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scheda tecnica
durata:
107 MINUTI
nazionalità:
STATI UNITI
anno:
2008
titolo originale:
WHAT JUST HAPPENED?
regia:
BARRY LEVINSON
soggetto:
ART LINSON (dal suo libro “"What Just Happened?
Bitter Hollywood Tales from the Front Line")
sceneggiatura:
ART LINSON
fotografia:
STÉPHANE FONTAINE
montaggio:
HANK CORWIN
scenografia:
STEFANIA CELLA
costumi:
DAVID DAVENPORT
musiche:
MARCELO ZARVOS
effetti:
JOSH HAKIAN, MIKE UGUCCIONI
produzione:
MARK CUBAN, ROBERT DE NIRO, ART LINSON E JANE
ROSENTHAL PER 2929 PRODUCTIONS, TRIBECA
PRODUCTIONS, ART LINSON PRODUCTIONS
interpreti: ROBERT DE NIRO (BEN), STANLEY TUCCI (SCOTT SOLOMON), JOHN
TURTURRO (DICK BELL), KRISTEN STEWART (ZOE), CATHERINE KEENER (LOU
TARNOW),
(CAL),
ROBIN WRIGHT PENN (KELLY), MARIN HINKLE (ANNIE), PETER JACOBSON
DEV YOUNG (MARILYN), MARK IVANIR (JOHNNY), ALESSANDRA DANIELE
(SOPHIE),
LOGAN GROVE (MAX), ARI BARAK (ABA PETERSON), SEAN PENN (SE STESSO),
BRUCE WILLIS (SE STESSO)
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la parola ai protagonisti
De Niro, è vero che l'idea di trasformare il libro di Linson in un film è stata sua?
DE NIRO: Sì. Leggendolo mi sono fatto un sacco di risate. E ho scoperto una prospettiva sui
meccanismi dell'industria di Hollywood che da attore non conoscevo. Ho detto ad Art: prova a farne una sceneggiatura, se ci riesci recito nel tuo film.
Il vostro ritratto di Hollywood è decisamente sopra le righe.
LINSON: Molti amici dell'ambiente mi hanno accusato di aver fatto una commedia troppo bonaria,
loro vivono una quotidianità molto più feroce e con meno senso. La mia intenzione era di far capire alla gente ï come ci si sente a stare in mezzo a questo mondo che da lontano sembra tanto
sfavillante.
DE NIRO: Abbiamo dovuto togliere alcuni episodi, ci sembravano esagerati anche se erano totalmente veri. A differenza di Art, io non appartengo alla vita di Los Angeles, mi ritengo sostanzialmente un newyorkese. Fin dai tempi di Mean Streets, girato in entrambe le città, ho capito che a
New York si sarebbe svolta la mia vita vera, mentre Los Angeles sarebbe rimasta una metropoliazienda. Non ho mai tentato di esplorarla, al di fuori dei circuiti lavorativi.
Com'è cambiata l'industria del cinema dagli anni Sessanta, quando avete cominciato?
LINSON: Fare un film è difficile allo stesso modo, ma in più oggi c'è il problema dei costi. Talmente alti da inibirti dal prender qualsiasi decisione rischiosa. E, nel momento stesso in cui inizi a
pensare che tutto sta diventando troppo tosto per te, sei già fuori dal business.
DE NIRO: Però oggi ci sono molti più produttori indipendenti, quando ho iniziato non esistevano.
Questo significa la possibilità di una maggiore qualità dei film e più scelta per il pubblico.
LINSON: Già, ma da quando le major sono entrate nel business del cinema indipendente, i costi
sono lievitati anche lì.
Avete avuto mai paura, come il protagonista del film, di perdere la vostra posizione a Hollywood?
LINSON: Certo. A parte una manciata di intoccabili, come Bob, il novanta per cento di noi punta
alla sopravvivenza quotidiana. C'è una scena in cui il personaggio interpretato da Turturro, un
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agente che soffre di disordini intestinali, ha una crisi di nervi perché non riesce a governare i capricci della star. Bob nel film gli dice: "La verità è che hai paura del tuo cliente". E lui, in una
squallida stanza di un residence, urla in mutande: "La verità è che io ho paura di tutti loro". È una
sensazione che conosco perfettamente.
DE NIRO: Sono stato fortunato: aver fatto carriera mi ha consentito di restare ai margini di questo
tipo di meccanismi. Però anche io, come il protagonista del film, ho vissuto quelle giornate in cui ti
si chiede di essere mille cose insieme. E da regista conosco la difficoltà di trovare soldi per i progetti. Non ti finanziano un film solo perché ti chiami De Niro. Magari, se ti chiami De Niro, prendono tempo, restano ambigui, non ti dicono che non gli interessa e così fanno ancora più danni. È
stato difficile girare ne Good Shepherd L'ombra del potere, lo sarà ancora di più realizzare il secondo film di quella che ho immaginato come una trilogia sulla storia della Cia. La vita dell'attore
è molto più facile di quella del regista, ci sono meno pressioni.
Linson nel libro la descrive un attore maniacale e impenetrabile. Ci si ritrova?
DE NIRO: Sì, è un ritratto perfetto. E molto divertente per ché Art è ironico, ma non ha la rabbia
del critico.
LINSON: Considero una grande conquista il fatto che siamo rimasti amici anche dopo l'avventura
di un film prodotto insieme. Altrettanto incredibile è stato lavorare in armonia con un gruppo di
star come Sean Penn, Robin Wright Penn, John Tùrturro, Bruce Willis.
Che pensate delle proiezionitest, in base alle quali le major si sentono in diritto di intervenire pesantemente sui film?
LINSON: Ricordo di aver partecipato alla cena subito dopo la preproiezione di Quei bravi ragazzi. Martin Scorsese raccontò che un terzo degli spettatori aveva lasciato la sala durante la proiezione e che i giudizi di quelli rimasti erano stati disastrosi. Sappiamo poi com'è andata. Anche la
prima proiezione di Fight Club per i boss della Fox fu scioccante. Dissi a uno di loro che trovavo il
film divertente e lui mi consigliò di andare in terapia.
DE NIRO: lo credo che i test screening abbiano una loro validità, servono a capire la prima reazione del pubblico. Non sono applicabili a tutti i film, ma funzionano per le commedie.
Perché, De Niro, negli ultimi anni ha interpretato tante commedie?
DE NIRO: Mi piacciono da sempre. Un certo umorismo è sempre stato presente nei miei personaggi, anche nei primi film come Taxi Driver. Ora sto per partecipare al remake di Stanno tutti
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bene di Giuseppe Tornatore nel ruolo che è stato del grande Marcello Mastroianni. La mia versione sarà molto diversa, ma spero di mantenere quella perfetta alchimia tra commozione e divertimento tipica del vostro cinema italiano.
Recensioni
Luigi Paini (Il Sole-24 Ore)
È Hollywood, bellezza. Il posto dove da più di un secolo nascono i sogni del mondo: ma anche gli
incubi sono sogni, purtroppo. Disastro a Hollywood, di Barry Levinson, è una commedia (ce n'è
bisogno, di questi tempi...), di quelle però che non rinunciano a sprizzare veleno. A condurre le
danze è Robert De Niro, produttore cinematografico alle prese con due non piccoli problemi: uno
di famiglia, visto che anche il matrimonio con la seconda moglie è andato a gambe all'aria; il
secondo di lavoro, con il film che sta producendo incagliato nelle secche di un regista
egocentrico, restio a cambiare il finale a pochi giorni dalla presentazione al Festival di Cannes.
Come spesso capita, in questi casi, il gioco si fa ancora più divertente quando entrano in scena
divi celebri nei panni di loro stessi: ecco dunque, a dare una mano, Sean Penn e Bruce Willis,
che aggiungono sale e pepe alla storia.
Cinema sul cinema, cinema che si ride addosso, cinema che ci porta dietro le quinte di una
fabbrica, che bene o male, continua a "costruire" lo sguardo di tutti noi.
Roberto Nepoti (La Repubblica)
Il genere di (blanda) satira su Hollywood che Hollywood stessa produce a intervalli regolari, dai
tempi del muto a Blake Edwards e tanti altri: con il canonico bestiario di squali dello showbusiness, star nevrotiche, registi frustrati, executive spietate, agenti paranoici, attricette disponibili
e sceneggiatori dalle storie irrealizzabili. Tutti, o quasi, grandi consumatori di ansiolitici e pillole
della felicità. Al centro c' è il producer Ben (De Niro), nei guai con un film sbagliato, una star
panciuta e irsuta (Bruce Willis, che si fa il verso) e due ex mogli, di una delle quali è ancora
innamorato. Più Sean Penn, nella parte di se stesso. Errol Flynn diceva che "Hollywood ha molta
pietà per i morti, nessuna per i vivi", e la commedia non smentisce l' aforisma; difficile dire,
tuttavia, che lanci un sasso in piccionaia, o sia irta di furori polemici. Nei limiti della convenzione,
si sorride abbastanza.
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Alessandra Levantesi (La Stampa)
Nell'ambiente è opinione diffusa: guai a fare un film sul cinema, andrà male. Ciò nonostante,
forse per via di autorevoli eccezioni alla regola come 8 1/2 o Effetto notte, c'è sempre qualcuno
pronto a sfidare la sorte. Ultimo di questi audaci, Robert De Niro, produttore e interprete di
Disastro a Hollywood sceneggiato da Art Linson sulla base di un proprio libro, è uscito sconfitto
dall'impresa. Botteghino Usa vicino allo zero, soprattutto se si considera il cast all stars che
include cammei di Sean Penn e Bruce Willis nei panni di se stessi, e batoste anche da buona
parte della critica. C'è da scommettere che il povero Robert a cospetto di tanto massacro si sarà
sentito come il suo protagonista Ben: un produttore di cui seguiamo l'odissea lungo due
settimane di fuoco, mentre cerca vanamente di risolvere le grane sul lavoro e ricucire i pezzi del
rapporto con l'ex seconda moglie Robin Wright Penn. Eppure a noi la commedia, nella regia al
solito impeccabile di Barry Levinson, non è dispiaciuta. Soprattutto abbiamo amato De Niro, che
percorre la storia al passo frenetico di una disperazione sempre intinta di umorismo.
Francesco Alò (Il Messaggero)
Al produttore esecutivo hollywoodiano Art Linson dobbiamo la strenua difesa del "final cut" di
Fight Club e la realizzazione di Into the Wild. Linson non è uno alla Tim Robbins de I protagonisti.
Lui sa chi ha diretto Ladri di biciclette. Magari l'ha pure visto. A lui dobbiamo anche What's just
happened, esilarante libretto su ricordi professionali legati alla Mecca del cinema. Barry Levinson
ne ha tratto un film meno divertente della fonte letteraria in cui Robert De Niro è un produttore
con qualche problema: deve convincere Bruce Willis a tagliarsi un'assurda barba da rabbino per
fare un film d'azione, lottare con un regista inglese che non vuole uccidere un cane alla fine di un
film, e convincersi che la sua ex moglie può frequentare altri uomini. Levinson e De Niro ancora
insieme dopo il magistrale Sesso & potere non fanno quelle faville ma Disastro a Hollywood
piacerà comunque a chi cerca satire sul mondo del cinema. Bruce Willis fa molto ridere. Volete
sapere chi era davvero la star sovrappeso che non si voleva tagliare una stranissima barba? Alec
Baldwin. Il film? L'urlo dell'odio. Vinse Baldwin. Produttore? Un trafelato Art Linson.
Valerio Caprara (Il Mattino)
«Disastro a Hollywood» è una commedia senza troppe pretese il cui jolly consiste nel fatto che
ambisce a riflettere il peggio del proprio habitat. In effetti il regista la usa per raccontare la masochistica vita dell'odierno tycoon e l'annesso luna park della fabbrica dei sogni: un tornado d'avidità, illusioni, follie, imbrogli, cinismi e ricatti. L'handicap del film è quello di rischiare l'impietoso
confronto con i classici da cineteca firmati Wilder, Altman, Edwards ecc. Tuttavia il pubblico non
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ferrato in cinefilia può anche spassarsela senza complessi di colpa, non fosse altro perché il teatrino è animato da maschere di prim'ordine... Ecco, dunque, il De Niro più calibrato (ma non meno
imbolsito) degli ultimi tempi nella parte del produttore alle prese con un pessimo film appena editato e un altro non ancora girato. La sua sarà una settimana d'inferno perché il regista del primo,
Michael Wincott, è un cocainomane pazzo, mentre la star del secondo, Bruce Willis, un narcisista
esaltato; inoltre, deve duellare con la funzionaria Catherine Keener, l'agente John Turturro e lo
sceneggiatore Stanley Tucci. Le gag sono acide e pertinenti, grazie al fatto che provengono da
un libro-verità dello sceneggiatore Art Linson e contano sull'amichevole predisposizione all'autosarcasmo di mostri sacri come Sean Penn.
Maurizio Porro (Il Corriere della Sera)
Fabbrica dei sogni o degli incubi? Due settimane piene di ordinaria follia hollywoodiana per il produttore in bilico Robert De Niro che teme il flop del prossimo film, odiato dal pubblico dei test e diretto da un ambizioso regista fuori di testa, all' europea nemico dell' happy end. Intorno, capricci
di una Babilonia in cui il cinema è diventato solo business, incasso: non a caso la sceneggiatura
è di Art Linson, produttore di fama e autore del volume What just happened?, horror istruttivo sul
mestiere. De Niro, che fu 33 anni fa Monroe Stahr in Ultimi fuochi di Kazan, da Fitzgerald, torna
sui suoi passi in una dimensione diversa e volgare, dove il problema è convincere Bruce Willis a
tagliarsi la barba da talebano. La macchina cinema è ormai estranea alla genialità, la compagnia
ha il final cut e Catherine Keener è un' arida, strepitosa boss. Con qualche citazione (studi Paramount omaggio a Viale del tramonto, una cinica frase da antologia di Thompson) e personaggi di
fondate nevrosi, impillolati anche per fare la valigia (l' agente Turturro, il soggettista Stanley Tucci
e l' autore Michael Wincott), il film di Barry Levinson, amato al Tribeca di New York, conosce bene
la materia ma prende la rincorsa da un punto di vista arcaico (autori contro producers; genio, sregolatezza, smalto per unghie contro box office), con un finale a Cannes (dove il film ha davvero
chiuso l' edizione 2008), molto alla Woody Allen. Commedia amara e divertente, parallela a Sesso e potere di Levinson sul mondo dell' informazione virtuale tv, in cui Sean Penn fa Sean Penn,
Willis è Willis e anche De Niro, due divorzi alle spalle, ci mette del suo con raffinata ambiguità
quando osserva le smanie pop del mondo. L' autore di Rain man (per cui volevano un altro finale)
è certo autoreferenziale, di vera perfidia e si toglie sassoloni dalle scarpe divertendosi e divertendoci assai col cast di lusso e un triplo salto mortale tra realtà e finzione.
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Untitled - Barz and Hippo