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Presentazione
Carissimi fratelli e sorelle,
Anche quest'anno, per la Quaresima, vi presento una bella occasione di riflessione e di speranza, con la storia di san Giuseppe. Su
questo schema Saranno organizzati i CENACOLI DEL VANGELO.
L'anno scorso, come ricorderete, vi è stato uno slancio di fede e
di coraggio attorno a questa formula. Una vera grazia, di cui ringrazio continuamente il Signore. Quest'anno, per quanti mi è dato di
sapere, credo che si continuerà con la medesima energia. Anzi,
penso che cresceranno di numero e di qualità
Ringrazio infatti l'Ufficio catechistico, perché ha saputo organizzare un breve ma intenso ciclo di incontri per la preparazione degli
animatori, con tanto di libretto esplicativo, di volta in volta, che permette a tutti, anche a chi non avesse potuto frequentare il corso, di
"entrare nella parte!".
Come è organizzato questo sussidio? Su quattro punti:
1. La gioia di ritrovarsi attorno alla Parola di Dio, letta non nelle
chiese, ma nelle nostre cucine, nelle case, là dove vive la nostra
gente. E' prezioso questo raccogliersi, fedelmente, lungo l'intera
quaresima, di settimana in settimana, sempre nella stessa casa,possibilmente. Sarà una casa benedetta da Dio per l'ospitale accoglienza vero i fratelli e il cuore aperto alla sua Parola. Questo clima di
gioia vi prego di custodirlo, perché nulla sciupi la bellezza della
fraternità evangelica. Nessuno qui è sapiente più dell'altro. Ma tutti
in reciproca fiducia, sulla scia di fede di san Giuseppe, che resta il
vero modello di ascolto e di obbedienza alla voce di Dio.
Modello di questa accoglienza resta la figura di LIDIA, come presentata nel libro degli Atti, al capitolo 16.
2. Un cuore aperto alla Parola si rende subito capace di aprire
anche la sua casa, sia agli amici che ai pellegrini che agli stranieri, ai rifugiati, ai richiedenti asilo. Così potremo costruire una
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Comunità solidale, generosa, fattivamente operosa. Nulla più
della Parola è fattore tenace di trasformazione culturale e sociale,
per farsi anche cambiamento politico efficace.
3. la figura di san Giuseppe ci dona la bellezza di cogliere che la
famiglia di Nazaret aveva le stessa problematiche che vivono le
nostre famiglie. Ecco allora la genealogia di Giuseppe, per cogliere i lineamenti del volto di Gesù. E' la lectio d'inizio, che apre i
cuori, che abitua le famiglie a sentire che la vita è dono ma anche
impegno. E che ogni figlio ha in se stesso un tesoro, anche nei
giorni della lontananza e del tradimento. Poi il resto del cammino
è ben chiaro: Giuseppe come sposo, come papà, come difensore
coraggioso di Gesù, come operaio a Nazaret, come padre angosciato ma fedele davanti alle scelte inaspettate di Gesù.
4. sempre il Cenacolo sia iniziato con la preghiera allo Spirito
Santo. Vi rileggo quella dello scorso anno, che ci è offerta dalla
Liturgia, così semplice ma così pregnante:
O Dio, che apri la tua mano e sazi d beni ogni vivente,
effondi il suo Santo Spirito e
fa scaturire fiumi d'acqua viva su di noi,
raccolti con Maria in perseverante preghiera
in questo Cenacolo del Vangelo,
perché quanti ti cercano con gemito
possano estinguere la loro sete di verita e di giustizia.
Per Cristo nostro Signore. AMEN.
Per quanto riguarda il metodo, penso che sia consolidato:
* clima di accoglienza da parte della famiglia ospitante
* preghiera iniziale allo Spirito santo, tutti insieme, in semplicità
e grazia
* lettura scorrevole del brano evangelico proposto
* breve pausa di silenzio, per interiorizzare e sottolineare (anche
materialmente!) le parole chiave del brano.
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* L'animatore spiega, utilizzando anche ii sussidio proposto dalla
diocesi. Sia fatto con grande semplicità. Ed ognuno non pensi a
ribattere o a discutere, ma rifletta seriamente sulfa domanda centrale: "QUESTO TESTO, A ME COSA STA DICENDO? Cosa mi
chiede di cambiare?".
* Un breve ma leale momento di dialogo fraterno, che ci permetta di ascoltare con cura quanto ogni altro fratello presente porta
come suo contributo prezioso. Arricchisce!
* Un bel momento di preghiera, magari con intenzioni spontanee,
che ricalchino la Lectio meditata. E' come restituire a Dio, nell'orazione, quello che Lui ci ha detto nella meditazione!
* Ed infine, e utile chiudere con un impegno esplicito, che renda
pin forte la Parola di Dio ascoltata. Perché se non la mettiamo in
pratica, ci ammonisce san Giacomo, siamo come quelli che guardano il loro viso allo specchio ma poi subito lo dimenticano.
Sono otto consigli utili. Ma la cosa più bella è trasmettere speranza e gioia vera.
Vi aiuti la Vergine Maria, Madonna della Libera, icona giubilare,
che ci guarda con le mani aperte, simbolo di un'accoglienza leale e
pronta alla sua volontà.
vostro,
+ p. GianCarlo, vescovo
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Introduzione
I VANGELI DELL'ORIGINE DI GESÙ (Mt 1-2 e Lc 1-2)
Se non ci fosse stata la vicenda terrena di Gesù, culminata nella
sua passione e morte a Gerusalemme agli inizi degli anni 30 della
nostra era, non avremmo saputo nulla di uno dei tanti Giuseppe
appartenenti al popolo ebraico, vissuto ai tempi di Erode e considerato padre di Gesù di Nazaret. E' con questa lapalissiana premessa
che dobbiamo collocare la figura di Giuseppe all'interno dei racconti che riguardano la nascita del Messia, a partire dal quale tutti i
personaggi del vangelo acquistano la giusta luce. I racconti delle
origini di Gesù (impropriamente chiamati vangeli dell'infanzia,
titolo appropriato invece per i tanti vangeli apocrifi che parlano di
Gesù bambino e adolescente) sono presenti solo nei Vangeli di
Matteo e Luca ed è proprio in questi primi capitoli che compare la
figura di Giuseppe, quasi del tutto assente nel resto dei 4 vangeli,
se si escludono gli accenni fatti in Mt 13,55 ("Non è egli forse il figlio
del carpentiere?") e in Gv 6,42 ("Costui non è forse Gesù, il figlio di
Giuseppe? Di lui conosciamo il padre e la madre."). Questi racconti, come appare dalla loro definizione, non hanno tanto lo scopo di
riferire le circostanze della nascita dell'uomo Gesù, ma vogliono
rispondere narrativamente, come è tipico per la fede ebraica, alla
domanda di tenore cristologico: "Da dove proviene Gesù? Qual è la
sua vera origine?" A questa stessa domanda, ad esempio, risponde
a suo modo, con una profonda riflessione poetico-teologica il vangelo di Giovanni, con l'inno del Logos preesistente che si fa carne
(Gv 1,1-18), ed è quindi fuorviante classificare Mt 1-2 e Lc 1-2 come
racconti biografici sul come si svolsero effettivamente le cose. Il loro
scopo è introdurre sulla scena della storia umana il Cristo salvatore, la cui missione è descritta poi nel resto del vangelo che culmina
nella passione, morte e risurrezione, vero argomento di questi racconti (è sempre molto vera l'affermazione di Martin Kaehler, grande esegeta tedesco, che definì i vangeli un racconto della passione
con una lunga introduzione).
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L'intenzione degli evangelisti è stata quindi, in sintesi, quella di
presentare la persona di Gesù contemplando la sua duplice origine:
concepito da Spirito Santo, per quanto riguarda la sua dimensione
divina e innestato nel popolo d'Israele, per quanto riguarda la sua
dimensione umana. I destinatari dei vangeli, infatti, non sono i cristiani provenienti dal giudaismo, ma quelli provenienti dal paganesimo, che probabilmente avevano un rapporto conflittuale con la
matrice giudaica della fede cristiana. Il mezzo usato da Matteo e
Luca, tuttavia, è il modo di riflettere ebraico, attraverso un racconto teologico e pieno di riferimento alla Scrittura, cioè a quello che
noi chiamiamo Antico Testamento, in quanto Gesù è presentato
lungo tutti i vangeli come colui che ha adempiuto le attese di Israele
attestate nelle sue Sacre Scritture. Il mezzo è identico, i destinatari
anche, ma il modo di procedere è peculiare per ciascun evangelista
che, accanto ad alcuni elementi comuni, racconta l'origine di Gesù
in modo del tutto particolare, facendo emergere molte incongruenze quando si confrontano i due vangeli.
Gli elementi comuni ai due racconti sono: i nomi dei due genitori, Maria e Giuseppe e il momento in cui avviene il concepimento,
cioè prima che vadano a vivere insieme; l'origine davidica di
Giuseppe, l'annuncio di un angelo, il nome di Gesù suggerito dall'angelo, la sottolineatura del suo ruolo di salvatore da parte dell'angelo, il concepimento senza intervento di un maschio, per opera
dello Spirito, la nascita dopo la coabitazione dei suoi genitori, il
luogo della nascita, cioè Betlemme ai tempi di Erode, la crescita del
bambino a Nazaret. Sorprendenti, tuttavia, sono le discordanze tra
i due racconti: la famiglia di Gesù abita già a Betlemme, secondo
Matteo, mentre è di Nazaret secondo Luca. In Luca si tace completamente la discesa in Egitto, motivata da una persecuzione, elemento del tutto assente in Luca ma centrale in Matteo; il ritorno a
Nazaret della famiglia è dovuto, secondo Matteo, all'intenzione di
sfuggire alla persecuzione del successore di Erode, Archelao (ma
anche Erode Antipa, che governa la Galilea, è un figlio di Erode). In
realtà il fulcro dei due racconti non è la storia, ma la lettura attualizzante delle Scritture, esplicitata da Matteo, attraverso la formula
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stereotipata del compimento ("questo avvenne perché si adempisse
la scrittura…"), implicita per Luca, il quale presenta situazioni e
personaggi che richiamano l'Antico Testamento. Entrambi i racconti, poi, sono già proiettati verso la Pasqua, attraverso alcune allusioni narrative e soprattutto con la spiegazione del nome di Gesù: in
Mt 1,21 il nome viene spiegato nella sua etimologia: egli salverà il
suo popolo dai suoi peccati, concetto espressamente legato all'evento della morte di Gesù nelle parole dell'ultima cena. Nelle parole
dell'angelo a Maria in Lc 1,33 si annuncia che il bambino regnerà
sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine; quando Gesù
sarà sulla croce uno dei ladri crocifissi con lui dirà: "Ricordati di me
quando sarà nel tuo regno" (Lc 23,42). In Mt 1,23 si cita Isaia 7,14:
"Sarà chiamato Emmanuele, che significa Dio con noi", ripreso nella
promessa che Gesù risorto fa alla fine del Vangelo: "Io sono con voi
tutti i giorni fino alla fine del mondo" (28,20). Così come i magi,
pagani venuti dall'oriente, in Mt 2,1-12, preludono all'apertura ai
pagani inaugurata con il mandato del risorto in 28,19: "fate discepole tutte le nazioni". Nei racconti dell'origine di Gesù, insomma, si
legge in controluce già il mistero pasquale, la missione che Gesù
dovrà compiere e l'effetto che l'evento della pasqua produce sui credenti, di cui i personaggi positivi di questi racconti (Maria,
Giuseppe, i magi, i pastori, Simeone e Anna) sono simbolo, mentre
personaggi come Erode anticipano i persecutori di Gesù e della
comunità cristiana. I primi capitoli di Matteo e di Luca si possono
considerare un ponte tra la storia del popolo d'Israele, a cui i racconti alludono in molti modi, e le vicende della prima comunità che
ha le sue radici nella storia del popolo eletto, il tronco portante nella
vicenda terrena di Gesù e i rami con i diversi frutti nello sviluppo
della chiesa, come viene indicato nelle ultime parole del risorto in
Mt 28,16-20 e in tutto il racconto degli Atti degli Apostoli, che costituisce un secondo volume di una grande narrazione di cui il
Vangelo di Luca costituisce la prima parte.
Come si sviluppano i due racconti in questione?
Il racconto di Mt 1-2 è molto più breve di quello di Luca ed è
costruito da appena cinque piccoli racconti imperniati su altrettan9
te citazioni bibliche, preceduti dalla genealogia di Gesù che rappresenta una vera sintesi dell'Antico Testamento.
Il racconto di Lc 1-2 assume invece la forma di un dittico, che
pone in parallelo l'origine di Giovanni il Battista e l'origine di Gesù,
attraverso l'annuncio delle due nascite e il racconto di esse, per poi
proseguire solo con le vicende di Gesù che per ben due volte sarà
portato nel Tempio di Gerusalemme, luogo simbolo del popolo di
Israele dal quale nascerà la comunità cristiana, che accoglierà al suo
interno tutti i popoli della terra.
In entrambi i racconti è presente, come già dicevamo, la figura di
Giuseppe, il padre legale di Gesù ma, mentre nel vangelo di Luca
ha un ruolo secondario rispetto a Maria, in Matteo occupa la centralità della scena, come stretto cooperatore all'azione salvifica che Dio
realizza attraverso Gesù, riecheggiando così la figura di Giuseppe
il sognatore, figlio di Giacobbe, che è stato, come lui stesso dice,
strumento di Dio per salvare il futuro popolo di Israele. La figura di
Giuseppe di Nazaret richiama, così, un momento centrale della storia sacra, segnando il passaggio dal clan dei figli di Giacobbe a quel
popolo che un giorno, sotto la guida di Mosè, tornerà alla terra promessa. Giuseppe è definito con un termine che incarna l'ideale dell'uomo biblico: il giusto, che è tale perché agisce sempre in obbedienza alla volontà di Dio. Lo sposo di Maria, sia nel racconto di
Matteo che in quello di Luca, non parla mai, ma agisce, consegnando a tutti noi il modello del vero discepolo, che non è uomo di parole, ma soprattutto uomo d'azione o, come direbbe Paolo VI, non
vuole essere maestro, ma testimone, lasciando il ruolo di unico
Maestro a Gesù che viene servito e seguito nel silenzio fino alla persecuzione (fuga in Egitto) e alla croce.
Don Michele Tartaglia
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Matteo 1, 1-17
G
enealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo.
Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i
suoi fratelli,
Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esròm,
Esròm generò Aram,
Aram generò Aminadàb, Aminadàb generò Naassòn, Naassòn generò Salmòn,
Salmòn generò Booz da Racab, Booz generò Obed da Rut, Obed generò
Iesse, Iesse generò il re Davide.
Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Urìa,
Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abìa, Abìa generò Asàf,
Asàf generò Giòsafat, Giòsafat generò Ioram, Ioram generò Ozia,
Ozia generò Ioatam, Ioatam generò Acaz, Acaz generò Ezechia,
Ezechia generò Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò Giosia,
Giosia generò Ieconia e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in Babilonia.
Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconia generò Salatiel, Salatiel generò Zorobabèle,
Zorobabèle generò Abiùd, Abiùd generò Elìacim, Elìacim generò Azor,
Azor generò Sadoc, Sadoc generò Achim, Achim generò Eliùd,
Eliùd generò Eleàzar, Eleàzar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe,
Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria,
dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo.
La somma di tutte le generazioni, da Abramo a Davide, è così di quattordici; da Davide fino alla deportazione in Babilonia è ancora di quattordici;
dalla deportazione in Babilonia a Cristo è, infine, di quattordici.
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COSA È LA VITA?
Spesso pongo questa domanda ai nostri ragazzi, soprattutto nelle scuole. Ne nasce subito una vivacissima e gioiosa riflessione. A tratti si dipinge
anche di melanconia, perché la vita ci sfugge. Ma adagio adagio, si giunge
sempre ad una definizione dal duplice volto: La vita è dono e mistero!
E' del resto il titolo di un bellissimo libro di papa Giovanni Paolo Il,
che tanto ci ha aiutato a riflettere su questa realtà. La vita infatti è insieme un dono che ti è posto nelle mani, ti appartiene, ti coinvolge in
pieno. Di cui tu sei il primo responsabile. Ma è anche vero che ti sorpassa, ti sorprende, ti supera. Così, nel suo essere mistero, va oltre; nell'essere dono, ti sta nelle mani.
Così comincia anche la storia, affascinante di Giuseppe di Nazaret,
che ci apprestiamo a narrare. Non lo facciamo per pura cronaca né tanto
meno per curiosità. Ma per capire come lui ha vissuto all'interno di una
famiglia, concreta e vera come le nostre. Diventa così il modello del vero
credente, che si fida di Dio e perciò a lui si affida, con slancio ma anche
con fatica, tra lacrime e speranze grandi.
La prima Lectio ci aiuterà a capire proprio questo mistero. Perché
vuole esplorare i tanti volti che hanno creato il tuo volto. Di chi sei
figlio, quale sangue scorre nelle tue vene. Qual è il tuo passato, la storia della tua gente, il cammino della tua terra.
IL FATTO
A chi assomiglia? E' simpaticissimo quanto avviene al momento
della nascita di un bimbo. Tutti ad ammirarlo, a lodarne le fattezze, le
linee, i piccoli particolari. Ma poi, curiosa, nasce ben presto una
domanda: ma a chi assomiglia?... perché gli occhi sono di papà, ma il mento
e il naso è della mamma... le manine sono del nonno... la fisionomia invece
assomiglia tanto alla nonna...!
E questo rito si ripete poi ogni volta che viene qualcuno. Tutti autorizzati ad emettere sentenze, certe e vere! Ma è giusto che sia così, perché
nessuno di noi nasce dal nulla e nel seme che ci forma dentro il grembo
di una madre ci sono mille volti che ci hanno preceduto, mille gocce di
sangue che ci hanno formato. I genitori, i nonni, un paese, una storia, una
cultura, una lingua: tutto è dentro quel dolcissimo volto di bambino, che
contempliamo con tanto amore.
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Prima di noi, sempre c'è una storia, fatta di lacrime e di sangue, di sacrifici e di conquiste. Ogni bimbo che nasce la raccoglie tutta. Tutto confluisce
in quell'esserino, fragile ed insieme immenso, che la mamma tiene in braccio con tenerezza e che il papà guarda con orgoglio.
Sarebbe stato bello essere a Betlemme quel giorno in cui è nato Gesù,
nella grotta luminosa. Forse avremmo sentito le stesse osservazioni,
fare gli stessi apprezzamenti tra i pastori e tra la gente umile, in un
rapido confronto con Maria e Giuseppe. Perché anche il piccolo Gesù
ha una storia, una sua storia. E', infatti, segnato da due origini: una
umana, che lo rende figlio di Davide secondo la carne (1,1-17) ed una divina, che lo fa Figlio di Dio secondo lo Spirito (1,18-25).
Cos'è allora la lunga genealogia che ci apprestiamo a leggere, con
nomi difficili da pronunciare? Altro non è che un messaggio preciso:
attraverso quei nomi, quei volti, quelle storie...Dio entra nella storia dell'uomo, ma anche l'uomo entra nella storia di Dio. Un intreccio bellissimo, vero come l'intreccio tra trama ed ordito. Così in Gesù si uniscono la
storia umana e quella divina, in modo mirabile. L'ordito è dettato da
Dio e la trama è tracciata dall'uomo. Mai l'uno senza l'altra. Mai Dio
senza l'uomo e mai l'uomo senza Dio.
Proviamo ora a leggere il testo; non fermiamoci ai nomi singoli.
Leggiamolo tutto di un fiato, per arrivare così rapidamente al VERTICE DI
TUTTI I NOMI Gesù, chiamato il Cristo. Perché questo nome spiega e raccoglie tutti gli altri nomi! Ma a sua volta, questo nome è legato al nome
di Giuseppe, sposo di Maria, che il Papa nella celebre enciclica
Redemptoris Custos definisce come "un grande santo, chiamato da Dio a
servire la persona e la missione di Gesù mediante l'esercizio della sua
paternità, cooperando così al grande mistero della redenzione".
TESTO
La genealogia di Gesù
Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo.
Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli,
Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esròm, Esròm generò Aram,
Aram generò Aminadàb, Aminadàb generò Naassòn, Naassòn generò Salmòn,
Salmòn generò Booz da Racab, Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse, Iesse generò il re Davide.
Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Urìa,
Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abìa, Abìa generò Asàf,
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Asàf generò Giòsafat, Giòsafat generò Ioram, Ioram generò Ozia,
Ozia generò Ioatam, Ioatam generò Acaz, Acaz generò Ezechia,
Ezechia generò Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò Giosia,
Giosia generò Ieconia e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in Babilonia.
Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconia generò Salatiel, Salatiel generò Zorobabèle,
Zorobabèle generò Abiùd, Abiùd generò Elìacim, Elìacim generò Azor,
Azor generò Sadoc, Sadoc generò Achim, Achim generò Eliùd,
Eliùd generò Eleàzar, Eleàzar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe,
Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo.
La somma di tutte le generazioni, da Abramo a Davide, è così di quattordici; da Davide
fino alla deportazione in Babilonia è ancora di quattordici; dalla deportazione in
Babilonia a Cristo è, infine, di quattordici.
Ci si puo chiedere, leggendo la genealogia di Gesù, a cosa essa possa
servire se Giuseppe non ha generato Gesù. Noi sappiamo perchè presso gli israeliti era di speciale importanza la conoscenza delle proprie
origini che aveva come scopo sia la stabilità dei rapporti tra le vane
tribù di appartenenza, sia il riconoscimento dei diritti dei singoli. Di
conseguenza Matteo, introducendo il suo Vangelo, fa comprendere che
il Figlio del Padre, incarnandosi e venendo in mezzo a noi, ha scelto una
sua dignità di uomo, in un popolo, una cultura ed un linguaggio a cui
appartenere. Dimostra così che Giuseppe era necessario perché la sua
presenza, oltre a sostenere il mistero di Dio avvenuto in Maria, assicurava a Gesù la paternità legale, importante per la genealogia stessa.
Ma se tutti gli ebrei avevano un interesse speciale per la loro genealogia, ancor piü interessati erano i membri della tribù di Giuda e del
casato di Davide, da cui doveva nascere il Messia. Per questo Matteo
cita con precisione tutti gli antenati di Gesù, definendolo Figlio di
Davide (risposta alle aspettative dei Giudei) e Figlio di Abramo (fonte di
benedizione per tutte le nazioni).
Ecco allora i tre scopi che l'evangelista si propone nel darci questa
originale pagina di Bibbia:
a) inserire fortemente Gesii nella storia del suo popolo, perché solo
cosi puà esserne Salvatore
b) dare valore ad ogni singolo volto, così com'era, bello o limitato.
c) Ma nello stesso tempo dimostrare che tutti quei volti guardano
insieme al Volto di Gesù Cristo, come scopo e pienezza di tutto il
cammino.
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DAVANTI AD UN ALBERO GENEALOGICO
Per aiutarci a comprendere la preziosità di una genealogia, eccovi un
pezzetto della mia storia. Che vi racconto volentieri, ma insieme vi chiedo venia se parlo di me, della mia vita. Nella mia casa, in Trentino al termine delle scale di pietra e legno, massicce, è appeso un bell'albero
genealogico, con una bella scritta, in grande: Famiglia Bregantini.
Elaborato tanti anni fa da un sacerdote appassionato di storia, che
ha fatto questo paziente lavoro di ricomposizione degli antenati per
molte famiglie del paese di Denno, ci permette di cogliere in pochi attimi tutta la mia storia. Risale fino al 1630. Oltre non si è potuti andare,
perchè non ci sono pervenuti documenti per un triste incendio. Ma
intanto posso scorrere ben 13 generazioni, di padre in figlio, quasi tutti
segnati da due nomi, Giuseppe e Giovanni, scoprendo che tra quei nomi
v'è anche il nome di un sacerdote morto giovane, in un paese vicino a
Trento, dove era curato. Così portò il nome di Giancarlo, per ricordo di
tantissimi miei antenati, che si chiamavano Giovanni. Mia mamma
invece, sempre molto acuta, chiese di cambiare la lunga lista, quasi
monotona. E vi introdusse Carlo, a ricordo di un suo eroico zio, ucciso
in guerra dai fascisti, di cui lei aveva un dolcissimo ricordo. Così sento
che nel mio nome v'è un pezzetto di amore paterno ed una presenza
dolcissima della mamma Albina. Così e per tutti noi.
Così è stato anche per Gesù. Una storia nella storia, una presenza
nella presenza! Nel lungo elenco di personaggi antenati di Gesù, ciò
che risalta ed e fondamentale e che Gesù è figlio di Maria, sposa di
Giuseppe. Appartiene coì al popolo eletto, tramite Giuseppe, suo
padre secondo la Legge, che discende da Davide; di conseguenza è
l'erede delle promesse fatte ad Abramo.
In Cristo, siamo così davanti alla pienezza della rivelazione. E perciò viene posto in relazione con tutto l'Antico Testamento, tramite la
stirpe di Abramo e di Davide da cui doveva nascere il Messia annunciato dai profeti.
Gesù è il nuovo Adamo: nell'elenco degli antenati che formano la
catena che congiunge il primo Adamo al secondo (Cristo), Dio è sempre
stato presente ed operante per condurre tutta la storia a Cristo.
Nell'elenco degli avi di Gesù due realtà richiamano la nostra attenzione: la natura delle persone citate ed il loro numero.
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I VOLTI DEGLI ANTENATI DI GESÙ
Vediamo così che gli uomini e le donne appartengono a diverse
classi sociali; ci sono patriarchi, schiavi e re; c'è un pastore, una contadina, un carpentiere.
Ecco Abramo il grande patriarca della fede che si mette in marcia
verso una terra che non conosce, fidandosi di un Dio esigente, che lo
scomoda. E guarda le stelle, certo che la sua discendenza sarà luminosa come quel cielo, anche se non possiede nemmeno una terra e non
ha davanti nemmeno un bimbo. Crede e cammina. Uno sguardo che
arriva già da allora fino a Gesù, vertice del suo pellegrinare. Quella
notte stellata di Abramo si farà pienezza nella notte di Betlemme.
Ecco Davide, santo e peccatore. Fragile e forte. Grande e meschino.
Come tutti noi, ma fortemente aggrappato alla certezza di avere un
successore eterno sul suo trono. Ecco perché Gesù viene volentieri
chiamato dalla sua gente: Figlio di Davide! E Gesù ne sarà fiero, perché
sente che quel nome lo congiunge in un baleno a tutta la sua storia precedente, lo innesta nella chiarezza e fatica di un popolo che cammina.
Perciò, quando sarà chiamato così, subito si piega sulla cecità (Marco
10,47) o sulla sofferenza del lebbroso o del povero. Appartiene a loro!
Ci sono anche quattro donne (ben quattro! Cosa insolita in un albero genealogico, dove solo i maschi, in genere, vengono citati!). Hanno
una rilevanza particolare, con una storia curiosa. Tre delle quattro
donne nominate sono straniere: Tamar, Racab e Rut.
Ed è bello in questo nostro contesto culturale e sociale, aperto ad una
crescente dimensione multiculturale e multirazziale, notare questa presenza di sangue straniero nelle vene di Gesù. Nessuno e "respinto". Nessuno
vale di meno. Tutti hanno la stessa dignità e la stessa importanza.
Racab è una prostituta, di Gerico, che ospita gli esploratori in cammino verso la terra promessa (Giosue 2,1-21). Entra nella storia del
popolo d'Israele come prima salvata di quella "terra". E Gesù ci dirà,
tra il nostro stupore, che "le prostitute ci precedono nel regno di Dio"
(Matteo 21,31).
Tamar vive una storia particolare. E' anch'essa straniera, aramea.
Fingendosi prostituta, con un inganno ben congeniato costringe il
suocero Giuda a renderla madre di un bimbo (Genesi 38,1- 30). Era
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respinta e relegata. Ma Dio utilizza anche questi sotterfugi, la rimette al centro, perché nessuna vicenda, per quanto ingarbugliata ed
oscura, resta estranea alla storia della salvezza, estranea dal sangue
redentore del Salvatore Gesù. Dio non è schizzinoso. Ama questa
nostra umanità, non una migliore. Perché è sua!
Rut vive una storia deliziosa, fatta di sofferenze ma anche di grande
consolazione. Anch'essa è moabita, ma lascia la sua terra e la sua
gente, per seguire in totale gratuita l'anziana suocera, Noemi! Una
bella storia di gioia, di speranza, di fiducia nella provvidenza. Quante
cooperative, per donne straniere o difficili, sono state oggi intitolate a
questa ragazza dal cuore grande...E' bello che sia stata qui riportata
da Matteo, come una delle antenate di Gesù.
La storia di Bersabea, donna ebrea, che Davide conosce nel peccato di
adulterio e dell'omicidio, ci ricorda non solo la durezza del male, ma
anche la forza e onesta di cuore di Davide. Anzi, da lei nascerà
Salomone, quel re di pace che è il vertice della storia ebraica...!
Tutto Dio sa trasformare in bene!
Com'è facile capire, il modo di agire di queste donne non concordava proprio con le norme tradizionali ...!
Possiamo pensare allora che questo sia un modo sottile da parte di
Matteo per farci capire che la salvezza è un puro dono di Dio, una grazia
e non qualcosa di dovuto in virtù dei nostri meriti. Questo dono è offerto a tutti i popoli e non solo a quello giudaico. Interroghiamoci, quindi,
su come spesso diamo troppo valore alla rigidità delle norme esteme!
IL NUMERO DELLE GENERAZIONI
V'è poi il fatto del calcolo delle generazioni, citato tre volte da San
Matteo: quattordici generazioni.
Ha un significato simbolico: sette è il numero perfetto; sette per due fa
quattordici; citato ben tre volte, simbolo della divinità. Cioè 14 x 3 = 42.
Ma 42 è un numero imperfetto. Tante volte è citato con questa valenza imperfetta e negativa dentroil libro dell'Apocalisse. Ma lo scopo e
direttamente cristologico. Perché quella valenza negativa è colmata dalla
presenza di pienezza di Cristo Gesù. E' lui che riempie quel vuoto, che
porta a termine il numero, che avrà nel 7x7 la sua maturità, come si vede
nel giorno di Pentecoste, pienezza della rivelazione d'Amore di Dio.
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L'evangelista, per mezzo di questo simbolismo, esprime la convinzione dei primi cristiani secondo cui Gesù apparve nel tempo stabilito da
Dio. Con il suo arrivo la storia raggiunge la sua pienezza. Si compie in
Cristo! E va così gustato il verbo Compiere perché è il verbo che segna
questo brano, di fortissima valenza cristologica e soteriologica!
MESSAGGIO CONCLUSIVO...
Gli antenati di Gesù costituiscono una tribù, cioè una famiglia allargata in cui le varie coppie confluiscono sino a donarci l'ultimo anello
d'oro della catena, la Famiglia di Nazareth: la più sacra, la più santa, la
famiglia perfetta, dove ciascuno in obbedienza alla volontà del Padre,
ha svolto il suo compito con piena responsabilità, fino a diventare il
modello di tutte le famiglie della terra!
IL DIALOGO
* Qual è il messaggio che tu scopri nella genealogia di Gesù?
* Chi conosce il suo passato, conosce se stesso. Tu che dici di questo? Come
vivi la tua storia? E' zavorra che ti fa affondare oppure una tavolozza di bellezza, cui attingere i colori del tuo futuro?
* la gente del Molise conosce abbastanza la sua storia? Noi la conosciamo
bene? Oppure ci accontentiamo di pochi aneddoti, luoghi comuni, non verificati nella realtà?
* La tua storia ha in Cristo il suo punto di riferimento per il futuro? Gesù
è realmente il punto focale con cui leggere la vita tua e del nostro tempo? Sai
unire insieme Bibbia e giornale?
L' IMPEGNO
Sarebbe davvero raccomandabile riscoprire per ognuna delle nostre
famiglie i veri valori tramandati dai genitori che, con la loro saggezza,
con il loro esempio, ma anche con le loro fragilità, hanno contribuito a
rendere i loro figli uomini concreti, capaci di scelte talvolta anche sbagliate, ma autonome, forti e coraggiose, consapevoli che, in ogni circostanza, Dio è presente nella nostra storia.
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ESPERIENZA: "L'IMPORTANZA DELLE NOSTRE RADICI ...."
Quando volgiamo lo sguardo verso la vita dei familiari che ci hanno
preceduto nelle generazioni passate, appare chiaro che le nostre radici
hanno origini contadine e cattoliche, e da questa evidenza non possiamo prescindere. E' giusto che i nostri figli che vivono, nonostante la
crisi, in un' epoca di benessere e di ogni tipo di agiatezza, ricordino da
dove ha origine la loro "fortuna": dal duro ed umile lavoro della terra,
fatto di rinunce, sudore, fatica, tanta e troppa fatica !!! Ma è anche
doveroso far loro sapere che tanti sacrifici sono stati sempre affrontati
con infinita forza e serenità senza mai lamentarsi ringraziando sempre
con speranza la Provvidenza che mai nulla ha fatto mancare.
Ricordiamo con amore e tenerezza quando i nostri nonni, fieri, mietevano il grano, raccoglievano il foraggio, vendemmiavano, ricavavano i
prodotti genuini dall'orto e dagli alberi di frutta, mungevano latte fresco
quotidianamente, ritiravano le uova fresche nel pollaio.... ma non dimentichiamo anche il racconto di tutto il lavoro pesante che preludeva ai raccolti, affrontato sempre con la stessa gioia e lo stesso entusiasmo!
Quanta saggezza dietro quella spontanea semplicità, quanto fiero
orgoglio dietro questo lavoro umile e duro!
Dopo tante generazioni "contadine", i nostri genitori si sono riscattati potendo studiare nelle scuole superiori e nelle università, cosa che
nell'immediato dopoguerra era per pochi fortunati!
I racconti dei nonni, ricchi di rinunce insieme a grossi sacrifici, possono ora diventare una preziosa risorsa per i nostri figli nel cui sangue
scorre la memoria della terra con il suo durissimo lavoro, ma anche il
ricordo dei propri genitori nell'impegno serio e costante per lo studio.
Avere un riferimento saldo nella propria vita è fondamentale e ci aiuta
nel quotidiano a guardare oltre le barriere delle difficoltà che si presentano inevitabilmente nel corso dell'esistenza; leggere nelle tradizioni della
propria famiglia ci aiuta nella formazione, nell'agire della vita quotidiana, dando un senso alle scelte che si affrontano in ogni circostanza.
Nulla va imposto ai figli, ma noi genitori abbiamo il dovere di tramandare i sani principi che hanno animato le nostre generazioni precedenti; tutto
questo può valere più di mille prediche e di ossessive raccomandazioni!
Tutto così viene spontaneo e naturale, e soprattutto non imposto da
un ordine tassativo: fare il presepe in casa durante l'Avvento, recitare
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una preghiera di lode prima dei pasti, andare a messa la domenica e
nelle feste comandate, non maledire mai e per nessun motivo persone
o situazioni… e ancora mille altri valori da trasmettere… nulla è imposto ma tutto è giusto che "vada" così perché radicato in una sana tradizione familiare, dove anche l'errore commesso non diventa solo
momento di condanna, ma soprattutto di crescita e maturazione.
LA PREGHIERA
Chiediamo costantemente a San Giuseppe la sua mediazione perché
tutti i padri del mondo sappiano esercitare la paternità con la stessa
giustizia amorosa e ferma di questo uomo straordinario che ha amato
radicalmente l'umanità in Maria, sua sposa e in Gesù, Figlio di Dio.
O
san Giuseppe, uomo giusto,
Dio ti ha scelto come sposo di
Maria
Gesù ti ha onorato con il nome di
padre.
O
custode del Redentore.
E patrono della chiesa universale.
Proteggi le nostre famiglie.
Ed assistici nell'ora della morte.
Amen.
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Matteo 1, 18-20
E
cco come avvenne la nascita di Gesù Cristo:
sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe,
prima che andassero a vivere insieme
si trovò incinta per opera dello Spirito Santo.
Giuseppe suo sposo,
che era giusto e non voleva ripudiarla,
decise di licenziarla in segreto.
Mentre però stava pensando a queste cose,
ecco che gli apparve in sogno
un angelo del Signore e gli disse:
"Giuseppe, figlio di Davide,
non temere di prendere con te Maria, tua sposa,
perché quel che è generato in lei
viene dallo Spirito Santo.
21
"NON TEMERE. ABBI CORAGGIO."
Queste parole sono fisse nella mia mente e nel mio cuore, soprattutto da otto anni a questa parte. Prima infatti ero più fragile, titubante e
timorosa, a volte anche in situazioni semplici. Ma, da quando sono
passata attraverso dure prove - a cominciare da un lutto gravissimo,
fino poi a grosse incomprensioni e cattiverie da parte di alcuni parenti (situazioni che sono riuscita ad affrontare con forza e con serenità) , ho capito che Qualcuno mi ripeteva ogni mattina: "Non temere, abbi
coraggio, vai avanti. Io ti sono accanto e ti sostengo".
Il Signore è la mia forza. E' lui che mi aiuta nel cammino della vita,
anche e soprattutto quando il percorso si fa duro. Pure mio marito, che
mi conosce da cinquanta anni, ha constatato l'intervento di un aiuto
"speciale" che mi sostiene; diversamente il mio atteggiamento, in azioni e reazioni, di fronte alle suddette prove sarebbe stato ben diverso.
OBIETTIVI DI QUESTA LECTIO
Dopo aver incontrato, nella prima Lectio, il cammino di fede di tantissime generazioni che hanno portato al cuore di san Giuseppe, come
sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, ecco che il brano di Matteo che
ora meditiamo ci aiuta a capire che quel volto di Gesù non è solo frutto di un lungo cammino umano, ma è soprattutto figlio di Dio, opera
dello Spirito Santo.
Gli obiettivi di questa Lectio sono perciò quelli di cogliere come è avvenuto tutto questo mistero d'amore. Che risvolto ha avuto nel cuore di
Giuseppe essere stato scelto come sposo di quella bellissima ragazza che si
chiama Maria? Come ha superato questo momento difficile il nostro san
Giuseppe? Cosa insegna alle nostre famiglie questa vicenda?
Giuseppe, discendente di Davide, era probabilmente di Betlemme.
Per motivi familiari o di lavoro, si pensa che più tardi si sia trasferito a
Nazareth e lì, per grazia, poté incontrare Maria, diventandone lo
sposo. L'angelo di Dio gli comunicò il mistero dell'incarnazione del
Messia nel seno di Maria, e Lui, uomo giusto, accettò non senza aver
subito una dura crisi interiore (G. Zevini e P.G. Cabra, Lectio Divina).
18Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per
opera dello Spirito Santo. 19Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripu-
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diarla, decise di licenziarla in segreto. 20Mentre però stava pensando a queste cose,
ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: "Giuseppe, figlio di
Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo.
LE NOTTI INSONNI DI GIUSEPPE
Nel Vangelo di Luca (Lc 1, 26-33) si trova l'annunzio dell'angelo
Gabriele a Maria, in Matteo (Mt 1, 18-20) invece troviamo l'annunzio a
Giuseppe. I primi due versetti (Mt 1, 18-19) descrivono la situazione di
crisi in cui viene a trovarsi Giuseppe per l'inattesa e anticipata maternità di Maria, sua promessa sposa. A Giuseppe risulta difficile accettare
quella paternità non sua. Egli vive una tensione spirituale acuita dal
ruolo e dalla qualifica attribuitagli. E' infatti lo sposo promesso di Maria,
pur non convivendo ancora con lei, ma per la legge ebraica ne era il
marito. Non ha perciò relazioni con lei. Quest'uomo avrebbe avuto
almeno il diritto d'essere geloso e, quindi, di ripudiarla. Il dramma, invece, si svolge senza testimoni, tutto nel segreto dell'animo di Giuseppe.
Egli non si confida con alcuno: del resto come avrebbe potuto farlo,
senza compromettere Maria? Ci chiediamo se ci sarà stato un dialogo
con Maria. Se sia stata ella stessa a rivelare a Giuseppe il piano di Dio su
di lei, misterioso e tanto bisognoso di fede. Perché e impensabile che un
evento di quella portata non sia stato oggetto di riflessione comune.
Tra i due sposi, entra una domanda: che sta succedendo?
Perché Giuseppe si trova stretto tra due fuochi, in un dilemma terribile. Da una parte, l'indiscussa innocenza di Maria; dall'altra, un fatto
che potrebbe smentirla. Che fa allora Giuseppe?
Giuseppe è giusto, perché tra questi due fuochi, con cuore grande e
fedele, sceglie di restare in disparte, di ritirarsi con un senso di massimo rispetto. Si interroga infatti su se stesso, si chiede se sarà in grado
di vivere fino in fondo quel mistero che gli viene affidato tramite quella inattesa maternità della sua sposa, Maria. Si interroga in angoscianti notti insonni. Giuseppe si rivela cosi come l'uomo giusto. Cioè colui
che accetta il piano di Dio anche dà dove sconcerta il proprio piano, là
dove la chiamata di Dio cambia la sua storia, la sconvolge. Se l'avesse
trattenuta presso di sé Maria, avrebbe violato la legge; se l'avesse
denunciata, l'avrebbe esposta alla morte. Giuseppe essendo giusto,
cioè di fede profonda, si fida di Dio. Non accusa la Vergine, non la rim23
provera, ma "decise di licenziarla in segreto" (v. 19). Ma Giuseppe intende rimandare Maria non già per sospetto, ma per rispetto, per reverenza nei confronti di Lei. Giusto ed umile qual era, poiché ben conosce il
Mistero, egli non si ritiene degno di essere lo sposo di Maria!
L'ANGELO
Nella sequenza successiva (Mt 1, 20) interviene un nuovo protagonista, un "angelo del Signore", che in sogno rassicura Giuseppe, lo informa con precisione del progetto di Dio e soprattutto fa conoscere a lui
il grande compito che gli spetta.
L'angelo assume il ruolo del rivelatore che, in modo inaspettato e
misterioso, comunica un messaggio divino. Il suo compito si condensa
in una doppia rivelazione: un invito-ordine a Giuseppe ("non temere di
prendere con te Maria, tua sposa") e la conseguente spiegazione ("perché
quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo").
LO SPOSO
Il racconto si amplifica successivamente con l'annuncio della nascita (Mt 1, 21). Il ruolo che l'angelo del Signore affida a Giuseppe è duplice: quello di "sposo", che deve accogliere Maria come sua "sposa" (ad
una adultera non si darebbe mai questo titolo!), e quello di padre, che
dovrà riconoscere come figlio il bambino tanto atteso e proteggerlo poi
dalle minacce di Erode.
Nella rilettura cristologica di Matteo, Giuseppe è l'uomo giusto. La
giustizia che egli dimostra dapprincipio è quella umana: giusto di
mente ed equilibrato di carattere, egli sa tacere, osservare, rattristarsi
anche, e decidersi persino di congedarla in segreto. Ma esprime ancor
più la sua pronta adesione alle parole dell'angelo, non tanto per la ribadita accettazione per fede della filiazione divina di Gesù, bensì per la
ferma assunzione del suo ruolo di padre. In questo contesto piü ampio
l'appellativo di "giusto", usato dall'evangelista, potrebbe designare
colui che compie pienamente la divina volontà rivelatagli dall'angelo.
Giuseppe diviene così l'icona del vero credente, che si fida di Dio e
si affida a Dio. E perciò si fida e si affida a Maria, la accoglie in casa, la
fa sua sposa con immenso dolcissimo amore. Come abbiamo detto
nella nostra Lettera pastorale di quest'anno, proprio in quanto
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Giuseppe ha accolto Maria nel suo cuore, la può fedelmente e pienamente accogliere nella sua casa. E' lo stesso itinerario di fede e di carità che è avvenuto nel cuore di Lidia (cfr Atti 16), che si fa icona della
nostra arte di accogliere, sia la parola che il prossimo, nel piano di Dio.
A questo itinerario siamo chiamati anche noi, in terra di Molise, davanti alle mille sfide di questo tipo, che oggi sempre più ci si presentano.
ATTUALIZZANDO....
Possiamo dire che dinanzi alla prova, Giuseppe non si perde di
coraggio; anzi, pieno di fiducia nel Signore, rimane nel silenzio, medita nel suo cuore, persevera nel discemimento, pazienta nell'attesa.
Giuseppe accetta la missione di padre legale, per diventare guida
ed educatore di quello che doveva essere il Maestro di Israele.
La sottomissione di Giuseppe a Dio non è altro che l'esercizio della
devozione, la quale costituisce una delle espressioni della virtù della
religione (Giovanni Paolo II, Redemptoris custos 26). Lo Spirito Santo è
l'autore del miracolo. Come fidanzati, Giuseppe e Maria offrono una
testimonianza luminosa e completa per i giovani di tutti i tempi, che si
apprestano a dire il loro "si" definitivo davanti a Dio.
ESPERIENZE DI VITA
"Da un muro di incompatibilità ad un'accettabile armonia"
La nostra è una famiglia composta da cinque persone, marito moglie e 3 figli, ormai trentenni-. Quando avevamo la prima figlia di
circa 4 anni, la nostra relazione di coppia era fortemente minacciata dai
comportamenti di alcuni familiari (una persona in particolare), che
puntualmente ci creavano situazioni conflittuali. Più volte la nostra
reazione ci spingeva a frapporre nei rapporti con loro un muro di
incompatibilità, analogamente a Giuseppe quando intendeva fare nel
rimandare Maria in segreto. A volte sentivamo il bisogno di liberarci
dalle sofferenze causate dalle incomprensioni e litigi, di continuo risorgenti tra noi e loro. Invece, grazie al "cammino" compiuto nell'ambito
della Pastorale Familiare Diocesana (in particolare, in un corso per
consulenti familiari), che ci ha maturati nella fede, abbiamo cominciato a vivere il rapporto con i nostri familiari "scomodi" con maggiore
serenità ed una accettabile armonia.
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"DIO, AMORE INFINITO"
Nell'avvicendarsi dei ricordi, mi ritornano alla mente i bellissimi
momenti in cui Dio si e fatto presente. Abbiamo accolto con gioia i progetti di Dio su di noi sin da quando eravamo fidanzati. In quegli anni
abbiamo intrapreso il nostro percorso di fede facendo parte di una
Comunità di Carismatici. Era 1'8 Dicembre del 1974: fu proprio allora
che ci siamo sentiti chiamati da Dio. Quel giorno, in Chiesa, ognuno di
noi pregava molto intensamente, avvertendo che la nostra vita stava
davvero cambiando. Il mio fidanzato prese lentamente a migliorare il
proprio carattere e, rendendosi più disponibile e sereno, riesce man
mano a perdere l'abitudine della bestemmia. Il Signore divenne sempre più il suo riferimento; mentre io provavo tanta gioia e desiderio di
avvicinarmi ancor più a Dio. Fu Lui che ci portò dolcemente verso il
sacramento del matrimonio, che celebrammo nel 1976. Tutte le volte
che ci ritrovavamo a pregare con gli amici della Comunità, gustavamo
una gioia interiore intensa e vera. Grazie a questa bella e significativa
esperienza di coppia, che ci ha spinti ad affidarci pienamente a Lui,
abbiamo potuto affrontare le varie difficoltà della vita (malattia, morte
prematura di un congiunto, difficoltà di relazioni tra noi e fra parenti),
ben sapendo che Dio ci avrebbe sostenuti.
Come Maria e Giuseppe, che nella prova si sono totalmente affidati a Dio, così anche noi riponiamo con fiducia la nostra vita in Lui; perciò, benché nella nostra pochezza, ci sforziamo di ricambiarlo, dando
amore in famiglia e a quanti si attendono un sorriso o un sostegno.
Grande, infatti, in noi è questo desiderio: fare innamorare di Dio,
Amore infinito, tutte le coppie.
PROVIAMO AD INTERROGARCI:
* Ci siamo mai chiesti come può un uomo accettare questa verità
("perchè quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo"), quando non
ha mai visto o udito niente di simile? L'atteggiamento di Giuseppe
dinanzi al mistero è di modello per tutti noi. Abbiamo cercato, specie nei momenti di prova, di "guardare oltre" con gli occhi della fede?
* Abbandonarsi a Dio significa dire sì a Dio con tutto il cuore e la
volontà, proprio quando l'uomo è tentato di dire no. L'abbandono a
Lui inizialmente può provocare una profonda lacerazione, che tutta26
via può essere riassorbita man mano che l'uomo s'innalza ad una
visione di fede serena e vigorosa. Abbiamo mai provato a vivere
un'esperienza con tale intensità?
* La via percorsa da San Giuseppe si presenta come un modello del
cammino di fede, cui è chiamato ogni cristiano. Il suo silenzio davanti
a Dio comporta qualcosa di assai profondo: da' vita, infatti, ad una
relazione intensa che tocca realmente tutto il suo essere e il suo vivere.
* Il tuo silenzio davanti a Dio significa accettare in piena coscienza e
volontà gioiosa, "quel che sei"?. Porta anche all'accettazione degli
altri? Pensi a Dio come a colui che sceglie gli uomini per attuare il suo
progetto nella loro storia? Ti consideri una persona da Lui scelta?
LA MIA TESTIMONIANZA DI RELIGIOSO DELLA CONGREGAZIONE DEGLI
STIMMATINI
I Santi Sposi, Maria e Giuseppe, proprio in quanto sposi, uno per
l'altro, casti ed insieme profondamente amanti del bene dell'altro...mi
sono stati sempre fissi nel cuore.
San Gaspare Bertoni, nostro fondatore (Verona 1777-1853), infatti,
per una mistica intuizione, ci ha insegnato a guardare allo sposalizio
come icona di unità e di coraggio.
A festa dello Sposalizio tra Maria Giuseppe per un'antica tradizione,
che affonda le radici ancora nel medioevo, ci è segnalata il 23 gennaio.
E' sempre stato per me un appuntamento prezioso ed importantissimo.
Per questo, mi piace comunicarvi un versetto delle nostre
Costituzioni, che raccogliendo questa mistica, così ci presenta i santi
Sposi Maria e Giuseppe.
Chi li tiene sempre davanti, puó da loro imparare cinque doni
importantissimi:
* L'amore alla povertà
* L'applicazione alla preghiera e alla meditazione
* L'obbedienza pronta anche nelle cose difficile e contrarie alla natura
* L'amore di Dio, alla cui gloria unicamente deve applicarsi
* L'amore al prossimo, ii cui bene spirituale si sforza di procurare,
anche a spese della propria vita.
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Questa regola d'oro l'abbiamo imparata a memoria fin da ragazzi. E
la sento mia, la sento nostra. E ve la affido, con molta gioia. Perché
sento che lo sguardo a san Giuseppe che prende in sposa Maria, quel
gesto e quella mistica ma vera unione ci aiuta tantissimo ad affrontare
con speranza proprio questi momenti duri della crisi che stiamo vivendo. Crisi etica e spirituale...e perció anche economica e culturale. Che
la sobrietà, vissuta con speranza, dentro nuovi stili di vita, in obbedienza positiva alle tante domande della vita, in un costante amore
verso Dio e verso il prossimo ci permette di vivere con speranza anche
questo tempo, perché sia un tempo di grazia.
AVE A SAN GIUSEPPE
A
ve, o Giuseppe, Uomo giusto,
Sposo verginale di Maria
e Padre verginale di Gesù.
T
u sei benedetto fra gli uomi-
ni
e benedetto è il Figlio di Dio
che a te fu affidato: San
Giuseppe,
Padre della grande famiglia
dei figli di Dio,
prega per noi peccatori
adesso e nell'ora della nostra morte.
Amen.
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Matteo 1, 21-25
M
aria darà alla luce un figlio
e tu lo chiamerai Gesù;
egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati.
Tutto ciò è accaduto affinché si adempisse
quanto fu annunciato dal Signore
per mezzo del profeta che dice:
Ecco la vergine concepirà
e darà alla luce un figlio
che sarà chiamato Emmanuele,
che significa, Dio con noi.
Destatosi dal sonno,
Giuseppe fece come
gli aveva ordinato l'angelo del Signore
e prese con sé la sua sposa;
ma non si accostò a lei
fino alla nascita del figlio;
e gli pose nome Gesù.
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Proseguendo il cammino dei Cenacoli del Vangelo, eccoci oggi
davanti a quel gesto che Giuseppe compie, per dare un nome al suo
bambino. Lo chiama infatti Gesù, che vuol dire Jahwè salva! Un gesto
prezioso, importante, indicato e comandato dall'angelo stesso. E' il
gesto con cui Giuseppe rivela e manifesta esplicitamente a tutti che lui
ne è il Padre. Non il Genitore, ma il papà, il "babbo", diremmo noi
parafrasando l'espressione ebraica Abbà!
ECCO IL TESTO CHE MEDITEREMO:
Maria darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù; egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati. Tutto ciò è accaduto affinché si adempisse quanto fu annunciato
dal Signore per mezzo del profeta che dice: Ecco la vergine concepirà e darà alla luce
un figlio che sarà chiamato Emmanuele, che significa, Dio con noi. Destatosi dal
sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la
sua sposa; ma non si accostò a lei fino alla nascita del figlio; e gli pose nome Gesù.
Questo brano ci presenta una realtà che non può lasciarci indifferenti perché contiene un annuncio veramente formidabile che noi già
sappiamo essersi realizzato: Gesù è quel meraviglioso dono, venuto in
mezzo a noi per dirci, a chiare lettere, che Dio ci ama perché è Padre.
Come si può rimanere indifferenti di fronte al ritrovamento di un
padre? Tutti noi siamo pronti a commuoverci se, in qualche trasmissione televisiva, vediamo che si ritrovano un figlio ed un padre pronti a
ricominciare, dopo tanti anni, una relazione che non tiene conto del
male ricevuto, ma basata sulla gioia di un perdono. Come mai, ci chiediamo, facciamo fatica a credere in un Dio che è misericordia e perdono e che non desidera altro che stare in famiglia con i suoi figli "perché
abbiano la gioia e la loro gioia sia piena"? "Egli salverà il popolo dai
suoi peccati" Questo vuol dire, infatti, il nome stesso di Gesù, perché
chiunque invocherà il nome del Signore, sarà salvato" (Atti 2,21).
Poiché in nessun altro nome c'è salvezza"!
Di fronte a questa affermazione subito ci viene da pensare ad una
salvezza dai nostri problemi, dalle malattie, dalla povertà, dalle cattiverie che gli altri ci fanno (sono sempre gli altri!) e rimaniamo, in qualche modo, delusi da questo Dio che non interviene con forza.
Evidentemente la salvezza che intende Gesù é ben diversa. Solo se vivo
questa amicizia con Dio rendendolo veramente presente nella mia vita
ottengo la salvezza che significa fondare tutte le relazioni sulla logica
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del dono, sulla capacità di capire più che di essere capito, di dare più
che di ricevere, di essere più che di avere.
Tutto questo traspare dalla figura di Giuseppe definito "uomo giusto", cioè capace di osservare la legge di Mosè senza però che questa
osservanza si volga contro la vita della sua promessa sposa.
Giuseppe ricerca un'armonia con se stesso intuendo che l'amore per
la legge non può mai diventare disprezzo e morte per le persone, anzi
si deve concretizzare in amore per esse.
E su questo terreno fertile che Giuseppe avvia un cammino che lo
porterà ad agire come gli ha ordinato il messaggero del Signore.
In due tappe: IL SOGNO, ALTO E BELLO E LA REALTÀ, COERENTE CON IL SOGNO!
1 Ilsogno: Dio parla nel segreto del cuore di quest'uomo, seguendo
una via misteriosa, ma eloquente, facendogli percepire che persino in
cose inaspettate e spiazzanti può esserci un senso che va oltre. Dio
aiuta Giuseppe A VEDERE AL DI LÀ, oltre, ad avere occhi per ciò che
non si vede immediatamente, ma è nascosto nella routine quotidiana. Sognare vuol dire lasciare a Dio la possibilità di indicarci strade
nuove e di nutrire la speranza di poter trovare una luce anche nei
momenti difficili. Sognare vuol dire darsi tempo, senza pretendere di
capire tutto e subito e rimanere col cuore aperto al futuro, dove c'è il
compimento di una promessa che passa attraverso la realizzazione
di relazioni significative con le persone e con la vita. Solo dopo aver
avuto la capacità di sognare ci si può destare e avere il coraggio di
iniziare a realizzare, con fede, ciò che il Signore ha fatto capire. Così
ha vissuto Giuseppe di Nazaret. Tipico del profeta è il sogno. Perché
è il sogno che ci aiuta a costruire ideali alti, sublimi. Più alti di noi,
ma che nella loro forza ci spingono ad uscire da noi stessi, a lanciarsi verso orizzonti sempre nuovi. Sogno è allora soprattutto per
Giuseppe crede a quella presenza di un Emmanuele, un Dio con noi,
che ci salva, che non respinge nessuno. Perché se Dio è con noi, chi sarà
contro di noi? Allora la lingua del profeta non si stancherà e la paura
non ci ruberà la speranza. Emmanuele vuol dire certezza che il sogno
si farà segno credibile, mediazione fedelmente incarnata.
2) La realtà: Giuseppe si sveglia, dà retta all'angelo e prende con se
la follia di Dio. Nell'ottica umana potremmo dire: "Povero Giuseppe,
quante ne ha passate!". Per prima cosa Dio gli ruba la ragazza; poi
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vive la fatica di capire un bambino così straordinario che gli parla di
un altro Padre a cui deve obbedire, lui che, semplice falegname, e
abituato alla praticità di pialle e chiodi.
Nell'ottica di Dio invece dobbiamo dire: - Grande Giuseppe! Quante
cose ci dici, oggi, quanti suggerimenti ci dai. Tu, uomo di poche parole,
abituato a stare in disparte, sei stato scelto come tutore e custode di Dio.
GIUSEPPE CI INSEGNA....
* Giuseppe ci insegna innanzitutto che Dio è fedele, che mantiene la
promessa di salvezza, anche se questa, a volte, può sembrare che tardi
a realizzarsi dato che deve attraversare i cuori e le storie degli uomini.
* Giuseppe ci insegna ad essere giusti, retti, a non giudicare secondo
le apparenze, a lasciar perdere questa mania dell'apparire e dello
stupire a tutti i costi, ad avere più tenerezza che giustizia, a saper
intravedere il mistero anche dietro le vicende di tutti i giorni.
* Giuseppe ci insegna ad avere il coraggio del sogno in una società
dominata dalla materialità, dal calcolo, dal potere della scienza e
della tecnica che ci schiacciano troppo nei confini ristretti del visibile, facendoci perdere di vista le realtà spirituali.
* Giuseppe ci insegna a fidarci di un Dio che ci chiede di piegare la
nostra volontà, il nostro destino, alla sua volontà. Egli ci chiede di
accogliere oggi il suo progetto di amore che consiste nel far nascere
Gesù nelle case degli uomini.
Da questi insegnamenti, sgorgano anche precise domande:
* Secondo te, come Dio sa realizzare le sue promesse?
* La tua vita, la vedi compiuta, oppure spezzata, frammentata, senza senso?
* Hai sperimentato, magari anche in esperienza di peccato, che solo Gesù salva?
* Senti veramente che Dio e Emmanuele? C'è stato qualche fatto nella tua vita
che ti ha reso evidente questa gioiosa verita, che Dio cioè non abbandona mai?
* Se sei un papà, come vivi la tua responsabilità di padre? Corri anche tu il
rischio di metterti alla pari con i tuoi figli, abdicando così alla tua autorevolezza?
UN'ESPERIENZA DI VITA: sperare anche nella morte del papà!
“Dio è Padre e da Lui ogni paternità discende.
Il bambino viene al mondo grazie all'unione fisica di un uomo e di
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una donna che diventano, sin dal momento del concepimento, padre e
madre. Quindi ogni bambino ha in terra dei genitori, ma la paternità e
la maternità terrena che Dio affida all'uomo e alla donna possono essere negate, offuscate, infangate dall'uomo lontano da Dio. Si pensi a
tutte le violenze, abbandoni, mancanze di amore di genitori nei confronti dei loro figli.
Quando io avevo due anni, mia sorella maggiore quattro e mia sorella
minore tre mesi, ci è stato sottratto, dalla cattiveria umana, nostro padre
Domenico. E' stato questo un evento che ha segnato tutta la mia vita.
Di colpo la mia casa ha cambiato colore, mia madre, mia nonna, i miei
familiari erano diventati ai miei occhi scuri. Erano i loro vestiti neri. Dal
giorno terribile di quel lutto improvviso non ho più avvertito il consueto
clima gioioso, a cui si era sostituito un cupo silenzio nel quale anche l'esuberanza di noi piccole destava pianto. Le persone che venivano nella mia
casa erano diventate silenziose e ci guardavano con compassione.
Io tante cose non riuscivo a comprenderle tuttavia mi sforzavo di
cogliere e di fissare nella mia mente di bambina il senso di tanti particolari che hanno segnato quei momenti. Molte cose le ho capite solo
nel corso degli anni, ad esempio crescendo ho capito che il gelo percepito dalle mie labbra quando ho baciato mio padre per l'ultima volta
era il gelo della morte.
Fino a quando sono vissuta nel mio paese, parte di una famiglia
allargata fatta anche di nonne, di zii e di altri familiari non mi sono mai
sentita orfana perché tutti, con i loro racconti e le loro attenzioni, rendevano viva la presenza di mio padre. In paese, dovunque mi trovavo,
con chiunque parlavo io ero la figlia della "buon'anima di don
Domenico" e questo mi faceva vedere mio padre come un padre
buono. Qualcuno, incontrandoci per strada, ci regalava qualche lira
(che subito veniva spesa per comprare la pastina e qualche caramella
da una lira). Una zia ci regalava sempre qualche bel vestito. L'ufficiale
delle poste ci faceva sempre un regalo alla Befana. Il parroco del paese
ci coinvolgeva sempre in qualsiasi iniziativa.
La terribile sensazione di essere orfana, con tutta la sua tragedia,
l'ho avvertita solo quando, all'età di sei anni, sono stata sradicata dal
mio ambiente protetto per essere mandata insieme a mia sorella maggiore, in collegio, su insistenza di un'assistente sociale.
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Tutti questi momenti di consolazione e di dolore sono legati al
coraggio di mia madre, lavoratrice instancabile, sempre fedele al progetto di amore che per noi figlie avevano sognato con mio padre scomparso, e così, nonostante tutto, ho ricevuto la forza di non arrendermi
di fronte alle difficoltà.
Anni dopo, dopo essere entrata nella Comunità Parrocchiale di San
Leonardo, ho avuto la grazia di rileggere il mio passato alla luce di
Dio, che mi ha dato l'intelligenza di comprendere che in ogni momento della mia esistenza c'era un Padre Buono che aveva accolto anche
mio padre nel suo Regno e che aveva avuto cura di me e di tutta la mia
famiglia. Ho conosciuto un Dio misericordioso che nei momenti di
maggiore solitudine e di maggiore sconforto di mia madre asciugava
le sue lacrime mandando i suoi angeli a consolarla. Ho percepito il Dio
della Provvidenza che ogni giorno ci ha dato il pane quotidiano, non
facendoci mai mancare il necessario per vivere (oggi giorno si parla
tanto di famiglie che non riescono ad arrivare a fine mese, per noi questa situazione era la normalità, ma anche in questo, Dio Padre era presente). Ho riscoperto Dio che mi ha ricoperta di doni affinché io potessi gustare pienamente la bellezza della vita che mi ha donato".
IMPEGNI EDUCATIVI IN FAMIGLIA
Come meditazione ulteriore, mi piace qui farvi riflettere, fratelli e
sorelle carissimi su un prezioso discorso di Papa Giovanni Paolo II
tenuto nell'omelia della Messa, celebrata il 19 marzo 1983, a Termoli.
"Grande compito, questo, della paternità al quale oggi non pochi
genitori sono tentati di abdicare, optando per un rapporto "alla pari con
i figli, che finisce per privare questi ultimi del sostegno psicologico e di
quell'appoggio morale di cui hanno bisogno per superare felicemente la
fase precaria della fanciullezza e della prima adolescenza. Qualcuno ha
detto che stiamo vivendo oggi la crisi di una "società senza padri".
Si avverte sempre più il bisogno di padri che sappiano svolgere il
loro ruolo, unendo la tenerezza alla serietà, la comprensione al rigore,
il cameratismo all'esercizio dell'autorità, perché solo così i figli potranno crescere armoniosamente, dominando le proprie paure e disponendosi ad affrontare con coraggio le prove della vita.
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Ma dove potete attingere, figli carissimi l'energia necessaria per
assumere nelle vane circostanze l'atteggiamento giusto che i vostri
figli, anche senza saperlo, attendono da voi?
La risposta ve la offre san Giuseppe: è in Dio fonte di ogni paternità, è nel suo modo di agire con gli uomini, quale ci è rivelato dalla sacra
Scrittura che voi potete trovare il modello di ogni paternità, capace di
incidere positivamente sul processo educativo dei vostri figli, non soffocandone, da una parte, la spontaneità né abbandonandone dall'altra
la personalità ancora immatura alle esperienze traumatizzanti dell'insicurezza e della solitudine".
PREGHIAMO
C
i rivolgiamo in questo giorno a te,
Giuseppe di Nazareth, con una preghiera
che non è volta a chiedere speciali grazie
o particolari favori,
ma è mossa dal desiderio di apprendere
dal tuo esempio come aprirci meglio
all'azione della grazia divina,
affinché tutta la nostra vita ne risulti
permeata.
V
ogliamo oggi
eleggerti a modello della nostra condotta.
Come te attenti nell'ascolto della parola
di Dio, solerti nel ricercare la sua volontà,
pronti nell'assecondarla
e nell'abbandonarci ad essa.
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V
ogliamo che la, dove si svolge la nostra vita,
in famiglia o in comunità, a scuola o sul posto di lavoro,
nella Chiesa e nella società, sappiamo, imitandoti,
realizzare rapporti basati sulla fiducia e la stima reciproca,
sulla sincerità, la semplicità,
la purezza d'intenzioni, sulla forza che viene da Dio,
sulla tenerezza, sul coraggio e sulla perseveranza.
V
ogliamo come te, accanto a Maria,
amare e far amare Gesù, quello stesso Gesù
che ancora oggi e per sempre è presente tra gli uomini,
sotto le specie del pane e del vino
nell'Eucaristia e sotto le sembianze di tutti i piccoli,
i poveri e i sofferenti della terra.
S
apremo cosi preparare un terreno
dove il seme della fede possa con facilità germogliare,
aprire il cuore degli uomini alla speranza,
vivere e insegnare a vivere,
donandoci gratuitamente agli altri,
nella dimensione gioiosa della carità.
S
aremo così, come te, nel silenzio e nel nascondimento,
instancabili operai del regno di Dio. Così sia.
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Matteo 2, 13-15
D
opo che [i Magi] furono partiti,
un angelo del Signore
apparve in sogno a Giuseppe e gli disse:
“Alzati, prendi il bambino e sua madre,
fuggi in Egitto e restaci finché io non te lo dico;
perché Erode sta per cercare il bambino per farlo morire".
Egli dunque si alzò,
prese di notte il bambino e sua madre,
e si ritiró in Egitto.
La' rimase fino alla morte di Erode,
affinché si adempisse
quello che fu detto dal Signore
per mezzo del profeta:
"Fuori d'Egitto chiamai mio figlio".
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E' una lectio molto matura, seria, profondamente attuale.
Esprime bene il compito di ogni papà e di ogni educatore, davanti ai
pericoli che ieri come oggi incombono sui nostri figli. San Giuseppe lo
ha difeso così. Tu, papà, tu prete, tu maestro... come difendi i tuoi figli?
LEGGIAMO INSIEME MATTEO 2,13-15
Dopo che [i Magi] furono partiti, un angelo del Signore apparve in sogno a
Giuseppe e gli disse: "Alzati, prendi il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e restaci finché io non te lo dico; perché Erode sta per cercare il bambino per farlo morire". Egli dunque si alzò, prese di notte il bambino e sua madre, e si ritiró in Egitto.
La' rimase fino alla morte di Erode, affinché si adempisse quello che fu detto dal
Signore per mezzo del profeta: "Fuori d'Egitto chiamai mio figlio".
Rendiamoci prima bene conto di ciò che sta scritto. L'angelo che appare in sogno a Giuseppe è - con tutta evidenza - la rappresentazione plastica, narrativa del colloquio silenzioso, costante, fiducioso che Giuseppe,
uomo giusto, intrattiene con il Signore. Giuseppe è sempre in posizione
di ascolto, è sempre pronto A SCRUTARE, nel segreto del suo cuore, quali
sono i segni della volontà di Dio. Come del resto fa Maria, la sua sposa,
custodendo e meditando nel suo cuore i fatti meravigliosi che vive!
Lui, lo sappiamo, non è il genitore di Gesù secondo la carne, ma
non sfugge a nessuna delle responsabilità di un vero padre. E lo fa
tenendo accanto a sé la sua sposa.
Non è difficile immaginare gli sguardi che Giuseppe e Maria si
scambiarono, commossi ma anche interrogativi, nel giorno della presentazione al tempio, quando il vecchio Simeone chiamò il bambino
"gloria d'Israele" e come invece si guardarono angosciati ascoltando
che "una spada avrebbe trafitto il petto" di Maria.
Insieme nella gioia, insieme di fronte alla prospettiva del dolore.
Giuseppe e Maria custodivano con il loro sguardo d'amore questo
figlio straordinario, destinato a cose più grandi della loro capacità di
comprendere. E si misero, in certo senso, al suo servizio.
Ma come? Non nel senso che lo assecondarono nei capricci, o che si
piegarono a ogni suo volere. No. Essi, presentando al tempio, cioè
offrendo a Dio la loro creatura, riconoscono solennemente, pubblicamente, di averlo ricevuto in dono e di esserne i custodi. Cosi facendo si
impegnano a fare di questo figlio ciò che Dio vorrà, a diventare, con
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Dio, coautori della vita del figlio. Avranno perciò sentito in misura particolarmente alta la responsabilità di accompagnare il figlio verso il suo
particolarissimo futuro, anche difendendo dalle insidie mortali quel
bambino, forse destinato a grandi cose, ma che di fronte a loro restava
solo un fanciullo al quale insegnare anche come si allacciano i sandali.
ECCO, LA FUGA IN EGITTO.
Il figlio è minacciato, un pericolo mortale lo sovrasta. E allora, per
proteggerlo, addio alla vita normale, addio alle care abitudini, addio
alle proprie comodità. E via, verso un paese nuovo, una sistemazione
precaria, via verso un avvenire pieno di ombre. Ma insieme.
Il Vangelo, infatti, sebbene rifletta una cultura di tipo maschilista,
non mette sulla scena Giuseppe da solo come salvatore-custode di
Gesù, ma precisa: Giuseppe prese il bambino e sua madre.
Non ci sembra, allora, se guardiamo bene, che la piccola famiglia di
Nazareth racchiuda e riassuma in sé il ritmo di ogni famiglia?
Anche noi, famiglie cristiane, abbiamo "presentato al tempio" i nostri
bambini, con il battesimo, anche noi abbiamo disegnato per loro, in un'alternanza di speranze e preoccupazioni, un futuro; anche noi abbiamo trepidato e scelto ii "nostro Egitto" per stornare da essi le minacce. Perciò
Giuseppe e Maria ci interpellano sulla nostra fedeltà al volere di Dio.
LA NOSTRA FUGA IN EGITTO...
Maria e Giuseppe sembrano chiederci se anche noi, per sottrarre i
figli alle insidie dei nuovi Erodi (il narcisismo, il sesso facile, il culto del
dio denaro, l'arrivismo, la spregiudicatezza ...) siamo disposti a mettere in gioco le nostre comodità e a intraprendere il nostro esilio verso un
altro Egitto. Talvolta, infatti, difendere un figlio dalla "morte" (quella
della coscienza) significa cambiare i propri ritmi di vita, modificare vecchie abitudini, riconsiderare il proprio rapporto con il denaro, con il
lavoro. Erode in agguato può essere il film (o l'evento) che sconvolge la
giovane coscienza e fa danni irreparabili se lui, il ragazzo, non riesce a
parlarne con il padre. Erode vince, se il padre o la madre non "hanno
tempo", non "hanno voglia", sono "troppi occupati con il lavoro".
Sbaraccare la propria casa e andarsene in Egitto per salvare il bambino significa anche mettere la sua innocenza e la salute della sua
anima al primo posto.
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Prima del conto in banca, prima della bella casa, prima delle vacanze, prima delle amicizie, prima degli hobby.
Le tre parole di coraggio
Dio quindi ordina a Giuseppe di andarsene dalla sua terra e di trasferirsi in Egitto.
Quella parola - "Alzati" - riecheggia altre situazioni simili del Primo
Testamento. Ne ricordiamo almeno due, nella Genesi. Quando Abramo
riceve da Dio il comando di mobilitarsi per andare incontro alla terra
che gli sarà concessa e quando il Signore apre nel cuore di Agar una
grande speranza, perché suo figlio Ismaele, che sembrava destinato a
morire, è invece avviato a un destino completamente diverso.
"Alzati" significa dunque un momento in cui l'uomo, chiamato singolarmente, è richiesto da Dio di mettersi completamente a sua disposizione per abbandonare le piccole certezze umane su cui riposa la
nostra pigrizia e partecipare al misterioso disegno che solo Lui conosce e al quale noi possiamo/dobbiamo collaborare.
Così commenta questo verbo la penna meravigliosa di don Tonino
Bello:
Alzati significa credere che il Signore e venuto sulla terra duemila anni fa
proprio per aiutarci a vincere la rassegnazione.
Alzarsi significa riconoscere che se le nostre braccia si sono fatte troppo corte per
abbracciare tutta intera la speranza del mondo, il Signore ci presta le sue.
Alzarsi signjfica abbandonare ilpavimento della cattiveria, della violenza,
dell 'arnbiguita, perché ilpeccato invecchia la terra.
Alzarsi significa, insomma, allargare lo spessore della propria fede. Ed allargare anche lo spessore della nostra speranza, puntando lo sguardo verso il
futuro, da dove Egli un giorno verrà nella gloria, per portare a compimento
la sua opera di salvezza. E allora non ci sarà pianto ne lutto e tutte le lacrime saranno asciugate sul volto degli uomini".!
"Prendi il bambino e sua madre" ci dice invece la premurosa protezione con cui Giuseppe avvolge la sua sposa e suo figlio, ponendoli quasi
"all'ombra delle sue ali". Un atteggiamento ricco di tenerezza e di esemplare slancio di paternità. Il bambino è in pericolo, Erode lo minaccia, non
c'è tempo da perdere; non resta che affidarsi a Colui che gli ha donato
quel bambino e quella giovane moglie. E' Lui che tesse i fili della storia,
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che stabilisce i tempi ("... in Egitto restaci finché io non te lo dico;").
E Giuseppe parte "di notte". Non un indugio, non un'esitazione.
Nessun affare da sistemare è più importante, nessun parente da salutare vale più del figlio. Si parte di notte. Non si aspetta la comodità e
la certezza dell'alba. Ma si affronta subito il pericolo, si scende in strada, ci si mette subito in gioco. Subito, perché il nemico ci insegue e la
paura può paralizzarci il passo.
Probabilmente è questo il punto focale del brano, almeno ai fini del
nostro discorso, della nostra ricerca della esemplarità di Giuseppe come
modello di "accoglienza". Il padre ha accolto il figlio con assoluta responsabilità, ponendolo al primo posto dei suoi "doveri", del suo amore.
Le domande per cambiare
* Come difendi i tuoi figli dai pericoli?
* Ti alzi, subito e sai abbandonare consolidate comodità, schemi facili e mentalità statiche che ti paralizzano?
* Come vedi il futuro dei tuoi figli? Cosa temi maggiormente per loro? Come
li prepari al loro futuro?
* Sono per te la perla preziosa per cui tutto sai vendere, pur di tenerli stretti a te?
* Hai tempo per loro?
ESPERIENZA DI VITA
La fuga in Egitto può dunque essere assunta come evento esemplare di una rara disponibilità al disegno di Dio che contrasta e manda
all'aria i nostri piani umani.
C'è stato un momento, nella nostra famiglia, in cui superate certe
asperità, data stabilità a certi aspetti relazionali, cresciute abbastanza le
nostre due figlie tanto da accogliere con entusiasmo l'arrivo di un fratellino, ci sembrava che il futuro, almeno quello a breve, si presentasse
come un verde e accogliente prato dopo una scalata difficile e faticosa.
Ma... Nel giro di quattro anni Erode impose anche a noi la nostra
"fuga" in Egitto. Un fratello si divise dalla moglie lacerando il tessuto delle
abitudini familiari e aprendo ferite, destando perplessità, innescando
malumori. Passa nemmeno un anno e una sorella, questa volta, è abbandonata dal marito: crisi, depressione, solitudine. I nostri genitori anziani
soffrono, tanto più quanto meno lo gridano. Un anno dopo uno di loro
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muore aggredito e vinto in due mesi da un male incurabile. Passano appena tredici mesi e un infarto ci strappa una mamma, mentre l'Alzheimer fa
la sua triste comparsa in mezzo a noi impadronendosi di un'altra mamma.
Quello che appariva un prato pianeggiante e fiorito era diventato, in
breve, con un incalzante succedersi di fatti dolorosi, un calvario.
Le figlie crescono, la loro adolescenza trova genitori sopraffatti dalla
cura degli anziani malati, stressati per garantire un riferimento affettivo e materiale ai propri familiari sconvolti e disorientati: genitori, quindi, non sempre attenti al difficile dialogo cui hanno diritto i giovani.
Si arrivò ad un Natale senza figli, passato accanto alla persona più
malata. Ma i figli, forse meno accuditi, furono educati proprio dalla
fuga in Egitto dei loro genitori, chiamati a far funzionare una famiglia
allargata e piena di problemi.
Reagimmo male mia moglie ed io, in prima battuta: perché a noi?
Perché tutto insieme? Dio, perché? Ma erano domande un po' sciocche,
sebbene umanissime. Lo capimmo dopo, quando, rasserenatosi il
clima, meditammo sul senso di ciò che era accaduto e scoprimmo che
la libertà del cristiano non sta nel disegnare da solo la propria vita,
pronto ad alzare i pugni al cielo se le cose "vanno storte".
Ma sta nella capacità di entrare nel ritmo della vita, di leggere nelle
tristezze della nostra storia personale - che certo non sono "prove" predisposte per noi dal Padre - altrettante chiamate di Dio: "Ascoltami egli ci disse - prendi con te le cose più amate e parti, sii pronto a lasciare le tue comodità e le tue certezze. I tuoi cari hanno bisogno di te.
Rivedi i tuoi piani. Riorganizza i tuoi orari, riscrivi le tue priorità,
rinuncia a certo superfluo. Perché solo attraverso gli uomini io ho scelto di aiutare gli uomini".
Ecco, la nostra famiglia si mise in cammino e passo dopo passo sperimentò che la nostra libertà diventava capacità di ascolto e forza di
adesione ad un'altra volontà, che non si poteva contrastare perché
faceva tutt'uno con l'Amore.
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PREGHIERA
C
oncedici, Dio,
la serenità di accettare
le cose che
non possiamo cambiare.
I
l coraggio di cambiare le cose
che possiamo cambiare.
E la saggezza
per distinguere
le une dalle altre.
P
erciò, Signore, affidiamo
il nostro passato
alla tua misericordia
il nostro presente
al tuo amore
il nostro futuro
alla tua Provvidenza
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Matteo 2, 19-23
M
orto Erode, un angelo del Signore
apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse:
"Alzati, prendi con te il bambino e sua madre
e va nel paese d'Israele;
perché sono morti coloro che insidiavano la vita del bambino.
Egli, alzatosi, prese con sé il bambino e sua madre,
ed entro nel paese d'Israele.
Avendo però saputo che era re della Giudea
Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi.
Avvertito poi in sogno, si ritiró nelle regioni della Galilea
e, appena giunto, andò ad abitare in una città chiamata Nazaret,
perché si adempisse ciò che era stato detto dai profeti:
'Sarà chiamato Nazareno".
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LO SCOPO DI QUESTA LECTIO
Morto Erode Giuseppe torna a Nazareth, la città che fiorisce di bellezza per la dignità di quel falegname che si chiama Gesù, figlio di
Giuseppe, il falegname.
E' la dignita di Giuseppe che da bellezza e dignità al lavoro, non è
il lavoro che dà onore a Giuseppe, nella logica che è la persona che dà
dignità al lavoro e non il lavoro che dona dignità alla persona.
In termini popolari, si potrebbe ancora dire che si lavora per vivere
e non si vive per lavorare.
Scopo di questa lectio è proprio quello di esaminare la nostra attività di lavoro, qualsiasi sia, alla luce del lavoro che Giuseppe ha compiuto a Nazaret, anche con il compito meraviglioso ed impegnativo di
insegnare un mestiere a Gesù.
LA RESPONSABILITÀ DI UN PADRE
Il vangelo di Matteo non aggiunge ulteriori particolari alla vita
della Sacra Famiglia in Egitto, se non che furono costretti a fuggire a
causa di Erode. Possiamo immaginare le enormi difficoltà per il trovarsi in terra straniera, per la lingua e la cultura, anche davanti alla fatica
di mettere in atto la sua arte di falegname. Inoltre Giuseppe era ebreo
e gli ebrei in Egitto erano stati cacciati per via delle famose piaghe al
tempo di Mosè. Forse ancora restava una memoria storica di ostilità da
parte degli Egiziani....
Cosa non fece Giuseppe per custodire la sua famiglia, quante umiliazioni dovette subire e quanta fatica, giomo per giorno. Forse alcune
volte nemmeno a lui veniva dato ii compenso già pattuito!?
A Giuseppe stava a cuore la grande responsabilità di custodire ii
figlio di DIO e sua Madre. Era proprio questa la forza interiore di
Giuseppe, l'idea fissa che gli permise di poter sopportare tutto quello
che era costretto quotidianamente a subire.
Giuseppe ricordava molto bene la frase dell'angelo in sogno: "...e
resta la finché non ti avvertirò". Ogni giorno pregava il Signore, insieme
a Maria perché potessero finalmente ritornare nella loro terra, senza
pericolo per il bambino. Ecco che quel giorno, finalmente, giunse:
"Morto Erode, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e
gli disse: "Alzati prendi con te il bambino e sua madre e va nel paese d'Israele,
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perché sono morti coloro che volevano la vita del Bambino". Quale fu la felicità di Giuseppe al risveglio da quel sogno è facilmente comprensibile.
La stessa gioia del salmo 125: Quando il Signore ricondusse I prigionieri di
Sion, ci sembrava di sognare. Allora la nostra bocca si apri al sorriso, la nostra
lingua si sciolse in canti di gioia...Chi semina nelle lacrime, mieterà con giubilo! Nell 'andare se ne va e piange ma nel tornare viene con giubilo, portando i suoi covoni!".
Dopo tanto viaggiare, dopo tanto soffrire, si era nuovamente aperta la via di casa: ISRAELE.
E' interessante notare una significativa particolarità che ritroviamo
nei discorsi angelici: è sempre preminente l'attenzione a Maria e Gesù,
da parte di Giuseppe. L'angelo sia nel sogno della fuga in Egitto, che
in quello relativo al loro ritorno in patria, indica sempre Maria e Gesù,
come "Il bambino e sua Madre". Egli non dice "prendi tua moglie e tuo
figlio", ma costruisce la frase in modo tale da richiamare la preminenza di Maria e Gesù (il bambino e sua Madre), quasi lasciando a Giuseppe
un ruolo puramente esecutivo, attuativo. Certo è Lui il protettore della
santa Famiglia. Ma lo fa con immensa silenziosa partecipazione. Resta
sempre al loro fianco, ma umile, disponibile, pronto ed aperto ad ogni
cenno di Dio tramite l'angelo.
Un segno vivissimo anche per le nostre famiglie: vivere in reciproca sottomissione, come ci esorta san Paolo, più volte. Non per essere
esclusi né per escludere. Ma per restare al proprio posto, servi inutili,
pur se preziosi e veri, del bene pieno delle nostre case!
Infatti, subito dopo l'indicazione dell'Angelo, Giuseppe non attese
oltre, ma "...alzatosi, prese con sé il bambino e sua Madre ed entrò nel paese
di Israele". Piena obbedienza e matura corresponsabilità.
Giuseppe e Maria tornarono con tante speranze nel cuore, con tante
domande, ma ancora con tanta angoscia per il pericolo scampato.
Questa angoscia li porta ad informarsi non appena superato il confine su
chi sia il successore del Re deceduto: "avendo però saputo che era Re della
Giudea ARCHELAO al posto di suo padre Erode, ebbero paura di andarvi".
LA PAURA
Giuseppe pensò che Archelao avrebbe in ogni caso continuato a
compiere la persecuzione iniziata dal padre Erode. Si sentì perso e
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cercò con lo sguardo Maria per capire cosa fare. Giuseppe ha di nuovo
paura. Tutto dipende da lui e lui riesce a trovare una risposta, non ha
le idee chiare, non sa dove portare la sua Famiglia per evitare pericoli,
soprattutto a Gesù. Giuseppe è confuso, timoroso. Il mondo gli crolla
addosso, non sa decidersi su quale direzione seguire. Ogni scelta sembra che c'è un inganno, ogni direzione un pericolo.
Quanto è simile questo Giuseppe ai nostri momenti di smarrimento e di paura, davanti a grandi scelte che coinvolgono le nostre spose e
d i nostri figli. Specie davanti all' angoscia per la perdita del posto di
lavoro, davanti alle scelte affettive dei nostri figli, spesso diverse da
quelle che noi avremmo compiuto! E' un Giuseppe vero padre, perché
è come noi. E noi siamo come lui, angosciati, preoccupati, impauriti!
LA FEDE
Ma il Cielo vede, ascolta al momento giusto le sue tribolazioni interiori e decide di intervenire per liberare Giuseppe da tutti i suoi dubbi
e paure: "Avvertito poi in sogno si ritirò nelle regioni della Galilea e, appena
giunto, andò ad abitare in una città NAZARETH perché si adempisse ciò che
era stato detto dai Profeti. "Sarà chiamato NAZARENO".
Nazaret non è mai nominata nell'Antico Testamento. Perciò non c'è una
citazione precisa per questo riferimento di Matteo. Ma l'evangelista raccoglie più poetici riferimenti, che rendono luminoso il volto di quel Gesù che
vive a Nazaret e fa di quella cittadina il cuore pulsante dell'incarnazione.
Potrebbe infatti essere riferito a Nazir, cioè Consacrato come Sansone.
Oppure a Neser, cioè Germoglio che spunta dal tronco di Iesse cioè ad
un'immagine bellissima di speranza, quasi a dirci che anche quando
viene tagliato l'albero, da quel tronco reciso spunta sempre una speranza, un germoglio, un volto nuovo di luce. E' proprio quanto ci abbisogna in questo momento di crisi: guardare a quel Gesù che rinnova i
cuori alla speranza e al coraggio.
Veramente in questo termine c'è il "dunque" della storia della salvezza, qui narrata in queste cinque Lectio sul cammino interiore di
Giuseppe, con Maria sua Sposa a servizio di Gesù suo figlio.
Tutto in fondo si raccoglie in ciò che Dio pretende dall'uomo; una
cosa sola, la fede.
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La fede della creatura per il proprio creatore è la chiave che apre il
cuore di Dio stesso. Come ci dice il Papa Benedetto XVI, che ha indetto un anno della fede, dall'autunno 012 all'autunno 013. Ed ha intitolato il documento che indice questo anno proprio con questa immagine:
porta fidei, la porta della fede!
Senza la fede non esiste dialogo, perchè nonostante Dio sia alla porta
di ogni cuore, le porte senza fede, sono porte chiuse. La fede non è altro
che fedeltà a Dio, amicizia e confidenza in Lui che è il Principio di ogni
cosa.....Ma allora Giuseppe non ha abbastanza fede? Ad un tratto ecco
che Giuseppe,nonostante questa amicizia con Dio, questa sua fedeltà
che mai aveva visto tentennamenti di sorta, diventa fragile e insicura.
Cosa ci può insegnare questo? Che Dio, Padre buono, vede nel
cuore di Giuseppe il suo timore e comprende che ha bisogno di incoraggiamento. Dio comprende ed interviene perchè conosce ciò che tormenta il cuore di Giuseppe e corre in suo aiuto. Possiamo dire con certezza: DIO NON ABBANDONA MAI NESSUNO E PIÙ ANCORA NON ABBANDONA CHI A LUI SI E SEMPRE AFFIDATO.
Colui che cammina sulle vie della luce avrà sempre, per stella polare,
lo spirito di Dio che lo guida e lo protegge dalle oscurità del mondo.
Giuseppe torna fiducioso a NAZARETH come l'angelo gli aveva indicato.
LA VITA DI LAVORO A NAZARET
Per descrivere questa realtà del lavoro duro ed impegnativo che
Giuseppe vive a Nazaret, è bello anche qui, come ho fatto altrove nella
Lettera pastorale dello scorso anno, riprendere la celebre pagina sulla
vita di Nazaret, dettata dal cuore innamorato di Paolo VI, quando fece
visita alla città della Galilea. Raccoglie il suo intervento attorno a tre
immagini bellissime: la Famiglia di Nazareth cresce in 3 dimensioni:
Scuola di silenzio; Scuola di amore; Scuola di lavoro.
Scuola di silenzio
"La casa di Nazareth è la scuola dove si è iniziati a comprendere la
vita di Gesù, cioè la scuola del Vangelo. Qui si impara ad osservare
ad ascoltare a meditare, a penetrare il significato così profondo e così
misterioso del crescere del Figlio di Dio: GESU'. Nella Casa di
Nazareth si impara il valore del silenzio. Oh! Se rinascesse in noi la
stima del silenzio, atmosfera ammirabile ed indispensabile dello
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Spirito! Mentre siamo storditi da tanti frastuoni rumori e voci clamorose nella esagitata e tumultuosa vita del nostro tempo. Oh! Silenzio
di Nazareth, insegnaci ad essere fermi nei buoni pensieri, intenti
nella vita interiore, pronti ad ascoltare le segrete ispirazioni di Dio e
le esortazioni dei veri maestri.
Scuola di Amore
Il modo di vivere nella famiglia di Nazareth ci ricorda cosa è la
comunione del mistero d'Amore, la sua bellezza austera e semplice,
il suo carattere sacro e inviolabile. La famiglia di Maria e Giuseppe è,
prima di tutto, il luogo privilegiato dell'intimità delicata e rispettosa;
il luogo, dove si educano al dono continuo e progressivo del bello; il
luogo dell'accoglienza della vita, di qualsiasi vita come immagine di
Dio. Un tale amore suppone tenerezza e oblio di se, pazienza e comprensione gratuita e fedeltà nel servizio reciproco, bellezza che dona
serenità sempre rinnovata alle sorgenti della fede e della libertà. Una
simile famiglia si apre a tutte le altre comunità, donando le energie
che rendono capaci di intrecciare legami sociali costruttivi e di trasformare il mondo in una comunità di fratelli.
Scuola di Lavoro
Infine a Nazareth impariamo la lezione del lavoro "casa del figlio del
Falegname". Qui soprattutto si comprende e si celebra la legge, severa, ma redentrice della fatica umana. Qui si nobilita il lavoro in modo
che sia sentito da tutti come espressione della propria creatività. Il
lavoro non può essere fine a se stesso, ha una sua dignità,non è solo
un valore economico, ma porta in se soprattutto l'essere espressione
di "servizio" alla società. Questa realtà della Famiglia di Nazareth
viene espressa da un canto che la liturgia delle ore ci propone:
"Santa e dolce dimora,
dove Gesù fanciullo nasconde la sua gloria!
Giuseppe addestra all'umile Arte del falegname
Il Figlio dell'Altissimo.
Accanto a lui Maria fa lieta la sua casa
Di una limpida gioia.
La mano del Signore li guida e li protegge
nel giorno della prova."
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ESPERIENZA
Come per S. Giuseppe DIO è CENTRO E META della VITA
SPONSALE anche per noi, coppia di sposi, la famiglia è espressione
della relazione trinitaria che si rende visibile nell'amore di coppia, che
genera vita e storia di redenzione a immagine della famiglia di
Nazareth.. Avendo sperimentato in prima persona le grandi insidie
nella vita quotidiana (l'usura che ci ruba una vita di lavoro e conseguente crisi coniugale che ci ha portato sul baratro della separazione
nonché il dolore tragico della perdita di nostra figlia Alessia) possiamo affermare con estrema certezza quanto sia grande la forza di Dio,
riscoperta attraverso l'ascolto della parola e l'esercizio della preghiera,
che nei momenti più drammatici del nostro percorso terreno ci viene
incontro, quando siamo con il volto a terra. Riconoscendoci figli di Dio,
impariamo a comprendere il significato della vita come dono e della
famiglia come altare di Dio, consapevoli dell'importanza dell'accettazione del dolore come strumento per avvicinarci sempre più a Dio e
non per allontanarci da Lui, come spesso accade.
L'uomo sofferente nell'incontrare Dio misericordioso, attraverso il
Suo aiuto non solo supera il dolore, ma riesce anche a metterlo a servizio dell'altro, affinché si possa con la condivisione trovare un senso di
comunione profonda che unisca le famiglie di Dio all'unico Dio.
Interroghiamoci...
* Come vivi il tuo lavoro? Come lo senti? E' parte del tuo modo di vivere il
Vangelo?
* Che dire e come accompagnare i nostri figli negli anni difficili della ricerca
di un'occupazione? . Come far capire loro che ogni lavoro è uguale per dignità, perché essa non dipende dal lavoro in sé ma dal cuore di chi lo compie?
LA GRANDEZZA DELLA VITA QUOTIDIANA COME VIA VERSO LA SANTITÀ
Tutti i battezzati sono chiamati alla pienezza della carità, e che il
modo per raggiungere questo comune traguardo si trova nella normalità quotidiana.
Il Signore vuole entrare in comunione d'amore con ciascuno dei
suoi figli, nella trama delle occupazioni di ogni giorno, nel contesto
feriale in cui si svolge l'esistenza.
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Alla luce di queste considerazioni le attività giornaliere si presentano come un prezioso mezzo di unione con Cristo, potendo divenire
ambito e materia di santificazione, terreno di esercizio delle virtù, dialogo d'amore che si realizza nelle opere.
Il lavoro viene trasfigurato dallo spirito di orazione e diventa così
possibile restare in contemplazione di Dio, anche mentre si è intenti al
disbrigo di varie occupazioni.
* Per ogni battezzato che voglia seguire fedelmente Cristo, la fabbrica, l'ufficio, la biblioteca, il laboratorio, l'officina, le pareti domestiche, possono trasformarsi in altrettanti luoghi di incontro con il Signore, che scelse di vivere trent'anni nel nascondimento.
Si potrebbe forse mettere in dubbio che il periodo passato da Gesù a
Nazareth fosse già parte integrante della sua missione salvifica?
* Anche per noi, pertanto, il quotidiano, nel suo apparente grigiore, nella sua
monotonia fatta di gesti che sembrano ripetersi sempre uguali; può acquistare il
rilievo di una dimensione soprannaturale ed esserne in tal modo trasfigurato.
L'ideale della perfezione cristiana "non va equivocato come se implicasse una sorta di vita straordinaria, praticabile da alcuni "geni" della
santità. In questo senso "è ora di riproporre a tutti con convinzione
questa misura alta della vita cristiana ordinaria''.
Ad ogni battezzato il Signore concede le grazie necessarie per raggiungere i vertici della divina carità.
I piccoli eventi della giornata racchiudono in se un'insospettabile grandezza,
e proprio vivendoli con amore, con amore verso Dio e i fratelli è possibile superare in radice ogni frattura tra fede e vita quotidiana. Santificando il proprio lavoro nel rispetto delle norme morali oggettive, il fedele contribuisce efficacemente ad edificare una società più degna dell'uomo e a
liberare la creazione che geme e soffre in attesa della rivelazione dei
figli di Dio (cfr Rm 8,19-22) Egli coopera, così, a plasmare il volto di
una umanità attenta alle esigenze della persona e del bene comune.
Occorre mostrare con lo sforzo quotidiano che l'amore di Cristo può
informare tutto l'arco dell'esistenza consentendo di raggiungere
l'ideale di quell'unità di vita che è fondamentale nell'impegno di
evangelizzazione nella società contemporanea.
La preghiera, il lavoro e l'apostolato si incontrano e si fondono se sono
vissuti in questo spirito. Occorre amare appassionatamente il mondo.
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Essere uomini e donne del mondo, ma non mondani, riuscendo così
ad evitare il pericolo del condizionamento di una mentalità mondana,
che concepisce l'impegno spirituale come un qualcosa di riconducibile alla sfera privata e pertanto irrilevante per l'agire pubblico.
* Se l'uomo non accoglie nel proprio intimo la grazia di Dio, se non prega,
se non si accosta frequenternente al Sacramento," se non tende alla santità
personale, smarrisce il senso stesso del suo pellegrinaggio terreno
La terra è un cammino verso il Cielo e l'esistenza d'ogni credente,
pur con i suoi pesi e limiti, deve diventare un vero tempio in cui abita
il Figlio di Dio fatto uomo"
Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al Congresso promosso in occasione del centenario
della nascita del B. E.de Balanguer, fondatore del'Opus Del, OR., Domenica 13 gennaio 2002
PREGHIERA
O
Gesù, Giuseppe e Maria,
benedite le nostre famiglie;
fate loro comprendere
l'importanza e la gioia
di essere famiglie cristiane;
aiutatele a tendere
alla santità
vivendo con Dio,
esistendo per gli altri,
custodendo delle vite
con la propria vita!
AMEN
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Luca 2, 41-52
I
suoi genitori si recavano tutti gli anni a Gerusalemme
per la festa di Pasqua.
Quando egli ebbe dodici anni,
vi salirono di nuovo secondo l'usanza;
ma trascorsi i giorni della festa,
mentre riprendevano la via del ritorno,
il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme,
senza che i genitori se ne accorgessero.
Credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio,
e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti;
non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme.
Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio,
seduto in mezzo ai dottori, mentre ascoltava e li interrogava.
E tutti quelli che l'udivano
erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte.
Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse:
"Figlio, perché ci hai fatto cosi?
Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo".
Ed egli rispose: "Perché mi cercavate?
Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?".
Ma essi non compresero le sue parole."
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LE NOSTRE ANGOSCE
Giuseppe è veramente un papà angosciato, in questa Lectio, di
grande attualità e bellezza.
Mi ci sento specchiato, in queste pagine bibliche, anch'io come
Vescovo. Non solo voi come genitori, carissimi amici.
E la narro così, con il cuore in mano, perché scorgo in questi passaggi tutta la forza di una ricerca di Dio che ci rende inquieti, travagliati,
a tratti anche angosciati.
Proprio come Giuseppe, che si è trovato, insieme a Maria, sua
sposa, in un giorno triste di Pasqua, solo! Soli e smarriti, entrambi!
Non Gesù era smarrito, ma lui, Giuseppe, lei, Maria, erano realmente smarriti.
Ma sarà proprio da quella angosciante ricerca di un ragazzo di 12
anni che si potrà per me, per tutti noi, raccogliere una serie di messaggi di grande conforto.
Perché questa lectio, se ben pregata, potrà dirci quando finisce il
nostro compito di protagonisti assoluti sulla vita dei nostri figli oppure sulle opere che a me, come pastore, sono affidate, per entrare in una
nuova esperienza di affidamento al Padre, quel Padre che Gesù sa di
cercare, poiché deve occuparsi delle cose del Padre suo. Oltre gli schemi che
ogni genitore si fa dei suoi figli; oltre gli schemi che come vescovo mi
faccio della "mia" diocesi. Che "mia" non è, come "miei" non sono del
tutto i nostri figli. Sono primariamente e soprattutto di Dio.
Perché è verissimo, come affermava il grande cardinale Van Thuan,
rinchiuso in un carcere durissimo per oltre un decennio in Vietnam,
che "Le opere di Dio non sono ancora Dio"! Dio è oltre.
II TESTO EVANGELICO
"I suoi genitori si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua.
Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo secondo l'usanza; ma trascorsi
i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre
giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre ascoltava e li
interrogava. E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: "Figlio,
perché ci hai fatto cosi? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo". Ed egli
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rispose: "Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del
Padre mio?". Ma essi non compresero le sue parole."
... I 10 MESSAGGI...
E' un testo di grande pregnanza. Potremmo raccogliere i suoi messaggi in 10 parti, tracciando così un vero itinerario di fede. Quella fede che è
sempre più necessaria, proprio perché spesso quel Gesù che crediamo di
possedere, in realtà ci sfugge, va oltre, non è più una certezza nelle nostre
mani. E con lui, il mistero stesso dei nostri ragazzi e ragazze.
Eccone i messaggi:
1. La fedeltà di questa famiglia alla legge, per cui ogni anno si recavano a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Ogni anno. Con piena
obbedienza. E' il clima di fedeltà agli impegni che Dio ci ha affidati.
Per noi, è soprattutto la fedeltà all'eucarestia domenicale, alla preghiera quotidiana. Cioè quel clima di gioia che si respira dentro una
casa dove la legge del Signore, fedelmente osservata, crea pace e
sicurezza. Ma non basta! Essere osservanti, infatti, non ti mette al
sicuro, non ti garantisce necessariamente il tuo futuro. La prova c'è
in ogni casa. Ed ogni cuore fedele è sempre messo alle strette dalla
mano di Dio. Verificato dai fatti.
2. Anche Gesù sale al tempio a 12 anni. E' quel gesto che anche oggi
viene compiuto dagli Ebrei e che si ammira (come ho fatto anch'io!) sulla
spianata del tempio, quando si mette nelle mani del ragazzo un rotolo,
grande ed anche pesante. E' il rotolo della legge, che da ora in poi, dai
12 anni in avanti, ogni ragazzo ebreo potrà leggere all'interno della sinagoga. Equivale per noi alla nostra riconosciuta maturità, quando i nostri
figli festeggiano i loro 18 anni. E' una festa di passaggio preziosa e delicata. Per Gesù, è l'occasione di una sua importante auto rivelazione.
Necessaria, ma non meno dolorosa e anche angosciante, come vedremo.
Perché crescere è sempre staccarsi dal cordone ombelicale.
3. Smarrimento e ricerca sono le conseguenze di questa situazione.
Andando in Palestina, alcuni anni fa, in un momento drammatico,
insieme a Pax Christi come vescovo incaricato di una missione di
pace, mi trovai a Ramallah, la città dove viveva Arafat. Ci incontrammo con lui, in un dialogo serrato sulla triste realtà dei Palestinesi,
confinati nei campi profughi, da oltre 50 anni. Ma scoprii che proprio
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a Ramallah vi era una chiesetta dedicata allo smarrimento di Gesù.
Perché secondo una fondata tradizione, il tratto di strada da
Gerusalemme a Ramallah corrispondeva perfettamente a quel tratto
di strada che si compiva allora In una giornata di cammino. Proprio
quello che avvenne per Maria e Giuseppe, che qui, in quel luogo, si
accorsero che Gesù non c'era!
4. Ma dov'era? Immaginiamo subito l'angosciante ricerca di
Giuseppe e Maria. Restano forzatamente una notte a Ramallah, poi
al mattino presto si mettono in viaggio. Con un cuore angosciato e
smarrito. Hanno l'impressione di aver fallito tutto. Come tanti di noi,
nel momento in cui scopriamo un pizzico di droga nelle tasche dei
nostri ragazzi. Come quando ci danno la loro prima risposta dura.
Come quando ai colloqui ci rendiamo conto che vanno proprio male,
molto di più di quanto temevamo! Ed ecco che lo ritrovano in un
luogo inatteso, con un gesto inaspettato. Era nel tempio. Non ai piedi
dei rabbini, ma seduto. Faceva domande, cercava, interrogava. Ma
dava anche risposte sorprendenti, più grandi della sua età. Nello stupore di tutti. Spazio di meravigliosa sapienza. Un figlio che ti supera, un cammino molto più lungo e misterioso di quanto pensavi.
5. Maria e Giuseppe: "Perché....?". E' il culmine drammatico della
ricerca. La gioia di vederlo è immensa. Ma l'angoscia vissuta era così
grave che Maria e Giuseppe non possono fare a meno di rimproverare, dolcemente ma anche fermamente, il loro Gesù: "Figlio, perché ci hai
fatto così? Tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo!". E' la nostra angoscia! Le mie notti insonni, davanti ai problemi della diocesi. E' il Perché
che attraversa tante situazioni di dolore, davanti ad improvvisi ricoveri in ospedale. Anticipa il grido della croce: perché mi hai abbandonato!
6. "Non sapevate che io DEVO.....". Non è durezza di risposta. Ma è
quella intima convinzione che quel ragazzo, quel giovane,
quell'UOMO ha già dentro. Sente di avere un progetto più grande di
quello che tutti, anche i suoi genitori, pensano di lui. E' una risposta
che manifesta l'intima consapevolezza di appartenere a Dio, come
suo Padre. Di essere pienamente disponibile al suo piano, a compiere la sua volontà. Anche quando questo comporta una spaccatura
con le attese dei suoi. Ha una missione più grande. Ha una lotta con
satana da compiere fino in fondo.
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7. I suoi genitori però non comprendono....! Sono parole troppo
inattese. Tante volte hanno intuito che quel ragazzo che cresceva era
tanto diverso dagli altri ragazzi di Nazaret. Che si fermava con gli
occhi sgranati davanti agli eventi della storia. Che non era cioè del
tutto loro. Ma di un Dio che glielo aveva dolcemente affidato. Ma ora
finalmente lo scoprono. Tutto d'un colpo. Quasi amaramente. Non
per il senso in sé, ma per la inattesa forma. Si sentono inadeguati,
sorpassati. Incapaci di contenere un mistero così grande. Non ci sia
meraviglia, perciò, se anche noi facciamo fatica a comprendere i
nostri figli, così diversi. Questi adolescenti così misteriosi nei loro
sogni, talvolta così distaccati e lontani nei loro sguardi. E stupefacenti nelle loro risposte!
8. Gesù scende a Nazaret e sta loro sottomesso... Se Gerusalemme è il
luogo della sua manifestazione teofanica (cioè divina), a Nazaret si
compie invece l'umile abbassamento al quotidiano di una semplice
famiglia. E' l'anticipo anch'esso della croce, di quel momento che, come
dice san Paolo nella lettera ai Filippesi (6,11), quel Gesù di natura divina,
non considera un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma assume la condizione di servo, simile agli uomini, umiliato nell'obbedienza alla croce, certo
però che gli verrà dato un nome che è al di sopra di ogni altro nome, proprio
perché si e abbassato, perché ha obbedito, perché ha sperimentato a
Nazaret la fragilità ma anche la forza formativa del quotidiano.
9. Maria custodisce nel cuore queste cose: E' bello entrare nel cuore
di questa mamma. Angosciata anch'essa, pur se Immacolata.
Anch'essa fatica a capire. Custodisce e medita nel suo cuore. Cioè
raccoglie ogni pezzetto dei grandi eventi che vive, insieme a
Giuseppe. E con lui, di giorno in giorno, spesso silenti, insieme,
incollano quei pezzetti in un vaso ricomposto, di accresciuta bellezza, con infinita pazienza ma anche con mirabile sapienza. E' come
noi, è come ogni mamma, che guarda stupito quel bimbo che allatta
al suo seno, che vede crescere, che sente misterioso. Come mia
mamma Albina, quando nel mo momento di forte diversità e lotta,
nel mitico '68, manifestavo dentro una presuntuosa sicurezza. Lei mi
osservava, mi scrutava, con dolcezza ma anche con fermezza. Ed un
giorno, uscì in quella mirabile sentenza, che tante volte ho ripetuto,
perché descrive bene i nostri figli: "a vint'ani, mondo ‘l par tut so!" Che
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dal dialetto trentino, va così compreso: A vent'anni, il mondo ci sembra
tutto nelle nostre mani, tutto a me dato, tutto presuntuosamente mio!". E
quanto bene mi fece quella lettura del mio cuore
10. Gesù cresceva... Non ci poteva essere altra conclusione piü rassicurante. Tutto finalizzato a questa crescita vitale, a questo grande
obiettivo umano, psicologico, fisico, culturale, spirituale: in sapienza,
età e grazia! Come per i nostri ragazzi!
RIFLESSIONE DIALOGATA
* Come educhiamo i nostri figli? Ad essere "nostri", esclusivi, stretti a noi,
rinchiusi dentro le gonne della mamma...oppure li abituiamo ad orizzonti
più vasti, ad affrontare la vita come Dio vuole che lo facciano? Giuseppe,
padre di Gesù, con il suo atteggiamento dimostra comunque di essere dalla parte della relazione, perché convinto fortemente che suo
figlio merita il rapporto migliore possibile. Amare davvero per un
buon padre non controllare o "farsi i fatti suoi", ma andare alla ricerca di quella giusta distanza relazionale, che consente la crescita
della vita che "è" già in ciascuno di noi. Mai come in questo brano di
Vangelo, d'altro canto, Gesù manifesta la sua umanità e la sua conformità nel comportamento agli adolescenti di ogni epoca. E' un
Gesù che precorre i tempi per vivere la sua passione interiore: occuparsi delle cose del Padre suo.
* Dialoghiamo con i nostri figli? Perdiamo tempo con loro e per loro?
Sappiamo sostare con loro, condividere quello che fanno, senza spaventarci di risposte fredde o nuove...Un giorno mi raccontava un
papà che seguiva tanto suo figlio alle partite di pallavolo, ogni domenica con grande sacrificio personale, al collega di lavoro che lo interrogava stupito perché tanto gli piacesse la pallavolo, rispose: Non
sono appassionato di pallavolo.... ma di mio figlio!
* Sei informato degli ambienti che frequentano...dei programmi che vedono, dei loro
dialoghi su facebook? E come è successo a Giuseppe e Maria che lo credevano al sicuro nella carovana, anche ai genitori di oggi capita di credere i propri figli al sicuro nelle loro case, dove non manca nulla a livello materiale
ma, in molti casi, restano privi di beni spirituali, valori morali, dialogo,
interesse per i loro problemi. Spesso noi genitori siamo di fatto all'oscuro
di ciò che fanno i nostri figli e non ci accorgiamo di quello che succede loro.
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*Quanti ragazzi si comportano come si è comportato Gesù.
Anticipano i tempi per soddisfare ciò che sta loro a cuore, dedicandosi, a volte anche in modo esagerato, al gioco, allo sport, al computer, a nuove emozioni che possono venire dall'uso di alcool, droga,
sesso e via dicendo. E' la sicurezza che i nostri figli sono diversi dagli
altri, o è la scarsa attenzione nei loro confronti, occupati come siamo nelle
nostre faccende? E se non c'è dialogo con loro in famiglia, a chi manifestano le loro inquietudini e i loro desideri? Molti adolescenti parlano e scambiano le loro idee solo con i coetanei, che sono altrettanto
privi di esperienza e di buon senso.
ESPERIENZA DI VITA
Questo brano di Luca ci porta inevitabilmente al vivere quotidiano
di noi adulti.
Troppo impegnati, viviamo accompagnati costantemente dalla fretta.
Pretendiamo di fare troppe cose in un sol giomo, perdendo di vista la
calma, la serenità, la semplicità della vita e, purtroppo, anche i nostri figli.
Anche noi genitori siamo stati giovani e a modo nostro abbiamo precorso
i tempi, ma è un dato di fatto che continuiamo a farlo anche da grandi.
Se da una parte siamo stressati perché corriamo tutto il giorno e
tutti i giorni, dall'altra corriamo troppo anche con la nostra mente e
con i nostri desideri, alimentando ansia e scontentezze.
Quante volte ci capita di desiderare, con molto anticipo, che i nostri
figli finiscano presto gli studi, che siano sistemati con il lavoro, che si
facciano una famiglia?
Tutto ció comporta il non vivere appieno ogni attimo della vita quotidiana, di non vivere bene l'Oggi, creando così una situazione in cui
tante cose ci sfuggono di mano. Cosi facendo, perdiamo di vista le cose
veramente importanti; anche i nostri figli. Inoltre, ci priviamo delle
piccole emozioni che danno gusto alla vita.
E poiché per formare un sentimento occorrono molte emozioni equilibrate fra loro, rischiamo di vivere una vita priva di sentimenti e di valori.
Questa pagina di Vangelo, se da una parte invita noi genitori all'attenzione verso i nostri figli, ai loro desideri e ai loro problemi, dall'altra ci invita a vivere la vita con maggiore serenità cercando di recuperare il valore delle relazioni interpersonali.
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"L'uomo di oggi non ha tempo e non ce l'avrà per tutta la vita":
abbiamo letto da qualche parte E' vero! Non c'è più tempo ne per Dio,
né per gli altri, né per se stessi. Allora chiediamoci quanto peso ha il
nostro comportamento sugli atteggiamenti sbagliati dei ragazzi e perché tanti di loro non nutrono la stessa passione che nutriva Gesù.
Per quello che riguarda la nostra famiglia frequentando da molti anni
la Chiesa, abbiamo trasmesso valori morali e spirituali ai nostri tre figli,
tanto che all'età di 14 anni due di loro sono entrati in comunità religiose.
PREGHIERA
S
ignore, dona ai giovani
intelligenza e sapienza
per discernere il bene dal male,
volontà e forza per scegliere le tue vie.
D
ona a noi genitori
un cuore e una mente
attenti alle necessità dei nostri figli
per saperli ascoltare
e aiutare nelle difficoltà
e nelle scelte della vita.
D
ona a tutti
una vita semplice e gioiosa,
vissuta con Te e con la Tua Parola,
fonte sicura di pace e di benedizione.
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Grafica e Impaginazione
Laura PALLADINO
Febbraio 2012
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Con San Giuseppe un Cammino di Pasqua