Flash
Cinecircoli Giovanili Socioculturali
24 febbraio
5 maggio
UN GIORNO DELLA VITA
Regia
Giuseppe Papasso
Cast
Maria Grazia Cucinotta, Alessandro
Haber, Ernesto Mahieux, Mia Benedetta,
Domenico Fortunato, Francesca D'Amico,
Daniele Russo, Matteo Basso,
Pascal Zullino, Amedeo Angelone
Durata 87 minuti
Basilicata 1964. A dodici anni Salvatore finisce in riformatorio a causa
della sua divorante passione per il cinema. Una passione che lo spinge a
raggiungere ogni giorno in bicicletta, insieme agli amici Alessio e
Caterina, il paese vicino al suo per poter assistere ai film di una saletta di
terza visione. Salvatore deve poi affrontare quotidianamente l’ostilità di
suo padre, un contadino comunista che vede come fumo negli occhi la
passione del figlio. Un giorno, l’annuncio della vendita di un vecchio
proiettore 16mm fa nascere in Salvatore l’idea di creare un piccolo cinema.
Il progetto però ha una falla: la mancanza assoluta di denaro. Salvatore
acquista il proiettore sottraendo alle casse della locale sezione del Partito
Comunista i soldi raccolti tra i militanti per inviare una delegazione ai
funerali di Togliatti. Ma le faccende degli adulti e le beghe politiche del
paese, andranno ad intrecciarsi con il loro ingenuo sogno…
Buona l'idea di imbastire un conflitto genitore-figlio che metaforizza le
contraddizioni dell'Italia del boom, in piena trasformazione economicosociale e insieme ancora povera e arcaica. Pur non possedendo la
visionarietà e l'occhio di cinema di Tornatore, che si direbbe il suo
modello ispiratore, l'esordiente Giuseppe Papasso dimostra mano felice
con i piccoli non attori protagonisti e nella scelta dei professionisti, dalla
mamma Cucinotta al padre Pascal Zullino al giornalista Haber."
(Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa')
Giuseppe Papasso dopo una cinquantina di documentari realizza un'opera
di finzione, che vuole essere un omaggio alla sua passione per il cinema e
ai paesaggi ampi e assolati dell'Italia del Sud. La storia scorre via con
leggerezza, soprattutto nelle molte parti in cui si fa citazionista e riesce a
mostrare l'entusiasmo dei primi spettatori di fronte ad alcune delle più
celebri pellicole della storia del cinema. Tutto rimane in superficie, tranne
quando cerca di raccontare il sogno. Quello a occhi aperti di tutti noi
dentro una sala buia, illuminata solo da fantasmi lattescenti. Lì la passione
di Salvatore riesce a contagiare e a convincere per un attimo anche un
vecchio padre materialista di aver sbagliato, per non aver capito che le
rivoluzioni non si possono fare senza il desiderio delle donne e i sogni di
un bambino." (Alessia Mazzenga, 'Terra')
"Ma che bella sorpresa. Il debuttante Giuseppe Papasso racconta una
favola delicata e gentile, nel solco di 'Nuovo Cinema Paradiso'. Bravi gli
attori, garbata e a tratti toccante la storia, perdonabile qualche
incongruenza." (Massimo Bertarelli, 'Il Giornale')
"Esordio nella finzione per il documentarista e saggista Giuseppe Papasso,
'Un giorno della vita' è una bella storia di padre contro figlio, militanze
contrapposte, potere del cinema. C'è leggerezza, voglia di capirsi e dignità.
Facce verissime anni '60. Le più forti sono tutte di attori non
professionisti." (Francesco Alò, 'Il Messaggero')
ILLEGAL
Regia
Oliver Masset-Depasse
Cast
Anne Coesens, Esse Lawson, Gabriela
Perez, Alexandre Golntcharov, Frédéric
Frenay, Olivier Schneider, Christelle
Cornil, Olga Zhdanova,
Tomasz Bialkowski
Durata 95 minuti
Ivan 14 anni e Tania, sua madre, vivono in Belgio da 8 anni da immigrati
clandestini provenienti dalla Russia. In continuo stato di allerta, Tania vive
nel terrore che la polizia le controlli l’identità, fino al giorno in cui viene
arrestata. Madre e figlio vengono separati e la donna viene trasferita in un
centro di detenzione. Farà tutto ciò che è in suo potere per riunirsi al figlio,
malgrado la costante minaccia della deportazione che pende sopra la sua
testa.
Il mondo sarebbe diverso senza il cinema belga. In quel paese lacerato
sopravvive una cinematografia civile di una forza inaudita, indignata e
disturbante. Un movimento ininterrotto di anime e cervelli che davanti alla
macchina da presa ha la capacità di mostrarci il mondo attuale nella sua
benpensante ferocia. Un cinema ideologico, spesso, e rigido, ma anche
appassionato e coraggioso.
Olivier Masset-Depasse è di sicuro allievo meritevole di questa scuola, il
suo impegno politico invade Illegal, tanto da far recitare persino suo figlio
nella parte del piccolo Ivan. Anne Coesens, già protagonista de Il segreto,
offre il viso alla sofferenza di chi una patria deve conquistarsela e il talento
a un inferno senza via di scampo. Film pensante ma anche pesante, Illegal
ci impone un dolore costante, insopportabile, sistematico. Sarà pure
schematico, nel suo essere opera di denuncia, ma è efficace. E quando si
ricorda di essere anche cinema, come nella scena della mensa della
prigione, comicamente tragica, regala anche dei piccoli gioielli. Il resto sta
tutta nella regia diligente e di servizio di Masset-Depasse e nella maiuscola
prova della Coesens. (Boris Sollazzo, 'Liberazione')
Girato come un reportage, costruito come un melodramma, Illégal
discende dal cinema dei fratelli Dardenne, belgi anche loro; con meno
rigore forse, ma con un'energia, una crudezza, uno strazio, che vanno oltre
il film-denuncia (malgrado tutto, oggi tocca sempre più spesso al cinema
rendere visibile l'invisibile, dar forma all'informe). Tolto il breve prologo
siamo sempre nel centro di detenzione e l'intero film passa attraverso
Tania, i suoi occhi, il suo corpo. Con lei scopriamo la vita quotidiana del
centro, le storie delle altre detenute, i metodi inaccettabili della Legge (il
Belgio è stato già condannato quattro volte dalla Corte europea per i diritti
dell'uomo). Con lei saliamo sull'aereo che per un vizio di forma dovrebbe
riportarla in Polonia... Per incredibile che sembri, «tutto ciò che si vede nel
film è accaduto almeno una volta», assicura il regista.
Se ne esce sgomenti e parzialmente speranzosi. Il Belgio è piccolo,
l'Europa è grande. Ci piace immaginare che quell'improvviso gesto di
solidarietà, da non anticipare, potrebbe accadere anche in Italia. Ma non ne
siamo così certi. (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero')
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SELEZIONE ALLA QUINZAINE, CANNES 2010
NOMINATION PER IL PREMIO LUX DEL PARLAMENTO EUROPEO
BENVENUTI AL SUD
Regia:
Luca Miniero
Cast
Claudio Bisio, Angela Finocchiaro,
Alessandro Siani, Valentina Lodovini,
Naike Rivelli, Nando Paone, Giacomo
Rizzo, Teco Celio, Fulvio Falzarano,
Nunzia Schiano, Alessandro Vighi
Durata 102 minuti
Alberto (Claudio Bisio), responsabile dell'ufficio postale di una cittadina
della Brianza, sotto pressione della moglie Silvia (Angela Finocchiaro), è
disposto a tutto pur di ottenere il trasferimento a Milano. Anche fingersi
invalido per salire in graduatoria. Ma il trucchetto non funziona e per
punizione viene trasferito in un paesino della Campania, il che per un
abitante del nord equivale a un vero e proprio incubo. Rivestito di
pregiudizi, Alberto parte da solo alla volta di quella che ritiene la terra
della camorra, dei rifiuti per le strade e dei "terroni" scansafatiche. Con sua
immensa sorpresa, Alberto scoprirà invece un luogo affascinante, dei
colleghi affettuosi, una popolazione ospitale e un nuovo e grande amico, il
postino Mattia (Alessandro Siani), al quale darà una mano per riconquistare
il cuore della bella Maria (Valentina Lodovini). Il problema ora però è un
altro: come dirlo a Silvia? Già, perché da quando è partito, non solo il loro
rapporto sembra rifiorito, ma agli occhi dei vecchi amici del nord Alberto
è divenuto un vero e proprio eroe... Remake della geniale commedia
francese "Bienvenue chez le Ch’tis".
"Cercate su Google le immagini di Castellabate, il paesino del Cilento
dove è ambientato 'Benvenuti al Sud', e capirete perché il remake del film
francese 'Giù al Nord' era, checché ne dicano a Medusa e alla Cattleya,
un'idea bizzarra. In Francia il Sud (la Costa Azzurra) è bello e ricco e il
Nord (il Pas de Calais) è grigio e povero, e per trovare l'umanità degli
'Ch'tis' - gli abitanti del Nord - occorreva tutto l'impegno del protagonista.
In Italia, anche il più fesso dei leghisti sa (forse...) che il Cilento è più
bello della Brianza, e quindi il terrore del nordista Claudio Bisio, di fronte
al trasferimento fra i «terùn», suona credibile fino a un certo punto. Ma
queste sono considerazioni a priori. Bisio e la Finocchiaro sono strepitosi
come sempre, il regista Luca Miniero (autore con Paolo Genovese del
geniale 'Incantesimo napoletano', nel 2001) è un esperto in stereotipi. Lo
sceneggiatore, Massimo Gaudioso, era nella squadra che portò al cinema
'Gomorra'. Tutte garanzie." (Alberto Crespi, 'L'Unità')
"Piacerà a coloro che da tempo reclamano per Claudio Bisio il grosso
ruolo, la parte che deve tenere in piedi un intero film (il comico di Novi
Ligure finora aveva dato il meglio nelle opere a sketch). Esame superato.
Bisio è davvero in grado di correre da solo. Anche se è sempre un piacere
vederlo (per la terza volta) in azione in tandem con Angela Finocchiaro.
Anche se il regista ha creduto bene di mettergli accanto una 'tinca' di
classe. Alessando Siani ribadisce con verve inaspettata il luogo comune
che un lombardo e un napoletano portati a contatto non possono non fare
le scintille. 'Benvenuti al Sud' garberà anche a chi, pur gradendo 'Giù al
nord', non era in grado di apprezzarne le gag linguistiche (come poteva
non smarrirsi nella traduzione italiana?). Luca Miniero non perde invece
l'occasione di rivelare (con tutti i buffi inconvenienti) che a un secolo e
mezzo dall'unificazione la lingua italiana non è ancora unificata (il dialogo
vero arriverà solo verso la fine dei due anni di 'penitenza' di Bisio).
(Giorgio Carbone, 'Libero')
"Ecco un caso in cui il remake è meglio dell'originale. 'Benvenuti al Sud'
di Luca Miniero è il rifacimento del francese 'Giù al Nord', ed è più
gradevole del suo predecessore. (...) Una favoletta lieve e consolatoria in
un momento in cui le tensioni Nord-Sud stanno diventando intollerabili."
(Paola Casella, 'Il Sole 24 ore')
WE WANT SEX
Regia
Nigel Cole
Cast
Sally Hawkins, Bob Hoskins, Miranda
Richardson, Geraldine James, Rosamund
Pike, Andrea Riseborough, Daniel Mays
Durata 113 minuti
Dagenham, 1968. La fabbrica della Ford è il cuore industriale dell’Essex e
dà lavoro a 55mila operai. Mentre gli uomini lavorano alle automobili nel
nuovo dipartimento, 187 donne cuciono i sedili in pelle nell’ala della
fabbrica costruita nel 1920, che cade a pezzi corrosa dalla pioggia.
Lavorando in condizioni insostenibili, le operaie finiscono per perdere la
pazienza quando vengono classificate come “operaie non qualificate”. Con
ironia, buon senso e coraggio riescono a farsi ascoltare dai sindacati, dalla
comunità locale e dal governo. Rita O’Grady, loquace e battagliera leader
del gruppo, diventerà un vero e proprio ostacolo, duro e insuperabile, per il
management maschile e troverà sostegno nella deputata Barbara Castle che
le consentirà di sfidare anche il Parlamento. Insieme alle colleghe Sandra,
Eileen, Brenda, Monica e Connie, Rita guiderà lo sciopero delle 187
operaie addette alle macchine per cucire, ponendo le basi per la legge sulla
parità di diritti e di salario tra uomo e donna.
"'We want sex equality', dice lo slogan delle operaie Ford di Dagenham nel
'68, pretendendo trattamento economico pari al maschio. La commedia
proletaria di Cole, abile narratore di donne bizzarre, prevede scioperi e
trambusti in famiglia, passando dal film sociale alla Loach all'antropologia
della coppia, senza mai scegliere il vero obiettivo, ma aiutandosi col
carisma in tuta di un gruppo di attrici paleofemministe comandate da Sally
Hawkins. E nei titoli di coda col magone, le vere operaie viste oggi."
(Maurizio Porro, 'Corriere della Sera')
"'We want sex' è una deliziosa commedia realizzata sul modello di quel
cinema inglese capace di coniugare con leggerezza umorismo e impegno
sociale: pensiamo a Ken Loach e, soprattutto, a Mike Leigh. Ben
ambientato, recitato con la naturalezza della vita da un bel cast in cui
svettano Sally Hawkins e Bob Hoskins, 'We want sex' è insieme nostalgico
e attuale. Lungi dall'essere superati, i problemi di ieri riemergono in forma
peggiorativa nel mondo globalizzato di oggi, ma (ci ricorda il film) ad
avere il coraggio di combattere, rischia che magari si strappa una vittoria."
(Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa')
"Sembrava lotta di classe, invece era guerra dei sessi. Proprio così, solo
che quella volta non si combatteva in casa ma in fabbrica (che poi era 'la
fabbrica': la Ford). E a battersi per ottenere pari diritti e compenso era un
pugno di operaie giovani, agguerrite, incredibilmente unite. Ma soprattutto
abbastanza inesperte da infischiarsene della politica e di strategie sindacali.
Dunque destinate, oggi sembra incredibile, alla vittoria. Naturalmente ogni
licenza è permessa: 'We want sex', il cui titolo nasce da uno striscione
srotolato a metà, non è un documentario. L'essenziale è non dimenticare
mai lo sguardo maschile, nelle sue varie declinazioni, su quella lotta e sul
mondo che svela. E' un film che affida il lato migliore di quello sguardo a
Bob Hoskins, il delegato sindacale incantato dal coraggio e dalla faccia
tosta delle sue colleghe, è un film che si fa amare da tutti. Senza distinzioni
di sesso e di età." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero')
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FUORI CONCORSO ALLA V EDIZIONE DEL
FESTIVAL INTERNAZIONALE DEL FILM DI ROMA (2010)
PRECIOUS
Regia
Lee Daniels
Cast
Gabourey "Gabby" Sidibe, Mo'Nique,
Paula Patton, Mariah Carey, Sherri
Shepherd, Lenny Kravitz, Stephanie
Andujar, Chyna Layne, Amina
Robinson, Xosha Roquemore,
Angelic Zambrana, Nealla Gordon
Durata:
110 minuti
Harlem. Precious é una ragazza di appena diciassette anni ma é già alla sua
seconda maternità (entrambe dovute alle violenze subite dal padre). La sua
situazione é terribile, é analfabeta, é obesa, la madre non la difende, anzi,
l'accusa del comportamento del padre. L'unica via d'uscita per lei, é quella
di accettare l'offerta di frequentare una scuola speciale, che le permetta di
elevarsi dal mondo di ignoranza in cui si trova suo malgrado. Nonostante
l'opposizione della madre, Precious, decide di iscriversi alla scuola e di
tenere il bambino, e, contro tutte le difficoltà, inizierà la strada che potrà
portarla al suo riscatto sociale...
"Il merito del regista Lee Daniels è quello di aver maneggiato con la
leggerezza della risata e un tocco di surrealismo, il lato oscuro
dell'America incanalato qui in una commedia grottesca, che funziona
meglio di un documentario. Anche se diversi siamo soprattutto preziosi.
Uno slogan che, in tempi di crisi sociale, politica ed economica,
converrebbe tenere a mente." (Giacomo Visco Comandini, 'Il Riformista')
"Di grande potenza, di stazza estetica e etica insostenibile, il
nordamericano 'Preciuos' di Lee Daniels, eroina tragica una gigantesca
Mo'nique, diciassettenne nera, sballottata dalla scuola pubblica alla scuola
sperimentale ovvero differenziata, quando si scopre che è di nuovo
incinta... Il merito del lavoro è colpire tutti i punti nevralgici di una civiltà
putrescente e, come succede ascoltando le canzoni di Mirabella Dauer, si
comprende come quella produzione di mostri a mezzo mostri non abbia a
che fare solo con la comunità povera african american, o ispanica, ma con
il meccanismo di potere perverso di ogni macchinario famiglia." (Roberto
Silvestri, 'Il Manifesto')
Il film, ai festival dove è stato presentato, ha avuto vari premi e persino
degli Oscar nonostante accoglienze in pubblico piuttosto contraddittorie,
non ultime quelle di certi ambienti afroamericani che, per tutte quelle
aberrazioni scopertamente esibite, l'hanno accusato addirittura di razzismo.
Nei panni di 'Precious' c'è una quasi esordiente, Gabourey Sidibe, che
nonostante la mole (sembra pesi 160 chili) ha una sua gestualità
disinvolta." (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo')
"Come in un lacrimoso romanzo popolare dell'Ottocento, 'Precious' (il
titolo è il nome della protagonista) allinea sventure e tragedie. Molto
premiato e candidato a premi, 'Precious' ha la gran qualità di testimoniare
un amore straordinario per la vita, di indicare un percorso possibile dal
buio delle avversità esistenziali alla luce dell'autonomia; dell'autocoscienza
del superamento dell'infelicità." (Lietta Tornabuoni, 'La Stampa')
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GOLDEN GLOBE 2010 A MO'NIQUE COME MIGLIOR ATTRICE
NON PROTAGONISTA DI FILM DRAMMATICO
OSCAR 2010 ATTRICE NON PROTAGONISTA (MO'NIQUE)
E SCENEGGIATURA NON ORIGINALE.
FIGLI DELLE STELLE
Regia
Lucio Pellegrini
Cast
Pierfrancesco Favino, Fabio Volo,
Giuseppe Battiston, Claudia Pandolfi,
Paolo Sassanelli, Giorgio Tirabassi,
Lydia Biondi, Fausto Maria Sciarappa
Durata 102 minuti
Un giovane portuale del nord-est d'Italia, un professore trentenne
disoccupato che sbarca il lunario facendo il pizzaiolo, un rivoluzionario
radical-chic, un'aspirante giornalista tv ed un uomo appena uscito di
galera, delusi dalla loro vita ed in preda alla passione antipolitica,
decidono di rapire un politico, di chiedere un riscatto e, con i soldi ottenuti,
risarcire la moglie della vittima di un incidente sul lavoro. Sono un gruppo
improvvisato e totalmente incompetente, che fallisce del tutto la missione:
anzichè rapire il ministro, prendono un oscuro sottosegretario. Braccati da
tutti, incapaci di gestire la quotidianità e di concepire una vita da
clandestini, consapevoli di aver rapito una brava persona ma allo stesso
tempo elettrizzati dall'adrenalina, il nostro gruppetto di improvvisati si
troverà alle prese con una missione difficile che finirà per rivelarsi del
tutto impossibile. ‘Figli delle stelle’ racconta l'assurda convivenza tra un
gruppo di rapitori improbabili e un politico stupito e incredulo, e lo fa
stando vicino ai suoi protagonisti con uno sguardo dolceamaro, comico e
sentimentale e una mescolanza di toni che si ispira alla grande lezione
della Commedia Umana, ottenendo così una commistione tra la miglior
commedia italiana del genere "I soliti ignoti" e la comicità surreale dei
fratelli Coen.
'Figli delle Stelle' è un'opera vitale e imperfetta che fotografa un presente
dai contorni poco piacevoli senza il timore di sbagliare tono o di cadere nel
banale. Da molto, troppo tempo, non si vedeva sui nostri schermi una
commedia attenta alla concretezza e al dettaglio della realtà
contemporanea, una commedia, ancora, che contiene l'idea di stare insieme
e di capire che in questo c'è qualcosa di positivo, c'è un progetto e la
consapevolezza che il fare serve. 'Figli delle stelle', che segna il ritorno di
Lucio Pellegrini al cinema dopo liceali 'seriali' e famiglie disfunzionali, è
un'avventura esistenziale dinamica e inconsueta, in cui una banda
improbabile di persone che hanno perso il treno e che non hanno compreso
bene cosa sia successo decide di fare qualcosa al di sopra e oltre le loro
possibilità, qualcosa di inatteso che ha il carattere del destino. Il rapimento
dell'onorevole Stella di Tirabassi non diventerà tuttavia strumento di
riscatto per gli (anti)eroicomici di Pellegrini, che ancora una volta offre ai
suoi personaggi lo sguardo benevolo di chi soffre insieme." ('Lab Il
Socialista')
"Sono loro i 'Figli delle stelle', 35enni di dubbio futuro e precario presente:
lotteranno, ma senza causa, finendo travolti dal solito destino dei poveri
cristi. Viceversa, Pellegrini prova a non cadere, ma funziona meglio al
largo della sua tesi: l'ipocrisia dei montanari che prima fiancheggiano i
sequestratori e poi plaudono alla polizia è felicemente strappata alle pagine
di cronaca e il nonsense che zampilla qui e là sa nuovamente di nausea. E
delle nostre quotidiane miserie, mentre le stelle stanno a guardare."
(Federico Pontiggia, 'Il Fatto Quotidiano')
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REALIZZATO CON IL SOSTEGNO DI FILM COMMISSION
REGIONE VALLE D'AOSTA.
E' STATO RICONOSCIUTO FILM DI INTERESSE CULTURALE DAL MINISTERO
PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI
DIREZIONE GENERALE PER IL CINEMA.
LA PECORA NERA
Regia
Ascanio Celestini
Cast
Ascanio Celestini, Giorgio Tirabassi,
Maya Sansa, Luisa De Santis,
Barbara Valmorin
Durata 93 minuti
"Il manicomio è un condominio di santi. So’ santi i poveri matti asini sotto
le lenzuola cinesi, sudari di fabbricazione industriale, santa la suora che
accanto alla lucetta sul suo comodino, si illumina come un ex-voto. E il
dottore è il più santo di tutti, è il capo dei santi, è Gesucristo". Così ci
racconta Nicola i suoi 35 anni di "manicomio elettrico", e nella sua testa
scompaginata realtà e fantasia si scontrano producendo imprevedibili
illuminazioni. Nicola è nato negli anni Sessanta, "i favolosi anni Sessanta",
e il mondo che lui vede dentro l’istituto non è poi così diverso da quello
che sta correndo fuori, un mondo sempre più vorace, dove l’unica cosa che
sembra non potersi consumare è la paura.
"C'è molto Brecht nello stile volutamente non naturalistico, e c'è molto
Pasolini nell'occhio cinematografico che Celestini si inventa per questo
suo primo film (non casuale, anzi decisivo l'apporto del direttore della
fotografia Daniele Ciprì). Ma l'apparente limpidezza del film nasconde una
complessità che darà vita a polemiche e fraintendimenti. È facilissimo
leggerlo come un film sulla pazzia, sulla 180, sulla Basaglia, e trovarlo
poco realistico, poco di 'denuncia'. La verità è che Celestini usa il
manicomio per parlare d'altro. 'La pecora nera' è la storia di un'Italia non
cresciuta, rinchiusa nel mito dei 'favolosi anni Sessanta'. È un film su di
noi, anche se crediamo di non essere matti." (Alberto Crespi, 'L'Unità')
"Un film sul manicomio troppo inusuale e 'unico' nella sua forma ossessiva
e disperata, per non passare inosservato e suscitare clamori. 'La pecora
nera' è una partitura musicale 'a cappella' per attori e voce recitante. È
quasi una nenia, un jingle fertile, la parodia di un tormentone da hit parade,
che svela, con la sua stessa bruciante verità e doppiezza di una
testimonianza autobiografica, ora leggera, ora tragica, ora lucida, ora
infantile, ora dolcissima e ora insostenibile, i sogni, gli orrori, gli incubi, le
allucinazioni di Nicola. Il suo film non è di protesta, non è, se non
obliquamente, 'politico'. Ma rompe alcuni riti e abitudini di chi va al
cinema. È come entrare in casa di Ascanio e bere un bicchiere di vino con
lui, mentre affabula. Per costruire uno spazio 'etico' nel senso di creare
sodalizio, rischiando tutti, il viaggio negli abissi del malato di mente. Dio
ci salvi dai 'sani di mente' in libertà." (Roberto Silvestri, 'Il Manifesto')
"L'esordio di Ascanio Celestini con 'La pecora nera' ha prodotto un film
coraggioso, innovativo ed emozionante. Ha scarnificato il testo che aveva
scritto per il teatro, ha dato corpo e volti ai personaggi di cui raccontava
(eccellenti le scelte di Tirabassi e di Maya Sansa), e giocando
sull'ambiguità del protagonista ha saputo costruire una storia fatta di
immagini e non solo di parole. Ma soprattutto è riuscito a restituire lo
strazio e la sofferenza di chi si sente emarginato dalla società e cerca
disperatamente un equilibrio emotivo che un ricordo o un volto rischiano
di far crollare all'improvviso." (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera')
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IN CONCORSO ALLA 67A MOSTRA INTERNAZIONALE DEL CINEMA DI VENEZIA (2010)
UOMINI DI DIO
Regia
Xavier Beauvois
Cast
Jean-Marie FRIN, Jacques Herlin,
Philippe Laudenbach, Michael
Lonsdale, Olivier Rabourdin,
Roschdy Zem, Sabrina Ouazani,
Goran Kostic, Lambert Wilson,
Xavier Maly, Loïc Pichon
Durata 120 minuti
Un monastero in cima alle montagne del Maghreb in un periodo non
precisato degli anni ‘90... Otto monaci cistercensi francesi vivono in
armonia con la popolazione musulmana. Vicini agli abitanti del villaggio,
partecipano alle loro attività lavorative e alle loro feste e si occupano delle
loro quotidiane necessità mediche. Quando un gruppo di lavoratori
stranieri viene massacrato, il panico si impadronisce della regione.
L’esercito cerca di convincere i monaci ad accettare una protezione
armata, ma i confratelli la rifiutano. Poco dopo ricevono la visita di un
gruppo di fondamentalisti islamici che rivendicano la responsabilità del
massacro. Christian, il Priore, affronta con fermezza Ali Fayattia, il leader
degli uomini armati, convincendolo ad andarsene. Ma il dubbio si è
insinuato tra i monaci: alcuni vogliono andar via, altri insistono sul loro
dovere di restare. Christian propone un periodo di riflessione prima di
prendere una decisione collettiva. I monaci provano ad andare avanti come
se niente fosse cambiato, ma l’atmosfera si fa sempre più tesa. Quando
accettano di curare alcuni terroristi, le autorità protestano e cominciano a
premere perché tornino in Francia. Christian organizza una nuova
votazione. Ma stavolta i confratelli sono tutti d’accordo. Rimarranno, a
qualsiasi costo...
"Beauvois si sposta dalla sua Francia, ma per raccontare la storia vera di
una comunità di monaci trappisti, installati da decenni nei monti
dell'Atlante algerino, dove vivono in perfetta armonia con la comunità
araba che abita nelle vicinanze. Un'esperienza finita tragicamente nel
1996, per un'azione degli estremisti della Cia. Ma anche se le
responsabilità di quel massacro non sono mai state chiarite, Beauvois non
usa il cinema per ricostruire o denunciare. Piuttosto sceglie di restituire il
messaggio di pace e di convivenza che quei monaci avevano messo in atto
nella realtà e tocca i momenti più convincenti non nei discorsi un po'
troppo programmatici tra cristiani e musulmani, ma nelle scene di vita
quotidiana, nel senso di amore per la natura che i trappisti coltivano, nel
rispetto tra uomini e cose che si legge nei gesti di tutti i giorni." (Paolo
Mereghetti, 'Corriere della Sera')
"Vivere senza Hollywood? Si può. L'ovazione che a Cannes ha accolto il
film, conferma la vitalità di un altro cinema, poco importa se proveniente
dalla vecchia Europa, dal Messico o dall'Estremo Oriente: è il cinema
indipendente fatto di idee originali, emozioni forti, attori così credibili e
intensi da far scoppiare in singhiozzi anche gli spettatori più smaliziati"
(Gloria Satta, 'Il Messaggero')
"Il riserbo è, fin dall'inizio, la cifra vera del film, specie quando le sue
pagine più commoventi si stringono attorno alla vita dei monaci, le
funzioni religiose, i loro canti e, soprattutto, quei colloqui con il Priore per
discutere di quello che si deciderà di fare. Dialoghi di una spiritualità
fortissima, un susseguirsi di facce in primo piano ciascuna, anche in attori
noti come Lambert Wilson e Michael Lonsdale, con un tono simile e una
espressione egualmente intensa, mentre attorno le accoglie una cornice
vivida e serena, via via sempre più purificata da immagini terse e
limpidissime. Una vittoria del cinema nel momento in cui si esprime una
grande vittoria dello spirito." (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo')
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CONSULENTE RELIGIOSO: HENRY QUINSON.
GRAND PRIX E PREMIO DELLA GIURIA ECUMENICA AL
63° FESTIVAL DI CANNES (2010).
TAMARA DREWE
Regia
Stephen Frears
Cast
Gemma Arterton, Roger Allam, Bill
Camp, Tamsin Greig, Dominic Cooper,
Luke Evans, Roger Allam, Tamsin
Greig, Jessica Barden, Charlotte Christie
Durata 109 minuti
Questa dark comedy tratta dall'omonimo fortunato romanzo a fumetti di
Posy Simmonds - a sua volta tratto dal romanzo di Thomas Hardy ‘Via
dalla pazza folla’ - racconta la storia di una giovane giornalista combattuta
fra due amori. Quando deve vendere la casa di famiglia dopo la morte di
sua madre, Tamara Drewe torna nel paesino del Dorset in cui è cresciuta,
creando scompiglio nella piccola comunità. L'adolescente sgraziata di un
tempo è diventata una conturbante femme fatale, che ovunque vada lascia
dietro di sé una scia di invidie, passioni e pettegolezzi. Tamara è la
quintessenza della ragazza moderna, ma la sua è una storia d'amore senza
età.
"Per fortuna che c'è Tamara. Scrittori adulteri, adolescenti cospiratori,
rockstar imbecilli, campagna inglese bellissima e neutrale, mucche pezzate
impazzite, 'Tamara Drewe' è una tragicommedia che Stephen Frears lascia
dilagare a volte nella farsa a volte nell'operetta, applaudito a Cannes alla
proiezione per la stampa internazionale. I personaggi di Frears vengono
dal graphic novel di Posey Simmonds e dal romanzo di Thomas Hardy
'Via dalla pazza folla', ed entrano nella galleria della quotidiana
promiscuità, della senilità sottaniera, del sacrificio muliebre, dell'idolatria
dei famosi, della vanità dei mediocri. Non prende parte e si può vedere e
raccontare da diversi punti di vista." (Silvio Danese, 'Nazione-CarlinoGiorno')
"Divertente e cinico, campagnolo e raffinato, nero e frustrato dentro ma
caldo e assolato nel paesaggio, antico e moderno, tutto un ossimoro, il film
di Frears si gode per il sapore piccante, la satira precisa degli ambienti, la
diversità dei toni, Oscar Wilde con le galline, il perfido patetismo che
guarda alla società letteraria. Inglese, dialogato a più voci e più insulti, il
racconto si fa scudo dei bei panorami che nascondono umane cattiverie e si
avvale di un ottimo cast perfidamente british dove si notano la sfacciata
vittima della plastica Gemma Arterton (ex Bond girl) e Charlotte Christie,
bambinaccia così odiosa, perfida, amorale che sembra uscita da vecchie
calunnie contro-firmate da Lillian Hellman e William Wyler." (Maurizio
Porro, 'Il Corriere della Sera')
"Un 'autore' da portarsi sulla proverbiale isola deserta? Noi scegliamo
Stephen Frears. Chi altro può vantare, oggi, una raffica di titoli più vari e
seducenti? Se l'eclettismo è una forma del talento almeno quanto
l'ossessione per un mondo preciso, il 67enne Frears può stare tranquillo.
Difficile essere più beffardi e crudeli di lui in materia di asservimento alle
mode (e agli ormoni), dittatura delle apparenze e del successo materiale,
culto del proprio miserabile e pompatissimo Ego. Ma Tamara Drewe non
cede nemmeno un istante al moralismo facile, manipolando i personaggi
come burattini. Al contrario: malgrado il tono al limite della caricatura,
Frears e i suoi attori prodigano tesori di finezza e di aderenza psicologica
per rendere tutta quella confusione insieme dolorosa e irresistibile. Una
commedia agra come se ne vedono poche. E una frustata di energia."
(Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero')
THE SOCIAL NETWORK
Regia
David Fincher
Cast
Jesse Eisenberg, Andrew Garfield,
Rashida Jones, Joseph Mazzello,
Brenda Song, Justin Timberlake,
Rooney Mara, Adina Porter,
Malese Jow, Max Minghella
Durata 120 minuti
In una sera d’autunno del 2003, lo studente di Harvard Mark Zuckerberg,
un genio dell’informatica, siede al suo computer e inizia con passione a
lavorare ad una nuova idea. Passando con furore tra blog e linguaggi di
programmazione, quello che prende vita nella sua stanza diventerà ben
presto una rete sociale globale che rivoluzionerà la comunicazione. In soli
sei anni e con 500 milioni di amici, Mark Zuckerberg è il più giovane
miliardario della storia... ma per lui il successo porterà anche
complicazioni sia personali che legali. The Social Network è un film che
dimostra che con 500 milioni gli amici è inevitabile non farsi dei nemici. Il
film tratto dal libro ‘The Accidental Billionaires’ di Ben Mezrich.
"«Io non voglio amici». Fa un certo effetto sentire Mark Zuckerberg,
l'inventore di Facebook, il sito che ha globalizzato l'idea delle amicizie on
line, pronunciare questa frase. Eppure nella battuta c'è tutto il personaggio,
almeno come lo racconta David Fincher. Non è un film su Facebook, ma
paradossalmente una parabola sull'incomunicabilità, raccontata attraverso
il cupo Zuckerberg, ottimamente interpretato da Jesse Eisenberg, e,
implicitamente, sul successo e sul denaro. Limitandosi solo ad accennare
l'impatto delle nuove tecnologie sulle persone e sul loro modo di
comunicare se stesse agli altri, il regista indugia sul ritratto del giovane
Mark, inquieto, ombroso e solitario, incapace di rapporti profondi e
duraturi, persino di una vera e propria vita sociale. Fincher, soprattutto,
costruisce un film che racconta bene un'epoca, con i suoi eccessi, e il modo
in cui forma la sua classe dirigente, o almeno una parte di essa, quella della
net economy, certo non meno influente di quella politica o imprenditoriale
più tradizionale, perché la sola che in un mondo globalizzato può
manipolare centinaia di milioni di persone. E l'immagine che se ne ricava è
tutt'altro che rassicurante." (Gaetano Vallini, 'L'osservatore Romano')
"Un'invenzione epocale, un successo mondiale, una battaglia legale.
Diversa da tutte le altre battaglie legali perché combattuta da soggetti
giovanissimi su un terreno in larga parte ignoto perfino ai contendenti.
'The Social Network' mette a fuoco subito almeno tre punti fondamentali
grazie allo scintillante copione di Aaron Sorkin, a tutti gli effetti coautore
del film. Uno: si può diventare miliardari a vent'anni senza mai imparare a
godersi la vita. Due: al tempo di Internet non conta chi ha avuto un'idea
per primo, conta chi la sviluppa e soprattutto la condivide prima degli altri.
Tre: non importa quanto colti, intelligenti o intraprendenti potete essere. Se
avete superato i vent'anni non salirete facilmente sul treno in corsa dell'era
digitale. Anzi è già tanto se lo vedete, quel treno. The Social Network è la
prima foto ad alta definizione di un'epoca piuttosto restia a mettersi in
posa. Onore al merito." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero')
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VINCITORE GOLDEN GOLBES 2011
MIGLIOR FILM DRAMMATICO, REGIA, SCENEGGIATURA E COLONNA SONORA
NOMINATIONS OSCAR 2011
MIGLIOR FILM, REGIA, ATTORE PROTAGONISTA, SCENEGGIATURA NON ORIGINALE,
FOTOGRAFIA, MONTAGGIO, COLONNA SONORA, MISSAGGIO SONORO
NOTE E COMMENTI
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è una iniziativa del
CENTRO CULTURALE
Flash
Cinecircoli Giovanili Socioculturali
in collaborazione con
COMUNE DI LIVORNO
CIRCOSCRIZIONE 4
CINEMA TEATRO SALESIANI
© CGS
Flash
a cura di
Marco Scariot e Gaetano D’Ottone
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Cinecircoli Giovanili Socioculturali
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