Carta canta libri I Quaderni delle Notti Malatestiane si fanno libro Nella loro nuova veste riuniscono partiture rare e contributi preziosi P rima che l’editore riminese Raffaelli mandi in stampa il Quaderno delle Notti Malatestiane 2007, previsto tra dicembre e gennaio, si vuole qui ricordare, sia pur tardivamente, l’edizione del 2006, quando la pubblicazione, da semplice «programma di sala» del festival musicale romagnolo, è divenuta un vero e proprio libro, che ospita documenti d’epoca, saggi e articoli su alcune particolari proposte di quella manifestazione estiva. Come recita lo stesso curatore Emilio Sala nelle pagine introduttive, nella nuova formula del Quaderno sono pre- gustoso resoconto dell’interrogatorio cui fu sottoposto nel 1571, durante la visita apostolica a Rimini di Giovanni Francesco Sormani, e nel quale più volte gli viene domandato se, nell’attendere alla sua attività di organista, mescolasse nelle musiche «alcunché di lascivo o impuro». Il secondo oggetto di studio del libro riguarda più da vicino il territorio veneziano, dato che è presa in esame la storia dell’Andromeda di Niccolò Zingarelli (1752-1837). Come raccontato tempo fa dallo stesso Sala in queste pagine (cfr. VeneziaMusica e dintorni n. 14, p. 21), questo in- sentati «materiali inediti e ricerche musicologiche di carattere originale che, nate “sul campo” nell’ambito di progetti condotti con gruppi musicali che amano avventurarsi nel passato “pour trouver du nouveau”, si sono poi sviluppate a latere seguendo il passo più tardo e lento (e irregolare) della ricerca scientifica. Così, in questo rinnovato quadro, il Quaderno diventa un quasi-periodico a scadenza tendenzialmente annuale che accompagna le “prime esecuzioni in epoca moderna” curate dall’Associazione Notti Malatestiane”.» E nella prima edizione, uscita nel dicembre del 2006, due sono i temi prescelti per questo tipo di approfondimento. Il primo riguarda la figura del riminese Giovanni Piccioni (1549 ca – post 1619), di cui durante il festival erano state eseguite musiche sacre e profane. Di questo compositore il Quaderno pubblica – oltre alla prima edizione moderna del brano Tirsi morir volea, e a un intervento critico dei giovani studiosi Bianca De Mario e Gianni Salis – il facsimile e la trascrizione (con traduzione dal latino) del solito e prezioso melologo prese vita a Venezia, «rappresentato nell’anno 1796, nel Teatro di S. E. il Signor Conte Carlo di Breünner», come recita il frontespizio del libretto di Giovanni Bertati, il cui unico esemplare sopravvissuto si trova attualmente presso la Library of Congress di Washington. E proprio la figura del conte Breuner è al centro di un interessante saggio di Elena Redaelli, intitolato appunto Alla ricerca del teatro del conte Breuner, dove si apprendono informazioni inedite – oltre che ritratti di fanciulle nobili con la passione del teatro – sulla fioritura di spettacoli più o meno «privati» nella Serenissima della fine del Settecento. A questa analisi storica si aggiunge poi il libretto di Giovanni Bertati nella fedele trascrizione dall’unico originale superstite. Grazie a questi documenti unici, il Quaderno si rivela dunque strumento fondamentale per gli specialisti e gli appassionati. Ma allo stesso tempo è accessibile e godibile per tutti, nella sua veste austera ed elegantemente retro. Vedremo cosa ci riserva l’edizione del 2007! (l.m.) 54 Carta canta libri Il metodo di canto di Aureliano Pertile Musica e psicologia, un incontro fortunato Il metodo di canto di Aureliano Pertile ll’età di otto anni avevo la voce di contralto e cantavo in chiesa a solo, accompagnato all’organo (…). Mi sentivo trasportato verso ogni manifestazione musicale e mi dilettavo di suonare a orecchio tutti gli strumenti che mi capitavano sotto mano. Verso il quattordicesimo anno di età ebbi il primo cambiamento nella voce, che diventò meno acuta e prese il colore e il tipo tenorile. (…) Ma verso i diciassette anni perdetti completamente la voce: e con essa la speranza di poter intraprendere la carriera teatrale lirica. Mi diedi allora al commercio, e feci l’orafo. Così continuai alcuni anni finché una sera, in una festicciola, dietro le insistenze di alcuni amici, mi decisi di cantare accompagnandomi con la chitarra. Tacevo da due o tre anni e avvilito non avevo mai voluto in questo frattempo cantare perché in realtà non mi sentivo. (…) Quella sera, invece, spinto dagli amici, non mi rifiutai. (…) E cantai e con meraviglia mia e degli altri mi trovai abbastanza bene con una vocetta tenoreggiante». Con questa semplicità Aureliano Pertile, il tenore prediletto da Arturo Toscanini, racconta come, quasi per gioco, iniziò la sua carriera di cantante. Ma molti altri aspetti della personalità umana e artistica di questo artista emergono nitidamente dal bel libro curato da Cristian Ricci, Pertile. Il metodo di canto, edito dall’Associazione Lirico-Culturale «G. Martinelli – A. Pertile» di Montagnana. Il volume raccoglie una serie di testimonianze che completano il quadro di questa grande figura, nata nella cittadina padovana di Montagnana e vissuta a lungo in territorio veneto, soprattutto a Vicenza. Ma i molti brevi saggi che compongono la ricca monografia – tra cui si citano almeno i centrali «La lezione di un grande inattuale» di Gianni Gori, «Il Wagner all’italiana» di Adriano Orlandini e «Aureliano Pertile alla Scala» di Valerio Lopane – fungono in realtà da lunga introduzione a quello che è il principale obiettivo del curatore, cioè la pubblicazione integrale del metodo di canto ideato dallo stesso Pertile, pubblicazione che differenzia questo testo dai moltissimi altri scritti in onore o in memoria del grande interprete. Il metodo, che passa rigorosamente in rassegna tutti gli elementi che si riferiscono al canto, dalla respirazione al vocalizzo, dall’emissione ai diversi tipi di voce, dà conto della vocazione didattica dell’artista, e – come dice lo stesso Ricci – offre «la possibilità a molti giovani talenti di attingere direttamente a una delle “fonti” riconosciute dalla critica di ogni tempo quale exemplum maximum dell’arte vocale». (l.m.) « Musica e psicologia, un incontro fortunato sicologia della musica di Daniele Schön, Lilach AkivaKabiri e Tomaso Vecchi è un libro piccolo e densissimo, che apre anche ai non addetti ai lavori le porte di un universo generalmente poco conosciuto, quello che mette in comunicazione la musica – come arte e come pratica – e le attività del cervello umano. Dopo aver denunciato la scarsità di materiale bibliografico sull’argomento – anche questa come altre branche delle scienze psicologiche non ha una storia molto lunga dietro di sé – gli autori, tutti e tre studiosi presso affermati atenei europei, cominciano a delineare un percorso suddiviso in quattro tappe. Si parte dallo «Sviluppo della competenza musicale», un capitolo molto affascinante che ha come protagonista il neonato e successivamente il bambino, analizzato nel suo processo di conoscenza del mondo musicale, che inizia ancora prima della nascita attraverso le ninnananne che la madre, in ogni contesto culturale si trovi, canta al proprio bimbo. La parte dedicata al canto materno è certamente una delle più interessanti dell’intero saggio, che prosegue con un excursus dedicato ai «Modelli cognitivi di percezione ed elaborazione musicale», dove sono sviscerate tematiche come l’esecuzione e l’interpretazione per passare poi ai rapporti tra musica e linguaggio. Sulle sottili relazioni tra «Musica ed emozioni» si concentra il terzo segmento di questa ben condotta esplorazione, che culmina infine in un ambito più marcatamente scientifico parlando di «Musica e cervello: le neuroscienze cognitive della musica». Scritto con uno stile immediato e diretto, il volume rivela da una parte la solidità del suo impianto scientifico e dall’altra la sua facilità di lettura, che cattura anche chi ignora gli intricati meandri del nostro cervello. (l.m.) A P Daniele Schön, Lilach Akiva-Kabiri e Tomaso Vecchi, Psicologia della musica, Carocci, Roma 2007, euro 9.50 55