te
darè una cosa/una cosa
muy hermosa/una cosa
che empieza con pe:
Perón!
Il clima nella piccola comunità del Consolato
era familiare e simpatico:
alla mia cresima e prima
comunione (allora si facevano insieme) intervenne il viceconsole
argentino.
Poi, il tempo trascorse,
vennero gli anni cinquanta con l’inizio della
ripresa economica, mio
padre passò a svolgere
un’attività imprenditoriale e i legami con l’Argentina si allentarono.
Ma di quell’epoca -non di quel regime- favolosa per me
bambino, mi è rimasto dentro un ricordo, che, insieme all’ammirazione per i tre piloti argentini, Fangio, Gonzales
e Marimón, che dominavano la Formula 1, e ai film messicani dell’epoca come La perla, è all’ origine della mia
passione per gli studi sul mondo ispanico e latinoamericano.
* Vicepresidente e Delegato per la Sicilia del Centro Internazionale di Studi sul Mito
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Come eravamo
Sulla tavola del principe
di Renata De Simone
L
a data completa nel documento
manca, la carta ingiallita porta scritto
a mano il giorno e il mese,15 marzo, il
proprietario del foglietto conservato
gelosamente tra le carte d’archivio, è il principe
di Villafranca. A tener conto degli altri documenti conservati nel grosso faldone si tratta di
un manoscritto, su modello prestampato, che
risale alla prima metà dell’Ottocento. E’ pure
incerta la città da cui proviene, poiché si sa i nobili siciliani amavano viaggiare per motivi d’affari o semplicemente per impegni personali più
o meno mondani o, specie se appartenenti al
gentil sesso, per rinnovare periodicamente il
proprio guardaroba o l’arredo domestico. Così
conosciamo gli indirizzi di fornitori e commercianti di Napoli, Parigi, Londra attraverso i cataloghi e gli avvisi pubblicitari che spesso si
trovano tra le carte di un archivio di famiglia,
quando i proprietari si chiamano Moncada,
Belmonte, Lanza o Spatafora.
Un Avviso di passaggio della ditta Ventura di
Milano, fornitrice di Casa Reale, indirizzata nel
1905 alla Principessa di Villafranca, presso il
Grand Hotel Des Palmes di Palermo, la invita
ad visionare la splendida collezione degli ultimissimi modelli in toilettes, costumi da passaggio, confezioni, sorties da teatro; una Cartolina
postale dello stesso anno informa con l’invio del
campionario di stoffe della collezione autunnoinverno della ditta Wollen Tuch di Milano su
richiesta di Amalia Alliata. L’indirizzo è il Palazzo Villafranca di piazza Bologni, a Palermo.
La ditta Successori Marchesini gioiellieri di Roma invia
alla principessa Alliata, abituale cliente, i disegni dei gioielli
in vendita con l’indicazione delle pietre usate e i relativi
prezzi.
In questo dettagliato ottocentesco elenco indirizzato al principe, si tratta però di un genere diverso di forniture: si tratta
infatti di pietanze, presentate con incredibile scelta e accompagnate dai relativi prezzi,da un ristoratore, di cui si
conosce solo il nome, Giuseppe Vigna, ricette fatte apposta
per stuzzicare gli appetiti di un ricco cliente.
Qualche esempio: cappone lesso, tortina di fegatini, costolette al sugo, castrato con fagioli, piccione con carote, fricassea di vitello di latte, animelle all’acetosa, lingua alla
tartara, lingua dolce e forte, pollo con riso, bove alla moda,
bistecca all’inglese, orecchi farsiti. Come pesce c’è il nasello
all’inglese, il baccalà, l’anguilla con salsa, il palamito arrosto, la frittura di mare. Restano un mistero piatti come la
lingua in salsa brusca o l’aringha buona. Tra gli umidi troviamo pure la pasta frolla, la crema al rum e la pasticceria
alla crema. Sono indicati come erbe i fagioli, i cavolfiori e
gli spinaci, come arrosti l’agnello, il pollo e il rosbiff. Sono
fritti i granelli, il cervello, il cavolfiore ma anche i bignè di
mela. Per frutta il ristoratore offre uva, mele, nocciole e include il formaggio, il pane fresco è servito nella specialità
italiana o francese, il vino può essere ordinario o, con un
maggior costo, aleatico, frontignano, di Nizza, di Gordo, di
Sciapagne. Fuori lista la pasta nella sola qualità di maccheroni grossi magri, a compensare per semplicità gli eccessi
dell’elaborata produzione gastronomica in vendita. Il
prezzo più alto? Come sempre il vino.
20
Società
“Sventurata la terra
che ha bisogno di eroi”
di Giuseppina Cuccio
Queste parole pronuncia Galilei dopo l’abiura
in “Vita di Galileo” , scena tredicesima, di
Bertolt Brecht. Forse sono già state usate per
commentare i vari anniversari degli omicidi
mafiosi di magistrati, poliziotti, religiosi. Ma
non importa perché la frase mi sembra sempre
efficace ed attuale. Ieri infatti era l’anniversario dell’omicidio di Don Puglisi, 15 settembre 1993. Travolti continuamente dalle
incredibili cronache di ogni giorno rischiamo
di perdere speranza e fiducia in un mondo migliore. Ma se l’anniversario o gli anniversari,
perché sono ormai tanti, hanno un senso questo consiste esclusivamente nel pungolo del ricordo che ci spinge a perseverare nell’onestà
di fare ogni giorno il nostro lavoro, distinguendo il giusto dall’ingiusto, il lecito dall’illecito, ciò che conta veramente dal superfluo
che subito annoia. Non importa se siamo una
minoranza, l’importante è che ci siamo e che
abbiamo la tenacia di resistere.
Con l’occhio dei bambini
di Gabriella Maggio
Tanta, tanta voglia di natura nell’ingenua visionaria fantasia della piccola Aurora. Sembra una richiesta perentoria, che mette all’angolo noi adulti. Non abbiamo scuse da accampare. Riconosciamo la nostra negligenza
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Recensioni
Uno scenario inquieto verso la chiarezza
V
di Fabio Russo
i Cari Amici di Vesprino,continuando la discussione sul romanzo di Rosa Maria Ponte” Nel
cuore della notte” , Barbara, che «aveva ripreso
a battere sulla tastiera la traduzione […] e
l’avrebbe conclusa: “Non è la Morte sorella del Sonno?... In
quel momento si sentì all’interno della statua uno strano
crac, come se qualcosa si fosse rotto. Il cuore di piombo si
era spaccato in due”. Lei allora rivisse quella serata, quando
il suo cuore di carne di era spaccato in due nel momento in
cui, uscita dalla macchina dopo quella notizia e la volontà di
lui di interrompere tutto tra loro, avrebbe voluto che la richiamasse […]. Ma lui, con gli occhi fissi avanti e la fronte
corrugata, aveva messo in moto ed era scomparso per sempre» (p. 138). Allora Barbara si dirige alla stanza dei genitori, si corica nel loro letto, «nel mezzo, come faceva da
Un subconscio vigile, costruttivo, di cui sono spia le ricorpiccola», così che «essi tornarono sulla terra da quella lonrenti
forme retrospettive di «vide», «rivide» (Pirandello a sua
tana stella ai margini dell’ultima di tutte le galassie dell’univolta
annota «Lì, con gli occhi chiusi, volle rifarsi lucidaverso che è il meraviglioso mondo dei Morti […]. Ora la
mente
i minimi particolari della giornata […]. Egli abitava
mamma le carezzava i capelli e con dita leggere le asciugava
lassù,
[…]?
Rivide [ella] la corte piena di colombi; […]! Le
le lacrime […], mentre papà le stringeva una mano» (ivi).
si
riaffacciò
alla
mente lo spettacolo dell’ampia chiostra dei
Memoria e sogno, turbato o gradevole. «E in quel sonno
monti»,
L’esclusa,
II, cap. IX). Così, Barbara «Andò alla
profondo, non c’era Giulio, non c’era menzogna, non c’era
porta,
il
cuore
le
batteva
forte. L’aprì e vide chi mai si sadolore […]» (ivi).
rebbe
aspettato.
[…]
un’improvvisa
ondata di felicità aveva
Fuori era notte, e Barbara aveva completato la traduzione,
invaso
l’intero
suo
corpo.
E
lei
sentiva
che il cuore non pofinalmente (Cap. XXX). Cambio di scena (stesso Cap.), la
teva
contenerla,
né
la
mente
contemplarla.
– Quanto ti ho
scena di coscienza, di Barbara ovvero della situazione visatteso!
disse
[…].
–
Nessuno
viene
a
quest’ora
della notte
suta dall’interno di lei, dalla sua coscienza. Questa ora fissa
per
restare,
disse
l’ospite
–
sono
venuto
per
portarti
via con
la Zia intenta a portare al termine il racconto del Principe
me.
Sei
pronta?»
(pp.
140-41).
Ma
subito
segue
a
modo
di
senza più oro né rubini, e il commento della nipote non più
chiusa
edificante,
sui
valori
di
bontà
e
rettitudine
nel
futuro,
piccola che all’improvviso dice fra sé e sé, «ma ora avevo cail finale del Principe e della Rondinella, come un motto ripito, il mistero mi era stato svelato» (p. 140), il suo e della
portato ancora una volta (le altre citazioni già) nella lingua
vita, però senza una spiegazione diremmo “didascalica”. E
originaria di Wilde.
nuovo cambio di scena (sempre Cap. XXX), lungo il fluire
Questo, secondo le parole pure tradotte, in nota (dell’Audella coscienza: «nel profondo silenzio della grande casa, ritrice). Un tono e una citazione dal sapore di sentenza e di
suonò il campanello della porta d’ingresso. Barbara sobannunzio ammonitore (sull’onda delle parole dell’ospite), labalzò, si era addormentata e stava sognando […].
sciato alla capacità intuitiva di chi legge, ma appartenente
Mormorò: - Chi può essere a quest’ora, come mai il citofono
proprio al piano compositivo di un’opera puntata sul segreto
non ha suonato?» (un’incongruenza preannunciata da quella
di luoghi e di emozioni.
simile al motivo della pendola di notte che «non aveva suonato», Cap. XIII, o ancora il
sogno incubo riguardo il nonno
con l’elettricista al Teatro Massimo, Cap. VIII).
Visita > Leggi
Nell’immaginaria visione, il pensiero cosciente di lei «vede»
(Tecchi direbbe «con gli occhi
Commenta > Collabora > Scrivi
dell’anima», e a distanza la protagonista Rapisarda «Vedeva,
come se li avesse sotto gli occhi,
il primo dei poderi […]. Vedeva
il secondo», La terra abbandonata, finale) più che mai dentro
incontriamoci in rete
a sé e davanti a sé, libero dalle
griglie precise di una coscienza
lionspalermodeivespri.wordpress.com
rigida, di scarso esprit de finesse.
VesprinoMagazine
22
Cultura
BIRMANIA
Riflessi d’anima
di Gabriella Maggio
Un numeroso pubblico ha affollato la mostra ed il
prato circostante, arredato con fiori e vimini in maniera elegante e raffinata secondo il gusto orientale
minimalista delle fotografie. L’evento ha coinvolto,oltre al Comune di Palermo ed alla Regione
Sicilia, l’Unesco, i Club service Lions Palermo dei
Vespri, Rotary Palermo Est, Inner Wheel Centro ed
anche l’Associazione VOLO e Fanale Arte Architettura.
Il 24 settembre nello spazio espositivo della Real
Fonderia è stata inaugurata la mostra fotografica
Birmania riflessi d’anima di Rossella Pezzino De
Geronimo. Acqua, donne, bambini i temi delle belle
fotografie che fissano nell’attimo dello scatto fotografico l’anima profonda di un Paese e dei suoi Abitanti.
Da sinistra Gabriella Maggio, Rossella Pezzino, Maria di Francesco
23
Sicilia
Viaggiatori stranieri in Sicilia
di Daniela Crispo
I
CARLO CASTONE DELLA TORRE DI REZZONICO - parte ottava
in mezzo a sì terribile e dilettosa scena di lave e di
boscaglie, di monti, di grotte… La vista del cratere
, largo tre miglia, tutto coverto di neve e sgorgante
dalle fauci un’onda di bianco fumo, non compensa,
a mio giudizio, la noja , il male e il pericolo della
lunga via.
La lava del 1792 aspreggiò di frequentissime fenditure tutto il Piano del lago….La neve indurata
rendevalo alquanto più facile, avendo riempite le
cavità, su cui m’arrischiai di girne con la mula, seguendo passo passo un’esperta guida, che precedeami traendo per la briglia il suo mulo e tentando
egli prima il fallace suolo; nello scendere però non
mi fidai della lubrica neve, e me ne venni a piedi.”
l “Io non so qual aura poetica spiri dall’Etna
per animare gli scrittori a colorire talvolta con
molta pompa di stile obietti per se stessi volgarissimi. Brydone qui trova le tre zone dell’orbe terracqueo: la torrida, la temperata la
glaciale. De Non vi vede ora i deserti d’Arabia, ora
l’inferno, or l’eliso de’ Greci, e perfino il foco principio nel lucido chiarore delle fiamme fra larghe
onde di fumo. A me certo non manca immaginativa e magnifico romor di parole per descrivere
l’orrore e la maestà ottemperata a perpetua primavera e le nevi e la fiamme che mutua fede si serbano; ma, inteso ad ispiare i segreti della natura,
disdegnai di dipingere poeticamente, per filosofare
24
Letteratura
Eugenio Montale
di Gabriella Maggio
I
l 12 settembre ricorre il trentesimo anniversario
della morte del poeta Eugenio Montale, Pre-mio
Nobel per la Letteratura nel 1975 con la motivazione :” Per la sua poetica distinta che, con
grande sensibilità artistica, ha interpretato i valori
umani sotto il simbolo di una visione della vita priva di
illusioni”. Nella sua vasta opera, composta nell’arco di
tempo che va dagli anni ’20 del no-vecento agli anni
’80, interseca i principali eventi del secolo, dandone
una lettura disincantata e pessimistica, che si riflette
anche sugli eventi privati. Tra le donne dell’ ”Opera in
versi” occupa una posizione importante Irma Brandeis, studiosa americana di Dante conosciuta a Firenze e
cantata come Clizia, visiting angel ,
only begetter ( il solo ispiratore). A lei
sono dedicati i Mottetti, venti poesie
di straordinaria concentrazione lirica
all’interno delle Occasioni, ”romanzetto autobiografi-co”, come dice
Montale, in cui affronta il tema della
presenza-assenza della donna amata
e lontana. Ma Montale non idealizza
a lungo Clizia, non è il suo stile, il tentativo dell’angelicazione non rie-sce.
La corrosione critica dei miti e l’autoironia nella poetica montaliana si
annunciano già nella “Farfalla di Dinard”. L’opera raccoglie le prose
scritte tra il 1946 ed il 1950, già apparse sul “Cor-riere delle sera” , sul
“Corriere dell’informazione” e su altri
periodici. “Clizia a Foggia” ripropone
in maniera inusitata la donna angelo
dei Mottetti. Clizia si trova alla stazione di Foggia, ma perde il treno. In
attesa del successivo, che sarebbe partito dopo tre ore, non trovando adeguatamente puliti e freschi la sala
d’aspetto della stazione né i bar vicini
si rifugia in Municipio dove si svolge
un di-battito sulla metempsicosi. Nell’ombra accogliente della sala Clizia
si addormenta e sogna di essere trasformata in ragno.
Uno degli esperti la sveglia con cortesia e le chiede che
cosa ha sognato. Cli-zia risponde sinceramente che ha
sognato di essere diventata un ragno. La risposta suscita l’ilarità del pubblico, che intanto ha riempito la
sala, e il disappunto dei conferenzieri, che cercavano
una prova delle loro teorie. Con forza viene accompagnata alla porta con l’ordine perentorio di non partecipare più a conferenze di livello tanto elevato
rispetto alla sua cultura ed ai suoi interessi. Non le resta
che tornare alla stazione ed attendere il treno.
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Teatro
E avanti a lui tremava tutta Roma!
Atto II, scena V
di Carmelo Fucarino
Foto per gentile concessione Ufficio stampa Teatro Massimo
C
osì l’ultima frase celebre di Tosca. L’opera è una
delle più visitate nei moderni repertori teatrali
tanto che romanze, ritmi e addirittura frasi vivono nell’immaginario collettivo. Chi non si è
commosso all’udire le tre celebri romanze, una per atto,
che stemperano in funzione lirica la concitazione della vicenda, Recondita armonia, Vissi d’arte e Lucean le stelle?
Eppure Tosca, melodramma in tre atti, non ebbe un avvio
dei più felici, alla prima di inizio secolo il 14 gennaio 1900
al Teatro Costanzi di Roma, perché deluse gli aficionados
e una parte della stampa, in quanto non in linea con la recente La Boheme. Per di più l’arrivo in ritardo di alcuni
spettatori, alla presenza del presidente del Consiglio Pelloux e della regina Margherita, seminò un certo nervosismo in sala e nel direttore d’orchestra che dovette
interrompere e ricominciare dall’inizio. Anche l’autorizzazione di Victorien Sardou fu concessa a Giulio Ricordi
per il musicista Alberto Franchetti, allora sulla cresta del-
l’onda per l’exploit del suo Cristoforo Colombo. Presente
all’approvazione dell’abbozzo di Illica a Parigi, Verdi confidò in seguito al suo biografo che, se non fosse stato per
l’età, avrebbero voluto musicarla lui e se ne comprende il
perché. Dopo che Franchetti ebbe rinunziato, si avviò il
progetto con la poco convinta adesione di Giacosa che riteneva il soggetto poco poetico e attribuiva il successo del
dramma ad una straordinaria Sarah Bernhardt che il 24
novembre 1887.lo aveva portato al trionfo al Théatre de la
Porte-Saint-Martin di Parigi e all'inizio del 1889 al Teatro
dei Filodrammatici di Milano. Tosca fu l’ultima recita della
Callas il 1965, al Covent Garden.
Troppo nota la vicenda, perché se ne debba parlare. Si può
solo riflettere sul tema della rivoluzione romana e sull’interesse
dei Francesi per un episodio di esaltazione napoleonica. Al di
là dell’allusione storica e della condanna del sistema reazionario che comminava condanne sommarie, il cinico Scarpia ha
una profondità psicologica che ci coinvolge e sconvolge, quel
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Teatro
E avanti a lui tremava tutta Roma!
baratro di demoniaco che è in tutti noi, nell’uomo in quanto
tale. L’atmosfera, la chiesa di Sant'Andrea della Valle, l’Angelus, il Te deum, tutto richiama il divino. Eppure Scarpia è consapevole della sua abiezione e la rimarca già alla fine del primo
atto (scena 9). Dopo l’inganno del ventaglio, apertamente avvicinato al fazzoletto di Desdemona («Per ridurre un geloso
allo sbaraglio / Jago ebbe un fazzoletto... ed io un ventaglio!»),
la riflessione di Scarpia mette a nudo la fragilità del cuore
umano e la presenza del male:
«Va, Tosca! Nel tuo cuor s'annida Scarpia!... / È Scarpia
che scioglie a volo / il falco della tua gelosia».E mentre la
folla innalza l’inno «Te Deum laudamus: Te Dominum
confitemur!», Scapria, «riavendosi come da un sogno» (così
nel libretto), ammette, «Tosca, mi fai dimenticare Iddio! »,
e «s'inginocchia e prega con entusiasmo religioso». Qui
l’ambiguità che si sviluppa tra i due piani, la religiosità insistente nei cori e gli abissi del cuore umano, che manifesta in aperta confessione di cinico sopruso:
«Bramo. - La cosa bramata / perseguo, me ne sazio e via
la getto... / volto a nuova esca. Dio creò diverse / beltà e
vini diversi... Io vo' gustar / quanto più posso dell'opra divina!».
Gli elementi accessori dello spettacolo sono tutti già collaudati in precedenti edizioni. Allestimento del Regio di
Parma, la scena di William Orlandi quasi interamente occupata da una scalinata, rotta dall’ampia tela, a lato incombente l’Angelo, come i suoi vivaci costumi, resi
suggestivi dalle luci in chiaroscuri di Venturi, sono quelli
dell’edizione 1997 del Politeama. Collaudata pure la regia
ripresa da Franconi Lee su quella ideata da Alberto Fassini.
La soprano Norma Fantini (nomen omen) è maturata da
quella sua prima presenza palermitana del 1998, Aida con
José Cura in occasione della riapertura del Massimo, pur
con qualche virtuosistica impetuosità di acuti, che ha coinvolto il tenore spagnolo Jorge De Leòn, “emergente”, perciò con tanta esperienza ancora da maturare. Nel
complesso tutti hanno contribuito a questo successo; imponente e accattivante nel cinismo Giorgio Surian, più che
per la vocalità per la sua sicura recitazione. Come sempre
emotiva e suggestiva l’entrata del coro delle voci bianche,
meno sentiti i corali alquanto lontani e fiacchi.
La direzione del Massimo ha tenuto a ribadire l’eccezionalità del giovane direttore, che ha già diretto l’opera nella
nuova produzione della Scala dal 15 febbraio al 25 marzo
2011: «Di assoluto interesse è la presenza sul podio del
trentenne direttore d’orchestra israeliano Omer Meir Wellber, straordinario musicista, stella del panorama internazionale, già conteso e richiesto dai più importanti teatri di
tutto il mondo». Un giornale azzarda di più: «La bacchetta
magica di Wellber regala una “Tosca” da applausi» e lo
definisce “astro nascente della bacchetta” e “astro emergente”. Vanto e titolo d’onore anche essere stato collaboratore di Daniel Baremboim a Berlino e Milano. Non c’è
dubbio che la sua concertazione ha saputo trarre dalla partitura pucciniana nuove tonalità, cadenze più elegiache e
fraseggi più vari, l’incanto insistente dei leit-motiv lirici, in
una sua personale interpretazione del testo. D’altronde
non può essere diversamente per ogni opera artistica che
ha subito una trascrizione convenzionale. Così per la musica, come segni di suoni strumentali e vocali, così per la
poesia, come di parola e voce. Difficile conoscere la resa
che avrebbe voluto Puccini, impossibile oggi sapere dell’orchestrazione voluta da Mozart, Vivaldi o dal sordo Beethoven. Perciò le edizioni e le trascrizioni, addirittura le
orchestrazioni. Soprattutto oggi, quando si è imposto il divismo dei direttori d’orchestra, della “bacchetta” a scapito
dell’autore e degli esecutori, dal tempo delle vibranti esecuzioni di Toscanini a quelle trasognate di von Karajan,
quasi fossero sacerdoti unici della musica.
Qualcuno ricorderà l’ultima travagliata e contestatissima
edizione “moderna” di Gilbert Delfo nel 2007, con il suo
“simbolismo minimalista”, il suicidio con pistola senza
salto nel vuoto, il moderno appartamento di Scarpia, il palcoscenico spoglio in finale. A proposito allora scene e costumi furono pure di William Orlandi, direttore l’israeliano
Pinchas Steinberg.
Sono convinto che l’esecuzione musicale, ancor più la realizzazione di un’opera, nelle sue complesse meccaniche e
presenze, è una resa corale alla quale tutti hanno dato il
loro meglio, anche la sarta o l’elettricista (non a caso sono
inseriti nei titoli di coda).
Dovuto l’omaggio a Salvatore Licitra.
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Moda
Glossario della biancheria intima
Camicia da notte (V parte)
di Raffaello Piraino
N
el Cinquecento le camicie da notte
per le donne hanno assunto una
certa importanza se nel corredo di
Maria di Savoia se ne trovano dodici in confronto alle ventiquattro da giorno.
Nel Seicento, l’uso della camicia e del berrettino da notte per gli uomini è testimoniato dall’aneddoto raccontato da Gregorio Leti a
proposito del figlio di Bartolomeo Arese; il giovanetto volendo uscire di sera, nonostante la
proibizione del padre, mise sotto le coperte
una fascina incamiciata e sormontata dalla
berretta notturna.
Nella chiesa del Sacro cuore del Suffragio a
Roma è custodita la camicia da notte Di suor
Isabelle Fornari, badessa delle Clarisse di Todi,
alla quale, il 1° novembre del 1731 apparve il
maligno sotto le mentite spoglie del defunto
padre Panzini, abbate olivetano di Mantova”.
Questi le lasciò sulla manica della candida camicia da notte, ben quattro impronte infuocate
e sanguinanti.
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Letteratura
Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano
apre l’anno scolastico 2011-2012
di Gabriella Maggio
I
l 23 settembre, nel Cortile d’onore del Palazzo del Quirinale si è svolta la cerimonia di apertura dell’anno
scolastico alla presenza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Durante la cerimonia Antonella Saverino, docente dell’Istituto comprensivo G. Falcone e socia del Lions Club Palermo dei Vespri,
ha ricevuto i complimenti del Ministro M.Stella Gelmini per il calendario realizzato dagli alunni. Ad Antonella i complimenti del Club Lions Palemo dei Vespri.
Dal centro il Ministro, A. Saverino, un alunno ed il Preside dell’I.C. G.Falcone mostrano il calendario sponsorizzato dal Lions Club Palermo dei Vespri
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Cucina
Le ricette letterarie di Marinella
di Marinella
La madeleine - Da Luigi XV a Marcel Proust
Ingredienti:
gr.130 di farina,
gr.110 di burro,
gr.110 di zucchero,
2 uova, gr.8 di lievito,
la scorza di un limone
Preparazione:
Sciogliere il burro a bagnomaria. Sbattere le uova con lo zucchero finché si
ottiene un composto spumoso e chiaro. Aggiungere la farina ed il lievito ed
impastare mescolandovi anche la buccia grattugiata del limone. Unire il burro
e mettere in frigorifero per un’ora. Con un cucchiaio riempire gli stampini a
forma di conchiglia e passarli in forno a 220°. Dopo 5 minuti abbassare la
temperatura a 180° e cuocere per 10 minuti.
“Mia madre, vedendomi infreddolito, mi propose di prendere,
contrariamente alla mia abitudine, un po’ di tè. Rifiutai dapprima, e poi non
so perché, mutai d’avviso. Ella mandò a prendere uno di quei biscotti pienotti
e corti chiamati Petites Madeleines, che paiono aver avuto come stampo la
valva scanalata d’una conchiglia di S.Giacomo. Ed ecco, macchinalmente,
oppresso dalla giornata grigia e dalla previsione d’un triste domani, portai alle
labbra un cucchiaino di tè, in cui avevo inzuppato un pezzetto di madeleine.
Ma nel momento stesso che quel sorso misto a briciole di biscotto toccò il mio
palato….un piacere delizioso m’aveva invaso….ed a un tratto il ricordo m’è
apparso…Quel sapore era quello del pezzetto di madeleine che la domenica
mattina a Combray… la zia Lèonie mi offriva… prendono contorno, si
colorano…figure umane..riconoscibili…..” Queste parole di Marcel Proust
poste al’inizio del primo romanzo della Récherche du temp perdu, Dalla
parte di Swann, hanno reso celebre questo tipo di biscotto chiamato madeleine
dal nome della pasticcera di Luigi XV.
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Foto di Gigliola Siracusa
Foto di Gigliola Siracusa
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