30 — contemporanea «Il carro e i canti» di Alessandro Solbiati Al Verdi di Trieste il debutto teatrale del compositore lombardo A contemporanea lessandro Solbiati, uno dei nostri maggiori compositori, per ci sono due miliardi di persone che muoiono di fame, l’ambiente va a catafascio e via dicendo. E noi festeggiamo! Insomma, sin da subito ho colto un’immagine forte e facilmente riferibile alla nostra contemporaneità. A questo proposito c’è anche un precedente che mi riguarda: quindici anni fa ho messo in musica la Decima elegia duinese di Rilke per soli, coro e orchestra: quel componimento parte proprio dall’immagine della rimozione del dolore, che al giorno d’oggi (e per oggi in questo caso intendo il 1922) viene considerato soltanto una spina scomoda da togliersi il più rapidamente possibile. Il poeta offre un’immagine del mondo come un immenso luna park, sulle cui mura c’è scritto: «Qui dentro non si muore!», e nel quale la banca – dove si può assistere alla riproduzione sessuale del denaro – è l’attrazione principale. Direi che Puskin tratta più o meno lo stesso tema. Il libretto l’hai realizzato tu stesso, attraverso una serie di fasi di elaborazione... Premetto che sinceramente non riesco a capire come si riesca a comporre un’opera senza scriversi il libretto in proprio: io, fino all’ultimo giorno, ho cambiato tutto, parola per parola. la prima volta si prova con un lavoro di teatro musicale, Il carro e i canti, tratto dal Festino in tempo di peste di Aleksandr Puskin, e commissionato dal Teatro Verdi di Trieste. Gli chiediamo come è nata questa collaborazione. La gestazione è piuttosto semplice: il 29 gennaio del 2008 mi trovavo a Trieste, perché in occasione della Giornata della Memoria era in programma l’esecuzione di un mio brano strumentale, Memoriam. Durante un incontro con la direzione del Verdi nacque su loro proposta l’idea di un’opera teatrale. In realtà al teatro musicale io avevo già cominciato a pensare da un po’ di tempo, tanto che avevo proposto al Regio di Torino un progetto sulla Leggenda del grande inquisitore di Dostoevskij (che poi è effettivamente andato in porto, e vedrà la luce nel 2011). A Trieste volevano però un lavoro da presentare nella stagione 20082009, e pensavano a una composizione di circa cinquanta minuti. Al principio si era ipotizzato anche di affiancarla, nella stessa serata, al Gianni Schicchi, e questo mi diede lo spunto per l’idea originaria, sulla quale rimuginavo già da un po’: lavorare su una composizione scenica di Kandinskij, che con lo Schicchi aveva uno stretto rapporto, essendo entrambe le opere del 1909 (e quindi anche perfette per celebrarne il centenario). Purtroppo però gli eredi diretti di Kandinskij inspiegabilmente non hanno mai risposto alle nostre richieste, e quindi, se pur a malincuore, abbiamo dovuto abbandonare questa Il carro e i canti, bozzetti di Domenico Franchi strada. Per fortuna Gabriele Bonomo, che è il mio editore (oltre che buon amico), mi ha proposto la lettura di alcuni microdrammi di Puskin. Io però, invece di indirizzarmi sui due più All’inizio mi sono rivolto alle traduzioni esistenti, che però mi famosi, Mozart e Salieri e Il convitato di pietra, sono rimasto subisono apparse subito poco adatte a una versione musicale. Ho to folgorato da un altro testo, durissimo, che si intitolava Il festidunque ottenuto dal Teatro di Trieste di far ritradurre il testo da no in tempo di peste, nel quale in un’unica scena si muovono quatSilvia Canavero, che oltre a essere laureata in russo è anche una tro personaggi (più un quinto che si aggiunge nella parte finaviolinista. A lei ho chiesto una traduzione letterale nel vero senle). Costoro celebrano una festa mentre fuori infuria la peste. so del termine, cioè parola per parola. Da lì è cominciata la mia Come è ovvio, in una situazione così terribile si alternano tutte operazione di asciugatura, partenle reazioni psicologiche possibili a do dalla considerazione che menquanto accade fuori: angoscia, ritre il teatro parlato deve dire tutmozione, sarcasmo, baldanzosità, Trieste – Teatro Verdi to, nell’opera musicale molte cose spavalderia, malinconia, nostal17, 21, 22, 23 aprile, ore 20.30 le dice già la musica, e le ripetiziogia... Ho immediatamente pensa18 aprile, ore 17.00 ni non fanno altro che appesantito alle possibilità che questo testo 19, 24 aprile, ore 16.00 Il carro e i canti re. Nonostante quest’asciugatura mi forniva per dire qualcosa che libretto e musica Alessandro Solbiati però il libretto che mi ero costruandasse al di là del mero arco nardal Festino in tempo di peste di Aleksandr Puskin ito al principio si è ulteriormente rativo, che è il vero motivo per cui regia Ignacio García ridotto della metà, facendo attenmi sono avvicinato al teatro: sescene e costumi Domenico Franchi zione d’altro canto a non saltare alcondo me il nostro mondo è prointerpreti Alda Caiello (Mary), prio così, superficiale, rumoroso e Maurizio Leoni (Walsingham), Sonia Visentin (Luisa), cun passaggio del testo originale. Sono partito dal presupposto che pieno di lustrini. Senza cadere nelGianluca Bocchino (Il giovane), le parole, per poter essere musicalla retorica, se ci si guarda intorno Gianluca Buratto (Sacerdote) mente pregnanti, devono essere poche e forti. Il lavoro sul testo mi ha impegnato fino alla fine di luglio, e dagli inizi di agosto, alzandomi tutti i giorni non più tardi delle cinque e mezza, ho prodotto queste 178 pagine di partitura. Perché hai scelto come titolo Il carro e i canti? I quattro personaggi che stanno sempre in scena – Mary, Il Giovane, Luisa e Walsingham – incarnano delle tipologie: i due più giovani rappresentano l’ala sarcastica e graffiante del quartetto, mentre la donna e soprattutto l’uomo più maturi raffigurano la parte pensosa e malinconica. Ma già il testo originale ruota attorno a un evento cruciale: il passaggio di un carro pieno di cadaveri. Prima e dopo questo passaggio nascono due diversi canti. Un po’ dopo l’inizio, uno dei personaggi prega Mary di cantare un canto di malinconia. E lei intona un vero e proprio Lied. Dopo il passaggio del carro, anche a Walsingham, il personaggio maschile più riflessivo e pensoso, viene richiesto di cantare qualcosa, e sorprendentemente questi propone un inno alla peste. Ecco spiegato il motivo del titolo: attorno a questo carro, con la sua ineludibile immagine di morte, si sviluppano simmetricamente due canti dal senso profondamente diver- so. Il quinto personaggio, che è un sacerdote, giunge alla fine e diviene una sorta di deus ex machina: tentando di convincere gli altri che quello cui stanno partecipando è un festeggiamento immorale e inopportuno, invoca il nome dell’amata di Walsingham, morta da poco di peste, e così facendo porta quest’ultimo alla pazzia. Il finale si concentra tutto su questo personaggio, che perde la sanità mentale e si estromette dalla festa. Quali rapporti hai sviluppato con il regista Ignacio García e con lo scenografo Domenico Franchi? Mentre ho cercato di suggerire al Teatro triestino che a dirigere l’opera fosse Paolo Longo (che già aveva lavorato a Memoriam), e ho pensato io stesso ad alcuni strumentisti per me fondamentali, per quanto riguarda regista e scenografo – trattandosi della mia prima opera teatrale – ho chiesto soltanto che fossero rispettati dei requisiti, ho fornito cioè una specie di «identikit»: che fossero giovani, disponibili a incontrarsi con me prima ancora dell’inizio del lavoro di composizione e possibilmente in grado di leggere la musica. Non riesco infatti a comprendere come un regista possa lavorare a un progetto simile senza capire una partitura. Di tutto questo ringrazio moltissi- mo il Verdi, perché Ignazio García, pur giovane, si è già più volte provato nella regia musicale ed è diplomato in clarinetto. Domenico Franchi poi è un allievo di Ezio Frigerio, e questo offre di per sé una garanzia. Con entrambi ho avuto la possibilità di incontrarmi moltissime volte, scambiandoci proficuamente le rispettive idee e immagini, anche in una fase molto acerba dell’elaborazione. Faccio solo un esempio: il testo di Puskin inizia con un brindisi, mentre la mia opera parte con un abbondante prologo che crea un’ambientazione di morte e disfacimento. Era dunque fondamentale che il regista sapesse che è in quella situazione che si innesta il surreale brindisi dei partecipanti alla festa. Cosa ci puoi anticipare della musica? Durante il processo compositivo, strada facendo mi sono reso conto che avevo bisogno di una struttura: molto presto, direi sin dal primo appunto, ho usato nel mio cuore il termine di «sinfonia scenica». Rifiutando l’elettronica ho invece immaginato una vera e propria orchestra: l’opera l’ho progettata come fosse un grande pezzo sinfonico dotato di testo e arco narrativo. E a costo di rischiare di essere considerato neoclassico, cosa che proprio non sono, ho usato terminologie «storiche» per le varie strutture. Ad esempio, per il primo ingresso del giovane baldanzoso, aggressivo e sarcastico mi è nata l’idea della passacaglia, nel senso di una perorazione iniziale in funzione del tema e di una semivariazione che dà l’idea dell’ostinazione attorno all’angoscia della peste. Ho «giocato alle forme», per cui c’è un prologo, che è orchestrale, questa passacaglia del Giovane, il Lied – che ho sottotitolato «Omaggio a Schubert» –, il passaggio del carro e poi tutta una zona di interventi più brevi che rappresentano le varie reazioni psicologiche a questo terribile momento, che ho inquadrato in un’unica forma chiamata polifonia: si tratta di interventi che mettono in scena diverse reazioni psichiche, quindi è di fatto una polifonia di psiche. Poi viene il secondo canto, l’inno alla peste, anch’esso sottotitolato come «Omaggio a Mahler». Quando infine entra il sacerdote e impone di terminare quella festa blasfema, tutti gli urlano di andarsene: allora mi è sembrato indicato chiamarlo responsorio... Voglio aggiungere che in scena ci sono fin dall’inizio due strumenti, un cimbalom e una fisarmonica, e questo per diversi motivi. In primo luogo perché, trattandosi di una festa, mi sembrava naturale che fossero coinvolti degli strumenti. Poi, per fare solo un esempio, il cimbalom mi sembrava appropriato per accompagnare il Lied di cui ho accennato poc’anzi. Quando invece arriva il sacerdote, avviandoci all’epilogo, nella sua irruzione c’è un che di sarcastico: allora ho fatto in modo che insieme a lui irrompesse anche la fisarmonica, che è uno strumento da festa o similpopolare ma anche una specie di organo. Nella parte finale poi, quando l’obiettivo si stringe su Walsingham nel momento in cui perde la sua lucidità mentale, a poco a poco la musica abbandona l’orchestra e si focalizza solo su questi due strumenti. (l.m.) ◼ contemporanea contemporanea — 31 32 — contemporanea La Società Filarmonica di Portogruaro al Candiani Enrico Bronzi chiude il ciclo dedicato al Novecento contemporanea T cronologica dei tre brani prescelti, ma si estende poi all’eterogeneità degli stili e al cangiante impatto emotivo suscitato negli spettatori, che è oscillato tra momenti di tesa partecipazione e slanci quasi onirici attraverso i più disparati e liberi percorsi della fantasia. È stato Der Daemon di Paul Hindemith a dare l’avvio al concerto, che come il precedente – affidato in dicembre ai milanesi Sentieri selvaggi capitanati da Carlo Boccadoro – si è tenuto presso l’Auditorium del mestrino Centro Culturale Candiani. La musica di questo intenso balletto scritto nel 1922 dal compositore tedesco ha mescolato il grande potere evocativo con una struttura ritmica spesso incalzante e di volta in volta sorprendente. A questo primo emozionante momento la vivace ed eclettica inventiva di Enrico Bronzi ha voluto accostare un brano legato a tutt’altra koiné culturale e storica, Capriccio on B.a.c.h., ovvero l’omaggio tra devoto e irriverente reso da Mario Pagotto al genio di Lipsia: fase centrale dell’intera serata, il breve componimento è stato salutato dall’applauso convinto del pubblico. Un clima più disteso, e a tratti quasi fiabesco, ha infine caratterizzato l’ultima proposta, cioè la Suite da Appalachian Spring dell’americano Aaron Copland. ra i tanti cambiamenti e le tante innovazioni che ha apportato Enrico Bronzi all’Estate Musicale di Portogruaro durante il suo primo anno da direttore artistico c’è senz’altro anche la costituzione (o meglio la rifondazione) della Società Filarmonica della piccola cittadina veneziana. Il violoncellista – uno dei più stimati a livello nazionale, tanto da meritarsi di recente la copertina di «Amadeus» per i suoi meriti di esecutore – ha infatti fortemente voluto creare ex novo questo gruppo di musicisti, attingendo al prezioso vivaio offerto dalla Scuola di Santa Cecilia. Già verso la fine dell’estate questo ensemble formato da allievi o ex allievi della Scuola aveva fornito un saggio delle sue potenzialità, proponendo, con Concerto 1908, una serata in cui dopo il pianoforte a sei mani della Passacaglia op. 1 di Anton Webern era La Società Filarmonica di Portogruaro seguita un’apprezzata esecuzione di Das Lied von der Erde Sotto la guida esperta del violoncellista parmigiano gli di Gustav Mahler – nella trascrizione di Arnold Schoenberg strumentisti della Filarmonica hanno dato vita a un’esecue Rainer Riehn – le cui diverse parti erano commentate con la zione misurata e allo stesso tempo appassionante, chiudenconsueta accattivante bravura da Quirino Principe. do anche idealmente la piccola rassegna, che aveva preso le Qualche mese più tardi, il 14 gennaio, la stessa Società Fimosse dalla particolarissima performance futurista conlarmonica è stata protagonista di un altro rimarchevole apdotta due mesi prima da Daniepuntamento musicale, chiudenle Lombardi alla Sala del Piodo «VeneziaMusicaVenezia», il vego di Palazzo Ducale, per cebreve ciclo di concerti che EuterMusiche dere il testimone, a pochi giorpe Venezia, tra novembre e gendi Hindemith, Copland e Pagotto ni di distanza, all’Interensemnaio, ha dedicato al secolo scorble Serenade di Mirko Schiso. Guidata proprio da Bronzi, illuminano pilliti, che nella cornice austenelle vesti oramai non più inconl’ultimo appuntamento ra dell’Auditorium Santa Marsuete di direttore, la piccola ordi VeneziaMusicaVenezia, gherita ha trasportato gli spetchestra si è provata con tre capila breve rassegna tatori in un mirabile viaggio tra toli estremamente diversi del vadi musiche novecentesche Schoenberg e Britten (cfr. Veneriegato universo compositivo nopromossa e organizzata ziaMusica e dintorni n. 25, pp. vecentesco. Tale diversità deriva 34-35 e n. 26, pp. 40-41). (l.m.) ◼ in primo luogo dalla lontananza da Euterpe Venezia «Helikopter-quartett» di Karlheinz Stockhausen L’ di Paolo Cecchi occasione è di quelle imperdibili per il sensazionalismo dei media: i componenti di un quartetto d’archi giustamente blasonato eseguono una partitura di Karlheinz Stockhausen su quattro elicotteri in volo nel cielo di Roma, con il pubblico che guarda e ascolta gli interpreti seduto all’interno dell’auditorium progettato da Renzo Piano. Ma al di là degli aspetti apparentemente sensazionalistici dell’esecuzione, per comprendere in modo adeguato l’Helikopter-quartett, composto da Stockhausen nel 1993, e coglierne gli aspetti compositivi salienti, è necessario considerare l’insieme di dispositivi tecnologici necessari alla sua esecuzione non come una trouvaille destinata a far sensazione, ma come un apparato ad un tempo vi- contemporanea — 33 gnali diffusi dagli altoparlanti posti nella medesima sala, dove vengono anche proiettate su quattro schermi indipendenti le immagini dei singoli strumentisti impegnati nell’esecuzione, ripresi dalla telecamera interna al velivolo. Nessuno degli interpreti può ascoltare gli altri tre compagni (il collegamento audio tra tutti gli elicotteri in tempo reale pone per ora problemi tecnici troppo complessi da gestire), ed ognuno di essi regola la propria esecuzione in base alle indicazioni di battuta che gli vengono fornite in cuffia dalla regia del suono; inoltre gli esecutori sincronizzano il proprio andamento metronomico anche con la velocità del rotore dell’elicottero che li trasporta, che varia leggermente nel corso della perfomance. Sin dal 1978, anno in cui iniziò scrivere Donnerstag, la prima delle opere del ciclo Licht, Stockhausen inserì ogni sua nuova composizione all’interno delle opere della sconfinata eptalogia. Le singole sezioni di ognuna delle «giornate» di Licht si integrano organicamente sia nell’ ambito dell’opera cui appartengono, sia nell’intero ciclo, grazie soprattutto al potere coesivo e alla coerenza strutturale assicurata dalla «superformula», una sorta di meta-matrice musicale generativa dell’intero ciclo, che secondo le contemporanea Helikopter-quartett di Karlheinz Stockhausen al Parco della Musica di Roma parole del compositore, ne governa in modo seriale «non suale e simbolico che fa da sfondo alla musica, e che risulta solo le altezze, le durate, il timbro e la posizione spaziapienamente intellegibile solo se considerato all’interno del le dei suoni, ma anche alcune ulteriori caratteristiche percongegno drammaturgico-musicale dell’opera Mittwoch – cettive come gli echi, le scale, le modulazioni e i momenterza giornata del ciclo Licht – di cui il quartetto elicotteriti improvvisativi». Nel contempo le sezioni delle singostico costituisce la terza scena. le opere possiedono una loro compiutezza individuale riNel Helikopter-quartett ogni componente del quartetto spetto all’opera-madre che ne permette l’esecuzione sepad’archi suona la propria parte a bordo di un elicottero in rata, in un dualismo dialettico tra organicità dell’insieme volo. In ogni elicottero vi sono tre microfoni: uno per lo drammatico-musicale ed alterità dei suoi singoli compostrumento, uno per la voce (la partitura prevede alcune nenti che non ha certo solo una giustificazione pratica, ma brevi emissioni vocali da parte dei singoli strumentisti), ed va considerato un elemento fondamentale della costituun terzo per il rotore dell’elicottero (l’amplificazione perzione compositiva e simbolico-spirituale di tutto il ciclo. mette così di regolare il volume anche di tale fonte sonora, Tale dualismo vale anche per l’Helikopter-quartett, che coche altrimenti sovrasterebbe costantemente gli strumenti). stituisce il polo unicamente strumentale della partitura di Inoltre nell’abitacolo di ogni velivolo vi è una telecamera Mittwoch: la macroarchitettura che filma l’esecuzione. I dodici dell’opera presenta infatti una segnali audio – tre per ognuno progressiva integrazione tra gli dei quattro velivoli – vengono Karlheinz Stockhausen, Helikopter-quartett ambiti musicali vocale, elettromixati in tempo reale dalla regia per quartetto d’archi, quattro elicotteri nico e strumentale, che dappridel suono situata nella sala dove e regia del suono ma vengono presentati separasiede il pubblico, ed immediataRoma, Parco della Musica, 18 gennaio 2009, tamente o parzialmente commente convertiti in quattro sequartetto Arditti 34 — contemporanea contemporanea misti nelle tre prime scene, per poi intersecarsi e sovrapporsi insieme nel grande finale dell’opera, come riassunto nello schema che segue: Mittwochs Gruss «Il saluto del ‘Mercoledì’» * nastro magnetico musica elettronica Prologo Welt-parlament «Parlamento mondiale» * coro a cappella musica vocale Scena 1 Orchester-Finalisten «Orchestra dei finalisti» * strumenti ed elettronica musica elettronica + musica strumentale Scena 2 Helikopter-quartett «Quartetto degli elicotteri» * quartetto d’archi musica strumentale Scena 3 Michaelion - Finale «Il padiglione di Michele» * coro misto, basso, strumenti e sintetizzatore musica elettronica + musica strumentale + musica elettronica Scena 4 Mittwochs Abschied «Il commiato del ‘Mercoledì’» * nastro magnetico musica elettronica Epilogo Nella drammaturgia musicale di Mittwoch – una drammaturgia antinaturalistica, nella quale gli elementi cosmologico-simbolici e rituali convivono e si sovrappongono senza seguire una linearità né di azione né di intreccio – il «quartetto degli elicotteri» connette le due scene iniziali dell’opera al grande affresco conclusivo denominato «Michaelion»: in quest’ultima scena i rappresentanti di un ideale governo cosmico confluiscono in «un luogo d’incontro sacro e futuribile» – una sorta di empireo di una immaginata democrazia interstellare, ispirata alla consapevolezza spirituale e alla cooperazione del genere umano (e degli altri possibili abitanti del cosmo) – per eleggere un «operatore» in grado di decodificare i messaggi che provengono dal resto dell’Universo. Il volo degli elicotteri – che diventa materia sonora da cui trae forma la musica dei quattro strumenti ad arco – rappresenta quindi drammaturgicamente il transito dalla seconda scena dell’opera, denominata «Orchester-Finalisten» (in cui dodici strumenti solisti ingaggiano una sorta di certame con una texture di suoni elettronici) al nucleo simbolico dell’opera, il «Michaelion», ove in un indeterminato spazio cosmico viene rappresentata scenicamente e musicalmente – in un’unione di voci, strumenti e suoni elettronici – quella cooperazione e quella solidarietà tra gli uomini che costituisce l’essenza utopica di Mittwoch. Dal punto di vista musicale l’Helikopter-quartett attua in modo radicale quella tendenza alla spazializzazione integrale del suono che domina tutta la partitura di Mittwoch, secondo un progressivo incremento della natura e della complessità di tale spazializzazione. Nella prima scena essa è ottenuta mediante la disposizione in diversi punti del teatro degli esecutori, il cui canto viene proiettato spazialmente mediante altoparlanti, nella seconda scena il compositore ha previsto una diffusione octofonica – creando una sorta di parallelepipedo sonoro virtuale che avvolge il pub- blico – di suoni sia strumentali che elettronici; infine con il «quartetto degli elicotteri» si passa alla dislocazione degli esecutori nei velivoli, realizzando così per la prima volta una disgiunzione radicale tra il luogo fisico ove il pubblico assiste all’esecuzione e il luogo dell’ esecuzione stessa. Stockhausen concepiva tale disgiunzione come la prefigurazione di un utopico tempo futuro in cui «alcuni esecutori a bordo di velivoli spaziali potranno suonare assieme e in modo sincronico con altri esecutori posti in altri velivoli spaziali»: l’Helikopter-quartett nelle intenzioni del compositore dovrebbe così mostrare in nuce la possibilità di una futura «fratellanza estetica» nello spazio oltremondano, nel quale musica, tecnologia e concezione sacrale del cosmo possano formare una nuova entità artistico-antropologica, all’insegna di una superiore consapevolezza e di una altruistica compassione conquistate dell’uomo prossimo futuro. L’idea di alloggiare quattro strumentisti in altrettanti elicotteri comportò per Stockhausen un problema compositivo fondamentale e prioritario, distinto dai problemi tecnologici della realizzazione esecutiva: come integrare nella musica il rumore-suono permanente e sovrastante dei roto- ri e delle pale dei velivoli? Il compositore risolse tale problema ideando una musica che, invece di essere annichilita dal continuum sonoro del rotori degli elicotteri, concepisce tale continuum come il principio acustico generativo della stessa trama compositiva. Tale soluzione è risultata tecnicamente ed esteticamente praticabile con successo soprattutto in virtù della formidabile conoscenza da parte di Stockhausen delle caratteristiche intrinseche, costitutive del suono e del rapporto tra suono e rumore maturata nell’infaticabile, pluridecennale sperimentazione nel campo della musica elettronica. Nel Helikopter-quartett Stockhausen sovrappone all’ineliminabile rumore regolare dei rotori una polifonia/eterofonia intessuta dai quattro strumenti ad arco, basata soprattutto sulle figure sonore del tremolo e del glissando. Il rumore/suono dei rotori e delle pale ha infatti la caratteristica di collocarsi – a seconda della velocità dell’elicottero – in un campo di frequenze variabile, e nel contempo produce una scansione ritmica tendenzialmente regolare, «macchinistica», ma costantemente sottoposta a piccole variazioni di velocità. Glissando e tremolo divengono quindi figure sonore compatibili acusticamente con le caratteristiche sonore dei rotori. Il glissando comporta una contemporanea — 35 da al saggio di Jerome Kohl, Into the Middleground: Formula Syntax in Stockhausen’s Licht, «Perspectives of New Music», XXVIII/2,1990, pp. 262-291). Il ricorso alla regolazione strutturale della «superformula» nella propria strategia compositiva permette quindi a Stockhausen di articolare, differenziare e variare in modo «organicistico» una texture sonora le cui componenti costruttive sono assai ridotte e sui cui incombe, è ovvio, il rischio di una ripetitività pletorica degli eventi sonori. Grazie alla ferrea e ad un tempo visionaria costruzione formale governata dalla matrice della «superformula» il compositore trasforma quel rischio in una ricchezza compositiva finanche clamorosa vista la tendenziale ripetitività degli elementi musicali utilizzati. Alla fine dell’ascolto del Helikopter-quartett la continua permutazione delle linee sonore e la «varietà nell’uniformità» del discorso musicale induce ad ammirarne la sostanza musicale e a ridimensionare al ruolo ancillare che gli compete il sia pur spettacolare apparato visuale ed esecutivo. Rimane la speranza che in un prossimo futuro una qualche istituzione musicale particolarmente lungimirante vorrà accettare la scommessa di menti costruiscono quindi idealmente nel corso della partitura una serie di traiettorie sonore sempre mutevoli, composte dalla diade glissando/tremolo, traiettorie che proliferano e si sovrappongono in una stratificazione cangiante e attentamente calcolata nella sua articolazione formale. Benché le figure del glissando e del tremolo siano diffusissime nella produzione quartettistica d’avanguardia del secondo Novecento, Stockhausen nel «quartetto degli elicotteri» le utilizza in modo insolitamente originale, sia per la radicale pervasività della loro ricorrenza, sia perché il loro impiego compositivo è regolato da una struttura tendenzialmente seriale ricavata dalla «superformula» che governa l’intero ciclo di Licht – a cui più sopra si è fatto cenno – che regola gli ambiti di altezza dei glissandi, gli incontri tra le linee dei diversi strumenti, l’articolazione ritmica variabile del tremoli determinata soprattutto dagli accenti dinamici, le variazioni timbriche e le differenziazioni dinamiche (la notazione della «superformula» si può leggere alla pagina web <http://www.stockhausen.org/superformula. html>; per un’approfondita disamina del suo ruolo strutturale nel governare i parametri macro e micro strutturali di ogni sezione del gigantesco ciclo operistico si riman- metter in scena per intero Mittwoch (unica opera del ciclo Licht assieme a Sonntag che non è stata ancora eseguita integralmente, nonostante siano ormai trascorsi oltre dieci anni dal completamento della partitura) permettendo così di comprendere appieno – come parte di un organismo musical-teatrale che solo se ascoltato nella sua totalità può rivelare appieno le funzioni delle sue componenti – l’utopia sonora e simbolica del «quartetto degli elicotteri». La «composizione in volo» di Stockhausen può essere ascoltata nell’incisione discografica del quartetto Arditti per il quale è stato scritta (Stockhausen. Helikopter-quartett – Arditti String Quartet, cd dell’etichetta Montaigne, MO 782097); è inoltre reperibile in commercio un filmato che documenta la genesi della composizione e la complessa preparazione tecnica e logistica per la prima esecuzione assoluta, che ebbe luogo ad Amsterdam nel 1995 con la supervisione e la regia sonora del compositore (Karlheinz Stockhausen, The Helikopter String Quartet, regia Frank Scheffer; dvd prodotto dalla Medici Arts). ◼ contemporanea variazione continua e lineare delle altezze lungo lo spettro sonoro (un’articolazione della trama musicale in note dall’altezza definita e precisa avrebbe comportato l’impossibilità percettiva di distinguerla dal vorticoso rotare delle pale del velivolo), mentre il tremolo stabilisce una stream ritmico continuo, sottoposto a continue microvariazioni di velocità e caratterizzato dall’inserzione di accenti e di sottolineature ritmico-dinamiche che arricchiscono la «densità informativa» delle linee dei singoli strumenti e del loro sovrapporsi polifonico. Anche in questo caso l’articolazione ritmica in valori ritmici divisibili e indipendenti di tipo «tradizionale» avrebbe comportato la loro possibile vanificazione percettiva nel loro collidere con il continuum ritmico dei rotori, mentre il tremolo – grazie ad alcune affinità acustiche con tale continuum – può convivere con esso e proliferare nel corso della composizione imponendosi sul rumore del rotore (grazie anche alla possibilità di regolarne il volume in sede di missaggio), che viene trasformato da elemento di disturbo in una sorta di bordone meccanico soggiacente e nel contempo integrato nel divenire della musica. I quattro stru- 36 — contemporanea La musica eclettica e libera di Mario Pagotto quanta in poi tutta la contemporanea ufficiale, cioè quella sostenuta dalla critica, che obbliga a non usare mai una triade, un raddoppio d’ottava, ha fermato il tempo alla propria epoca. Non ci si è resi conto del ricorrente errore di anacronismo: scrivere al giorno d’oggi secondo rigidi principi strutturalisti, secondo me è anacronistico. Sono cambiati i tempi, ci sono gli influssi dei più disparati pensieri musicali, pensiamo ad esempio a ciò che hanno prodotto i compositori americani. Non sono in grado di dire se di Andrea Oddone Martin la mia parabola compositiva sia giunta a dei risultati di originalità stilistica assoluta, tuttavia queloventa di Piave è un piccolo cenlo che cerco quotidianamente di fare è di tro dell’entroterra veneto, posto all’inContinuano i «Ritratti» dei compositori non rimanere imbrigliato in scelte esteticrocio tra due fiumi: quello naturale e del nostro territorio: dopo Pierangelo che di comodo, perché criticamente ben sacro delle acque nominate Piave, e quello artiValtinoni (VMeD 19), Gianandrea accette. ficiale del viaggio asfaltato, l’autostrada. PorticPauletta (VMeD 20), Nello Da Pont (VMeD 21), Luca Mosca (VMeD 22) A quali progetti ti stai attualmente ciolo ai due fiumi, Noventa è anche il luogo doe Giovanni Mancuso (VMeD 26), è ora dedicando? ve risiede Mario Pagotto, prolifico e impegnala volta di Mario Pagotto. In questo momento sto lavorando su to compositore. più fronti: un balletto che debutterà al Tra le figure importanti frequentate nel perioFestival di Portrogruaro imperniato sul tema del viaggio, e do formativo emerge Franco Donatoni, qual è, a tuo avviso, il segno poi due concerti, uno per pianoforte e orchestra scritto per essenziale del suo lascito? Ana Marija Markovina e l’ensemble Mikkeli City OrcheHo conosciuto Donatoni in un periodo particolare delstra, sotto la direzione di Federico Longo e un altro conla sua docenza, nel quale era subentrato un certo distaccerto per la tromba di Mauro Maur. co. Alla famosa severità aveva affiancato, verso gli allievi Trovi differente l’ambiente musicale estero? Non serve spostarci troppo: se pensiamo a Vienna, il numero di persone che, ogni sera, si sposta verso un concerto di musica classica è notevole, se confrontato ai nostri numeri. Ci sono almeno cinque orchestre stabili, è difficilissimo acquistare dei biglietti. Non credo che ciò sia imputabile alla differenza culturale, l’Italia ha sempre avuto un numeroso bacino di «utenza» che si è rivolto alla propria ricchezza musicale con consapevolezza appassionata, basti pensare all’opera e non solo. Credo che una grande responsabilità sia a carico del sistema che si occupa dell’educazione, da questo punto di vista è in Mario Pagotto durante la preparazione di Arcibaldo Sonnivari corso, ormai da tempo, un processo al Teatro Comunale di Modena (foto di Rolando Paolo Guerzoni) di «imbarbarimento». Praticamente siamo l’unica nazione nel mondo, non solo in Europa, a non contemplare, nei programmi didattici delle scuole superiori, l’incompositori che riteneva meritevoli, una laconica distanza. segnamento della musica. Questo processo è congenito alAllo stesso tempo, Donatoni è stato, a mio parere, l’unico la miopia governativa verso l’intero comparto che si occucompositore nazionale, e forse europeo, che ha generato pa sia dell’educazione che della promozione della cultuun pensiero musicale determinante. Si possono apprezzare ra musicale. o meno le scelte estetiche della sua produzione, legata peLa musica ha rivestito in Italia un valore culturale altissiraltro a un preciso momento storico, ma non si può ignomo, nell’Ottocento direi più alto della letteratura. Non abrare la levatura del pensiero musicale donatoniano, che si biamo avuto le grandi opere letterarie della cultura inglecolloca in assoluto avanzamento rispetto alla serialità e alse, tedesca, della cultura americana; noi abbiamo avuto il la dodecafonia, ad esempio. La risoluzione e la solida astramelodramma, è stato il zione del pensiero di Donatoni permette allo stesso tempo «cemento» della nostra cultura. Esso sta esattamente, ad una versatilità coerente, a dispetto del materiale musicaesempio, alla letteratura di Goethe o di Thomas Mann; le a disposizione. Quindi, risultati estetici diversi possono sono le produzioni dei nostri grandi operisti a costituire condividere uniformemente i principi della struttura, delil vero carattere dell’identità italiana. Lo stiamo distrattalo sviluppo, della sintassi musicale di Donatoni. Non scrimente gettando alle ortiche. I musei d’arte sono frequenvo come Donatoni, ma certamente ho fatto tesoro del suo tati anche grazie all’insegnamento della storia dell’arte nei insegnamento, per così dire, indiretto. licei. La spaccatura tra la cultura umanistica e la cultura Rispetto alle opere della musica contemporanea, in che rapporto si musicale, che prende l’avvio con la riforma Croce-Genticolloca la tua scrittura? le, ha generato uno squilibrio totalmente ingiustificato. ◼ Secondo me, il grande problema è che dagli anni cin- N contemporanea ritratti Livio Baldissera, compositore del sublime sonoro S di Silvano Onda la dell’effetto fantasmagorico che suggerisce all’esterno un senso di irrealtà, mentre intimamente l’ascoltatore percepisce un flusso di suoni generati da tensioni e frequenze. La forma musicale dei brani è densa ma nitida, percorsa da un pensiero complesso ma al tempo stesso accessibile e funzionale alla comunicazione. Baldissera è un compositore che ha vissuto la sua esperienza musicale sempre in una dimensione sperimentale, pur se di volta in volta intessuta di significati sociali, spirituali, concettuali. La sua è una continua ricerca di effetti percettivi e di coinvolgimenti dove l’accadimento fantasmagorico è quasi sempre il tema centrale della musica. Ha sempre cercato di dare una dimensione estetica al suono allo stato sorgivo e con il suo procedimento tecnologico ha spesso mirato a far interagire, come si può cogliere nelle sue ultime esperienze musicali, campi di sperimentazione artistica diversi, in particolare la pittura. Il suo collage elettronico è fatto di immagini e suoni: alla manipolazione del suono elettronico alterna quella del colore-luce. Il fascino della sua musica sta in quella ricerca del sublime, in quell’alterazione della percezione usuale e del senso comune. contemporanea i potrebbe iniziare questo scritto con un’espressione traslata: «Il compositore va spesso a Darmstadt», alludendo alla cittadina tedesca che nel dopoguerra vide la nascita dei corsi estivi di composizione per la Nuova Musica sotto il segno di Anton Webern. A Darmstadt uno degli insegnanti più influenti fu il francese Olivier Messiaen, che ebbe tra i suoi allievi quelli che poi saranno i maggiori compositori della seconda metà del XX secolo, come Boulez, Stockhausen, Berio, Nono, Xenakis... La seconda fase della cosiddetta Musica Nuova interessa la ricerca italiana con autori quali, oltre che ancora Nono e Berio, Maderna, Bussotti, Clementi, Donatoni ecc… Bene: la produzione musicale di Livio Baldissera si ispira agli autori di questa seconda fase, come dimostra esaurientemente una delle sue prime opere degli anni settanta dal titolo Generative Cells, A Fragment (per flauti, oboi e ar- contemporanea — 37 chi). Negli stessi anni Baldissera frequenta i corsi di didattica musicale alla Julliard School of Music di New York, dove alea e indeterminazione entrano a far parte dei materiali utilizzabili in fase di composizione. A questo periodo appartengono partiture dal grafismo raffinato spesso prive di un evidente punto Le sue recenti esibizioni mirano a sintetizzare, attraverdi inizio e di fine che sconvolgono la concezione tradizionale so una performance a metà tra musica e pittura, due ardi ritmo e durata. Successivamente, nel 1985 scrive Input Neti che per Baldissera si integrano perfettamente: le strutmesis per tredici clarinetti, eseguita in prima assoluta alla Feture pittoriche con i loro livelli di contrasto sono riprodunice nell’ambito della Biennale Musica: con quest’opera Balcibili in musica in un rapporto armonico tra forma, suodissera sviluppa il suo discorso musicale secondo una logica no e colore. Nell’opera Lauda in Memoriam di Luigi Nono di continuità che segue un preciso piano costruttivo, ma che (prima assoluta al teatro la Fenice) a rendere sublime il rivela anche una straordinaria capacità nell’indagare la magia testo di Goethe intervengono del suono. In seguito l’acquisizioi flauti, i clarinetti, le percusne di nuove tecniche e tecnologie, sioni, il pianoforte e il soprano. grazie alla diffusione del compuLivio Baldissera vive e lavora a Venezia, città nella quale è La composizione è assai lontater e dei software musicali usciti nato. È laureato in Lingue e Letterature Straniere presso Cà na da influssi retrò e accademidai grandi centri di ricerca (quaFoscari. Ha perfezionato i suoi studi musicali frequentando i corsi presso la Julliard School of Music di New York. Da ci, scevra da stilemi del passali Ccrma, Ircam, Grm o Csc), ha molto tempo è presente alle principali manifestazioni to e da qualsiasi forma codificonsentito al compositore veneartistiche internazionali. Nel 1985 ha rappresentato l’Italia cata. Proprio in questo lavoziano di realizzare opere di musinell’Anno Europeo della Musica indetto dalla Comunità ro Baldissera raggiunge, a mio ca elettronica come Lauda in MeEuropea. Alcune sue opere sono pubblicate da Ricordi. Ha inoltre allestito installazioni acustico-visive, facendo avviso, quell’assoluto musicale moriam di Luigi Nono (1991) e Sinedconvergere musica e pittura. I suoi lavori sono stati presentati fatto di elementi atomistici che doche (1998). alla Biennale di Venezia, al Cantiere d’Arte Internazionale di porta a un dissolvimento del La strategia musicale dei laMontepulciano, alla Casa degli Artisti di Tenno (Trento) e al concetto di nesso musicale.◼ vori degli anni novanta è quelCircolo Artistico di Jesolo.