La scultura raccontata da Rudolf Wittkower da di Rudolf Wittkower Storia dell’arte Einaudi 1 Edizione di riferimento: La scultura raccontata da Rudolf Wittkower. Dall’antichità al Novecento, trad. it. di Renato Pedio, Einaudi, Torino 1985 e 1993 Titolo originale: Sculpture. Processes and principles, Penguin Books Ltd, London © 1977 Margot Wittkower Storia dell’arte Einaudi 2 Indice xii. Il ventesimo secolo Bibliografia 4 21 Storia dell’arte Einaudi 3 Capitolo dodicesimo Il ventesimo secolo Ho suggerito che gli scultori dell’inizio del xx secolo tornassero ad avvertire la netta consapevolezza della dicotomia tra intaglio e modellato, e, a preludio di un’ulteriore ricerca, ho citato una certa frase di Eric Gill, in un saggio del 1918. Tutti conosciamo l’importanza del Gill come rinnovatore del linguaggio classico. Oggi, però, la sua opera plastica è scarsamente ricordata. Ma esistono eventi nella sua vita di scultore che rivestono interesse speciale nel contesto di queste conversazioni. L’amico e patrono tedesco del Gill, il conte Harry Kessler, ritenne che egli avrebbe tratto beneficio lavorando per qualche tempo sotto il Maillol a Parigi. Ora, il Maillol, che apparteneva a una generazione piú anziana (era di vent’anni piú vecchio del Gill: 1861-1944), era un modellatore; impiegava degli intagliatori per trasferire i modelli nella pietra, mediante macchine a pantografo. Al Gill, invece, interessava unicamente l’intaglio diretto della pietra. Si recò a Parigi per cominciare il suo apprendistato col Maillol: ciò accadde nel 1910, quando aveva ventotto anni. Ma, proprio la prima notte che vi trascorse, mosso da un impulso subitaneo, si precipitò alla Gare Saint-Lazare e ritornò a Londra. Il Gill spiegò il suo strano comportamento in una lettera di scuse al Kessler, nella quale diceva: «Quel che mi serve apprendere riguarda gli utensili e l’uso degli utensili: lo scalpello e il mazzuolo e quanto essi sono Storia dell’arte Einaudi 4 Rudolf Wittkower - La scultura raccontata da Rudolf Wittkower capaci di fare. Da Maillol non posso impararlo. Sarebbe infinitamente meglio se potessi andare a fare apprendistato dal piú abile e dal piú banale di questi scalpellini di monumenti, imparando a tirar fuori angeli idioti dal marmo bianco». È un episodio davvero interessante. Non v’è dubbio che, entro la giovane generazione d’artisti, si propagava la febbre dell’intaglio. Mi sia consentito di presentare uno scultore italiano, Adolfo Wildt, piuttosto alla moda fra le due guerre. Di nuovo non illustrerò alcuna sua opera, ma citerò dal suo libretto, L’arte del marmo, comparso nel 1922, che è una delle sintesi piú concise e caratteristiche dell’epoca. Il Wildt punta sul fatto che il modellatore deve concretare due metamorfosi diverse. In primo luogo, se lavora soltanto in terracotta e desidera che il suo modello venga realizzato in marmo, la sua concezione, che egli ha espresso in un materiale molle, grasso, scuro, sarà tradotta, da chi fa il calco in gesso, in un materiale duro, bianco, opaco, vale a dire che tutte le precedenti relazioni di luce e d’ombra muteranno, ed implicitamente muterà pure l’effetto spaziale dell’opera, nonché l’aura specifica di spiritualità che ogni statua crea intorno a sé. La seconda trasformazione ha luogo quando un tecnico trasferisce il calco dal gesso al marmo. Tutte le forme vengono tradotte meccanicamente, e – si deve aggiungere – brutalmente, nel materiale vivo, splendido, vibrante, che assorbe la luce, di modo che si ha di nuovo un’alterazione completa di tutti i valori. Successivamente, egli confronta i metodi di lavoro di Michelangelo e del Canova, e attribuisce l’«invincibile atmosfera di freddezza che nasce dalle opere canoviane» all’uso del pantografo. Il Wildt concludeva che uno scultore che non sappia intagliare è simile a un pittore che non sappia dipingere. Sia pure, e allora? Il Wildt ci raccomanda un proprio personale procedimento. Ci spiega che una statua andrebbe lavorata egualmente da tutti i Storia dell’arte Einaudi 5 Rudolf Wittkower - La scultura raccontata da Rudolf Wittkower lati, senza che nessuna parte risulti in fase piú avanzata delle altre. Come si vede, ciò è completamente diverso dal procedimento di Michelangelo e del Rinascimento; si tratta, di fatto, di un ritorno ai metodi primitivi o arcaici d’intaglio: si potrà rammentare che la statua greca non finita del vi secolo a. C. venne lavorata così. Sulle prime, si può restare stupiti trovando una simile raccomandazione in un libro del xx secolo. Ma, ripensandoci, ci si rende conto che in tale raccomandazione c’è una certa logica; infatti, il Wildt e i suoi contemporanei erano gli eredi non soltanto del messaggio dell’apostolo dell’intaglio diretto, Hildebrand, ma anche di Rodin, il genio torreggiante dell’Ottocento, il gigante che si erige sul limitare, ed oltre, del xx secolo, il quale aveva impiegato procedimenti meccanici. La nuova generazione degli scultori, mentre non sapeva che farsene del suo procedimento, non poteva però sfuggire all’impatto delle sue idee. Per essa, come per lui, la scultura era impegnata nella massa che irradia in tutte le direzioni. Consideriamo ora il russo-americano Alexander Archipenko (1887-1964). Era arrivato a Parigi nel 1908, in un momento in cui – come egli stesso diceva – Rodin era à la mode. Egli odiava il vecchio maestro, le cui opere gli ricordavano del pane masticato, sputato poi su un basamento. La sua opera era del tutto affrancata da convenzioni realistiche; eppure, nel secondo e nel terzo decennio, creò lavori dotati di un numero infinito di vedute parimenti valide; il che dimostra inaspettatamente l’affinità, profondamente radicata, tra lui e Rodin. Il rumeno Constantin Brancusi (1876-1957), stabilitosi a Parigi nel 1904, nutriva nei riguardi di Rodin un atteggiamento ambivalente. Posso immediatamente aggiungere che la stessa cosa vale per il piú giovane Jacques Lipschitz (1891-1973); egli venne dalla Lituania a Parigi nel 1909 e visse piú tardi a New York e in Italia. Storia dell’arte Einaudi 6 Rudolf Wittkower - La scultura raccontata da Rudolf Wittkower Rodin cercò di attrarre Brancusi nel suo studio, ma il giovane rifiutò. «Non si può crescere all’ombra dei grandi alberi», disse. Ma il suo rifiuto di Rodin andava assai piú a fondo. Brancusi, infatti, si dedicava totalmente all’intaglio: «l’intaglio diretto è la strada maestra della scultura», proclamava. Il peso morale della sua convinzione, e l’unilateralità con la quale seguí il sentiero della virtú, ne fanno uno dei grandi pilastri dell’età eroica della scultura moderna. In uno dei suoi scritti, Henry Moore ha dichiarato: «Dopo il Gotico, la scultura europea è stata sepolta dalla crescita del muschio, delle erbacce: ogni tipo di escrescenze di superficie, che hanno celato completamente la forma... missione specifica di Brancusi è stata di liberarsi di queste escrescenze, e di renderci nuovamente consapevoli della forma». Brancusi, poco dopo aver abbandonato l’imitazione, allora corrente, della natura, scolpí in pietra Il bacio (oggi al Philadelphia Museum of Art), probabilmente come risposta deliberata a Il bacio di Rodin. Ciò accadeva nel 1908. Solo indicazioni minime delle due figure tronche (la parte inferiore delle gambe non viene mostrata) sono incise nel blocco rettangolare. Non c’è interferenza con la massa cubica della pietra, eppure il tema è definito in modo inequivocabile. Scolpendo questo pezzo, Brancusi era evidentemente dominato dal procedimento arcaico. Il suo Uccello, scolpito in marmo nel 1912 (anch’esso oggi a Filadelfia) risultò, in larga misura, da procedimenti abrasivi. Egli continuò a ripercorrere la forma finché non ebbe ottenuto una superficie polita di tale perfezione e finezza che l’osservatore sperimenta un intenso desiderio di assaporarne la forma in circuito ininterrotto: e neppure un capello interferirà con il suo godimento di quella forma. Spero non si consideri irresponsabile da parte mia giustapporre ora all’Uccello di Brancusi il primo studio in argilla di Rodin per il suo Balzac nudo. Benché evi- Storia dell’arte Einaudi 7 Rudolf Wittkower - La scultura raccontata da Rudolf Wittkower dentemente nessuno, che sia sano di mente, sia disposto a stabilire un collegamento fra questi due pezzi, pure nell’uno e nell’altro si ha un consimile anelito di conseguire la forma mediante un numero infinito di profili: forma che irradia dall’interno. Molto piú tardi, Brancusi si rese conto di quanto dovesse a Rodin. Nel 1928 scrisse: «Senza le scoperte di Rodin, il mio lavoro sarebbe stato impossibile». Per quanto possa sembrare improbabile, l’Uccello di Brancusi è direttamente in debito con Rodin. L’Uccello è un frammento: non ha zampe e, ciò che è piú significativo, non ha testa. La scoperta che la parte può rappresentare il tutto era di Rodin, e Brancusi, con schiere di altri scultori, accettò la premessa. All’opposto di Michelangelo, le cui opere «non finite» non erano state finite, Rodin creò figure parziali che sono tutto il prodotto finito. Ciò esigeva una nuova forma (possiamo definirla moderna) di autoanalisi e d’introspezione, poiché l’artista doveva sviluppare un controllo sofisticato dell’atto creativo. Volgiamoci ora da Brancusi a un maestro piú giovane, Henry Moore (nato nel 1898). Le sue opinioni potrebbero facilmente confondersi con quelle di Rodin, ad esempio quando scrive: «lo scultore visualizza mentalmente una forma complessa a tutto tondo: mentre guarda un lato, egli sa a che cosa somiglia l’altro lato; s’identifica con il suo centro di gravità, la sua massa, il suo peso». Ora, Moore è intagliatore; un intagliatore deciso, si può dire, quanto lo stesso Brancusi. Le stesse parole di Moore mostrano che egli mira ad idealizzare le finalità scultoree supreme di Rodin; e che sta cercando di realizzarle per mezzo del metodo artigianale dell’intaglio diretto della pietra; e che, cosí facendo, senza saperlo sta seguendo le orme di Hildebrand. Il procedimento artigianale rinascimentale di Hildebrand, tuttavia, come si ricorderà, conduceva a figure dotate di un’unica veduta principale. Dopo che Brancusi, Storia dell’arte Einaudi 8 Rudolf Wittkower - La scultura raccontata da Rudolf Wittkower Moore e molti dei loro compagni del xx secolo si sono impegnati nella «verità cubica» (per impiegare la frase di Rodin), verità cubica che viene rivelata all’osservatore attraverso punti di vista multipli, il metodo d’intaglio del Rinascimento non ha piú potuto essere impiegato. Abbiamo già visto che Brancusi, nel 1912, impiegava il procedimento raccomandato dieci anni piú tardi nel libretto del Wildt. È un fatto che se un intagliatore (non un modellatore) intende creare una forma «visualizzata a tutto tondo», deve lavorare continuamente attorno a questa forma secondo un processo lento e laborioso, nel quale gli abrasivi hanno un ruolo importante. Deve, inoltre, pensare per grandi forme solide e semplici, poiché nessuno ha potuto o può scolpire direttamente nella pietra opere come il Ratto delle Sabine del Giambologna, o Il bacio di Rodin. La Vergine col Bambino di Moore, per la chiesa di San Matteo a Northampton, terminata nel 1944, esemplifica quanto abbiamo appena osservato. A differenza del procedimento, sul tipo del rilievo, di Michelangelo, ma in corrispondenza con l’opera dell’antico intagliatore, Moore completava una fase dopo l’altra, sempre intorno all’intera massa della pietra, esattamente nel modo descritto da Wildt. L’entusiasmo genuino degli scultori del xx secolo per le opere delle cosiddette civiltà primitive o antiche, con le loro forme semplici, squadrate, non costituiva semplicemente una reazione contro l’ideologia classica esasperata, né la nuova grande forma (quale la vediamo nell’opera di Moore) è semplicemente una reazione all’impressionismo di Rodin: si deve asserire con la massima energia che il nuovo approccio alla scultura era saldamente radicato nella tradizione europea: si verificò quando intagliatori genuini reinterpretarono le dottrine del modellatore supremo, Rodin. Storia dell’arte Einaudi 9 Rudolf Wittkower - La scultura raccontata da Rudolf Wittkower Ho già osservato che nei primi anni di questo secolo stava scoppiando una vera e propria febbre dell’intaglio. Per gli scultori fu simile a un’abluzione, a un atto di purificazione, fu una necessità morale. Pertanto sembrerebbe che non soltanto valga la pena, ma sia pure storicamente corretto esaminare la situazione da questo punto di vista. Qui, però, potrò soltanto aggiungere qualche osservazione di vario tipo per far bene intendere quanto fosse diffusa tra gli scultori la sensazione, o piuttosto la convinzione, che qualsiasi rinnovamento dipendesse dall’intaglio diretto. Un pittore come Modigliani (1884-1920), proveniente da Livorno, che si stabilì a Parigi nel 1906 e fu pure un notevole scultore, dichiarò perentoriamente che l’unico modo per salvare la scultura consisteva nel ricominciare a scolpire. Oppure si prenda, da una piú giovane generazione, l’americano John Flannagan (1895-1942), che ritornò all’antica concezione dell’immagine celata entro la pietra, e l’ancor piú giovane austriaco Fritz Wotruba (nato nel 1907), per molti anni direttore della scultura presso l’Accademia di Vienna. Egli opera con forme geometriche organizzate in modo da suggerire la disposizione di una positura classica, che possono chiamarsi illustrazioni schematiche, del xx secolo, delle concezioni di Hildebrand. Fu lui a ri-coniare energicamente la locuzione rinascimentale della figura potenzialmente nascosta entro il blocco di marmo, con queste parole: «Il punto, quando si lavora direttamente sulla pietra è... di costringere l’immagine ad emergere, chiaramente e semplicemente». Mi si consenta di concludere quest’elenco con la voce di Barbara Hepworth, che, nel 1952, lanciò il seguente messaggio: «Rifiuto assolutamente la recente tendenza a trascurare l’atto dell’intaglio come anacronistico o non contemporaneo. Per me l’intaglio è un approccio necessario: è una sfaccettatura dell’intera idea, che rimarrà valida per sempre». A parte la comune e fervida fede Storia dell’arte Einaudi 10 Rudolf Wittkower - La scultura raccontata da Rudolf Wittkower nella necessità dell’intaglio, gli scultori del xx secolo dovevano emanare molti messaggi diversi. Ciò è ovvio per chiunque possieda una conoscenza anche superficiale delle opere di scultura delle ultime due generazioni. Menzionerò qualche nome ulteriore e insisterò su alcuni problemi; ma, prima di farlo, sento la necessità di tornare per un istante al Maillol (1861-1944), il quale, come Rodin, era un modellatore. Eppure, egli è sempre e giustamente citato come l’antagonista francese piú importante di Rodin. Ne sono ben note le figure femminili monumentali, statiche, massicce, create nello spirito dell’antichità classica. Il Maillol era stato educato alla pittura; cominciò a scolpire da autodidatta all’inizio degli anni novanta dell’Ottocento e continuò imperterrito per la sua strada. Sosteneva che, a differenza di Rodin, aveva tratto i suoi criteri di bellezza non dal carattere, ma dalla bellezza stessa. Pertanto poneva il suo metodo di lavoro in contrapposizione a quello di Rodin. Anziché cominciare, come Rodin faceva, da una posa di un modello in movimento che avesse colpito la sua fantasia, il Maillol in primo luogo chiariva nella mente la propria concezione. S’interessava esclusivamente della struttura, dell’equilibrio del corpo umano e soprattutto di quello femminile, e non, come Rodin, del movimento e della fluidità delle forme. Il risultato, potrebbe argomentarsi, è che il lato concettuale della sua opera si accostava assai a quello di Hildebrand (ovviamente, non sto qui parlando di qualità), e che i principî della sua arte erano quelli di un intagliatore piú che di un modellatore. È per tale ragione che Eric Gill, malgrado la sua opposizione al Maillol, poté scrivere: «Maillol possiede una visione che io sento in gran parte identica alla mia». Il piú anziano del piccolo gruppo di scultori che desidero menzionare è l’eccellente Ernst Barlach (1870-1938), espressionista tedesco di grande potenzia- Storia dell’arte Einaudi 11 Rudolf Wittkower - La scultura raccontata da Rudolf Wittkower lità drammatica. Fu sulle prime intagliatore di legno, ma alcune tra le sue opere sono state gettate in bronzo, come il Guerriero del 1910 e il Fuggitivo del 1920. Condivideva con i veri e propri intagliatori di quest’epoca una sensibilità infallibile per le grandi forme plastiche unificanti, per il profilo semplice, straordinariamente efficace, e si potrebbe persino supporre che egli accettasse il principio di Hildebrand del carattere di rilievo progressivo della scultura tridimensionale. Mentre Barlach rimaneva fedele al suo stile e alla sua terra, la Germania settentrionale, il suo conterraneo Hans Arp (1887-1966) si era ambientato completamente a Parigi, aveva preso la cittadinanza francese e aveva svolto un ruolo considerevole nei mutamenti caleidoscopici dell’arte moderna: il Cubismo, il Dadaismo, il Surrealismo, che egli agevolmente rappresentò. Siamo qui interessati al fatto che si impegnò per la prima volta nell’opera tridimensionale nel 1930. Egli stesso disse, a proposito di questo momento della sua carriera: «Improvvisamente... il corpo, la forma, l’opera perfetta al grado supremo divennero, per me, tutto. Nel 1930 ritornai all’attività che con tanta esattezza i tedeschi chiamano Hauerei» (vale a dire, «cavare»: l’intaglio diretto). Primi prodotti ne furono due torsi. Tali figure hanno forme profilate in modo estremamente efficace, di grandissima semplicità e ritmo, che ricordano strettamente Brancusi e ne sono pochissimo influenzate. Arp continua: dopo i torsi vennero le «concrezioni». Chiamò concrezioni, secondo James Thrall Soby, «il coagularsi della terra e dei corpi celesti ». Illustro il gesso Concrezione umana del 1935 (riprodotto in pietra nel 1949), proveniente dal Museum of Modern Art di New York. È una configurazione libera che vagamente suggerisce forme umane. Anche senza tali reminiscenze, semplicemente come forma astratta, come evocazione corrispondente alla legge del caso, possiede una qualità scul- Storia dell’arte Einaudi 12 Rudolf Wittkower - La scultura raccontata da Rudolf Wittkower torea ricca ed estremamente allettante, ed invita a considerarlo da ogni lato. Un altro pezzo, dal titolo Umano lunare spettrale, è in granito rosa, ed è stato chiamato il piú efficace torso di Arp. Venne scolpito nel 1950 e si trova oggi al Museo di Rio de Janeiro. Albert Elsen, attualmente il migliore studioso di Rodin, ritiene che esso possa persino presentare connessioni con Rodin. Comunque sia, Elsen riferisce, da conversazioni personali, che Arp ammirava molto il grande artista. Malgrado il contrasto profondo tra i due, Elsen ci dice che Arp, stando con lui di fronte alle Porte dell’inferno di Rodin, fece notare la bellezza di molti tra i frammenti del portale. Mi sia consentito di citare le interessanti conclusioni di Elsen: «C’è un’esuberanza e una vitalità nei torsi di Arp che sfida quasi quelli di Rodin. Rodin verbalmente, e talvolta nei disegni, asseriva analogie tra i suoi modelli e fiori, nuvole, vasi. Toccò ad Arp incarnare nella scultura lo spirito delle metafore di Rodin». Non cercherò qui di verificare la verità di quest’asserzione alquanto poetica. Ma non può dubitarsi che Arp, scultore appassionato e creatore di forme poetiche astratte, fosse profondamente impressionato da Rodin, e da lui influenzato. Potrei facilmente dar nome a diversi casi di scultori americani dotati e ben conosciuti che hanno operato sotto l’influsso fortissimo di Brancusi, ma dovrò limitarmi a menzionare Sidney Geist (nato nel 1914), il quale inoltre ha pubblicato, nel 1968, la migliore monografia su Brancusi. È interessante ascoltare lo stesso Geist. Aveva diciannove anni quando vide una grande mostra di Brancusi a New York e ne ammirò alcune tra le opere esposte, asserendo però che in quell’epoca esse non influenzarono il suo atteggiamento, «non, almeno, in un modo di cui io fossi consapevole. Brancusi era troppo remoto, era una stella che risplendeva in una galassia lontana. Anche Rodin era qualcosa che io non Storia dell’arte Einaudi 13 Rudolf Wittkower - La scultura raccontata da Rudolf Wittkower avevo modo di toccare; se Brancusi era ghiaccio, Rodin era fuoco. Molto piú vicini ai miei interessi erano Lehmbruck e Nadelman. Ma l’opera che ammiravo soprattutto era la vecchia figura stante di Lachaise, Elevazione». È interessante che Gaston Lachaise, scultore franco-americano (1882-1935) ben noto a tutti i visitatori del Museum of Modern Art di New York, evolvesse il suo stile fortemente idiosincrasico e personale fondendo, per così dire, Rodin con Brancusi. Ma è giunto il momento di volgersi all’altra faccia della medaglia. Sarebbe errato ritenere che fra gli scultori moderni non esistano modellatori convinti e decisi. Credo che il partigiano piú eloquente del modellato fosse Epstein (1880- 1959), cui pertanto lascerò la parola: C’è apparentemente qualcosa di romantico nell’idea della statua imprigionata nel blocco di pietra, dell’uomo che gareggia con la natura... Secondo le concezioni moderne, in questo campo Rodin non esiste. È apprezzato come modellatore di talento, persino di genio, ma semplicemente come modellatore... Personalmente, trovo del tutto futile, e vaga, tutta la discussione circa il modellare e l’intagliare. È il risultato, dopo tutto, che conta. Tra i due modi, il modellare, si potrebbe arguire logicamente... a me sembra il piú genuinamente creativo. È la creazione di qualcosa dal nulla... Nell’intaglio il suggerimento formale dell’opera spesso proviene dalla configurazione del blocco. Di fatto, l’ispirazione viene sempre mortificata dal materiale, non vi è libertà completa, mentre nel modellato l’artista è perfettamente indipendente da tutto, tranne le difficoltà tecniche del soggetto che ha lui stesso scelto. A mio modo di vedere, la scultura non deve essere rigida. Deve fremere di vita, mentre spesso l’intaglio conduce a trascurare il flusso e il ritmo vitale. Storia dell’arte Einaudi 14 Rudolf Wittkower - La scultura raccontata da Rudolf Wittkower Epstein sottolinea altri punti che, quantunque non nuovi per noi, vale la pena di ripetere: «Nell’intaglio ogni movimento ha una sua finalità assoluta. È impossibile cancellare e ricominciare. La lotta con il materiale impone una tensione costante. Un improvviso cedimento, una debolezza, può distruggere un anno di lavoro». Per gli intagliatori genuini erano, ovviamente, appunto queste sfide a tenerli costantemente in uno stato teso di coscienza. Epstein ci dice pure di essersi volto alla scultura a causa del grande desiderio «di vedere le cose a tutto tondo, e di studiare la forma nei suoi vari aspetti, da angoli diversi», punto questo sul quale ritorna piú volte. La difesa intelligente e vivace del modellato, da parte di Epstein, veniva dal cuore. Egli era essenzialmente un modellatore, che scaturiva in linea diretta da Rodin, e nel 1942 aveva persino avuto il coraggio e la saggezza di dire che Rodin «spingeva la scultura su un sentiero che essa sta ancora seguendo o che ha sviluppato dal suo fecondo esempio». La sua ammirazione per Rodin era senza limiti; lo chiamava «il massimo maestro dell’epoca moderna». Nelle superfici modellate liberamente dei busti-ritratto di Epstein avvertiamo l’impasto dell’argilla o della cera che egli quasi mai cercava di nascondere o di sopprimere: al contrario per lui era questo il modo di far sí che la superficie « fremesse di vita», secondo le sue parole. Non sorprende pertanto che Epstein gettasse i suoi ritratti in bronzo, poiché il calco in bronzo reca alla luce tutte le finezze dell’arte del modellatore, e così la superficie manifesta per sempre la speciale calligrafia dell’artista che egli – per cosí dire – ha scritto nel materiale molle del modello in argilla. Epstein non faceva che continuare una modalità di realizzare i ritratti che tanto ben conosciamo da Rodin e da molti altri suoi seguaci. Per i modellatori, specialmente per quelli che non Storia dell’arte Einaudi 15 Rudolf Wittkower - La scultura raccontata da Rudolf Wittkower erano scultori professionisti, il calco in bronzo costituiva, ovviamente, l’unico modo di preservare le proprie invenzioni. Si può rammentare che il grande Daumier (1808-79) si volse al modellato in argilla prima della metà del xix secolo, conseguendo nel trattamento del materiale molle una libertà che a quel tempo non aveva eguali. Quando Degas morì, nel 1917, nel suo studio esistevano circa centocinquanta modellini in cera ed argilla. Molti vennero rotti o danneggiati (la maggior parte di quelli che rimangono si trovano ora in una stanza speciale della casa di Paul Mellon a Upperville, in Virginia). Soltanto settantatre erano adatti alla colata, e alcune collezioni tra le piú importanti ne posseggono l’intera serie. Questi bronzi sono miracoli dell’arte del modellato ed è ancora la calligrafia dell’artista che plasma il materiale umido, pastoso, tale da incantare l’osservatore: qualità che il bronzo ci ha preservato. Anche il tardo Renoir si volse alla scultura: la Tate Gallery possiede una delle sue piú splendide opere plastiche, la Lavandaia in ginocchio, scala al vero, del 1917. In quel tempo Renoir era tanto tormentato dall’artrite che, oltre al fonditore in bronzo, dovette servirsi di un modellatore italiano. Nondimeno, queste opere recano i segni inconfondibili del suo stile autografo e possono persino essere riconosciute per sue anche da coloro che di lui conoscano soltanto i quadri. La lista dei pittori cui serviva il modellato come integrazione della loro opera dipinta è assai lunga. Gauguin e Braque hanno operato occasionalmente con questo medium, e così pure Matisse. Quest’ultimo era piú impegnato degli altri ed esistono una settantina di bronzi suoi. Nel 1900 aveva studiato per breve tempo col Bourdelle e in questo modo si era esposto all’influsso di Rodin. Nel caso di Matisse, non è facile come con Renoir riconoscere spontaneamente un legame tra i dipinti e le sculture. Il suo Schiavo, alto poco piú di Storia dell’arte Einaudi 16 Rudolf Wittkower - La scultura raccontata da Rudolf Wittkower novanta centimetri, probabilmente modellato tra il 1900 e il 1903 e non fuso prima del 1908, mostra che cosa egli ricercasse. La superficie aspra, vibrante, tremolante, trattata alla maniera di Rodin, rivela il modellatore consumato. Le braccia erano state deliberatamente abolite in modo che il profilo aspro si potesse cogliere con facilità. La figura illustra il detto di Matisse: «Piú piccolo è il pezzo di scultura, piú devono comparirvi gli elementi essenziali della forma». Inoltre, l’amputazione era di moda, come ho già osservato, e di nuovo a causa dell’esempio di Rodin. Di fatto, lo Schiavo di Matisse deriva direttamente da Rodin: appare un rifacimento del rivoluzionario Uomo in cammino di Rodin del 1877, quel torso determinato ed urlante senza né braccia né testa. Vorrei menzionare, infine, almeno due modellatori italiani, e precisamente Umberto Boccioni (1882-1916), il ben noto artista futurista, e Medardo Rosso. Boccioni fu autore dei manifesti della pittura futurista del 1910. Nel 1911-12 si volse alla scultura e l’11 aprile 1912 pubblicò il suo Manifesto della scultura futurista. I suoi pezzi vennero esposti per la prima volta a Parigi nell’estate del 1913 e il suo bronzo dal titolo Forme uniche della continuità dello spazio è probabilmente l’opera piú caratteristica che ce ne sia rimasta. La sua scultura, egli asseriva, non offre una serie di profili rigidi, di silhouettes immobili. Ogni profilo reca in sé una chiave per gli altri profili. Il suo grande grido era: basta col passato dalla Grecia a Rodin. Sostituiamo il gioco ignominioso della tradizione con una continuità dinamica delle forme, con un’estensione della scultura nello spazio, e spezzando l’omogeneità dei materiali: «In scultura come in pittura non si può rinnovare se non cercando lo stile del movimento... e questa sistematizzazione delle vibrazioni delle luci e delle compenetrazioni dei piani produrrà la scultura futurista... spalanchiamo la figura e chiudiamo in essa l’ambiente», e così via. Storia dell’arte Einaudi 17 Rudolf Wittkower - La scultura raccontata da Rudolf Wittkower Riflettendo, e considerando il risultato dalla distanza di quasi sessant’anni, possiamo vedere in quale misura Boccioni e i suoi amici futuristi fossero legati alla modalità espressiva tradizionale; poiché, di fatto, un simile pezzo non è né piú né meno che un esercizio di modellato. Non si può negare l’interesse storico di questo tipo di oggetto, poiché in esso vediamo riflettersi le serie lotte di una grande generazione, quantunque non si possano piú condividere gli entusiasmi dell’avanguardia precedente la prima guerra mondiale. L’unico scultore della piú antica generazione che Boccioni accettasse era Medardo Rosso (1858-1928), artista, per la verità, di prim’ordine e, a detta di Boccioni, «il solo grande scultore moderno che abbia tentato di aprire alla scultura un campo piú vasto, di rendere con la plastica le influenze di un ambiente e i legami atmosferici che lo avvincono al soggetto». Anche Rosso aveva cominciato come pittore e si era volto alla scultura solo nel 1883. Il suo materiale favorito era la cera, con la quale produceva superfici vibranti, palpitanti, che sembrano fondersi con l’ambiente. Egli venne sicuramente influenzato da Rodin (fu a Parigi dal 1884 al 1886), il che è pure dimostrato dal suo impegno impressionistico con la luce che gioca sulle forme. Ma la sua opera è piú fluida, piú spettrale ed eterea di quella di Rodin. Inoltre, a contrasto con Rodin e con la maggior parte dei modellatori, egli preferiva un punto di vista singolo e un fuoco centrale. L’intuito di Rosso per la raffinatezza e la delicatezza delle superfici sopravvive nell’opera di Giacomo Manzú (nato nel 1908), probabilmente lo scultore italiano piú importante di oggi. Benché, artisticamente parlando, l’esperimento futurista fosse un vicolo cieco, il manifesto di Boccioni rivelava una comprensione intuitiva della scena contemporanea. Archipenko, poco dopo il suo arrivo a Parigi nel 1908, cominciò a realizzare sculture in materiali traspa- Storia dell’arte Einaudi 18 Rudolf Wittkower - La scultura raccontata da Rudolf Wittkower renti, incorporandovi concavità e «buchi». Egli rifletté moltissimo su questi materiali e concluse che i ruoli consueti del pieno e del vuoto vanno invertiti: «tradizionalmente, si credeva che una scultura cominci dove il materiale tocca lo spazio. Cosí, lo spazio veniva inteso come una specie di cornice intorno alla massa... Conclusi che la scultura può cominciare quando lo spazio è avviluppato dal materiale». Boccioni sostituiva quest’idea di inversione di pieno e vuoto col concetto di interpenetrazione: «nessuno può piú dubitare che un oggetto finisca dove un altro comincia». Dev’esserci, continuava, l’assoluta e completa abolizione della linea finita e della statua chiusa. Spalanchiamo la figura e chiudiamo in essa l’ambiente... quindi gli oggetti non finiscono mai e si intersecano con infinite combinazioni di simpatia e urti di avversione». Ne potremmo concludere che l’età spaziale si sta profilando, e che pertanto molti scultori s’impegnano nella relazione tra la massa e lo spazio e nel significato dello spazio. Il passo successivo è il Manifesto realista di Gabo del 1920. Esso comincia così: «Neghiamo il volume come espressione dello spazio... Neghiamo la massa fisica come elemento plastico... Consideriamo lo spazio come un elemento nuovo e assolutamente plastico, una sostanza materiale... Lo spazio diviene così uno degli attributi fondamentali della scultura». Poi, ci si potrebbe volgere al Manifesto di Moholy-Nagy del 1922, pubblicato su «Der Sturm». Egli parla dell’attivazione dello spazio mediante un sistema dinamico-costruttivo di forze, della sostituzione del principio statico dell’arte col principio dinamico della vita universale, della creazione di opere d’arte in libero moto. Tali sogni costruttivisti vennero piú tardi realizzati nei «Mobiles» di Alexander Calder. Da qui si potrebbe passare a Julio Gonzalez (1876-1942), che intorno al 1930 cominciò ad eseguire sculture in ferro di forma aperta e proclamò: «Proget- Storia dell’arte Einaudi 19 Rudolf Wittkower - La scultura raccontata da Rudolf Wittkower tare è disegnare nello spazio con l’aiuto di nuovi metodi, utilizzare questo spazio e costruire con esso, quasi si trattasse di un materiale di nuova acquisizione: questo è tutto ciò che io tento». Gonzalez fu un pioniere nell’uso del ferro saldato. Picasso, Calder, David Smith, Theodore Roszak e molti altri lo hanno seguito e hanno portato, negli anni quaranta e negli anni cinquanta, a una nuova età del ferro. Concluderò con alcune osservazioni di David Smith, che ebbe un immenso successo e un’immensa influenza, e morí ancor giovane nel 1965: « Oggi, esteticamente parlando, non riconosco linee di separazione tra pittura e scultura. Lo scultore non è piú limitato al marmo, al concetto monolitico, ai frammenti classici. Le sue concezioni sono libere come quelle del pittore... Non vi è differenza concettuale tra pittura e scultura». Guardiamo le cose in faccia: in ultima analisi, Smith protesta contro la definizione di Michelangelo del modellato come cosa pittorica, vale a dire come attività non-plastica. Altre voci consimili non sono rare. C’è Lipschitz («non vedo alcuna differenza tra scultura e pittura»), ci sono Epstein e Giacometti, e, a coronamento, c’è Sartre, la cui condanna del tipo di scultura di cui ci siamo occupati è devastante: le statue tradizionali «vi gettano negli occhi la loro greve eternità. Ma l’eternità della pietra è sinonimo d’inerzia; è un eterno... ora». Una nota, questa, a me sembra, appropriata a concludere la mia rassegna. So di aver tracciato, semplicemente, un puro schizzo delle nuove idee che si sono battute, e ancora si stanno battendo, con tanta forza contro i pensieri che hanno impegnato le menti degli uomini per diverse migliaia d’anni e in tutta Europa; ma fare di piú sarebbe stato trasgredire i limiti del compito che mi ero imposto. Storia dell’arte Einaudi 20 Bibliografia i. L’antichità. adam, s., The Technique of Greek Sculpture in the Archaic and Classical Periods, London 1966. agard, w. r., The Greek Tradition in Sculpture, Johns Hopkins University Studies, 1930, n. 7. blümel, c., Griechische Bildhauer an der Arbeit, Berlin 1927 (trad. ingl. 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