Data e Ora: 04/12/06 00.22 - Pag: 15 - Pubb: 04/12/2006 - Composite 3HU OD SXEEOLFLWj VXO BRESCIA - Via Lattanzio Gambara, 55 Tel. 030.37401 - Fax 030.3772300 CULTURA E SPETTACOLI PAGINA 15 IL FRATE DELLE LAUDI 3HU OD SXEEOLFLWj VXO BRESCIA - Via Lattanzio Gambara, 55 Tel. 030.37401 - Fax 030.3772300 LUNEDÌ 4 DICEMBRE 2006 UNA DELLE CITTÀ MEDIEVALI PIÙ SUGGESTIVE DEDICA UNA MOSTRA AL SUO GRANDE POETA Jacopone da Todi e le arti in Umbria tra Due e Trecento Pittore pisano: San Francesco e 4 miracoli, metà XIII sec. TODI - Alla figura complessa e romanzesca del frate-poeta Jacopone da Todi, al secolo Jacopo de’ Benedetti, nato a Todi da famiglia nobile nel 1230, la città dedica la grande rassegna «Iacopone da Todi e l’arte in Umbria nel suo tempo» allestita nel Palazzo del Popolo, Museo Pinacoteca, fino al 2 maggio. Jacopone, morto nel 1306, rappresenta il grande poeta e la grande stagione dell’arte umbra del Duecento. Dopo aver vagato penitente per circa dieci anni, abbracciò in età adulta il francescanesimo nella corrente più rigorosa degli Spirituali. In lotta contro Bonifacio VIII, si legò ai cardinali Benedetta Craveri e il film della Coppola MARIAANTONIETTA: REGINARIBELLE TRA STORIA E FANTASIA Paola Carmignani erché - complice il film di Sofia Coppola - il nostro tempo si P interessa tanto di Maria Antonietta? Quale aspetto di questa controversa regina va a colpire al cuore l’immaginario del nostro tempo? Ce lo spiega Benedetta Craveri, romana, professore ordinario di Letteratura francese all’Università degli studi Suor Orsola Benincasa di Napoli, che domani sarà ospite nella nostra città, per un incontro col Soroptimist Club cittadino. A quella che definisce «la regina martire», Benedetta Craveri ha dedicato due importanti ritratti: il primo conclude la lunga carrellata di donne di potere, dal Cinque al Settecento, raccontata nella «galleria di ritratti» Amanti e regine. Il potere delle donne (Adelphi 2005, pp. 432, 25 €); l’altro è in un libretto straordinariamente agile e di gradevole lettura, Maria Antonietta e lo scandalo della collana (Adelphi, 2006, pp. 92, 5,50 €), che apre uno straordinario ed emblematico spaccato del Settecento francese. - Prof. Craveri, Maria Antonietta è l’approdo del suo viaggio fra «Amanti e regine»... «Nel libro risulta chiaro che le attese che pesavano su una regina di Francia furono disattese da Maria Antonietta, non solo perché lei non ebbe l’intelligenza politica di capire quanto fosse importante corrispondere a quelle attese, ma perché la mentalità, la sensibilità, la cultura del Settecento, che sono quelle di Maria Antonietta, rendevano difficile una piena adesione al ruolo di regina. In parole più semplici: il personaggio di Maria Antonietta è interessante per una riflessione su cosa era la monarchia assoluta e il ruolo della regina, perché mostra come, discostandosi da quel ruolo e non adeguandosi alle richieste che, secolo dopo secolo, venivano fatte alla regina di Francia, Maria Antonietta perde il suo prestigio di regina». - Perché Maria Antonietta volle trasgredire il ruolo che le era richiesto? «La sua inadeguatezza non fu solo dovuta ad un dato caratteriale e ad una mancanza di giudizio politico, ma anche al fatto che lei desiderava vivere come le donne della sua epoca. Era una figlia dei suoi tempi. Aveva valori nuovi, che erano quelli della vita privata; lei non voleva vivere una vita di perenne rappresentanza, ma voleva frequentare i suoi amici, scelti in base alle affinità e non al protocollo; inoltre voleva occuparsi direttamente dei suoi figli... Tutto questo la spinse ad uno stile di vita incompatibile con quello di una regina e fu alla base della sua impopolarità». - Regge, a suo avviso, il parallelo di questa discendente degli Asburgo con Lady D.? «Credo di sì. L’immagine di regina giovane, bella, elegante, alla moda, che vive i gusti del suo tempo, è la stessa. Lady D. comunicava alle sue coetanee, e non solo, Kirsten Dunst nel film «Maria Antonietta» l’idea di un personaggio fiabesco e al tempo stesso di un modello imitabile da tutti. Maria Antonietta fu vittima della stessa contraddizione: ci teneva ad essere una Asburgo, e allo stesso tempo desiderava comportarsi come una donna uguale a tutte le altre aristocratiche della sua epoca». - Come storica, che opinione si è fatta del film «Maria Antonietta» di Sofia Coppola? «Ho trovato il film molto grazioso. Non mi sento di criticarlo, come hanno fatto alcuni di coloro che conoscono bene la storia di quel periodo. Mi è piaciuto, perché riesce a comunicare un’immagine molto forte e suggestiva di quella che poteva essere la corte di Versailles nel Settecento. I costumi sono un po’ di fantasia, ma stupendi. D’altra parte, non credo che la Coppola volesse fare un ritratto storicamente fedele: per lei Maria Antonietta è l’emblema di un’adolescente fragile e in crisi, con forti carenze affettive, prigioniera dei suoi privilegi, trapiantata in un nuovo ambiente, che reagisce come può a questa impasse esistenziale, rifugiandosi nello svago e nella frivolezza, e che si rifiuta di crescere. A modo suo è una contestatrice, che trova solidarietà nei suoi coetanei». - Qualcuno ha storto il naso di fronte alla caricaturalità di alcune figure... «Nel film ci sono elementi grotteschi, che non corrispondono alla realtà storica. I ritratti di Luigi XV e di Madame du Barry sono, appunto, caricature, e riflettono evidentemente ciò che vide Maria Antonietta. Quelle figure deformate sono l’espressione del suo sentire, lo sguardo di una ragazzina che viene da un’altra corte e che ha un impatto con una realtà diversa da quella che lei conosce; è come se la macchina da presa fosse diretta da lei. La Maria Antonietta della Coppola ha una sua grazia, una sua seduzione, e la regista fa un’operazione assolutamente legittima. Certo, non affronta alcuno dei nodi politici. Nel film non c’è la volontà di una ricostruzione storica e di una comprensione del dramma della fine della monarchia assoluta. C’è uno scenario bellissimo, all’interno del quale si svolgono le stravaganze abbastanza innocenti di un gruppo di adolescenti, e ci sono le difficoltà affettive di Maria Antonietta, dovute anche al fatto che il suo matrimonio con Luigi XVI, non per colpa sua, per molti anni non fu consumato. La sua difficoltà e mortificazione di donna è descritta nel film con molta grazia. Poi ci sono degli anacronismi, che ovviamente non dipendono da ignoranza, ma dal fatto che la regista ha voluto raccontare un’altra storia». Colonna, che chiedevano la deposizione del Papa, e con loro fu assediato a Palestrina; caduta la roccaforte dei dissidenti, venne catturato e rinchiuso in carcere da dove fu liberato solo pochi anni prima della morte. La mostra (catalogo Skira, info 800961993) è articolata in due sezioni: nella prima, curata da Enrico Menestò (Università di Perugia), è ripercorsa l’esperienza umana e spirituale di Iacopone. Si ammirano rari manoscritti con i testi delle sue laudi, documenti e altre testimonianze dell’epoca, oltre che immagini del frate poeta, tra le quali un frammento di affresco attribuito a Paolo Uccello. Nella seconda, curata da Fabio Bisogni (Università di Siena), sono esposte pitture, sculture e oreficerie dei secoli XII e XIII, che ricostruiscono lo straordinario processo evolutivo delle tipologie e dei modelli. Ad opere legate alla colta ed estatica committenza benedettina, espressione di una cultura figurativa ancora ispirata al momento aulico dello stile romanico, si affiancano croci dipinte e paliotti con «Storie di san Francesco», che testimoniano l’influenza esercitata dagli ordini mendicanti, quello francescano in primis, sulle arti. Sotto lo stimolo della spiritualità francescana, volta a una meditazione incentrata sugli aspetti più drammatici e fisicamente tangibili della Passione di Cristo, anche il linguaggio formale assume tratti realistici ed espressivi, come emerge in capolavori di scuola umbra del Due e Trecento. Evidente risulta, dunque, la centralità del territorio umbro che, soprattutto grazie al grande e vitale cantiere della Basilica di San Francesco ad Assisi, vide confluire una molteplice varietà di linguaggi artistici internazionali, dalla lingua franca d’oltralpe agli stilemi importati da maestranze inglesi e nordiche che furono impegnate nella realizzazione della Basilica superiore. A Castenedolo, nel nome di Aldo Moro, il dialogo tra il Cardinale Pio Laghi della Congregazione per l’Educazione cattolica, già delegato apostolico a Washington, Mino Martinazzoli e la senatrice Paola Binetti Mino Martinazzoli e il Cardinale Pio Laghi. A ds., Paola Binetti Tonino Zana Quale è lo stato del rapporto tra politica e religione, in che modo un testimone della politica rimane testimone della religione in modo armonico, senza un uso strumentale dell’una e dell’altra? Ancora, come è possibile spingere a una sortita, moralmente e culturalmente convincente, questo stato lungo di transizione in cui s’impaluda la comunità nazionale e pare, quasi, bastarsi? Questi alcuni temi, trattati ieri, nel tardo pomeriggio, nella sala civica dei Disciplini di Castenedolo, intorno a un titolo necessario, «Dialogando tra religioni e politica», da tre relatori d’eccezione: il cardinale Pio Laghi, Prefetto emerito della Congregazione per l’Educazione cattolica, la sen. Paola Binetti, presidente del Comitato nazionale scienza e vita, l’on. Mino Martinazzoli, di casa alla sala civica dei Disciplini, almeno quanto la statua bellissima di Adriano Graziotti, genio di potenza rinascimentale, lì sempre elegante in una nicchia, come nella sera memorabile in cui fu donata dagli eredi. Organizzatore della conferenza, ancora una volta, il circolo culturale Aldo Moro, con il coordinatore, Gian Battista Groli a tracciare, con una convincente delicatezza di spirito, la regia di una conferenza impegnativa. FAMEESETE Ancora una volta tanta gente, in un pomeriggio corto di luce e di una piovosità in apparente dirittura di neve. Gente dei paesi bresciani, della città, centinaia di persone ad ascoltare il linguaggio diretto e franco del Cardinale, già delegato apostolico a Washington e portatore di racconti immediati sugli incontri con i presidenti americani, da Bush senior a Bush junior, da Carter a Reagan; tanta gente a concentrarsi sulla prosa molto ragionata di Martinazzoli, espressa in tempi fin troppo rapidi rispetto alla necessità di realizzare le sostanze dense delle sue analisi; a manifestare condivisione con le riflessioni etiche della senatrice Binetti, di nuovo coraggiosa a reclamare il diritto e il dovere alla difesa della vita, tanto più nella condizione di maggior fragilità in cui essa viene a trovarsi. Moderatore dell’evento, la dott. Valeria Boldini, Direttore editoriale del Centro comunicazioni sociali della Diocesi di Brescia, la quale ha posto domande adatte alla DI GIUSTIZIA TRA UMANI storia di ogni relatore, ha cucito identità, sollecitato il viaggio delle storie personali. Alla fine, proprio per l’appartenenza alla stessa radice, è uscito un lungo racconto di due ore, diviso in tre capitoli, quante le suggestioni e i relatori, non diviso nella continuità e nella coerenza del messaggio. Ci si è ritrovati, al tavolo della presidenza e tra il pubblico, dopo, a commentare che la giornata è stata fruttuosa, proprio dei frutti della semina, non artificiali e non gonfiati, secondo l’espressione finale dell’analisi martinazzoliana per cui non è un accontentarsi, un rimanere indietro, a braccia incrociate, e a mani bianche, cioè neutrali e pilateschi, giovarsi e vivere di un’«operosa vigilia», di una semina intensa e non affrettata, per ricongiun- gere le parti, «non i cocci», per il rilancio della linea e della poetica morotea, che è soprattutto mirabile nell’identificazione del rischio di vivere la propria responsabilità; se è importante, rimanendo «soli» con i «molti altri soli» che condividono la medesima natura ideale e storica della vita. Quella poetica di Aldo Moro, ripassata, a novant’anni dalla sua nascita, leggendo due brani, da una lezione di filosofia del 1942 e da un contributo alla rivista Studium del 1947. Non fosse dichiarato il pensatore e l’anno, crederemmo di trovarci davanti alla migliore riflessione di questa mattina sul giornale che preferite. Da Studium: «È evidente in molti casi una, dovremmo dire, aritmia tra i cristiani e coloro che non si professano tali. Mentre i problemi da LA LINGUA PULITA Tra i numerosi libri che, per curiosità o per lavoro, settimanalmente sfoglio, ce n’è uno, recentissimo, intitolato Fascisti a Pisa; lo ha scritto un giornalista, Renzo Castelli, ed è uscito nelle edizioni ETS. Si tratta di un saggio di microstoria che dà dei punti a tanti lavori accademici, unendo alla serietà e alla compiutezza dell’indagine la piacevolezza di uno stile scorrevole e accattivante. Il periodo preso in esame è quello della Marcia su Roma ; ma qui non interessa tanto il giudizio sui primi passi del fascismo nella città toscana, quanto l’esame dei nomi di battesimo degli oltre duemila partecipanti di Pisa e dintorni a quella pagina di storia. Il volume, infatti, riporta in appendice l’elenco completo di tutti coloro che presero parte alla Marcia, e può rappresentare un campionario abbastanza attendibile dei nomi più comuni imposti ai bambini tra la fine dell’Ottocento e i primissimi anni del Novecento (la Marcia su Ro- Religioni e politica risolvere sono identici, vi è troppe volte una diversità di tono e di mentalità che rende difficile anche la comprensione...». Dalle lezioni di Filosofia del Diritto: «...forse il destino dell’uomo non è di realizzare pienamente la giustizia, ma di avere perpetuamente della giustizia, fame e sete. Ma è sempre un grande destino...». Dunque, la condivisa latitudine del campo profetico non poteva che congiungere personaggi e pensieri solo temporalmente distanti. Il cardinale Pio Laghi ha portato la platea fuori e dentro la Casa Bianca, ricordando la storica distrazione americana nei confronti della Santa Sede, l’assenza di una sede apostolica negli Usa fino all’epoca di Reagan, quando gli americani, finalmente, compresero l’importanza di di Giovanni Nardi - Il Cruscante Leggere le vicende della storia attraverso i nomi di battesimo ma avvenne il 28 ottobre 1922, e la maggior parte degli aderenti erano giovani o giovanissimi). Così, accanto ai nomi tradizionali, diffusi ancora oggi (Andrea, Bruno, Giuseppe, Mario, Emilio, Ivo, Lorenzo, Eugenio, Guido, Vincenzo, Alberto e via elencando), ce ne sono altri che possiamo considerare ormai assolutamente desueti. Prendiamo per esempio Leonida, nome sia maschile sia, con minor frequenza, femminile, che risulta attestato soprattutto nella prima metà del Novecento, mentre oggi è quasi definitivamente sparito. Presente in tutte le regioni italiane con quasi tremila unità, deve la sua diffusione al nome del re spartano che si sacrificò alle Termopili con trecento soldati per contenere l’avanzata dei Persiani, ed è formato dal personale Leon unito al suffisso -ides che significa «della stirpe di». Il martirologio romano elenca inoltre quatto santi e una santa Leonida. Ancor meno diffuso è Folco, accentrato preferibilmente in Toscana e nel Lazio, con circa due terzi dell’intero totale (280 su 424) censito dal dizionario di Alda Rossebastiano ed Elena Papa «I nomi di persona in Italia», recentemente pubblicato dalla Utet. Anche questo nome di origine germanica - fulka significa «popolo in armi» - è oggi praticamente scomparso, e la sua fama ha antiche origini letterarie (Folco Portinari era il padre della Beatrice dantesca) e della cronaca attuale dovuta alla notorietà del documentarista Folco Quilici. Ma se Folco è nome raro, che dire di Landerino? Pro- babile alterazione da Lando, questo nome non figura nel dizionario appena citato, che peraltro non registra frequenze inferiori a cinque unità. Singolare poi la presenza, fra i marcianti su Roma nel 1922, di un Comunardo, che nel secolo passato è stato imposto appena 43 volte, e mai, pour cause, durante il Ventennio fascista. Questo nome ha una matrice anarchica e libertaria, e viene dal francese communard, termine usato per designare i rivoluzionari che nel 1871 costituirono la Commune di Parigi. Nel nostro caso, c’è da osservare che il figlio non rispettò le idee politiche del padre. Assente dal dizionario anche Lugo, probabilmente un toponimo utilizzato come nome di persona. Storico e biblico è il nome Artaserse, che ri- manda all’antico impero persiano: ripreso nel Rinascimento, nell’intero Novecento è stato dato a ventun maschietti, l’ultima volta nel 1984. L’etimologia è persiana (Artaxsathra, «il suo potere è la legge»), da cui il greco - e il latino - Artaxerxes. E che dire di Sidocle? Il vocabolario non lo menziona, e pare problematico farlo derivare da Sidonio (proveniente dalla città di Sidone): chissà come sarà venuto in mente ai genitori. Probabilmente si saranno consultati con quelli di Elnolao, parimenti ignoto ai dizionari di onomastica. Oppure anche con quelli di Dico, che pare quasi uno scherzo. Insieme con quelli di Isastro, avrebbero potuto formare una brigata allegra. L’elenco di nomi desueti o addirittura strampalati proseguirebbe a lungo : tra i più strani sono da citare ancora Tulivio, Artero, Gradivo, Gerbino, Reardo. E, dulcis in fundo, Finimolo, nome scomparso negli anni Trenta. una relazione quotidiana con la Santa Sede. Quindi ha caricato la attenta platea della sala civica e l’ha condotta per mano nei punti più caldi del Medio Oriente, nell’Iraq della guerra che non si doveva fare, quando scongiurò Bush, chiedendogli «se almeno sapesse dove stava mettendo le mani», avvertendolo che il mondo arabo interpreta l’Islam in modo originario e quindi si sarebbe stretto intorno a Saddam, considerando la guerra come una violazione dell’Occidente. Anzi degli «infedeli» poiché l’alleanza di Bush si è realizzata con l’Italia e l’Inghilterra, nazioni cristiane. Anche per questo motivo ha dichiarato il cardinale Pio Laghi - l’Europa dovrebbe trovare maggiore autonomia rispetto agli Stati Uniti, rilanciando la ricerca della radici cristiane. La sen. Binetti ha rilanciato l’indispensabilità di un’interpretazione della politica come servizio, di agire in modo tale da essere considerati «come coloro che ci credono», di realizzare un tempo di studio e di approfondimento per essere all’altezza delle sfide della tecnica e della scienza, tanto più alla nostra stagione, quando ogni mattina qualcuno si sveglia per dare una spallata ai valori cristiani. Martinazzoli, festeggiato nei giorni del compleanno con una poesia scelta dal prof. Gianenrico Manzoni, «I limoni» dalla raccolta Ossi di Seppia, recitata magistralmente da Laura Mantovi (proprio per Martinazzoli, montaliano che fruga d’intorno, che indaga e che si accorda disunendosi...), invita a ricordare che i guai di oggi, forse, derivano dall’uso politico della religione, e che vi è la necessità di recuperare il senso autentico delle parole. Come la parola libertà, la quale, è, prima di tutto, libertà interiore, libertà dallo Stato etico e dall’antistato. Libertà nell’ordine, ancora una volta, delineato dalla strategia di Moro, in una società che chiede garanzie allo Stato, ma non che lo Stato sia in sé la totalità o l’unicità delle garanzie.